Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?

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iospero
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

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Pippo Civati all'HuffPost chiama Pier Luigi Bersani: "Facciamo un'unica lista che va dai delusi Pd a Che Guevara"
L'Huffington Post | Di Claudio Paudice

Pippo Civati chiama Pier Luigi Bersani. Il precursore della scissione, deputato ex Pd poi fondatore di Possibile, propone all'ex segretario dem di lavorare a "un'unica lista, che tenga insieme persone come me e Fratoianni, e che sia aperta alle migliori esperienze della società civile". Una lista "da Boccia a Che Guevara, la chiamo io scherzosamente", dice Civati all'HuffPost, dopo la nascita del gruppo parlamentare di Sinistra Italiana e civatiani alla Camera.

Due giorni fa è nato un nuovo gruppo parlamentare con l'unione di Possibile e SI. Sta per nascere l'ennesimo partito a sinistra del Pd?
No, i due soggetti rimangono tali, la collaborazione parlamentare serve proprio per capire se in futuro si può costruire un'area autonoma per una proposta elettorale. Ed è una proposta che rivolgiamo ai Verdi come ad altre personalità come Anna Falcone o Tomaso Montanari, ai Comitati del No. Vogliamo dare un segnale per dire che la sinistra si può riorganizzare anche fuori dal ceto politico.

Il Pd post-scissione sta entrando nel pieno della fase congressuale. C'è un candidato alle primarie tra Emiliano e Orlando (Renzi lo escludiamo per ovvi motivi) che considera più vicino alle sue posizioni?
Il candidato più simile alla nostra proposta politica, per quello che ha detto e fatto negli ultimi anni, è sicuramente Michele Emiliano. Da questo punto di vista si è speso di più per le stesse battaglie che anche noi abbiamo portato avanti.

Lei è stato il precursore della scissione. Dopo, in tanti l'hanno seguita, da Stefano Fassina fino a Bersani, Rossi e Speranza. Si sente meno solo?
Oggi pare che siano tutti d'accordo con me, non sapevo di essere in maggioranza nel Pd. Ora tutti dicono che sono stati commessi errori e se ne sono andati, altri stanno per farlo - perché secondo me non è finita, ci sarà la scissione del Primo Maggio, se le primarie andranno come si prevede. È una diaspora, a poco a poco alla spicciolata se ne vanno in tanti. Come hanno fatto poi gli elettori.

La scissione di Bersani&Co. è tardiva?
In tanti mi hanno attaccato. Ricordo che quando me ne andai, Bersani mi disse: "Civati, ma dove vai?". Alla fine mi ha raggiunto. Ma la decisione di andare via, per chi era minoranza, doveva essere gestita in modo del tutto diverso. Ovviamente bisognava fare un'opposizione più chiara. E nel caso, prendere atto prima della situazione. Il mio appello di allora cadde nel vuoto, fu un'occasione persa.

Lei e gli scissionisti come Bersani facevate parte dello stesso partito. E dallo stesso partito poi ve ne siete andati. Non è che in futuro...?
Io insisto perché si faccia una proposta per una lista "da Boccia a Che Guevara", con una proposta autonoma rispetto al Partito Democratico, che si candida alle elezioni con un progetto di Governo e che tenga insieme quelli come me o Fratoianni ma che sia aperto a personalità di sinistra come Pier Luigi Bersani. E che al tempo stesso parli alla società civile e alle migliori esperienze del Paese. Bersani, nonostante il suo ritardo nella presa d'atto della situazione nel Pd, è una figura che deve assolutamente essere centrale.

Quanto a Renzi, si sta rilanciando in chiave Congresso. Nella sua ultima intervista ha anche denunciato un "sistema di poteri" contro di lui.
Non mi pare che gli sia mancato il sostegno dai centri di potere italiani. Fino al 4 dicembre è stato un sostegno quasi assoluto. È chiaro che le sue fortune sono un po' cambiate. Però fa un po' sorridere che faccia ancora l'outsider dopo tre anni a Palazzo Chigi con il plauso generale e con Confindustria che faceva campagna per il Sì al referendum come neanche una sezione del Pd, per dirne una. Se vuole fare un'esperienza senza sostegno dei poteri forti lo invito a venire con me alle tante iniziative di Possibile, come un militante.

Lei e Renzi un tempo eravate dallo stesso lato della barricata. Avete lanciato insieme la prima Leopolda. Poi le vostre carriere hanno preso due direzioni opposte.
La Leopolda fu un momento in cui si provava a dire che la formula tradizionale dell'Ulivo andava rilanciata, con una collaborazione tra un esponente molto moderato, qual era Renzi allora, e uno più movimentista come ero io allora. Poi lui ha scelto la strada elettorale e ha cambiato la formula della Leopolda incentrandola tutta sulla sua figura. La Leopolda di allora fu una bella esperienza, con un popolo molto variegato. Renzi però era proiettato su altre scene. Ma non è che sia cambiato, è rimasto lo stesso. Quell'incontro tra le nostre esperienze non ha sortito l'effetto che io speravo, mettiamola così.

