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Inchiesta
Altro che flat tax: in Italia i ricchi già pagano meno tasse di tutti

Grazie a una giungla di norme che violano la progressività, i benestanti sono superfavoriti rispetto a lavoratori e pensionati. Ma all'estero non funziona così
di Paolo Biondani
21 maggio 2018



La favola della goccia. E la realtà della pagnotta. La prima è la fortunata immagine utilizzata dai teorici del neoliberismo, dai tempi di Reagan e Thatcher, per giustificare i tagli delle tasse per i più ricchi: dai ceti privilegiati, i benefici sarebbero destinati a scendere verso il basso, come una goccia, premiando anche le classi medie e i più poveri.

Dagli anni Ottanta ad oggi quelle politiche fiscali hanno contagiato il mondo, Italia compresa, nonostante le critiche sempre più forti di molti autorevoli economisti. Oggi, dopo la crisi esplosa nel 2008, anche l’Ocse, l’organizzazione economica delle nazioni più sviluppate, pubblica poderosi studi pieni di statistiche che smentiscono le profezie neoliberiste: anni di dati mostrano che i miliardari diventano sempre più ricchi, la classe media continua a impoverirsi, i nullatenenti restano in miseria. Alla prova dei fatti, la favola della goccia è servita solo ad aumentare le disuguaglianze.

I padri della nostra Costituzione, nel 1948, avevano disegnato un sistema fiscale opposto: il principio base, fissato dall’articolo 53 della legge fondamentale, è la progressività. Significa che i ricchi devono pagare più tasse dei poveri. E il fisco deve seguire questa via maestra per raggiungere obiettivi di equità, giustizia sociale e crescita economica duratura.

vedi anche:
AGF-EDITORIAL-1640729-1-jpg
Esclusivo: la flat tax di Matteo Salvini è un'idea di un bancarottiere
Armando Siri, l’ideologo dell’aliquota unica 
al 15 per cento, ha patteggiato una condanna a un anno e 8 mesi per un crac. Due società in cui 
il guru del leader leghista ha avuto ruoli di spicco 
hanno trasferito 
la sede legale in 
un paradiso fiscale. E uno dei suoi soci è indagato dall'antimafia di Reggio Calabria
Per capirlo basta cambiare esempio e sostituire all’evanescenza della goccia la concretezza del cibo. Se una famiglia ricca ha mille pagnotte e lo Stato gliene preleva metà, con le altre cinquecento può continuare a ingrassare, far festa e magari lasciarne ammuffire gran parte in dispensa. Ma se in casa c’è solo una misera pagnotta e le tasse se ne portano via mezza, la famiglia povera la consuma tutta e soffre comunque la fame.

Nella storia dell’economia, questo concetto si chiama “utilità marginale”: il valore del primo pezzo di ricchezza è altissimo, mentre per ogni aumento successivo continua a scendere. Per capirlo non c’è bisogno di lauree: basta il buon senso. Al mercato la millesima pagnotta si vende allo stesso prezzo, ma vale infinitamente meno della prima, quella che ci fa sopravvivere.

Per questo, in un’Italia uscita distrutta dalla Seconda guerra mondiale, la Costituzione aveva imposto a tutti i governanti, presenti e futuri, un sistema progressivo: chi ha di più, deve versare di più. Giusto ed efficiente, hanno scritto e ripetuto generazioni di studiosi. Il quadro previsto dai politici migliori della nostra storia, però, è diventato realtà con un quarto di secolo di ritardo, nel 1974. E da allora è stato modificato e distorto da più di 200 leggine. Al punto che oggi il professor Franco Gallo, ex presidente della Corte Costituzionale, parla di «un sistema fiscale incrostato, al collasso, che favorisce chi più ha e ormai non è più né generale né progressivo».

La storica riforma del 1974, intitolata al compianto ministro repubblicano Bruno Visentini, è quella che ha creato l’Irpef: un’unica imposta generale, cioè applicabile a tutte le persone, e fortemente progressiva, con tasse che salgono all’aumentare dei redditi. L’Irpef è tuttora basata su quel sistema a gradini, chiamati scaglioni: per i più poveri, niente tasse. Poi, per ogni fetta aggiuntiva di reddito, la percentuale di prelievo (l’aliquota) sale. La scala originaria aveva ben 32 gradini e per i più ricchi l’aliquota arrivava al 72 per cento. Rispetto alla precedente stratificazione disordinata di imposte statali e locali, il sistema originario era molto semplificato: la tassa è unica, conta solo il livello di reddito, con poche detrazioni e deduzioni (cioè tagli di imposte applicabili solo ad alcune categorie).

Oggi l’Irpef continua ad essere la tassa più pagata dagli italiani, ma la sua struttura è stata stravolta. La differenza più vistosa è che in cima alla piramide, per i più ricchi, le imposte sono scese al 43 per cento. Mentre le aliquote si sono ridotte a cinque in tutto: per subire i livelli di tassazione più alti del mondo (dal 38 per cento in su) in Italia basta superare il gradino dei 28 mila euro lordi all’anno, tredicesima compresa. Il risultato è che la classe media è stritolata.

Ad aggravare il problema è l’evasione fiscale, che in Italia è enorme: il 13,5 per cento del Pil, secondo un famoso studio della Banca d’Italia, che ha confrontato i consumi effettivi registrati dall’Istat con i redditi dichiarati al fisco. Questo significa che gli italiani onesti pagano anche per gli evasori: circa cento miliardi in più. E che il grosso dell’Irpef (82 per cento) si scarica sul popolo dei lavoratori dipendenti (52 per cento) e pensionati (30), che non possono evadere.

«Di fronte alla crisi economica che stiamo vivendo», commenta Gallo, il massimo esperto di Costituzione e fisco, «bisognerebbe ridisegnare, anzi ricostruire la curva della progressività, per rimediare all’eccesso di pressione fiscale sui redditi di una classe media sempre più impoverita. Invece si continua a sottrarre tassazione all’Irpef con aliquote fisse e imposte sostitutive, che sono il contrario della progressività, dell’equità fiscale e della giustizia sociale».

