Diario della caduta di un regime.

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Re: Diario della caduta di un regime.

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10 gen 2017 20:45

ESCLUSIVO! "OCCHIONERO? IO LO CONOSCO BENE"

– ‘’ABITAVA A VIGNA CLARA E LA NOTTE GIRAVA PER I LOCALI DI PONTE MILVIO E PER I RISTORANTI DEI PARIOLI

- UN TIPO GENIALOIDE, MOLTO SERIO, NON PROPRIO DOTATO DI SIMPATIA, UN NERD INTROVERSO CHE LAVORAVA PER BANCHE D’AFFARI ITALIANE E STRANIERE COSTRUENDO ALGORITMI PER CREARE I FAMOSI DERIVATI..." -




DAGOREPORT

“Sì, mi ricordo: era il 2008, in un albergo di Porto Cervo si erano dati appuntamento un po’ di gioventù romana per un aperitivo. Lo conoscevo perché Giulio abitava a Vigna Clara, dalle parti di piazza dei Giochi Delfici, e la notte girava tantissimo per i locali di Ponte Milvio e per i ristoranti dei Parioli (“Al Caminetto”, per esempio). Gran frequentatore del Circolo Canottieri Roma, aveva passaporto americano, parlava perfettamente inglese e all’epoca aveva una storia con una ragazza russa molto carina.

Figlio di professori universitari – la madre docente alla Sapienza, il padre docente in una università americana - Giulio era un tipo genialoide, molto serio, non proprio dotato di simpatia, amava scivolare sul windsurf… Ecco: un nerd introverso che si era laureato con lode in ingegneria nucleare, specializzato in statistica e matematica finanziaria. Lavorava infatti per banche d’affari italiane e straniere – anche il Monte dei Paschi, credo - costruendo algoritmi per creare i famosi derivati.


Guadagnava molto e a un certo punto mise su una propria società di intermediazione finanziaria. La sorella no, non si vedeva in giro la sera: era sposata con un chimico. Oggi, leggendo i siti, la cosa che ho colpito tutti noi è il suo interesse verso la politica. Forse, anzi, quasi sicuramente era uno orientato a destra ma non ne ha mai parlato. Dal 2010 non l’ho visto più in giro. C’è chi dice – ma non so se è vero - che si era trasferito in periferia, alle Porte di Roma”.
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IL FATTO QUOTIDIANO |Mercoledì 11 Gennaio 2017

S P I AT I Dall’ex premier a Draghi al Vaticano, dai massoni alla Gdf: ignoti i committenti
I fratelli hacker spiavano Renzi&C.
Mistero su migliaia di mail criptate

In almeno sei anni di attività erano arrivati a detenere una banca dati di 18 mila profili conservati e schermati su server americani. Indaga anche l’Fbi

L’INCHIESTA
Polizia postale
Giulio e Francesca Maria
Occhionero sono entrati
nelle email di Renzi, Monti,
Draghi e dei vertici dei Servizi
Erano attivi fin dal 2010
Arrestati i fratelli hacker:
“Spiavano politici e potenti”



»VALERIA PACELLI
A giugno del2016, una coppia di hacker ha tentato almeno due volte di entrare nella mail dell’ex premier Matteo Renzi, ma anche nei database del suo sito e del Partito democratico. E non c’è solo il segretario dem nella lunghissima lista di account che sono stati “oggetto di tentativi di infezione, più o meno riusciti”da parte di Giulio Occhioneroe di sua sorella Francesca, arrestati ieri con l’accusa di accesso abusivo ad un sistema informatico. Ai due è riconducibile la società Westland Securities che ha fornito consulenza al governo statunitense, in un’operazione commerciale per la costruzione di infrastrutture nel porto di Taranto. Al centro della presunta rete di spionaggio, ci sarebbe un sistema che permetteva di entrare nei pc altrui. In sostanza, si trattava di una mail che conteneva un file infettato: una volta aperto l’allegato, sui vari computer veniva installato un sistema che consentiva di accedere alle informazioni. Giulio Occhionero “riceveva regolarmente sul suo pc i dati che il m alwa re carpiva alle vittime”che poi venivano custoditi su server negli Stati Uniti. L’indagine partita dalla denuncia dell’E n av Ma chi di mail ferisce, di mail perisce. Perché tra i malcapitati, c’è anche il responsabile dell’Ente nazionale per l'assistenza al volo, Enav, che quando ha visto una mail sospetta ha subito informato il Cnaipic, il Centro nazionale anticrimine informatico della polizia postale. A marzo è partita l’indagine. Così è stato scoperto un elenco di 18.327 username,di cui 1793 corredate da password, divise in 122 categorie: politica, affari, massoneria. Ma perché i due raccoglievano queste informazioni? Per se stessi o per altri? Anche questo sarà oggetto dell’interrogatorio di garanzia che si terrà oggi davanti al gip Maria Paola Tomaselli e al pm Eugenio Albamonte. MalaProcura per ora ha un ostacolo da superare: non si riesce ad accedere al contenuto delle informazioni custodite nei server americani. In altre parole, si sa che sono stati attenzionati due account email dell’ex premier Mario Monti ma anche del generale Paolo Poletti, ex vicedirettore dell’Aise, i Servizi segreti esteri, ma non se ne conosce il contenuto. Si attendono quindi gli esiti di una rogatoria in America. Dal Grande oriente al Vaticano Tra i pc “compromessi”dal malware ci sono anche usati da due collaboratori del cardinale Gianfranco Ravasi, come pure ci sono quelli di due dipendenti della società di costruzioni Pulcini, o di un dirigente della Regione Lazio. Ma Giulio Occhionero era anche interno agli ambienti della massoneria: co
me riporta il gip, è membro della loggia ‘Paolo Ungari – Nicola Ricciotti Pensiero e Azione’di Roma”, una delle logge del Grande Oriente d’Italia (Goi). Secondo fonti investigative Occhionero stava tentando una scalata proprio all’interno della loggia, cercando anche appoggi tra i membri. Nel suo pc inoltre è stata trovata una cartella denominata Bros, ossia b r others, fratelli, con i nomi tra gli altri di Stefano Bisi (Gran Maestro della Massoneria del Goi) e Franco Conforti (presidente del Collegio dei Maestri Venerabili del Lazio).
Il legame con la P4 Bisignani: non lo conosco Secondo il gip vi è un altro aspetto da chiarire: “Una versione del virus diffusa alla fine del 2010 i dati carpiti dalle macchine compromesse venivano inviati”a varie mail. Tra queste cita purge626@gmail.com, che era già stata oggetto di una richiesta a Google della Procura di Napoli, nell’ambito dell’indagine sulla P4. Nell’ordinanza, riferendosi a questo indirizzo email, il gip scrive che “s arebbe collegato a operazioni di controllo da parte di Bisignani nei confronti dell'onorevole Papa e delle Fiamme Gialle”. Luigi Bisignani smentisce: “Tali accuse non mi sono mai state mosse dai pm di Napoli. Non ho mai spiato nessun o”. Inoltre nega di aver mai conosciuto Giulio Occhionero.
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Figli di Trojan, come due spioni possono infettare vip ed enti pubblici /1


