Renzi
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Re: Renzi
Corriere 17.10.15
La strategia del premier pigliatutto
di Pierluigi Battista
Matteo Renzi che scatena la guerra preventiva contro l’euroburocrazia di Bruxelles, che sbandiera l’orgoglio nazionale rivendicando una manovra che abbassa le tasse in conto deficit e non con uno spietato taglio delle spese come vorrebbe l’Europa, si intesta una battaglia che piace molto all’elettorato leghista eurofobico. È l’ultima fetta di quello che un tempo fu il centrodestra italiano che il presidente del Consiglio potrebbe inglobare e fare sua. Renzi pigliatutto piglia soprattutto alla sua destra. Berlusconi dice che è un «copione». Ma è una reazione speculare alle lamentazioni di chi, nella sinistra residuale, lamenta che Renzi sia un clone della destra. Renzi piglia infatti alla sua destra dove non c’è più resistenza, trincea, argine politico e culturale. Anche l’euroscetticismo diventa suo. Un tempo la sinistra era eurodogmatica e la destra aveva campo libero nell’area degli euromalpancismi. Ora lo schema si è rovesciato. L’ennesimo. Renzi pigliatutto tende a scardinare il bipolarismo che ha contrassegnato l’intera stagione della Seconda Repubblica. Resta l’antagonismo del Movimento 5 Stelle che, dato frettolosamente in via di estinzione dopo le elezioni europee del 2014, ha dimostrato una forza attrattiva ancora molto attiva. La battaglia «antipolitica» miete ancora consensi e la presenza del «nuovo» Renzi non ne ha disinnescato la potenza magnetica.
Certi scivoloni come la fulminea approvazione in Senato delle norme che mettono nella cassaforte dei partiti una somma cospicua di finanziamento pubblico (che si proclamava addirittura «abolito» nelle dichiarazioni renziane) esasperano l’elettorato 5 Stelle e annullano l’effetto simbolico di quel poco di risparmi legato alla riforma del Senato. La triste vicenda di Roma, inoltre, apre al movimento di Grillo insperati orizzonti nell’evidente difficoltà del Pd. Ma se si eccettua l’anomalia grillina, tutto il resto del sistema politico sembra oscurato da una presenza renziana che incorpora i temi degli avversari, li assimila in un nuovo linguaggio, spunta le ali nemiche, devitalizza la vis polemica di chi potrebbe farle ombra.
L’euroscetticismo leghista viene declinato in senso renziano e anche la campagna di Salvini sull’immigrazione appare un po’ sbiadita dopo che l’emergenza si è spostata da Lampedusa alle frontiere europee del Nordest: come si potrà dire che sia colpa dell’imbelle governo italiano l’invasione degli immigrati? Con l’abolizione della Tasi e dell’Imu, il vessillo per eccellenza della destra berlusconiana, la detassazione della prima casa come bene di tutti gli italiani che la possiedono e che sono la stragrande maggioranza, viene afferrato da quello che Berlusconi chiama il «copione».
Come potrebbe ora il centrodestra opporsi alla misura-simbolo di un’intera fase politica? Come faranno i vari Renato Brunetta a contestare una misura che è tipicamente del centrodestra? Del resto, persino i super-polemici giornali della destra sono sembrati molto meno aggressivi del previsto con la legge di Stabilità di Renzi.
Il Nuovo centrodestra di Alfano appare oramai compiutamente fagocitato, non più solo satellizzato, nell’orbita renziana. Rimane al Ncd la bandiera dell’opposizione sulle unioni civili delle coppie dello stesso sesso, ma Renzi gestisce con abilità la tempistica, prima accelerando, poi frenando, tenendo in apprensione gli alleati di governo, ma ritardando strategicamente il momento in cui dovranno cedere anche su quest’ultima trincea. In Parlamento, poi, lo stillicidio di tradimenti nelle file di Forza Italia tentate dalla sirena di Renzi non sembra aver fine. Non è ben chiaro se questo inglobamento pigliatutto sia esattamente lo schema di un ipotetico «Partito della nazione» che dovrebbe superare il Pd. Certo, la disfatta durissima della sinistra interna ed esterna al Pd sulla riforma del Senato lascia campo libero a Renzi. Che oramai sembra che dovrà vedersela con un Movimento 5 Stelle vigoroso ma con un centrodestra che, se non correrà con urgenza ai ripari, rischia la marginalità politica e anche un clamoroso autogol a Milano e a Roma mentre i vertici si dilaniano sulle candidature.Un nuovo e inedito bipolarismo che il bulimico Renzi pigliatutto sta costruendo ogni giorno. Accelerando.
La strategia del premier pigliatutto
di Pierluigi Battista
Matteo Renzi che scatena la guerra preventiva contro l’euroburocrazia di Bruxelles, che sbandiera l’orgoglio nazionale rivendicando una manovra che abbassa le tasse in conto deficit e non con uno spietato taglio delle spese come vorrebbe l’Europa, si intesta una battaglia che piace molto all’elettorato leghista eurofobico. È l’ultima fetta di quello che un tempo fu il centrodestra italiano che il presidente del Consiglio potrebbe inglobare e fare sua. Renzi pigliatutto piglia soprattutto alla sua destra. Berlusconi dice che è un «copione». Ma è una reazione speculare alle lamentazioni di chi, nella sinistra residuale, lamenta che Renzi sia un clone della destra. Renzi piglia infatti alla sua destra dove non c’è più resistenza, trincea, argine politico e culturale. Anche l’euroscetticismo diventa suo. Un tempo la sinistra era eurodogmatica e la destra aveva campo libero nell’area degli euromalpancismi. Ora lo schema si è rovesciato. L’ennesimo. Renzi pigliatutto tende a scardinare il bipolarismo che ha contrassegnato l’intera stagione della Seconda Repubblica. Resta l’antagonismo del Movimento 5 Stelle che, dato frettolosamente in via di estinzione dopo le elezioni europee del 2014, ha dimostrato una forza attrattiva ancora molto attiva. La battaglia «antipolitica» miete ancora consensi e la presenza del «nuovo» Renzi non ne ha disinnescato la potenza magnetica.
Certi scivoloni come la fulminea approvazione in Senato delle norme che mettono nella cassaforte dei partiti una somma cospicua di finanziamento pubblico (che si proclamava addirittura «abolito» nelle dichiarazioni renziane) esasperano l’elettorato 5 Stelle e annullano l’effetto simbolico di quel poco di risparmi legato alla riforma del Senato. La triste vicenda di Roma, inoltre, apre al movimento di Grillo insperati orizzonti nell’evidente difficoltà del Pd. Ma se si eccettua l’anomalia grillina, tutto il resto del sistema politico sembra oscurato da una presenza renziana che incorpora i temi degli avversari, li assimila in un nuovo linguaggio, spunta le ali nemiche, devitalizza la vis polemica di chi potrebbe farle ombra.
L’euroscetticismo leghista viene declinato in senso renziano e anche la campagna di Salvini sull’immigrazione appare un po’ sbiadita dopo che l’emergenza si è spostata da Lampedusa alle frontiere europee del Nordest: come si potrà dire che sia colpa dell’imbelle governo italiano l’invasione degli immigrati? Con l’abolizione della Tasi e dell’Imu, il vessillo per eccellenza della destra berlusconiana, la detassazione della prima casa come bene di tutti gli italiani che la possiedono e che sono la stragrande maggioranza, viene afferrato da quello che Berlusconi chiama il «copione».
Come potrebbe ora il centrodestra opporsi alla misura-simbolo di un’intera fase politica? Come faranno i vari Renato Brunetta a contestare una misura che è tipicamente del centrodestra? Del resto, persino i super-polemici giornali della destra sono sembrati molto meno aggressivi del previsto con la legge di Stabilità di Renzi.
Il Nuovo centrodestra di Alfano appare oramai compiutamente fagocitato, non più solo satellizzato, nell’orbita renziana. Rimane al Ncd la bandiera dell’opposizione sulle unioni civili delle coppie dello stesso sesso, ma Renzi gestisce con abilità la tempistica, prima accelerando, poi frenando, tenendo in apprensione gli alleati di governo, ma ritardando strategicamente il momento in cui dovranno cedere anche su quest’ultima trincea. In Parlamento, poi, lo stillicidio di tradimenti nelle file di Forza Italia tentate dalla sirena di Renzi non sembra aver fine. Non è ben chiaro se questo inglobamento pigliatutto sia esattamente lo schema di un ipotetico «Partito della nazione» che dovrebbe superare il Pd. Certo, la disfatta durissima della sinistra interna ed esterna al Pd sulla riforma del Senato lascia campo libero a Renzi. Che oramai sembra che dovrà vedersela con un Movimento 5 Stelle vigoroso ma con un centrodestra che, se non correrà con urgenza ai ripari, rischia la marginalità politica e anche un clamoroso autogol a Milano e a Roma mentre i vertici si dilaniano sulle candidature.Un nuovo e inedito bipolarismo che il bulimico Renzi pigliatutto sta costruendo ogni giorno. Accelerando.
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Re: Renzi
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Renzi parla. E dagli spalti urlano: "Buffone!"
Vista Sab, 17/10/2015 - 17:37
Il presidente del Consiglio contestato durante il suo intervento al Teatro nuovo Giovanni da Udine - a cura di Agenzia VISTA / Alexander Jakhnagiev
http://www.ilgiornale.it/video/politica ... 83912.html
Renzi parla. E dagli spalti urlano: "Buffone!"
