Diario della caduta di un regime.

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Tommaso Cerno

Editoriale


Prontuario post-democratico per il Paese dove è vietato votare

Siamo l’unico Stato occidentale senza una legge che consenta le urne. E la Consulta ha il dovere di indicarci una via d’uscita: ma è normale?


l’Espresso, dopo il flop elettorale di Matteo Renzi al referendum e la straripante vittoria dei No (non dico del No, perché le sfaccettature erano molte), titolò facendo il verso alla storica frase attribuita a Ernesto Che Guevara: “Hasta elezioni siempre!” Significa, letteralmente: “Sempre fino alle elezioni!”. In quel frangente, qualche cerchiobottista e qualche spaventato esponente del Pd ridotto com’è ridotto, ci criticò dicendo che non avevamo a cuore la democrazia rappresentativa, quella dei Padri, per intenderci, perché adesso c’era da fare un governo tecnico-politico, c’era da pensare un nome, c’era da riflettere sul senso di responsabilità e sulle scadenze, sul G7 di Taormina e via elencando. Insomma, c’era da prendere tempo.

Tutto giusto e tutto vero. Salvo per un dettaglio che, soprattutto dopo avere pontificato per mesi sulla Costituzione e il suo valore simbolico prima ancora che materiale, dopo avere tirato in ballo i partigiani e la memoria delle dittature, pesa come un macigno sull’Italia furbetta che cerca una strada per recuperare elettorato e credibilità politica. E non è nemmeno questione di vitalizio, come vanno molti ripetendo per strappare un applauso qua e là. Certo c’è del vero nell’onorevole ingordigia di prebende, basta guardare lo storico delle legislature. Ma, in questo caso, per un liberale, c’è in gioco qualcosa di più profondo, su cui vale la pena fare una riflessione.

Detta in poche parole: è vero che in Italia, paese democratico (dove cioè governa il popolo attraverso una delega) la Costituzione non prevede che si vada al voto dopo un No al referendum, essendoci una maggioranza parlamentare che sostiene un governo. Ma è altrettanto vero che mai i padri costituenti si sarebbero immaginati un Paese dove, all’improvviso, è vietato votare. Non vi è cioè una legge elettorale in vigore.

Ora mi domando se questo sia normale. Pur senza arrivare al modello americano, alle prese con il passaggio Obama-Trump, che ha fissato in Costituzione tanto la legge elettorale quanto la data delle elezioni (si sa già oggi con certezza in che giorno si voterà fra quattro, otto, dodici, sedici anni), il caos italiano ci porta a essere privati a tempo, ma nella sostanza, di un diritto delle democrazie. Eppure il diritto - per essere tale - deve essere “di tutti” e “sempre”. Altrimenti si classifica come privilegio. Deve cioè vivere sia quando serve esercitarlo, sia quando non è necessario. Qualcuno dirà: di leggi non ne abbiamo una, ma tre. Inutili, però. C’è l’Italicum giudicato dalla Consulta che - in ogni caso - si sarebbe potuto applicare a una sola Camera, vista la sicumera di chi lo presentò e approvò, all’epoca convinti che l’abolizione del Senato (poi bocciata dagli italiani) fosse scritta nelle stelle. Ne abbiamo un’altra, abrogata da quest’ultima, l’ex Porcellum poi Consultellum, che non potrebbe essere usata in caso di emergenza come estintore democratico. Ne abbiamo poi una terza, sepolta nella Seconda repubblica, il Mattarellum, che per curiosa coincidenza porta oggi il nome del Capo dello Stato garante della Carta. Ma nemmeno essa esiste nella realtà. Per questo, la settimana che si apre è fondamentale. Dobbiamo mettere fine a questa anomalia, ben più grave del rapporto deficit-Pil sforato, ben più perniciosa per il nucleo caldo della convivenza democratica di quanto possa essere la modifica (più o meno riuscita) del Senato della Repubblica.

Sappiamo che Non basterà la sentenza. Non basterà in se stessa e non basterà al parlamento avido di mettere le mani sulla materia elettorale, in quanto meccanismo diabolico capace di perpetuare o meno le poltrone di Montecitorio e di Palazzo Madama. Ma l’importante è che l’Italia comprenda che le regole del voto sono una priorità democratica. E si smetta di ripetere che abbiamo altre urgenze. È ovvio che lottare contro la disoccupazione e la criminalità, rispondere all’emergenza immigrazione, prevenire i disastri naturali con politiche urbanistiche è il compito concreto di uno Stato moderno. Ma solo dentro una democrazia compiuta, sana e matura, libera da legacci, questo Stato può trovare la forza (e la credibilità) di presentarsi al popolo per fare delle proposte. Uno Stato che al contrario considera il diritto di voto una questione secondaria non può farlo. Per sua stessa natura insalubre. Perché riduce la delega popolare a pura formalità.

Twitter @Tommasocerno
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Se scrivi dell’inchiesta
l’Eni ti leva la pubblicità

Dopo l’articolo sui beneficiari finali del miliardo pagato al governo
nigeriano, il gruppo cancella 20 mila euro di inserzioni sul “Fatto”



|IL FATTO QUOTIDIANO |Martedì 24 Gennaio 2017
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Re: Diario della caduta di un regime.

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Bella democrazia, se il popolo italiano non conta più niente

Scritto il 24/1/17 • nella Categoria: idee Condividi




Quanto conta il popolo nella nostra democrazia?

Molto sul piano teorico (“La sovranità appartiene al popolo”, non si poteva dir meglio); sul piano pratico, invece, nella politica e nei giochi di Palazzo, nulla, il popolo non conta nulla.

Questa orribile dicotomia mostra – più di ogni cosa – la crisi in cui viviamo.



Il popolo non conta nulla.



1. Perché diritti, bisogni, proteste – e i movimenti che li rappresentano – sono tacciati di populismo e ghettizzati nell’irrilevanza: nell’universo politico delle oligarchie che affossano il paese non c’è posto per il demos.