di Umberto Rapetto | 11 gennaio 2017

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La cronaca ci parla di un plateale Ko di due criminali telematici, finiti al tappeto – nomina sunt homina – entrambi con un occhio tumefatto. I signori Occhionero sono balzati sullo schermo televisivo e sul display di smartphone, tablet e computer, incastrati al termine di una lunga indagine e soprattutto inchiodati dalle 47 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare. Intere generazioni di spie e di hacker, che hanno sudato sette camicie per guadagnarsi un briciolo di notorietà, sono stati mortificati brutalmente da imprevedibili Bonnie e Clide del bit. Ma cosa è successo davvero?

Chi si aspetta la solita risposta tranchant, quella che deve stare in un minuto di servizio del TG o in duecento battute virgolettate dell’intervista su carta, purtroppo stavolta non sarà accontentato. Una storia del genere merita di essere assaporata con la massima calma, ma soprattutto deve essere ricostruita in un linguaggio e in una modalità accessibili anche a chi è fortunatamente digiuno di tecnologie, di indagini, di misteri.

Questo post somiglia a certi acquisti del periodo natalizio. E’ a rate. Una rateazione senza sorprese, se non quella – legittima – del “ho capito anch’io” esclamato dall’immancabile “scettico blu”.


Il primo step riguarda alcune considerazioni sulla platea dei soggetti presi di mira, il cui elenco sembra aver sbalordito l’opinione pubblica. La lunga lista di “Very Important Person” è fin troppo scontata: avremmo dovuto restare stupefatti se il target fosse stato rappresentato dal verduriere sotto casa, dall’edicolante all’angolo della strada, dal benzinaio lungo il viale, dal pensionato del piano di sopra.





Le persone “catalogate” nella progressiva azione di costante spionaggio ed ininterrotta archiviazione sono tra loro concatenate: il ruolo istituzionale, lo status sociale, le condizioni economiche e la posizione di spicco in un contesto aziendale rendono probabile la compresenza nella medesima rubrica telefonica o di indirizzi di posta elettronica. Chi immagina il puntuale assalto dei personaggi “uno ad uno”, sbaglia. Chi opera con certi grimaldelli digitali si limita a prendere di mira un tizio di interesse e da lì, come in certe sfortunate cordate di alpinisti, “tira giù” tutti quelli che gli sono a qualunque titolo legati.

Tutto comincia con la scelta del tallone d’Achille e della tecnica per entrare nella vita della vittima prescelta. Il punto debole non sta sotto la caviglia, ma nella tasca o nella borsa del bersaglio: smartphone, tablet e computer portatili e da scrivania. Chiunque ha un dispositivo elettronico che lo accompagna ovunque e cui sono affidate informazioni più o meno riservate.

Capito “dove” colpire, si passa rapidamente al “come”. Il dardo avvelenato di maggior efficacia è rappresentato dallo sconfinato arsenale di “malware”, ovvero i “malicious software” o programmi dalle venefiche capacità operative. Una manciata di istruzioni nocive sono capaci di “narcotizzare” gli strumenti di lavoro e di farli sfuggire dal regolare controllo di chi ne è legittimo possessore o utente. In pratica chi vuole colpire il suo avversario – per poi, violandone la riservatezza, depredarlo di dati e notizie – deve riuscire ad installare il malware sull’apparato nel mirino.

