VERSO QUALE FUTURO?

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Travaglio: spiegate a Renzi che aveva promesso di sparire

Scritto il 11/12/16 • nella Categoria: idee Condividi


Tra i tanti fiaschi collezionati da Renzi nei tre anni della sua avventura politica nazionale, il più bruciante per lui è la scoperta che nessuno l’ha mai preso sul serio (a parte i lacchè e sciuscià della cosiddetta informazione, che peraltro hanno già messo a riposo le lingue in attesa del successore). In qualunque altro paese, un premier che per mesi giura di ritirarsi a vita privata, andare a casa, lasciare la politica e cambiare mestiere in caso di vittoria del No al referendum, sarebbe assediato dal suo e dagli altri partiti, dai suoi e dagli altrui elettori, e ovviamente dai media, con domande del tipo: “Perché ha mentito al popolo italiano? Con quale credibilità pensa di presentarsi alle prossime elezioni? Che aspetta a tornarsene a Pontassieve e a scomparire per sempre dalla circolazione?”. Invece niente: evidentemente tutti, mentre pronunciava quei solenni giuramenti, già sapevano che erano tutte balle. Il che, per uno che voleva cambiare la politica, l’Italia, l’Europa, ma non riesce a cambiare mestiere (forse perché non ne ha mai avuto uno), è il peggiore dei fallimenti.

E così per la sua corte dei miracoli e miracolati. Pensate al discredito che travolgerebbe Cameron se, dopo aver promesso il ritiro in caso di Brexit, fosse rimasto alla guida dei conservatori con la scusa che il Remain ha avuto il 48,1% dei voti. E alle risate che seppellirebbero la Clinton, se fosse ancora lì che rompe perché ha preso più voti di Trump. Ma quelli sono paesi seri. In Italia si dà per scontato che il premier sia un pagliaccio. Infatti si trova normale che Renzi si appropri del 40% dei Sì e che al suo governo Renzi segua un Renzi-bis (patrocinato per giorni dai giornaloni) e, tramontato quello, che il premier uscente ma non uscito faccia le consultazioni a Palazzo Chigi manco fosse Mattarella e pretenda di scegliere i ministri-chiave del nuovo governo, di ricicciare addirittura la Boschi e di imbullonare il suo clone Lotti alla poltrona di sottosegretario per governare i servizi segreti, l’editoria e i dossier “sensibili”. Ora, probabilmente, nascerà un governicchio Gentiloni con la stessa maggioranza (l’unica possibile in questo Parlamento illegittimo di nominati e voltagabbana). È la soluzione non migliore (il meglio non ha più cittadinanza in Italia da decenni), ma meno peggiore.

Paolo Gentiloni è un brav’uomo tendenza sughero, un galleggiante che non disturba, non sporca, dove lo metti sta. Più che un premier, una pianta grassa. L’ideale per la decantazione dopo tante risse fra e nei partiti, soprattutto il Pd. Purché non sia un prestanome e duri poco. Oltre giugno non sarebbe igienico andare, per due motivi: a) questo è il quarto governo nato all’insaputa degli elettori in cinque anni; b) prima di sei mesi è improbabile che il Parlamento faccia la legge elettorale. È vero che i governi non possono avere date di scadenza. Ma, vista la situazione eccezionale, i partiti dovranno trovare il modo di dargliene una, entro la quale dovranno fare senza tante discussioni ciò che va fatto subito. Che, attenzione, non è la legge elettorale: quella non è compito del governo, ma del Parlamento, su proposta della maggioranza, ma coinvolgendo le opposizioni o almeno parte di esse. Di leggi elettorali fatte dai governi per far perdere gli avversari ne abbiamo avute due in 10 anni, il Porcellum e l’Italicum, e sappiamo come sono finite. Sconsiglieremmo di riprovarci.

(Marco Travaglio, estratto dell’editoriale pubblicato dal “Fatto Quotidiano” l’11 dicembre 2016, ripreso da “Dagospia”).
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Draghi: ora vi taglio i viveri, così imparate a votare No

