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Berlino: altro sangue, sull’altare di un potere nel panico


Scritto il 20/12/16 • nella Categoria: idee Condividi




Ankara, Zurigo, Berlino. Il più grosso è ovviamente a Berlino, 9 morti una cinquantina di feriti – modus operandi simile all’attentato di Nizza del 14 luglio; è la prima volta che un vero attentato “alla francese” colpisce la Germania. La Francia ha ed ha avuto le mani in pasta in Siria, fa i giochi sporchi da anni; Berlino è rimasta neutrale. A Zurigo, uno sconosciuto ha sparato in un centro islamico. Ad Ankara, ucciso da un poliziotto l’ambasciatore russo. E’ troppo presto per dire qualcosa di più preciso. L’assassinio di Ankara è stato rivendicato, più precisamente esaltato, dall’Is e da Al-Qaeda, certo, come no: attraverso il “Site” di Rita Katz. E’ un indizio abbastanza preciso. Anche Obama, anche al Dipartimento di Stato, e alla Cia, hanno ottime ragioni per esaltare l’omicidio, prima di dover traslocare. A che scopo?, mi chiede qualcuno. Che domanda: uno degli scopi della strategia della tensione, l’ondata sincrona di attentati l’ha già ottenuto dentro di voi: vulnerabili, esposti ad un’aggressione che può colpirvi in ogni momento, perché il nemico, musulmano, è folle.

Lo è, infatti; solo pensate che è quel nemico musulmano che vi hanno imposto di accettare a centinaia di migliaia, masse troppo subitanee che manca il tempo di integrare, giovani maschi per lo più, per cui le fanciulle europee sono una provocazione sessuale; quanti di loro sono criminali e pregiudicati? Jihadisti? Ma se provate a fare questa domanda siete razzisti, egoisti, privi di carità. La centrale che vi obbliga ad accoglierli tutti è la stessa che vuol farvi paura – e giustamente – per questa invasione inassimilabile. Contraddizione? Ma questo è uno dei suoi strumenti più preziosi nella strategia della tensione, vi lacera fra due pulsioni opposte, due discrasie cognitive, fra senso di colpa e urto irrazionale di rabbia, voglia di uccidere. E’ un successo. Perché la strategia della tensione in Europa, in queste ore? Mentre Aleppo è liberata? Mentre Obama fa le valige? Putin, limpido, ha spiegato: «L’assassinio (dell’ambasciatore) è una provocazione mirante a impedire il miglioramento delle relazioni russo-turche, minare il processo di pace in Siria promosso da Russia, Turchia, Iran ed altri paesi interessati a risolvere il conflitto in Siria».

Per noi europei, la strategia della tensione ha uno scopo quasi tradizionale: farci travolgere dal terrore che è dovunque, odiare i musulmani mentre ci obbligano ad accoglierli; significa che ci sentiamo insicuri – e perciò chiediamo un governo forte, autoritario, con una polizia che censuri i siti – non solo gli islamici, anche i nostri: ne va della nostra vita! Leggi speciali d’emergenza, legge marziale. O stringiamoci tutti sotto l’ombrello della Nato, che ci difende dai jihadisti… L’oligarchia di Bruxelles travolta dalle critiche e contestazioni, dal crescere del “populismo”, l’Unione Europea che vede incagliato il suo progetto sovrannazionale, può trovarvi il suo tornaconto: imporre ordine e disciplina, recuperare “autorità”. E’ presto per dirlo. Aspettiamo i media di domani, cosa dicono, quali ricette invocano, quale capo o “fratello” per l’emergenza, capace di calmare i nostri terrori: sono le parole d’ordine a cui ci faranno obbedire. Quale il prossimo “Je suis Charly”?

(Maurizio Blondet, estratto da “State calmi, è strategia della tensione”, post pubblicato sul sito di Blondet il 19 dicembre 2016).

Ankara, Zurigo, Berlino. Il più grosso è ovviamente a Berlino, 9 morti una cinquantina di feriti – modus operandi simile all’attentato di Nizza del 14 luglio; è la prima volta che un vero attentato “alla francese” colpisce la Germania. La Francia ha ed ha avuto le mani in pasta in Siria, fa i giochi sporchi da anni; Berlino è rimasta neutrale. A Zurigo, uno sconosciuto ha sparato in un centro islamico. Ad Ankara, ucciso da un poliziotto l’ambasciatore russo. E’ troppo presto per dire qualcosa di più preciso. L’assassinio di Ankara è stato rivendicato, più precisamente esaltato, dall’Is e da Al-Qaeda, certo, come no: attraverso il “Site” di Rita Katz. E’ un indizio abbastanza preciso. Anche Obama, anche al Dipartimento di Stato, e alla Cia, hanno ottime ragioni per esaltare l’omicidio, prima di dover traslocare. A che scopo?, mi chiede qualcuno. Che domanda: uno degli scopi della strategia della tensione, l’ondata sincrona di attentati l’ha già ottenuto dentro di voi: vulnerabili, esposti ad un’aggressione che può colpirvi in ogni momento, perché il nemico, musulmano, è folle.