Le modalità per “infettare” ricordano le pagine dell’Odissea ed evocano il ricorso a virtuali “cavalli di Troia”, dizione storicamente adoperata per identificare i malvagi programmini pronti a fregare il destinatario del dono. La trappola è nascosta in un allegato ad una mail apparentemente innocua, oppure in una App gratuita che viene consigliata da un presunto amico, o in tanti altri modi idonei a veicolare fregature bestiali.

Il malcapitato non riconosce l’inghippo, fa clic con il mouse sulla “graffettina” che identifica l’annesso al messaggio o magari non esita ad installare la fatidica applicazione per il moderno telefonino intelligente ma non troppo. Il file allegato o la App si aprono e si comportano in modo esteriormente corretto, ma – dribblando le protezioni – entrano in azione e mandano a segno la propria missione illecita.

Cellulare, palmare o computer ingurgitano in totale incoscienza i codici malevoli, ricevono ordini che l’utente non ha mai impartito, spalancano la via a chi vuole sottrarre qualsivoglia contenuto, registrano quel che viene digitato sul touch screen o alla tastiera.

In pratica il dispositivo diventa uno “zombie”, ubbidisce a chi ha predisposto l’insidioso malware, si lascia scappare copia dei documenti memorizzati o delle mail spedite o ricevute, mette in funzione la webcam o la videocamera del telefonino e filma quel che rientra nella sua visuale, attiva il microfono di portatile/tablet/smartphone improvvisandosi microspia ambientale, e così a seguire.

La vittima non ha scampo. E deve sperare che l’unico file installato sul suo computer sia solo quello del virus. Eh, già. Perché un vero malintenzionato potrebbe non accontentarsi di piazzare le istruzioni, ma inserire cartelle e file (di qualunque genere, magari materiale pedopornografico) che il proprietario di quell’arnese non ha mai nemmeno immaginato potessero esistere… Ma su questo “dettaglio” torneremo in una prossima puntata di questo sequel…

Fermiamoci qui.

Tranquilli, non mi farò attendere.

(continua)





di Umberto Rapetto | 11 gennaio 2017
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Figli di Trojan: come, a furia di spiare, si diventa spiati /2
di Umberto Rapetto | 12 gennaio 2017

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[continua da qui]

Viene legittimamente da chiedersi da dove e perché saltino fuori questi dannati malware. E, lo si stenterà a credere, l’humus di questo genere di prodotti è il contesto giudiziario che rappresenta un importante committente e al tempo stesso un alibi per il mercato.

Le Procure della Repubblica se ne servono per le indagini più impegnative (non faccio mistero dei tanti fondati dubbi di legittimità di questo modus operandi – che personalmente non ho mai utilizzato né genericamente “approvato”, ma mi riservo di rinviare il tema ad una delle future tappe di questa chiacchierata). Le software house, da parte loro, li producono dichiarando la speranza di venderli ad articolazioni territoriali della giustizia e non disdegnando di collocarli su un più redditizio mercato parallelo (senza arrivare al crimine organizzato, ci si può accontentare di qualche Paese poco democratico…. Hacking Team docet).
In termini pratici il mercato non manca di opportunità e poi mille artigiani della programmazione informatica sono sempre pronti a confezionare soluzioni sartoriali. Non bastasse, banditelli di qualunque taglia – simili a vecchi druidi – mescolano righe di codice per pozioni dannose da somministrare personalmente o conto terzi al primo computer che capita.

Nelle viscere della Rete insediamenti dell’underground computing (deepweb o darknet direbbero quelli “più giovani”) non esitano – simili all’Ikea – a proporre gratuitamente o a pagamento kit fai-da-te per costruirsi autonomamente un malware o combinare altri guai… Ognuno può personalizzare il proprio malware, provvedendo direttamente o commissionando a qualche esperto il confezionamento di quel che gli serve. Il malware soddisfa le pretese anche dei più esigenti e non di rado fa anche qualcosa di più rispetto quel che è stato richiesto o quella che è stata dichiarata come dinamica di funzionamento.

Il programmatore, infatti, non si accontenta del corrispettivo pattuito e si riserva sempre la possibilità di ottenere una sorta di “mancia”. Cosa fa? Semplice. Combina la procedura in maniera tale da ottenere una copia del materiale che verrà sottratto e il privilegio di servirsi a proprio uso e consumo del varco aperto dal suo committente nel dispositivo aggredito. Lo “smanettone” non si preoccupa certo di distinguere la natura del committente, né lo scopo – più o meno nobile – che anima chi si serve della sua “creatura”.

Nessuno infatti è in grado di sapere cosa facciano effettivamente i “trojan” (espressione gergale appioppata a questo tipologia di programmi spia) adoperati per finalità di indagine dalle Forze dell’Ordine o dalla magistratura. Si corre addirittura il rischio (ma spero di esagerare) che in questo sconfortante stato di cose il programmatore o la software house abbiano automaticamente il monitoraggio (o il controllo) delle investigazioni in corso o comunque si trovino ad accompagnare zitti zitti chi si occupa dei casi più delicati.

Lo spionaggio dello spionaggio, che meraviglia….