Scritto il 12/12/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi


«Una stretta monetaria concepita per soffocare, in un inasprimento della crisi, quel moto di rifiuto della globalizzazione espresso dalle classi popolari impoverite». Mario Draghi esce allo scoperto: dopo la Brexit e il referendum italiano, avverte che “la ricreazione è finita”. La Bce chiuderà i rubinetti del quantitative easing, esponendo gli Stati al ricatto dello spread, senza più protezioni. Fallita la “carota” (Renzi), si torna al “bastone”: meno soldi per tutti, tranne che per la Germania. Una sfida, frontale, a chi ha votato No – a Renzi, all’Ue. Dal presidente della Bce, scrive “Micromega”, arriva la prima, vera risposta dell’élite sconfitta nelle urne italiane e inglesi. In arrivo lacrime e sangue, se gli Stati non vorranno piegarsi alle “riforme strutturali” volute dal super-potere. Tornano alla mente le parole di Guido Carli, storico governatore della Banca d’Italia, prounciate mentre infuriavano gli anni di piombo: «La politica monetaria è uno strumento rozzo e chi lo brandisce non deve farsi prendere dal batticuore per lo sbraitare di chi ne subisce le ferite. Se non ha questa forza, è meglio che lo deponga». E Draghi «non sembra affatto intenzionato a deporre le sue armi», scrive “Micromega”. Al contrario: «Le affila, per fronteggiare la minaccia del populismo».

Si tratta di «un vero proprio disegno politico», contenuto nei dettagli operativi illustrati da Draghi nell’ultima riunione del consiglio direttivo della Bce. Un evento solo in apparenza tecnico, avverte “Micromega”, in un’analisi firmata “Raro”. Draghi ha annunciato che l’autorità monetaria proseguirà il programma di acquisto di titoli pubblici, come tutti si aspettavano, oltre la scadenza inizialmente prevista per il marzo prossimo, «ma ha aggiunto un elemento di novità in cui pochi credevano: il flusso di liquidità con cui la banca centrale sta tenendo a bada gli spread inizierà a ridimensionarsi, già a partire da aprile». Ciò significa che «la Bce prefigura, per la prima volta, un progressivo alleggerimento dello stimolo monetario garantito da ormai due anni all’Eurozona». Ed è così che, «mentre politici e governanti europei vengono impietosamente travolti dall’onda anomala del populismo antisistema, l’autorità monetaria si profila come l’unica soggettività politica capace di elaborare una qualche forma di reazione della classe dirigente d’Europa».

Dopo due anni relativamente tranquilli, scrive “Micromega”, la progressiva riduzione del sostegno ai titoli di Stato «determinerà, nei prossimi mesi, una minore liquidità del debito pubblico europeo e non potrà che portare con sé un rialzo nei tassi di interesse pagati dai governi della periferia, a discapito della stabilità finanziaria». La Bce ha poi esteso il programma sia sul fronte delle scadenze, includendo titoli a più breve termine (fino ad un anno), che sul fronte dei tassi, rendendosi disponibile all’acquisto di titoli caratterizzati da un rendimento inferiore al già negativo tasso sui depositi presso la banca centrale. «Il significato di queste rifiniture del quantitative easing appare chiaro», osserva “Micromega”: «Dal momento che la stragrande maggioranza dei titoli pubblici con rendimenti negativi è ascrivibile alla Germania, e in particolare alle sue scadenze a breve termine, le modifiche apportate al programma di acquisti perseguono l’obiettivo di assicurare a Berlino una quota consistente della liquidità residua che arriverà nei prossimi mesi. Dunque, proprio mentre procede a ridurre la portata del suo supporto alla generalità dei debiti pubblici europei, l’autorità monetaria mette in chiaro che non sarà la Germania a soffrire di questa minore copertura».

Al contrario, come i movimenti di Borsa stanno segnalando in queste ore, si assiste già ad una contrazione del rendimento dei titoli tedeschi a fronte di un leggero rialzo di quelli italiani: «Si riaffaccia, in Europa, il fantasma dello spread, ovverosia l’ampliamento del divario tra il costo del debito pubblico dei paesi centrali e quello dei paesi periferici». Per “Micromega”, dunque, «inizia così ad emergere, dal complesso intreccio delle specifiche tecniche della manovra di politica monetaria appena varata, un dato politico». Corsi e ricorsi: fu proprio sulla scia di un repentino ampliamento degli spread che, ad Atene nel lontano 2009, «si è aperta per l’Europa la stagione dell’austerità». Una fase storica «caratterizzata dall’applicazione simultanea, nei principali paesi europei, del medesimo indirizzo politico: abbattimento dello stato sociale, contrazione dei diritti dei lavoratori e redistribuzione del reddito dai salari ai profitti». Un indirizzo politico che, «a dispetto del suo marcato carattere antipopolare», di fatto «non ha incontrato alcuna resistenza significativa per quasi cinque anni, grazie soprattutto al clima emergenziale imposto dai mercati attraverso la frusta dello spread».

