Diario della caduta di un regime.

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Re: Diario della caduta di un regime.

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IlFattoQuotidiano.it / BLOG di Daniela Gaudenzi
Il voto cancella Renzusconi ma nel Pd è guerra
Il voto cancella Renzusconi ma nel Pd è guerra
Elezioni Politiche 2018 | 6 marzo 2018
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Daniela Gaudenzi
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Come aveva già anticipato Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 5 dicembre 2016, e come si può constatare in maniera ancora più evidente ora che “i numeri non sono più scritti sull’acqua”, gli italiani in modo analogo ma ancora più dirompente rispetto al referendum del 4 dicembre 2016 hanno spazzato via con il voto l’impressionante serie di bufale che ha dominato la campagna elettorale.

Fin dalle prime proiezioni è stato subito chiaro che i moniti interessati dei mercati, gli allarmi internazionali contro “i populismi in agguato”, le operazioni politico-mediatiche concertate per fare incredibilmente di B. “l’imprescindibile ago della bilancia” se non il dominus di qualsiasi equilibrio post elettorale si erano schiantati contro la determinazione del popolo sovrano a dire “Basta” in modo inequivocabile. Con il Partito di Renzi (Pdr) abbondantemente sotto il 20%, Forza Italia al 14% superata con un largo margine dalla Lega al 17% ed il M5S che ottiene con il 32,5% un risultato storico, le ipotesi che fino a ieri venivano prospettate come probabili ed auspicate come “fisiologiche” o “rassicuranti” sono ritornate ad essere semplicemente ridicole. Sia la Grosse Koalition all’italiana con Renzi (e annessi) avvinto a Berlusconi in un Nazareno di governo sia il Gentiloni bis diventato un ritornello dell’ultimo scorcio della campagna elettorale che ha visto il “mite” presidente del consiglio imbracciare il mitra contro “il pericoloso” M5S, ora sembrano appartenere a un passato remoto e archiviato.

E benché fresche di poche ore sembrano uscite da uno scenario del passato, anche se recente, “le dimissioni non dimissioni” come le ha definite il guardasigilli Andrea Orlando, esponente della minoranza Pd, e cioè quelle da segretario annunciate da Renzi nel tardo pomeriggio del day after, dopo una serie di continui slittamenti e in un clima che per livello di tensione rimandava a quello dei lunghi coltelli della notte delle candidature. Il copione come in una coazione a ripetere che inevitabilmente produce effetti concatenati sempre più negativi per il partito di cui lui avrebbe dovuto garantire una soglia minima di coesione è più o meno sempre lo stesso.

Prende atto della sconfitta, riconosce come errore sommo quello di aver fatto una campagna elettorale con argomenti troppo “tecnici” ma soprattutto detta le condizioni e i tempi per la sua uscita di scena con relativo “ritiro” nel ruolo di modesto senatore di Rignano in quell’aborrito Senato la cui mancata cancellazione sarebbe l’origine di ogni male, incluso il possibile rischio di ingovernabilità. Il come e il quando abbandonerà la segreteria del Pd devono consentirgli di gestire l’elezione dei presidenti delle Camere, di salire al Colle per le consultazioni, di impedire qualsiasi apertura del PD ai punti programmatici del M5S, equiparato sotto ogni profilo alla Lega di Salvini, di rimanere segretario durante tutto il percorso congressuale che dovrà includere le nuove primarie.

En passant, Renzi ha colto l’occasione per attaccare Sergio Mattarella che non gli ha consentito di andare a votare quando gli avrebbe fatto più comodo, probabilmente irritato anche dalla presunta “benevolenza” riservata dal Capo dello Stato alla “assurda” mail di Di Maio con la lista dei ministri. E ha voluto anche citare la sconfitta sonora di Marco Minniti a Pesaro dove ha vinto Cecconi, uno degli irregolari delle restituzioni del M5S, ovviamente per screditare ulteriormente gli “incompetenti” e “imbroglioni“, ma magari anche per dare una stilettata ad uno dei ministri più in vista del governo Gentiloni.

La rivolta interna nel partito, già terremotato dalla sconfitta schiacciante attribuita in grandissima parte al segretario è stata trasversale. Non sono insorte solo le minoranze di Orlando e di Emiliano, da sempre aperto al dialogo con il M5S, per le accuse a Mattarella in un momento quanto mai “delicato”, ma anche Luigi Zanda, area Franceschini, l’ha energicamente invitato a mettere da parte le dimissioni “postdatate” e a non confondere “i caminetti” con la collegialità di cui il partito ha disperatamente bisogno.

Anche questa volta Renzi è riuscito a sollevare tutti i venti di guerra possibili e immaginabili. E come è stato sottolineato, anche da commentatori non propriamente ostili, si capisce quanto mai chiaramente perché il segretario abbia imposto in modo brutale il suo plotone di fedelissimi da schierare in parlamento: sapeva molto bene che gli sarebbero tornati utili, magari per la resa dei conti finale e per la rottamazione definitiva del partito.
Elezioni Politiche 2018 | 6 marzo 2018
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Re: Diario della caduta di un regime.