I malware in questione vengono comprati a scatola chiusa e non sono accompagnati dal classico foglietto illustrativo dove si riportano le controindicazioni dei medicinali. Non esiste un albo certificato dei fornitori selezionati, come vorrebbe giustamente il procuratore capo di Torino Armando Spataro, e ancor meno esiste un “bollino” a garanzia dell’affidabilità di prodotti e servizi tecnici (che sarebbe bello venissero ideati, sviluppati, realizzati e gestiti direttamente da strutture statali e non da privati).

Chi, quindi, può entrare più o meno prepotentemente nella nostra vita, insinuandosi negli strumenti che ci assicurano il tanto ambito “stay connected”? Esiste un mandante? Qual è la finalità di simili azioni?

Le domande si moltiplicano rapidamente. Facile a prevedersi. Proprio per questo ci si ritrova a brevissimo su queste pagine per proseguire la chiacchierata che prenderà spunto anche da osservazioni, commenti, curiosità e opinioni di chi ci legge.

(continua)
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Re: Diario della caduta di un regime.

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I dossier ordinati dalla Cia. Ecco la rete Usa degli spioni

I servizi americani dietro le intrusioni elettroniche. L'ufficio di Giulio Occhionero alla Dover Air Force Base

Chiara Giannini - Gio, 12/01/2017 - 08:11

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C'è la Cia, ovvero la Central Intelligence Agency americana dietro alle malefatte di Giulio e Francesca Maria Occhionero, i due fratelli romani accusati di aver spiato per anni le caselle di posta elettronica di numerosi politici, economisti, funzionari istituzionali: di questo sarebbero convinti gli inquirenti che stanno indagando per ricostruire il difficile puzzle che ha scosso le fondamenta dei palazzi romani.

E, in effetti, i collegamenti degli Occhionero con gli Usa sono ben più che semplice gossip. Il nome di Giulio Occhionero compare su diversi siti legato a un'attività situata a Dover, nello stato del Delaware, presso la Dover Air Force Base, la stessa dove, si dice, a bordo di un aereo della Cia, fu trasportato, nel 2012, il corpo di Osama Bin Laden, il leader di Al Qaeda, dopo che era stato ucciso e da dove fu poi spostato per essere esaminato dall'istituto di patologia di Bethesda, nel Maryland, secondo fonti vicine a Wikileaks. Su internet si legge che l'azienda di Giulio Occhionero appartiene alla categoria «fornitori di computer e attrezzature industriali per ufficio». La mail fornita, guarda caso, è quella della Westlands securities, società che ha sede a Wilmington, sempre nel Delaware, a un'ora e mezza di auto da Dover.

C'è di più, perché i due fratelli sono legati a doppia mandata con l'America. Francesca Maria ha cittadinanza americana, mentre Giulio, al di là dei contatti per affari, anche in Italia si faceva vedere spesso con esponenti dell'entourage Usa. C'è una foto che lo ritrae assieme all'ex ambasciatore americano a Roma, Mel Sembler. Inoltre, la Westlands Securities, che risulta avere una sede in piazza Navona, nella Capitale, a palazzo Braschi, dal 2002 al 2006 è stata associata del Centro di studi americani.

E poi c'è un gioco di scatole cinesi che non finisce più. Basta andare sui motori di ricerca inglesi, specializzati in collegamenti societari, per risalire al fatto che la società dei due fratelli romani, prima di aprire una sede a Londra, veniva controllata da altre due società: una londinese e una di Turks and Caicos, nelle Antille. La Westlands è registrata in California e risulta collegata alla International company services di Malta, alla Marshen Corporation Llc, che ha sede nel Delaware e, infine, alla Homeric Limited, nelle Antille, coinvolta nello scandalo Bahamas Leaks sui conti offshore. Alla Westlands Securities risultano collegate la Westland suppplies Ltd, con sede nello Yorkshire, la Westlands supported accomodation limited, con sede nel Somerset la Westlands trading Ltd, nello Staffordshire, la Westlands Trust, di Torquay, la Westlands Willesborough Limited, di Ashford, nel Kent, la Westlane apartments LLp, nello Yorkshire, la Westlands Salt and Winegar Limited, con sede nello Worchestershire, la Westlands Rtm company limited, con base nel Surrey, la Westlands Road 1952 Limited, nello Staffordshire, la Westlands retirement home Ltd, nel Devon e la Westlands residential home ltd di Chelmsford, ancora in Gran Bretagna.

Dicevamo che Francesca Maria è nata in Usa, dove la madre, Marisa Ferrari, ordinaria di sociologia all'Università La Sapienza di Roma era spesso per lavoro e dove anche il padre Franco, anch'egli professore originario di Bologna, astronomo e matematico, ordinario anche lui all'università romana e membro della American astronomic society, si recava di frequente. Franco Occhionero era divorziato dalla moglie ed è morto alcuni anni fa. I soldi che sono serviti per creare la Westlands securities arrivano proprio da Marisa Ferrari, che pare mise 600mila euro per la costituzione della società, di cui un tempo deteneva il 2 per cento.

Ma perché la Cia avrebbe interesse ad acquisire informazioni su un così ampio numero di italiani? Pare, secondo ambienti vicini agli inquirenti, che siano «semplici» fini di spionaggio internazionale. Insomma, sapere l'andamento dell'Italia per prevedere anche mosse economico finanziarie e agevolare qualcuno nel controllo dei mercati. Ma questa è storia dei prossimi giorni.
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Re: Diario della caduta di un regime.