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Allora aspettiamo le primarie del PD e quindi una nuova scissione. Aspettando Emiliano ...
Forse potrebbe diventare una forza , non dimentichiamo i delusi del M5S, non indifferente da condizionare a tal punto il PD da lasciare poco spazio a un Renzi vincitore delle primarie e indurlo a ritirarsi per permettere a Orlando di far sopravvivere il PD.
iospero
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

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Giuliano Pisapia a Matteo Renzi: "Chi sta con Marchionne e non con Landini non è di sinistra". Distanze su Jobs act
L'Huffington Post | Di Carlo Renda

“Spero che chi ha subito delle sconfitte, poi faccia delle riflessioni”. Giuliano Pisapia non chiude la porta a Matteo Renzi, ma chiede "forte discontinuità nel metodo e nel merito", e procede nel lavoro di "facilitatore" per costruire un centrosinistra ampio. Nel corso di un’intervista a In Mezz’Ora su Raitre, all’indomani del lancio di “Campo Progressista”, l’ex sindaco di Milano vede segnali positivi dal Lingotto - “ieri sia il ministro Martina che il reggente Orfini, oltre all’altro candidato delle primarie Pd Orlando, hanno detto di guardare a sinistra” – ma aspetta le primarie del Partito democratico, “quando ci sarà il segretario che indicherà la linea e l’indirizzo futuro”. Anche perché sente Renzi elogiare Sergio Marchionne sul palco del Lingotto e chiarisce: "Chi parte dai datori di lavoro e non dai lavoratori, non è di sinistra".

L’intervista mette in evidenza tante distanze fra Giuliano Pisapia e Matteo Renzi, secondo i sondaggi il maggior indiziato a ricoprire l’incarico di segretario del Pd. Distanze sui referendum promossi dalla Cgil sul lavoro: “Voterò sicuramente Sì al quesito appalti e subappalti, mentre sui voucher spero che si arrivi a una legge o meglio a un decreto legge, altrimenti voterò Sì. Ma serve un confronto serrato e una mediazione nobile su questo”. Divergenze sull’articolo 18, “ho sempre detto – spiega Pisapia – che è stato uno sbaglio riformarlo, perché incide sui diritti dei lavoratori e non sul problema del lavoro”. Distanze anche in materia di fisco.

Divergenze, inoltre, sul rapporto con lavoratori e datori di lavoro: “Io rispetto e ho lavorato con imprenditori che pensano legittimamente al profitto ma hanno anche attenzione alla comunità, però mi interessano molto di più i lavoratori e coloro che il lavoro non ce l’hanno”. Una posizione che arriva dopo il pubblico elogio di Matteo Renzi a Sergio Marchionne sul palco del Lingotto. “Marchionne ha fatto alcune cose positive – precisa Pisapia – ma non è positivo che abbia trasferito la sede della Fiat fuori dall’Italia”. Il leader di Campo Progressista è convinto però di poter trovare un punto d’incontro, “anche Renzi non può che pensare, visto che si definisce di sinistra e il Pd si definisce di sinistra, di avere come riferimento iniziale il lavoratore, e non il datore di lavoro, altrimenti non è sinistra”.

Stessa opinione, invece, fra Pisapia e Renzi, nella critica a Luigi De Magistris per aver cercato di impedire il comizio di Matteo Salvini a Napoli. “Io non avrei mai agito come lui. Ho anzi agito da sindaco in maniera diversa, non abbiamo mai vietato niente a nessuno, ma abbiamo isolato chi pensava di andare oltre i principi costituzionali e non è mai successo nulla” spiega Pisapia. “È stato fatto un regalo a Salvini, perché un comizio che probabilmente avrebbe avuto poca presenza si è trasformato in un qualcosa sul tema cosa è la democrazia”.

Stessa opinione, ancora, sulla mozione di sfiducia a Luca Lotti. “Sarebbe assurda la sfiducia perché è indagato” nell’inchiesta Consip, risponde Pisapia. “Ora la verità la sanno solo i diretti interessati, i pm facciano il loro lavoro il prima possibile. Poi se uno ama il proprio partito e la propria comunità e sa di avere delle colpe, è meglio che si faccia da parte”. Inoltre la posizione di Giuliano Pisapia sugli avvisi di garanzia è nota da tempo e la conferma. "Con le fughe di notizie spesso diventa pubblico l'avviso di garanzia che per legge dovrebbe essere un atto riservato. Le fughe di notizie non ci dovrebbero mai essere e purtroppo le indagini su come avvengono queste fughe sono rarissime e quasi mai, o in pochissime occasioni, si è arrivati a trovare il responsabile di questa fuga".

Pisapia è “convinto” che le elezioni si vinceranno al Sud, “perché lì sono le situazioni più difficili, la povertà, la precarietà, perfino il caporalato. Lì bisogna ripartire dalle esperienze positive che esistono”. Il centrosinistra unito lo può fare, ma “serve discontinuità, di merito e di metodo” ribadisce Pisapia. “Aver voluto vendere illusioni senza un confronto con i corpi intermedi, con sindacati e Confindustria, con quei chi è esperto su quel tema, ha portato a scelte che potevano essere positive ma si sono rivelate controproducenti”. Pisapia si presenta come un “facilitatore” del dialogo dentro al centrosinistra, “l’astio e l’insulto sono sempre controproducenti, tanto più quando siamo dalla stessa parte e abbiamo gli stessi valori”. Le testimonianze di vicinanza dal Lingotto arrivano perché, spiega, “ho dimostrato con i fatti, nella mia esperienza politica, che sono stato capace e ho fatto di tutto per unire e non per dividere, per trovare una mediazione alta e non il compromesso ignobile”.

