Diario della caduta di un regime.

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LA PIRLERIA UMANA NON HA LIMITI.

"Dbrs ritiene che, in seguito al referendum bocciato sulle modifiche costituzionali che avrebbe potuto fornire una maggiore stabilità di governo e la successiva dimissioni del primo ministro Renzi,

SOLO UN AGENZIA DI "CAZZONI & CAZZONI" POTEVA TROVARE QUESTA GIUSTIFICAZIONE.




Dbrs taglia il rating dell'Italia: "Sistema bancario è debole"
L'agenzia di rating canadese adesso si allinea alle altre che avevano tolto la "A" al nostro Paese declassandolo a "BBB"

Franco Grilli - Ven, 13/01/2017 - 19:27

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L’agenzia Dbrs ha tagliato il rating dell’Italia da A a "BBB", il trend è stabile.

Lo sottolinea l’agenzia di classificazione canadese in una nota. L’agenzia - con sede a Toronto (Canada) e uffici a New York, Chicago e Londra - ha rivisto il suo giudizio riflettendo "una combinazione di fattori inclusa l’incertezza rispetto alla abilità politica di sostenere gli sforzi per riforme strutturali e la continua debolezza del sistema bancario, in un periodo di fragilità della crescita".

Di fatto dunque l'agenzia canadese si allinea con la altre agenzie di rating che già in passato avevano tolto la "A" all'Italia. A pesare dunue sul giudizio le recenti vicende del sistema bancario che ormai da mesi fotografano una situazione con gli istituti in sofferenza. Proprio nei giorni scorsi il governo ha varato il piano per il salvataggio del Monte dei Paschi di Siena. Nella nota diffusa, si legge: "Dbrs ritiene che, in seguito al referendum bocciato sulle modifiche costituzionali che avrebbe potuto fornire una maggiore stabilità di governo e la successiva dimissioni del primo ministro Renzi, il nuovo governo ad interim può avere meno spazio per passare ulteriori misure, limitando così il rialzo delle prospettive economiche".
invented by Teads

Inoltre, continua il comunicato dell’agenzia di rating, gli elementi che hanno spinto a tagliare il giudizio sono da una parte la debolezza del sistema bancario e dall’altra il l’incertezza sulle elezioni. "Nonostante i recenti piani per il sostegno delle banche, il livello dei crediti in sofferenza continua a rimanere molto alto, colpendo la capacità del settore bancario di agire come intermediario per il sostegno dell’economia". Poi sempre sugli istituti di credito Dbrs aggiunge: "In questo contesto una crescita lenta ha portato a un persistente ritardo nella riduzione di un debito pubblico molto alto, lasciando il paese molto più esposto a colpi sfavorevoli". "Un deterioramento nelle politiche monetarie e nella stabilità finanziaria e nel contesto politico sono stati fattori centrali per il taglio", si legge nella nota. Parlando di elezioni invece Dbrs dice che anche se il nuovo governo guidato da Paolo Gentiloni ha come obiettivo quello della riforma elettorale prima delle elezioni del 2018, "resta un rischio di elezioni anticipate, soprattutto dopo la decisione da parte della Corte costituzionale sulla legge elettorale, attesa per la fine del gennaio 2017".
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COSA STA SUCCEDENDO ALLA CORTE DEI CONTI???

E' SPARITO IL TAPPO CHE SIGILLAVA IL PONTE DA ANNI???






Ponte sullo Stretto, Corte dei Conti: “La concessionaria ci costa ancora quasi 2 milioni l’anno. Liquidarla velocemente”

Lobby

La magistratura contabile annota che l'onere per le casse pubbliche "risulta ancora notevole" e "il superiore interesse al buon andamento amministrativo suggerisce celerità" nel chiudere definitivamente l'ente. La cui sopravvivenza ha comportato una "costosa conflittualità": la società ha chiesto allo Stato più di 300 milioni per le attività già svolte e ne è nato un ulteriore contenzioso, che si aggiunge a quelli con i privati. Il governo non si pronuncia
di F. Q. | 13 gennaio 2017

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Più informazioni su: Corte dei Conti, Matteo Renzi, Ponte sullo Stretto


Altro che rimettere mano al progetto del Ponte sullo Stretto di Messina, come intendeva fare l’ex premier Matteo Renzi e come ancora sognano gli alfaniani. La grande opera per eccellenza cara a Silvio Berlusconi e stoppata da Mario Monti, ma mai davvero uscita dai desiderata della politica, va archiviata del tutto il prima possibile. A metterlo nero su bianco è la Corte dei Conti, che in una nota dedicata ai rapporti contrattuali della società Stretto di Messina annota, tra l’altro, come il solo fatto di mantenere in vita la concessionaria comporti per le casse pubbliche “un onere annuo sceso sotto i due milioni di euro solo nel 2015″ e “ancora notevole“. Pertanto, “il superiore interesse al buon andamento amministrativo suggerisce celerità nella liquidazione della concessionaria”. Questo anche perché paradossalmente la società, che è pubblica – la controlla l’Anas, che a sua volta fa capo al Tesoro, mentre i soci di minoranza sono Rfi e le regioni Calabria e Sicilia – ha in atto un contenzioso con lo Stato, da cui pretende di ricevere 300 milioni per “pregresse attività”. Un quadro “contrario ai principi di proporzionalità, razionalità e buon andamento dell’agire amministrativo”, sottolinea la Corte. Nonostante questo, “non risultano iniziative della Presidenza del Consiglio e del Ministero delle Infrastrutture per por fine al contrasto con la concessionaria”.