Tranne l’Irpef, che nel 2016 ha portato nelle casse dello Stato 166 miliardi di euro, tutte le altre tasse sono regressive. Cioè non distinguono tra ricchi e poveri: si paga sempre la stessa percentuale. E senza regole generali: decine di categorie hanno ottenuto privilegi e sconti dai governi amici. Il nostro sistema fiscale è diventato la giungla delle aliquote. Da sempre i meno tassati sono i redditi da capitale: rendite finanziarie, utili societari, guadagni di Borsa. L’aliquota più diffusa è del 26 per cento.

Quindi il ricchissimo investitore che incassa dividendi milionari paga meno tasse della sua impiegata, che sopra uno stipendio di 2.153 euro al mese (lordi) deve sborsare il 27 per cento. Il miliardario americano Warren Buffett, nel 2011, scrisse al New York Times che gli sembrava ingiusto versare metà dell’aliquota dei suoi impiegati (17 per cento contro 33).

L’iniquità fiscale però non spaventa i politici italiani, che invece di aumentare hanno tagliato l’aliquota ai capitalisti (era al 27,5). Sui titoli di Stato si scende al 12,5 per cento, anche qui senza differenziare tra il possidente che accumula decine di milioni e il pensionato con poche migliaia di euro. Anche i premi di produttività sono usciti dall’Irpef, con un’aliquota unica del 10 per cento che vale sia per i super-bonus dei manager sia per i miseri incentivi concessi, se la fabbrica va bene, all’operaio siderurgico. Al padrone di una società che vende la sua quota va ancora meglio: può pagare un’imposta sostitutiva dell’8 per cento. Senza distinzioni tra chi incassa plusvalenze stratosferiche e il piccolo imprenditore che cede l’aziendina di famiglia. I guadagni di una vita di lavoro pesano come un clic al computer di uno speculatore di Borsa.

Agli studiosi non resta che misurare l’aumento dei privilegi e delle disuguaglianze. «La riduzione o azzeramento delle tasse sui redditi da capitale è una tendenza che si è estesa a tutto il mondo dagli anni Novanta ed è collegata alla globalizzazione», spiega Luciano Greco, docente di scienza delle finanze e direttore del centro di ricerca sull’economia pubblica delle università di Padova, Venezia e Verona. «Di fronte alla mobilità dei capitali finanziari, gli Stati reagiscono con una concorrenza fiscale al ribasso. Nel 1990 si contavano 12 paesi dell’Ocse con un’imposta generale sulla ricchezza netta, oggi ne restano solo quattro».

Le tasse sui patrimoni, cioè sulla ricchezza totale anziché sui redditi annui, in Italia passano per un’idea vetero-comunista, anche se tra i fautori spicca Luigi Einaudi, capo dello Stato negli anni della ricostruzione, che proponeva di tassare i capitali improduttivi e i latifondi agrari, per spingere i possidenti a creare imprese e lavoro. «Il dibattito sulla tassazione dei capitali segna la storia dell’economia moderna, il primo scontro oppose David Ricardo, che era favorevole, a Malthus, contrario», fa notare il professor Greco. «I paesi dove è nato il capitalismo hanno tuttora imposte rilevanti sulle proprietà immobiliari e sulle successioni».

Rispetto all’Italia, negli Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada e Francia si paga il doppio o il triplo di tasse sulla casa, con aliquote fino a otto volte superiori per eredità o donazioni. E queste imposte pagate dai figli di papà, ovviamente, riducono i carichi fiscali su lavoro e imprese.

Il tradimento della giustizia fiscale promessa dalla nostra Costituzione si completa con altre grandi imposte regressive. L’Iva ha tre aliquote fisse, dal 4 al 22 per cento, che variano secondo il prodotto, non in base alla quantità acquistata o al reddito, come le accise sulla benzina: due entrate da 130 miliardi, quasi come l’Irpef. I contributi che servono a pagare le pensioni e gli assegni sociali valgono oltre 220 miliardi, si sommano alle tasse sul lavoro e sulle imprese (formando l’insostenibile cuneo fiscale), ma non sono progressivi: c’è un’altra giungla di aliquote proporzionali fisse, che dipendono solo dal tipo di attività. Indifferenti alla ricchezza dei contribuenti sono anche le addizionali Irpef regionali e comunali (16 miliardi) e la cedolare secca sugli affitti, ferma al 21 per cento sia per il mono-proprietario che per il palazzinaro con decine di immobili. E in agricoltura i redditi non vanno neppure dichiarati: le tasse si calcolano su astratti valori catastali (estimi), bassissimi, varati nell’Italia dei mezzadri e dei pastori, ma applicabili anche ai moderni viticoltori doc con auto di lusso, camerieri, villa e piscina.

In questa giungla di tartassati e di privilegiati, l’avvocato Sebastiano Stufano, uno dei migliori tributaristi italiani, vede una sola via d’uscita, rivoluzionare il sistema: «Sarebbe giusto e più efficiente ridurre le imposte sul lavoro e sulle imprese, senza cedolari o imposte sostitutive, per aumentare la tassazione sui grandi patrimoni, sulle ricchezze improduttive, possedute da chi non ha fatto nulla per generarle. Un sistema progressivo generale favorirebbe la crescita economica e risponderebbe ai principi di equità e redistribuzione dei redditi codificati dalla Costituzione».
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La politica senza volto, L'Espresso in edicola da domenica 27 maggio


http://video.espresso.repubblica.it/tut ... 1847/11945
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....QUELLA IN CORSO E' UNA GUERRA CIVILE A BASSA INTENSITA' CHE PER IL MOMENTO VIENE COMBATTUTA DAI QUOTIDIANI DI RIFERIMENTO DELL'ATTUALE "CLASSE POLITICA"


Dalla prima pagina del Fatto Quotidiano:

RE SERGIO FA
SALTARE TUTTO


CRISI ISTITUZIONALE MAI VISTA: OK DI SAVONA
ALL'UE. IL COLLE LO BOCCIA E FA IL GOVERNO
DEI PERDENTI. DI MAIO-MELONI. "IMPEACHMENT"


^^^^^^^

Dal vice-Bufaliere:


Boccia Savona ministro e peferisce il caos

Mattarella sfascia tutto

Il presidente si piega agli ordini dell'Europa e rifiuta il professore quale ministro dell'Economia
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Dalle prime pagine dei quotidiani schierati:


Dal vice-Bufaliere:
Altro governo, altro bidone
COTTARELLI E' GIA' COTTO
La presentazione dei ministri slitta di un giorno perché non si trovano candidati. Forse oggi il premier incaricato ce la farà, poi andrà a farsi massacrare in Parlamento. Salvo miracoli, rischiamo di votare in costume da bagno.
Barzelletta finale: nella notte rispunta l'ipotesi dell'esecutivo Cinquestelle-Carraoccio (e Meloni)


^^^^^^

Dal Bufaliere:

MATTARELLA NEL CAOS
ULTIMA FOLLIA: VOTARE A LUGLIO

Cottarelli non parte, torna l'ipotesi di un governo politico
Di Maio ridicolo: no all'impeachent, collaborazione col Colle



^^^^^^^

Dal Fatto Quotidiano:

IL PAESE DI MATTARELLA

COTTARELLI
FUGGE DAL RETRO
TORNA CONTE?