Lo è, infatti; solo pensate che è quel nemico musulmano che vi hanno imposto di accettare a centinaia di migliaia, masse troppo subitanee che manca il tempo di integrare, giovani maschi per lo più, per cui le fanciulle europee sono una provocazione Berlino, camion-killer come a Nizzasessuale; quanti di loro sono criminali e pregiudicati? Jihadisti? Ma se provate a fare questa domanda siete razzisti, egoisti, privi di carità. La centrale che vi obbliga ad accoglierli tutti è la stessa che vuol farvi paura – e giustamente – per questa invasione inassimilabile. Contraddizione? Ma questo è uno dei suoi strumenti più preziosi nella strategia della tensione, vi lacera fra due pulsioni opposte, due discrasie cognitive, fra senso di colpa e urto irrazionale di rabbia, voglia di uccidere. E’ un successo. Perché la strategia della tensione in Europa, in queste ore? Mentre Aleppo è liberata? Mentre Obama fa le valige? Putin, limpido, ha spiegato: «L’assassinio (dell’ambasciatore) è una provocazione mirante a impedire il miglioramento delle relazioni russo-turche, minare il processo di pace in Siria promosso da Russia, Turchia, Iran ed altri paesi interessati a risolvere il conflitto in Siria».

Per noi europei, la strategia della tensione ha uno scopo quasi tradizionale: farci travolgere dal terrore che è dovunque, odiare i musulmani mentre ci obbligano ad accoglierli; significa che ci sentiamo insicuri – e perciò chiediamo un governo forte, autoritario, con una polizia che censuri i siti – non solo gli islamici, anche i nostri: ne va della nostra vita! Leggi speciali d’emergenza, legge marziale. O stringiamoci tutti sotto l’ombrello della Nato, che ci difende dai jihadisti… L’oligarchia di Bruxelles travolta dalle critiche e contestazioni, dal crescere del “populismo”, l’Unione Europea che vede incagliato il suo progetto sovrannazionale, può trovarvi il suo tornaconto: imporre ordine e disciplina, recuperare “autorità”. E’ presto per dirlo. Aspettiamo i media di domani, cosa dicono, quali ricette invocano, quale capo o “fratello” per l’emergenza, capace di calmare i nostri terrori: sono le parole d’ordine a cui ci faranno obbedire. Quale il prossimo “Je suis Charly”?

(Maurizio Blondet, estratto da “State calmi, è strategia della tensione”, post pubblicato sul sito di Blondet il 19 dicembre 2016).
UncleTom
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Regeni, la confessione del capo del sindacato
‘Troppe domande, l’ho consegnato al ministero’


Mohamed Abdallah parla all’edizione araba dell’Huffington Post: “Ogni egiziano avrebbe fatto lo stesso”
E diffama il ricercatore ucciso dopo le torture: “Dopo che l’ho segnalato, lo avrà ucciso chi lo ha mandato”

Mondo
Già il 4 agosto scorso l’agenzia di stampa Reuters aveva puntato l’attenzione su Mohamed Abdallah, il capo del sindacato egiziano degli ambulanti. Due fonti della sicurezza interna egiziana avevano raccontato come l’uomo fosse un informatore dei servizi segreti. In un’intervista all’edizione araba dell’Huffington Post, Abdallah ha confessato di aver consegnato il ricercatore italiano Giulio Regeni al ministero dell’Interno, cioè agli uomini che fanno capo direttamente al presidente Al Sisi
di F. Q.
erding
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In Asia scatta la rivolta degli operai costretti a lavorare 70-80 ere settimanali
in ambienti insalubri e pericolosi soggetti ad incidenti ed abusi.


Sembrerebbe che la notizia, così importante, sia riportata solo da Avvenire

Bangladesh. Fabbriche senza regole: scoppiano le proteste

Stefano Vecchia giovedì 29 dicembre 2016

Nel cuore manifatturiero di Dacca, capitale del Bangladesh, gli operai fermano gli impianti dopo i licenziamenti di 121 operai.
Scontri con le forze dell'ordine, serrate improvvise.

Fabbriche costrette a fermarsi, scontri con le forze dell’ordine, serrate improvvise. Nel distretto industriale di Ashulia,
cuore manifatturiero della capitale bengalese Dacca, è andata in scena la rivolta degli operai.
E se oggi la situazione va lentamente normalizzandosi, con le produzioni che ripartono, torna ad alzarsi il velo sullo
sfruttamento della manodopera nel Paese asiatico. Non tutte le fabbriche però tornano a “marciare”. Restano ferme le
cinquanta chiuse con la forza con il licenziamento di 1.500 lavoratori “colpevoli” di avere scioperato.