Per completamento articolo e tabelle vedi:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/01 ... e/3314495/
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OLTRE LA CADUTA DELLA PRIMA REPUBBLICA



CONSIP Inchiesta del “Fatto”sulla società pubblica che fa tutti gli acquisti per la PA
Ecco la mangiatoia dei miliardi: coop rosse, compari di Renzi&C.


Il mega-appalto L’affare miliardario al centro dell’indagine che
coinvolge il padre di Renzi e ha messo nei guai il fedelissimo Lotti

Romeo, rossi e amici degli amici Così si sono divisi la torta Consip

»MARCO LILLO
La cifra è scritta in rosso nella tabella qui sotto, in modo che tutti la possano leggere. Dunque sono 609 milioni di euro. A tanto ammonta il valore dei tre lotti della gara più grande d’Europa –18 lotti in totale per un totale di 2 miliardie692 milionidieuro– vinti dal gruppo di Alfredo Romeo, indagato per associazione a delinquere e corruzione anche in relazione agli appalti Consip. In q u e ll ’indagine i pm si sono imbattuti nei rapporti di Romeo con Carlo Russo, imprenditore fiorentino amico di Tiziano Renzi, e sono spuntate anche testimonianze di un incontro del babbo dell’ex premier, non indagato, con Russo e Romeo stesso. Le notizie sull’inchiesta sono filtrate negli ambienti renziani, preoccupando anche il padre del leader del Pd. Romeo è risultato primo in tre soli lotti su 18 mentre altri competitor come Manutencoop e Cofely sene sono aggiudicati quattro. Però i lotti più importanti sono quelli vinti da Romeo, in testa in valore assoluto. I pm romani e napoletani stanno leggendo le carte della gara, prelevate il 20 dicembre. Al momento sono indagati solo Alfredo Romeo e un manager Consip, Marco Gasparri, per corruzione generica ex articolo 318senza un atto specifico. Gli accertamenti però riguardano tutta la gara. Marroni dovrà assegnare l’appalto a Romeo In altri termini, se le ipotesi della Procura di Napoli fossero riscontrate, Romeo presunto corruttore di un manager Consip potrebbe aggiudicarsi la parte più grande della gara del secolo e ad assegnargli i tre lotti dovrebbe essere l’amministratore delegato Luigi Marroni che ha raccontato ai pm di avere danneggiato l’inchiesta rimuovendo le cimici dagli uffici della Consip in seguito a una serie di dritte in tal senso provenienti anche dal braccio destro di Matteo Renzi, il sottosegretario alla presidenza del consiglio di allora Luca Lotti. Per non parlare poi di Filippo Vannoni, anche lui un renziano(non indagato) e del comandante generale e del comandante della Toscana dei Carabinieri, Del Sette e Saltalamacchia, indagati anche loro per rivelazione di segreto e favoreggiamento. La Consip indice nel marzo 2014 una gara per l’a f f i d amento dei servizi di gestione negli uffici delle amministrazioni pubbliche e nelle università e negli istituti di ricerca di tutta Italia. Le buste vengono aperte nel luglio 2014. Romeo risulta primo in tre lotti: il numero 3 (Lombardia ed Emilia, senza la Romagna) da 208 milioni di euro; il numero13 (Campania e provincia di Potenza) pari a 221 milioni, più i lotti accessori per gli immobili residuali rispetto ai lotti principali in Puglia, Calabria e Sicilia e nella provincia di Matera. In tutto fanno 609 milioni di euro per le pulizie e i servizi integrati degli immobili usati da pubbliche amministrazioni università e enti di ricerca, per due anni, rinnovabili per altri due. Gli altri grandi vincitori sono la coop rossa leader del settore, Manutencoop, con quattro lotti per 532 milioni e la società francese Cofely, appartenente al gruppo Gdf Suez, con altri quattro lotti per 582 milioni di euro. Segue la Guerrato di Rovigo con 323 milioni di euro in due lotti, i tedeschi di Dussman con 206 milioni di euro e poi il Consorzio Leonardo con 117 milioni, il consorzio dell’artigianato bolognese Cipe a con 130 milioni di euro e la Ma.Ca.di Roma sempre con un lotto da 190 milioni di euro. L’ag giudic azione è imminente Gli accertamenti per l’aggiudicazione a Romeo e agli altri vincitori non sono ancora terminati. In Consip giurano che non c’entra nulla la notizia dell’indagine sull’appaltone. Normali verifiche sui requisiti delle società e sugli am ministratori. Certo è che per l’amministratore di Consip Luigi Marroni sarebbe imbarazzante assegnare proprio a Romeo quei tre lotti da 609 milioni. Però per legge dovrebbe farlo. Non basta certo un avviso di garanzia per associazione a delinquere o un’inchiesta per corruzione. Romeo peraltro è stato già arrestato e poi assolto una volta, sempre per un’inchiesta di Napoli. La gara Consip sul facility management incrocia anche un’altra brutta storia, quella della garada 1,6miliardi per le “belle scuole” indetta dal governo Renzi. La graduatoria finale infatti della gara
Fm4 da 2,7 miliardi sarebbe diversa se il Cns (altro consorzio bolognese aderente alla Legacoop, tradizionalmente rossa) non avesse risposto a Consipche non voleva mantenere ferme le sue offerte vincenti. Cns era rimasto scottato proprio nella gara sulle “bella scuole”. A dicembre del 2015 l’Antitrust aveva individuato un accordo tra Cns e Manutencoop per vincere, partecipando con una tecnica “a scacchiera” solo nei lotti in cui non era presente la coop “cugina”. Contro le multe da 110 milioni le coop hanno presentato ricorso. Secondo alcuni osservatori come Antonio Amorosi, autore del libro C oo p Connection edito da Chiarelettere, ci potrebbe essere una relazione tra questa multa e la scelta di non confermare l’offerta per la seconda gara di Fm 4, ancora aperta. “Improvvisamente –scrive Amorosi –Cns si ritira da tutti i lotti vinti e viene sostituita da altri player (...)lo schema sembra proprio identico al bando della «Scuole belle» ad eccezione del ritiro di Cns dopo i solleciti di Consip”.
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Tecno