IL PREMIER, SENZA MINISTRI NE' VOTI, EVAPORA
SI RIPARTE DAL CONTRATTO M5S-LEGA(SENZA SAVONA?)
DI MAIO DA' RETTA A GRILLO: NIENTE IMPEACHMENT
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Scanzi: governo, il suicidio perfetto del mitologico Mattarella


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Tutti in piedi, perché siamo già dritti dritti dentro la leggenda. E’ tutto bellissimo. Domenica, quando Re Sergio ha preso a pretesto il vecchio trombone Savona facendolo passare per un Bakunin scavezzacollo, la cosa più bella era vedere i renziani e gli annessi cortigiani che esultavano, ovviamente ignari di qualsivoglia competenza costituzionale e del tutto sconnessi da qualsiasi analisi politica minima: “Ha salvato il paese”, “Ha salvato la democrazia”. Come no. E magari ha pure salvato la buonanima di stocazzo. Per carità: l’impeachment proposto da M5S e Meloni è una buffonata, che oltretutto porta pure sfiga (chiedere a Occhetto, che poi si sfracellò nel ’94, e al M5S, che di lì a poco fu disintegrato alle Europee 2014). Quello di Mattarella non è un atto eversivo: molto più semplicemente, è una delle più grandi puttanate politiche nella storia della galassia. Leggo che ora sono in molti a voler votare il 29 luglio. Non solo M5S e Lega, ma pure Pd, magari quella quota anti-renziana (si fa per dire) che spera così di mondare le liste dal mosciume andrearomanico-renzista-migliorista. Ohibò: ricordo male o votare a luglio era esattamente ciò che più non voleva Mattarella?
Domenica sera ho letto molti commenti, ora renzisti e ora sinistrorsisti, che dicevano: “Alè, abbiamo evitato Salvini agli Interni! #iostoconmattarella”. Bravi: non avrete Salvini al Viminale, ma lo avrete come Presidente del Consiglio. Son soddisfazioni. Intanto lo spread cresce ancora (ma non era colpa del Salvimaio?), Cottarelli ha la grinta di Orfini in ciabatte e Renzi ha ricominciato a parlare da solo su Facebook, dispensando le consuete battute da Panariello irrisolto. C’è poi Gunther Oettinger, Commissario Ue al Bilancio, che dichiara: “Mercati spingeranno gli italiani a non votare per i populisti”. Giusto per ricordarci che votiamo in Italia, ma decidono in Germania. Non male anche la grande pensata dei sinistrorsi, in prima fila Boldrini e D’Alema, antichi sfollatori di consensi, che esortano a unirsi a tutti (anche e soprattutto con Renzi) per difendere Mattarella (che Renzi sfanculava fino a ieri poiché colpevole di non averci fatto votare “in una delle finestre del 2017”) e “per arginare la deriva sovranista”, come fosse Antani e con tapioca prematurata. La poraccitudine imperversa e sciaborda con sicumera crassa.
Con il suo gesto costituzionalmente spericolato (lo dicono Onida e Villone, non proprio grillo-leghisti) e politicamente folle, il rutilante Mattarella ha regalato il paese proprio a chi detesta di più. Cioè i populisti. A partire dalla Lega. Che infatti, a giudicare dai sondaggi, è già a un passo dal 30% (a marzo non arrivava al 18). Dopo il voto Salvini potrà scegliere: o governare (con ruolo dominante) con M5S, realizzando un governo ancora più forte – e quindi più detestabile dai mattarellisti – del governicchio Conte. Oppure, ed è l’ipotesi più probabile, sarà il dux indiscusso di un governo di centrodestra con Berlusconi ridotto a vassallo, ma comunque ben presente. Un capolavoro di cui dovremo ringraziare il Capo dello Stato, fenomeno vero e idolo imperituro delle galassie. Daje.
(Andrea Scanzi, “Governo, il suicidio perfetto del mitologico Mattarella”, dal “Fatto Quotidiano” del 29 maggio 2018).
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Foa e Mélenchon: umiliare l’Italia, il piano è euro-tedesco

