LA TEORIA DEL VALORE-LAVORO coronavirus

Analisi, proposte, riflessioni sul lavoro come valore.
aaaa42
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Re: LA TEORIA DEL VALORE-LAVORO

Messaggio da aaaa42 »

ti rimando all' intervento di Riccardo Lomabrdi del 1 maggio 1976 sulle riforme di struttura e al post su riccardo lombardi e giorgi la pira.
Dopo se non sei svenuto parliamo della sinistra socialista.
antonio77
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Re: LA TEORIA DEL VALORE-LAVORO

Messaggio da antonio77 »

Il ruolo dello Stato nell’attuale teoria socialdemocratica

«È in corso in Europa una discussione sui “Grundweten /valori fondamentali/” del socialismo; a partire anche da un rinnovato ruolo dello Stato rispetto all’economia, ma anche alla società, ai diritti. Poiché invece nel sonnolento centro-sinistra italiano (PD, SEL et al.) nulla di tutto questo è alle viste, proviamo a proporre qualche spunto (F.V.)

La socialdemocrazia europea è oggi divisa sul ruolo che deve essere svolto dallo Stato. Per la verità il pensiero socialdemocratico non è mai stato uniforme in materia, le nostre posizioni sono cambiate nel tempo (andando da uno statalismo centralista, a forme di auto-organizzazione sociale).
Con particolare riferimento all’Unione europea, stiamo costruendo una struttura sovranazionale che ha però una spina dorsale liberista, che tende cioè alla “liberalizzazione”, ad estendere la competizione e il libero mercato a settori prima riserva dello Stato, come ad esempio i trasporti pubblici. E’ capitato così che i sindaci socialdemocratici abbiano venduto le infrastrutture delle loro città (linee ferroviarie, reti fognarie, aziende del gas o elettriche, ecc.) ad investitori che non avevano un reale interesse alla qualità delle strutture. Lo stesso le Regioni governate dai socialdemocratici, che hanno venduto ospedali o esternalizzato servizi e forza lavoro prima alle dipendenze pubbliche, il tutto con l’obiettivo di risparmiare. Abbiamo altresì realizzato un sistema finanziario europeo che rende più forte chi è già forte e non si cura di chi è debole. Abbassare le tasse era divenuto lo slogan dominante.
Evidentemente la sinistra non è stata capace di elaborare una idea socialdemocratica dello Stato e dei suoi doveri. Questo ha facilitato la svalutazione delle responsabilità e delle funzioni pubbliche, la stessa categoria dei funzionari pubblici è stata liquidata come costosa ed inefficace, a tutto vantaggio delle risorse private. Il nuovo management pubblico è cresciuto con la parola d’ordine del lavorare di più e meglio con meno e peggio pagati “funzionari” pubblici, oltre che con meno strutture e disponibilità.
Certo nella socialdemocrazia europea c’è una gran quantità di idee, ma questo filone è egemone almeno dagli anni ‘90 e ancora durante tutto il primo decennio di questo secolo, tanto che costituisce a tutt’oggi la spina dorsale dell’UE.

Ora se si vanno a vedere i risultati in materia di politiche dei trasporti i risultati sono disastrosi. Mi ricordo che negli anni ‘80 mi colpì come turista tedesca lo spettacolo in Inghilterra di gente che aspettava alla stazione treni che non sarebbero mai arrivati; ebbene oggi vedo lo stesso spettacolo in Germania. La privatizzazione delle reti ferroviarie ha comportato una drammatica riduzione dei servizi nelle regioni rurali, altrettanto drammatiche riduzioni di personale, vendita di vetture, ecc.
La competizione affidata ai privati non è assolutamente una soluzione; perché i privati non assicurano affatto prestazioni più efficienti e pagano i lavoratori molto peggio. Le Ferrovie tedesche sperano di competere negli altri paesi europei secondo quanto avvenuto per i servizi postali, che hanno avuto un successo internazionale, mentre però in Germania il servizio postale è appaltato a privati, che pagano pochissimo il loro personale. Persino i ministri socialdemocratici usano i privati per spedire la posta ufficiale ai propri cittadini.
Noi socialdemocratici non siamo coerenti nella nostra idea di Stato. Evitiamo con ogni cura la parola tasse davanti all’elettorato; ma non dovrebbe essere così.
Abbiamo invece bisogno di tornare a ragionare sui servizi pubblici, sulla loro qualità e quantità, avendo ben chiaro che tutto ciò costa, dunque richiede una tassazione adeguata. Abbiamo bisogno di asili, di educazione, di cure mediche e sicurezza sociale per i poveri e ancora di trasporti, strade e autostrade ecc., tutti ingredienti indispensabili per una vita dignitosa e a cui ogni cittadino deve avere accesso. Del resto la pensano così anche alcuni conservatori.

Ma ritengo che sia specificamente socialdemocratico pretendere che i lavoratori dei servizi pubblici siano pagati in modo dignitoso e non siano sfruttati. Insisto nel dire che la qualità di questi servizi deve essere alta: del personale, degli uffici, delle infrastrutture. Gli obiettivi socialdemocratici della giustizia, della solidarietà e dell’eguaglianza ci debbono guidare nella programmazione di queste politiche.
La ragione per cui i valori socialdemocratici sono cruciali è che le nostre società risultano divise fra pochi ricchi e molti poveri. Per lo più socializziamo i costi e privatizziamo i profitti e troppa gente dei ceti medi e più poveri paga il prezzo di tutto ciò. Ormai abbiamo scuole che insegnano appena a leggere, scrivere e far di conto. E’ sempre più difficile per i più poveri accedere a servizi sanitari e diagnostici di qualità. La madri single sono abbandonate economicamente, in Germania abbiamo persino permesso che i bambini divenissero un fattore di povertà per le famiglie. In tutti i paesi europei le donne sono pagate meno degli uomini.

Gli immigrati recenti sono trattati a scuola e sul mercato del lavoro peggio di quelli dei secoli passati.
Questi sono certo problemi di pari diritto all’accesso e alle opportunità, ma anche di supporto adeguato e di partecipazione. Solo una struttura legittimata dal voto popolare può assicurare un tale supporto e svilupparlo a seconda delle necessità di una società che cambia.
Ora in democrazia la struttura che garantisce tutto ciò è lo Stato. E’ lui che deve assicurare educazione, mobilità, assistenza sanitaria, sicurezza sociale e tutela ambientale a tutti. Altrimenti le nostre società si polarizzano e rischiano di perdere sicurezza. I non privilegiati -donne, poveri, immigrati- hanno bisogno di eguale partecipazione, altrimenti le nostre società libere assicurerebbero libertà solo ai privilegiati.
Ecco dunque una domanda per le classi medie e alte, ma poi per tutti i cittadini: come posso essere libero se il mio vicino è povero e discriminato dal razzismo, dal sessismo, dal classismo? Sono convinta che la maggior parte della popolazione europea è disposta a pagare più tasse per una società che disponga di una infrastruttura capace di assicurare a tutti i suoi membri una buona ed eguale vita felice -una infrastruttura che dobbiamo continuare a chiamare Stato.