Figli di Trojan: come, a furia di spiare, si diventa spiati /2
di Umberto Rapetto | 12 gennaio 2017

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[continua da qui]

Viene legittimamente da chiedersi da dove e perché saltino fuori questi dannati malware. E, lo si stenterà a credere, l’humus di questo genere di prodotti è il contesto giudiziario che rappresenta un importante committente e al tempo stesso un alibi per il mercato.

Le Procure della Repubblica se ne servono per le indagini più impegnative (non faccio mistero dei tanti fondati dubbi di legittimità di questo modus operandi – che personalmente non ho mai utilizzato né genericamente “approvato”, ma mi riservo di rinviare il tema ad una delle future tappe di questa chiacchierata). Le software house, da parte loro, li producono dichiarando la speranza di venderli ad articolazioni territoriali della giustizia e non disdegnando di collocarli su un più redditizio mercato parallelo (senza arrivare al crimine organizzato, ci si può accontentare di qualche Paese poco democratico…. Hacking Team docet).
In termini pratici il mercato non manca di opportunità e poi mille artigiani della programmazione informatica sono sempre pronti a confezionare soluzioni sartoriali. Non bastasse, banditelli di qualunque taglia – simili a vecchi druidi – mescolano righe di codice per pozioni dannose da somministrare personalmente o conto terzi al primo computer che capita.

Nelle viscere della Rete insediamenti dell’underground computing (deepweb o darknet direbbero quelli “più giovani”) non esitano – simili all’Ikea – a proporre gratuitamente o a pagamento kit fai-da-te per costruirsi autonomamente un malware o combinare altri guai… Ognuno può personalizzare il proprio malware, provvedendo direttamente o commissionando a qualche esperto il confezionamento di quel che gli serve. Il malware soddisfa le pretese anche dei più esigenti e non di rado fa anche qualcosa di più rispetto quel che è stato richiesto o quella che è stata dichiarata come dinamica di funzionamento.

Il programmatore, infatti, non si accontenta del corrispettivo pattuito e si riserva sempre la possibilità di ottenere una sorta di “mancia”. Cosa fa? Semplice. Combina la procedura in maniera tale da ottenere una copia del materiale che verrà sottratto e il privilegio di servirsi a proprio uso e consumo del varco aperto dal suo committente nel dispositivo aggredito. Lo “smanettone” non si preoccupa certo di distinguere la natura del committente, né lo scopo – più o meno nobile – che anima chi si serve della sua “creatura”.

Nessuno infatti è in grado di sapere cosa facciano effettivamente i “trojan” (espressione gergale appioppata a questo tipologia di programmi spia) adoperati per finalità di indagine dalle Forze dell’Ordine o dalla magistratura. Si corre addirittura il rischio (ma spero di esagerare) che in questo sconfortante stato di cose il programmatore o la software house abbiano automaticamente il monitoraggio (o il controllo) delle investigazioni in corso o comunque si trovino ad accompagnare zitti zitti chi si occupa dei casi più delicati.

Lo spionaggio dello spionaggio, che meraviglia….

I malware in questione vengono comprati a scatola chiusa e non sono accompagnati dal classico foglietto illustrativo dove si riportano le controindicazioni dei medicinali. Non esiste un albo certificato dei fornitori selezionati, come vorrebbe giustamente il procuratore capo di Torino Armando Spataro, e ancor meno esiste un “bollino” a garanzia dell’affidabilità di prodotti e servizi tecnici (che sarebbe bello venissero ideati, sviluppati, realizzati e gestiti direttamente da strutture statali e non da privati).

Chi, quindi, può entrare più o meno prepotentemente nella nostra vita, insinuandosi negli strumenti che ci assicurano il tanto ambito “stay connected”? Esiste un mandante? Qual è la finalità di simili azioni?

Le domande si moltiplicano rapidamente. Facile a prevedersi. Proprio per questo ci si ritrova a brevissimo su queste pagine per proseguire la chiacchierata che prenderà spunto anche da osservazioni, commenti, curiosità e opinioni di chi ci legge.