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12 gen 2017 09:25

“HO SOTTOVALUTATO LA PORTATA DELL’INCHIESTA”


- IL CAPO DELLA POSTALE, ROBERTO DI LEGAMI, SILURATO PER I SILENZI SULLE CYBERSPIE, SI DIFENDE: “NON ERA POSSIBILE ACCERTARE SE I TENTATIVI DI INTRUSIONE AVESSERO AVUTO SUCCESSO”


- MA C’E’ UN’ALTRA VERITÀ: DI LEGAMI ERA PREOCCUPATO PER IL COINVOLGIMENTO DEL POLIZIOTTO MASSONE, MAURIZIO MAZZELLA





Carlo Bonini per “la Repubblica”


In una storia in cui non c’è una sola cosa che sembri aver girato nel verso giusto — vertici istituzionali, apparati dello Stato, società strategiche, banche centrali, aggredite informaticamente per sei anni senza che lo spyware degli Occhionero venisse individuato — ce ne è una, italianissima, più storta delle altre. Insieme grottesca e inquietante. Che lo Stato fosse sotto attacco è notizia che, fino alla mattina di martedì, quando gli arresti sono diventati di dominio pubblico, è stata taciuta al Capo della Polizia, ai vertici della nostra Intelligence, all’autorità politica.


Per otto mesi, è faccenda rimasta nella esclusiva disponibilità, oltre che della Procura della Repubblica di Roma, del direttore della Polizia postale, Roberto Di Legami, che ha ritenuto di non doverla condividere con nessuno. E che, per questo, martedì sera è stato rimosso in tronco dal suo incarico.


Raccontano ora che, martedì, di fronte alla sua catena gerarchica, Di Legami, un passato alla Omicidi a Palermo, un periodo ad Europol all’Aja, e soprattutto una storia professionale priva di qualsiasi attitudine specifica in materie informatiche, abbia farfugliato. E che, incapace di trovare un argomento plausibile in grado di giustificare il suo silenzio, durato appunto otto mesi, abbia semplicemente e candidamente ammesso di aver «sottovalutato la portata dell’inchiesta».


Di più: di non essersi neppure posto il problema delle implicazioni per la sicurezza nazionale, dell’opportunità, tanto per dire, che gli “aggrediti”, a cominciare dal Presidente del Consiglio e dal Presidente della Bce, venissero avvertiti dei rischi che stavano correndo, e questo «perché non era stato possibile accertare se, effettivamente, i tentativi di intrusione avessero avuto o meno successo».


Possibile? È un fatto che solo venerdì della scorsa settimana, per la prima volta da quando l’indagine è cominciata e con la certezza che siano ormai imminenti gli arresti degli Occhionero, Di Legami avverta l’esigenza di informare il suo superiore gerarchico, Roberto Sgalla, direttore centrale della Direzione delle “specialità” di quanto è accaduto e sta per accadere. È un colloquio che, ricostruito a posteriori, ha un tratto surreale.


Di Legami appare infatti preoccupato non tanto di aver messo le mani su un verminaio le cui implicazioni politiche e istituzionali sono facilmente immaginabili, quanto della circostanza che, nell’inchiesta, sia coinvolto per favoreggiamento tale Maurizio Mazzella, poliziotto massone della Stradale di Sala Consilina, già sospeso disciplinarmente dall’agosto dello scorso anno, cui Giulio Occhionero si è appoggiato per raccogliere informazioni sul conto del pubblico ministero che lo indaga, Eugenio Albamonte. Che,insomma, a tormentarlo siano i rischi per il buon nome della Polizia e non lo svelamento della fragilità del nostro sistema di difesa dagli attacchi informatici.

È un fatto che, venerdì, la frittata sia ormai stata fatta. E che, quattro giorni dopo, per parafrasare Flaiano, una storia tragica scolori in farsa. Mentre infatti Di Legami passa da una testata giornalistica all’altra per vendere la merce dell’inchiesta del reparto che dirige, discettando di «centri di dossieraggio», un pezzo di classe dirigente del Paese e i vertici del nostro controspionaggio cadono dal pero.



Nessuno, per dire, è in grado di spiegare a Renzi perché, nell’autunno scorso, qualcuno non lo abbia avvisato di evitare di utilizzare l’account mail personale di Apple su cui si era registrato il tentativo di intrusione.



Nessuno è in grado di spiegare al direttore dell’Aisi, il nostro controspionaggio, per quale diavolo di motivo, il 5 ottobre scorso, quando le abitazioni di Giulio e Francesca Occhionero vengono perquisite dalla Polizia Postale — e quando dunque l’indagine non è più un segreto neppure per chi ne è oggetto — nessuno ritenga utile coinvolgere l’Intelligence non fosse altro per verificare chi fossero e per conto di chi trafficassero quegli sconosciuti fratello e sorella di mezza età che da sei anni spiavano i gangli dello Stato.

Persino la Procura di Roma appare frastornata. Che di quanto stava accadendo fosse informato il vertice della Polizia e il Viminale veniva dato, fino a martedì sera, per scontato. Non fosse altro perché all’indagine aveva lavorato il Cnaipic, il Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche, che della Polizia Postale è l’articolazione investigativa.