Tuttavia, «gli esiti socialmente disastrosi di questa violenta accelerazione della globalizzazione hanno fatto maturare un rifiuto dell’austerità e delle sue istituzioni», che ha trovato espressione prima in Grecia, nell’estate 2015, dove l’ennesimo programma “lacrime e sangue” è stato rispedito (invano) al mittente con un referendum, poi in Gran Bretagna un anno dopo con la Brexit, e infine in Italia, con la recente bocciatura della riforma costituzionale promossa dal governo. «Dopo cinque lunghi anni di austerità – continua l’analista di “Micromega” – una borghesia impoverita e un esercito di venti milioni di disoccupati hanno iniziato ad alzare la voce: approfittando dei tre grandi referendum popolari, queste vittime del neoliberismo europeo hanno inferto tre durissimi colpi al progetto di integrazione europea». E attenzione: «È esattamente a questo punto della storia che interviene la mossa decisa da Draghi giovedì scorso: la stretta monetaria programmata per i prossimi mesi si configura come la prima, violenta risposta delle élite europee alla marea antisistema che le sta minacciando».

Si tratta di una reazione che «rischia di compromettere la stabilità finanziaria dell’Europa», e proprio su questo punto «si misurerà l’intraprendenza della Bce». La stretta monetaria, infatti, «è pensata per aumentare il grado di esposizione dei governi alla disciplina dei mercati: tolta la protezione del quantitative easing, il debito pubblico dei paesi periferici tornerà ad essere pienamente vulnerabile ai venti della speculazione». Nei progetti dell’autorità monetaria, «la pressione esercitata dai mercati attraverso gli spread può riuscire laddove le regole, da Maastricht al Fiscal Compact, hanno fallito: costringere la periferia d’Europa sulla strada delle riforme e dell’austerità senza ulteriori esitazioni, e dunque senza quella prudenza che l’avanzata dei populismi sembra suggerire alla classe politica europeista». Nel promuovere l’austerità attraverso la disciplina degli spread, Draghi «si pone alla testa di quella classe politica e la trascina sul rischioso crinale dello scontro frontale con gli sconfitti della globalizzazione e le loro rivendicazioni». L’impatto, per “Micromega”, «potrebbe trascinare ancora più a fondo l’Europa».
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......BATTAGLIO'.......GENTILO'.......




Da F.Q.:


Banche, pubblica amministrazione, Equitalia
ed enti locali: i dossier più urgenti per Gentiloni

Dal decreto per salvare Mps alle toppe sui buchi della riforma Madia e di quella delle popolari. Il nuovo
governo deve poi scrivere lo statuto dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione decidendo se abolire l’aggio
Economia & Lobby
Per prima cosa la rete di salvataggio per Mps e le modifiche alla riforma delle banche popolari, congelata in attesa del pronunciamento della Consulta. Poi i correttivi alla riforma della PA, resi indispensabili da un’altra sentenza della Corte. A stretto giro, il commissariamento di Equitalia e la “verifica delle competenza” degli 8mila dipendenti da trasferire alla nuova Agenzia delle Entrate – Riscossione. Di cui deve anche essere scritto lo statuto, decidendo se archiviare l’odiato aggio. Gli enti locali chiedono poi il decreto sulla ripartizione del fondo da 3 miliardi creato dalla manovra
di Chiara Brusini
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......BATTAGLIO'.......GENTILO'.......

L'incognita della durata
sul governo Gentilrenzi


Matteo scommette sul voto a maggio. Ma pesa il "partito 2018" dei non renziani nell'esecutivo

di Adalberto Signore

2 ore fa
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12 dic 2016 09:03

1. QUANTO SBROCCA MARIA "CLARETTA" BOSCHI: CON IL DUCETTO RENZI AVEVA BEN TRE DICASTERI. CADUTO IL SUO BENITO, STRILLA E STREPITA CHE NON VUOLE TORNARE A PETTINARE LE BAMBOLE AL PAESELLO, E NON VUOLE MOLLARE NEANCHE UNA POLTRONA DI MINISTRO!