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...PREPARIAMOCI AD UN'INDIGESTIONE DI CAZZATE NEI PROSSIMI GIORNI...


Dal Bufaliere:


........AL MERCATO DEI 5 STELLE


Pd in vendita a pezzi

Di Maio offre poltrone ai voltagabbana anti renziani
Diceva: <<A casa senza stipendio chi cambia casacca>>



Nicola Porro

GOVERNO DA INCUBO

SINISTRA E M5S
CI SARA' DA RIDERE



SIAMO FINITI DENTRO UNA CLOACA.
CHE MANCHI TOTALMENTE UNA CLASSE DIRIGENTE E' PIU' CHE EVIDENTE.
MA PORRO VORREBBE FAR CREDERE AI MERLI DOC.,
CHE CON SALVINI E CAMERATI NON CI SARA' DA RIDERE?????????????




^^^^^^
Dal vice Bufaliere:

Troppi vincitori, nessun vincitore


CHE BELLO SENZA GOVERNO
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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Cercasi boia per la Terza Repubblica, ancora senza padrone

Scritto il 05/3/18 • nella Categoria: idee Condividi

La Terza Repubblica nasce senza padrone. E ora attende di conoscere il nome del boia incaricato di “terminare” quel che resta della sovranità italiana. E’ l’analisi del day-after, che Dante Barontini offre ai lettori di “Contropiano”: un paese a pezzi, leghista al Nord dove c’è ancora qualcosa da difendere («imprese che fanno profitti e altre che rischiano di chiudere, occupazione precaria e sottopagata») e grillino al Sud, dove si è già perso quasi tutto e la paura di non poter risalire è concreta: «I tagli alla spesa pubblica hanno segato, indirettamente, anche le gambe alle clientele». L’Italia del “rancore”, scrive Barontini, stavolta ha spazzato quel poco che restava della vecchia classe politica della Seconda Repubblica: «Ha seppellito i Bersani e i D’Alema insieme all’alter ego di un quarto di secolo, Silvio Berlusconi», insieme all’ex finto-rottamatore Renzi. Nemmeno le promesse più pirotecniche non hanno fermato lo tsunami, provocato da sommovimenti tellurici profondi: «Il malessere che non si traduce in progetto di cambiamento si accontenta della prima risposta che trova, per quanto scadente possa essere». Quello che resta è la mancanza di un baricentro credibile: «Impossibile fare un governo qualsiasi senza cancellare anche quel poco di tangibile detto in una campagna elettorale priva di idee su come risollevare un paese che va impoverendosi ogni giorno di più (nonostante un momento di pausa nella crisi, impropriamente chiamato “crescita”)».
No ad alleanze contro natura? «I grillini normalizzati da Luigi Di Maio hanno giurato che faranno un governo con chi ci sta sui programmi», il Pd e Berlusconi «hanno fatto la stessa campagna elettorale, giurando che non avrebbero fatto governi con “i populisti”», ma ora è chiaro che «nessuno di loro potrà rispettare questi “impegni”, se vuole avvicinarsi alle residue leve di governo», scrive Barontini. «Non potrà andare avanti neanche quella che era sembrata la “soluzione indolore”: tenere in piedi l’esecutivo Gentiloni con una maggioranza “renzusconiana”, rattoppata alla bell’e meglio con transfughi da varie liste». Lo scenario sembra paradossale: quel che “c’è da fare” «è scritto nelle direttive di Bruxelles, nei giornali mainstream, nei commenti degli opinionisti più informati», eppure «nessuno dei candidati a “fare quel che c’è da fare” se n’è fin qui occupato minimamente». “Contropiano” ricorda che l’agenda-Italia è inquietante: «Ci attende una manovra correttiva di molti miliardi già a maggio. Saranno dolori veri, dopo le piccole dosi di morfina rilasciate con la legge di stabilità del governo Gentiloni. Soprattutto ci attende l’attuazione vera del Fiscal Compact, che costringerà qualsiasi governo dei prossimi venti anni ad accantonare un avanzo primario minimo del 5% annuo per ridurre il debito pubblico. Roba da 50 miliardi l’anno in uscita, prima ancora di decidere cosa si può fare e cosa no».
Da dove succhiare tanto sangue? Dalle pensioni, «che questa volta verrebbero “riformate” riducendo gli assegni erogati mensilmente, in stile Grecia», scrive Barontini. «Manca però l’esecutore, il boia sociale che impugnerà la mannaia in nome e per conto dei “mercati internazionali” e della Troika», avverte “Contropiano”. «Nessuno vuole apparire tale prima di avere quella mannaia in mano: è la parte giocata da Emma Bonino, con risultati minimi rispetto ai costi della sua onerosa campagna elettorale». L’analista parla di «una distanza abissale e drammatica tra una popolazione disorientata in cerca di un possibile “difensore” e un ristretto ceto di aspiranti boia che, ovviamente, non intendono presentarsi come tali prima di cominciare ad “operare” (in attesa che i maghi della “comunicazione” costruiscano una “narrazione” accettabile)». Non è una dinamica nata oggi, ma ora appare nitidamente: «Le rapide ascese e gli altrettanto rapidi capitomboli dei nuovi “leader” sono una logica conseguenza della tenaglia costruita da promesse irrealizzabili dentro i vincoli europei», precisa Barontini. «Chiunque andrà a Palazzo Chigi sa benissimo di poter restare lì giusto il tempo di realizzare qualche altra “riforma” imposta dalla Ue, e poi sparire. Come Renzi».
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Il potere vota Di Maio. Scalfari: è il nuovo leader, a sinistra