2. Perché dopo la vittoria del 4 dicembre – per dirla in breve – resta al governo chi ha perso e ha provato 3. Perché, nonostante milioni di cittadini vogliano pronunciarsi sul Jobs Act, otto membri politicizzati della Consulta glielo impediscono: qualcuno può giurare, per dire, che Amato – l’amico di Craxi – non abbia espresso un voto politico dietro lo schermo (ipocrita) del neutralismo giuridico?
(maldestramente) a riformare la Costituzione.

3. Perché, nonostante milioni di cittadini vogliano pronunciarsi sul Jobs Act, otto membri politicizzati della Consulta glielo impediscono: qualcuno può giurare, per dire, che Amato – l’amico di Craxi – non abbia espresso un voto politico dietro lo schermo (ipocrita) del neutralismo giuridico?



A questo siamo.

La Repubblica fondata sul lavoro non consente ai cittadini di pronunciarsi sulla legge che nega i diritti del lavoro.



Perché? Perché la Consulta fa politica con le sentenze.



Bisogna dirlo, gridarlo dai tetti.

Una seconda sconfitta – questa volta sull’articolo 18 – avrebbe demolito definitivamente ogni pretesa di Renzi alla guida del paese.

Il referendum andava fermato o depotenziato: chi doveva capire ha capito e votato – nell’organismo “impolitico” – secondo i desideri della politica: della maggioranza governativa, s’intende.

E i cittadini? I cahier de doléances?


Proteste, referendum vinti, mobilitazioni, referendum richiesti (con milioni di voti) non contano nulla.


Il popolo – teoricamente sovrano – è ignorato.



E impoverito: la disoccupazione cresce (vedi dati Istat), «l’occupazione crolla sotto i 50 anni e salgono i voucher».


Camusso ha ragione: «Non c’è libertà nel lavoro senza diritti».




Di più: non c’è democrazia reale senza attenzione ai bisogni primari dei cittadini: le persone non sono numeri.




È una sentenza ingiusta, quella della Consulta, arrivata mentre il popolo è offeso anche su altri versanti: le banche, a cominciare da Montepaschi, sono state spolpate da imprenditori rapaci (che hanno abusato di Orazio: «Fai quattrini, onestamente, se puoi, e se no, come ti capita»).


C’è da stupirsi se qualcuno s’incazza?



Mi meraviglio piuttosto della capacità di sopportazione degli italiani.




Decisivi i 5 Stelle: altro che Movimento anti sistema!


Contengono la protesta nei binari della legalità.


La sinistra renziana, ormai, è aliena rispetto al mondo operaio: può dirsi di sinistra un partito che salva Montepaschi ma non riesce a tutelare i diritti dei lavoratori né dalle truffe bancarie né dagli illegittimi licenziamenti del Capitale?


È il nodo politico dei nostri giorni: la sinistra di governo – com’è stata ridotta – non rappresenta più l’universo del lavoro. Il M5S è percepito come il nuovo (diritti, partecipazione, democrazia diretta) ma deve evitare errori grossolani in politica estera: le giravolte dal gruppo anti all’iper europeista.


Non presti il fianco a chi parla di “Setta dell’Altrove”. Non è così.



Il Movimento è affidabile e combatte in Italia battaglie di civiltà, ma lo scivolone di Bruxelles c’è stato.


Bisogna riconoscerlo e ripartire: con la consapevolezza che le vere “sette” nel nostro paese hanno spolpato Montepaschi (vogliamo la lista dei grandi debitori); influenzato la Consulta sul Jobs act; costruito governi anomali; demonizzato il popolo: il M5S ha il consenso necessario per spazzare via tutto questo.



Non disperda le sue energie con scivoloni assurdi e cerchi alleanze nella società civile: ha bisogno di una classe dirigente preparata.


Basta con la richiesta di denaro ai transfughi (ci sono sempre stati in tutti i partiti), il Movimento si pensi, adesso, come forza di governo.


Nulla fa più paura, alla varie massonerie che ammorbano il paese, della normalità politica conquistata/conquistabile dai pentastallati.


“La moderazione – a un certo punto – diventa la tattica preferibile”.

(Angelo Cannatà, “Democrazia, se il popolo non conta più nulla”, da “Micromega” del 16 gennaio 2017).
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Piovono Rane

di Alessandro Gilioli




25 gen

O democrazia radicale o finisce male


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C'è stato come un moto diffuso di spaventato stupore, l'altro giorno, nell'apprendere che otto italiani su dieci pensano che il Paese abbia bisogno di un uomo forte. Solo 13 anni fa, a pensarlo era meno della metà degli elettori.

In realtà c'è poco da stupirsi. Tutto il trend mondiale va in quello stesso senso: Trump, Putin, Erdogan, Orbán, Kaczyński. E la Le Pen in testa nei sondaggi francesi. Perfino, in qualche modo, Narendra Modi in India, per non dire di Rodrigo Duterte ancora più a est.

Le ragioni per cui questo avviene sono ormai abbastanza note. Semplificando: la globalizzazione e l'invadenza dei mercati hanno creato un mondo nel quale i cittadini-elettori non hanno più la percezione che i loro leader democraticamente eletti possano decidere e incidere davvero.

Troppe dinamiche esterne li limitano, li circoscrivono, li rendono esecutori di decisioni prese altrove (ad esempio, imposte dai trattati internazionali) o pretese come "inevitabili" dai meccanismi economico-finanziari (ad esempio, la necessità di attrarre investimenti, di onorare debiti pregressi, di non far fuggire capitali etc).

I cittadini vedono che i loro rappresentanti hanno le mani legate dietro la schiena. Allora cercano qualcuno con le braccia abbastanza muscolose per liberarsi da quei legacci. Qualcuno che promette di essere più forte. Più forte dei mercati, della finanza, della Borsa, degli investitori, dei debiti, perfino della demografia.

Il risultato è qualcosa di simile a quanto avvenuto 90 anni fa - l'avvento dei fascismi a seguito di una crisi del sistema liberale - anche se con molte differenze. La principale delle quali è che negli anni Trenta i fascismi avevano una pulsione offensiva verso gli altri Stati, mentre a questo giro gli "uomini forti" hanno soprattutto una funzione difensiva del proprio Stato: di qui i muri, i confini, i neoidentitarismi.