(continua)




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Tecno

Figli di Trojan, la Cia confessa: ‘Da soli non ce la facevano, ci servivano gli Occhionero’ /3

di Umberto Rapetto | 13 gennaio 2017

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[1° e 2° puntata]

L’ “intrigo internazionale” immaginato dai tanti finti esperti, che si accalcano nei talk-show, farebbe impallidire persino Alfred Hitchcock che quella espressione l’ha impiegata per titolare uno dei suoi capolavori cinematografici. In tanti si sono affrettati a dipingere appassionanti “dietro le quinte”, ipotizzando i due protagonisti della vicenda giudiziaria come ispiratori delle migliori pagine di Tom Clancy o John Le Carrè.

Unico loro connotato corrispondente al normotipo dell’agente segreto l’essere totalmente sconosciuti ai più. Elemento immancabile in ogni avventura epica dai contorni informatici, invece, la disponibilità di un garage: proprio come quello dove Steve Jobs e Steve Wozniak hanno fondato la Apple e quell’altro in cui Hewlett e Packard hanno avviato la loro impresa. Questi due indizi hanno sicuramente avuto un peso significativo per chi – in assenza di informazioni dettagliate dagli inquirenti – ha voluto far credere di saperne una più del diavolo.

A questo punto mi prendo la libertà di dar sfogo – almeno per qualche riga – alla mia irrefrenabile vena goliardica.

In ogni spy-story che si rispetti non manca mai una gigantesca organizzazione di intelligence. Talmente gigantesca che a qualcuno è scappato il riferimento alla Gru, facendo correre il pensiero non al servizio segreto russo “Glavnoe Razvedyvatel’noe Upravlenie”, ma piuttosto a qualcosa di grosso da doversi spostare o sollevare.

In un attimo tutti quelli che non sapevano nulla, ma pensavano di far brutta figura a dichiararlo, hanno giocato il jolly e non hanno esitato a sparare la sigla che tutti si aspettavano: la Cia. Anche qui i soliti cattivi – consci che a blaterare fossero braccia, voci o penne rubate ai campi da arare – hanno subito compreso che i sedicenti guru dello spionaggio stessero facendo una bieca operazione di lobbying a vantaggio dei coltivatori nostrani, magnificando imprevedibili potenzialità della Confederazione Italiana Agricoltori il cui sito http://www.cia.it ha spesso tratto in inganno gli appassionati di thriller.

Qualche altro ha azzardato un cenno alla Nsa ma molti interlocutori distratti hanno detto che la sigla corretta era Nsu e che non andava nemmeno nominata per evitare sfortune e calamità. I più dotti (o magari semplicemente meno giovani) rammentavano che proprio la Nsu produceva l’automobile Prinz che nella colorazione verde portava una sfiga pazzesca e che negli anni Settanta gli studenti “si passavano” l’un l’altro urlando “tutta tua” al pari di quanto avveniva alla vista di una suora.

Riconquistando, a fatica, un barlume di serietà, riesce difficile credere che i Servizi più potenti del mondo possano aver assoldato (non me ne vogliano gli interessati) fratello e sorella o aver deciso di acquistare il risultato delle loro perlustrazioni informative.

Ho provato a chiudere gli occhi e, sollecitato dal ricordo di pellicole come “Nemico Pubblico”, ho cercato di vedere la sala operativa di Langley o quella a Fort Meade con fior di analisti che – stremati e delusi – si lasciano scappare “Non ce la possiamo fare da soli…. Ci vogliono gli Occhionero…”.

Non manco di fantasia, ma non ci sono riuscito. Anche a sforzarmi, proprio non ce la faccio. Perdonatemi, ve ne prego. Fortunatamente gli specialisti dell’intelligence, nonostante il ruolo serio e i toni seriosi che li contraddistinguono, sono persone di grande spirito e non serberanno rancore nei confronti di chi ha fatto abbinamenti irriguardosi.

Chi ha ragionevolmente scartato il coinvolgimento di 007 e relative strutture, rinunciando così ad innamorarsi di incantevoli tesi complottiste, si domanda se l’operato dei nostri angloconnazionali sia da ricondurre ad un incarico ricevuto da chissà quale committente e vorrebbe conoscerne le ragioni. Già, c’è un mandante? E chi potrebbe essere? Esclusi i servizi segreti, qualcuno intravede torbidi scenari massonici. Sullo sfondo appare Corrado Guzzanti che esorta i suoi fratelli al golpe…

continua…


PER VIDEO:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/01 ... 3/3313726/
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CRONACA DALLA POLVERIERA ITALIA



“Il Pd vende armi all’Isis”. E lancia un iPad contro l’esponente Pd Roberto Speranza (illeso)

Cronaca

E' avvenuto a Potenza, durante la presentazione di un libro di "Zerocalcare". Il giovane è stato subito bloccato
di F. Q. | 14 gennaio 2017

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Ha gridato: “Il Pd vende armi all’Isis” e che Roberto Speranza andava “ammazzato”. Poi ha lanciato un iPad contro il deputato del Pd, rimasto illeso. E’ accaduto alla presentazione di un libro di “Zerocalcare”, a Potenza. Il giovane, che si stava lanciando contro il parlamentare, è stato bloccato. Subito dopo Speranza ha ripreso il suo intervento.