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Questo Pisapia può andare d'accordo con gli altri della sinistra, e, come diceva Civati ,

"Facciamo un'unica lista che va dai delusi Pd a Che Guevara".
per cui un PD a guida Orlando potrebbe anche funzionare, mentre a guida Renzi sarebbe in un mare di contraddizioni.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

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Questo Pisapia può andare d'accordo con gli altri della sinistra, e, come diceva Civati ,

"Facciamo un'unica lista che va dai delusi Pd a Che Guevara".
per cui un PD a guida Orlando potrebbe anche funzionare, mentre a guida Renzi sarebbe in un mare di contraddizioni.
iospero




Ci sarà un giorno in cui cominceremo ad evitare i trappoloni?
UncleTom
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

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Dal quotidiano La Stampa, di oggi, 17 marzo 2017.


La vita di un paese
nei bollettini dell’800
del medico condotto

Ritrovati nel Novarese: “Si moriva a 33 anni”

SIMONA MARCHETTI
ROMENTINO (NOVARA)

Un pugno di pagine preziose, un trattato scientifico nascosto nell’archivio di un piccolo Comune, capace però di raccontare uno spaccato di Pianura Padana che non c’è più: le malattie della miseria, la vita povera nelle campagne del Novarese, la nascita delle prime cooperative, la storia di un paese ricostruita dagli appunti di un medico condotto del 1876. Dall’archivio La scoperta è emersa dagli archivi di Romentino, un piccolo centro dell’Ovest Ticino, 6 mila abitanti, arricchito negli Anni 80 dalla scoperta del petrolio. Una ricchezza ancora del tutto sconosciuta quando, nel 1876, il dottor Giuseppe Gnocchi divenne il medico condotto. A quell’epoca, poco dopo l’Unità d’Italia, in paese risiedevano 2874 abitanti, secondo i dati del censimento del 1881. L’aspettativa di vita era di 33 anni, e le malattie più diffuse erano la pellagra, di cui pativa chi mangiava solo polenta, e la tubercolosi. Patologie della povertà, della miseria più nera: «Il medico - racconta Gilberto Stevenazzi, docente di lettere in pensione e appassionato di storia locale - portò a termine l’indagine commissionata a livello nazionale dal collega Agostino Bertani, la cosiddetta “Inchiesta Jacini” sui lavoratori agrari. Ma non si limitò a compilare i questionari. Li elaborò in proprio e ne ricavò un volumetto che descrive la realtà del nostro Comune». Nessuno ne aveva avuto più notizia, ma Stevenazzi, insieme all’ex dirigente scolastico Franco Groppetti, ha recuperato il testo della «Topografia medico igienico statistica del Comune di Romentino» pubblicata da Gnocchi nel 1881, l’unico esemplare conservato dalla biblioteca Negroni di Novara. «Per me è come aver fatto un salto indietro nel tempo - spiegano il sindaco di Romentino, Alessio Biondo, e l’assessore alla Cultura Paola Occhetta - questo libriccino racconta com’era la nostra realtà locale prima dello sviluppo industriale: agricoltura di sussistenza, abitazioni fatiscenti e poverissime, mortalità alle stelle». La svolta Uno spaccato che rispecchia le condizioni della pianura novarese e piemontese prima e durante lo sviluppo industriale e agricolo conseguente all’Unità d’Italia. «Proprio in quegli anni - aggiunge Biondo - nel 1868, iniziarono i lavori per il cavo Belletti, ora Diramatore Vigevano, che consentì l’avvio e lo sviluppo delle manifatture tessili che cambiarono il volto del territorio». Arrivarono le piccole industrie, più lavoro, dunque un benessere, certamente relativo rispetto ai nostri standard, più diffuso.
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I VALORI DELLA SINISTRA SONO IMMUTABILI NEL TEMPO, ED APPARTENGONO ALLA STORIA DELL’UMANITA’ DA QUANDO GLI UOMINI HANNO FORMATO LE PRIME COMUNITA’.


Dall’articolo di SIMONA MARCHETTI(post precedente):


…….un trattato scientifico nascosto nell’archivio di un piccolo Comune, capace però di raccontare uno spaccato di Pianura Padana che non c’è più:

le malattie della miseria,
la vita povera nelle campagne del Novarese,
la nascita delle prime cooperative,

la storia di un paese ricostruita dagli appunti di un medico condotto del 1876.


…… L’aspettativa di vita era di 33 anni, e le malattie più diffuse erano la pellagra, di cui pativa chi mangiava solo polenta, e la tubercolosi.

Patologie della povertà, della miseria più nera

…… questo libriccino racconta com’era la nostra realtà locale prima dello sviluppo industriale: agricoltura di sussistenza, abitazioni fatiscenti e poverissime, mortalità alle stelle».
La svolta Uno spaccato che rispecchia le condizioni della pianura novarese e piemontese prima e durante lo sviluppo industriale e agricolo conseguente all’Unità d’Italia.

……. nel 1868, iniziarono i lavori per il cavo Belletti, ora Diramatore Vigevano, che consentì l’avvio e lo sviluppo delle manifatture tessili che cambiarono il volto del territorio». Arrivarono le piccole industrie, più lavoro, dunque un benessere, certamente relativo rispetto ai nostri standard, più diffuso.