Vista Sab, 17/10/2015 - 17:37
Il presidente del Consiglio contestato durante il suo intervento al Teatro nuovo Giovanni da Udine - a cura di Agenzia VISTA / Alexander Jakhnagiev
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Re: Renzi
Politica
Renzi, la lettera (immaginaria) a B.: ‘Scusami Silvio, tutto è perdonato’
di Marco Travaglio | 17 ottobre 2015
“Caro Silvio, è un po’ che non ci vediamo, ma i molti amici che abbiamo in comune mi assicurano che godi di ottima salute, anche se rosichi perché ti sto rubando il mestiere di leader di Forza Italia. Proprio per questo ti scrivo: per scusarmi con te della concorrenza sleale. Ricordi quando mi proponesti di passare dalla tua parte come tuo delfino? Rifiutai – ora te lo posso dire – perché avevo un’idea migliore: fare le stesse cose che facevi tu, o che volevi fare tu, o che avevi fatto tu e ti avevano cancellato i successori e la Consulta, ma da leader del Pd, visto che il mio partito – non per merito mio – è arrivato primo alle ultime elezioni, mentre il tuo solo terzo.
Quando la Bce, nell’agosto 2011, ti mandò la famosa lettera con le leggi di austerità da approvare, tu dicesti più o meno che l’Europa doveva farsi i cazzi suoi, mentre io dichiarai al Sole 24 Ore (26.10.2011): “Mi ritrovo nella lettera della Bce. E non condivido l’atteggiamento prevalente del Pd che invoca l’Europa quando conviene e ne prende le distanze se propone riforme scomode. Dobbiamo essere coerenti: sulle pensioni è stato un errore del governo Prodi abolire lo scalone-Maroni. Ora ci ritroviamo al punto di partenza. Sono per estendere a tutti il contributivo: non è pensabile che a fronte di un allungamento dell’aspettativa di vita non si faccia nulla. Chiedere a un lavoratore di lavorare un anno o due di più per avere un asilo nido in più, credo sia equo”. Ora tuono un giorno sì e l’altro pure contro l’austerità e dico all’Europa, che pretende addirittura il rispetto degli impegni sul deficit, di farsi i cazzi suoi. Avevi ragione tu, scusami.
Quando il governo Letta, di cui eri alleato indispensabile, obbedì al tuo diktat di cancellare l’Imu sulla prima casa per il 2013, mi scatenai (20.5): “È una cambiale pagata a Berlusconi. Io avrei agito sull’Irpef. L’Imu è il meccanismo che Berlusconi ha avuto per rientrare sulla scena politica, complice un centrosinistra che ha dormito”. Infatti diedi tempo a Letta di rimettere l’Imu con un altro nome (Tasi), poi lo feci fuori per abolirla io, come avevi già fatto tu prima che Monti la ripristinasse. Ora te lo posso dire: avevi ragione tu, scusami.
Ai tempi di Letta, dopo la sentenza della Consulta sul Porcellum che delegittimava le Camere uscite dalle urne nel 2013, tu dicevi che il governo di larghe intese doveva durare l’intera legislatura.
Io invece affermavo (20.5. 2013) che, “fatte la legge elettorale, alcune cose semplici e urgenti per l’economia, bisogna andare a votare al più presto, anche per farla finita col centrodestra e il centrosinistra che fingono di fare a botte come nel wrestling, e poi fanno le cose insieme”. Ma era solo per logorare Letta e prenderne il posto: infatti ora dico anch’io che la legislatura deve arrivare alla scadenza naturale, e chissenefrega della Consulta e del Parlamento delegittimato (anche perché con l’Italicum abbiamo resuscitato tutto il peggio del Porcellum). Avevi ragione tu, scusami.
Quando tu governavi, noi del Pd ti accusavamo di favorire l’evasione fiscale e votammo con entusiasmo la legge di Monti che riduceva a mille euro il tetto per i pagamenti cash. Ora l’ho riportato a 3 mila euro, come ai bei tempi tuoi. Se l’avessi fatto tu, ti avremmo lapidato in piazza. Avevi ragione tu, scusami.
Quando, nel 2001, mandasti l’esercito a bombardare l’Afghanistan, ti accusammo di essere un guerrafondaio agli ordini di Bush. Ora Obama mi ha ordinato di restare a Kabul e io gli ho subito obbedito. Avevi ragione tu, scusami.
Quando il tuo governo pagava i riscatti ai terroristi per far liberare gli ostaggi italiani in Iraq e Afghanistan, noi ti accusavamo di incoerenza. Ora abbiamo pagato 11 milioni ai terroristi per liberare due cooperanti rapite in Siria. Avevi ragione tu, scusami.
Quando, nel novembre 2013, criticavi la legge Severino che imponeva la tua decadenza da senatore dopo la tua condanna definitiva, andai a Porta a Porta e dissi che bisognava rispettarla e che per te era game over. Ora ce ne infischiamo della legge Severino che impone la sospensione degli amministratori locali condannati in primo grado, infatti abbiamo fatto eleggere il condannato e sospeso Vincenzo De Luca a governatore della Campania e per giunta chiediamo le dimissioni della giunta lombarda anche se il presidente Maroni e il vicepresidente Mantovani non sono stati condannati. Avevi ragione tu, scusami.
Nel 2006, quando tu scassasti la seconda parte della Costituzione a colpi di maggioranza per dare più poteri al premier a scapito del Parlamento, io firmai l’appello degli amministratori toscani per il Comitato del No, che poi vinse il referendum confermativo e cancellò la tua riforma. “Dieci sono le ragioni per votare NO”, scrivevamo nel documento: “Un NO a una riforma che stravolge la nostra Costituzione riscrivendo ben 53 articoli… un NO per fermare il progetto che conferisce al premier poteri che nessuno Stato democratico prevede e lo rende sostanzialmente inamovibile…”. Ora ho appena scassato la Costituzione a colpi di minoranza riscrivendone ben 45 articoli e, complice l’Italicum, ho conferito al premier poteri che nessuno Stato democratico prevede e lo rendono sostanzialmente inamovibile. Ovviamente stavolta guiderò i comitati del Sì al referendum. Avevi ragione tu, scusami”.
Il Fatto Quotidiano, 17 ottobre 2015
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10 ... o/2137256/
Renzi, la lettera (immaginaria) a B.: ‘Scusami Silvio, tutto è perdonato’
di Marco Travaglio | 17 ottobre 2015
“Caro Silvio, è un po’ che non ci vediamo, ma i molti amici che abbiamo in comune mi assicurano che godi di ottima salute, anche se rosichi perché ti sto rubando il mestiere di leader di Forza Italia. Proprio per questo ti scrivo: per scusarmi con te della concorrenza sleale. Ricordi quando mi proponesti di passare dalla tua parte come tuo delfino? Rifiutai – ora te lo posso dire – perché avevo un’idea migliore: fare le stesse cose che facevi tu, o che volevi fare tu, o che avevi fatto tu e ti avevano cancellato i successori e la Consulta, ma da leader del Pd, visto che il mio partito – non per merito mio – è arrivato primo alle ultime elezioni, mentre il tuo solo terzo.
Quando la Bce, nell’agosto 2011, ti mandò la famosa lettera con le leggi di austerità da approvare, tu dicesti più o meno che l’Europa doveva farsi i cazzi suoi, mentre io dichiarai al Sole 24 Ore (26.10.2011): “Mi ritrovo nella lettera della Bce. E non condivido l’atteggiamento prevalente del Pd che invoca l’Europa quando conviene e ne prende le distanze se propone riforme scomode. Dobbiamo essere coerenti: sulle pensioni è stato un errore del governo Prodi abolire lo scalone-Maroni. Ora ci ritroviamo al punto di partenza. Sono per estendere a tutti il contributivo: non è pensabile che a fronte di un allungamento dell’aspettativa di vita non si faccia nulla. Chiedere a un lavoratore di lavorare un anno o due di più per avere un asilo nido in più, credo sia equo”. Ora tuono un giorno sì e l’altro pure contro l’austerità e dico all’Europa, che pretende addirittura il rispetto degli impegni sul deficit, di farsi i cazzi suoi. Avevi ragione tu, scusami.
Quando il governo Letta, di cui eri alleato indispensabile, obbedì al tuo diktat di cancellare l’Imu sulla prima casa per il 2013, mi scatenai (20.5): “È una cambiale pagata a Berlusconi. Io avrei agito sull’Irpef. L’Imu è il meccanismo che Berlusconi ha avuto per rientrare sulla scena politica, complice un centrosinistra che ha dormito”. Infatti diedi tempo a Letta di rimettere l’Imu con un altro nome (Tasi), poi lo feci fuori per abolirla io, come avevi già fatto tu prima che Monti la ripristinasse. Ora te lo posso dire: avevi ragione tu, scusami.
Ai tempi di Letta, dopo la sentenza della Consulta sul Porcellum che delegittimava le Camere uscite dalle urne nel 2013, tu dicevi che il governo di larghe intese doveva durare l’intera legislatura.