“Per ora non commento” ha detto il deputato dem. Poi su Facebook ha pubblicato un post: “La violenza non può fermare le idee e la discussione democratica – ha scritto – ma purtroppo a volte la trovi anche dove non te la aspetti. Durante la presentazione del libro di Zerocalcare l’ho trovata in un ragazzo che mi imputava la foto tra Renzi e Erdogan e gridava che andavo ammazzato perché parlamentare del Pd che vende le armi all’Isis. Parole e gesti senza senso. Ma preoccupanti. La democrazia è comunque più forte. Ma va difesa ogni giorno”. “Piena solidarietà” è stata espressa a Speranza dal Pd lucano.
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Media & Regime

L’Unità abbandonata, di cosa si stupisce Sergio Staino?

di Elisabetta Ambrosi | 13 gennaio 2017

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Antefatto: il disegnatore politico dell’Unità Sergio Staino, uno che in quanto tale dovrebbe avere come unico compito quello di prendere per i fondelli i potenti, in assoluta indipendenza e senza mai mettersi al caldo riparo della loro ala, decide un giorno, non tanto di lasciare finalmente, rendendosi conto che non si può essere davvero liberi in un giornale di partito che prende fondi pubblici, l’Unità (giornale agonizzante da anni, e sempre più ostaggio delle manovre del Pd), ma addirittura si fa nominare direttore dello stesso. Nell’incredibile convinzione di poter fare un giornale “piccolo, brutto e cattivo, ma pieno di grande intelligenza e di cose che non si trovano in altri giornali”.

Passano pochi mesi e la verità, già evidente all’insediamento di Staino, torna presto a galla. L’Unità vende due copie – e come sarebbe possibile altrimenti: se la fiducia dei partiti è a zero chi si compra un giornale di partito? – ergo le entrate mancano, il costo del lavoro è troppo alto e servono licenziamenti. Il Pd se ne sbatte, non intende mettere soldi, Renzi non è più neanche premier e se ne sbatte doppiamente. In questo sfondo di prevedibile cinismo, si staglia la patetica missiva che Staino avrebbe mandato a Renzi per poi renderla pubblica, forse per suscitare compassione e solidarietà (ma visti i commenti dei siti, avrebbe fatto meglio a lasciarla nel cassetto). Il disegnatore si dichiara profondamente deluso da Renzi. I motivi? Staino era convinto che il giornale sarebbe servito a Renzi per “ricucire quella base che nel territorio si sta disperdendo nell’astensionismo o, peggio ancora, nel grillismo” e “per rimettere in circolo l’ondata di rinnovamento del rottamatore”. Per questo era pronto a fare tanti sacrifici, a ridurre le spese, e anche il personale.



Parole simili provocano quasi un senso di pena, mista a rabbia, di fronte all’incredibile naiveté del padre di Bobo. Davvero Staino credeva che un foglio di partito da quattro copie potesse essere la sede della rivoluzione? Ma soprattutto che la rivoluzione si faccia chiedendo il permesso al padrone, qualunque nome esso abbia? Mentre disegnava vignette, capitava qualche volta a Staino di leggere il giornale, specchio incolore del direttore piazzato dalla dirigenza Pd? E poi: non era Renzi l’autore di quel Jobs Act che ora magari consente i licenziamenti tanti criticati? E cosa pretende Staino da Renzi, che metta ulteriori soldi pubblici, in un momento in cui è di certo impopolare salvare un giornale coi soldi dei cittadini, per ottenere solo una dilazione dell’agonia, perché nel frattempo – Staino se n’è accorto? – nel mondo dell’editoria stanno succedendo rivoluzioni radicali che si affrontano solo, e forse, con visioni radicali che non la politica nulla più hanno a che fare (nel mondo dell’Unità succedono cose invece assurde, come la causa fatta dal cartaceo al sito)?

Consiglio a Staino di andarsi a leggere i commenti diffusi tra rete e social. Non uno a sua difesa. Eppure tutti magnificamente intelligenti e ironici. Un vignettista come lui dovrebbe senz’altro guardarli, farsene una ragione, rassegnare le dimissioni. E trovare un altro giornale, possibilmente senza il cappio al collo del politico di turno.


di Elisabetta Ambrosi | 13 gennaio 2017
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Re: Diario della caduta di un regime.

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Si scopron le tombe, si levano i morti le mummie nostrane son tutte risorte!


(Originale Si scopron le tombe, si levano i morti i martiri nostri son tutti risorti!)



Berlusconi non chiude al Pd ed è pronto a ricandidarsi
Il leader di Forza Italia: "Se gli italiani non daranno più del 50% a un solo polo sarà inevitabile accordarsi"
Francesco Cramer - Lun, 16/01/2017 - 08:39

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Roma - Berlusconi non molla, rilancia, spera in una ricandidatura dopo la sentenza di Strasburgo, punta alla vittoria del centrodestra ma non esclude di collaborare con il Pd.