LA SINISTRA E’ QUELLA CHE SI SCHIERA SEMPRE CON GLI ULTIMI, CHE LI AIUTA A MIGLIORARE LA PROPRIA CONDIZIONE DI VITA. OVUNQUE.

MORIRE A 33 ANNI, PER NOI E’ COME NON VIVERE. MA ALLORA SUCCEDEVA COSI’.

I CREDENTI VIVONO NELLA CONVINZIONE DI UN’ALTRA VITA OLTRE LA VITA. GLI ATEI CONSIDERANO QUESTA UN’ESPERIENZA UNICA.

MA COMUNQUE LA SI PENSI, LA RAGIONE UMANA DEVE PORTARCI A VIVERE QUESTA VITA NEL MODO PIU’ DECENTE POSSIBILE.

E PERCHE’ QUESTO AVVENGA LA SINISTRA SI DEVE IMPORRE PERCHE’ AD OGNUNO SIA RISERVATO UNO STARDARD MINIMO DI VITA DECENTE.
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È morto Alfredo Reichlin, addio allo storico dirigente Pci. L’ultimo articolo: “Non lasciamo la sinistra sotto le macerie”
di F. Q. | 22 marzo 2017

Politica
Nato a Barletta il 26 maggio 1925, è stato marito di Luciana Castellina, fondatrice del Manifesto, con la quale ha avuto i due figli Lucrezia e Pietro. Allievo di Palmiro Togliatti, fu vicesegretario della Federazione Giovanile Comunista Italiana e nel 1955 entrò a l'Unità, di cui dopo un anno diventò vice-direttore. Renzi: "Se ne va un punto di riferimento per generazioni impegnate nella difesa della cosa pubblica". Gentiloni: "Vita esemplare"
di F. Q. | 22 marzo 2017
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E’ morto all’eta di 91 anni Alfredo Reichlin, storico dirigente della sinistra. Partigiano, allievo di Palmiro Togliatti, membro della direzione del Pci, parlamentare e fondatore e dirigente anche del Pd, Reichlin era nato a Barletta il 26 maggio 1925. E’ stato marito di Luciana Castellina, fondatrice del Manifesto, con la quale ha avuto i due figli Lucrezia e Pietro (entrambi economisti), e poi di Roberta Carlotto, dirigente Rai e poi di alcuni teatri stabili.

Personaggio eminente della sinistra italiana, Alfredo Reichlin una settimana fa su Nuova Atlantide, community on line che si occupa di politica e cultura, aveva scritto il suo ultimo articolo: “Non lasciamo la sinistra sotto le macerie”. Tanti i messaggi di cordoglio che arrivano in queste ore dai dirigenti del Partito democratico e non solo. L’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi ha detto in una nota: “Se ne va una delle personalità di maggiore spicco della sinistra italiana, un punto di riferimento per generazioni di donne e uomini impegnati nella cosa pubblica. Lo ricordiamo con affetto e riconoscenza e siamo vicini alla famiglia in quest’ora di dolore”. Il premier Paolo Gentiloni ha invece scritto su Twitter: “Ricordo Alfredo Reichlin grande dirigente della sinistra. Una vita esemplare di impegno verso i più deboli e di responsabilità nazionale”.




Paolo Gentiloni
✔ @PaoloGentiloni
Ricordo Alfredo #Reichlin grande dirigente della sinistra. Una vita esemplare di impegno verso i più deboli e di responsabilità nazionale
06:51 - 22 Mar 2017

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“Sono afflitto – scriveva l’ex direttore dell’Unità e membro della direzione del Pci – da mesi da una malattia che mi rende faticoso perfino scrivere queste righe”. “Mi sento – aveva aggiunto – di dover dire che è necessario un vero e proprio cambio di passo per la sinistra e per l’intero campo democratico. Se non lo faremo non saremo credibili nell’indicare una strada nuova al paese”. “Anch’io avverto il rischio di Weimar – aveva ammesso tra l’altro – Ma non do la colpa alla legge elettorale, né cerco la soluzione nell’ennesima ingegneria istituzionale: è ora di liberarsi dalle gabbie ideologiche della cosiddetta seconda Repubblica. Crisi sociale e crisi democratica si alimentano a vicenda e sono le fratture profonde nella società italiana a delegittimare le istituzioni rappresentative. Per spezzare questa spirale perversa occorre generare un nuovo equilibrio tra costituzione e popolo, tra etica ed economia, tra capacità diffuse e competitività del sistema”. Da qui, insomma, “la sinistra rischia di restare sotto le macerie. Non possiamo consentirlo. Non si tratta di un interesse di parte ma della tenuta del sistema democratico e della possibilità che questo resti aperto, agibile dalle nuove generazioni”.