Christine Faerber * insegna ricerca empirica delle Scienze sociali ad Amburgo

Traduzione a cura di Fabio Vander

Fonte: Social Europe

( melogranorosso.eu)
antonio77
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Re: LA TEORIA DEL VALORE-LAVORO

Messaggio da antonio77 »

Una ricostruzione critica dei prezzi e la teoria del valore lavoro al tempo della pianificazione economica dell' urss, Anche se il prezzo non è solo prezzo-mercato ( domanda offerta beni ) ma è prezzo-costo piu ( plusvaloro o valore aggiunto ) . Si rimanda al saggio di Maurice Dobb capitolo prezzi.
comunque della serie ...quando l' Italia aveva una classe politica e non una classe di gelatai ( con rispetto per i gelatai ).
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IN RICORDO DI PAOLO EMILIO TAVIANI

LO SVILUPPO CRITICO DELLA TEORIA ECONOMICA MARXISTA NELL'UNIONE SOVIETICA

di Paolo Emilio Taviani

copertina del numero della rivistaIl momento staliniano dello sviluppo del pensiero marxista e socialista, viene solitamente definito — sul piano politico — come il momento drastico del totalitarismo. Sul piano dottrinale, soprattutto per quanto riguarda la scienza economica, può essere valutato come il momento dello sviluppo acritico. Tuttavia, per una di quelle contraddizioni — che non sono rare nel corso della storia, e che nella storia trovano una loro logica spiegazione — toccò proprio a Stalin affrontare il problema che, meglio e più di ogni altro, dà l'avvio a un'evoluzione, in senso critico, della dottrina economica marxista.
È il problema del rapporto fra la teoria del valore e l'economia socialista.
Il Marx prevedeva la società socialista completamente liberata dal feticismo economico che caratterizza il capitalismo: in un'economia fondata sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione il concetto di « valore » deve sparire.
« La forma valore del prodotto del lavoro » sentenziava il Marx « è la forma più astratta e più generale del modo di produzione attuale, che acquista per ciò anche un carattere storico, quello di un modo di produzione sociale » (1). E più oltre: « Immaginiamo un gruppo di uomini liberi che lavori con mezzi di produzione comuni e spenda, per un comune accordo, le proprie numerose forze individuali come una sola e comune forza di lavoro sociale. Tutto ciò che si è detto circa il lavoro di Robinson è riprodotto qui, ma socialmente e non individualmente. Tutto ciò che Robinson produceva era un suo prodotto personale ed esclusivo e quindi oggetto di utilità immediata per lui. Il prodotto totale dei lavoratori uniti è un prodotto sociale. Una parte serve di nuovo come mezzo di produzione e resta sociale; ma l'altra parte è consumata e, di conseguenza, deve essere divisa fra tutti. Il modo della divisione varierà secondo l'organizzazione produttiva della società e il grado di sviluppo storico dei lavoratori. Supponiamo, semplicemente per fare un parallelo con la produzione di mercato, che la parte attribuita a ciascun lavoro sia in ragione del suo tempo di lavoro. Il tempo di lavoro avrà così un doppio ruolo. Da una lato, la sua distribuzione nella società regola il rapporto esatto fra le diverse funzioni e i diversi bisogni; dall'altro misura la parte individuale di ciascun produttore nel lavoro comune, e nello stesso tempo quanto ritorna a lui della parte del prodotto comune riservata al consumo. I rapporti sociali degli uomini nei loro lavori e con gli oggetti utili che ne provengono restano in questo modo semplici e trasparenti nella produzione quanto nella distribuzione » (2).
Scompare, dunque, nelle prospettive marxiste, la necessità e, forse, perfino la possibilità di ricorrere al concetto di valore; perché scompare lo scambio.
Invece lo scambio, nonché la moneta, sopravvivono nell'economia pianificata sovietica.
I prezzi vengono per la maggior parte fissati in funzione di obbiettivi particolari che si volevano volta a volta raggiungere. Per esempio: allo scopo di favorirne l'impiego massiccio nell'industria e nell'agricoltura, sono stati fissati per le macchine più moderne prezzi di vendita spesso inferiori ai prezzi di costo. D'altro canto, essendo la maggior parte dei contadini raggruppati nei kolkhoz, e remunerati in funzione delle entrate di ciascuno di essi, il livello fissato per i prezzi agricoli determina il reddito dei contadini. Fino a un'epoca recente, i prezzi agricoli erano stati fissati in modo tale che il reddito medio dei contadini rimanesse nettamente inferiore al salario medio dell'industria e del commercio, cosa che ha favorito il reclutamento di nuovi operai e impiegati dalla campagna, e ha permesso, d'altra parte, la costituzione di importanti fondi d'investimento (3).
apparso tuttavia subito evidente che non si poteva fare a meno di una norma generale dei prezzi, che bisognava essere in grado di dire quello che rappresenta normalmente il prezzo di una merce. Si può anche cercare di spiegare con questa o quella particolare necessità l'aumento o il ribasso di questo o quel prezzo. Ma la spiegazione non soddisfa, se non si può anche aggiungere: il prezzo di tale prodotto dovrebbe essere normalmente fissato a tale livello; lo alziamo o lo abbassiamo in confronto a questo livello normale per questo o quest'altro motivo.
L'idea si è imposta tanto rapidamente che nell'economia pianificata sovietica il prezzo normale di un bene doveva rifletterne il valore, cioè la quantità di lavoro socialmente necessaria alla sua produzione. Si è dunque ammesso che la « legge del valore » sussisteva nell'economia sovietica.
Come si concilia tutto ciò con le sentenze del Marx?
Si deve riconoscere che l'economia pianificata sovietica non è completamente socialista, oppure che le previsioni del Marx non erano valide.
Quest'ultima soluzione veniva implicitamente adottata dal Voznessenskj, il quale sostenne che gli scambi, nell'Unione sovietica, sono regolati da una legge che s'impone al pianificatore: « La legge del valore non regola solamente la distribuzione delle merci, ma anche la ripartizione delle ricchezze fra le diverse branche dell'economia... Il pianificatore è tenuto a osservare certe proporzioni fra l'industria e l'agricoltura, fra la produzione dei beni di consumo e quella dei beni di attrezzatura, fra lo sviluppo della produzione e quello dei trasporti, fra l'investimento e i consumi » (4).