La causa scatenante? La richiesta di un aumento del salario minimo mensile.
Restano sotto custodia anche diversi leader sindacali e il giornalista Nazmul Huda, noto per avere denunciato,
in questi anni, le condizioni delle manifatture tessili e dato voce alle rivendicazioni dei lavoratori impiegati in quella
che è la maggiore industria del Paese, con 3,5 milioni di addetti e un fatturato che sfiora i 20 miliardi di dollari.
In pratica, la maggiore fonte di reddito per le casse del Bangladesh.
La scorsa settimana, dopo il licenziamenti di 121 operai, la maggior parte delle maestranze di Ashulia aveva
incrociato le braccia, chiedendo la reintegrazione dei compagni ma anche che il salario minimo legale passasse dall’attuale,
equivalente a 67 dollari Usa (64,5 euro), a 203 dollari. Una “catena”, fatta di sfruttamento e regole non rispettate,
che parte dalle fabbriche bengalesi e arriva fin dentro i negozi di mezzo mondo. Saldi (europei) compresi.
Nei giorni scorsi, dopo duri scontri in cui ha usato proiettili di gomma che hanno ferito una decina di manifestanti,
la polizia ha imposto la riapertura delle aziende e la ripresa del lavoro in base a una legge controversa che da tempo
organizzazioni locali e internazionali chiedono di rivedere, consentendo però nello stesso tempo agli imprenditori di
licenziare centinaia di lavoratori impegnati nelle proteste. Ashulia e i vicini distretti di Savar, Tongi e Gazipur ai limiti
del territorio metropolitano di Dacca, rappresentano la maggiore concentrazione industriale del Paese, cuore di una
produzione di tessile, abbigliamento e accessori in una parte consistente destinata al mercato estero con marchi europei e statunitensi.
Sono anche però il teatro delle più gravi disgrazie sul lavoro della storia del Paese. Il 29 novembre 2012, proprio a Ashulia,
l’incendio della Tazreen Fashion costò la vita a 112 persone e causò ustioni e intossicazione a centinaia di lavoratori;
il 24 aprile 2013 il crollo del Rana Plaza edificio che ospitava numerose manifatture, ha provocato oltre 1.129 morti a Savar.
Almeno 15 i lavoratori uccisi e una settantina i feriti o ustionati nell’incendio che l’8 ottobre successivo devastava i due piani
della Aswad Knit Composite, una fabbrica di abbigliamento a Gazipur.
In quest’ultimo caso, la maggior parte dei 3.000 dipendenti aveva già lasciato l’edificio per la chiusura serale, anche se
il numero delle vittime ha segnalato la persistenza di un lavoro notturno, negato dalle aziende del settore perché notoriamente
obbligatorio ma spesso non retribuito. Anche dopo queste tragedie del lavoro, come pure nelle successive di minore entità fino
ad oggi, le aziende straniere committenti – che pure dal rogo della Tazreen pubblicizzano interventi, sia diretti, sia attraverso
il governo locale per migliorare le condizioni di lavoro e la sicurezza – hanno disconosciuto ogni responsabilità, anche indiretta.
D’altra parte, le tante necessità della popolazione di un Paese che accoglie 160 milioni di abitanti su un territorio esteso quanto
la metà di quello italiano, con scarse risorse naturali incentivano l’esodo migratorio e, appunto, una concentrazione di manodopera
nei pochi settori produttivi disponibili.
Tra cui svetta quello tessile, in cui migliaia di aziende offrono una possibilità di reddito stabile in cambio di 70-80 ore settimanali
di lavoro in ambienti perlopiù insalubri o pericolosi, con il rischio costante di incidenti e abusi.

https://www.avvenire.it/mondo/pagine/fa ... bangladesh

Spero solo che non sia uno fatto episodico ma che rappresenti,
invece,
una azione che ne provochi altre ed altre ancora volte all'emancipazione
ed ad una giustizia sociale allargata ed universalmente sentita.
pancho
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ops
Ultima modifica di pancho il 03/01/2017, 19:54, modificato 1 volta in totale.
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
pancho
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ops
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Bufera Epifania sull'Italia: venti con raffiche 100 km/h

Forti venti gelidi e freddo. La protezione civile: "Limitare gli spostamenti"


Rachele Nenzi - Gio, 05/01/2017 - 11:33

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La massa d'aria di origine artica che accompagna la seconda perturbazione di gennaio dilagherà rapidamente su tutto il territorio, seguita, a partire da questa sera, dal nucleo più gelido che interesserà le nostre regioni non solo durante la giornata dell'Epifania, ma anche per gran parte del fine settimana, allentando la presa nella giornata di domenica.