Ancora minorenne, Reichlin si trasferì dalla Puglia a Roma dove tempo dopo partecipò alla Resistenza partigiana tra le Brigate Garibaldi. Ottenuta la maturità classica al liceo Torquato Tasso, nel 1946 si iscrisse al Partito Comunista Italiano, di cui fu uno dei dirigenti più importanti per circa trent’anni. Allievo di Palmiro Togliatti, fu vicesegretario della Federazione Giovanile Comunista Italiana e nel 1955 entrò a l’Unità, di cui dopo un anno diventò vice-direttore.
Promosso a direttore nel 1958, negli anni Sessanta si avvicina alle posizioni di Pietro Ingrao, le più a sinistra nel partito. Da segretario regionale del Pci in Puglia fu molto attento alla questione meridionale, alla quale dedicò anche le sue opere “Dieci anni di politica meridionale. 1963-1973” (1974) e “Classi dirigenti e programmazione in Puglia” (1976). Deputato nazionale fin dal 1968, durante gli anni Settanta entrò nella direzione nazionale del partito e collaborò gomito a gomito con Enrico Berlinguer. Successivamente fu favorevole alle trasformazioni del partito da Pci in Pds prima, da Pds in Ds poi ed infine da Ds in Pd. Una vita da riformista, si potrebbe dire, tanto che dal 1989 al 1992 fu ministro dell’Economia del governo ombra del Partito Comunista Italiano, ma nel 2007 è stato il presidente della commissione per la stesura del Manifesto dei Valori del Partito Democratico.
di F. Q. | 22 marzo 2017

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/03 ... e/3467173/
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Alfredo Reichlin, l’inquieto sostenitore dell’unità del partito: dal coraggio con Ingrao alla delusione per la svolta renziana
di Valerio Valentini | 23 marzo 2017

Politica
IL RITRATTO - Chi era uno degli ultimi dirigenti del Pci di Berlinguer? Lo racconta chi lo ha conosciuto, dall'amico Spataro a Occhetto fino alla figlia del suo maestro Ingrao. Si scontrò con Togliatti che lo cacciò dalla direzione dell'Unità dopo essersi schierato contro il primo esperimento di centrosinistra. Irritato per l'uso scorretto della sua espressione "partito della Nazione", ha alternato coraggio a cautela. Sempre contrario alle scissioni, ha "assolto" Bersani: "Evidentemente il suo gorgo dove costruire un rapporto con il popolo era altrove"
di Valerio Valentini | 23 marzo 2017
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Più informazioni su: Achille Occhetto, Palmiro Togliatti, Partito Comunista, Pci, Pietro Ingrao