Il Voznessenskj scrisse queste cose quand'era, nel 1948, direttore del Gosplan, cioè dell'amministrazione che elabora e controlla i piani economici. Poco dopo egli veniva liquidato per ordine di Stalin. Ma il problema del rapporto fra le leggi economiche e l'economia pianificata sovietica non poteva liquidarsi altrettanto facilmente. E Stalin stesso dovette affrontarlo pubblicando, nel 1953, l'opuscolo I problemi economici del socialismo in Urss.
In esso Stalin non ci appare tanto dogmatico quanto realista. Realisticamente egli si sforza di delineare un compromesso fra i sostenitori della sopravvivenza della « legge economica del valore » e gli esegeti ortodossi delle sentenze del Marx.
Stalin riconosce che la legge del valore continua a sussistere nell'Urss : « Là dove esistono merci e produzione mercantile, non può non esistere la legge del valore » (5). E la produzione mercantile continua a esistere nell'Urss, sotto forma della produzione colcosiana. Di fatto « lo Stato può disporre solamente della produzione delle aziende statali, mentre della produzione colcosiana dispongono solamente i colcos, come di una loro proprietà. I colcos non vogliono alienare i loro prodotti altrimenti che sotto forma di merci, in scambio alle quali vogliono ricevere le merci loro necessarie » (6).
È necessario, per esempio, prosegue Stalin, fissare il prezzo del cotone a un livello superiore a quello dei cereali, perché il cotone costa più caro, come è confermato dai prezzi mondiali. Se non avessimo fissato un prezzo superiore per il cotone, « avremmo rovinato i coltivatori e saremmo rimasti senza cotone » (7).
Nella società sovietica sopravvivono dunque le categorie di mercato, e sopravvive la legge del valore: a causa della coesistenza, accanto alla proprietà di Stato, di altre forme di « proprietà socialista », in particolare quella colcosiana. Questo fenomeno era già stato rilevato e analizzato, con ben maggiore acutezza scientifica, assai prima di Stalin, dal Preobrazhenskij (8).
Ma la proprietà colcosiana può veramente definirsi una forma di « proprietà socialista »? E lecito formulare più di un dubbio in proposito. Ed è forse proprio per la dubbia ortodossia socialista della proprietà colcosiana, che Stalin non si ferma alla citata ammissione. Egli scrive testualmente: « Si dice che la legge del valore è una legge permanente, obbligatoria per tutti i periodi dello sviluppo storico, che, anche se la legge del valore perde la sua efficacia come regolatrice dei rapporti di scambio nella seconda fase della società comunista, essa, in questa fase di sviluppo, conserverà la sua efficacia, come regolatrice dei rapporti fra le diverse branche della produzione, come regolatrice della ripartizione del lavoro fra le branche della produzione.
Ciò è falso del tutto. Il valore, come anche la legge del valore, è una categoria storica, legata all'esistenza della produzione mercantile. Con la scomparsa della produzione mercantile spariranno sia il valore con le sue forme, che la legge del valore.
« Nella seconda fase della società comunista la quantità di lavoro impiegato per la produzione dei prodotti, non si misurerà per vie traverse, non tramite il valore e le sue forme, come accade nella produzione mercantile, ma direttamente e immediatamente con la quantità di tempo, con il numero delle ore impiegate nella produzione dei prodotti. Per quanto riguarda la ripartizione del lavoro fra le branche della produzione, essa non sarà regolata dalla legge del valore, che in questo periodo perde la sua efficacia, ma dall'incremento del fabbisogno di prodotti da parte della società. Essa sarà una società in cui la produzione verrà regolata dal fabbisogno sociale e il calcolo del fabbisogno sociale acquisterà una importanza primordiale per gli organi pianificatori » (9).
Questa posizione di Stalin è stata giustamente definita un compromesso fra le dichiarazioni del Marx e la pratica sovietica: un compromesso per nulla soddisfacente. Non è il carattere imperfettamente socialista della società sovietica che spiega il mantenimento del « valore »; bensì la necessità in cui ci si trova — se si vuole evitare di disperdere delle forze produttive — di tenere conto, in tutte le operazioni di pianificazione, del costo effettivo in lavoro dei prodotti e dei mezzi di produzione. E il mezzo pratico di tenerne conto consiste nel fissare i prezzi base di questo costo in lavoro, cioè sulla base del valore (10).
Dunque i prezzi devono essere proporzionali ai valori dei prodotti?
È il problema su cui — morto Stalin e chiusa la sua èra — si sono accese le polemiche nell'Unione sovietica: in esse si manifesta chiaramente uno sviluppo, gin senso critico, della dottrina economica marxista.
La « pianificazione ottimale » è l'obbiettivo, il punto finale o d'arrivo, e al tempo stesso il criterio di orientamento nelle polemiche tuttora assai vive fra gli economisti sovietici.
Di che cosa si deve tener conto, quali sono i calcoli economici necessari per realizzare la pianificazione ottimale? Qui sta il problema.
In un discorso del 1958, per l'inaugurazione di una centrale elettrica sul Volga, Krusciov ha implicitamente indicato una nuova via di sviluppo della dottrina economica socialista. Egli ha infatti criticato gli autori del progetto della centrale per aver calcolato il costo dell'energia prodotta senza tener conto degli interessi sui capitali investiti, né dei tempi necessari alla costruzione (11).
In realtà, già nell'epoca staliniana, si era continuato, in taluni settori, a fare dei calcoli di redditività degli investimenti, per determinare i migliori metodi di produzione. Tuttavia nella grande maggioranza dei casi veniva principalmente richiesto alle imprese di realizzare e, possibilmente, superare, il loro piano di produzione, cioè il compito loro affidato dall'amministrazione del piano. I direttori e gli ingegneri ricevevano, in più del loro trattamento fisso, dei premi cospicui proporzionali al grado di realizzazione o di superamento degli obbiettivi del piano da parte dell'impresa. A queste condizioni, essi non cercavano, neppure quando sarebbe stato necessario, di ridurre i costi di produzione. Si sono verificati molti casi, nei quali il piano è stato realizzato o superato grazie a un aumento dei costi previsti: e il sovracosto veniva sopportato dallo Stato (12).