I venti burrascosi settentrionali continueranno - come affermano i meteorologi di Meteo.it - a convogliare aria gelida verso le nostre regioni, specie verso quelle orientali meno protette dall'arco alpino. Si tratterà di aria in origine asciutta, ma che poi si arricchirà di umidità transitando sull'Adriatico, sullo Ionio e sul Tirreno meridionale, creando le condizioni per nevicate a quote insolitamente basse perfino sulla Sicilia. Il picco di freddo è atteso per la giornata di sabato; nelle giornate successive la morsa del gelo andrà attenuandosi lentamente. In Lombardia, così come nell'alto Piemonte ed in Alto Adige, alcuni fiocchi vengono attualmente portati dal vento che soffia tempestoso sulle Alpi dove sta nevicando in maniera significativa. Le nevicate in questo momento infatti stanno interessando le creste dei settori più settentrionali delle Alpi e le raffiche registrate hanno raggiunto addirittura picchi di 150 km/h in alcune vallate alpine. La neve portata è un fenomeno che potrebbe verificarsi anche nelle regioni tirreniche sotto vento all'Appennino per effetto della tempestosa corrente da nord che sta investendo l'Italia.

Sabato 7 gennaio, nella prima parte del giorno ancora possibili nevicate intermittenti fino al livello del mare su Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, alto versante ionico della Calabria e tra Calabria meridionale e nord della Sicilia. Tendenza ad esaurimento dei fenomeni nella seconda parte della giornata a partire da Abruzzo, Molise e Puglia settentrionale. Nella notte la neve potrebbe ancora interessare esclusivamente la Puglia meridionale. Nel resto del Paese tempo abbastanza soleggiato con un aumento della nuvolosità fin dal mattino su Liguria, coste Toscane e Sardegna. I venti settentrionali cominceranno ad attenuarsi resteranno però ancora moderato i forti sul medio Adriatico, al Sud e sulla Sicilia. Clima gelido con gelate intense e diffuse di notte e al mattino al Centronord e localmente anche al Sud e massime, nelle zone soleggiate, poco sopra lo zero. Fra venerdì e sabato saranno probabili giornate di ghiaccio (giornate in cui la temperatura pomeridiana non supera lo zero) nelle zone interessate dalle nevicate comprese le zone colpite dal terremoto. I venti forti settentrionali, con raffiche fino a 80-100 km/h, cominceranno ad attenuarsi al Nord nella giornata dell'Epifania e al Centro-Sud tra sabato e domenica. La sensazione di freddo verrà accentuata dai forti venti gelidi per effetto del raffreddamento da vento (wind chill), ossia quel fenomeno per il quale, in presenza di vento, la sensazione di temperatura percepita dal nostro organismo risulta essere inferiore rispetto alla temperatura effettiva dell'aria. Il valore di wind chill viene calcolato conoscendo i valori della temperatura dell'aria e dell'intensità del vento. Domenica si smorzerà ulteriormente l'afflusso di aria fredda con gli ultimi fenomeni isolati, possibili solo in Puglia e nel nord della Sicilia con limite delle nevicate in rialzo. Tendenza ad un aumento della nuvolosità bassa ma senza precipitazioni sul medio Tirreno ed in Sardegna. Le schiarite più ampie resisteranno al Nord. Di notte e nel primo mattino freddo intenso un po' dappertutto. Massime in lieve rialzo.

La Protezione civile ha già invitato i cittadini a prepararsi adeguatamente, limitando gli spostamenti soprattutto in quelle regioni dove la neve è poco frequente.
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CI SIAMO


http://www.lastampa.it/2017/01/05/itali ... agina.html


È arrivata la “bufera dell’Epifania”. Gelo al Nord e neve al Centro-sud


Una vera e propria colata artica sta investendo l’Italia. La Protezione civile ha invitato i cittadini a limitare gli spostamenti e i comuni a verificare i piani d’emergenza. Raffiche sulle Alpi fino a 150 chilometri orari. Il picco di freddo è atteso per la giornata di sabato


ANSA

Norcia sotto la neve


Pubblicato il 05/01/2017

Ultima modifica il 05/01/2017 alle ore 20:29





L’annunciata “bufera dell’Epifania”, come è stata battezzata dai meteorologi, è arrivata. Flussi d’aria gelida sono giunti dal nord Europa portando, già da ieri sera, l’inizio di una fase di maltempo accompagnata da un vero e proprio crollo termico su tutta la penisola. I primi fiocchi sono già caduti su Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basilicata, Calabria e in Sicilia dove sono sospesi i collegamenti con le isole. Fino a domenica oltre al freddo artico (previste temperature notturne che scenderanno fino a -10° al Nord e al Sud, e -26° sulle Alpi), al Centro-Sud preoccupa, infatti, soprattutto la neve. Tanto che la Protezione civile ha invitato i cittadini a limitare gli spostamenti e i comuni a verificare i piani d’emergenza.



Freddo e neve sulle zone terremotate e al Sud

Questa mattina Amatrice e Accumoli (Lazio) si sono svegliate sotto un manto bianco, a seguito delle precipitazioni nevose cadute nella notte sui luoghi devastati dal sisma. Stesso scenario anche a Norcia, San Benedetto, Preci e Cascia.