Io invece affermavo (20.5. 2013) che, “fatte la legge elettorale, alcune cose semplici e urgenti per l’economia, bisogna andare a votare al più presto, anche per farla finita col centrodestra e il centrosinistra che fingono di fare a botte come nel wrestling, e poi fanno le cose insieme”. Ma era solo per logorare Letta e prenderne il posto: infatti ora dico anch’io che la legislatura deve arrivare alla scadenza naturale, e chissenefrega della Consulta e del Parlamento delegittimato (anche perché con l’Italicum abbiamo resuscitato tutto il peggio del Porcellum). Avevi ragione tu, scusami.
Quando tu governavi, noi del Pd ti accusavamo di favorire l’evasione fiscale e votammo con entusiasmo la legge di Monti che riduceva a mille euro il tetto per i pagamenti cash. Ora l’ho riportato a 3 mila euro, come ai bei tempi tuoi. Se l’avessi fatto tu, ti avremmo lapidato in piazza. Avevi ragione tu, scusami.
Quando, nel 2001, mandasti l’esercito a bombardare l’Afghanistan, ti accusammo di essere un guerrafondaio agli ordini di Bush. Ora Obama mi ha ordinato di restare a Kabul e io gli ho subito obbedito. Avevi ragione tu, scusami.
Quando il tuo governo pagava i riscatti ai terroristi per far liberare gli ostaggi italiani in Iraq e Afghanistan, noi ti accusavamo di incoerenza. Ora abbiamo pagato 11 milioni ai terroristi per liberare due cooperanti rapite in Siria. Avevi ragione tu, scusami.
Quando, nel novembre 2013, criticavi la legge Severino che imponeva la tua decadenza da senatore dopo la tua condanna definitiva, andai a Porta a Porta e dissi che bisognava rispettarla e che per te era game over. Ora ce ne infischiamo della legge Severino che impone la sospensione degli amministratori locali condannati in primo grado, infatti abbiamo fatto eleggere il condannato e sospeso Vincenzo De Luca a governatore della Campania e per giunta chiediamo le dimissioni della giunta lombarda anche se il presidente Maroni e il vicepresidente Mantovani non sono stati condannati. Avevi ragione tu, scusami.
Nel 2006, quando tu scassasti la seconda parte della Costituzione a colpi di maggioranza per dare più poteri al premier a scapito del Parlamento, io firmai l’appello degli amministratori toscani per il Comitato del No, che poi vinse il referendum confermativo e cancellò la tua riforma. “Dieci sono le ragioni per votare NO”, scrivevamo nel documento: “Un NO a una riforma che stravolge la nostra Costituzione riscrivendo ben 53 articoli… un NO per fermare il progetto che conferisce al premier poteri che nessuno Stato democratico prevede e lo rende sostanzialmente inamovibile…”. Ora ho appena scassato la Costituzione a colpi di minoranza riscrivendone ben 45 articoli e, complice l’Italicum, ho conferito al premier poteri che nessuno Stato democratico prevede e lo rendono sostanzialmente inamovibile. Ovviamente stavolta guiderò i comitati del Sì al referendum. Avevi ragione tu, scusami”.
Il Fatto Quotidiano, 17 ottobre 2015
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10 ... o/2137256/
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Re: Renzi
18 ott 2015 10:43
1. NEI SONDAGGI IL CONSENSO PERSONALE DEL PREMIER CAZZONE STA BEN 13 PUNTI SOPRA QUELLO DEL SUO PARTITO DEMOCRATICO: 44 A 31 PER CENTO. CHE COSA SIGNIFICA?
2. LO SPIEGA SCALFARI: “TRA I VARI CAMBIAMENTI DI RENZI C' È L' AUMENTO DEL CONSENSO AL CENTRO E A DESTRA. LA LITE CON L' EUROPA LO PORTA ADDIRITTURA A RIDOSSO DEI MOVIMENTI ANTIEUROPEI. QUESTE SIMPATIE POLITICHE VANNO ALLA PERSONA MA NON CERTO AL PD”
3. ANCORA IL FONDATORE DI "REPUBBLICA": “SIAMO DUNQUE IN PRESENZA DI UN FENOMENO DI TRASFORMISMO CHE È TIPICO DELLA POLITICA IN GENERE E DI QUELLA ITALIANA IN PARTICOLARE”. NON SOLO, MA SIAMO ANCHE DI FRONTE A UN “TRASFORMISMO AUTORITARIO”
4. MAURIZIO BELPIETRO: “RENZI HA PERSO IN UN ANNO OLTRE 30 PUNTI DI CONSENSO.
NON È VERO CHE A LUI NON ESISTA UN' ALTERNATIVA. L' ALTERNATIVA ESISTE, MA NON LA DECIDONO NÉ LE SEGRETERIE DEI PARTITI, NÉ I POTERI FORTI E NEPPURE I GIORNALISTI. LA DECIDERANNO GLI ELETTORI”. CERTO, QUANDO IL PREMIER SI DEGNERA' DI FARLI VOTARE
1. I SONDAGGI DICONO CHE IL REGNO DI RENZI PUÒ FINIRE PRESTO
Maurizio Belpietro per “Libero Quotidiano”
2. "C' È CHI FA DRITTO LO STORTO E STORTO IL DRITTO"
Eugenio Scalfari per “la Repubblica”
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 110846.htm
1. NEI SONDAGGI IL CONSENSO PERSONALE DEL PREMIER CAZZONE STA BEN 13 PUNTI SOPRA QUELLO DEL SUO PARTITO DEMOCRATICO: 44 A 31 PER CENTO. CHE COSA SIGNIFICA?
2. LO SPIEGA SCALFARI: “TRA I VARI CAMBIAMENTI DI RENZI C' È L' AUMENTO DEL CONSENSO AL CENTRO E A DESTRA. LA LITE CON L' EUROPA LO PORTA ADDIRITTURA A RIDOSSO DEI MOVIMENTI ANTIEUROPEI. QUESTE SIMPATIE POLITICHE VANNO ALLA PERSONA MA NON CERTO AL PD”
3. ANCORA IL FONDATORE DI "REPUBBLICA": “SIAMO DUNQUE IN PRESENZA DI UN FENOMENO DI TRASFORMISMO CHE È TIPICO DELLA POLITICA IN GENERE E DI QUELLA ITALIANA IN PARTICOLARE”. NON SOLO, MA SIAMO ANCHE DI FRONTE A UN “TRASFORMISMO AUTORITARIO”
4. MAURIZIO BELPIETRO: “RENZI HA PERSO IN UN ANNO OLTRE 30 PUNTI DI CONSENSO.
NON È VERO CHE A LUI NON ESISTA UN' ALTERNATIVA. L' ALTERNATIVA ESISTE, MA NON LA DECIDONO NÉ LE SEGRETERIE DEI PARTITI, NÉ I POTERI FORTI E NEPPURE I GIORNALISTI. LA DECIDERANNO GLI ELETTORI”. CERTO, QUANDO IL PREMIER SI DEGNERA' DI FARLI VOTARE
1. I SONDAGGI DICONO CHE IL REGNO DI RENZI PUÒ FINIRE PRESTO
Maurizio Belpietro per “Libero Quotidiano”
2. "C' È CHI FA DRITTO LO STORTO E STORTO IL DRITTO"
Eugenio Scalfari per “la Repubblica”
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 110846.htm
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Re: Renzi
CAMPAGNA DI LIBIA, RENZI AVRÀ LA SUA
(Furio Colombo)
18/10/2015 di triskel182
Cominciamo a capire che se Renzi vuole qualcosa la ottiene.
S’intende che siamo all’interno del cerchio del suo potere, che è stato disegnato con mano ferma,e poi coprendo quella mano ogni volta con la solenne affermazione “ce lo chiedono gli italiani”.
O anche, come è accaduto per la degradazione del Senato, “da decenni gli italiani ce lo chiedevano”, frase fantasiosa ma efficace se detta con adeguata fermezza, pur sapendo che è una affermazione impossibile.
Ma ciò che è accaduto per la rapida, affannata e completa cancellazione della parte di Costituzione relativa al Senato (conclusa anche con un autorevole autentica notarile del più alto livello, legittima, ma, diciamo, insolita) va notata come la prova di due fatti.
Il primo è che la grande maggioranza dei senatori si sono auto-cancellati con disciplina e solerzia,in base alla evidente consapevolezza di non avere scelta.
Una volta avviato il gioco si può fare solo “la cosa giusta”.
Il parlamento non discute e non decide. Esegue.
Il secondo è che anche Renzi mostra di forzare la marcia secondo un potere delegato di cui, dopo varie prove con “ p a r t e c i p a z i o n i straordinarie” andate male,è risultato essere il miglior leader esecutore.
È uno molto bravo a stare alla testa di un corteo che gli è stato affidato, portandolo dove lo deve portare.
Ha inventato i gufi e i rosiconi sia per una naturale incapacità di sopportare chi gli dà torto, sia perché non riesce a spiegarsi che ci sia gente, che pure vuole restare in politica, incapace di capire che non è tempo di discutere, e non si saprebbe con chi.
C’è un percorso segnato e chi vuole restare in gioco, lo segue.
SIAMO SINCERI. Renzi e la Boschi ne sanno quanto noi. Come al posto di guida dei mitici bombardieri della Seconda guerra mondiale, la busta delle istruzioni si apre a bordo.