Sulla legge elettorale sposa la linea Mattarella e ammette che aver a che fare con la Lega di Bossi era più facile rispetto a quella di Salvini.
In un'intervista al Corriere della Sera il Cavaliere dà la linea e manda un messaggio agli eurogiudici che dovrebbero riabilitarlo: «Non è in gioco solo il destino di un cittadino europeo ma la democrazia di un grande Paese - dice -. Mi auguro che i giudici di Strasburgo abbiano la sensibilità di tenerne conto nella tempistica della valutazione di una vicenda giudiziaria che attende già da troppo tempo. Ma sono ottimista e credo nella giustizia». Ergo, l'ex premier è pronto alla ricandidatura. Certo, Berlusconi vorrebbe «il voto nel più breve tempo possibile» ma non ha fretta. Anche perché prima c'è da fare la legge elettorale. Sul punto la pensa come il capo dello Stato: «Bisogna andare al voto con un sistema ordinato e razionale. E questo richiede tempi tecnici. Aspettiamo che la Corte costituzionale si esprima: indicherà criteri dei quali dovremo tenere conto».
Se si dovesse trovare la quadra su un sistema proporzionale, ovviamente, il patto di ferro con la Lega potrebbe saltare e Berlusconi non rinuncia a parlare anche dell'alleato. Ammette di auspicare «un accordo con gli alleati storici anche a livello nazionale ma questo non può significare lo stravolgimento del nostro ruolo politico. La Lega fa benissimo a esprimere ragioni e contenuti importanti e rispettabili ma noi siamo liberali, cattolici, riformatori». Non solo: «Non nego che con la Lega di Bossi questo fosse più facile perché allora nella Lega prevalevano liberismo e federalismo. Credo nell'unità del centrodestra ma l'unità è un valore se si basa su un progetto comune, non su un semplice tecnicismo elettorale».
Ed ecco in arrivo l'obiezione di voler l'inciucio con il Pd. Il Cavaliere spiega meglio i propri piani: «Quando chiedo il proporzionale non lo chiedo affatto per fare le larghe intese. Voglio vincere le prossime elezioni con il centrodestra. Dico però che l'Italia è troppo fragile per permettersi governi espressione di una minoranza di elettori. E se gli italiani non daranno più del 50% a un solo polo, sarà inevitabile accordarsi. Ma la consideriamo una soluzione residuale». Anche perché, ad oggi, incombe sempre l'incubo Grillo. «Se vincesse lui sarebbe una iattura per il Paese - ammette l'ex premier -. Ma non accadrà. Gli italiani hanno sempre dimostrato grande buon senso».
Naturalmente l'intervista, specie nella parte in cui non esclude una possibile collaborazione con il Pd, allarga il fossato già ampio con Salvini che si limita a commentare gelido: «Renzi e Berlusconi non escludono accordi e intanto votano il salva-banche. Voto subito». Stessa linea di Giorgia Meloni: «Speriamo che Berlusconi smetta di rincorrere Renzi e scenda in piazza con noi il 28 gennaio per dire che siamo alternativi al Pd». Nel dibattito interviene anche Angelino Alfano che ammette: «Renzi si muove in una logica chiara in riferimento all'alleanza con Forza Italia. Evitarla se possibile, farla se necessario». E ancora: «È evidente che Berlusconi si prepara a governare con il Pd nella prossima legislatura. Il che dimostra che io non sono stato un traditore ma semplicemente ho capito prima».
paolo11
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da paolo11 »

Il governo ammette, in seguito ad un'esplicita richiesta del M5S in Commissione Attività Produttive alla Camera, che la strategia energetica nazionale la stanno scrivendo i privati. Per la precisione la Boston Consulting, una mega multinazionale che offre consulenze in tutto il mondo.

Uno scandalo? Certo. Una novità? Purtroppo no. Anzi, i governi italiani sembrano avere il vizietto di "esternalizzare" persino un aspetto così delicato e strategico della vita del Paese. Nel 2012, infatti, alcuni smanettoni in rete avevano scoperto che il documento del Quinto Conto Energia proposto dall'allora Ministro Passera recava come autore -nel formato word- un analista dell'Enel, e nelle prime bozze addirittura Enel spa. L'azienda, naturalmente, smentì e annunciò indagini interne, ma ammise di aver ricevuto la "bozza" prima che fosse definitiva.

La Boston Consulting, oggi, sta lavorando per conto di Terna e Snam Rete e gas, società per azioni sotto controllo pubblico che guadagnano sul maggiore flusso energetico. Ma non si deve commettere l'errore di considerare Terna come azienda pubblica, perché - come ha replicato Davide Crippa al governo - è al 30% di proprietà di Cdp Reti che è stata svenduta per il 30% a un gruppo pubblico cinese. "L'Italia non detiene più del 50% delle quote azionarie di Terna che invece si comporta secondo le regole del mercato: guadagna dai maggiori flussi energetici. Guai a parlare di risparmio energetico!