Già nel 1949 l'Atlas denunciava questo inconveniente, e invocava che si scegliesse come indice principale per la valutazione dei risultati dell'impresa il « tasso di redditività », cioè il rapporto fra il profitto netto e l'ammontare degli investimenti (13).
Solo dopo la morte di Stalin, il problema è stato esplicitamente affrontato e approfondito (14), e il citato discorso del Krusciov ha costituito una prestigiosa autorizzazione a dibattere l'argomento, senza il rischio di essere tacciati di eresia.
Il dibattito che ne è seguito tra gli economisti dell'Urss risulta di eccezionale interesse (15).
Il 9 settembre 1962 la « Pravda » ha pubblicato un articolo firmato dal Professor Liberman dell'Università di Kharkov: Piano, profitto, sovvenzione statale. Esso sosteneva la riforma del sistema di pianificazione, in modo di far coincidere gli interessi della impresa con quelli della società; l'impresa dovrebbe essere condotta — nella ricerca delle soluzioni migliori per se stessa — ad agire nell'interesse di tutta l'economia. Nello stesso momento in cui il quotidiano del partito comunista sovietico pubblicava l'articolo, destinato a provocare un vasto scambio di vedute fra esperti di economia, studiosi e semplici cittadini, il tema della « stimolazione materiale delle imprese » era incluso nel programma di ricerche dell'Istituto di economia dell'Accademia delle Scienze. La discussione riprese, ancor più vivace, dopo un nuovo articolo della « Pravda » del 17 agosto 1964, Per una gestione flessibile delle imprese, dell'accademico Trapeznikov, seguito immediatamente da numerosi altri articoli, e, in particolare, da quello del Liberman del 20 settembre 1964, intitolato: Ancora a proposito del piano, del profitto e della sovvenzione statale (16).
In pratica, il problema si pone in questi termini: è possibile — restando sempre nell'ambito di un'economia socialista —, ed è conveniente, imporre alle singole imprese di Stato il pagamento allo Stato stesso d'interessi per i capitali che sono stati loro affidati, al fine di obbligarle a tener conto della redditività dei propri investimenti?
Per una risposta positiva si sono pronunciati il Malyscev (17), il Vaag, lo Zakharov, il Sobol (18) e il Kondrascev (19). Essi sostengono innanzitutto che si devono eliminare gli sprechi derivanti dall'insufficienza dei calcoli di redditività nei casi di grossi lavori. Ma è necessario anche eliminare uno spreco più generico, derivante dal fatto che le imprese non devono pagare gli interessi per i capitali loro affidati. Se le imprese dovessero pagare degli interessi proporzionali ai capitali di cui dispongono, aggiungendosi questi interessi ai loro costi di produzione e riducendosi i profitti, sarebbero incitate, appunto per salvaguardare i profitti, a ridurre allo stretto necessario l'ammontare dei loro investimenti.
Secondo il Vaag e lo Zakharov (20), il tasso d'interesse dovrebbe essere assai alto, pari al rapporto fra l'ammontare totale dei profitti realizzati e il valore globale del capitale, cioè pari alla redditività media degli investimenti: in pratica, dovrebbe aggirarsi sul 20%!
Osserva giustamente il Denis che, accettando questa soluzione, ci si avvia a un sistema di prezzi corrispondente ai prezzi normali delle economie capitalistiche: quelli che, nel vocabolario del Marx, sono chiamati « prezzi di produzione D. Infatti in un'economia capitalistica, se i tassi del profitto delle imprese sono tutti uguali, i prezzi dei prodotti sono uguali ai costi di produzione aumentati dei margini di profitto proporzionali all'ammontare degli investimenti per ogni unità annuale di merce prodotta. Si verificherebbe altrettanto in un'economia socialista nella quale le imprese pagassero interessi eguali al tasso medio del profitto dell'economia (21).
Il Kantorovic prende in considerazione una serie di lavori che possono essere eseguiti, sia a mano, sia con l'aiuto di macchine. Esiste, egli dice, una certa ripartizione di macchine disponibili tra i differenti impieghi possibili, che rende minimo il prezzo di costo globale dei lavori. E si può ottenere che le imprese adottino spontaneamente i metodi di produzione che corrispondono alla situazione ottima. Basta far loro pagare, per l'uso di ciascuna macchina, un « valore locativo », cioè un prezzo d'affitto pari alle economie realizzate sui salari, grazie alla macchina. In questo modo, laddove l'impiego delle macchine dia un vantaggio anche minimo, si ricorrerà pur sempre a esso, mentre non vi si ricorrerà laddove non vi sia alcun vantaggio. Si potrà così identificare — con questo criterio — l'utilità marginale negli impieghi delle macchine, la cui disponibilità non è ovviamente infinita (22).
Il Novojilov sostiene che occorre far pagare, per l'impiego di un mezzo di produzione, una somma uguale alla « spesa di rapporto inverso », cioè eguale al supplemento di spesa che comporta la rinuncia all'impiego di quello stesso mezzo in un'altra branca di produzione.
Nelle definizioni « valore locativo » e « spesa di rapporto inverso » il Denis riconosce il concetto di rendita marginale di un mezzo di produzione, ossia, il concetto neoclassico di produttività marginale.
Se si fa pagare alle imprese un « affitto » eguale alla produttività marginale, esse cesseranno naturalmente di domandare nuovi mezzi quando il guadagno netto raggiunto grazie all'impiego di un mezzo supplementare divenga nullo, cioè quando la produttività marginale della dotazione nell'impresa diventi eguale alla produttività marginale del mezzo nella globalità dell'economia. Generalizzando i risultati ottenuti dal Kantorovic e dal Novojilov, si giunge alla conclusione che, per ottenere una ripartizione ottima degli investimenti, è necessario far pagare alle imprese degli interessi per i fondi che sono loro affidati, sulla base di un tasso eguale alla produttività marginale del capitale nell'economia: si applica così all'economia socialista una delle leggi fondamentali della dottrina economica neoclassica: quella del livellamento delle produttività marginali degli investimenti (23).
Il Denis e la Lavigne definiscono addirittura « marginalismo sovietico » la Scuola del Kantorovic e del Novojilov (24).