2. IL PD LE CHIEDE DI FARE UN PASSO INDIETRO MA BOSCHI E' PIU’ INGORDA DI POTERE DI RENZI


3. A OPPORSI C’E’ ANCHE IL RENZINO LUCA LOTTI, CHE NON LA SOPPORTA PIU’: IL SOTTOSEGRETARIO ASPIRAVA AD UN RUOLO CENTRALE CHE VIA VIA È STATO ASSUNTO DALLA BOSCHI, ARRIVATA A CREARE QUASI UNA SUA CORRENTE IN PARLAMENTO E NEL PARTITO
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IL POTERE LOGORA CHI NON CE L’HA
Giulio Andreotti

MA ANCHE CHI LO HA AVUTO E LO HA PERSO,
Caro Giulio, che stai nell’Aldilà


Boschi incollata alla poltrona da Lady riforme a caso umano
La ministra fa pressing su Renzi per restare in sella, anche come sottosegretario a Palazzo Chigi. Ma il Pd spera nel passo indietro

Paolo Bracalini - Lun, 12/12/2016 - 10:23

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Ma che fine ha fatto la Boschi, «l'ex ministra dell'ex riforma»? Da madrina onnipresente (anche all'estero) del fronte del Sì, la Boschi dopo la batosta si è defilata «per smaltire la delusione», particolarmente cocente per lei prima firmataria della legge bocciata dagli italiani.

L'ultimo tweet della «Meb» è del 2 dicembre, poi nulla, mentre su Facebook ha aggiornato la foto profilo, postando un'immagine di sé con un grande sorriso proprio la mattina dopo aver pianto per la disfatta. Dall'unica esternazione post-referendum, oltre all'apparizione in total black (vagamente luttuoso) al Senato per l'ultima fiducia del governo Renzi e una pagina di giornale comprata da un ammiratore per ringraziarla, si capisce che la ministra uscente non ha alcuna intenzione di mollare («Adesso al lavoro per servire le Istituzioni», «decideremo insieme come ripartire»).

Eppure, più sta in disparte e silente, e più la Boschi in realtà è al centro delle telefonate incandescenti nel toto-nomine di queste ore in casa Pd. Nel governo Gentiloni, ci sarà o verrà costretta al passo indietro? La sua non è una poltrona qualunque visti i rapporti strettissimi con Renzi e il suo ruolo nella riforma che ha travolto il governo. L'ex premier si è dimesso, anche se non ha lasciato la politica come aveva annunciato quando immaginava un esito diverso per il referendum. Ma anche la Boschi si era impegnata a mollare: «Se il referendum dovesse andare male non continueremmo il nostro progetto politico - annunciò in un'intervista tv a maggio - Il nostro piano B? È che verranno altri e noi andremo via. Io e Renzi abbiamo creduto e lavorato insieme ad uno stesso progetto politico, anche io lascio se lui se ne va». E adesso?




Il nodo non è semplice da sciogliere. I rumors di Palazzo raccontano di uno scontro in atto sul destino di Maria Elena. Matteo Renzi le sta consigliando un passo indietro, con un ruolo di primo piano nel gruppo parlamentare o nel partito ma fuori dal governo Gentiloni, per non essere accusata di aggrapparsi alla poltrona dopo essersi impegnata a fare il contrario. A 35 anni ha tutto il tempo per rifarsi, e il beau geste verrebbe apprezzato e ricompensato. Il problema è che l'ipotesi non piace affatto alla Boschi, che non vuole cedere e ammettere così, platealmente, il proprio fallimento al ministero per le Riforme (bocciate). Uno smacco che la «secchiona» di Laterina non vuole subire, dopo tanta fatica e tanto impegno. Nel partito sperano che la Boschi non si impunti e accetti una ricollocazione, se non proprio out almeno con deleghe diverse e ridimensionate. Renzi, pur convinto che la mossa migliore in questo momento sia prendere il largo (almeno fisicamente) da Palazzo Chigi, è pronto a difenderla. Cosa che la Boschi sta pretendendo con estrema decisione, in cambio della assoluta fedeltà dimostrata all'ex sindaco di Firenze fin dagli inizi dell'avventura che li ha portati al governo.

Così si arriverebbe ad una soluzione di compromesso: la Boschi non più ministro delle Riforme, ma sottosegretario alla presidenza del Consiglio, stesso ruolo del potente Luca Lotti, altro esponente del «giglio magico», teorico del revanscismo renziano («Ripartiamo dal 40%!»). Lotti ha la riconferma già in tasca, in quota «fedelissimi» a Palazzo Chigi. Uno sponsor in più per salvare anche Maria Elena? Non è detto, perché il rapporto tra i due, Lotti e Boschi, non viene più descritto come idilliaco, anzi. Il sottosegretario aspirava ad un ruolo centrale che via via è stato assunto dalla Boschi, arrivata a creare quasi una sua corrente in Parlamento e nel Pd. Alimentando sospetti in Lotti, peraltro ricambiati.