Ma, appunto, di scontato, in questa faccenda non sembra esserci nulla. Come dimostra un altro curioso dettaglio. Nell’informativa della Postale alla Procura della Repubblica di Roma, quella di cui Di Legami ha ritenuto di non dover informare nessuno, c’è un errore materiale. Il cognome del poliziotto infedele è sbagliato. Maurizio Manzella, si legge. Non Maurizio Mazzella, come di fatto è e come viene documentato alla Procura quando, alla vigilia degli arresti e delle perquisizioni, la sua anagrafica viene corretta. Un banale errore, si dirà. Se non fosse per il profilo di quel poliziotto massone a disposizione di Occhionero e di cui leggete in queste pagine.
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IL KAOS NEL KAOS




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Cyberspionaggio, l’inchiesta di Roma è solo la punta dell’iceberg? Chi sono i consumatori finali?

di Vittorio Pasteris | 11 gennaio 2017

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L’arresto dei fratelli Occhionero da parte della Procura di Roma ha dato risonanza pubblica a quella che probabilmente sarà l’inchiesta di cyberspionaggio più importante della storia dell’Italia visto che coinvolge politici, uomini di azienda, personaggi del Vaticano, massoni. Di tutto di più, per un totale di più di 18mila account spiati, quasi 1800 password rubate, centinaia di terabyte clonati in parte o completamente.

Si tratta di un lavoro enorme di raccolta e immagazzinamento dati per due persone apparentemente fuori dai giri “noti e meno noti” dei truffatori informatici ma che evidentemente avevano dei collaboratori visto il tempo e la “forza lavoro” che un flusso di ruberie informatiche di tal genere richiede. Il materiale rubato è gigantesco e necessita di un approccio massivo all’analisi dei dati, una raccolta a strascico di informazioni che partiva da uno strumento di spionaggio assai banale: ad essere usato, infatti, era un classico malware che, inviato in maniera mirata, scaricato e lanciato, attivava un sistema “spedisci ed immagazzina” informazioni.

Qui Matteo Flora spiega i fatti e l’ordinanza della Procura di Roma.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/01 ... i/3309556/

La prima domanda è: è normale che una serie così ampia di figure apicali del sistema Italia siano così facili da infettare con un malware? La risposta è ovviamente no. Quello che emerge è la scarsa sensibilità degli italiani sui temi della privacy ma soprattutto della sicurezza informatica. Ognuno di noi ha almeno uno smartphone e un personal computer: siamo stati addestrati a proteggerli? Poco e male. In questo caso, poi, il problema è ancora più complesso: i vip politici coinvolti nella vicenda sono stati tutelati abbastanza nella difesa dei loro dati riservati?

Il secondo tema è capire a che cosa e a chi erano destinate tutte queste informazioni. Per elaborarle compiutamente ci vogliono importanti risorse umane e teche che i due fratelli Occhionero difficilmente in prima persona potevano avere a disposizione. Chi saranno stati i “consumatori finali”? E’ possibile che esistano in giro per la rete cloni parziali o totali dei dati rubati?
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Re: Diario della caduta di un regime.

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CADAVERI PER NIENTE ECCELLENTI




13 gen 2017 18:17

''L'UNITA''' AL TERZO FALLIMENTO - RONDOLINO SU STAINO: “SE IL QUOTIDIANO STA PER CHIUDERE LA RESPONSABILITA' PRIMARIA E' DEL DIRETTORE” - STAINO SCARICA SU RENZI: ''CI HA ABBANDONATI'' - MA "L'UNITA'" E' UN GIORNALE MORTO DA ANNI, TENUTO ORA IN VITA COI SOLDI DI PESSINA E DEL PD PUR VENDENDO MENO DI 8MILA COPIE


UN GIORNALE CHE ANNOVERA TRA LE SUE FILA RONDOLINGUA E' DESTINATO OBBLIGATORIAMENTE A FALLIRE.


Da www.radiocusanocampus.it

Fabrizio Rondolino, editorialista dell'Unità, è intervenuto questa mattina ai microfoni di Radio Cusano Campus, l'emittente dell'Università degli Studi Niccolò Cusano, nel corso del format ECG, condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio.


Rondolino ha parlato della crisi dell'Unità: "Sono la persona meno indicata per dire cosa stia accadendo. E' ovvio che se un giornale va male, la responsabilità primaria è del direttore. Se un direttore prende un giornale a x copie e in pochi mesi calano copie vendute, prestigio e credibilità non dovrebbe dare la colpa a tutti gli altri meno che a sé stesso, ma prima ragionare sui propri limiti, sui propri difetti e sugli errori che ha fatto nel corso degli ultimi mesi.

L'Unità rischia la chiusura, anche se è possibile che arrivino nuovi soci o che si inventi una nuova formula editoriale. E' un fatto che un giornale di carta di diffusione nazionale ha dei costi enormi, io personalmente fin dall'inizio avrei fatto solo una cosa online, perché per un giornale come l'Unità una serie di costi potrebbero essere abbattuti. Rondolino direttore dell'Unità? No, i direttori devono essere inclusivi, io sono più un polemista. Sarei un pessimo direttore".