Scritto il 30/5/18 • nella Categoria: segnalazioni Condividi Tweet

«L’establishment europeista ha deciso di spezzare le reni all’Italia, come ha già fatto con la Grecia». Per Marcello Foa, lo scenario che si profila è il seguente: «Scatenare una crisi paurosa del debito pubblico italiano, spingendo lo spread a livelli mai visti». Ovvero: «Provocare il panico, fino al momento in cui l’Italia verrà commissariata e Mattarella invocherà per il bene supremo del paese la fiducia a Cottarelli (già in carica) e/o l’introduzione di misure straordinarie, come il rinvio sine die delle elezioni e la conseguente distruzione della reputazione e della popolarità di Salvini e di Di Maio, che verranno indicati come i responsabili di questa crisi». Se il piano avrà successo, aggiunge Foa sul “Giornale”, servirà da monito a tutti i paesi europei dove i movimenti “populisti” sono in ascesa. E comporterà la definitiva sottomissione dei popoli europei alle oligarchi. «Come dire: colpirne uno per educarne cento. Perché queste sono le logiche, indegne e autoritarie». Per questo motivo, sottolinea Foa, «opporsi è un dovere civico e morale: il piano deve fallire». In ogni caso, scrive Giampaolo Rossi sempre sul “Giornale”, proprio il capo dello Stato è al centro di questo incredibile «disastro istituzionale», che sta mettendo in pericolo l’Italia. La scena è eloquente: il paese è indifeso, con il presidente della Repubblica che si piega apertamente al potere – più forte – dei cosiddetti “mercati”.
«Berlino fatica a formare il governo italiano»: così si esprime sulla situazione italiana il leader di ‘La France Insoumise’, Jean-Luc Mélenchon, attraverso un articolo sul suo blog. Con la lucidità che lo contraddistingue, rileva “L’Antidipliomatico”, l’esponente della gauche francese afferma: «La catastrofe è consumata, in Italia. Uno dei paesi fondatori dell’Unione Europea è stato colpito dai fulmini della Commissione Europea e dei suoi padroni berlinesi. L’Unione Europea ha mostrato il suo pugno di ferro. Piuttosto che avallare la nomina di un ministro delle finanze sconveniente per Berlino, il presidente della Repubblica italiana ha fatto terra bruciata». Estremamente esplicito il giudizio di Mélenchon sul ruolo svolto da Sergio Mattarella: «Il deplorevole presidente italiano – scrive il leader della sinistra francese – compie il suo ruolo con la consapevolezza rude di tutti i curatori fallimentari. Nomina un dirigente del Fondo Monetario Internazionale soprannominato ‘Mister Tagli’. Tutto è detto, con questo soprannome», che ben illustra le presunte virtù di Carlo Cottarelli. Rincara la dose Mélenchon: «Quali motivazioni ha, questo presidente, per compiere una tale violazione della volontà popolare espressa dal voto degli italiani?».
«Il presidente italiano – continua Mélenchon – ha invocato, come argomento finale, il rischio di aumentare il divario tra i tassi di interesse tedeschi e italiani. Il guinzaglio, che tiene tutti i paesi per la gola». Come ai bei tempi dello Sme, il “serpente monetario” europeo, in cui «il valore della valuta di ciascun paese dell’Unione Europea era fisso rispetto a quello degli altri, e quindi del più forte». In questo momento, aggiunge il politico francese, «la moneta unica mostra chiaramente che cos’è: non protegge alcun paese, li allinea tutti sulla politica economica della Germania». Jean-Luc Mélenchon, infine, indica chi sono i veri responsabili di quella che si profila come la più grave crisi istituzionale italiana: «L’unica e sola responsabilità per la situazione viene dai dettami di Bruxelles e dalla brutalità dei governanti tedeschi. Berlino lotta per trovare burattini convincenti in Italia per garantirsi il suo dominio». Di fronte a questo, l’inquilino del Quirinale non ha opposto alcuna resistenza: ha anzi dichiarato apertamente, nel suo sconcertante discorso alla nazione, che all’Italia conviene piegarsi alla legge del più forte.
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L’impresentabile Cottarelli, contro l’Italia che voleva Savona

Scritto il 30/5/18 • nella Categoria: segnalazioni Condividi Tweet

L’Italia è vistosamente in subbuglio, dopo la decisione del presidente Mattarella di non consentire la nascita del “governo del cambiamento” bloccando – in modo controverso – la nomina di Paolo Savona, ministro designato all’economia. In attesa che si chiarisca il profilo giuridico della decisione, da più parti ampiamente contestata (fino alla possibile richiesta di impeachment nei confronti del capo dello Stato), emerge in mille rivoli un sentimento popolare che si sta rivelando maggioritario: l’amarezza per una decisione percepita come una beffa, uno schiaffo alla cosiddetta sovranità popolare. Eloquente lo stesso discorso del presidente della Repubblica dopo il licenziamento di Giuseppe Conte: impossibile nominare un ministro che rischi di irritare i mercati finanziari privati, da cui ormai dipende la finanza pubblica. A questo è ridotta la sovranità democratica, in nome della quale si chiede ai cittadini di partecipare alle elezioni? Di fatto, il capo dello Stato ha compiuto un’azione che secondo molti osservatori non ha precedenti, imponendosi sui partiti eletti nel bocciare un candidato ministro per le sue idee politiche. E come se nulla fosse accaduto, mentre il paese intero si interroga sul proprio destino, un tecnocrate del Fondo Monetario Internazionale accetta con la massima disinvoltura l’incarico di presidente del Consiglio.

Carlo Cottarelli è un autorevole esponente della tecnocrazia neoliberista internazionale, con alle spalle 25 anni di lavoro negli Stati Uniti. E’ un economista rispettato, un uomo sempre misurato nei toni. Cottarelli è perfettamente coerente con la sua Carlo Cottarelliideologia: il neoliberismo è una dottrina economico-finanziaria fondata quasi esclusivamente su un impianto ideologico privo di connotati scientifici. Lo affermano i maggiori economisti del mondo, Premi Nobel come Paul Krugman e Joseph Stiglitz. In più, il neoliberismo emerge ormai come ideologia fallimentare: l’attuale crisi globale del pianeta certifica nel modo più doloroso l’immane bancarotta, ideologica ed economica, del dogma neoliberale. La sua insincerità più grave? Fingere che i mercati finanziari possano governare il mondo, come se non esistesse più la funzione pubblica – cioè l’unica realmente sovrana, attraverso l’emissione e il controllo della moneta, come fattore decisivo di qualsiasi equilibrio (commerciale, fiscale, sociale). Molti economisti, come l’italiana Ilaria Bifarini, presumono che il neoliberismo passerà alla storia come la maggiore frode del ‘900. Contro il neoliberismo si sono levate voci autorevolissime, anche in Italia: economisti keynesiani come Federico Caffè, Nino Galloni, Marcello De Cecco, Bruno Amoroso, Alberto Bagnai. Studiosi come Emiliano Brancaccio, Vladimiro Giacchè, Joseph Halevi.