Proprio in questi giorni, invece, sulla piattaforma Rousseau si è svolta una votazione tra gli iscritti M5S, i quali hanno stabilito a stragrande maggioranza come Terna debba ritornare in mani pubbliche. I cittadini quindi lo capiscono: non si possono affidare reti strategiche ai privati e per giunta stranieri, e altrettanto inopportuno è affidare la strategia energetica nazionale del paese a una società privata (straniera anch'essa). I cittadini capiscono e i governi -di qualsiasi colore- no. Si tratta di incompetenza, oppure è la solita sudditanza?
http://www.beppegrillo.it/2017/01/il_go ... onali.html
Ciao
Paolo11
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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Tecno

Figli di Trojan, non solo gli Occhionero: sul web un intero esercito di mancati detective / 4
di Umberto Rapetto | 14 gennaio 2017

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Quello “in grembiule” è un mondo che conosco davvero poco (mia nonna Bigina ne aveva uno, ma lo adoperava per cucinare) ma so che gli intrecci del nostro pianeta si annodano molto spesso con personaggi appartenenti a logge o aggregazioni misteriose. Probabilmente chi frequenta certi ambienti si alimenta (come i vampiri con il sangue) di dati e notizie che garantiscano la supremazia dell’informazione.

Sapere, sapere prima, sapere qualcosa in più, sapere qualcosa d’altro: questa è la forza di chi vuole rompere gli equilibri o crearne di nuovi, approfittando di un patrimonio conoscitivo che assicuri una posizione di vantaggio.



Considerato, però, che certe associazioni possono contare tra i “fratelli” tanti personaggi di spicco nelle istituzioni e nelle Forze Armate e di Polizia, sembra bizzarro che non si avvalgano proprio dei loro affiliati che – tra l’altro – sono debitori della loro carriera alla cerchia cui hanno aderito e che in qualche modo dovranno pur sdebitarsi con contributi di adeguato calibro.
E allora perché rivolgersi ai pur “volenterosi” signori Occhionero?

L’ombra della massoneria – così dicono e scrivono i “ben informati” – aleggia sulla scena.

L’ingegner Occhionero a quanto pare è affiliato alla Loggia 773 “Paolo Ungari – Nicola Ricciotti Pensiero e Azione”, da non confondersi (ho cominciato a documentarmi!) con la quasi omonima Loggia numero 1498 “Pensiero e Azione” il cui maestro venerabile comunicava via Facebook e i cui elenchi e documenti sono stati trovati il 5 marzo scorso in un cassonetto dei rifiuti davanti agli uffici del dipartimento regionale all’Energia di viale Campania a Palermo.


Il Grande Oriente d’Italia – casa madre della massoneria italiana e, come si legge sul relativo sito, “iniziatico i cui membri operano per l’elevazione morale e spirituale dell’uomo e dell’umana famiglia” ha formalmente “sospeso” l’Occhionero riconoscendo l’appartenenza del soggetto al sodalizio.

Probabilmente accumulare dossier riservati era propedeutico all’acquisizione di ruoli sempre di maggior caratura nell’ambito dell’organizzazione cui l’ingegnere aveva aderito: l’informazione come freccia nella propria faretra, come merce di scambio, come strumento di potere.

Molto più facilmente la collezione dei dati poteva avere una destinazione commerciale. Mi spiego meglio.

Chi intraprende queste avventure (anche e soprattutto chi lo fa senza farsi accalappiare) opera a scopo di lucro: agisce su specifica istanza di qualche cliente, confida in una futura committenza da soddisfare con immediatezza, non esclude nemmeno dinamiche estorsive in danno di chi ha qualcosa da nascondere. Questa vasta gamma di possibile impiego di dati tesaurizzati ci porta per mano dinanzi al baratro in cui è sprofondata la nostra privacy.

Non ci troviamo dinanzi a due presunti “fenomeni” (Giulio e Francesca Maria), ma al solo effettivo e preoccupante fenomeno della “data collection” che conta migliaia di persone tra i suoi appassionati. La speranza di “rivendere” quel che si è scovato in maniera più o meno lecita trasforma le ricerche in attività compulsive. E se qualcosa non lo si trova in Rete (la cosiddetta “Open Source Intelligence” è disciplina di grande efficacia), l’aspirante “dominus” della conoscenza globale non esita a contattare chi ha a disposizione un terminale collegato a una banca dati giudiziaria o investigativa. La catena di favori e cortesie (prezzolate e non) e di piccole manovre sottobanco qualifica il livello della partita in corso, in cui farebbero capolino anche operatori di polizia pronti a sgraffignare qualche informazione nei database dell’ufficio (incuranti del fatto che ogni loro azione è rigorosamente tracciata).

I fratelli Occhionero sono la prima pattuglia che viene catturata, ma in campo c’è un intero esercito di mancati detective che somigliano ai tanti che vanno a giocare alla guerra nei boschi con il “softair” magari dopo essere stati “obiettori di coscienza” in età di leva. Internet è la giungla in cui vietcong digitali vanno autonomamente a caccia di nemici, sentendosi bravi e importanti per esser riusciti ad utilizzare trappole e ordigni virtuali e aver accumulato prede.

I mercenari della guerra alla riservatezza personale prima o poi riusciranno a vendere il loro scalpo a chi ne farà richiesta. Basta aspettare.

Le “radiografie” dei singoli individui pescati anche a strascico non ingialliscono mai.
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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Giustizia & Impunità

Figli di Trojan, i sistemi hackerati dagli Occhionero erano protetti? /5

di Umberto Rapetto | 16 gennaio 2017

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Umberto Rapetto

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Computer, tablet e smartphone sono una sorta di cornucopia di informazioni. Il loro saccheggio è certo attività deprecabile, il loro utilizzo improprio addirittura peccato mortale. Etica a parte, c’è poi da fare i conti con il codice penale.