Abbiamo già visto come il Kantorovic ritenga che le spese totali diminuiscano, quando si fa pagare alle imprese per ciascun fattore di produzione un prezzo pari alla « valutazione obbiettiva » che altro non è se non ciò che i neoclassici hanno chiamato « produttività marginale ».
Per il Kantorovic il fatto che il sistema sovietico ignori il prezzo d'uso dei beni durevoli, costituisce una lacuna fondamentale. Bisogna determinare, egli dice, le « valutazioni locative » dei beni di attrezzatura che sono eguali alle economie che permette di realizzare, nell'unità di tempo, la disponibilità di una unità supplementare di attrezzatura. E bisogna far pagare come noli somme corrispondenti all'utilità di tali attrezzature.
Grazie all'insieme delle « valutazioni obbiettive » e delle « valutazioni locative » si può calcolare « l'efficacia normale » degli investimenti che deve guidare il pianificatore nell'attribuzione dei fondi disponibili fra le diverse branche e le diverse singole imprese. Questa « efficacia normale » corrisponde alla « efficacia marginale » dei neoclassici.
Al fine di rendere ottimale la pianificazione, secondo il Kantorovic, occorre « apportare nel sistema dei bilanci, del finanziamento e degli indici statistico-economici che caratterizzano l'attività delle imprese, dei cambiamenti tali per cui le imprese e gli altri organismi economici abbiano interesse a seguire il piano ottimale » (25).
È per questa ragione che conviene fissare per i vari fattori di produzione prezzi « che si avvicinino » a « valutazioni obbiettive » e far pagare agli utilizzatori delle attrezzature le « valutazioni locative » corrispondenti. Soltanto a questa condizione, la ricerca da parte delle unità di produzione del costo minimo conduce a scelte conformi al piano ottimale di produzione. L'autore precisa che i rapporti dei prezzi con i mezzi di produzione sarebbero sensibilmente modificati, ma che il loro livello medio ne risulterebbe diminuito, poiché diminuirebbero globalmente i costi.
Quanto ai prezzi dei beni di consumo venduti al dettaglio, essi non sarebbero necessariamente imposti dalle « valutazioni obbiettive ». L'incorporazione delle « valutazioni locative » delle attrezzature nei prezzi di costo porterebbe a elevare i prezzi al dettaglio dei beni di consumo. Ma l'afflusso delle risorse così procurate allo Stato permetterebbe di diminuire la tassa sicché i prezzi dei beni di consumo non dovrebbero alla fine aumentare (26).
Secondo il Novojilov, il problema dell'economia socialista è quello della scelta dei metodi di produzione che rendano minimo l'ammontare globale delle quantità di lavoro spese per ottenere una data produzione. Il solo metodo che possa essere impiegato per risolvere questo problema è di calcolare, per ciascun prodotto, gli incrementi delle spese globali di lavoro provocate dai differenti sistemi di fabbricazione, cioè le « spese differenziali » di produzione, e di scegliere il metodo per il quale la « spesa differenziale » sia la più bassa (27).
Le « spese differenziali » sono anch'esse la somma di due categorie di spese: da una parte le spese di produzione (o quantità di lavoro effettivamente dedicato alla produzione del bene) e dall'altra parte le « spese di rapporto inverso », ossia le spese supplementari generale nel resto dell'economia dal fatto che si produce, secondo una tecnica determinata, il bene considerato. Queste « spese di rapporto inverso » sono dovute al fatto che per produrre il bene in questione secondo una certa tecnica, si utilizzano dei mezzi di produzione rari, che sono sottratti alle altre branche di produzione, sicché salgono i costi in queste altre branche (28). Anche questo concetto altro non è che ciò che i neoclassici chiamano e efficacia marginale » dei mezzi di produzione esistenti in quantità limitata e non riproducibili immediatamente, o meglio l'« efficacia marginale » dei beni investiti. Infatti le spese supplementari provocate nella globalità dell'economia dall'impiego, in una determinata branca, di un mezzo di produzione raro, corrispondono alle spese risparmiate a margine se questo mezzo venisse impiegato in un'altra branca.
Risulta ovvio da quanto detto sinora che, nelle teorie della pianificazione ottimale, e quindi dei rapporti dell'economia socialista con la legge del valore, e, in generale, con le leggi economiche, ricompare, più vivo che non mai, il concetto di utilità marginale.
I modelli matematici dei teorici sovietici della « pianificazione ottimale » e della « valutazione obbiettiva » si fondano su di una « funzione-obbiettivo del consumo sociale » che rende commensurabili le utilità dei singoli beni prodotti, consentendo, così una razionale fissazione dei loro prezzi, indipendentemente, dalla valutazione dei tempi di lavoro necessari alla loro produzione.
Le reazioni a questo ardito sviluppo critico della teoria marxista non hanno tardato a farsi sentire.
Il Turetskij (29), il Maizenberg, il Batyrev (30), sostengono che il prezzo è solo uno strumento di politica economica, e il pianificatore non può esserne in alcun modo condizionato. Secondo loro le nuove strade proposte dai teorici della pianificazione ottimale costituiscono una vera e propria capitolazione di fronte alle teorie borghesi dell'utilità marginale.
Il Boiarski trova addirittura un'analogia sorprendente fra le tesi del Kantorovic e i Principi di economia politica del Tugan-Baranovski. Kronrod lo accusa di « risuscitare, in veste matematica, le vecchie concezioni della scuola soggettiva e le vecchie pretese marginaliste » (31).
I teorici della pianificazione ottimale rispondono che — a parte il ricorso ai formalismi matematici — non vi è nulla di comune fra il concetto di « utilità sociale » (precisabile in forma del tutto oggettiva), alla quale essi ricorrono ai fini della costruzione della « funzione-obbiettivo » del piano ottimale, e il concetto di utilità individuale delle scuole marginalistiche soggettivistiche (32).
E un grande matematico, il Kolmogorov, dichiara: « Non dobbiamo commuoverci dell'analogia formale della « efficacia normale » con l'« interesse del capitale » del capitalismo... Non temiamo affatto che l'apparato matematico della teoria marxista dell'economia socialista abbia ,dei punti di rassomiglianza formale, per esempio, con la teoria dell'utilità marginale nell'economia politica borghese. Ciò si spiega con la comunanza dell'apparato matematico di soluzione in qualunque problema di variabili e non tocca affatto né il carattere specifico dei nostri problemi né la « purezza » dell'impostazione marxista della questione » (33).