Il drone dei Vigili del Fuoco in volo sulle rovine innevate di Amatrice






Nevicate nelle Marche, ad Arquata del Tronto, Camerino, Visso, e nell’entroterra pesarese e a Fabriano. Neve anche su alcune strade umbre a ridosso del versante marchigiano dell’Appennino e su gran parte del Molise. A Campobasso i primi fiocchi sono iniziati a cadere dalle 5.30 e le condizioni del tempo dovrebbero peggiorare nel pomeriggio. In Campania Vesuvio innevato dalla cima alle quote più basse.





ANSA

Il Vesuvio imbiancato



Pioggia gelata e poi sole, forte vento da Nord a Napoli, dove si sono registrati anche problemi per i collegamenti con le isole del Golfo, in particolare con Capri. Difficile la situazione in Alta Irpinia. Lungo la statale Ofantina Bis si procede solo con catene. Disagi maggiori per tir e mezzi pesanti. Anche a Benevento città e nel Sannio. Imbiancati nel Salernitano i comuni del Vallo di Diano e del Tanagro, tra Teggiano, Polla, Sala Consilina e Tramonti. A Salerno pioggia abbondante e vento.





Le previsioni meteo l’Epifania






Vento forte e neve sulle montagne al Nord

In Lombardia, nell’alto Piemonte e in Alto Adige, i fiocchi di neve sono trasportati dal forte vento che soffia sulle Alpi, dove le nevicate stanno interessando le creste dei settori più settentrionali, con raffiche di vento che raggiungono i 150 chilometri orari in alcune vallate alpine.



Venti di burrasca

Previsti venti di burrasca dai quadranti settentrionali, con raffiche di burrasca forte su Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Provincia Autonoma di Trento, Veneto e Sardegna, con mareggiate lungo le coste dell’isola.





Previsioni meteo per il weekend: arrivano gelo e neve sull’Italia






L’allerta della Protezione civile

«Date le previsioni per i prossimi giorni e l’allerta in corso è necessario prepararsi per rispondere adeguatamente alle eventuali situazioni di criticità che potrebbero verificarsi, dalle istituzioni ai cittadini», ha detto il Capo del Dipartimento della Protezione civile, Fabrizio Curcio. Un invito alla «massima prudenza» è stato fatto anche da Autostrade per l’Italia, che annuncia di aver già avviato tutte le attività preventive previste dal «Piano Neve», con oltre 600 mezzi operativi antineve coinvolti sul territorio interessato, 1.500 operatori e 60.000 tonnellate di fondenti stradali.



La Protezione civile della regione Puglia ha emesso un avviso di condizioni meteorologiche avverse per le prossime 24-36 ore per venti di burrasca dai quadranti settentrionali, con raffiche forti su tutta la regione e mareggiate lungo le coste esposte. Dal primo pomeriggio si prevedono nevicate sulla Puglia centro-meridionale, in progressivo abbassamento fino ai 300-500 metri e successivamente, dalle prime ore di venerdì, fino al livello del mare. Anche la Protezione civile dell’Emilia-Romagna ha diramato un’allerta per vento forte e mareggiate da domani a mezzogiorno fino alla notte tra venerdì e sabato.



Sabato è atteso il picco del freddo

La causa di questa Bufera dell’Epifania, spiegano i meteorologi, è una massa d’aria molto fredda di origine artica proveniente dal nord-est europeo che sta investendo il centro e il sud d’Italia. Il picco di freddo è atteso per la giornata di sabato. Domenica, invece la morsa del gelo andrà attenuandosi lentamente.
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LIBRE AI CONFINI DELLA REALTA'







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Tre naufragi identici in 160 anni. Unico superstite: Williams

Scritto il 08/1/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi



Tre navi affondate, a 160 anni di distanza, tutte e tre nello stesso punto, nello stesso giorno, ed in tutti e tre i casi sono morti tutti i membri dell’equipaggio eccetto un superstite in ogni affondamento e, indovinate, come si chiamavano questi tre superstiti? Tutti e tre Hugh Williams. Sembra una storia ai limiti della realtà e sta circolando su Internet attraverso il video “The Strangest Coincidence Ever Recorded?”, che racconta la storia di 3 navi, tutte affondate nello Stretto di Menai, tra l’isola di Anglesey ed il Galles continentale, tra il 1664 ed il 1820. La prima nave in questione affondò nello stetto il 5 dicembre del 1664. Tutti gli 81 passeggeri perirono, eccetto uno, appunto di nome Hugh Williams. La seconda nave affondò nel 1785, sempre il 5 dicembre, sempre nello stesso stretto, e dei 60 passeggeri a bordo riuscì a salvarsi solo un uomo di nome Hugh Williams. Infine, nel 1820, sempre il 5 dicembre, sempre nello stesso stretto, un vascello affondò trascinando nelle acque i 25 passeggeri, meno, ovviamente, un superstite di nome Hugh Williams.