Scritto il 07/3/18 • nella Categoria: segnalazioni Condividi

Per Marco Travaglio, a dare spettacolo è il noto sport nazionale: correre in soccorso dei vincitori. Sempre che i soccorritori, in questo caso, non siano i terminali italiani degli azionisti-ombra dei 5 Stelle, tranquillizzati in anticipo da Luigi Di Maio nei santuari del sommo potere, da Londra a Washington, prima ancora di presentare una lista iper-rassicurante di possibili ministri tecnici, a partire dal neoliberista Fioramonti, il cui curriculum contempla nomi come Rothschild, Rockefeller e Soros. «I poteri forti si riposizionano», titola il “Fatto Quotidiano”. O meglio: forse rendono palese ciò che prima era nascosto, e cioè che il successo firmato Di Maio fosse, fin dall’inizio, il loro Piano-B. Ovvero: non l’imbarazzante avanzata di una forza “antisistema”, ma il prevedibile boom di un’ala “populista” del sistema stesso, adatta a drenare il dissenso sociale di un’Italia in crisi. Da Marchionne a Confindustria, la convergenza su Di Maio si è fatta aperta e spettacolare, quasi quanto quella di Eugenio Scalfari, decano del “quarto potere” italico. Per il fondatore di “Repubblica”, che pochi mesi fa ai 5 Stelle avrebbe preferito persino l’odiato Berlusconi, oggi di Di Maio non è solo il legittimo capo del prossimo ipotetico governo, ma addirittura il leader del nuovo, grande partito unico della sinistra italiana, destinato a inglobare e assorbire lo stesso moribondo Pd. Questione di parole: sostituendo “sinistra” con “potere”, il cerchio si chiude.

Ai tempi del governo Letta, Scalfari cenava nella sua casa romana col primo ministro, insieme a Napolitano e Draghi. Verrà presto il turno dell’ex impresentabile Di Maio? La prima sterzata è di Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria: «La vera Luigi Di Maiomissione è il lavoro», aveva scandito il 16 febbraio: no, dunque, a chi «pensa di garantire un reddito a chi sta a casa invece di creare lavoro». Ma il 6 marzo, due giorni dopo il voto, Boccia apre a un possibile esecutivo pentastellato: il Movimento 5 Stelle «è un partito democratico, non fa paura». E il vituperato reddito di cittadinanza? «Bisogna vedere cosa hanno veramente in mente di fare, quanto è la quota in termini di costo per lo Stato e quindi quanto incide dal punto di vista di deficit e debito pubblico». Una proposta da valutare, dunque: non più da bocciare a priori. «Paura del M5S? Ne abbiamo passate di peggio», conferma il numero uno di Fiat Chrysler, Sergio Marchionne, già grande sponsor di Monti e Renzi. «Salvini e Di Maio non li conosco», precisa. Però assicura: «Non mi spaventano». Attenzione e rispetto, fino a ieri impensabili: «Al posto dei 5 Stelle comincerei a preoccuparmi seriamente», dice Travaglio a “Di Martedì”, su La7, dimostrando di credere nella “diversità” sostanziale dei grillini e nella buona fede di Di Maio, estraneo al grande gioco dei poteri che condizionano l’Italia.

E a proposito di massimi poteri, ecco Eugenio Scalfari. Protagonista, sempre nella trasmissione di Floris, del più clamoroso dietrofront: Di Maio non va solo sdoganato come possibile premier, ma addirittura incoraggiato come leader politico strategico, faro illuminante del nuovo centrosinistra del terzo millennio. In premessa, una constatazione: il boom grillino si spiega solo col travaso di voti in fuga da un Pd inguardabile. Dunque, il cuore del Movimento 5 Stelle è “di sinistra” (perlomeno nell’accezione di Scalfari, che ha tifato per Prodi e Monti, Letta e Gentiloni). Quattro mesi fa, ricorda il “Fatto”, aveva detto che tra Silvio Berlusconi e Luigi Di Maio avrebbe scelto il primo, scatenando le ire di Carlo De Benedetti. Oggi, la verità di Scalfari è capovolta: «Chi sceglierei fra Di Maio e Salvini? Un tempo li consideravo uguali. Nel senso che non si votano. Perché erano al centro uno della chiusura e l’altro del populismo, il movimento grillino. Oggi tra Salvini, che è quello di prima, e Di Maio che sembra radicalmente cambiato, sceglierei Di Maio». Il leader grillino, dichiara Scalfari, «ha dimostrato Scalfariun’intelligenza politica notevole, perché di fatto il Movimento è diventato un partito. Lui addirittura ha steso la lista dei ministri e l’ha voluta portare al Quirinale».