Una delle buste diceva “Senato”.E il Senato è stato centrato in pieno. Un’altra, letta per noi ad alta voce (e non una volta sola) da Renzi e Pinotti alcuni mesi fa, diceva “Libia”.
E questo spiega la vivace irritazione di Renzi quando all’improvviso gli dicono “Siria”, rivelando che alcun fili si sono impigliati in qualche punto a monte.
Renzi fermamente risponde (14 ottobre): “Se qualcuno pensa di risolvere il problema della Siria dicendo ‘stamattina mi alzo e decidiamo di fare i bombardamenti’, io dico ‘auguri e in bocca al lupo’, ma non risolverà il problema”.
Non è come l’Afghanistan, che non lo riguarda. se si deve continuare, si continui pure, è roba del prima.
Adesso però c’è chi vorrebbe portarlo fuori dal percorso prestabilito e annunciato.
Ma Renzi ha già dimostrato che non è tipo da lasciarsi distrarre.
Se ha un compito da portare a termine, contate su di lui.
Lui (sostenuto da una ripetuta conferma del ministro della Difesa Pinotti,esecutrice fedele dell’esecutore inflessibile) ha detto Libia.
Nella dichiarazione appena citata Renzi si accorge che qualcuno ha fatto confusione e ripete ben chiara la missione che gli è stata affidata, contando sulla sua determinazione, con le parole: “Per la Libia serve una strategia che possa risolvere ciò che l’intervento di quattro anni fa non ha risolto”.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 18/10/2015.
(Furio Colombo)
18/10/2015 di triskel182
Cominciamo a capire che se Renzi vuole qualcosa la ottiene.
S’intende che siamo all’interno del cerchio del suo potere, che è stato disegnato con mano ferma,e poi coprendo quella mano ogni volta con la solenne affermazione “ce lo chiedono gli italiani”.
O anche, come è accaduto per la degradazione del Senato, “da decenni gli italiani ce lo chiedevano”, frase fantasiosa ma efficace se detta con adeguata fermezza, pur sapendo che è una affermazione impossibile.
Ma ciò che è accaduto per la rapida, affannata e completa cancellazione della parte di Costituzione relativa al Senato (conclusa anche con un autorevole autentica notarile del più alto livello, legittima, ma, diciamo, insolita) va notata come la prova di due fatti.
Il primo è che la grande maggioranza dei senatori si sono auto-cancellati con disciplina e solerzia,in base alla evidente consapevolezza di non avere scelta.
Una volta avviato il gioco si può fare solo “la cosa giusta”.
Il parlamento non discute e non decide. Esegue.
Il secondo è che anche Renzi mostra di forzare la marcia secondo un potere delegato di cui, dopo varie prove con “ p a r t e c i p a z i o n i straordinarie” andate male,è risultato essere il miglior leader esecutore.
È uno molto bravo a stare alla testa di un corteo che gli è stato affidato, portandolo dove lo deve portare.
Ha inventato i gufi e i rosiconi sia per una naturale incapacità di sopportare chi gli dà torto, sia perché non riesce a spiegarsi che ci sia gente, che pure vuole restare in politica, incapace di capire che non è tempo di discutere, e non si saprebbe con chi.
C’è un percorso segnato e chi vuole restare in gioco, lo segue.
SIAMO SINCERI. Renzi e la Boschi ne sanno quanto noi. Come al posto di guida dei mitici bombardieri della Seconda guerra mondiale, la busta delle istruzioni si apre a bordo.
Una delle buste diceva “Senato”.E il Senato è stato centrato in pieno. Un’altra, letta per noi ad alta voce (e non una volta sola) da Renzi e Pinotti alcuni mesi fa, diceva “Libia”.
E questo spiega la vivace irritazione di Renzi quando all’improvviso gli dicono “Siria”, rivelando che alcun fili si sono impigliati in qualche punto a monte.
Renzi fermamente risponde (14 ottobre): “Se qualcuno pensa di risolvere il problema della Siria dicendo ‘stamattina mi alzo e decidiamo di fare i bombardamenti’, io dico ‘auguri e in bocca al lupo’, ma non risolverà il problema”.
Non è come l’Afghanistan, che non lo riguarda. se si deve continuare, si continui pure, è roba del prima.
Adesso però c’è chi vorrebbe portarlo fuori dal percorso prestabilito e annunciato.
Ma Renzi ha già dimostrato che non è tipo da lasciarsi distrarre.
Se ha un compito da portare a termine, contate su di lui.
Lui (sostenuto da una ripetuta conferma del ministro della Difesa Pinotti,esecutrice fedele dell’esecutore inflessibile) ha detto Libia.
Nella dichiarazione appena citata Renzi si accorge che qualcuno ha fatto confusione e ripete ben chiara la missione che gli è stata affidata, contando sulla sua determinazione, con le parole: “Per la Libia serve una strategia che possa risolvere ciò che l’intervento di quattro anni fa non ha risolto”.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 18/10/2015.
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Re: Renzi
“Soglia contanti a 3mila euro? Sbagliatissimo”
Evasione, Cantone attacca la misura di Renzi
Presidente Anac: “Serve stabilità normativa, andare a 500 e risalire dà idea che purché si spenda va bene”
PREMIER “ACCERCHIATO” SU STABILITA’. BERSANI: “CHI HA PIU’ PAGA MENO. MONTI: “CERCA SOLO VOTI”
Giustizia & Impunità
Non c’entra solo la politica. Non c’entra solo la minoranza del Pd. Ora anche Raffaele Cantone, il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, si schiera contro l’intenzione del governo di innalzare il tetto per l’uso del contante fino a 3mila euro (leggi). Ma la legge di stabilità firmata dal premier-segretario Pd è attaccata da destra e da sinistra. Monti al Corriere: “Sbagliata dal punto di vista della crescita e dell’equità sociale” (leggi). L’ex segretario Pd: “Viola Costituzione” (leggi)
http://www.ilfattoquotidiano.it/?refresh_ce
Evasione, Cantone attacca la misura di Renzi
Presidente Anac: “Serve stabilità normativa, andare a 500 e risalire dà idea che purché si spenda va bene”
PREMIER “ACCERCHIATO” SU STABILITA’. BERSANI: “CHI HA PIU’ PAGA MENO. MONTI: “CERCA SOLO VOTI”
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Non c’entra solo la politica. Non c’entra solo la minoranza del Pd. Ora anche Raffaele Cantone, il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, si schiera contro l’intenzione del governo di innalzare il tetto per l’uso del contante fino a 3mila euro (leggi). Ma la legge di stabilità firmata dal premier-segretario Pd è attaccata da destra e da sinistra. Monti al Corriere: “Sbagliata dal punto di vista della crescita e dell’equità sociale” (leggi). L’ex segretario Pd: “Viola Costituzione” (leggi)
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Re: Renzi
il manifesto 27.9.15
Sedotti dall’arroganza di Renzi
Le ultime villanie del premier dicono qualcosa di nuovo su noi tutti: che ci stiamo assuefacendo a una volgarità e una violenza che dovrebbero destare allarme e forse scandalizzare
di Alberto Burgio
Ne ha dette, ne dice giornalmente tante e tali che non ci si dovrebbe più far caso. Ma una delle ultime esternazioni del presidente del Consiglio urta i nervi in modo particolare, sì che si stenta a dimenticarsene. «I sindacati debbono capire che la musica è cambiata», ha sentenziato con rara eleganza a margine dello «scandalo» dell’assemblea dei custodi del Colosseo. Non sembra che la dichiarazione abbia suscitato reazioni, e questo è di per sé molto significativo. Eppure essa appare per diverse ragioni sintomatica, oltre che irricevibile.
In effetti la rozzezza dell’attacco non è una novità. Come non lo è il fatto che il governo opti decisamente per la parte datoriale, degradando i lavoratori a fannulloni e i sindacati a gravame parassitario che si provvederà finalmente a ridimensionare. È una cifra di questo governo un thatcherismo plebeo che liscia il pelo agli umori più retrivi di cui trabocca la società scomposta dalla crisi. Sempre daccapo il «capo del governo» si ripropone come vendicatore delle buone ragioni, che guarda caso non sono mai quelle di chi lavora. E si rivolge, complice la grancassa mediatica, a una platea indistinta al cui cospetto agitare ogni volta il nuovo capro espiatorio.
Sin qui nulla di nuovo dunque. Nuova è invece, in parte, l’ennesima caduta espressiva. Un lessico che si fa sempre più greve, prossimo allo squadrismo verbale di un novello Farinacci. Così ci si esprime, forse, al Bar Sport quando si è alzato troppo il gomito. Se si guida il governo di una democrazia costituzionale non ci si dovrebbe lasciare andare al manganello.
«La musica è cambiata», «tiro dritto» e «me ne frego». Senza dimenticare i beneamati «gufi». Quest’uomo fu qualche mese fa liquidato come un cafoncello dal direttore del più paludato quotidiano italiano. Quest’ultimo dovette poi prontamente sloggiare dal suo ufficio, a dimostrazione che il personaggio non è uno sprovveduto. Sin qui gli scontri decisivi li ha vinti, e non sarebbe superfluo capire sino in fondo perché. Ma la cafoneria resta tutta. E si accompagna alla scelta consapevole di selezionare un uditorio di facinorosi, di frustrati, di smaniosi di vincere con qualsiasi mezzo — magari vendendosi e svendendosi nelle aule parlamentari.