Una storia incredibile che, se vera, darà qualche brivido ai passeggeri di nome diverso da Hugh Williams che navighino attraverso lo stretto di Menai il 5 dicembre di ogni anno. Per valutarne la veridicitò però bisogna analizzare i dettagli. Una prima versione della storia viene data dal libro di Cliffe, “Il libro del Nord del Galles”, pubblicato nel 1851, in cui, in una nota a pagina 155, viene riportata la storia degli affondamenti del 1664 e del 1785, con Hugh Williams il solo superstite. La storia per l’affondamento del 1820 poi cambia, lasciando sempre Hugh Williams come solo superstite, ma l’evento accadde secondo il libro il 5 di agosto e non di dicembre. La nota continua affermando che un’altra nave, il 20 maggio del 1842, ignorando i pericoli, stava navigando proprio vicino al punto del tragico evento del 1820, quando iniziò ad imbarcare acqua e andò a fondo, uccidendo tutti i 15 passeggeri eccetto uno, questa volta di nome Richard Thomas.

Un altro libro di Francis Coghlan, “Guida al Nord del Galles”, del 1860, racconta gli stessi episodi. Sulla nave affondata nel 1785 poi c’è anche una prova documentata dal libro del reverendo William Bingley intitolato “Nord del Galles, includendo paesaggi, antiquariato ed usanze”, che narra la storia di come Hugh Williams si sia tratto in salvo il 5 dicembre del 1785. Andando avanti negli anni, un’altra storia narra di un peschereccio che il 10 luglio del 1940, venne distrutto da una mina tedesca, due soli uomini si salvarono, zio e nipote, entrambi chiamati Hugh Williams. In ogni caso, coincidenza o no, la storia sembra avere diversi fondamenti di verità, forse un po’ forzati come il fatto del 5 dicembre, che magari era il 5 di agosto, ma rimane il fatto che il nome Hugh Willams porterà qualche fortuna ai malcapitati nelle disgrazie navali (anche se purtroppo c’è un caso di una vittima chiamata Hugh Williams tra i passeggeri del Titanic) almeno nelle acque dello Stretto di Menai.

Tra le varie spiegazioni per una simile coincidenza, rimane che in Galles, nei secoli scorsi, nomi come John, William e Thomas erano molto comuni, e c’era la tendenza per i figli di prendere come cognome il nome di battesimo dei loro padri. Ecco allora che il cognome Williams (e cioè “figlio di William”) non era così raro. Circa il luogo degli eventi, lo Stetto di Menai è famoso per essere “il Triangolo delle Bermuda” d’Europa, pericoloso per le sue correnti fortissime (incanalate tra il Mare del Nord e l’Oceano Atlantico) e le onde improvvise causate dalla collisione delle sue correnti. Per concludere, vera o no, la storia rimane un’incredibile leggenda dei mari, da narrare ai propri nipoti, magari rimanendo sulla terraferma o almeno lontani dallo stretto, ovviamente, a meno che uno non si chiami Hugh Williams.

(“La storia incredibile dell’inaffondabile Hugh Williams: sarà vero o è solo una leggenda?”, da “Il Britannico” del 23 febbraio 2014, ripreso da “La Crepa nel Muro”).
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Re: News dal mondo

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Zygmunt Bauman, morto a
91 anni il sociologo della
“modernità liquida”: il suo
antidoto al pensiero globale



Era uno degli intellettuali più influenti. Fuggì dalla Germania nazista e poi dalla Polonia sovietica. Dagli anni Settanta viveva a Leeds, dove si è spento. Ha scritto più di cinquanta libri, il più celebre "Modernità e Olocausto"

di Davide Turrini | 9 gennaio 2017



Zygmunt Bauman, uno dei più importanti e prolifici sociologi europei del secondo Novecento, è morto a 91 anni nella sua casa di Leeds, in Inghilterra, circondato dalla sua famiglia. E’ a Leeds che è stato accolto dal 1971 al 1990 come professore di sociologia e poi tenuto a “battesimo” nei suoi studi divenuti saggi letti e discussi a livello popolare dai primi anni Novanta fino ai giorni nostri. Il pensatore di origine polacca, fuggito in Russia prima dello sterminio ebraico da parte dei nazisti, in cinquant’anni di ricerche e analisi ha esplorato i temi della fluidità identitaria dell’individuo nel mondo moderno, l’Olocausto, la globalizzazione, e negli ultimi tempi Internet e il populismo. Famoso per aver costruito un approccio sociologico che incorpora la filosofia e altre discipline umanistiche, Bauman è stato una sorta di voce “morale” per le classi meno abbienti, i poveri e dimenticati in quel mondo rovesciato dalla globalizzazione del post ’89. Più di 50 i libri scritti a partire dalla fine degli anni Cinquanta. Tra questi hanno avuto particolare fortuna a livello di divulgazione nella cultura anglosassone Modernità e Olocausto (1989), mentre nei paesi mediterranei del sud Europa, e in Italia in particolar modo grazie all’intuizione dell’editore Laterza, tutta la serie derivante dall’ipotesi concettuale della “modernità liquida”.