Poi, a zavorrare ulteriormente il dossier di «Meb», c'è la questione Banca Etruria, l'inizio del declino del governo Renzi, il crinale tra il consenso popolare per la novità dei rottamatori, e l'impopolarità (o «antipatia», come dice Farinetti) deflagrata nel voto del 4 dicembre. Nello scaricabarile per la sconfitta il nome che torna più spesso è proprio quello della Boschi. Dalla vicenda della banca (padre e fratello) al referendum, due macchie indelebili che hanno segnato l'esecutivo. Gli ultimi giorni confermano l'isolamento in cui è finita la Boschi, ex star luminosa del renzismo. Mercoledì scorso è tornata a Laterina, con la famiglia. I contatti telefonici con Renzi quasi azzerati, racconta il Fatto, mentre il premier sentiva incessantemente gli altri fedelissimi. L'8 mattina, giorno dell'Immacolata, la Boschi non è andate neppure a messa com'è solita fare. In casa con le persone che non la mollano per convenienza. Ma la donna è «una tosta», come recita il titolo di una sua prematura biografia. Tra poche ore vedremo se avrà vinto l'ultimo braccio di ferro per avere un ruolo nel nuovo governo.
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DAL MANUALE DEL BUNGA-BUNGA


(«Adesso al lavoro per servire le Istituzioni», «decideremo insieme come ripartire»).
Maria Claretta Boschi
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FERRUCCIO DE BORTOLI L’ex direttore del Corriere della Sera analizza il voto
referendario: “C’è un solo perdente e nessun vincitore. Nessuno può intestarsi il No”


“Gentiloni deve essere
libero: Renzi ha tenuto
tutta l’Italia in ostaggio”