Questo argomento viene ripreso dal Kantorovic: « Indipendentemente dal fatto che le valutazioni al margine non sono in principio per nulla estranee alla scienza economica marxista (teoria della rendita), tuttavia questa analogia (con il capitalismo) pesa sugli economisti. Ciò perché bisogna precisare perché il calcolo economico nell'economia socialista è spesso tratto ad utilizzare valutazioni marginali. È chiaro che se voi volete risolvere il problema della scelta con riferimento ad un'impresa reale, la scelta della decisione non introduce cambiamenti decisivi nel bilancio economico, ma è legata a variazioni di questa. Ecco perché noi dobbiamo conoscere il tasso di sostituzione dei prodotti per una variazione del piano. Ciò è precisamente un sistema di calcolo al margine » (34).
Ma se si dimostra anche che la « pianificazione ottimale » suppone delle valutazioni marginali, e che nello stesso tempo si ritiene di conservare una teoria del valore in cui il lavoro è solo fattore di produzione, non sarà più impossibile che un teorico marxista utilizzi certi concetti marginalisti.
Il Novojilov ha lungamente insistito su questo punto (35). « Gli strumenti matematici sono formali, egli scrive, cioè privi di contenuto. Perciò ci si può servire degli stessi strumenti matematici in teorie economiche differenti, vere o false. L'idea secondo la quale il marxismo sarebbe incompatibile con il ricorso a dei moltiplicatori marginali è basato su una semplificazione dogmatica del marxismo » (36).
A questa difesa delle tecniche marginaliste da parte del Novojilov fanno eco le simili affermazioni dell'accademico Nemèinov : « La teoria dei limiti è il fondamento dell'analisi matematica moderna. Le nozioni di incremento di una funzione, di derivata di una funzione e dei suoi valori estremi sono elementi fondamentali della scienza matematica contemporanea. Il rapporto, per esempio, di un incremento del reddito con un incremento dell'investimento ha una importanza economica essenziale. L'economia politica marxista nega soltanto l'impiego arbitrario del concetto di margine, quello di cui ci si serve nelle teorie oggettive dell'utilità marginale » (37).
L'applicazione di metodi matematici nell'analisi economica di piano — afferma il Kantorovic (38) — nelle condizioni dell'economia socialista, propone sì una serie di problemi metodologici complicati. Ma i parametri che faranno la loro apparizione nel corso d'indagini obbiettive sui fenomeni economici, che assumano carattere quantitativo, dovranno risultare in accordo con la teoria del valore-lavoro, e inserirsi compiutamente nel suo quadro generale.
I sostenitori della pianificazione ottimale si richiamano, del resto, a una frase dello stesso Marx: « In una società di là da venire, in cui l'antagonismo di classe fosse cessato, ove non vi fossero più classi, l'uso non sarebbe determinato dal « minimo » del tempo di produzione: ma il tempo di produzione sociale che si consacrerebbe ai diversi soggetti sarebbe determinato dal loro grado di utilità sociale » (39). Come e ancora più del concetto di « utilità sociale », anche quello di « valore d'uso sociale » si ritrova largamente impiegato nel Marx: « Chiunque col lavoro delle proprie mani provvede al soddisfacimento dei propri bisogni, crea soltanto valori d'uso personali. Per produrre merci, egli deve produrre non solo valori d'uso in genere, ma valori d'uso per gli altri, valori d'uso sociali » (40).
Replica la Dunaeva che le affermazioni del Marx si riferirebbero alla fase superiore della società comunista e non alla società socialista; si riferirebbero inoltre all'impiego di lavoro, non già nella produzione di ogni singola merce, bensì in quella di tutto l'insieme delle merci aventi un determinato valore d'uso ; e cioè alla ripartizione del lavoro sociale fra le diverse sfere della economia sociale e alla formazione della loro proporzionalità (41).
Lo Pcelnicev osserva che il sistema dei prezzi, così come storicamente si è venuto configurando nell'Unione Sovietica, non potrebbe in alcun modo servire, allo stato attuale delle cose, a un'adeguata misura delle utilità sociali (42). È vero che nell'Unione Sovietica, come in altri Paesi socialisti, da decenni si è parlato ufficialmente di « prezzi fondati sul valore », che dovrebbero fissarsi sulla base del costo di produzione di ogni singola merce, con l'aggiunta di una determinata quota di reddito netto (plusvalore) proporzionale alla somma dei salari erogati per la produzione di quella stessa merce. Tuttavia, come riconosce, con obbiettività, il Sereni « larghe e sistematiche deviazioni » si sono da sempre praticate, anche ufficialmente, rispetto all'una e all'altra delle norme generali citate (43).
Nelle attuali condizioni dell'economia sovietica, nonché in quelle sostanzialmente analoghe di altri Paesi socialisti, deve escludersi, secondo il Sereni, la possibilità di risalire direttamente, dai prezzi effettivi delle singole merci, ai loro rispettivi valori. Risulterebbe, tuttavia, al tempo stesso valida l'affermazione del Nemcinov (44), secondo cui, nel complesso di una data economia socialista, e all'interno stesso di suoi singoli settori che producano merci mutuamente surrogabili, la somma dei prezzi effettivi tende a coincidere con quella dei valori.
Fin da questo primo approccio alla discussione tuttora in atto fra gli economisti marxisti, sembra possibile negare l'accusa che contro i « revisionisti » viene lanciata dagli ortodossi: quella cioè di soggiacere alla suggestione dell'economia capitalistica, e di voler introdurre nel Paese del socialismo i principi del capitalismo.
Ma, al tempo stesso, devono rilevarsi le singolari affinità e convergenze che — ciascuno a partire dai problemi propri della società in cui opera — mostrano sistemi teorici pur tanto diversi, nel loro comune tentativo, tutto moderno e al quale forse appartiene il futuro, di determinare e raggiungere, pur nella varietà delle situazioni e delle dimensioni, una precisa sintetica conoscenza della realtà economica.