E attenzione: «Facendo un’alleanza con il Pd non è che ci sono due partiti, diventa un unico partito: Di Maio è il grande partito della sinistra moderna», nientemeno. «Allora la faccenda cambia: se lui diventa la sinistra italiana voterò per questo partito». E se la somma di 5 Stelle e Pd «diventa un partito di maggioranza assoluta, Mattarella ha un governo che ha la maggioranza assoluta». Renzi ha detto di no? «Ma Di Maio non parla di alleanza con Renzi ma di alleanza con il Partito Democratico», che attualmente «è in uno stato di abbattimento, e l’abbattimento porta alla confusione: il Pd è un partito confuso». Non come Scalfari, che invece ha le idee chiarissime, evidentemente, sull’aria che tira ai piani alti: i 5 Stelle come perno del nuovo baricentro di potere, euro-friendly, destinato a imporre all’Italia la stessa, invariabile agenda degli ultimi vent’anni. Sempre nello studio di Floris, alcuni eminenti discepoli – da Massimo Giannini a Vittorio Zucconi – correggono timidamente il maestro: più che la sinistra, la trasversalità del Movimento 5 Stelle ricorda la capacità della Dc di esprimere tutto, dalla sinistra alla destra, passando per il centro. Ma se Scalfari voleva lanciare un missile, ci è riuscito benissimo: chiunque spera di organizzare barricate contro Di Maio (in primis Renzi) si tolga dalla testa di avere il consueto appoggio della grande stampa. Renzi si accomodi a casa, e i rottami del Pd si mettano agli ordini di Di Maio. Non temano, i neo-convertiti al grillismo post-voto: i “giornaloni” li tratteranno con affettuosa indulgenza (applaudendo in primis Mattarella, se benedirà la strana alleanza degli ex acerrimi nemici).
UncleTom
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L’Italia è senza pilota, ai comandi ora ci sono i passeggeri