»SILVIA TRUZZI
Milano, la città del Sì, parliamo della vittoria del No con Ferruccio de Bortoli, che alla riforma si era pubblicamente opposto. È il giorno dell’incarico a Gentiloni: “È stato un buon ministro degli Esteri”, spiega l’ex direttore del Corriere della Sera e del Sole 24 Ore.“Dovrà però dimostrare di essere autonomo da Renzi, il leader che lo ‘tolse dal frigo ri fe ro ’mandandolo alla Farnesina. Da lui ci si aspetta subito qualche gesto di discontinuità, anche nella composizione del governo, che rafforzi il suo profilo istituzionale, la sua credibilità anche all’estero. Vedremo, per esempio, se Luca Lotti resterà sottosegretario”. Perché è così importante se resta o no? Ai renziani prememolto gestire la prossima tornata di nomine delle imprese pubbliche. Accelerarono la caduta di Letta, nel 2014, anche per questa ragione. Due piani paralleli di governo, con quello ombra gestito dal segretario del Pd, sarebbero dannosi per il Paese. Avremmo il cerchio magico con il suo potere intatto e il governo ridotto a un cerchio inutile. Ma penso che Gentiloni ci stupirà in positivo. E Mattarella gli darà sicuramente una mano preziosa. Veniamo al referendum. Come legge l’esito del voto? Dalle urne esce un solo perdente. E nessun vincitore. Il centrodestra ha ricevuto un balsamo che gli consentirà di lenireipropri maliechecoprirà per un certo periodo l’assoluta inconcludenza di idee e programmi. Il vero perdente è Renzi che ha voluto caricare questa consultazione di significati impropri, trasformando il referendum inunvoto politico.L’alta affluenza ci dice che questo Paese tiene molto alla partecipazione democratica: è stata una grande lezione civica. Il 40% non appartiene a Renzi come il 60 non appartiene all’opposizione”. Così non sembra pensare il segretario del Pd. Questo dimostra che il referendum, nel suo modo di pensare, aveva valenze che andavanoaldi làdelmerito. Era uno strumento per affermare ilproprio potere,ottenere un viatico popolare, fare un bottino pieno e poi andare a incassare il premio alle elezioni. Renzi ha sbagliato la campagna elettorale, piegando la legge di bilancio a unaserie diconsensi dacomprare per categorie. Chi votava No era contro la stabilità
perché avrebbe esposto il Paese a conseguenze sui mercati che non ci sono state. Chi votava No era per l’i mmobilismo e rifiutava le riforme: possiamo dire che il 60 per cento di coloro che hannovotato –33 milionidi italiani –rifiuta le riforme? No, possiamo direche vuole riforme diverse da questa. Perché, bisogna dirlo, era scritta e pensata male. La grande partecipazione è anche il grido di un’Italia che vuole scegliere i propri rappresentanti e crede nella democrazia. Renzi ha fatto, da premier, una campagna tutta incentrata sull’antipolitica: una clamorosa contraddizione. Non si è reso conto che dopo quasi tre anni di governo era lui il potere: non doveva usare i toni anticasta di Beppe Grillo. Così come ora non si può metterenella stessaposizione del Movimento Cinque stelle e dire “si vada al voto subito”. È una dimostrazione di scarsa responsabilità istituzionale. Ha pagato l’abbraccio soffocante dell’establishment che trasmetteva agli altri –in particolare agli esclusi –l’idea che questa fosse l’ultima spiaggia e che con la vittoria del No saremmo scivolati nel Medioevo. Si èsottovalutato ilfatto chela
democrazia è cara agli italiani e la riforma, con l’Italicum, indeboliva la possibilità di scegliere i propri rappresentanti. Sono favorevole a una democrazia decidente, ma i contrappesi nella riforma erano soltanto promessi. È stato un errore non approvare prima lariforma dell’articolo 49 della Costituzione. Il messaggio sarebbe stato: il partito che chiede agli elettori di cambiare le regole che li riguardano prima cambia le proprie, diventando più democratico e trasparente. Nel 2006 abbiamo votato una riforma costituzionale che in comune con questa aveva molti tratti ed è stata sonoramente bocciata. Perché a distanza di dieci anni si è voluto ignorare quel risultato? Smetteranno di usare la Carta come grimaldello? Bisogna sempre parlare della qualità delle riforme, chiedersi se rispondono a un progetto coerente ed equilibrato. Quel che non si può fare è piegare leregole comuni ele dinamiche istituzionali agli interessi di parte. C’è stata un ’eccessiva confusione tra governo e Parlamento. La nostra storia politica dimostra – penso all’atteggiamento dei democristiani durante la Prima Repubblica –che quando si trattava di regole condivise
il governo, saggiamente, faceva un passo indietro. Renzi si è impossessato totalmente della proposta di revisione costituzionale:agli occhidegli italiani la riforma è diventata la suaproposta. Perché la maggioranza ha chiesto il referendum, raccogliendo an
che le firme? Poteva non farlo. Sarebbe utile che adesso arrivasse un’autocritica su tutti i comportamenti che abbiamo elencato.Invece no:assistiamo ad atteggiamenti indispettiti, “Fatele voi del 60 per cento le riforme”. Ma attenzione: in quel 60 per cento ci sono anche elettori del Pd e certamente elettori di una sinistra più larga. Renzi nella sua bulimia, in quella visione tolemaica del potere per cui tutto ruota attorno a lui, ha preso in ostaggio la riforma che avrebbe dovuto consacrarlo e quindi le istituzioni che doveva servire. E’stata inferta una ferita inutile al Paese che però si è dimostrato più saggio della propria classe dirigente.Criminalizzare ilNo come fosse unaposizione irresponsabile si è rivelato un autogol. Abbiamo perso tempo, ma non è stato a causa del no. La logica sembraessere: avete vinto voi, ora sono fatti vo st r i .