Resta la questione principale: se si vuole l'uomo forte è perché si ha la sensazione - tutt'altro che infondata - che le democrazie non decidano più. Che possiamo eleggere chicchessia - anche il meglio fico del bigoncio - ma poi quello non potrà fare quasi nulla. A meno che non sia abbastanza muscolare e assertivo da vincere a braccio di ferro con tutto il resto: mercati, investitori, demografia eccetera eccetera.

Quindi non c'è da stupirsi né da strillare: c'è semmai da capire e magari da trovare un'altra via. Perché non è che improvvisamente sono diventati tutti fascisti gli americani, i francesi, gli europei in genere. Semplicemente si sono rotti le scatole di eleggere qualcuno senza che poi questo decida. A me sembra molto umano e molto prevedibile.

Aggiungo un paio di aneddoti, niente di che, giusto per capirci.

A un incontro pubblico di un annetto fa, ho ascoltato un lungo discorso dell'ex ministro Giulio Tremonti in cui criticava quasi tutte le decisioni prese nel mondo negli ultimi anni. A fine convegno, mi sono permesso di chiedergli con cortese polemica dov'era lui, mentre tutto quello di cui parlava male accadeva: cioè al governo. Lui mi ha sorriso e garbatamente mi ha risposto: «Ma cosa crede che conti oggi un ministro dell'economia? Cosa crede che possa decidere? Cosa crede che possa fare?».

Un paio di settimane fa invece ero a un altro evento, con l'ex ministro greco Yanis Varoufakis, che - a una domanda su Renzi - ha candidamente risposto che, alla fin fine, un premier italiano oggi può decidere meno di un sindaco di Las Vegas. Varoufakis ha detto "italiano", ma poteva dire allo stesso modo francese, spagnolo, greco.

A proposito: la vicenda della Grecia è stata tra le più emblematiche del rapporto tra un governo eletto e i poteri esterni. Come noto, in quel caso, il primo si è dovuto piegare completamente ai secondi. Per il semplice fatto che erano più forti. E nonostante il primo avesse appena avuto l'appoggio della maggioranza degli elettori con un referendum. È quasi un miracolo che ora ad Atene non sia in testa un leader nazista.

Detto tutto questo, come si diceva, c'è da chiedersi se il percorso verso gli uomini forti sia ineluttabile o se ci sia modo di costruire un'alternativa a questa strada.

Non per pregiudizio ideologico, ma perché sappiamo per esperienza come va a finire, con l'uomo solo al comando: specie noi italiani, che il fascismo lo abbiamo inventato. E non va a finire bene, mai.

C'è da chiedersi quindi se ci sia modo di costruire un'alternativa che proceda alla rovescia, rispetto a quel modello intuitivo, facile, immediato, istintuale, insomma trumpiano. Un'alternativa fatta di democrazia radicale, capillare, partecipata - e sovrana. Un modello verso cui tendere in cui le persone sono non escluse dalle decisioni (la ragione per cui poi chiedono l'uomo forte) ma al contrario coinvolte e ascoltate. In cui contano, insomma. Dal locale al globale. Dalla circoscrizione all'Europa - e oltre. E non solo il giorno in cui mettiamo la croce sulla scheda. Anche in quel giorno (è importante, certo) ma non solo.

O socialismo o barbarie, diceva Rosa Luxemburg un secolo fa. O democrazia radicale o qui finisce male un'altra volta, viene da dire oggi, con meno retorica ma con più esperienza.
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LA VOX POPULI ALL'ARTICOLO DI GIGLIOLI



25 gennaio 2017
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13 commenti 8

Giova2 25 gennaio 2017 alle 14:26
Sarebbe facile obiettare , caro Alessandro, che questi sondaggi fanno ridere. Appena un mese fa il 60% degli Italiani ha respinto una revisione di alcune parti della nostra Costituzione proprio perché essa tendeva a rafforzare il Governo. Uun mese fa si parlava di un uomo solo al comando da abbattere.
Comunque, pur accettando per buono il sondaggio , osservo che ci sono Paesi in cui il buon governo tiene il passo . Tutti i paesi del Nord Europa , la Germania. I cittadini vogliono essere governati e bene. Non vogliono i parolai. La Merkel ha già tre Cancellariati alle spalle. Poco populismo, serietà , efficienza. In quei Paesi le chiacchiere stanno a zero. Nessuno pensa di modificare l'assetto delle loro democrazie. In Svezia non si assiste alla riduzione dei posti di lavoro o alla contrazione del welfare state. Come mai? Hanno fatto per tempo quello che noi italiani non vogliamo fare. Le riforme.
Adesso due palle con l'uomo forte. Chiacchiere e distintivo!! Siamo buoni solo a fare chiacchiere noi italiani.




Ivo Serenthà 25 gennaio 2017 alle 14:35
Non mi pronuncio sugli altri paesi,ma se il sondaggio è reale in Italia,otto su dieci è pazzesco a mio giudizio,come se non fossero bastati il duce del ventennio,e su altri contesti,Craxi,il caimano e dulcis in fundo il rignanese.nel mandare a ramengo l'Italia,sperare su qualche altro fenomeno a me pare diabolico.

Se queste saranno le soluzioni,prepariamoci a scoprire altre profondità,il detto che non c'è mai limite mi pare azzeccato.




V. Califano 25 gennaio 2017 alle 14:36
Esatto é proprio cosí come dice lei! Ha colto nel segno lo spirito del tempo! E purtroppo ció non hanno ancora fatto i partiti, i dirigenti e molti cittadini in italia (e nel mondo). Noi abbiamo il m5s che in qualche modo incarna qualcosa tipo democrazia radicale di cui lei parla e questo é un bene, ma non é sufficiente. Bisogna che in Italia e spero in Europa si sviluppi anche una "sinistra radicale" e che offra progetti e soluzioni di cambiamento vere, radicali. Per esempio una visione "contro-globalizzazione" del capitale e del neoliberismo che sta massacrando il 90 % delle persone e delle risorse (vedi ricerca Oxfam), se creare una Europa politica e sociale e smontare questa costruzioen eurocratica e bancaria.