Culture diverse, da quella liberale a quella marxista, pervengono ad un’unica conclusione: il neoliberismo non funziona. Peggiora l’economia e produce ingiustizia: arricchisce l’élite, esaspera i deboli, impoverisce le classi medie. Può un paese come l’Italia, reduce da regolari elezioni democratiche, consentirsi un libero dibattito sul tipo di economia che ritiene più adatto al benessere del sistema-paese? Purtroppo no: non può. Questo, almeno, secondo il presidente della Repubblica – che ha bloccato la nomina di Paolo Savona, ammettendo apertamente il timore che il ministro, una volta in carica, avrebbe messo in discussione alcuni aspetti del meccanismo (neoliberista) dell’Unione Europea, da tutti peraltro stigmatizzato come inadeguato, iniquo, inefficiente. Di Maio e Salvini, clamorosamente fermati sulla soglia del futuro governo, hanno reagito con parole di fuoco: dunque, hanno protestato, dobbiamo arrenderci all’idea che le elezioni sono inutili, dal momento che le decisioni importanti vengono prese fuori dall’Italia e imposte al nostro paese? Nell’immaginario collettivo di milioni di italiani, in questi giorni, spunta la logica del ricatto: esiste quindi una sorta di racket mafioso, al quale l’Italia non ha la forza di ribellarsi? Sono La protesta dei leghistivalutazioni politiche, drasticamente semplificate dal precipitare del profilo istituzionale della crisi, con i suoi inevitabili risvolti anche emotivi. Ma l’elettore medio, che in maggioranza ha votato per i 5 Stelle e per la Lega, come potrebbe comprendere una decisione che priva quei partiti della possibilità di formare il governo a cui avrebbero diritto?

Di fronte alla penosa dissoluzione dell’ex partito di potere, il Pd, rottamato dagli italiani e ignominiosamente silente sui propri errori a tre mesi di distanza dal voto, il presidente Matterella (già esponente di quello stesso partito) si è certamente trovato nella posizione più scomoda, sottoposto – in solitudine – a immaginabili pressioni internazionali. La sua decisione, secondo Wolfgang Munchau del “Financial Times”, nasce però da un calcolo perdente: la speranza di dividere Di Maio e Salvini, legando quest’ultimo – alle prossime elezioni – al moderato Berlusconi, accondiscendente con i poteri europei che hanno spaventato l’Italia al punto da spingerla a rinunciare al governo “gialloverde”. Al di là degli strascichi anche formali della manovra di palazzo (la possibile richiesta di impeachment), gli italiani nel frattempo assistono allo spettacolo imbarazzante del tecnocrate Cottarelli, che si accinge a gestire la contabilità del paese quasi fosse quella di una salumeria, fingendo di non sapere che la stragrande maggioranza del popolo italiano disapprova la sua presenza a Palazzo Chigi, non legittimata da alcuna espressione elettorale. E’ vero che il neoliberismo tende a gestire gli Stati come salumerie, per poi farne vere e proprie macellerie. Ma Cottarelli non può non sapere che gli elettori italiani lo ritengono una specie di usurpatore, un signore seduto “abusivamente” sulla poltrona che occupa: legittimato sotto l’aspetto legale e tecnico-istituzionale, certo, ma impresentabile sul piano politico.
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Veri cattivi e finti buoni: a chi giova questo “golpe stupido”