È troppo comodo così... Andiamo con ordine: questa sconfitta può fare bene a Renzi, cui si devono riconoscere delle qualità. È un grande comunicatore, un politico di razza, un innovatore. Gli vanno riconosciuti anche successi: l’attenzione ai diritti civili, il Jobsact, con un dubbio legittimo suicosti, la per ora solo annunciata riformadelterzo settore,lepolitiche per la povertà. Per Renzi questa è l’occasione di guardarsi allo specchio, riconoscere i propri errori, essere sincero. Può dimostrare di essere –se lo è –uno statista. Può farlo stando in seconda fila, anche favorendo la nascita di un governo che per forza deve avere un mandato pieno e una fiducia non a scadenza. Senza la tentazione di dirigerlo nei fatti, con una playstation dal Nazareno. Nel ’95, dopo l’abbandono di Bossi, Berlusconi favorì il governo tecnico di Lamberto Dini, cheera statoil suoministro del Tesoro, mostrando senso di responsabilità istituzionale. Lo ebbe Berlusconi, perché non dovrebbe averlo Renzi? Deve capire che ora non è al centro della scena: ha guidato un’auto –quella italiana che magari ha le gomme sgonfie, ma non il motore inceppato –ed è uscito di strada. Ora non può dire “me ne vado, è colpa vostra”. La colpa è sua, lui ha fatto sbandare l’auto. Ora si deve dar da fare per rimettere a postole cose,anche perché èil segretario del Pd. Il nuovo governo dovrà essere sostenuto dal partito, che dovrà
essere leale al contrario di ciò che fu fatto ai tempi dell’esecutivo Letta a causa di un disegno completamente personale. Ha perso anche il Presidente emerito Napolitano? Napolitano creduto alla promessa fatta da Renzi al momento dell’incarico. Aveva accettato il secondo mandato chiedendo a granvoce che il progetto di riforma procedesse. Negli ultimi tempi credo fosse indispettito dall’atteggiamento di Renzi, soprattutto dalla polemica sterile e costosa nei confronti dell’Europa, quello sventolare veti poche settimane dopo Ventotene. Una sceneggiata estiva. Perché sterile? Sui migranti il premier aveva ragione. L’Europa si è dimostrata miope ed egoista. Ma sulla finanza pubblica io credo che invece abbia sbagliato. La flessibilità è stata usata male, guardando al consenso più che alla crescita. Sono scese solo le spese per gli interessi, lealtre sonoaumentate. La regola del debito è stata dimenticata. Ne parlano gli stranieri, noi la ignoriamo. Lodevoli le scelte sul super ammortamento, su industria 4.0, la riduzione al 24 per cento delle tassazione delle imprese. Ma abbiamo messo in pericolo i conti pubblici per una crescita che, al netto degli aiuti della Bce, è modesta: questa è una verità che bisogna affermare con chiarezza. C’è stato un dibattito opaco e insufficiente sulla funzionalità delle misure economiche prese. Solo
nell’ultima legge di bilancio c’è stata attenzione agli investimenti che hanno toccato il minimo storico rispetto al Pil.Ilguaio èchegliinvestimenti, a differenza dei bonus, non danno risultati immediati in termini di consenso perché dispiegano il loro
effetto in tempi lunghi. Renzi ha42 anni: nonè paradossale la suaassenza di prospettiva? Dovrebbe avere uno sguardo lungo e costruttivo proprio in virtù della sua giovinezza. Qui rileva la visione del potere: quella di Renzi è esclu
siva ed escludente, come ha sostenuto Prodi. Di cui vorrei dire, per inciso: il suo Sì è stato il più forte No a Renzi. Giustificatoin talmodo damettere a nudo i limiti di una gestione vecchia del potere. Penso al cerchio magico, ai fedelissimi, a quella che chiamerò “consorteria toscana”, per citare Ernesto Galli Della Loggia. Al premier ho sempre contestato non le idee, ma il modo di gestire il potere a tratti perfinogretto. La vicenda delle bancheè emblematica. Prendiamo Mps: arriviamo ora a un intervento di salvataggio dello Stato, che poteva essere fatto mesi fa, escluso solo per ragioni di calcolo politico. La saggezza e il senso delle istituzioni avrebbero dovuto suggerire di agire ben prima. Ora se le banche vengonosalvate, giustamente, con soldi pubblici, possiamo chiedere la lista dei loro principali debitori, per esempio del Monte Paschi? La frattura è anche dentro il Pd: tira un’aria da redde rationem. L’Italia ha pagato negli anni, non solo in quest’ultima era renziana, un prezzo altissimo primaalla composizione del Pd e poi alle sue numerose fratture. Il Pd è un grande partito di massa, guida il Paesema deveriscoprirequella responsabilità che i partiti
classici avevano. Il partito è stato considerato una struttura ancillare del governo: ora deve recuperare autonomia. C’è un problema di disciplina della minoranza rispetto alla maggioranza, ma c’è anche un problema di rispetto della maggioranza verso la minoranza. Masipuò invocareladisciplina di partito sulla Costit u z i o n e? Il Pd non può essere un luogo di ostracismi ed esclusione. Sennò andiamo verso una balcanizzazione della società. Continuando a dividere il Paese, come ha fatto Renzi, dopo un po’si diventa antipatici, specie quando si occupa la televisione in questo modo militare e ossessivo.
Una cosa così non si era mai vista, nemmeno con Berlusconi che pure le televisioni le possedeva. Se il Pd si dovesse spaccare sarebbe un danno per l’intero Paese: il Pd ritrovi la virtù di un confronto democratico aperto. Soprattutto il Pd deve essere in grado di trovare un’i n d ipendenza rispetto alla vita dell’esecutivo: Renzi quando conquistò il partito democratico lo fece vivere di una vita propria rispetto al go
verno Letta, che poi affossò. Si riparta da lì. L’informazione è rimasta spiazzata dal risultato. Interroghiamoci sul perché tutti, negli ultimi giorni prima del voto, eravamo convinti che il Sì stesse recuperando posizioni. Forse questo segnala un’eccessiva vicinanza dei media al potere che spaccia - non in modiche quantità - informazioni avariate, spiffera retroscena ad arte, come l’idea che Renzi volesse prendersi un sabbatico e lasciare la politica. Forse non abbiamo più i ricettori giusti, forse chi fa informazione non sa raccontare il Paese perché frequenta troppo i palazzi e poco il popolo. E’un’autocritica che dobbiamo fare, che
devo fare anch’io. Siamo nell’era della post verità, ma sono state abbonate troppe vaghe promesse e troppe bufale. Bisogna riconoscere ciò che di giusto c’è nell’eredità renziana. Ed essere un po’indulgenti: Renzi ha perso, ma ci si deve augurare che il perdente non ricatti le istituzioni scaricando la propria rabbia e frustrazione su altri. La responsabilità di ricucire il Paese è anche delle forze politicheche hannovotatoNo. Siamo reduci da una violenta campagna elettorale, è il momento della distensione. Questo Paese si mostra più solido e pacato di molte persone che lo governano. O tentano di governarlo.
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Re: VERSO QUALE FUTURO?