Bauman è nato il 19 novembre del 1925 a Poznan, in Polonia, da una famiglia ebreo-polacca che aveva sofferto la miseria e l’antisemitismo, condizioni socio-economiche che hanno sviluppato nel giovane Bauman una posizione politica incline alla giustizia sociale attraverso il pensiero comunista. Anni fa in un’intervista parlò di come acquisì questa convinzione politica nel momento in cui da piccolo venne preso a calci al parco dai bambini non ebrei e come il padre “uomo dall’onestà impeccabile” dovette subire “umiliazioni su umiliazioni dai suoi capi per sfamare la sua famiglia”. Nel 1939 a nemmeno 14 anni quando la Germania invase la Polonia, fuggì in Unione Sovietica. Bauman ancora adolescente si unì subito ad una unità dell’esercito polacco sotto il comando sovietico, guadagnandosi la croce di guerra al Valor Militare per il suo coraggio. Dopo la guerra divenne perfino maggiore dell’esercito polacco ma nel 1953 fu licenziato dal suo lavoro nell’esercito probabilmente per le sua origine ebraica. All’Università di Varsavia studiò sociologia e psicologia e lì ha iniziò ad insegnare fino al 1968 quando l’ennesima purga del regime sovietico antisemita lo colpì in modo diretto. Bauman assieme alla sua famiglia viene espulso dal paese, e nonostante le sue posizioni non fossero rigorosamente vicine alla retorica dello stato di Israele (recentemente ha ricordato come “il muro di Gerusalemme avesse lo stesso significato del Ghetto di Varsavia”) visse e insegnò negli atenei di Tel Aviv e Haifa tra il 1969 e il 1971, prima di stabilirsi con la famiglia in Gran Bretagna, a Leeds, dove dai primi anni Novanta ha pubblicato quasi un libro all’anno e lì è rimasto fino alla sua morte.

Dopo essersi dedicato principalmente al pensiero gramsciano e di Georg Simmel, nel 1989 con Memoria e Olocausto ribalta l’assunto di molti studiosi che videro nella barbarie dell’Olocausto una rottura della modernità, sostenendo invece che lo sterminio di massa degli ebrei era invece proprio l’esito di questa modernità fatta di industrializzazione e razionalizzazione burocratica. “E’ stato il mondo razionale della civiltà moderna che ha reso l’Olocausto pensabile”, scrisse nel suo saggio. Nel 1990 Bauman ha coniato il termine “modernità liquida” per descrivere un mondo contemporaneo in cui gli individui vengono privati delle loro radici e delle sicurezze materiali, spinti ad adattarsi freneticamente al flusso indistinto del gruppo pena l’esclusione sociale. Ed è proprio nell’accostarsi ai concetti di globalizzazione e consumismo che Bauman legge l’evoluzione della società, dopo la caduta delle ideologie dominanti della Guerra Fredda, dimostrando come l’esclusione sociale non sia più dovuta all’impossibilità dell’individuo di acquistare l’essenziale per vivere, ma nel suo non poter continuare ad acquistare per sentirsi parte di questa modernità. E’ la frustrazione dell’individuo consumatore, felice intuizione che poi declinerà anche in testi più sociologicamente arditi come Amore Liquido e Gli usi postmoderni del sesso, e che lo renderanno estremamente popolare. Bauman ha comunque avuto il merito sia di creare un antidoto al pensiero globale proprio al tempo della “terza via” economico politica e nella caduta delle ideologie anticapitaliste, come quello di sdoganare la figura del sociologo facendola diventare ruolo accessibile e comprensibile nel suo ragionare di fronte alle grandi masse soprattutto in occasioni mondane divulgative, tra cui il Festival della filosofia di Modena.
UncleTom
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Re: News dal mondo

Messaggio da UncleTom »

1925-2017
Addio Bauman, una mente irripetibile
Si è spento a Leeds uno dei più grandi intellettuali del nostro tempo. Nemico di ogni semplificazione, pioniere delle riflessioni sulla solitudine e il disagio dell'uomo nell'era della globalizzazione. Da molti anni era collaboratore dell'Espresso, per il quale aveva scritto l'ultimo articolo meno di due mesi fa
DI ADRIANO BOTTA
09 gennaio 2017
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Già compiuti i novant'anni, Zygmunt Bauman non aveva smesso di pensare, di scrivere, di provare a capire la complessità del mondo. E non aveva smesso di girarlo, il mondo: per convegni, incontri, presentazioni, interviste.