Politicamente, una vita “nel gorgo”. Viene quasi naturale recuperare le parole del suo amico e mentore, Pietro Ingrao, per descrivere la carriera di Alfredo Reichlin. Un’esistenza spesa a coltivare il dubbio, senza mai accomodarsi sulle certezze calate dall’alto e tuttavia restando fedele, in ogni caso, al bene supremo dell’unità del partito. Fino a pochi giorni prima della sua morte, almeno. Fino, cioè, al 14 marzo scorso, quando su l’Unità è comparso un articolo a sua firma che ha colpito molti per la durezza con cui l’ex dirigente comunista attaccava il Pd renziano. Spiega Pietro Spataro, confidente e collega di Reichlin ai tempi della sua seconda direzione de l’Unità, alla fine degli anni Settanta: “Alfredo ci teneva, soprattutto, a precisare una cosa: lo stravolgimento del concetto di ‘partito della Nazione’. Lui quell’espressione l’aveva coniata pensando a una forza in grado di ascoltare i bisogni veri del popolo, al netto delle distinzioni di parte, non certo per inneggiare a inciuci e trasformismi”. Ecco, quell’articolo, scritto con grande fatica fisica, segna una prima volta nella storia di Reichlin. Succede anche a 91 anni. La prima volta, cioè, che in vita sua il “compagno Alfredo”, quello che mai volle allontanarsi dalla casa madre (Pci, Pds o Pd che fosse), ha guardato con un certo favore a chi aveva abbandonato il partito. I suoi familiari, del resto, oggi lo ricordano così: “Uno spirito critico, certo, e uno spirito inquieto, anche. Ma tenacemente convinto che le rotture fossero un errore, che fosse più utile spingere amici e compagni verso posizioni più coraggiose restandogli a fianco, anziché fondare nuovi soggetti che rischiavano l’irrilevanza”. Se stavolta era arrivato a esprimere – pur con qualche riserva – la sua solidarietà a Bersani e compagni, allora, “era forse perché il gorgo, il luogo dove costruire un rapporto più stretto col popolo, per lui ormai era altrove”.
Da “ingraiano” vero, insomma, sempre. Anche quando esserlo, “ingraiano”, non era affatto vantaggioso. Anche quando significava, per esempio, schierarsi apertamente contro Palmiro Togliatti, e subirne poi le inevitabili conseguenze. Aveva 37 anni, Reichlin, nel 1962, e da 7 era il direttore de l’Unità. Direttore scomodo, per il Migliore, perché mentre il Pci sosteneva la decisione di Mosca di mandare i carri armati a Budapest, l’Unità cominciava per la prima volta a raccontare le contraddizioni del socialismo reale nei Paesi dell’Est. Lo scontro più duro, però, arriva poco dopo. Quando, cioè, a Botteghe Oscure si decide di accogliere con un certo favore l’ipotesi del centrosinistra e Ingrao si oppone. Reichlin sta dalla parte del suo maestro e un pomeriggio di marzo del ’62 viene convocato da Togliatti. Poche, dirette parole: “Senti, io sono il segretario del partito, tu il direttore del giornale del partito. Mi sembra doveroso che tra queste figure ci sia accordo. Quindi le alternative sono due: o mi dimetto io, oppure ti dimetti tu”. Sembra perfino scherzoso, Togliatti. Ma è pur sempre Togliatti. E infatti la direzione de l’Unità passa a Mario Alicata e Reichlin viene spedito nella sua nativa Puglia, a fare il segretario regionale. Lui non protesta, conosce le regole. Solo a un’accusa, però, replica con durezza, perché più di altre lo offende. L’accusa è quella di essere “uno scissionista” e a scagliargliela è il suo compagno di partito Giancarlo Pajetta in una lettera privata. Reichlin prende carta e penna e replica punto su punto. “Scissionista”, a lui, proprio no.
Di saper resistere alla tentazione delle “fughe in avanti”, come si diceva negli anni turbolenti della contestazione, o “a sinistra”, secondo il lessico più contemporaneo, Reichlin lo dimostra qualche anno dopo. Nell’ottobre del 1969, per la precisione, quando il gruppo dei ribelli del Manifesto viene radiato dal Comitato centrale del Pci, e lui e Ingrao si ritrovano, ancora una volta, proprio sulla faglia. I più vicini, per visione e temperamento, al gruppo di Luigi Pintor e Rossana Rossanda e però comunque fedeli alla linea dettata da Enrico Berlinguer. Reichlin soffre più di altri quella divisione, nella quale, per lui, entrano in gioco anche affetti personali. Perché è vero che con Luciana Castellina, una delle animatrici dell’avventura del Manifesto, il matrimonio è già finito, ma è altrettanto vero che i rapporti tra loro restano – come poi resteranno anche in seguito – assidui e amichevoli. “Tenne sempre diviso l’aspetto sentimentale da quello politico”, afferma ora Lidia Menapace, altra redattrice di quel giornale dissidente. Achille Occhetto, all’epoca leader giovanile in forte ascesa, conferma. E aggiunge: “Fu un passaggio estremamente doloroso, per lui. Ma era proprio nelle fasi più delicate che Alfredo dava prova della sua lucidità”.
Affermazione non banale, se a farla è chi ha potuto toccare con mano il valore della fedeltà e della capacità di mediazione di Reichlin. Altro clima, altra epoca: non più le aspirazioni rivoluzionarie di un gruppo di intellettuali nell’autunno caldo del ’69, ma il sogno del comunismo che viene giù insieme al Muro di Berlino. La svolta, stavolta, è quella della Bolognina: siamo nel novembre del 1989, e Occhetto propone di superare il Pci e fondare “un’altra cosa”, che poi sarà il Pds. “La mia paura – racconta l’ex leader comunista – era soprattutto legata alla possibile reazione negativa dei padri nobili del partito”. Il più temuto di tutti, manco a dirlo, Pietro Ingrao. Che però al momento dell’annuncio della svolta è in Spagna per un ciclo di conferenze. “Erano giorni convulsi, caratterizzati da una tensione incredibile. L’ultima cosa che ci voleva erano dichiarazioni d’istinto di una personalità così combattiva come quella di Ingrao, che peraltro era stato messo al corrente della cosa solo in modo sommario”. E quindi, che fare? “Chiesi a Reichlin e Antonio Bassolino di andare a prendere Ingrao all’aeroporto e parlargli privatamente. Come sospettavo, Ingrao non la prese bene, ma ai giornalisti non disse nulla”. Reichlin invece sostiene la svolta, per la prima volta anticipa il suo maestro. E alla fine – ma solo dopo due congressi e parecchie lacrime – lo convincerà a seguirlo.
“Per la prima volta? No, non direi”. Chiara Ingrao sorride, quasi commossa, nel ricordare i pranzi nella casa romana dei suoi genitori, dalle parti di Piazza Bologna. “In più di un’occasione mio padre si è affidato ai consigli di Alfredo”. Ingrao, è cosa nota, amava circondarsi anche nel tempo libero dei suoi compagni di partito. “Ne nascevano grandi mangiate e, soprattutto, interminabili discussioni che io e mia sorella, ragazzine, ascoltavamo ammirate. Alfredo era così, sempre sorridente, sempre umile. Credo non fosse consapevole di quanta autorevolezza ispirasse la sua figura. Era un maestro per tanti, compreso mio padre, di cui continuava però a considerarsi un allievo”. Umile e autorevole, dunque.
Due aggettivi che tornano anche nelle parole del regista Citto Maselli, che Alfredo Reichlin lo ha conosciuto, per la prima volta, ai tempi del liceo. “Era il 1944. Frequentavamo entrambi il Tasso, a Roma. Lui era il capo del gruppo di resistenza degli studenti. Facevamo volantinaggio dentro e fuori dalla scuola, col fiato sul collo della banda Koch, la squadraccia di militari che nella Capitale collaborava coi nazisti”. Un carattere che non è cambiato, negli anni, a giudicare dalla testimonianza di Pietro Spataro. “Avevo 22 anni ed ero un lettore accanito de l’Unità”. Reichlin era tornato a dirigere il quotidiano nel 1977, dopo il successo di Rinascita. “Gli scrissi per posta spiegando che il mio sogno era di poter scrivere su quel giornale, ma mai mi sarei aspettato una risposta. E invece passarono solo pochi giorni e mi vidi recapitare una lettera intestata ‘Al compagno Pietro’. Mi presentai in redazione col mio striminzito curriculum e fui assunto”. Il modo di lavoro del direttore? “Sempre curioso del pensiero degli altri, ma con una grande capacità di fare squadra. Ricordo riunioni, al mattino, che duravano ore”.
Gli ultimi anni lo avevano visto indebolirsi molto. Era stato costretto, con grande dispiacere, a partecipare con più distacco alla vita del Partito democratico – di cui fu uno dei fondatori – e al dibattito sui giornali. Non aveva però rinunciato a schierarsi sul referendum costituzionale, scegliendo il No come “male minore” di fronte al rischio di compromettere il rapporto tra la politica e il popolo e snaturare il partito, riducendolo “a puro servizio del Capo”. Resta il suo giudizio piuttosto critico sulla “rottamazione”, “una scommessa che Renzi si era illuso di vincere con la straordinaria energia del renzismo (un uomo solo al comando, chi non sta con me è contro di me, lo svuotamento del partito dei sindacati degli organismi sociali intermedi)” e che invece è “fallita”. E resta, come ultimo appello, quello del 14 marzo scorso sulla sua Unità, quello in cui esortava a non cedere ad una “logica oligarchica” che rischiava di condannare la sinistra a “restare sotto le macerie”. Ma forse, a futura memoria, resterà soprattutto il discorso che Reichlin tenne a Piazza Montecitorio, nell’ultimo saluto a Ingrao il 30 settembre del 2015. In quell’occasione, con gli occhi inumiditi dal pianto e una voce ancora forte, da oratore, Reichlin replicò all’accusa che in tanti, negli anni, hanno mosso ai Comunisti più radicali, agli “ingraiani”. “Non è vero che volevamo la luna. La nostra grande passione fu piuttosto quella di immergerci nell’Italia vera e di lottare per non lasciare gli uomini soli di fronte alla potenza inaudita del denaro”. Qualcosa che per Reichlin, giura chi lo ha conosciuto, “andava fatto restando coi piedi per terra”. Altro che luna.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/03 ... a/3469133/
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