Scritto il 07/3/18 • nella Categoria: idee Condividi


La vittoria della Lega di Salvini è la sconfitta del politicamente corretto e della casta politica e istituzionale, mediatica e intellettuale che lo propina, rigettato come gergo asfissiante del potere. La vittoria di Salvini è il superamento dell’antifascismo e del suo uso infame, come dimostra il caso di Macerata, dove la Lega è il primo partito nonostante la campagna per accusare il “fascioleghista” Salvini d’essere il mandante morale di un nuovo presunto terrorismo nero. Lo scempio del corpo di una ragazza da parte di un gruppo di migranti era passato in secondo piano rispetto alla reazione isolata di un esagitato, ed era stata imbastita un’indegna e fuorviante sceneggiata antifascista. Il voto a Salvini è la risposta a quella gazzarra e a quella speculazione assurda, fuori dal tempo. La vittoria di Salvini si spiega pure con la percezione d’invasione e d’insicurezza che c’è nel paese. C’è poi la sfiducia verso l’Europa, il disagio verso l’euro e la dominazione finanziaria e la rivendicazione della sovranità politica, popolare e nazionale. La vittoria di Salvini è la traduzione italiana del populismo nordeuropeo, ma anche americano e perfino russo. E qui le ragioni del successo leghista sconfinano nelle ragioni del trionfo grillino.
C’è un fattore su tutti che rende vicini il successo della Lega al trionfo dei 5 Stelle. È il rigetto della classe dominante. L’Italia non ha più una classe dirigente, bocciata a furor di popolo. Gli italiani hanno respinto i partiti e i leader, hanno punito coloro che hanno governato finora, dalla sinistra al centro fino a Berlusconi. Hanno votato uno stato d’animo prima ancora che un movimento e hanno votato se stessi prima che i grillini o i salvini. Un voto selfie, un voto allo specchio, seppure infranto, in cui si riflette l’italiano senza guide e senza modelli. Gli elettori hanno respinto le mediazioni e i filtri, hanno votato contro il sistema, contro l’establishment, contro l’Europa. Un voto contro. Anche Grillo non c’entra più, è un simbolo araldico, non più un leader politico. Non è vero che l’Italia si sia divisa in due: a nord come a sud ha votato in maggioranza ai populisti, con la differenza che a nord il populismo è leghista, a centro-sud è 5 Stelle. Declina la sinistra, prima ancora che il renzismo; il fatto che sparisca in tutta Europa, se non in Occidente, dimostra che Renzi è solo il nome locale di una crisi mondiale. Si salva dall’ecatombe la destra meloniana, pur restando nel piccolo cabotaggio di forza laterale.
La pericolosa utopia grillina è che un popolo si possa autogovernare, tramite loro. E che l’ignoranza, l’assenza di storia, esperienza e curriculum, siano indici di purezza. Da questo punto di vista i leghisti hanno saputo dare anche alcune prove di buon governo, almeno a livello locale. Il successo grillino si spiega con una protesta più radicale ma più superficiale. Il pericolo migranti agitato dai leghisti viene sostituito dai grillini dal tema disoccupati e dalla loro puerile soluzione. A 50 anni dal ’68, il grillismo appare come una rivoluzione semi-sessantottina: potere ai giovani e al collettivo che ora si chiama rete; opposizione al sistema, ignoranza in cattedra, reddito di cittadinanza come ieri il voto politico; via i privilegi, morte ai potentati. Non ha avuto più presa Berlusconi, apparso come bollito, allineato all’eurocrazia, aperto agli inciuci col renzismo ed esagerato nelle promesse, comprese quelle che già non mantenne quando ebbe numeri, forza e tempo per realizzarle.
Se dovessi tradurre in un’immagine l’impressione generale della situazione dopo il voto, è quella di un aereo da cui è stato buttato fuori il pilota e il personale di bordo, ritenuti inetti e corrotti, e la guida dell’aereo e la gestione della cabina sia affidata direttamente a un gruppo di passeggeri. Di Maio è il passeggero-tipo, come Di Battista e gli altri grillini. Anche Salvini è percepito meno come un leader e più come la voce del nostro scontento. Uno di noi. L’Italia ha perso il capo, riparte dalla coda. Il primo problema sarà vedere se al potere destituente che hanno mostrato i grillini e i leghisti, sapranno ora affiancare un potere costituente. E se il loro percorso si intreccerà, resterà distinto o si perderà nell’indistinto. Non s’intravedono ancora i ponti e i mediatori, i registi e i richelieu per tentare l’ardua intesa. Nell’attesa i leghisti si tengono ancora leali alla coalizione di centro-destra.
Dietro ambedue c’è la grande incognita del populismo, risposta sacrosanta al predominio incapace e corrotto delle oligarchie, sempre più lontane dal popolo; ma il populismo vale come punto di partenza, come rivolta e presa di coscienza. Se pretende d’essere un punto d’arrivo saranno dolori e rischieranno di far rimpiangere la detestata casta. Ci vorrebbe una nuova aristocrazia, dotata di un forte senso dello Stato e della comunità. Che non s’intravede. Intanto si parte coi valzer e le quadriglie, cercando l’ardua quadratura del cerchio tra l’integralismo dei puri e le alleanze ibride e necessarie per governare. Entriamo in un mese pazzo e imprevedibile. Auguri, Italia. (Ps: l’onore delle armi a un gran ministro dell’interno, Marco Minniti, battuto a Pesaro da tal Cecconi, un furbetto dei finti rimborsi, eletto a furor di popolo tra i grillini. Onore e lui e disonore al popolo sovrano).
(Marcello Veneziani, “Grilloleghisti immaginari”, da “Il Tempo” del 6 marzo 2018, articolo ripreso dal blog di Veneziani).
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Che succede dopo le elezioni? Niente, e riderà la solita élite


Scritto il 04/3/18 • nella Categoria: idee Condividi
Mi domandano spesso in questi giorni cosa succederà secondo me dopo le elezioni. La risposta è semplice: nulla. Non succederà nulla di assolutamente diverso rispetto a ciò che è successo a partire dal 1945 ad oggi: nessun partito (con l’unica eccezione del primo governo Dc scaturito dalle elezioni del 1948) sarà mai in grado di raggiungere una maggioranza, con la conseguenza che occorrerà formare una coalizione, oppure nominare un ennesimo governo tecnico, non collegato in modo diretto ai partiti eletti (come è accaduto per tutti i recenti governi: Gentiloni, Renzi, Letta, Monti). Per questo motivo ogni gruppo politico in questa campagna elettorale sta promettendo mari e monti, dal reddito di cittadinanza, all’abbassamento delle tasse e via discorrendo. Infatti ognuno sa che, dopo il voto, sarà impossibile mantenere le promesse perché dovrà allearsi con qualche altra forza, e quindi inevitabilmente giungere a compromessi che impediranno di effettuare riforme decenti. Basti pensare, tra tutte le assurdità politiche che si sono profilate all’orizzonte in questa campagna elettorale, all’affermazione di Di Maio che “non esclude un’alleanza col Pd”.
La necessità di formare alleanze improbabili è stata quindi da sempre la caratteristica della politica italiana. Le cose non cambiarono neanche con il passaggio dalla prima alla seconda repubblica; nonostante fosse stato riformato il sistema elettorale da proporzionale a maggioritario, la verità è che la riforma elettorale servì unicamente a rendere meno ancorati al territorio i vari candidati, e a restringere le possibilità di scelta dell’elettore. Per il resto, la composizione politica del Parlamento rimase più o meno identica alla precedente, nell’impossibilità di formare una vera maggioranza, e quindi con alleanze che costringevano poi a non portare a termine nessuna vera riforma (eclatante fu la rottura del primo governo Berlusconi, ove quest’ultimo dichiarò che mai più avrebbe voluto avere a che fare con Bossi, mentre Bossi dal canto suo dichiarò “mai più con la porcilaia fascista”; e puntualmente dopo pochi mesi si riallearono di nuovo, nell’impossibilità di formare una maggioranza di governo).
Le ultime riforme elettorali, dal Porcellum o al Rosatellum, non hanno avuto altri effetti se non di impedire agli elettori di scegliere i propri candidati, e complicare il meccanismo elettorale in modo da rendere possibili brogli e impedire ai partiti di minoranza di avere una loro rappresentanza, sia pure minima (questo fenomeno però non è nuovo; la prima legge elettorale per taroccare i risultati, infatti, fu approvata dalla Dc ai tempi della prima legislatura, tanto che tale legge fu denominata, appunto “legge-truffa”). Ma la più grossa assurdità di queste elezioni è che il Parlamento attuale, sorto a seguito di una legge dichiarata incostituzionale dalla stessa Corte Costituzionale, è da considerarsi giuridicamente illegittimo. Questo Parlamento illegittimo ha modificato a sua volta la legge elettorale (che quindi, per la proprietà transitiva, è da considerarsi anch’essa illegittima, come qualsiasi legge sia stata votata da questo Parlamento) e quindi avremo un Parlamento, quale che esso sia, a sua volta illegittimo. Un Parlamento instabile è infatti ciò che è necessario a chi detiene veramente il potere (cioè le élite economico-finanziarie internazionali) per garantirsi quell’instabilità politica, necessaria per continuare a perpetuare il proprio piano internazionale di globalizzazione del mondo e di accentramento di tutti i poteri politici e finanziari in un vertice unico.
(Paolo Franceschetti, “Cosa succederà dopo le prossime elezioni?”, dal blog “Petali di Loto” del 28 febbraio 2018).
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SUL FONDO DELLA FOSSA BIOLOGICA IN CUI SIAMO FINITI