Su Renzi: "Sono soddisfatto di questa sparizione alla Young Pope. Tutta la serie gioca sul fatto che lui non si fa mai vedere e fa impazzire il mondo. E infatti il nostro piccolo circolo politico mediatico sta impazzendo. Ho incontrato Formigli qualche giorno fa, in una occasione ricreativa, e scherzando gli ho chiesto ora come farà senza Renzi e lui, sempre scherzando, mi ha risposto che senza Renzi non sa che cosa fare. Questa cosa è formidabile, spero che duri ancora un po', un periodo di decantazione non può che fare bene a tutti, in vista di un ritorno che spero sia in grande stile".
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Re: Diario della caduta di un regime.

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2. "RENZI CI METTE LA FACCIA MA STAVOLTA È SPARITO QUESTO NON È UN LEADER"

Goffredo De Marchis per ''la Repubblica''


«Fa sempre così: parte, si butta, si disamora e ti abbandona. Fine della storia. E questo è un leader, questo è un segretario? ». Sergio Staino, nel suo ufficio all' Unità che nemmeno oggi sarà in edicola e tra 15 giorni, probabilmente, chiuderà per la terza volta nella sua storia (al netto dei sequestri durante il Ventennio), non si dà pace e dice che è tutta colpa di Matteo Renzi.

Ma Renzi è il segretario che ha riaperto l' Unità nel 2015.

«Ho rotto con decine di amici, mi sono preso quintalate di offese e di insulti per venire a dirigere l' Unità renziana. Il giornale è cambiato, è migliorato. Lo vedono tutti. C' è più confronto, ci sono opinioni diverse ma a Matteo non serve più. Allora lo dica: ho fatto una cazzata a riaprirlo e ora lo chiudo. Invece no. Sparito. Lui che ci mette sempre la faccia. Scomparso. Matteo, perché ti nascondi?».

Sono ore drammatiche per il quotidiano fondato da Antonio Gramsci nel 1924. L' altro ieri la notizia di licenziamenti per 12 redattori, ieri la riunione dei soci con il preannuncio di una chiusura imminente. Assemblea dei giornalisti, sciopero. Il direttore- vignettista Staino, creatore di Bobo, fondatore di Tango, il supplemento allegato all' Unità quando la tiratura sfiorava le 200 mila copie, scrive oggi una lettera aperta al segretario del Pd. Gliel' aveva spedita in privato la vigilia di Natale. Nemmeno un cenno da Pontassieve, dice.

Risposte?

«Non chiama, non risponde al telefono, non legge i messaggini ».

Oggi in edicola, di copie se ne vendono 7 mila. La crisi del settore morde tutti. L' Unità perde 300 mila euro al mese.

Il proprietario all' 80 per cento è l' imprenditore Massimo Pessina, l' altro 20 è del Partito democratico. Che sceglie direttore e linea politica. Ma con certi numeri è difficile resistere «La situazione economico finanziaria è grave. Ma la crisi vera è politica. La crisi è Renzi. Sono stato nominato da lui. Mi dice: "Fai un bel giornale, ricco, tante pagine. E dei soldi non preoccuparti, quelli ci sono". Una delle battute più infelici che potesse farmi».

Possibile che dal Pd non si sia fatto vivo nessuno?

«Renzi mi manda dei compagni di serie B, gente che non sa nulla. Oppure viene il tesoriere Bonifazi, uno che te lo raccomando, non auguro a nessuno di avere a che fare con lui. Ma il tesoriere che c' entra?».

Beh, è quello che mette i soldi. Il Pd è pronto a mettere un altro milione per la ricapitalizzazione.

«Da quel punto di vista, la gestione è stata superficiale, anche se io ho visto quanti soldi sono stati buttati nelle Unità precedenti. Roba da mettersi le mani nei capelli. Ma la proprietà del giornale è del Pd. Matteo non può abbandonarci, ci vuole un confronto politico, una partecipazione. Prima ci si parlava, adesso più nulla».

Nemmeno un po' di solidarietà?

«Sì. Da Roberto Speranza e Susanna Camusso, con la quale ho litigato una settimana fa per i voucher. Persone con cui abbiamo sempre polemizzato e che sono lontane da me politicamente. Dai renziani, niente di niente».

Perchè non si dimette se il clima è questo?

«Perchè ormai il problema non sono i licenziamenti o i silenzi del Pd. Il problema ora è la chiusura del giornale. Tra pochi giorni».


3. VIA RENZI, «L' UNITÀ» NON SERVE PIÙ - L' EDITORE PESSINA CHIUDE I RUBINETTI

Alessia Pedrielli per ''la Verità''


Stanco di rimetterci milioni, ormai libero dal giogo delle promesse fatte all' ex premier, l' imprenditore che, da un anno e mezzo, teneva in piedi L' Unità, ha chiuso i cordoni della borsa. E la situazione è precipitata: licenziamenti senza preavviso, nessun ammortizzatore sociale e liquidazione in vista.

Rischia di finire così il giornale di riferimento dei democratici, fondato da Antonio Gramsci nel 1924, tenuto in vita per anni dai fondi pubblici, già fallito una prima volta nel 2014 e poi rianimato forzosamente per volere di Matteo Renzi nell' estate 2015.

Seguendo la linea del rottamatore, il quotidiano aveva abbandonato la strada del finanziamento pubblico all' editoria per imboccare quella degli «imprenditori amici» che, quando serve, scendono in pista.