Marco 2centesimi 25 gennaio 2017 alle 14:37
E daje:
Trump, Putin, Erdogan, Orbán, Kaczyński. E la Le Pen
e Grillo

;)




carlo 25 gennaio 2017 alle 14:42
Caro Alessandro,
sono seriamente preoccupato di quello che tu descrivi come rischio ma che io vedo come triste e sicuro futuro. Mi sono trasferito da un paio d'anni in Regno Unito per sfuggire all'ondata populista italiana ma non sono stato fortunato.
Ho paura, tanta, per me, al momento senza nessun problema ma la situazione potrebbe peggiorare con Brexit, e per la mia compagna, extraeuropea.
La vittoria dei razzisti in Olanda e' data quasi sicura, ci saranno a breve elezioni in Germania e Francia; in Italia tra il m5S e la lega non ce la passiamo meglio e l'est europa e' ancora peggio, come puoi sperare in un cambiamento repentino? Il problema non sono gli eletti ma gli elettori, non si cambiano le idee del popolo in pochi mesi.
Purtroppo ho perso ogni speranza in una possibile rinascita civile. Al momento mi sto chiedendo quale sara' la prossima destinazione per il biglietto di sola andata, tu potresti consigliarmi una meta? Una sorta di Canada con un clima mite?




Cristina 25 gennaio 2017 alle 14:44
Piccola noterella. Secondo me il Donald si è venduto agli elettori come uomo forte ma in realtà è debolissimo, perfetto burattino messo lì dal grande capitale.

E secondo, quando dici che Tsipras ha dovuto abbozzare (prossimamente su questi schermi il remake con Gentiloni e Padoan) ti va di chiederti perché un singolo Stato-Nazione è più debole dei poteri esterni? Perché mancavano, come dice una mia amica siciliana, i piccioli




Gino Lazzaroni 25 gennaio 2017 alle 14:45
Perche', chi vorrebbe essere governato da un/una debole? Io no. Poi bisogna vedere forte che vuol dire; per me, per esempio, Madre Teresa era una donna forte, Churchill era un uomo forte, Cavour e Mazzini erano due uomini diversi ma egualmente forti. Se penso ad un premier forte non penso certo a Benito o a..... Salvini. E poi ci vuole uno che sia forte dalla fine della campagna elettorale in poi, esattamente il contrario di quello che faceva il Berlusca, per il quale l'obiettivo era vincere la campagna elettorale e poi passare cinque anni a fare pubblicita' progresso.




Giovanni Paolo Delle Cave 25 gennaio 2017 alle 14:55
Siamo d'accordo sull'analisi, ma l'esito lo conosciamo, è lo stesso anche per l'uomo forte, così come lo è stato per il radicale Tsipras.
Anche Berlusconi era un'uomo forte con il sostegno di ampio consenso popolare e sappiamo com'è finita.
Bisogna aspettare solo il completo fallimento di questo progetto europeo e mondiale.




Satan 25 gennaio 2017 alle 14:57
Solo esecutori di ordini.

Un po' come i sottoposti del Führer (che però furono appesi e fucilati lo stesso).

Qualcuno avverta gli impotenti che se non possono far nulla ... allora possono sicuramente tagliarsi lo stipendio.




stefano 25 gennaio 2017 alle 14:58
Ottimo post, davvero. Però la domanda è cosa siamo disposti a perdere, per tornare a contare qualcosa.
Ci indignamo tutti per i poveri fattorini di foodora, e poi i regali di Natale li abbiamo fatti tutti su Amazon. Perchè è comodo e costa poco. Piangiamo tutto il giorno che la grande distribuzione è cattiva e dobbiamo tornare al contadino e al km 0, poi andiamo al Carrefour e compriamo l'insalata pronta perchè sprecare cinque minuti per lavare e tagliare è inconcepibile.
La globalizzazione non s'è diffusa, lati negativi compresi, per la volontà di una qualche Spectre occulta come vorrebbero farci credere molti complottisti: ma perchè trovare le tshirt a dieci euro prodotte in Cina fa comodo soprattutto all'acquirente.
Se invece di cercare sempre il deus ex machina imparassimo a usare il cervello, non ci sarebbe bisogno di nessun uomo forte, e l'establishment se ne starebbe a cuccia.

Per la cronaca, all'ultimo trasloco ho ritrovato una vecchissima copia di No Logo, di Naomi Klein. E' un libro di diciassette anni fa, ma già allora parlava di globalizzazione dell'economia senza diritti. E le 'soluzioni' proposte erano sempre pilotate dalla gente, se ti sta sulle palle Amazon boicotti Amazon, non continui a comprarci berciando che il politico di turno deve metterle un freno.
Poi mi si può obiettare che, insomma, le elezioni politiche servono a quella cosa lì, e ben più di un boicottaggio, però siamo sempre lì, la gente vota quel che vuol sentirsi dire.
Il caso greco è emblematico: un Tsipras avrebbe dovuto dire alla Troika "le vostre ricette fanno schifo", e fin quei ci sta (e l'ha pure fatto), ma si sarebbe anche dovuto girare dall'altra parte e dire ai greci "guardate che il nostro sistema pensionistico si regge per meno della metà sui contributi versati, così non possiamo andare avanti a prescindere da quello che decidono o pensano le banche o l'EU". E questo non l'ha fatto, e lo sa perchè? Perchè non sarebbe diventato premier, se l'avesse fatto.




stefano 25 gennaio 2017 alle 15:04
@Giova2
quel pensiero sul sondaggio è venuto anche a me quando hanno cassato l'applicazione dell'art.50 alla May in GB. C'erano un sacco di lamentele da parte dei trumpini-putiniani-euroscettici, gli stessi che due mesi prima hanno votato per impedire lo scempio di un esecutivo che potesse scavalcare il legislativo.