7 mar 2018 14:02

VIDEO! "SGARBI, SEI UNA PROSTITUTA POLITICA DI BASSO LIVELLO", "E TU SEI UNA PUTTANA REALE" - SCAZZO EPICO TRA SCANZI E IL CRITICO: “HAI CAMBIATO PIU’ PARTITI CHE MUTANDE. NON TI HA VOTATO NEANCHE IL GATTO, CONTI MENO DI ALFANO” – “SCANZI, SEI UN MORTO DI SONNO CHE NON SI CANDIDA E FA POLITICA. FAI CAGARE” – IL FINALE IN CRESCENDO DEL VECCHIO SGARBONE: "SEI UN FINOCCHIETTO, ROTTO IN CULO…"

http://www.dagospia.com/rubrica-2/media ... 168751.htm


Sgarbi ha dichiarato la scorsa settimana che il prossimo capo di Forza Merli, sarà lui.



CI ATTENDONO GIORNI SPLENDIDI
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.....IL PUNTO DI VISTA DI CARPEORO..


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Carpeoro: elettori beffati, la sovragestione ha vinto ancora


Scritto il 08/3/18 • nella Categoria: idee Condividi
La sovragestione tutto vuole, in Italia, meno che un governo forte. Qualunque governo le sta bene, purché sia debole, ricattabile e compromesso. In che senso compromesso? Era assolutamente chiaro che Di Maio era andando a chiedere la benedizione di ambienti americani – che lo hanno abbastanza snobbato, ma che comunque sono sempre pronti a cavalcarlo, se atto alla bisogna (come hanno fatto con Berlusconi: gli ambienti delle Ur-Lodges hanno snobbato nella stessa misura Berlusconi e Renzi, e sono ampiamente disponibili a snobbare anche Di Maio, pur gestendolo – quello non è un grosso problema). Di Maio è andato a chiedere la benedizione di costoro, e quindi è compromesso a tutti gli effetti. Forse lo era già prima, nel senso che le relazioni americane rispetto al Movimento 5 Stelle ci sono ben note. La Bonino è compromessa da tempo, tant’è vero che i suoi ultimi anni di convivenza con Pannella sono stati costituiti di esclusivamente di dissapori, e non di accordo e coesione politica. E quindi tutto quadra. Adesso Renzi, che ha capito di esser stato giocato, vuol mettersi un attimo di traverso (per cui verrà messo immediatamente a tacere).
D’altro canto, se avesse avuto i numeri per governare l’altra componente, il centrodestra, non sarebbe cambiato assolutamente nulla: nel senso che Berlusconi è compromesso, mentre Salvini era assolutamente pronto ad allinearsi alla sovragestione. Lo dimostra il fatto, ad esempio, che proponga una politica sull’immigrazione che è stranamente simile a quella di Donald Trump, che in realtà è una non-politica dell’immigrazione. Fatte queste premesse, probabilmente la sovragestione avrà il risultato che più le aggrada. Se si dovesse fare – cosa che ritengo improbabile – un governo del centrodestra, avrebbe un governo pronto ad assecondarla. Se si dovesse fare un governo “Bonino, Pd, 5 Stelle”, idem: avrebbe un governo pronto ad assecondarla. L’unico risultato che la sovragestione non vuole è che si torni a votare, perché la esporrebbe al rischio di trovare uno sbocco, per l’Italia. Ma intanto sono sicuro che gli italiani, ancora una volta, non avranno nessun risultato che sia coerente con il loro voto.
Non potranno averlo, un risultato coerente con il voto appena espresso, a meno che la base dei 5 Stelle non si metta di traverso e punti i piedi per tornare a votare – ma vedo che in questo momento non ce ne sono i presupposti. A questo punto vedremo se i 5 Stelle sanno o non sanno governare – perché noi questa riprova, oggi, non l’abbiamo. Io ho le mie idee, sul Movimento 5 Stelle, ma sono prontissimo a rivederle, se governassero bene. Il problema è che non ne avrà la riprova, perché i 5 Stelle non potranno governare: se lo faranno, governeranno “sotto scopa” e in un ambito di piena sudditanza alla sovragestione. Se non governeranno, dovranno affilare le armi e governerà qualcun altro, che sarà ugualmente prono al fatto che noi veniamo tranquillamente gestiti da lobby finanziarie e paramassoniche, che regoleranno i loro interessi sulla nostra pelle.
(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti nella diretta web-streaming “Border Nights” del 6 marzo 2018. Con il termine “sovragestione”, Carpeoro – autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, edito da Revoluzione – intende i massimi poteri economico-finanziari internazionali, collegati a precisi settori dei servizi segreti atlantici, regolarmente incaricati di operazioni di manipolazione e disinformazione, fino alla guerra e alla strategia della tensione che utilizza manovalanza islamista).
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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Il potere vota Di Maio. Scalfari: è il nuovo leader, a sinistra