Secondo un’idea della società che celebra gli spiriti animali e ripudia i vincoli arcaici della giustizia, dell’equità, della solidarietà.
Di fatto il tono si fa sempre più arrogante, autoritario, ducesco. Gli altri debbono, lui decide. Ne sa qualcosa il presidente del Senato, trattato in questi giorni come quantità trascurabile. E qualcosa dovrebbe saperne anche il presidente della Repubblica, che evidentemente ha altro a cui pensare, visto che non ha fatto una piega — un silenzio fragoroso — quando Renzi ha minacciato di chiudere il Senato e trasformarne la sede in un museo — per fortuna non più in «un bivacco di manipoli». E forse proprio qui sta il punto, ciò che non permette di liberarsi di questo fastidioso rumore di fondo.
Questa ennesima villania non aggiunge granché a quanto sapevamo già dell’inquilino di palazzo Chigi, del suo profilo, del suo, diciamo, stile. Dice invece qualcosa di nuovo e d’importante su noi tutti, che ci stiamo assuefacendo, che ci disinteressiamo, che registriamo e accettiamo come normale amministrazione una volgarità e una violenza che dovrebbero destare allarme e forse scandalizzare. Tanto più che non si tratta, almeno formalmente, del capo di una destra nerboruta.
Nessuno ha protestato, nessuno ha reagito: men che meno, ovviamente, gli esponenti della «sinistra interna» del Pd, in teoria attenti alla qualità della nostra democrazia e alle ragioni e alla dignità del mondo del lavoro. Queste parole sono scivolate come acqua sul marmo, segno che le si è assunte come del tutto normali, cose giuste dette al momento giusto. In effetti da un certo punto di vista indubbiamente lo sono. Quest’ultima aggressione si armonizza appieno con la «musica» che questo governo suona da quando si è insediato. Ma la forma è sostanza, soprattutto in politica. E il sovrappiù di aggressività e di volgarità che la contraddistingue stupisce non sia stato nemmeno rilevato.
Evidentemente ci va bene essere governati da uno che — al netto delle sue scelte, sempre a favore di chi ha e può più degli altri — non sa aprir bocca senza minacciare insultare sfottere ridicolizzare. Ci va bene la tracotanza, ci piace la supponenza, ci seduce l’arroganza. Apprezziamo la violenza che scambiamo per forza e per autorevolezza. Dovremmo rifletterci un po’ su. Dovremmo fare più attenzione alle parole dette e ascoltate, avere maggiore rispetto per noi stessi. E chiederci finalmente che cosa siamo diventati e rischiamo di diventare seguitando di questo passo.
Sedotti dall’arroganza di Renzi
Le ultime villanie del premier dicono qualcosa di nuovo su noi tutti: che ci stiamo assuefacendo a una volgarità e una violenza che dovrebbero destare allarme e forse scandalizzare
di Alberto Burgio
Ne ha dette, ne dice giornalmente tante e tali che non ci si dovrebbe più far caso. Ma una delle ultime esternazioni del presidente del Consiglio urta i nervi in modo particolare, sì che si stenta a dimenticarsene. «I sindacati debbono capire che la musica è cambiata», ha sentenziato con rara eleganza a margine dello «scandalo» dell’assemblea dei custodi del Colosseo. Non sembra che la dichiarazione abbia suscitato reazioni, e questo è di per sé molto significativo. Eppure essa appare per diverse ragioni sintomatica, oltre che irricevibile.
In effetti la rozzezza dell’attacco non è una novità. Come non lo è il fatto che il governo opti decisamente per la parte datoriale, degradando i lavoratori a fannulloni e i sindacati a gravame parassitario che si provvederà finalmente a ridimensionare. È una cifra di questo governo un thatcherismo plebeo che liscia il pelo agli umori più retrivi di cui trabocca la società scomposta dalla crisi. Sempre daccapo il «capo del governo» si ripropone come vendicatore delle buone ragioni, che guarda caso non sono mai quelle di chi lavora. E si rivolge, complice la grancassa mediatica, a una platea indistinta al cui cospetto agitare ogni volta il nuovo capro espiatorio.
Sin qui nulla di nuovo dunque. Nuova è invece, in parte, l’ennesima caduta espressiva. Un lessico che si fa sempre più greve, prossimo allo squadrismo verbale di un novello Farinacci. Così ci si esprime, forse, al Bar Sport quando si è alzato troppo il gomito. Se si guida il governo di una democrazia costituzionale non ci si dovrebbe lasciare andare al manganello.
«La musica è cambiata», «tiro dritto» e «me ne frego». Senza dimenticare i beneamati «gufi». Quest’uomo fu qualche mese fa liquidato come un cafoncello dal direttore del più paludato quotidiano italiano. Quest’ultimo dovette poi prontamente sloggiare dal suo ufficio, a dimostrazione che il personaggio non è uno sprovveduto. Sin qui gli scontri decisivi li ha vinti, e non sarebbe superfluo capire sino in fondo perché. Ma la cafoneria resta tutta. E si accompagna alla scelta consapevole di selezionare un uditorio di facinorosi, di frustrati, di smaniosi di vincere con qualsiasi mezzo — magari vendendosi e svendendosi nelle aule parlamentari.
Secondo un’idea della società che celebra gli spiriti animali e ripudia i vincoli arcaici della giustizia, dell’equità, della solidarietà.
Di fatto il tono si fa sempre più arrogante, autoritario, ducesco. Gli altri debbono, lui decide. Ne sa qualcosa il presidente del Senato, trattato in questi giorni come quantità trascurabile. E qualcosa dovrebbe saperne anche il presidente della Repubblica, che evidentemente ha altro a cui pensare, visto che non ha fatto una piega — un silenzio fragoroso — quando Renzi ha minacciato di chiudere il Senato e trasformarne la sede in un museo — per fortuna non più in «un bivacco di manipoli». E forse proprio qui sta il punto, ciò che non permette di liberarsi di questo fastidioso rumore di fondo.
Questa ennesima villania non aggiunge granché a quanto sapevamo già dell’inquilino di palazzo Chigi, del suo profilo, del suo, diciamo, stile. Dice invece qualcosa di nuovo e d’importante su noi tutti, che ci stiamo assuefacendo, che ci disinteressiamo, che registriamo e accettiamo come normale amministrazione una volgarità e una violenza che dovrebbero destare allarme e forse scandalizzare. Tanto più che non si tratta, almeno formalmente, del capo di una destra nerboruta.
Nessuno ha protestato, nessuno ha reagito: men che meno, ovviamente, gli esponenti della «sinistra interna» del Pd, in teoria attenti alla qualità della nostra democrazia e alle ragioni e alla dignità del mondo del lavoro. Queste parole sono scivolate come acqua sul marmo, segno che le si è assunte come del tutto normali, cose giuste dette al momento giusto. In effetti da un certo punto di vista indubbiamente lo sono. Quest’ultima aggressione si armonizza appieno con la «musica» che questo governo suona da quando si è insediato. Ma la forma è sostanza, soprattutto in politica. E il sovrappiù di aggressività e di volgarità che la contraddistingue stupisce non sia stato nemmeno rilevato.
Evidentemente ci va bene essere governati da uno che — al netto delle sue scelte, sempre a favore di chi ha e può più degli altri — non sa aprir bocca senza minacciare insultare sfottere ridicolizzare. Ci va bene la tracotanza, ci piace la supponenza, ci seduce l’arroganza. Apprezziamo la violenza che scambiamo per forza e per autorevolezza. Dovremmo rifletterci un po’ su. Dovremmo fare più attenzione alle parole dette e ascoltate, avere maggiore rispetto per noi stessi. E chiederci finalmente che cosa siamo diventati e rischiamo di diventare seguitando di questo passo.
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Re: Renzi
Addio senatori, così Renzi li ha spogliati di ogni dignità
Scritto il 19/10/15 • LIBRE nella Categoria: idee
Pensi ai senatori, non quelli di adesso, ma di sempre. A ritroso. Come figura, come maschera, come archetipo. C’era quello all’italiana tronfio e grasso o allampanato e severo da prima repubblica, con le cravatte marroni e il suo codazzo di clienti, buono per una raccomandazione e un posto alle poste. C’era il Bossi secessionista che quasi per beffa si ritrova per la prima volta in Parlamento nella Camera nobile, giusto il tempo di guadagnarsi il soprannome di Senatùr e poi migrare a Montecitorio, dove la politica ha più sale. C’era Andreotti a cui l’«amico» Cossiga fece il più perfido dei regali, un seggio da senatore a vita, come a certificare l’eclissi di un potere. E fu allora che il Divo Giulio cominciò a logorarsi. C’era il Pci di Berlinguer che nel 1981 pubblicò a pagina sette de L’Unità un documento di riforma costituzionale per abolire il Senato e rimpiazzarlo con il Cnel. C’era Bendetto Croce, senatore del Regno, che da antifascista restò in Senato, convinto a ragione che il fascismo fosse solo una parentesi. C’era ancora prima il Senato dello Statuto Albertino, con i senatori scelti direttamente dal re, con il vantaggio di non dover improvvisare un generico «in base alle scelte degli elettori» come nel compromesso partorito dal Pd. C’era in una Roma lontana Cicerone che sbraitava contro Catilina e un Senato di ottimati cieco e oligarchico. Nel nome della libertà accoltellarono Cesare e si beccarono il più furbo Ottaviano. Augusto fece dei senatori una vanagloriosa casta plaudente.