Paolo Emilio Taviani
Settembre 1969
(tratto da: Civitas, Rivista Mensile di Studi Politici, Anno XX – N. 9 – Settembre 1969)

* * *

(1) K. MARX, Il Capitale, vol. I, libro I, Sez. I, cap. I, par. 3°, trad. it., in « Biblioteca dell'Economista », III Serie, vol. IX, parte II, Torino, 1886, p. 36, nota 1.
(2) K. MARX, Il Capitale, vol. I, libro I, Sez. I, par. 4°, trad. it. cit., p. 43.
(3) Cfr, H. DENIS - M. LAVIGNE, Le problème des prix en Union Soviétique, Paris, 1965, p, 63 sgg.
(4) N. VOZNESSENSKJ, L'économie de guerre en Urss, trad. fr., Paris, 1948, pp. 108-109.
(5) J. V. STALIN, Problemi economici del socialismo nell'Urss, trad. it., Roma, 1953, p. 29.
(6) J. V. STALIN, Problemi economici del socialismo nell'Urss, cit., p. 25.
(7) J. V. STALIN, Problemi economici del socialismo nell'Urss, cit., p. 31.
(8) EVGENY PREOSRAZIHENSKIJ, La nuova economia è del 1926. Noi ne conosciamo la traduzione inglese The New Economy, Oxford, 1965. Particolarmente importante è, per il nostro tema, il capitolo III « The law of value in Soviet economy », pag. 147-218.
(9) J. V STALIN, Problemi economici del socialismo nell'Urss, cit., p. 33.
(10) Cfr. H. DENIS, Histoire de la pensée économique, Paris, 1966, pp. 725-728; V. VITELLO, Il pensiero economico moderno, 2° ed., Roma, 1965, pp. 105-106.
(11) (Cfr. J. M. COLLETTE, Politique des investissements et calcul économique: l'espérience soviétique, Paris, 1965, p. 458.
(12) Cfr. H. DeNIS, Histoire de la pensée économique, cit., pp. 729 sgg.; V. VITELLI, Il pensiero economico moderno, cit., pp. 99 sgg.
(13) Z. ATLAS, si veda in « Bollettino dell'Accademia delle Scienze dell'Urss », Sezione « Economia e Diritto », n. 5, Mosca, 1949.
(14) Cfr. H. DENIS - M. LAVIGNE, Le problème des prix en Union Soviétique, cit., p. 7.
(15) Cfr. H. DENIS - M. LAVIGNE, Le problème des prix en Union Soviétique, cit., pp. 77 sgg. e 119-121.
(16) Cfr. M. LAVIGNE, La réforme des méthodes de gestion économique en Union Soviétique; la discussion Liberman, art. in « Les Temps Modernes », anno XX, n. 230, Paris, luglio 1965, pp. 93-95.
(17) Di questo A. cfr. particolarmente, Alcune questioni della formazione dei prezzi nell'economia socialista (in lingua russa), art. in « Voprosy Ekonomiki », Mosca, 1957, n. 3; Contabilizzazione sociale del lavoro e del prezzo nel socialismo (in lingua russa), Mosca, 1960, p. 125.
(18) Di questo A. cfr. particolarmente Studi sui problemi della bilancia dell'economia nazionale (in lingua russa), Mosca, 1960, pp. 59 e 82.
(19) Di questo A. cfr. La formazione dei prezzi nell'industria dell'Urss (in lingua russa), Mosca, 1956; Valore e prezzi nell'economia socialista (in lingua russa), Mosca, 1963, pp. 354 e 389.
(20) VAAG - S. N. ZAKHAROV, La remunerazione dei capitali produttivi e il profitto dell'impresa (in lingua russa), art. in « Voprosy Ekonomiki », Mosca, 1963, n. 4, pp. 88-100.
(21) H. DENIS, Histoire de la pensée économique, cit., pp. 730-731.
(22) Cfr. L. V. KANTOROVIC, Calcul économique et utilisation optimale des ressources, trad. franc., Paris, 1963. L'edizione in lingua russa è del 1959.
(23) Cfr. H. DENIS, Histoire de la pensée économique, cit., p. 732.
(24) H. DENIS - M. LAVIGNE, Le problème des prix en Union Soviétique, cit., p. 138.
(25) L. KANTOROVIC, Calcul économique et utilisation optimale des ressources, cit, p. 132.
(26) L. KANTOROVIC, Calcul économique et utilisation optimale des ressources, cit., p.134.
(27) V. NOVOJILOV, La mesure des dépenses (de production) e de leurs résultats en économie socialiste, trad. franc., in « Cahiers de l'Isea », n. 146, Paris, 1964, p. 179.
(28) V. NOVOJILOV, La mesure des dépenses (de production) et de leurs résultats en economie socialiste, cit., pp. 179-183.
(29) Cfr. Sulla formazione pianificata dei prezzi nell'Urss (in lingua russa), Mosca, 1959; Problemi della distribuzione e formazione dei prezzi (in lingua russa), art. in « Voprosy Ekonomiki », n. 4, Mosca 1961.
(30) Cfr. Problemi della formazione dei prezzi e stimolazione materiale (in lingua russa), art. in « Voprosy Ekonomiki », Mosca, 1963.
(31) Cfr. Lavori della Conferenza scientifica sull'applicazione dei metodi matematici nelle ricerche economiche e nella pianificazione (4-8 aprile 1960), tomo I: Problemi generali dell'applicazione delle scienze matematiche all'economia e alla pianificazione (in lingua russa), Mosca, 1961, p. 183.
(32) Cfr. E. SERENI, Assiomatica struttura e metodo del « Capitale ». A proposito del dibattito sui prezzi ottimali in Unione Sovietica, art. in « Critica marxista », Roma, gennaio-febbraio, 1968, pp. 3-36.
(33) Cfr. Problemi generali dell'applicazione delle scienze matematiche all'economia e alla pianificazione, cit., pp. 187.188.
(34) Cfr. Problemi generali dell'applicazione delle scienze matematiche all'economia e alla pianificazione, cit., p. 267.
(35) Cfr. V. NOVOJILOV, Questioni controverse sull'impiego dei moltiplicatori ausiliari nell'economia socialista, in Modelli economici: questioni teoriche di consumo (in lingua russa), Mosca, 1963, pp. 107-143.
(36) V. NOVOJILOV, Questioni controverse sull'impiego dei moltiplicatori ausiliari nell'economia socialista, cit., p. 115.
(37) V. S. NEMCINOV, Valore d'uso e valutazioni d'uso, in Modelli economici: questioni teoriche di consumo (in lingua russa), Mosca, 1963, p. 187.
(38) Cfr. L. V. KANTOROVIC, Calcul économique et l'utilisation optimale des ressources, cit.
(39) K. MARX, Miseria della filosofia, in « Opere di Marx, Engels, Lassalle », vol. I, Milano, 1922, p. 40.
(40) K. MARX, Il Capitale, vol. I, libro I, Sezione Ia, Cap. I, par. I, cit., p. 12.
(41) VERA DUNAEVA, Sul problema del metodo matematico nel « Capitale » di K. Marx (in lingua russa), art. in « Voprosy Ekonòmiki », n. 8, Mosca, 1967, pp. 20 sgg.
(42) O. S. PCELNICEV, Alcuni problemi della teoria della pianificazione ottimale (in lingua russa), art. in « Voprosy Filosofii », n. 6, Mosca, 1967, pp. 3-14.
(43) E. SERENI, Assiomatica struttura e metodo nel « Capitale », art. cit., pp. 11-12.
(44) V. S. NEMCINOV, Contorni di un modello di formazione pianificata dei prezzi (in lingua russa), art. in « Voprosy Ekonomiki », n. 12, Mosca, 1963, p. 105 sgg.

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antonio77
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Re: LA TEORIA DEL VALORE-LAVORO

Messaggio da antonio77 »

la teoria marxista del valore lavoro e la formazione dei prezzi è un ottimo antipasto per la discussione analisi della pianificazione e programmazione economica
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Sulle teorie del valore

Post n°133 pubblicato il 07 Aprile 2009 da socialismoesinistra






Perché una cosa vale quello che vale? E come fa una cosa ad aumentare di valore? A queste domande hanno cercato di rispondere gli economisti con diverse teorie, fondamentalmente due: quella del “valore-lavoro” e quella del “valore di mercato”.