Messaggio da UncleTom »

........C'ERA UNA VOLTA LA SINISTRA.............

DETTO DI 30 ANNI FA:


MORIREMO DEMOCRISTIANI

TOCCARE PER CREDERE...............




1 apr 2017 14:13

“LASCIO ‘L’UNITÀ’ SFIDUCIATO DAI MIEI GIORNALISTI”

- STAINO SI DIMETTE DOPO LE POLEMICHE PER LA PRIMA PAGINA DI IERI IN CUI, CON UNA STRISCIA A FUMETTI, AVEVA RACCONTATO I TAGLI IN ARRIVO E IL DIFFICILE MOMENTO DEL QUOTIDIANO


- IL COMITATO DI REDAZIONE: “NON CI HAI FATTO RIDERE. I LICENZIAMENTI PROSPETTATI SONO DA MACELLERIA SOCIALE”


- QUANTO VENDE “L’UNITÀ”? SEIMILA COPIE…
UncleTom
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

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UncleTom ha scritto:........C'ERA UNA VOLTA LA SINISTRA.............

DETTO DI 30 ANNI FA:


MORIREMO DEMOCRISTIANI

TOCCARE CON MANO PER CREDERE ..............




1 apr 2017 14:13

“LASCIO ‘L’UNITÀ’ SFIDUCIATO DAI MIEI GIORNALISTI”

- STAINO SI DIMETTE DOPO LE POLEMICHE PER LA PRIMA PAGINA DI IERI IN CUI, CON UNA STRISCIA A FUMETTI, AVEVA RACCONTATO I TAGLI IN ARRIVO E IL DIFFICILE MOMENTO DEL QUOTIDIANO


- IL COMITATO DI REDAZIONE: “NON CI HAI FATTO RIDERE. I LICENZIAMENTI PROSPETTATI SONO DA MACELLERIA SOCIALE”


- QUANTO VENDE “L’UNITÀ”? SEIMILA COPIE…


Annalisa Cuzzocrea per “la Repubblica”

Non c' è ironia, nella voce di Sergio Staino, mentre dice: «Mi hanno costretto a questa decisione, non potrei guardarmi allo specchio se rimanessi dopo che la mia redazione mi ha di fatto sfiduciato». Bobo lascia l' Unità. Al telefono, subito dopo aver inviato la lettera in cui dice addio, si sfoga: «Avevo chiesto loro: fate un documento duro quanto volete, ma non fate lo sciopero, perché sarebbe contro di me. Non mi consentirebbe di continuare a lottare. Lo hanno fatto, e allora basta».


La redazione non ha preso bene la prima pagina di ieri. La scelta di raccontare il momento durissimo, i tagli in arrivo, la difficile sopravvivenza della testata fondata da Antonio Gramsci nel 1924 attraverso una striscia satirica in cui il direttore Staino si raffigurava strattonato da mille parti: la proprietà, il cdr, perfino la moglie.


«Per una volta Staino, per questa volta - scrivono i lavoratori dell' Unità - non ci hai fatto ridere. Sono giorni, settimane in cui non ridiamo. Da quando la proprietà ha annunciato che il 60% dei lavoratori di questo giornale a breve andrà a casa ». E ancora, i numeri prospettati dall' azienda «sono da macelleria sociale. A pagare saremo solo noi, e tu di conseguenza depauperato dalla nostra forza lavoro».


Chiedono al direttore di restare al loro fianco, i giornalisti. Ma lo fanno dicendogli: «La tua iniziativa di ieri non ci aiuta. Anzi, rischia di offrire all' azienda il fianco per "calare la scure" sulle nostre teste, tanto per citare l' amministratore delegato». «Danno un giudizio negativo su una striscia che tantissimi lettori hanno capito - ribatte il direttore - sono pieno di lettere che me lo confermano. Non accettano che abbia usato la satira per un discorso politico, ma sotto quel fumetto c' è il dolore di Bobo. È l' angoscia a muoverlo. Non è una striscia felice».