Nessuna simpatia per i senatori. Solo che nessuno immaginava come sarebbero finiti al tempo di Renzi. Niente gloria, nessun funerale, neppure un mezzo discorso d’addio, a pensarci bene neppure un suicidio orgoglioso alla Seneca. Nulla. Peggio. La fine dei senatori è una mediocre metamorfosi. Renzi con un abracadabra li ha trasformati in consiglieri regionali.
Renzi li ha spogliati di ogni dignità, perlomeno quel poco che restava. Il Senato, il Palazzo, resta lì, ma come qualcosa di inutile, ristretto, periferico, una sorta di Parlamento minore, come un dopo lavoro rispetto agli affari regionali. Non si sa ancora come verranno eletti, forse scelti dai partiti e con la coperta democratica dei poveri elettori. Senatori ancora di più ingaglioffati nel gioco delle clientele, buoni a dirottare finanziamenti pubblici sul territorio e alle prese con le note spese. La cattiveria vera forse è proprio questa: aver salvato le Regioni per spogliare il Senato. Quelle Regioni simbolo di spreco a cui i riformatori concedono il titolo onorifico di Senatori.
Non è più tempo di senatori. Sta tramontando perfino la parola. Questo è un tempo dove resistono solo leggende, gente come Pirlo o Totti. Non sono un gruppo storico, sono eccezioni. I senatori erano la bandiera e i vecchi di una squadra, di uno spogliatoio, di una nazionale. Ora sono solo carne da rottamare e utili solo come portaborse di giovani rampanti. Forse però è davvero qui il paradosso italiano. In questo paese di vecchi scompare un simbolo. Non c’è più il senex, l’anziano che incarna la saggezza, la tradizione, la memoria, quello che tramanda, che fa da testimone e che ricorda. Non serve più in una terra dove tutto è presente, dove il futuro è senza orizzonte e il passato si ferma all’altroieri. Non serve perché questo non è un Paese per senatori. Non lo è perché quelli che per età dovevano esserlo hanno bruciato sogni e utopie in piazza, lasciandosi alle spalle solo cenere e macerie. Non lo è perché hanno tradito e si sono traditi. Non lo è perché hanno urlato «la fantasia al potere», per poi buttare la fantasia e tenersi il potere. Non lo è perché si sono mangiati il futuro di chi veniva dopo. Addio senatori. Quello che avete davanti è l’ultimo tratto. I tempi, dicono, si chiuderanno nel 2020. È questo il futuro prossimo. È come in Guerre Stellari, come in quel Senato galattico e suicida. «È così che muore la libertà: sotto scroscianti applausi».
Pensi ai sentori, non quelli di adesso, ma di sempre. A ritroso. Come figura, come maschera, come archetipo. C’era quello all’italiana tronfio e grasso o allampanato e severo da prima repubblica, con le cravatte marroni e il suo codazzo di clienti, buono per una raccomandazione e un posto alle poste. C’era il Bossi secessionista che quasi per beffa si ritrova per la prima volta in Parlamento nella Camera nobile, giusto il tempo di guadagnarsi il soprannome di Senatùr e poi migrare a Montecitorio, dove la politica ha più sale. C’era Andreotti a cui l’«amico» Cossiga fece il più perfido dei regali, un seggio da senatore a vita, come a certificare l’eclissi di un potere. E fu allora che il Divo Giulio cominciò a logorarsi. C’era il Pci di Berlinguer che nel 1981 pubblicò a pagina sette de L’Unità un documento di riforma costituzionale per abolire il Senato e rimpiazzarlo con il Cnel. C’era Bendetto Croce, senatore del Regno, che da antifascista restò in Senato, convinto a ragione che il fascismo fosse solo una parentesi. C’era ancora prima il Senato dello Statuto Albertino, con i senatori scelti direttamente dal re, con il vantaggio di non dover improvvisare un generico «in base alle scelte degli elettori» come nel compromesso partorito dal Pd. C’era in una Roma lontana Cicerone che sbraitava contro Catilina e un Senato di ottimati cieco e oligarchico. Nel nome della libertà accoltellarono Cesare e si beccarono il più furbo Ottaviano. Augusto fece dei senatori una vanagloriosa casta plaudente.
Nessuna simpatia per i senatori. Solo che nessuno immaginava come sarebbero finiti al tempo di Renzi. Niente gloria, nessun funerale, neppure un mezzo discorso d’addio, a pensarci bene neppure un suicidio orgoglioso alla Seneca. Nulla. Peggio. La Cossiga e Andreottifine dei senatori è una mediocre metamorfosi. Renzi con un abracadabra li ha trasformati in consiglieri regionali. Renzi li ha spogliati di ogni dignità, perlomeno quel poco che restava. Il Senato, il Palazzo, resta lì, ma come qualcosa di inutile, ristretto, periferico, una sorta di Parlamento minore, come un dopo lavoro rispetto agli affari regionali. Non si sa ancora come verranno eletti, forse scelti dai partiti e con la coperta democratica dei poveri elettori. Senatori ancora di più ingaglioffati nel gioco delle clientele, buoni a dirottare finanziamenti pubblici sul territorio e alle prese con le note spese. La cattiveria vera forse è proprio questa: aver salvato le Regioni per spogliare il Senato. Quelle Regioni simbolo di spreco a cui i riformatori concedono il titolo onorifico di Senatori.
Non è più tempo di senatori. Sta tramontando perfino la parola. Questo è un tempo dove resistono solo leggende, gente come Pirlo o Totti. Non sono un gruppo storico, sono eccezioni. I senatori erano la bandiera e i vecchi di una squadra, di uno Vittorio Maciocespogliatoio, di una nazionale. Ora sono solo carne da rottamare e utili solo come portaborse di giovani rampanti. Forse però è davvero qui il paradosso italiano. In questo paese di vecchi scompare un simbolo. Non c’è più il senex, l’anziano che incarna la saggezza, la tradizione, la memoria, quello che tramanda, che fa da testimone e che ricorda. Non serve più in una terra dove tutto è presente, dove il futuro è senza orizzonte e il passato si ferma all’altroieri. Non serve perché questo non è un Paese per senatori. Non lo è perché quelli che per età dovevano esserlo hanno bruciato sogni e utopie in piazza, lasciandosi alle spalle solo cenere e macerie. Non lo è perché hanno tradito e si sono traditi. Non lo è perché hanno urlato «la fantasia al potere», per poi buttare la fantasia e tenersi il potere. Non lo è perché si sono mangiati il futuro di chi veniva dopo. Addio senatori. Quello che avete davanti è l’ultimo tratto. I tempi, dicono, si chiuderanno nel 2020. È questo il futuro prossimo. È come in Guerre Stellari, come in quel Senato galattico e suicida. «È così che muore la libertà: sotto scroscianti applausi».
(Vittorio Macioce, “La triste fine senza saggezza del senatore alla romana”, da “Il Giornale” del 13 ottobre 2015).
Scritto il 19/10/15 • LIBRE nella Categoria: idee
Pensi ai senatori, non quelli di adesso, ma di sempre. A ritroso. Come figura, come maschera, come archetipo. C’era quello all’italiana tronfio e grasso o allampanato e severo da prima repubblica, con le cravatte marroni e il suo codazzo di clienti, buono per una raccomandazione e un posto alle poste. C’era il Bossi secessionista che quasi per beffa si ritrova per la prima volta in Parlamento nella Camera nobile, giusto il tempo di guadagnarsi il soprannome di Senatùr e poi migrare a Montecitorio, dove la politica ha più sale. C’era Andreotti a cui l’«amico» Cossiga fece il più perfido dei regali, un seggio da senatore a vita, come a certificare l’eclissi di un potere. E fu allora che il Divo Giulio cominciò a logorarsi. C’era il Pci di Berlinguer che nel 1981 pubblicò a pagina sette de L’Unità un documento di riforma costituzionale per abolire il Senato e rimpiazzarlo con il Cnel. C’era Bendetto Croce, senatore del Regno, che da antifascista restò in Senato, convinto a ragione che il fascismo fosse solo una parentesi. C’era ancora prima il Senato dello Statuto Albertino, con i senatori scelti direttamente dal re, con il vantaggio di non dover improvvisare un generico «in base alle scelte degli elettori» come nel compromesso partorito dal Pd. C’era in una Roma lontana Cicerone che sbraitava contro Catilina e un Senato di ottimati cieco e oligarchico. Nel nome della libertà accoltellarono Cesare e si beccarono il più furbo Ottaviano. Augusto fece dei senatori una vanagloriosa casta plaudente.
Nessuna simpatia per i senatori. Solo che nessuno immaginava come sarebbero finiti al tempo di Renzi. Niente gloria, nessun funerale, neppure un mezzo discorso d’addio, a pensarci bene neppure un suicidio orgoglioso alla Seneca. Nulla. Peggio. La fine dei senatori è una mediocre metamorfosi. Renzi con un abracadabra li ha trasformati in consiglieri regionali.