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SE ALFANO VA' ALLA FARNESINA, ENTRO UN MESE L'ITALIA E' IN GUERRA




"Non si merita la Farnesina".
Levata di scudi contro Alfano

Angelino vuole il ministero degli Esteri. Salvini: "Siamo a scherzi a parte". E Storace scherza: "Continua la fuga dei cervelli all'estero"
Sergio Rame - Lun, 12/12/2016 - 12:10
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Nessun disconoscimento dell'attività del governo Renzi: Paolo Gentiloni parte da questo assunto nel lavoro per formare la nuova squadra. E la possibilità che vengano toccate pochissime caselle è la conferma che il premier incaricato non intende aprire fronti nel Pd e nella maggioranza che ha sostenuto l'esecutivo precedente.

A far discutere è soprattutto il passaggio di Angelino Alfano dal Viminale alla Farnesina. "Mentre iprepara il trasloco - tuona la Lega Nord - stanno sbarcando sulle coste siciliane altri 1160 immigrati, alzando l'asticella degli arrivi in questo 2016 alla cifra record di 180mila".

"Il timore - spiegano le stesse fonti - è che si inneschi, perfino tra i renziani, un gioco di veti incrociati". Ecco perchè qualora non si trovasse la quadra sul nome del ministero degli Esteri potrebbe ritornare in gioco la "carta Belloni", come prosecuzione di un lavoro alla Farnesina. In realtà, girano voci (non confermate) di un trasloco di Alfano proprio alla Farnesina dove però al momento viene dato per favorito Carlo Calenda. "Alzarsi la mattina e leggere che Alfano farà il ministro degli Esteri e rappresenterà gli italiani nel mondo - scrive in un tweet il segretario federale della Lega, Matteo Salvini - siamo su scherzi a parte". E Francesco Storace rincara la dose: "Alfano agli Esteri. Continua inarrestabile la fuga dei cervelli".

Matteo Salvini Account verificato 
‏@matteosalvinimi
Alzarsi la mattina e leggere che #ALFANO farà il Ministro degli Esteri e rappresenterà gli italiani nel mondo.
#scherziaparte #votosubito

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Nei mille giorni del governo Renzi, in Italia sono sbarcati 460mila immigrati, con una media quotidiana di 460 al giorno. Le statistiche riguardanti le domande di asilo ci dicono che l'81% di queste domande è stato totalmente respinto e sappiamo bene che la stragrande maggioranza sono africani provenienti da Nigeria, Senegal, Gambia o Mali, dunque non profughi siriani ma semplici migranti irregolari. "Questi numeri sono il bilancio fallimentare dell'uscente ministro degli Interni - tuona il deputato leghista Paolo Grimoldi - con questi numeri uno così dovrebbe andare a casa e non a fare il ministro degli Esteri?". E chiede ancora: "Uno che in due anni e mezzo ha fatto arrivare quasi mezzo milione di clandestini, che sono costati agli italiani finora circa 10 miliardi e ne costeranno altri 4 di miliardi nel 2017, si merita la Farnesina?"

Data per uscente dalla squadra è Stefania Giannini (in vantaggio per l'Istruzione è la franceschiniana Francesca Puglisi mentre Gianni Cuperlo avrebbe rifiutato l'offerta), a rischio anche Marianna Madia e Giuliano Poletti mentre gli altri componenti dell'esecutivo Renzi, a partire da Andrea Orlando e Dario Franceschini, non dovrebbero essere toccati. Un ingresso probabile nel nuovo esecutivo è quello di Fassino. Gentiloni, in mattinata, ha incontrato alla Farnesina i ministri Pier Carlo Padoan, Maurizio Martina, Carlo Calenda e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti.
UncleTom
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......BATTAGLIO'.......GENTILO'.......



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