Satan 25 gennaio 2017 alle 15:06
Vorrei far notare che i due personaggi che lei ha riportato hanno indicato la presenza di una regia internazionale ben più potente di loro.

Oltre a confermare quindi le bufale populistiche del blog dell'ubriacone pluriomicida... avrei delle domande:
A chi si riferiscono, secondo lei?
Perchè non sporgono denuncia alla magistratura?
Cosa è peggio? L'uomo forte, o il sistema rammollito?




Satan 25 gennaio 2017 alle 15:12
@stefano

Vede, il post di oggi di Gilioli fa il paio con quello di ieri.

Una gran levata di responsabilità da parte di tutti... Tutti devon render conto a qualcuno, a catena.. e quindi siamo tutti un po' casta.

Anche il bimbo nero con la mosca su occhi e bocca che ha avuto culo rispetto al fratellino che c'ha lasciato le penne.

Siamo arrivati alla conclusione che è stato un incubo in cui anche Tremonti, Monti, Draghi, Prodi... sono state vittime.

Sentire Prodi che si lamenta della UE che lui stesso ha costruito non ha prezzo.

E' stata la spectre. Ed ora abbiate paura. Perchè dopo la spectre arrivano gli uomini forti che distruggeranno il resto.
UncleTom
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E’ fuor di dubbio che il passaggio, storico, politico, sociale attuale sia molto complesso, confuso e molto pericoloso.

Ma i ragionamenti a pera non hanno mai portato da nessuna parte, e mai lo faranno. Rimangono quello che sono. RAGIONAMENTI A PERA.






La voglia dell'Uomo forte: il leader solo al comando piace a otto italiani su dieci

(ap)
Il sondaggio. Con il declino della politica e delle rappresentanze sociali, nel Paese è cresciuto negli ultimi anni il desiderio di una guida risoluta, soprattutto tra i giovani
di ILVO DIAMANTI


24 gennaio 2017
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12,4mila
INTERVISTATO da Le Journal du Dimanche, nei giorni scorsi, Beppe Grillo ha tessuto l'elogio dell'Uomo Forte. Meglio, dello Statista forte. Interpretato, nel nostro tempo, da Donald Trump e Vladimir Putin.

LE TABELLE

Grillo lo ha chiarito esplicitamente al JDD: "La politica internazionale ha bisogno di statisti forti come loro". Un giudizio espresso non solo per valutazioni di politica internazionale, ma perché i due "statisti" propongono un comune modello di leadership. L'Uomo Forte, appunto. Beppe Grillo, d'altronde, non parla mai senza pensare al "suo" pubblico. Ai "suoi" elettori. E agli elettori in generale. Non interviene mai senza valutare il momento. E questo è, sicuramente, un momento giusto. Perché l'unico Uomo Forte che abbia agito nel Paese negli ultimi anni, oggi, appare meno forte. Mi riferisco a Matteo Renzi. Potente e un po' prepotente. Come si è dimostrato fin dagli esordi, nel gennaio 2014. Quando ha rassicurato Enrico Letta con un tweet entrato nel linguaggio comune. "Enrico stai sereno", twittava allora Matteo - mentre aveva già deciso di scalzarlo. Per sostituirlo, egli stesso, riassumendo, in prima persona, i due ruoli di comando. Nel Pd e nel governo. Renzi: aveva, così, avviato la trasformazione del Pd in PdR. Il Partito di Renzi. E, analogamente, del governo nel GdR. Il Governo (personale) di Renzi. Proprio per questo il M5s, insieme alla Lega di Salvini e a tutti i partiti di opposizione - di Destra, ma anche di Sinistra - ha condotto una campagna decisa per il No al referendum costituzionale. Perché si era trasformato, nei fatti, in un referendum "personale" su Matteo Renzi. Poi, perché il ridimensionamento del Senato avrebbe accentuato ulteriormente ruolo e poteri del Premier. Visto che la nuova legge elettorale, l'Italicum, nell'attuale versione, garantirebbe, alla Camera, una larga maggioranza al partito vincitore (con oltre il 40% dei voti al primo turno oppure al ballottaggio). Rafforzando l'esecutivo e chi lo presiede. Ma oggi, dopo la vittoria del No, il Bicameralismo in Italia resta - e resterà a lungo - paritario. Mentre Renzi si è dimesso, ma non si è certo ritirato. Al contrario. È in attesa. Di ri-presentarsi davvero con un Pd(R) vero.

A Renzi è subentrato Paolo Gentiloni che è tutt'altro. Un leader "impopulista" (così l'ho definito all'indomani dell'incarico). Per stile decisionale e di comunicazione. "Uomo di squadra", non certo il leader di un "partito - e di un governo - personale". Così la polemica aperta da Grillo assume un significato più chiaro. Perché i riferimenti evocati - Trump e Putin - condividono non solo un comune modello di leadership. Ma un comune bersaglio. L'Unione Europea. Che oggi appare stretta tra due fronti. Fra la Russia di Putin e l'America di Trump. Eugenio Scalfari, d'altronde, nell'editoriale di domenica, ha indicato in Trump, ma anche in Renzi, due figure esemplari, per quanto con un "diverso raggio d'azione", di un'epoca nella quale "l'Io la fa da padrone".

Per averne conferma è sufficiente osservare gli orientamenti dell'Opinione Pubblica. Italiana. Che appare attratta, a sua volta, dalla prospettiva di un Uomo Forte. Come mostrano i sondaggi condotti da Demos. Dai quali emerge come, fra i cittadini, questa idea risulti non solo maggioritaria, ma in costante crescita. E oggi dominante. L'affermazione: "C'è troppa confusione, ci vorrebbe un Uomo Forte a guidare il Paese", infatti, nel 2004 era vicina - ma ancora sotto - alla maggioranza degli elettori. Nel 2006, però, era condivisa dal 55% degli elettori e nel 2010 quasi dal 60%. Ma oggi (meglio, pochi mesi fa, nel novembre 2016) l'attrazione verso l'Uomo Forte sfiora l'80%. Pare divenuta, dunque, un'idea dominante. Sulla quale conviene interrogarsi seriamente. Riflette, certamente, il declino dei partiti e delle organizzazioni di rappresentanza sociale e degli interessi. Ma anche il processo di "personalizzazione", che si è imposto in ogni ambito della vita pubblica. Non solo in politica. Così il rapporto dei cittadini con i poteri e i potenti è divenuto sempre più "diretto". Anzi, "immediato". Senza mediazioni. E sempre più "verticale". Perché la possibilità dei cittadini di re-agire con i leader, anche al tempo del digitale, non si può paragonare alla tendenza inversa. Che vede i leader comunicare "direttamente" con i (meglio: "ai") cittadini. TV e Social media vengono, ormai utilizzati senza soluzione di continuità dai leader, come Renzi. Che twitta mentre parla e sta in TV. Ma, a confronto di Trump, anche Renzi è un dilettante. Perché Trump, più che parlare, cinguetta.