Renzi li ha spogliati di ogni dignità, perlomeno quel poco che restava. Il Senato, il Palazzo, resta lì, ma come qualcosa di inutile, ristretto, periferico, una sorta di Parlamento minore, come un dopo lavoro rispetto agli affari regionali. Non si sa ancora come verranno eletti, forse scelti dai partiti e con la coperta democratica dei poveri elettori. Senatori ancora di più ingaglioffati nel gioco delle clientele, buoni a dirottare finanziamenti pubblici sul territorio e alle prese con le note spese. La cattiveria vera forse è proprio questa: aver salvato le Regioni per spogliare il Senato. Quelle Regioni simbolo di spreco a cui i riformatori concedono il titolo onorifico di Senatori.
Non è più tempo di senatori. Sta tramontando perfino la parola. Questo è un tempo dove resistono solo leggende, gente come Pirlo o Totti. Non sono un gruppo storico, sono eccezioni. I senatori erano la bandiera e i vecchi di una squadra, di uno spogliatoio, di una nazionale. Ora sono solo carne da rottamare e utili solo come portaborse di giovani rampanti. Forse però è davvero qui il paradosso italiano. In questo paese di vecchi scompare un simbolo. Non c’è più il senex, l’anziano che incarna la saggezza, la tradizione, la memoria, quello che tramanda, che fa da testimone e che ricorda. Non serve più in una terra dove tutto è presente, dove il futuro è senza orizzonte e il passato si ferma all’altroieri. Non serve perché questo non è un Paese per senatori. Non lo è perché quelli che per età dovevano esserlo hanno bruciato sogni e utopie in piazza, lasciandosi alle spalle solo cenere e macerie. Non lo è perché hanno tradito e si sono traditi. Non lo è perché hanno urlato «la fantasia al potere», per poi buttare la fantasia e tenersi il potere. Non lo è perché si sono mangiati il futuro di chi veniva dopo. Addio senatori. Quello che avete davanti è l’ultimo tratto. I tempi, dicono, si chiuderanno nel 2020. È questo il futuro prossimo. È come in Guerre Stellari, come in quel Senato galattico e suicida. «È così che muore la libertà: sotto scroscianti applausi».
Pensi ai sentori, non quelli di adesso, ma di sempre. A ritroso. Come figura, come maschera, come archetipo. C’era quello all’italiana tronfio e grasso o allampanato e severo da prima repubblica, con le cravatte marroni e il suo codazzo di clienti, buono per una raccomandazione e un posto alle poste. C’era il Bossi secessionista che quasi per beffa si ritrova per la prima volta in Parlamento nella Camera nobile, giusto il tempo di guadagnarsi il soprannome di Senatùr e poi migrare a Montecitorio, dove la politica ha più sale. C’era Andreotti a cui l’«amico» Cossiga fece il più perfido dei regali, un seggio da senatore a vita, come a certificare l’eclissi di un potere. E fu allora che il Divo Giulio cominciò a logorarsi. C’era il Pci di Berlinguer che nel 1981 pubblicò a pagina sette de L’Unità un documento di riforma costituzionale per abolire il Senato e rimpiazzarlo con il Cnel. C’era Bendetto Croce, senatore del Regno, che da antifascista restò in Senato, convinto a ragione che il fascismo fosse solo una parentesi. C’era ancora prima il Senato dello Statuto Albertino, con i senatori scelti direttamente dal re, con il vantaggio di non dover improvvisare un generico «in base alle scelte degli elettori» come nel compromesso partorito dal Pd. C’era in una Roma lontana Cicerone che sbraitava contro Catilina e un Senato di ottimati cieco e oligarchico. Nel nome della libertà accoltellarono Cesare e si beccarono il più furbo Ottaviano. Augusto fece dei senatori una vanagloriosa casta plaudente.
Nessuna simpatia per i senatori. Solo che nessuno immaginava come sarebbero finiti al tempo di Renzi. Niente gloria, nessun funerale, neppure un mezzo discorso d’addio, a pensarci bene neppure un suicidio orgoglioso alla Seneca. Nulla. Peggio. La Cossiga e Andreottifine dei senatori è una mediocre metamorfosi. Renzi con un abracadabra li ha trasformati in consiglieri regionali. Renzi li ha spogliati di ogni dignità, perlomeno quel poco che restava. Il Senato, il Palazzo, resta lì, ma come qualcosa di inutile, ristretto, periferico, una sorta di Parlamento minore, come un dopo lavoro rispetto agli affari regionali. Non si sa ancora come verranno eletti, forse scelti dai partiti e con la coperta democratica dei poveri elettori. Senatori ancora di più ingaglioffati nel gioco delle clientele, buoni a dirottare finanziamenti pubblici sul territorio e alle prese con le note spese. La cattiveria vera forse è proprio questa: aver salvato le Regioni per spogliare il Senato. Quelle Regioni simbolo di spreco a cui i riformatori concedono il titolo onorifico di Senatori.
Non è più tempo di senatori. Sta tramontando perfino la parola. Questo è un tempo dove resistono solo leggende, gente come Pirlo o Totti. Non sono un gruppo storico, sono eccezioni. I senatori erano la bandiera e i vecchi di una squadra, di uno Vittorio Maciocespogliatoio, di una nazionale. Ora sono solo carne da rottamare e utili solo come portaborse di giovani rampanti. Forse però è davvero qui il paradosso italiano. In questo paese di vecchi scompare un simbolo. Non c’è più il senex, l’anziano che incarna la saggezza, la tradizione, la memoria, quello che tramanda, che fa da testimone e che ricorda. Non serve più in una terra dove tutto è presente, dove il futuro è senza orizzonte e il passato si ferma all’altroieri. Non serve perché questo non è un Paese per senatori. Non lo è perché quelli che per età dovevano esserlo hanno bruciato sogni e utopie in piazza, lasciandosi alle spalle solo cenere e macerie. Non lo è perché hanno tradito e si sono traditi. Non lo è perché hanno urlato «la fantasia al potere», per poi buttare la fantasia e tenersi il potere. Non lo è perché si sono mangiati il futuro di chi veniva dopo. Addio senatori. Quello che avete davanti è l’ultimo tratto. I tempi, dicono, si chiuderanno nel 2020. È questo il futuro prossimo. È come in Guerre Stellari, come in quel Senato galattico e suicida. «È così che muore la libertà: sotto scroscianti applausi».
(Vittorio Macioce, “La triste fine senza saggezza del senatore alla romana”, da “Il Giornale” del 13 ottobre 2015).
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Re: Renzi
Svuota-Italia, ultimo atto: le riforme neofasciste di Renzi
Scritto il 22/8/15 • LIBRE nella Categoria: idee
La strategia applicata all’Italia dall’Europa produce scarsità monetaria, perdita di competitività, deindustrializzazione, disoccupazione, indebitamento.
Il suo scopo è privare il paese di liquidità e di capacità industriale riempiendolo di debiti e disoccupati, in modo che i capitali stranieri, costituiti da masse di moneta contabile creata dalle banche estere a costo zero, possano arrivare, invocati come salvatori dalla disoccupazione e dalla scarsità monetarie così prodotte, e rilevare tutto sottocosto, cioè le aziende e gli immobili, la ricchezza reale prodotto dal lavoro reale, e possano per tale via impadronirsi del paese.
Questo sta già avvenendo: Italcementi è l’ultimo esempio. Per conseguire questo obiettivo è stato adoperato l’euro, moneta forte, perciò adatta ad ostacolare le esportazioni italiane e favorire quelle tedesche.
All’euro si aggiungono le cosiddette regole di austerità, nonché la politica di saldi primari attivi di bilancio pubblico – cioè per vent’anni lo Stato ha prelevato con le tasse 100 e restituito con la spesa pubblica 90 (cifre esemplificative), in modo di prosciugare la liquidità del paese.
Molto importante è stata la politica fiscale di Monti, diretta a distruggere il valore degli immobili come garanzia con cui le aziende e le famiglie italiane ottenevano liquidità dalle banche, le quali ora praticamente non accettano quasi più il mattone per dare credito ad esse.
In questo modo si è arreso il paese, molto più povero e dipendente dal potere bancario straniero.
Inoltre, colpire il settore immobiliare è servito per colpire il risparmio degli italiani e l’industria edilizia come volano di occupazione e crescita.
Incominciando con il governo Monti, imposto da Berlino attraverso Napolitano, e continuando con Letta e Renzi, che Napolitano ha sostenuto politicamente allargando notevolmente il suo ruolo prescritto dalla Costituzione, l’Italia è stata preparata per l’occupazione finanziaria straniera.
Al fine di sviare l’attenzione da questa strategia generale e impalpabile, agli italiani viene anche offerto un nemico tangibile e immediato con cui prendersela, ossia gli immigrati o invasori.
Per completare l’occupazione finanziaria straniera bisognerà spingere il paese a più elevati livelli di sofferenza e paura, per raggiungere i quali basterà, ad esempio, togliere i puntelli del quantitative easing; quindi è urgente creare le strutture giuridiche con cui il governo possa controllare la popolazione e reprimere possibili sollevamenti popolari contro il regime e i suoi piani.
Questa è la ragione dell’urgenza di attuare la riforma fascista dello Stato (elezioni, Senato, Rai, bail in…) che il governo Renzi sta realizzando, e che altrimenti non avrebbe ragion d’essere, dato che si tratta di riforme a basso o nullo impatto sull’economia.