Scritto il 30/5/18 • nella Categoria: idee Condividi Tweet

L’uscita di Mattarella che blocca il governo di chi ha vinto le elezioni viene motivata ufficialmente con l’intenzione di impedire i danni finanziari prodotti dai “populisti sovranisti”, e di favorire gli interessi dei poteri finanziari ed europeisti dei quali lo stesso presidente appare come un’evidente espressione. Ma molti osservatori notano questa mattina giustamente che questa mossa ha una sola certa conseguenza: rafforza nell’opinione pubblica le posizioni proprio di quelli che sembrava voler bloccare. E potrebbe spingerli verso un successo elettorale ancora maggiore, scompigliando e indebolendo ancora di più i partiti tradizionali filo-sistema. È stupido, il presidente? Certamente no: è un uomo del sistema che fa bene gli interessi del sistema. Proprio per questo motivo lo hanno messo a fare il presidente. Ma allora che interesse ha il sistema trasnazionale oscuro e anticoscienza nell’ordinare una tale mossa apparentemente controproducente? Vediamo… Un presidente della Repubblica nomina i ministri su proposta del presidente del Consiglio incaricato, ma non può alterare o condizionare la linea politica emersa dal voto. Bloccare la nascita di un governo che esprime la volontà popolare, giusta o sbagliata che sia, e farlo per di più nel nome di quello che poteri forti trasnazionali, finanziari e politici, vogliono continuare a imporre ai cittadini italiani, appare ora a tantissimi italiani come un vero e proprio tradimento del popolo che rappresenta. Un vero e proprio golpe.
La figura e le idee di Savona, proposto come ministro dell’economia e bloccato dal Quirinale, corrispondono perfettamente a quanto Lega e 5 Stelle hanno messo nel loro “contratto”. Corrispondono alla linea politica che questo governo era legittimato a portare avanti. Anzi, si può tranquillamente affermare che quel “contratto” è molto più moderato di quello che la maggioranza degli italiani aveva deciso di votare. In effetti occorre ricordare, proprio in mezzo a questa voluta esasperazione dei toni, che la maggioranza ha votato per i giallo-verdi perché quei partiti avevano promesso azioni forti nei confronti dell’euro e dell’Unione Europea, ben più dure di quelle poi manifestate nel processo di formazione del governo. Il “contratto” elaborato da leghisti e grillini si era in effetti ridotto ad una enorme frenata su questi temi: e questo già era un chiarissimo e sospetto mezzo tradimento dei voti che erano stati raccolti dagli italiani promettendo loro ben altro. A questo si aggiunge ora, con la mossa di Mattarella, un tradimento completo e totale. Ma in qualche modo proprio la evidente “cattiveria” del gesto di questo antipatico presidente fa in modo che gli italiani si sentano traditi da lui, invece che da chi avevano votato e che si accingeva a fare cose ben diverse dalle aspettative. I malumori di parte del movimento grillino per il tradimento dei programmi si sciolgono come neve al sole, “distratti” dal protervo attacco della finanza internazionale attraverso Mattarella.
Nello scontro verbale che sta partendo, la gente avrá difficoltá a ricordare che già con certe proposte di ministri e con abbondanti modifiche dei programmi, il cosiddetto “governo del cambiamento” si accingeva a cambiare nei fatti poco e niente. E certamente non avrebbe disturbato la grande finanza, la Nato, i veri poteri mondialisti, l’euro, Big Pharma, le vaccinazioni, le multinazionali, le guerre, la chimica e i campi elettromagnetici ovunque, la deriva culturale… Avrebbe fatto il minimo indispensabile di riforme positive per compiacere i propri elettori, ma senza certamente intaccare i grandi interessi strategici dei poteri forti, dai quali Lega e 5 Stelle sono stati creati anni fa per cavalcare, incanalare e controllare il crescente dissenso della gente arrabbiata o “in risveglio”. Ma allora quale è il fine di questa intricata manovra? Di questo complesso gioco di specchi? Difficile dire quali saranno i prossimi passi, perché i passi fanno parte di strategie e tattiche che conoscono solo i poteri oscuri che certe manovre fanno. E quindi vedremo. Ma giá si intravedono delle linee, delle direttrici di fondo.
La mossa presidenziale – facilitata dalla “strana” impuntatura di Salvini sul solo Savona (potevano metterci un fantoccio affiancato da Savona, se proprio volevano) – parte ovviamente da un ordine superiore, e non è detto che lo stesso Mattarella conosca tutte le implicazioni. Così come non le sanno nemmeno Di Maio o Salvini… veri e propri burattini di un gioco compiuto dietro le quinte da poteri enormemente più forti. Di certo il risultato è quello di rafforzare il consenso politico di Lega e Cinque Stelle tra i cittadini di fronte al manifesto abominio compiuto dai poteri forti attraverso Mattarella. Tanto che è già partita in tromba una facilissima campagna elettorale di fuoco, organizzata per rafforzare ulteriormente la tifoseria dei partiti del dissenso, consolidandone l’immagine antisistema al di là di quelle che poi certamente saranno le enormi frenate pro-sistema una volta andati al governo. Il teatrino drammatico serve in effetti a rafforzare nella gente in risveglio la fiducia in questi partiti come “salvatori della patria”, e quindi a rafforzare la loro possibilitá successiva di prendere in giro i propri elettori, dando delle briciole alla gente per poter continuare a mantenere in piedi ed ulteriormente rafforzare il sistema vero dei poteri forti mondiali.
Avvalendosi proprio del supporto di una tifoseria ancora più addormentata dalla rabbia prodotta dalle “cattiverie” di Mattarella, della Merkel, dei ministri europei, dai commenti velenosi del “Financial Times” e dalle solite minacce delle agenzie di rating. E dall’altra imbambolata e fanatizzata dalla chiamata alle armi, dai toni guerreschi e dalle promesse mirabolanti dei giallo-verdi. Nel frattempo, nei prossimi mesi gente del tipo Cottarelli, uomo del criminogeno Fondo Monetario Internazionale, potrebbe guidare un governo senza maggioranza ma comunque capace – con l’appoggio del Quirinale – di compiere ulteriori nefandezze in nome di nuove emergenze prodotte ad arte contro di noi a livello internazionale. Mentre il consenso ai giallo-verdi, creati dagli stessi poteri per incanalare e silenziare il vero dissenso delle coscienze, crescerebbe comunque, in quanto gli italiani attribuiranno tutti i problemi dei prossimi mesi, perfino il caldo, la pioggia o le macchie solari, al fatto che è stato bloccato dai cattivi il governo del cambiamento. Il governo “buono” dei miracoli che comunque non avrebbe fatto. Tranne qualche briciola da distribuire veramente agli italiani per farli stare zitti e continuare a illuderli.
Quale è allora in effetti il fine di tutta questa manovra? Smontare una opposizione vera al sistema, che – al di lá di Lega e M5S – è comunque veramente sentita nella maggioranza degli italiani, e legarla sempre di più a questi fidati partiti eterodiretti. Attraverso un teatrino tutto verbale, fatto di posizioni di contrapposizione strumentale, capaci di assorbire e incanalare il malcontento riducendolo a tifoseria accesa. In favore di volti nuovi ma appartenenti ai soliti vecchi ambienti, e che mai nei fatti intaccheranno veramente i grandi interessi dei poteri forti anticoscienza. Lo scontro tra sovranisti e mattarelliani europeisti non è altro che il gattopardesco gioco delle parti, fatto per non cambiare le cose. Lo dimostra il fatto che quando poi questi finti sovranisti si avvicinano veramente al potere annacquano i loro programmi in modo incredibile. E infarciscono le loro proposte di ministri con personaggi solo apparentemente nuovi, ma sempre comunque appartenenti al vecchio circuito di potere. Come Savona, uomo di Confindustria, del sistema bancario internazionale, ministro dell’orrido e nefasto governo Ciampi, da sempre splendidamente inserito nei circuiti internazionali oscuri. O come i finti nuovi professori “scoperti” dal Cinque Stelle, provenienti da università e ambienti di stampo tra il piduista e il gesuitico-massonico.
Insomma un gran chiasso, perché la gente che si sta risvegliando, che è sempre di più, non si organizzi autonomamente in partiti e movimenti veramente liberi, ma venga presa dal tifo per una finta lotta di potere tra falsi buoni e veri cattivi. Quelli che sembrano “buoni” lo sono veramente? Sono dalla parte del popolo, delle coscienze, o servono solo a imbambolarci in un teatrino fasullo di accese tifoserie? Questi giorni dopo le elezioni lo hanno dimostrato. Questo schema di danza macabra sulla pelle degli italiani è stato ora rafforzato non casualmente da un uomo del potere come Mattarella. Cosa fare, subire? No, attivarsi, ma non nella direzione della delega a false scelte che alla fine derivano sempre dagli stessi poteri schiavizzanti. Non farsi prendere in giro, mantenersi interiormente liberi, non fidarsi di chi promette e non mantiene veramente. Non delegare a chi non si conosce, non fidarsi dei media. Non rinunciare ai propri ideali e alla propria voglia di bene, e organizzarsi per interagire orizzontalmente e positivamente con i nostri territori e le comunità locali. Là dove possiamo operare con la nostra voglia di bene e controllare direttamente con la nostra coscienza. Dal basso, nell’orizzontale, sorgerà la società etica ed amorosa del futuro. Non da questi fantasmi, spettri del potere. Dalla nostra coscenza direttamente operativa il futuro luminoso della società umana, non dalla fiducia e dalla delega al Gatto e alla Volpe, che fanno da sempre gli amici – cambiando maschere – solo per rubarci l’anima.
(Fausto Carotenuto, “Il ‘golpe stupido’ di Mattarella e la danza macabra”, da “Coscienze in Rete” del 28 maggio 2018).
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Via 250 miliardi di debito: è questo a spaventare l’oligarchia