Ma se i primi colpevoli fossero i vip che si sono fatti scippare il contenuto delle loro “memorie” e delle caselle di posta elettronica?



La boutade – che potrebbe non esser tale – prende spunto dalla lettura del codice penale e degli articoli che in questo sono stati inseriti dall’entrata in vigore “illo tempore” della legge 547 del 1993 che ha introdotto nel nostro ordinamento i crimini informatici.

Le disposizioni che hanno contemplato la sanzionabilità di comportamenti illeciti mandate a segno in danno di sistemi informatici hanno – analogamente a tanti brani di musica leggera – un ritornello ricorrente.







Il refrain è quel “protetto da misure di sicurezza”, che troviamo – sempre compreso tra due virgole – nelle diverse fattispecie di reato come elemento indispensabile perché siano soddisfatti i requisiti delle singole condotte delittuose.

In termini pratici il reato si configura solo ed esclusivamente se il computer destinatario delle attività criminose (ad esempio di “accesso abusivo” di cui all’articolo 615 ter del codice penale o di “danneggiamento” previsto e punito dal successivo 635 bis) è opportunamente difeso da idonee precauzioni tecniche.





Proviamo ad accostare l’accesso abusivo a un sistema informatico alla ben più materiale violazione di domicilio. Quest’ultima si realizza se chi entra rompe lucchetti, scassina serrature, scavalca recinzioni, divelle porte blindate, fa violenza sulle persone che si oppongono all’ingresso, quindi superando o infrangendo le “misure di sicurezza” poste a difesa dell’immobile.

Non commette reati chi va a sdraiarsi sul prato – pur proprietà privata – antistante l’altrui abitazione di cui è pertinenza: il padrone di casa avrà diritto di cacciarlo, di lamentare il superamento del perimetro segnato dalle margheritine piantate sul bordo del terreno, di chiedere il risarcimento di un eventuale danno all’aiuola, ma nulla di più.

I dispositivi elettronici su cui hanno scorrazzato i due sedicenti hacker somigliano più alla costruzione corazzata della prima situazione o piuttosto allo spazio semiaperto del secondo caso?

La questione delle misure di sicurezza è incredibilmente importante. Se ci sono, chi le viola si macchia di reato. Se non ci sono, gli indesiderati visitatori non devono rispondere di accesso indebito.

Ma la storia non finisce certo qui. Le misure di sicurezza, infatti, sono considerate obbligatorie dalla disciplina vigente in materia di privacy. La normativa in argomento si preoccupa del fatto che enti e aziende raccolgano o utilizzino informazioni personali sui propri computer effettuando tali operazioni su dati riferiti ad altre persone (si pensi a quelli dei dipendenti per una azienda o dei cittadini per un ente pubblico). Un eventuale attacco a un archivio elettronico non danneggia tanto chi lo detiene e lo gestisce, ma piuttosto tutti i soggetti cui i dati sottratti, copiati o alterati si riferiscono.

Per questo motivo gli articoli 33 e 34 del decreto legislativo 196 del 2003 e l’allegato B al medesimo provvedimento stabiliscono misure minime e precauzioni specifiche per chi si avvale di strumenti tecnologici di elaborazione dati (categoria in cui rientrano dai più piccoli ai più sofisticati arnesi digitali di uso comune per lavorare alla scrivania o comunicare in mobilità). Il primo comma dell’articolo 169 del medesimo d.lgs. 196/03 prevede la pena dell’arresto fino a due anni per chi, essendovi tenuto, omette l’adozione di tali misure.

Conoscono bene la sottile linea di demarcazione tra codice penale e quello della privacy tutte quelle imprese che, subita una aggressione informatica, hanno capito le controindicazioni al presentare regolare denuncia. Considerato che oltre al danno di immagine per la beffa subita, infatti, c’è il rischio di passare dalla posizione di vittima a quella ben più scomoda di reo, parecchie aziende preferiscono tacere sull’accaduto e sperare che i dati sgraffignati non comincino a circolare…

Tenuto conto che il virus “Eye Pyramid” utilizzato per combinare questo ambaradan risale al 2008 e quindi erano disponibili da tempo sistemi idonei a prevenire o neutralizzare azioni o situazioni dannose o comunque pericolose generate dal suo entrare in azione, gli apparati presumibilmente azzannati in modo virtuale dagli Occhionero erano protetti da misure di sicurezza?

Viste le considerazioni precedenti, sarebbe interessante appurarlo.

Tranquillizziamo subito chi è pronto a commenti feroci pensando che si stiano cercando giustificazioni o alibi ai due personaggi.

La loro posizione giudiziaria è ancorata anche ad altri capi di imputazione come l’intercettazione di comunicazioni telematiche (articolo 617 quater comma 1 e 4 n°1 del codice penale), il procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato (art. 256 comma 1 e 3 c.p.), la diffusione di programmi informatici atti ad alterare il funzionamento di un sistema informatico (art. 615 quinquies c.p.).

Strada in salita per chi deve difenderli, ma percorso che offre mille spunti di riflessione per chi vuole capire meglio cosa è davvero successo.

Un pochino di pazienza. Il sequel continua.
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