Scritto il 07/3/18 • nella Categoria: segnalazioni Condividi

Per Marco Travaglio, a dare spettacolo è il noto sport nazionale: correre in soccorso dei vincitori. Sempre che i soccorritori, in questo caso, non siano i terminali italiani degli azionisti-ombra dei 5 Stelle, tranquillizzati in anticipo da Luigi Di Maio nei santuari del sommo potere, da Londra a Washington, prima ancora di presentare una lista iper-rassicurante di possibili ministri tecnici, a partire dal neoliberista Fioramonti, il cui curriculum contempla nomi come Rothschild, Rockefeller e Soros. «I poteri forti si riposizionano», titola il “Fatto Quotidiano”. O meglio: forse rendono palese ciò che prima era nascosto, e cioè che il successo firmato Di Maio fosse, fin dall’inizio, il loro Piano-B. Ovvero: non l’imbarazzante avanzata di una forza “antisistema”, ma il prevedibile boom di un’ala “populista” del sistema stesso, adatta a drenare il dissenso sociale di un’Italia in crisi. Da Marchionne a Confindustria, la convergenza su Di Maio si è fatta aperta e spettacolare, quasi quanto quella di Eugenio Scalfari, decano del “quarto potere” italico. Per il fondatore di “Repubblica”, che pochi mesi fa ai 5 Stelle avrebbe preferito persino l’odiato Berlusconi, oggi di Di Maio non è solo il legittimo capo del prossimo ipotetico governo, ma addirittura il leader del nuovo, grande partito unico della sinistra italiana, destinato a inglobare e assorbire lo stesso moribondo Pd. Questione di parole: sostituendo “sinistra” con “potere”, il cerchio si chiude.

Ai tempi del governo Letta, Scalfari cenava nella sua casa romana col primo ministro, insieme a Napolitano e Draghi. Verrà presto il turno dell’ex impresentabile Di Maio? La prima sterzata è di Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria: «La vera Luigi Di Maiomissione è il lavoro», aveva scandito il 16 febbraio: no, dunque, a chi «pensa di garantire un reddito a chi sta a casa invece di creare lavoro». Ma il 6 marzo, due giorni dopo il voto, Boccia apre a un possibile esecutivo pentastellato: il Movimento 5 Stelle «è un partito democratico, non fa paura». E il vituperato reddito di cittadinanza? «Bisogna vedere cosa hanno veramente in mente di fare, quanto è la quota in termini di costo per lo Stato e quindi quanto incide dal punto di vista di deficit e debito pubblico». Una proposta da valutare, dunque: non più da bocciare a priori. «Paura del M5S? Ne abbiamo passate di peggio», conferma il numero uno di Fiat Chrysler, Sergio Marchionne, già grande sponsor di Monti e Renzi. «Salvini e Di Maio non li conosco», precisa. Però assicura: «Non mi spaventano». Attenzione e rispetto, fino a ieri impensabili: «Al posto dei 5 Stelle comincerei a preoccuparmi seriamente», dice Travaglio a “Di Martedì”, su La7, dimostrando di credere nella “diversità” sostanziale dei grillini e nella buona fede di Di Maio, estraneo al grande gioco dei poteri che condizionano l’Italia.