Scritto il 31/5/18 • nella Categoria: idee Condividi

Ma davvero credete che il problema fosse il professor Paolo Savona? A terrorizzare l’oligarchia Ue, afferma Fabio Conditi, è il “contratto” firmato da Di Maio e Salvini per il “governo del cambiamento”. Trenta punti, «dove per la prima volta si mette completamente in discussione il sistema monetario e bancario attuale e le politiche di austerity che ci propinano da anni». Lo spunto rivoluzionario: la volontà di cancellare 250 miliardi di euro di debito pubblico, cioè i titoli di Stato detenuti dalla Banca d’Italia, al cui governatore – per la prima volta nella storia – il presidente della Repubblica ha “affidato” il presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte, “invitato” da Mattarella a conferire con Ignazio Visco, uomo vicinissimo a Mario Draghi e all’euro-sistema dominato dalla Germania. Paolo Savona? Usato come pretesto, per sabotare la pulsione sovranista. «Ma voi pensate davvero che il presidente della Repubblica e i poteri che rappresenta – scrive Conditi su “Come Don Chisciotte” – si siano realmente preoccupati della grande esperienza di questo arzillo professore che nella sua vita, pur avendo vissuto all’interno delle istituzioni, ha manifestato qualche opinione critica verso l’euro senza aver mai denunciato il sistema del debito?».
Qualcuno – si domanda Conditi, presidente dell’associazione Moneta Positiva – ha provato a capire che cosa, all’interno di quel programma “gialloverde”, spaventa l’attuale sistema al punto da costringere il presidente della Repubblica a rischiare l’impeachment, facendo cadere sul nascere – con mossa platealmente irrituale, politicamente sconcertante – il primo governo voluto dalla maggioranza degli italiani? Conditi mette in fila una serie di indizi e segnali, sul clima che in Italia starebbe vorticosamente cambiando verso una progressiva presa di coscienza. Parla da solo il successo della trasmissione televisiva del 4 maggio su “Canale Italia”, in cui Conditi – insieme a Nino Galloni, Marco Mori, Giovanni Zibordi, Giovanni Lazzaretti e Paolo Tintori – ha spiegato, in prima serata, “come si creano i soldi”, ovvero «come lo Stato può e deve creare soldi e come il debito pubblico può essere cancellato». Il 23 maggio è Carlo Freccero, nel super-prudente salotto di Lilli Gruber su La7, a gelare la conduttrice e il suo sodale, Massimo Giannini, dichiarando con semplicità «due verità scomode e rivoluzionarie: che il debito può essere cancellato e che uno Stato sovrano non può fallire perchè può sempre stampare soldi». Reazioni: la Gruber preoccupata, Giannini imbarazzato.
Poi la mossa inaudita di Mattarella il 27 maggio, il siluramento di Savona. L’indomani, Conditi è tornato negli studi di Canale Italia – con Vito Monaco, Marco Mori, Gianfranco Amato e il cantautore Povia. La sintesi: «Da oggi l’articolo 1 della Costituzione deve essere riscritto. L’Italia è una Repubblica non democratica fondata sulla schiavitù. La sovranità appartiene alla finanza che la esercita nelle forme e nei limiti dei mercati finanziari». La decisione di Mattarella? Inaccettabile. E carica di conseguenze: di fatto, ha esposto il Quirinale a una crisi inaudita. La scusa? Per le sue critiche all’euro, Savona spaventa i mercati finanziari: per questo, secondo Mattarella, sarebbero a rischio i risparmi degli italiani. Per Conditi, il vero motivo del devastante sabotaggio del governo Conte è un altro: «Il programma di governo del M5S e della Lega contiene secondo noi alcuni obiettivi che non sono ritenuti accettabili dal potere economico e finanziario che in Italia ha sempre condizionato le nostre scelte politiche degli ultimi 40 anni». Mattarella? «Non doveva e non poteva esercitare questa sua prerogativa, rifiutando un governo formato da partiti e movimenti regolarmente eletti, che hanno la maggioranza in Parlamento e hanno stipulato un accordo di governo addirittura votato e approvato dai cittadini». Lo stop a Conte imposto il 27 maggio resta «un atto grave e pericoloso per la democrazia».
Attenzione, però: «Se sono stati costretti ad una mossa così ingenua come quella di non far nascere un governo che, per la prima volta da anni, è stato regolarmente votato e voluto dalla maggioranza dei cittadini italiani – aggiunge Conditi – significa che il vento del cambiamento sta finalmente spirando nella direzione giusta». Quel famoso “contratto”, «volente o nolente, ha davvero la capacità di incidere e realizzare un cambiamento reale in questo paese a vantaggio di tutti, e non solo dei soliti privilegiati: per questo motivo non lo vogliono». Cosa prevede, infatti? Un provvedimento di inaudita importanza: la cancellazione di 250 miliardi di euro di debito pubblico, titoli di Stato detenuti da Bankitalia. Non solo: c’è anche «la possibilità per lo Stato di stampare Minibot, cioè una moneta di Stato». Ancora: «La creazione di un sistema di banche pubbliche, una per gli investimenti ed un’altra per il credito». Tutto questo, per finziare «politiche economiche espansive al posto delle politiche di austerity». Per esempio: reddito di cittadinanza, pensioni dignitose e abattimento delle tasse. Anche una sola di queste ipotesi – sottolinea Conditi – farebbe «vedere i sorci verdi al potere economico e finanziario che ci ha ridotto in schiavitù». Sicché, «vederle tutte insieme deve aver fatto prendere un coccolone nei piani alti: sono soddisfazioni che non hanno prezzo».
Pur tra mostruose difficoltà politiche, ben rappresentate dalla minaccia telecomandata dello spread e dall’inaudito boicottaggio del presidente della Repubblica (il primo nella storia a rifiutare un candidato ministro per motivi ideologico-politici), i 5 Stelle la Lega – secondo Fabio Conditi – hanno comunque «imboccato finalmente la strada giusta». In estrema sintesi: «Il 99% della popolazione più povera deve essere unito per combattere contro quell’1% che ci vuole schiavi del debito e rassegnati alla miseria». E’ un fatto: nonostante le posizioni inizialmente distanti, il “contratto” di governo è stato costruito con fatica e in modo trasparente. Conditi incoraggia grillini e leghisti: «Avete una squadra di governo, avete la maggioranza della popolazione che vi approva, avete contro il potere economico e finanziario mondiale: l’unico errore che potete fare è tornare indietro sui vostri passi». Lo spread? Neutralizzabile con una sola mossa, secondo Conditi: «Basterebbe emettere titoli di Stato a valenza fiscale, cioè utilizzabili alla scadenza anche per pagare le tasse: in questo modo non ci sarebbe più il rischio che lo Stato possa non rimborsarli e quindi sarebbero impossibili le manovre speculative al ribasso di questi giorni. Inoltre queste nuove emissioni sarebbero più “appetibili” per gli investitori perché meno rischiose».
Questo per dire che i mercati – quelli veri – non coincidono esattamente con i ristretti gruppi del potere oligarchico europeo che manovrano lo spread come una clava. Al menù del riscatto, Conditi aggiunge anche il Sire, sistema di riduzione erariale. «Serve assolutamente un sistema di pagamenti alternativo a quello del sistema bancario italiano, dove circoli uno strumento monetario a valenza fiscale che non possa essere “bloccato” dalla Bce e dalla Commissione Europea». Esiste un modo, quindi, per respingere il rigore (che è interamente politico) senza neppure violare i trattati-capestro su cui si fonda il sistema Ue. Con il Sire, dice Conditi, «si possono tranquillamente finanziare – senza fare debito – sia il reddito di cittadinanza che soprattutto la Flat Tax. In pratica come succede alla Coop, paghi le tasse normali, ma te ne restituisco una parte in buoni-sconto per le tasse future». E vogliamo parlare della banca centrale italiana, presso cui Mattarella ha “spedito” il povero Conte? «E’ necessario che lo Stato riprenda il controllo totale di Bankitalia – chiosa Conditi – riacquistando le quote di partecipazione attualmente in mano alle istituzioni e banche private». Per il resto, avanti tutta: euro o non euro, si tratta di riconquistare la sovranità della moneta: «Sarà comunque di proprietà dei cittadini e libera dal debito».
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Imbrigliare Salvini: Mattarella e Di Maio sotto pressione Usa