L'Uomo Forte, comunque, oggi appare un modello per tutti. Soprattutto fra i più giovani. I più disillusi, d'altronde, dalla politica e dai partiti. Se osserviamo gli elettorati di partito, inoltre, solo fra gli elettori di Sel e degli altri soggetti di Sinistra l'adesione a questa prospettiva non è maggioritaria. Anche se di poco. Presso la base degli altri partiti, invece, il consenso appare larghissimo. In alcuni casi, come FI (l'archetipo del "partito personale"), pressoché totale. Fra gli elettori della Lega e dei Fd'I: prossimo al 90%. Mentre nei due principali "avversari" politici, di questa fase, Pd e M5s, coinvolge oltre i tre quarti della base. Inutile rammentare, d'altronde, che l'elettorato del M5s è il più trasversale. Sotto il profilo politico e sociale.

Così, il richiamo all'Uomo Forte, espresso da Grillo va incontro a un orientamento condiviso e, al contempo, contraddetto. Dagli stessi elettori. Che si sentono "orfani" di un Capo. E, di quando in quando, lo cercano e lo votano. Ma poi tendono ad allontanarsi da esso.

Per questo, è difficile credere alla possibilità di alleanze del M5s con altri partiti, anche nel caso venisse approvata una legge di tipo proporzionale. Certo, il positivo giudizio su Trump (e Putin) ha suggerito la possibilità di un accordo con la Lega di Salvini. Un'alleanza nel segno del Trumpismo - all'italiana. Eppure gli elettori del M5s sono troppo trasversali. E, dunque, troppo
inReadinReaddiversi dalla base degli altri partiti. Tutti. Ma, soprattutto, da soggetti politici molto caratterizzati. Come la Lega. Il M5s, oggi, contende al Pd il primato nelle intenzioni di voto. Ma è condannato a star da solo. Contro tutti. Un non-partito come potrebbe allearsi con altri partiti?

Per tabelle vedi:
http://www.repubblica.it/politica/2017/ ... 156725748/
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da UncleTom »

MAI, SU TEMI COME QUESTI, E' NECESSARIO CONOSCERE IL PARERE DEGLI ITALIANI.


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519 commenti
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2 giorni fa

insnumlk

"Agli italiani piace l'Uomo Forte"...

Non sorprende, in un Paese di pecore ignoranti, sempre in cerca di un protettore che garantisca logo mezza scarpa e il piccolo furtarello quotidiano allo Stato, cioè ai loro figli, che lo dovranno ripagare con gli interessi. Non sono bastati Mussolini, Craxi, Berlusconi, gli italiani sono ancora in cerca di qualcuno che li tiri un po' più in basso.

La Libertà è figlia della Dignità e del Desiderio di inseguire ogni giorno i propri obiettivi con le proprie forze. Questo hanno capito alcune grandi democrazie mondiali, che non si lasciano dominare da nessuno, né come Paesi, né come singoli individui. Non lo hanno capito gli italiani, ma tutto sommato, ognuno merita il regime che sopporta.

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2 giorni fa

coffee01

Povera ITALIA , condizionata da un popolo BUE......questo e' il vero problema....paese senza speranza e senza cervello che si muove a seconda di come si muovono i media .


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1 giorno fa

acchiappagrulli

Un popolo in povertà non potrà mai essere libero: ci ricordiamo del " Franza o Spagna pur che si magna"? e della sola scarpa destra offerta offerta da Lauro, oppure ,più recentemente degli 80 euro preelettorali?



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1 giorno fa

coffee01

Non dire stupidaggini acchiappagrulli.....vai a dire agli italiani che gli togli le 80 euro , li , ti accorgeresti della loro validita'.....facile aprire la bocca per dire stronzate !!!!!!!


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1 giorno fa

sikomoro

sig. coffee01 lei è italiano? si sente popolo BUE, senza speranza, senza cervello? contento lei...


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2 giorni fa

Hattori Hanzo

Molti italiani hanno anche il brutto vizio di credere a tutto quello che scrivono i giornali...


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1 giorno fa

unlettorecomune

Altri hanno la superficialità di non leggere neanche i documenti del sistema a cui si sono iscritti...



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1 giorno fa

Hattori Hanzo

@unlettorecomune



Problema che altri non hanno, visto che gli iscritti non stanno rinnovando le tessere...


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1 giorno fa

andreal02

Faccia la cortesia, la smetta di spacciare i grillini come "vera sinistra" e "vera democrazia". Almeno vediamo le cose per quello che sonno, ok ?


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1 giorno fa

gnaojones

già, senza neanche aspettare che la Gran Commissione Grillina sulla Stampa abbia validato con iil timbro "VERITA'"o meno l'articolo! Inaudito!


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1 giorno fa

ianpaice03

Si figuri che molti credono pure al blog di un pregiudicato


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1 giorno fa

unlettorecomune

"...ma tutto sommato, ognuno merita il regime che sopporta."...

Direi piuttosto che ognuno merita il regime a cui permette di esistere.
Che poi riesca a sopportarlo, la Storia ci dice che non sempre è così...



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1 giorno fa

acchiappagrulli

Mi pare che ci sia qualche omissis: e l'apprendista stregone?