E a proposito di massimi poteri, ecco Eugenio Scalfari. Protagonista, sempre nella trasmissione di Floris, del più clamoroso dietrofront: Di Maio non va solo sdoganato come possibile premier, ma addirittura incoraggiato come leader politico strategico, faro illuminante del nuovo centrosinistra del terzo millennio. In premessa, una constatazione: il boom grillino si spiega solo col travaso di voti in fuga da un Pd inguardabile. Dunque, il cuore del Movimento 5 Stelle è “di sinistra” (perlomeno nell’accezione di Scalfari, che ha tifato per Prodi e Monti, Letta e Gentiloni). Quattro mesi fa, ricorda il “Fatto”, aveva detto che tra Silvio Berlusconi e Luigi Di Maio avrebbe scelto il primo, scatenando le ire di Carlo De Benedetti. Oggi, la verità di Scalfari è capovolta: «Chi sceglierei fra Di Maio e Salvini? Un tempo li consideravo uguali. Nel senso che non si votano. Perché erano al centro uno della chiusura e l’altro del populismo, il movimento grillino. Oggi tra Salvini, che è quello di prima, e Di Maio che sembra radicalmente cambiato, sceglierei Di Maio». Il leader grillino, dichiara Scalfari, «ha dimostrato Scalfariun’intelligenza politica notevole, perché di fatto il Movimento è diventato un partito. Lui addirittura ha steso la lista dei ministri e l’ha voluta portare al Quirinale».

E attenzione: «Facendo un’alleanza con il Pd non è che ci sono due partiti, diventa un unico partito: Di Maio è il grande partito della sinistra moderna», nientemeno. «Allora la faccenda cambia: se lui diventa la sinistra italiana voterò per questo partito». E se la somma di 5 Stelle e Pd «diventa un partito di maggioranza assoluta, Mattarella ha un governo che ha la maggioranza assoluta». Renzi ha detto di no? «Ma Di Maio non parla di alleanza con Renzi ma di alleanza con il Partito Democratico», che attualmente «è in uno stato di abbattimento, e l’abbattimento porta alla confusione: il Pd è un partito confuso». Non come Scalfari, che invece ha le idee chiarissime, evidentemente, sull’aria che tira ai piani alti: i 5 Stelle come perno del nuovo baricentro di potere, euro-friendly, destinato a imporre all’Italia la stessa, invariabile agenda degli ultimi vent’anni. Sempre nello studio di Floris, alcuni eminenti discepoli – da Massimo Giannini a Vittorio Zucconi – correggono timidamente il maestro: più che la sinistra, la trasversalità del Movimento 5 Stelle ricorda la capacità della Dc di esprimere tutto, dalla sinistra alla destra, passando per il centro. Ma se Scalfari voleva lanciare un missile, ci è riuscito benissimo: chiunque spera di organizzare barricate contro Di Maio (in primis Renzi) si tolga dalla testa di avere il consueto appoggio della grande stampa. Renzi si accomodi a casa, e i rottami del Pd si mettano agli ordini di Di Maio. Non temano, i neo-convertiti al grillismo post-voto: i “giornaloni” li tratteranno con affettuosa indulgenza (applaudendo in primis Mattarella, se benedirà la strana alleanza degli ex acerrimi nemici).
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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Quirinale: ‘Responsabilità per interesse del Paese’
Salvini: ‘Chiederemo voto in Aula su programma’


L’appello del presidente della Repubblica in occasione dell’8 marzo. Il leader leghista: “No ad accordi
organici con i partiti. Faremo proposte su punti”. Rosato: “Renzi non correrà alle prossime primarie”

Elezioni Politiche 2018

“Non penso ad accordi con partiti. Stiamo lavorando al programma che offriremo ai parlamentari, al Parlamento. Su alcuni punti vedremo chi ci dà una mano a portarli avanti e chi invece dice di no a prescindere. Quindi niente accordi organici né col Pd né coi 5 Stelle né con la Boldrini”. Così il segretario della Lega, Matteo Salvini, ha ribadito la volontà di arrivare a un governo di centrodestra. Prima della formazione del governo, “ci sono i presidenti di Camera e Senato da eleggere, noi avremo le nostre proposte e vediamo chi ci sta – ha spiegato – siamo la prima coalizione e non ci hanno chiesto di stare alla finestra a guardare”
di F. Q.

•NEL PD MANOVRE PERCHE’ M5s POSSA FORMARE GOVERNO (DI CASTIGLIANI E PIPITONE) •L’EX SEGRETARIO ORMAI SOLO E LASCIA. LUNEDÌ LA DIREZIONE

•NUOVI ELETTORI M5S? MODERATI E COL POSTO FISSO (DI D. PRETINI)

•Conti pubblici, vicepresidente Ue: “Le proposte della Lega? L’Italia mantenga politiche di bilancio responsabili”

•Draghi avverte: “Il bilancio pubblico è di massima importanza nei paesi ad alto debito”

•Pd, Orlando: “Accordo con il M5s? Una trovata mediatica di Renzi per non discutere di una disfatta storica”

•Sala: “Renzi si faccia da parte con chiarezza. Futuro della sinistra? Serve un modello Milano”
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