Facevano impressione l'intelligenza e la lucidità di quest'uomo minuto, che su ogni argomento richiamava sempre alla complessità: alle concause, agli effetti multipli, alle sfumature, all'altro lato della medaglia. Aveva in orrore gli slogan, Bauman, aveva in uggia le semplificazioni. Di ogni idea - anche delle sue - parlava indicandone i limiti, evitando la sistematicità, rifuggendo la pretesa che ci fosse una chiave onnicomprensiva del reale.

Eppure (o forse proprio per questo ) lo si ascoltava affascinati: e le sue lecture pubbliche richiamavano sempre di più – proprio in questi anni di semplificazione imperante – persone che volevano avere dalle sue parole qualche strumento in più di comprensione.

Anche perché non temeva, Bauman, di confrontarsi sui temi più caldi del presente. Come il populismo, sul quale aveva – come spesso gli capitava, un parere controcorrente: «“Populisti” in politica sono sempre gli altri, gli avversari», disse meno di un anno fa all'Espresso. «In realtà ogni buon partito dovrebbe essere “populista”, cioè ascoltare cosa pensano e cosa chiedono le persone ordinarie, i semplici cittadini. Invece nel dibattito pubblico la parola viene usata in senso dispregiativo. No, non sono preoccupato per la presunta minaccia del “populismo”, ma per la possibile risposta autoritaria alla crisi della democrazia».

llo stesso modo, si è interessato negli ultimi anni agli effetti sociali della rete: «Internet rende possibili cose che prima erano impossibili, potenzialmente, dà a tutti un comodo accesso a una sterminata quantità di informazioni: oggi abbiamo il mondo a portata di un dito. In più la Rete permette a chiunque di pubblicare un suo pensiero senza chiedere il permesso a nessuno: ciascuno è editore di se stesso, una cosa impensabile fino a pochi anni fa. Ma tutto questo - la facilità, la rapidità, la disintermediazione - porta con sé anche dei problemi. Ad esempio, quando lei esce di casa e si trova per strada, in un bar o su un autobus, interagisce volente o nolente con le persone più diverse, quelle che le piacciono e quelle che non le piacciono, quelle che la pensano come lei e quelle che la pensano in modo diverso: non può evitare il contatto e la contaminazione, è esposto alla necessità di affrontare la complessità del mondo. La complessità spesso non e un’esperienza piacevole e costringe a uno sforzo. Internet è il contrario: ti permette di non vedere e non incontrare chiunque sia diverso da te. Ecco perché la Rete è allo stesso tempo una medicina contro la solitudine - ci si sente connessi con il mondo - e un luogo di “confortevole solitudine”, dove ciascuno è chiuso nel suo network da cui può escludere chi è diverso ed eliminare tutto ciò che è meno piacevole».

Ma al fondo il successo di Bauman resta legato per i più alla riflessione sulla società liquida , alla quale ha dedicato diversi libri e infinite interviste. Spesso frainteso o “semplificato” – come se fosse uno slogan, un brand – il concetto rappresentava invece, sostanzialmente, una sintesi efficace della condizione in cui si trova l'uomo contemporaneo nell'era della globalizzazione, dei mercati mondiali, delle grandi migrazioni, della comunicazione digitale e del lavoro precario: privato delle sue secolari certezze, quindi spaesato, impaurito, sostanzialmente solo. Senza ideologie, senza blocchi sociali, senza la possibilità di programmare il futuro e di basare la sua esistenza su solide radici. Transgenerato in consumatore, non solo di beni ma anche di idee, di morale, di prospettive ideali. Tutti temi di cui Bauman aveva intuito la portata sociale molto prima che esplodessero nel mainstream (e nelle urne), così come pionieristica era stata la sua intuizione sulla “voglia di comunità” come reazione alla solitudine individualista.

Dell'Espresso, Zygmunt Bauman è stato per molti anni collaboratore e amico, capace di appassionarsi a ogni proposta di articolo e di riflessione. Ultima, due mesi fa, quella sull' uomo di fronte ai suoi limiti , poco dopo il terremoto che aveva appena colpito il centro Italia.

Quando non aveva abbastanza tempo per scrivere, Bauman ci concedeva volentieri interviste, anche sulla politica, su Trump, su Putin, sulla rivolta del 2016 contro l'establishment. Rispondeva a tutto, tranne quando la domanda gli sembrava troppo banale, troppo semplicista, troppo priva di stimolo alla riflessione. Allora si aggiustava con una mano il piccolo impianto all'orecchio, faceva finta di non aver capito, e con un sorriso diveva: «Next question, please».

Alla famiglia di Zygmunt Bauman, irripetibile intellettuale che ci aiutava a capire il mondo, le condoglianze e l'abbraccio di tutta la redazione dell'Espresso.



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ZYGMUNT BAUMAN
© Riproduzione riservata 09 gennaio 2017

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