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1 giorno fa

antobcn01

Pienamente d'accordo.


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1 giorno fa

sikomoro

Non so se il sig. insnumlk sia italiano e, nel caso in cui lo sia, si senta una pecora ignorante, come lui stesso si è autodefinito. Fatti suoi. Il referendum ha detto tutt'altro. Ha detto forte e chiaro che il POPOLO ITALIANO vuole essere padrone del proprio destino e non vuole essere supino a nessun uomo forte. Il POPOLO ITALIANO è accorso in massa alle urne per difendere quella COSTITUZIONE DEMOCRATICA scritta col sangue dei valorosi che hanno abbattuto il nazifascismo e che qualcuno pensava di stravolgere a proprio vantaggio.


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1 giorno fa

ac26

Lei conferma esattamente quello di che parlava l'articolo


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1 giorno fa

bob25

il popolo italiano abita uno Stato con 2500 miliardi di debito. Se avesse quei principi che dice lei, non avrebbe consentito questo sfacelo. ha solo voluto punire Renzi per invidia, rodimento ed insoddisfazione


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PER CHI E' INTERSSATO A CONOSCERE I 519 PARER ESPRESSI SUL TESTO DI DIAMANTI, LEGGA:

http://www.repubblica.it/politica/2017/ ... 156725748/
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da UncleTom »

Sondaggio: 8 italiani su 10 vogliono uomo forte. Passata è la paura

di Alessandro Camilli 

Pubblicato il 24 gennaio 2017 11:34
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Comments

Sondaggio: 8 italiani su 10 vogliono uomo forte. Passata è la paura

ROMA – Sta tornando, e anzi è già tornata, la stagione dell’uomo forte. Non è questione e non si tratta di moda ma di quell’uomo forte che Beppe Grillo ammira e invoca nella sua intervista francese (salvo poi auto-smentirsi) e che oggi è incarnato, su tutti, dai leader di Russia e Usa. Vale a dire Vladimir Putin e Donald Trump.

Una stagione che sta tornando nel mondo ma anche in Europa e in Italia, dove dopo poco più di mezzo secolo, sembra passata la paura che queste due parole unite incutevano. Al punto che, sondaggi alla mano, oggi nel nostro Paese a 8 cittadini su 10 non dispiacerebbe questa prospettiva. Come solo uno scrittore sa sintetizzare, e come David Grossman ha messo nero su bianco, “col tempo si dimentica perfino la paura di calpestare le righe tra le piastrelle”.

Il tempo, si sa, cancella i dolori e cura le ferite. E il tempo, evidentemente, cancella non solo i dolori di cuore e dei singoli, ma anche i traumi collettivi. Rendendo impotenti e vani gli anticorpi che la società si era data. Alla fine della seconda guerra mondiale, poco meno di 70 anni fa, l’Europa tutta e l’Italia in particolare era terrorizzata all’idea dell’uomo forte. Simili uomini, simili capi di governo per lo più democraticamente eletti, avevano infatti portato morte e distruzione non solo nel Vecchio Continente, ma in tutto il mondo.

In Italia, il nostro uomo forte per eccellenza storicamente parlando, Benito Mussolini, dopo aver lacerato il Paese e averlo portato in guerra causando milioni di morti e distruzioni inenarrabili, era stato catturato, fucilato e appeso a testa in giù. Ingloriosa fine che ben può rendere l’idea di quanto, dopo un simile trauma, l’Italia avesse avversione nei confronti di una simile figura. A guerra finita i nostri nonni, o i nostri bisnonni a seconda dell’età di chi ci legge, si erano seduti intorno ad un tavolo ed avevano edificato una nazione su una Costituzione che faceva di tutto per tenere lontana la possibilità del ritorno di un uomo forte. Creando meccanismi, come tra gli altri il bicameralismo perfetto, che rallentano la macchina statale.

Ma era così forte la paura che ci si potesse ritrovare con un simile destino che pur di scongiurare questa possibilità si era disposti praticamente a tutto. E poi, negli anni ’50 e ancor più nei ’60, anche solo ipotizzare la bontà di un uomo forte non solo non era cosa comune ma era persino squalificante socialmente e politicamente. Ex fascisti a parte nessuno infatti si sognava nemmeno di mettere insieme quel sostantivo con quell’aggettivo.

La paura poi ha cominciato lentamente a scemare di pari passo con la perdita della memoria. Sempre meno quelli che avevano vissuto davvero la stagione dell’uomo forte e sempre meno quelli che avevano vissuto la guerra. Così, quasi senza accorgercene, oggi la maggioranza degli italiani (comunque in ritardo rispetto ai big Russia e Usa che la strada dell’uomo forte l’hanno già felicemente imboccata, la prima con poca possibilità di scelta e la seconda invece con un democraticissimo voto) non solo non teme, ma vuole e desidera l’uomo forte al comando.


“Come mostrano i sondaggi condotti da Demos – scrive Ilvo Diamanti su Repubblica -, fra i cittadini questa idea risulta non solo maggioritaria, ma in costante crescita. E oggi dominante. L’affermazione: ‘C’è troppa confusione, ci vorrebbe un Uomo Forte a guidare il Paese’, infatti, nel 2004 era vicina – ma ancora sotto – alla maggioranza degli elettori. Nel 2006, però, era condivisa dal 55% degli elettori e nel 2010 quasi dal 60%. Ma oggi (meglio, pochi mesi fa, nel novembre 2016) l’attrazione verso l’Uomo Forte sfiora l’80%. Pare divenuta, dunque, un’idea dominante. Sulla quale conviene interrogarsi seriamente. Riflette, certamente, il declino dei partiti e delle organizzazioni di rappresentanza sociale e degli interessi. Ma anche il processo di ‘personalizzazione’, che si è imposto in ogni ambito della vita pubblica. Non solo in politica. Così il rapporto dei cittadini con i poteri e i potenti è divenuto sempre più ‘diretto’. Anzi, ‘immediato’. Senza mediazioni. E sempre più ‘verticale’”. Speriamo non sia tutto un déjà vu.

https://www.blitzquotidiano.it/opinioni ... a-2625243/
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da UncleTom »

TORNERA' A FARE IL SALUMIERE NELLA SALUMERIA DI CORSO MAGENTA, "I MATTEO'S", CON IL SUO SOCIO DI RIGNANO?????