Scritto il 31/5/18 • nella Categoria: segnalazioni Condividi

«Può essere che nella storia scopriremo che tutti quelli con cui abbiamo avuto a che fare ci hanno fregato, ma io preferisco passare per una brava persona che per un furbo o per qualcuno che cerca di fregare la gente». Più che la storia, saranno banalmente le prossime ore a svelarlo. Questa dichiarazione di Luigi Di Maio – scrive Antonio Fanna sul “Sussidiario” – sembra infatti fatta apposta per scaricare la colpa di un eventuale ritorno alle urne sul solo Salvini. «Una dichiarazione da furbo, insomma. E infatti dopo poco è seguita da un’altra». La buona riuscita della proposta di un nome alternativo a Paolo Savona, con l’economista sardo comunque nella squadra di governo, «non dipende da noi», dice Di Maio, ma dalla Lega. «Manovra di accerchiamento nei confronti di Salvini, insomma. Ed effettivamente la pressione sul capo della Lega è aumentata a dismisura nelle ultime ore». A quasi tre mesi dall’apertura della crisi, la nuova improvvisa apertura di Mattarella a Di Maio e Salvini dopo lo schiaffo istituzionale del 27 maggio, con il gran rifiuto di Savona all’economia e l’evocazione dell’impeachment, rivelerebbe il ruolo degli Usa dietro le quinte: se l’oligarchia Ue ha inizialmente posto il veto sul governo “gialloverde”, la Casa Bianca – secondo Fanna – avrebbe premuto sul Quirinale per far riaprire i giochi e portare Di Maio al governo, anche per meglio controllare Salvini.
Mattarella, ricorda l’analista del “Sussidiario”, ha concesso 24 ore a Di Maio perché convinca Salvini ad aderire alla nuova proposta: possibile premier leghista (lo stesso Salvini o Giorgetti) ma con Savona non più all’economia, dicastero che andrebbe a un tecnico di area grillina – cioè: decide il Quirinale. «Questa linea – scrive Fanna – è stata imposta al Colle dagli americani, che non disdegnano un governo dei 5 Stelle e temono invece Salvini ed i suoi stravaganti rapporti in politica estera, ma ritengono altresì di poterlo condizionare meglio se nascerà un governo in cui per il momento sia ancora azionista di minoranza». Altro fattore: Carlo Calenda ed altri esponenti di area Pd premono per la nascita di un nuovo soggetto politico che si proponga come “fronte repubblicano”, in difesa dell’euro. «Un fronte antipopulista, che dovrebbe far convergere su quello che resta del Pd i voti degli euroimpauriti». Peccato, aggiunge Fanna, che questa logica faccia il paio con la teoria di Salvini sullo scontro tra élites e popolo: «Una contrapposizione fatta su misura per far stravincere i populisti pur di assicurarsi qualche strapuntino in più nel prossimo Parlamento».
A Mattarella questo schema appare folle, rileva Fanna: mentre il Quirinale «si sforza di costituzionalizzare i 5 Stelle», i reduci del Pd pensano di superare lo schema destra-sinistra «come già auspicato dallo stesso Renzi in passato», illudendosi di far trionfare “il nuovo” in politica. «Ma questo nuovo sa di antico», scrive Fanna. «Il fronte costituzionale che non piace al canuto presidente della Repubblica sa tanto del Fronte popolare che si schiantò contro gli agili comitati civici democristiani del 1948. Meglio troncare, sopire e diluire la furia delle piazze giallo-verdi in un governo che duri un paio d’anni». E intanto la roulette post-elettorale italiana continua: «I bookmaker danno la nascita di un governo politico al 40 per cento delle possibilità. Salvini lo hanno cercato fino a notte tarda. Lui ha fatto il prezioso. Come Di Maio pensa di essere il solo ingenuo del Palazzo».
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