Racconta, Staino, in quelle immagini, di tutti coloro che lo fermano per dirgli "bello, bello il giornale", ma non lo comprano. «Prendo in giro mia moglie che mi tira in mezzo a situazioni familiari, il cdr che giustamente mi tampina perché non vuole che ipotizzi ristrutturazioni. A mio avviso, non c' è nessuna offesa.

Mi aspettavo che si incazzasse Bonifazi, che lo facesse Renzi, cui ricordo di avergli dato del "cafone", o l' amministratore delegato Stefanelli, che metto lì tutto preso dal tagliare. Mai avrei pensato ai giornalisti». E invece, all' Unità, si è tenuta una riunione dai toni accesi e molto duri.


«Io capisco che siano nel pallone per paura dei tagli che ci saranno - dice ancora Staino - ma siamo davanti a un' alternativa drammatica: o chiudiamo o ristrutturiamo. Un giornale che vende le cifre che vendiamo noi non è sostenibile. Ventinove giornalisti e sette poligrafici per seimila copie, non ce la si fa. Ho cercato delle alternative: diventare più piccoli e poi riassumere una persona ogni mille copie recuperate. Ho chiesto aiuto a collaboratori che mi hanno scritto fondi gratuitamente, solo per amore di questo giornale. Che senso ha arrabbiarsi? Ho dato tutto a questo giornale. È un' offesa che non mi merito».

Per:
LA PRIMA PAGINA DI STAINO SULLA CRISI DELL UNITA'

Vedi:
http://www.dagospia.com/rubrica-2/media ... 144902.htm
UncleTom
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

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RIUSCIRANNO A FAR RIPARTIRE LA SINISTRA???????????????????????????????????????????????????




DA ALTRO 3D:

http://forumisti.mondoforum.com/viewtop ... 607#p49607





Come se ne esce?



«Noi – insiste Magaldi – abbiamo bisogno di un governo che abbia il coraggio di andare ai tavoli europei e dire: siamo tra i grandi contraenti del progetto europeo, vogliamo riscrivere i trattati, lavorare per un processo costituente per un’unione politica.



Se ci state, bene.


Altrimenti, se non si apre un dibattito, noi sospendiamo la vigenza dei trattati in Italia, accantonando tutte le retoriche europeiste o antieuropeiste».



Gioele Magaldi pensa al Pdp, Partito Democratico Progressista, di cui è appena stato registrato il marchio, in vista delle prossime elezioni politiche.



«Sarà un cantiere – spiega – al quale invitiamo tutti quelli che ne hanno abbastanza di sentir parlare di falsi democratici e falsi progressisti, come Bersani che ha votato il pareggio di bilancio in Costituzione, trasformando il Parlamento in una caserma per imporre il sì al Fiscal Compact.



Misure-capestro, suicide per l’economia italiana, imposte «da uno dei governi più nefasti della storia, guidato dal massone reazionario Mario Monti, insediato dal massone ancora più reazionario Giorgio Napolitano».




In Italia Monti, Letta e Renzi.



E in Francia Hollande: «Doveva essere il campione anti-merkeliano e anti-austerity.


Invece, tra blandizie e minacce, si è ridoto a un ruolo ornamentale, senza una sola proposta per un vero cambio di paradigma, in Europa».


Renzi? «E’ stato poco furbo: se al referendum del 4 dicembre avesse inserito l’abolizione del pareggio di bilancio, avrebbe vinto».


Peggio ancora dell’ex premier, forse, «gli avventurieri che vorrebbero appropriarsi delle parole “democratico” e “progressista”, dopo aver sorretto il governo Monti».


Nella visione di Magaldi, non resta che ripartire dall’Italia per tentare di invertire il corso della storia, riaccendendo la luce sulla democrazia.


A questo serve il “Master Roosevelt in scienze della polis”, che offre formazione per «conoscere le reti private sovranazionali che asservono ai propri interessi i governi eletti».



Un’azione «di pedagogia e consapevolezza», fino a ieri limitata alla dimensione meta-partitica.


Domani estesa anche all’agone elettorale?

Magaldi appare deciso.



Vede la necessità di «un partito “pesante”, novecentesco, democratico e ideologico, improntato al “socialismo liberale” di Carlo Rosselli, l’antifascista che diceva: è inutile parlare di libertà politiche e civili se non si offre ai cittadini anche una dignità economica per potersi occupare della res publica».





Socialismo e liberalismo: «Keynes e Beveridge, il padre del welfare europeo, erano esponenti del Liberal Party».


L’ipotetico nuovo soggetto politico punterebbe sull’elettorato in fuga dal Pd, su quello del centrodestra in pieno caos (e senz’ombra di primarie), rivolgendosi anche ai 5 Stelle: «Rappresentano una speranza, per l’Italia, a patto che si rivelino all’altezza della situazione, offrendo cioè uno spettacolo diverso da quello mostrato a Roma».


Un nuovo partito, dunque? Sì, sembra dire Magaldi, se l’offerta politica italiana non offre alternative serie: e cioè un cambio radicale di paradigma.




Stop al dogma neoliberista, senza mezzi termini.
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