Dagli anni d'oro al declino. La Lega licenzia via Bellerio

Via anche gli ultimi dipendenti dalla sede milanese un tempo casa di ministri e quartier generale di Bossi
Fabrizio Boschi - Gio, 26/01/2017 - 06:00

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La Lega è davvero al verde. Sono stati mandati a casa gli ultimi 24 dipendenti di via Bellerio (tra i quali due dirigenti) che si erano salvati dai primi esuberi del 2014.


Allora furono 71 i licenziati.

I fasti bossiani degli anni Novanta sono solo un bel ricordo. Dopo Tele Padania (chiusa nel 2014), la Padania (chiusa nel 2015) e Radio Padania (ceduta nell'ottobre 2016 a Lorenzo Suraci, creatore della galassia Rtl 102.5) in via Bellerio è rimasta solo la polvere. Pure la mensa è chiusa da tre anni fa e altri uffici serrati poco dopo. Un'emorragia inarrestabile che ha spazzato via quell'impero mediatico fortemente voluto da Umberto Bossi. Si parla di una «grave crisi» economica, dovuta agli «elevati costi di gestione» (3 milioni annui, 2,2 i ricavi).


Ma c'è stato un periodo nel quale la sede di Milano del Carroccio era il centro del mondo politico italiano, dal quale transitavano parlamentari, sindaci, segretari e personaggi famosi, che venivano a parlare col Senatùr. Tremonti, Calderoli, Castelli, Maroni, Zaia quando erano ministri nei vari governi Berlusconi erano di casa in via Bellerio, a colloquio nell'appartamento privato di Bossi. E ancora il politologo Stefano Bruno Galli, lo scrittore Massimo Fini, il cantautore Omar Pedrini, il giornalista Paolo Brera, l'avvocato Ettore Adalberto Albertoni, l'architetto Gilberto Oneto.

Quelle stanze erano il centro del potere. Gli anni d'oro, quando dal nulla venne fuori la redazione di un quotidiano, quella di un settimanale, un'agenzia di stampa, una radio e studi televisivi. Un gruppo editoriale che Bossi aveva affidato al presidente federale, l'onorevole Stefano Stefani, responsabile media con potere «di vita o di morte» su tutti. Ex imprenditore orafo vicentino, con modeste nozioni in campo dell'informazione, che con la sola licenza media si era conquistato la protezione del Capo. «Venne creato un network per sopperire al silenzio dei media sulla Lega - racconta Andrea Accorsi, che ha trascorso 18 anni alla Padania - Il periodo più bello è stato il primo, che ha visto crescere queste realtà, un'impresa che sembrava impossibile. Dicevano che saremo durati poco: siamo andati avanti 18 anni».

Momenti di gran fasto ma anche momenti bui, come durante le indagini sulla Guardia nazionale padana , sospettata di essere un'organizzazione paramilitare . Maroni, caricato su una barella, e portato in ospedale, rimane una delle scene più significative, dopo gli scontri con la polizia intervenuta per perquisire via Bellerio.

C'era un bel movimento e Bossi, quando non era a Roma o a Bruxelles, non mancava di fare una capatina nell'ufficio del direttore, sempre dopo le 20. Ci teneva tantissimo alle sue creature e soprattutto alla Padania: guardava la prima pagina, dava spunti sul titolo, sparava qualche frase ad effetto, si faceva portare le bozze delle pagine chiuse e chiacchierava per un'ora a braccio col direttore. Da quelle chiacchierate venivano fuori notizie, retroscena, anticipazioni e vere e proprie interviste che poi il giorno dopo tutti i giornali riprendevano. Questo filo si spezzò con l'ictus del marzo 2004, l'inizio del declino del partito.

Sopra la redazione, Bossi aveva un appartamento (un intero piano era riservato a lui) che molti maliziosamente chiamavano «lo scannatoio». «Molte notti la luce delle sue stanze rimanevano accese e si spegnevano solo verso le 6 del mattino, quando l'ospite o gli ospiti se ne andavano alla chetichella dalla porta posteriore, senza farsi notare - racconta Daniela Bonioli, caposervizio per un anno e mezzo al settimanale Il Sole delle Alpi - Io provenivo da Le Ore dove ho fatto la caporedattrice per 20 anni, ma nessuno ha mai mosso pregiudizi per questo».

Per il Senatùr via Bellerio era casa e bottega. «A volte scendeva giù anche in pigiama - racconta Giulio Cainarca, a Radio Padania dal 1996 - Veniva giù la mattina o ci chiamava per rilasciare una dichiarazione. Si è sempre comportato come il reuccio dell'impero. Il vero direttore era lui. Bisognava stare in campana, faceva trottare tutti».

Qualcuno ricorda anche le sue frequenti scenate. «Aveva appena fatto pace con Albertini, scese in redazione da noi come una furia, dicendo cose pazzesche su di lui», ricordano.

«Andavo ogni tanto in via Bellerio per seguire Bossi - racconta l'ex giornalista del Corriere della Sera Gianluigi Da Rold - e avevo stabilito un bel rapporto con lui, tanto che girò persino il mio nome come direttore de La Padania, cosa mai avvenuta. Non sono mai stato iscritto alla Lega». Così come il primo direttore de La Padania, Gianluca Marchi, che ha detto no a Bossi per due volte prima di farlo capitolare sul piano editoriale. «Presi spunto dall'Unità, volevo esprimere le pulsioni della Lega ma fare anche informazione. Non c'era un soldo così iniziammo con un leasing per comprare i pc. Chiesi uno stipendio ridotto e una percentuale sulle vendite: in questo modo raddoppiai il mio compenso. Il primo giorno vendemmo 80-90mila copie, alle 9 del mattino erano già finite. Arrivammo fino a 120mila». Quando la Lega non era ancora al verde.
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