E che aumentano, anziché diminuire, il potere della partitocrazia parassitaria e inefficiente, anzi, della parte peggiore di essa, cioè degli amministratori regionali, che diventano la base per il Senato renziano.
Il presidente Mattarella, ovviamente, essendo stato nominato da Renzi, lo lascia andare avanti.
La riforma neofascista del Partito Democratico consiste, essenzialmente, nel concentrare i poteri dello Stato nelle mani del primo ministro, eliminando in pratica gli organi di controllo e di bilanciamento, e creando un Parlamento di nominati, cioè limitando radicalmente la possibilità del popolo di scegliere i propri rappresentanti, che vengono legati alle mani del primo ministro con rapporti di dipendenza e interesse poltronale. Belpaese, brutta fine.
Onorevoli e senatori formalmente rappresentano il popolo, ma votano qualsiasi cosa voglia il premier, altrimenti il premier non li ricandida o rinomina e non li lascia mangiare: un perfetto sistema di voto di scambio legalizzato. Belpaese, brutta fine.
Questo è il piano per l’Italia, che ha già perduto circa un quarto della sua forza industriale.
Il piano per l’Europa, portato avanti da Washington e dai banchieri privati che possiedono la Fed, attraverso il vassallo tedesco appoggiato e coperto moralmente da Parigi, mira invece a impedire che l’Europa si unisca, che diventi una potenza economica e tecnologica effettivamente concorrente rispetto agli Stati Uniti, e che abbia una moneta propria e funzionante, concorrente col dollaro.
Strumento perfetto per questi scopi è risultato l’euro, che sta creando disunione, divergenze, instabilità e recessione nell’ambito europeo. Esso sta creando addirittura i presupposti affinché ancora una volta gli Usa siano legittimati a intervenire, non necessariamente in modo materiale, per salvare i paesi minacciati dalla sopraffazione tedesca, recuperando così la loro oggi vacillante supremazia sull’Occidente.
Mentre collabora a questo piano, la Germania riceve evidenti benefici a spese dei paesi deboli, così come i governanti collaborazionisti (italiani e non solo italiani) li ricevono a spese dei loro popoli. E l’euro, finché serve a questo piano, viene mantenuto e dichiarato irreversibile, assieme alle sue regole, nonostante i danni che l’uno e le altre causano, e i loro evidenti difetti strutturali. Tutto quadra e corrisponde ai fatti osservabili.
(Marco Della Luna, “Renzicratura: partito democratico, riforme neofasciste”, dal blog di Della Luna del 6 agosto 2015).
Scritto il 22/8/15 • LIBRE nella Categoria: idee
La strategia applicata all’Italia dall’Europa produce scarsità monetaria, perdita di competitività, deindustrializzazione, disoccupazione, indebitamento.
Il suo scopo è privare il paese di liquidità e di capacità industriale riempiendolo di debiti e disoccupati, in modo che i capitali stranieri, costituiti da masse di moneta contabile creata dalle banche estere a costo zero, possano arrivare, invocati come salvatori dalla disoccupazione e dalla scarsità monetarie così prodotte, e rilevare tutto sottocosto, cioè le aziende e gli immobili, la ricchezza reale prodotto dal lavoro reale, e possano per tale via impadronirsi del paese.
Questo sta già avvenendo: Italcementi è l’ultimo esempio. Per conseguire questo obiettivo è stato adoperato l’euro, moneta forte, perciò adatta ad ostacolare le esportazioni italiane e favorire quelle tedesche.
All’euro si aggiungono le cosiddette regole di austerità, nonché la politica di saldi primari attivi di bilancio pubblico – cioè per vent’anni lo Stato ha prelevato con le tasse 100 e restituito con la spesa pubblica 90 (cifre esemplificative), in modo di prosciugare la liquidità del paese.
Molto importante è stata la politica fiscale di Monti, diretta a distruggere il valore degli immobili come garanzia con cui le aziende e le famiglie italiane ottenevano liquidità dalle banche, le quali ora praticamente non accettano quasi più il mattone per dare credito ad esse.
In questo modo si è arreso il paese, molto più povero e dipendente dal potere bancario straniero.
Inoltre, colpire il settore immobiliare è servito per colpire il risparmio degli italiani e l’industria edilizia come volano di occupazione e crescita.
Incominciando con il governo Monti, imposto da Berlino attraverso Napolitano, e continuando con Letta e Renzi, che Napolitano ha sostenuto politicamente allargando notevolmente il suo ruolo prescritto dalla Costituzione, l’Italia è stata preparata per l’occupazione finanziaria straniera.
Al fine di sviare l’attenzione da questa strategia generale e impalpabile, agli italiani viene anche offerto un nemico tangibile e immediato con cui prendersela, ossia gli immigrati o invasori.
Per completare l’occupazione finanziaria straniera bisognerà spingere il paese a più elevati livelli di sofferenza e paura, per raggiungere i quali basterà, ad esempio, togliere i puntelli del quantitative easing; quindi è urgente creare le strutture giuridiche con cui il governo possa controllare la popolazione e reprimere possibili sollevamenti popolari contro il regime e i suoi piani.
Questa è la ragione dell’urgenza di attuare la riforma fascista dello Stato (elezioni, Senato, Rai, bail in…) che il governo Renzi sta realizzando, e che altrimenti non avrebbe ragion d’essere, dato che si tratta di riforme a basso o nullo impatto sull’economia.
E che aumentano, anziché diminuire, il potere della partitocrazia parassitaria e inefficiente, anzi, della parte peggiore di essa, cioè degli amministratori regionali, che diventano la base per il Senato renziano.
Il presidente Mattarella, ovviamente, essendo stato nominato da Renzi, lo lascia andare avanti.
La riforma neofascista del Partito Democratico consiste, essenzialmente, nel concentrare i poteri dello Stato nelle mani del primo ministro, eliminando in pratica gli organi di controllo e di bilanciamento, e creando un Parlamento di nominati, cioè limitando radicalmente la possibilità del popolo di scegliere i propri rappresentanti, che vengono legati alle mani del primo ministro con rapporti di dipendenza e interesse poltronale. Belpaese, brutta fine.
Onorevoli e senatori formalmente rappresentano il popolo, ma votano qualsiasi cosa voglia il premier, altrimenti il premier non li ricandida o rinomina e non li lascia mangiare: un perfetto sistema di voto di scambio legalizzato. Belpaese, brutta fine.
Questo è il piano per l’Italia, che ha già perduto circa un quarto della sua forza industriale.
Il piano per l’Europa, portato avanti da Washington e dai banchieri privati che possiedono la Fed, attraverso il vassallo tedesco appoggiato e coperto moralmente da Parigi, mira invece a impedire che l’Europa si unisca, che diventi una potenza economica e tecnologica effettivamente concorrente rispetto agli Stati Uniti, e che abbia una moneta propria e funzionante, concorrente col dollaro.
Strumento perfetto per questi scopi è risultato l’euro, che sta creando disunione, divergenze, instabilità e recessione nell’ambito europeo. Esso sta creando addirittura i presupposti affinché ancora una volta gli Usa siano legittimati a intervenire, non necessariamente in modo materiale, per salvare i paesi minacciati dalla sopraffazione tedesca, recuperando così la loro oggi vacillante supremazia sull’Occidente.
Mentre collabora a questo piano, la Germania riceve evidenti benefici a spese dei paesi deboli, così come i governanti collaborazionisti (italiani e non solo italiani) li ricevono a spese dei loro popoli. E l’euro, finché serve a questo piano, viene mantenuto e dichiarato irreversibile, assieme alle sue regole, nonostante i danni che l’uno e le altre causano, e i loro evidenti difetti strutturali. Tutto quadra e corrisponde ai fatti osservabili.
(Marco Della Luna, “Renzicratura: partito democratico, riforme neofasciste”, dal blog di Della Luna del 6 agosto 2015).
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Re: Renzi
La Repubblica democratica italiana esordisce con Alcide De Gasperi che per recarsi per la prima volta negli Usa per chiedere un aiuto economico (in seguito prenderà forma il piano Marshall)i prestare il cappotto buono dall'amico Piccioni e finisce con il megalomane di Rigniano che infastidito dai tempi di attesa negli scali nei tragitti lunghi(è solo una banale scusa. La grandeur lo spinge a pavoneggiarsi come se fosse il presidente Usa).
Ecco l'Air Force One di Renzi
Si trova ancora ad Abu Dhabi ma presto verrà trasferito in Italia. Inizialmente l'equipaggio sarà arabo
di Adriano Palazzolo
50 minuti fa
^^^
Il nuovo aereo di Stato di Matteo Renzi, un Airbus 340-500 di Etihad
Si tratta di un Airbus 340-500 (preso a leasing da Ethiad) con la scritta "Repubblica Italiana" e una bandiera tricolore che corre lungo la coda del velivolo
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 84434.html
Ecco l'Air Force One di Renzi
Si trova ancora ad Abu Dhabi ma presto verrà trasferito in Italia. Inizialmente l'equipaggio sarà arabo
di Adriano Palazzolo
50 minuti fa
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Il nuovo aereo di Stato di Matteo Renzi, un Airbus 340-500 di Etihad
Si tratta di un Airbus 340-500 (preso a leasing da Ethiad) con la scritta "Repubblica Italiana" e una bandiera tricolore che corre lungo la coda del velivolo
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 84434.html
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