Appena finita l' era Renzi, però, l' operazione ha mostrato la corda. Massimo Pessina, presidente del gruppo Pessina costruzioni (quello che si è aggiudicato l' appalto per la costruzione della nuova sede a Torino e che, nel 2014, fatturava 74 milioni di euro e ne vantava 13 di utile) ha detto «basta». E il Pd, socio minore, ma con un golden share che va ben oltre la quota effettiva, cadendo dalle nuvole si è detto «stupito». Ennesima conferma di quanto il partito avesse preso a cuore la questione.

Che la sopravvivenza dell' Unità non fosse in cima alla lista dei pensieri dei democratici era stato evidente fin da subito: nel piano di rilancio ipotizzato nell' estate di due anni fa, uno dei punti chiave era quello degli abbonamenti, che ogni amministratore, ogni eletto e ogni singola sede di partito, in tutta Italia, avrebbero dovuto sottoscrivere. Se così fosse stato le copie, vendute quotidianamente, avrebbero probabilmente superato quota 7.000, a cui pare invece fossero inchiodate da tempo. Invece la base, spesso in contrapposizione ai voleri del premier e già in crisi per il calo di iscritti e di trasferimenti dalla sede centrale, segnali di vero interesse alla lettura del quotidiano non ne ha mai dati.


Certo, se il partito è mancato, anche la parte imprenditoriale ci ha messo del suo. Almeno secondo i giornalisti: «Per 18 mesi l' azienda non è stata in grado di presentare un piano industriale che garantisse futuro e progettualità al giornale», hanno sottolineato ieri, annunciando uno sciopero permanente. «Comunque ogni crisi dell' Unità ha sempre avuto una causa principalmente politica, ed è così anche in questo caso», hanno concluso.

Politica o no, i conti non tornavano da tempo. Nonostante i 154 milioni di euro complessi vi, ricevuti in 25 anni di finanziamento pubblico, nel 2014 il quotidiano, allora edito dalla Nie, era sprofondato in un buco da 107 milioni di euro. E, per questo, era fallito. Il debito era stato sanato con fondi pubblici grazie alla legge che garanti sce i giornali di partito e poi il quotidiano, nel 2015, era tornato in edicola edito da Unità srl.

Fondata nel novembre 2014, l' azienda ha come socio di maggioranza all' 80 per cento Piesse srl (holding detenuta al 40 per cento da Pessina e al 60 per cento da Guido Stefanelli, suo amministratore delegato nel ramo costruzioni) ed è partecipata, per il 19,05 per cento , da Eyu srl, a sua volta composta al 60 per cento dal Pd e per il 40 per cento dalla Piacentini costruzioni spa, gruppo modenese che fa capo a Dino Piacentini, a sua volta costruttore e presidente dell' Associazione nazionale imprese edili manifatturiere. Il restante 0,95 per cento, all' atto della fondazione, apparteneva a Guido Veneziani quoti diani, editore di diverse riviste come Vero, Top, Stop e altre.


Già il bilancio dei primi sei mesi di vita, alla fine del 2015, si era chiuso con un rosso da 2,5 milioni di euro, ripianato dalla rinuncia dei soci alla riscossione dei crediti verso la società. Nel 2016, poi, a quanto risulta, con perdite intorno ai 400.000 euro mensili e una raccolta pubblicitaria quasi inesistente, il passivo sarebbe raddoppiato arrivando a 5 milioni di euro in un solo anno.

Due giorni fa i soci di maggioranza hanno annunciato il licenziamento di tutti i 29 giornalisti, senza appello. «Non è accettabile il modo di agire della proprietà, in questa situazione si faccia vedere il socio di minoranza il Pd. Renzi mi dica cosa vuol fare di questo giornale», ha strepitato il direttore, di nomina recente, il vignettista Sergio Staino.

Risposta, per ora, non pervenuta. Ieri si è tenuta un' assemblea dei soci. Piesse e Pd hanno ipotizzato due strade: la liquidazione dell' azienda o un piano di ricapitalizzazione.

Servono 5 milioni di euro per andare avanti: 1 ce lo metterebbe il partito, 4 di nuovo Pessina, che si sarebbe dichiarato disponibile. Ma l' accordo è legato ad una serie di condizioni. Una di queste riguarda il sito web L' Unità.tv, fino a oggi in mano alla Fondazione Eyu (100 per cento Pd).

Il sito rispetto al giornale ha vita autonoma: altri giornalisti, altre entrate. E una particolarità: non è una testata giornalistica vera e propria ma un blog, non registrato e senza un direttore responsabile, a cui si viene reindirizzati digitando il vecchio dominio L' Unità.it. Ora Pessina lo vuole per sé e l' idea potrebbe essere quella di portare on line l' intera testata e rinunciare al cartaceo.
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da UncleTom »

CADAVERI PER NIENTE ECCELLENTI


«Non chiama, non risponde al telefono, non legge i messaggini ».

E un uomo arriva a 76 anni senza capire chi era PINOCCHIO MUSSOLONI?????
TORNI ALLORA A FARE IL FUMETTISTA
Sergio Staino (Piancastagnaio, 8 giugno 1940) è un fumettista, disegnatore e regista italiano
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