Adam Smith, Ricardo e Marx
Questi economisti classici hanno elaborato la teoria del valore-lavoro secondo la quale il valore di un bene è pari al lavoro che a detto bene è stato applicato direttamente ovvero indirettamente utilizzando altri beni o macchine.
Adam Smith è il primo che arriva a questo risultato attraverso una serie di passaggi logici, a volte soltanto impliciti, in cui ogni merce prodotta è collegata alla quantità di lavoro direttamente necessaria a produrla e ad un insieme di merci utilizzate nella sua produzione; queste ultime sono a loro volta ridotte a quantità di lavoro e ad un insieme di quantità fisiche di mezzi di produzione. L’operazione è ripetuta diminuendo a ciascun passaggio il residuo di mezzi di produzione prodotti. In questo modo il sistema economico è visto come un insieme di settori che collegano i fattori originari ai beni di consumo finali.
Ricardo si chiede tuttavia del perché se ogni componente immesso in un prodotto è stato scambiato con un fornitore (di merci, di servizi o di lavoro) pagando un corrispettivo equivalente, la somma dei costi pagati sia inferiore al ricavo ottenuto. Se cioè tutti i componenti di un prodotto (terra, capitale, lavoro) sono stati pagati al loro valore equivalente (ivi compresa la valorizzazione del lavoro dell’imprenditore) non si capisce perché il ricavo, che un altro scambio con equivalenti sia maggiore della somma dei componenti.
Marx risolve l’interrogativo di Ricardo osservando che Ricardo confonde l’equivalente del lavoro con il salario, mentre se mettesse al posto del salario il valore del lavoro l’equazione tornerebbe; il plusvalore del ricavo sui valori degli equivalenti (valorizzando il lavoro come salaria) è la fonte del differenziale che Ricardo cercava. Poiché L (lavoro) è pari a s (salario) più p plusvalore (prodotto dal lavoratore ma di cui si appropria il capitale) nella formula ricardiana:
1. 0 t (terra) + c (capitale) + s (salari) < r (ricavo)
basta sostituire a s il valore di L ovvero aggiungere il valore di s per risolvere l’equazione:
1. 1 t + c + L = t + c + s + p = r
La teoria del lavoro-valore è quindi la teoria classica che si oppone al valore quale “valore di mercato”. Si noti che secondo questa teoria un bene, un prodotto, non può cambiare di valore; gli addendi sono quelli e la somma è immutabile
Attenzione tuttavia al fatto che il valore lavoro incorporato in un bene non è quello effettivamente incorporato ma quello socialmente necessario, determinato dal livello tecnologico in essere. Ecco che un bene prodotto con vecchie tecnologie può perdere valore a causa di una minor quantità di lavoro socialmente necessaria inclusa nel valore del bene.
Il valore di mercato
Già Marx, nei suoi studi aveva distinto il valore d’uso dal valore di scambio, quel valore cioè che si generava nell’economia di scambio, dove invece il valore era dato dall’incontro tra domanda e offerta. Certo l’offerta non avrebbe mai accettato un valore di scambio inferiore al “valore-lavoro” ma la prevalenza della domanda sull’offerta può portare ad un valore di scambio superiore al valore-lavoro.
Quindi secondo questa teoria un bene, un prodotto può cambiare di valore a seconda dell’intensità dei rapporti tra domanda e offerta. Secondo i marginalisti all’aumentare del prezzo i venditori sono disponibili a offrire maggiori quantità di beni (anche i fornitori meno efficienti possono trovare conveniente vendere a prezzi più alti); al diminuire del prezzo aumentano i consumatori con potere d’acquisto inferiore e quindi aumenta la domanda. L’incontro tra le due curve, una discendente ed una in salita individuerà il punto di equilibrio rappresentato dal “valore di mercato”.
Secondo questo assunto il “vero” valore è il valore di mercato, mutabile nel tempo e determinato dalla libera concorrenza tra produttori e consumatori. (Ci sono “eccellenti eccezioni”, ad esempio Alitalia ha ceduto i suoi assets a Cai a valori di mercato. Peccato che il successivo articolo di legge definisse come “valori di mercato” quelli determinati dalla stima di una banca, tra l’altro posseduta, in parte, dal compratore).
L’ossimoro del valore di mercato
Quando si parla di bolla speculativa ci scontriamo con un ossimoro di impossibile soluzione filosofica.
Se il vero valore è per definizione “il valore di mercato”
Se la definizione di bolla speculativa è quella per la quale il valore di un bene è eccessivamente sopravvalutato rispetto al “valore vero”
Allora per sostituzione si afferma che “in presenza di bolla speculativa il valore di mercato (che è il valore vero) di un bene è eccessivamente sopravvalutato rispetto al “valore vero” (che è il valore di mercato”. La contraddizione è evidente.
Riportiamo dall’ultimo libro di Padoa Schioppa quanto l’autore afferma al proposito a pagina 50.
“Nella finanza la forza del vero può essere temporaneamente soverchiata dall’inverarsi del falso, cioè dell’opinione prevalente. Ciò accade, del resto, anche in altri campi della vita sociale, in particolare della politica , dove la manipolazione è di casa. La bolla si esaurisce quando la forza del reale si è imposta alla prepotenza del virtuale, quando il rapporto tra il vero e ciò che – a torto- è ritenuto vero si è finalmente rovesciato. A un certo punto ciò che è vero prende il sopravvento su ciò che si ritiene vero: la realtà piega l’opinione fallace”.
Si sarà capito che il falso, ciò che non è vero è il valore di mercato e che ciò che è intimamente vero – la realtà- non si sa cosa sia. Qual è quel valore vero più vero del valore di mercato?
La domanda resta senza risposta, o Padoa Schioppa pensa al valore-lavoro?
La filosofia contabile
La filosofia contabile statunitense, responsabile tra l’altro della crisi del 2007, è talmente convinta del “valore di mercato” che ha stabilito, a suo tempo, che i titoli finanziari debbono essere valutati al loro valore di mercato del momento in cui si redige un bilancio. E’ il principio “mark to market”. Per la legge italiana invece i titoli finanziari vanno valutati al loro costo di acquisto e svalutati al minor valore di mercato in presenza di permanente perdita di valore.
Non vi è dubbio che in momenti di crescita delle borse (11 anni consecutivi fino al 2007) chi adotta il “mark to market” come criterio contabile realizza plusvalenze che, come dicono quelli i cui bonuses dipendono dal valore dei titoli, “creano valore per l’azienda”. Un concetto strano quello della “creazione del valore”, degno di un paese che si oppone a Darwin in favore al creazionismo. Chi invece adotta il codice civile italiano (e i criteri europei) non può realizzare plusvalenze ma prudenzialmente deve registrare perdite in caso di svalutazioni permanenti.
Oggi in tempo di crisi, gli accountants statunitensi prendono atto che le aziende che avevano a loro tempo rivalutato i titoli al loro “fair value” sono costrette a registrare enormi perdite per allinearsi al nuovo, catastrofico “mark to market”. Ma, pragmatici come sono, si sono inventati una nuova regola e cioè che se per almeno il 51% non è intenzione del possessore di vendere i titoli svalutati, la minor valutazione, sarà imputata ai “retained earnings” (ovvero agli utili degli anni precedenti) fino all’importo della rivalutazione allora fatta e a conto economico per l’eventuale ulteriore svalutazione. Un trucchetto, cui gli europei si oppongono, ma non Tremonti, per fare apparire la questione un po’ meno peggio di quanto sia.
Il fatto è che in questi giorni lo Sfas (Standard financial accounting statement) 115 permette alle aziende americane di non portare a conto economico ciò che l’europeo Ias (International accounting standard) 39 obbliga invece di fare.
Le considerazioni finali
Dopo che Pigou ha introdotto la psicologia nell’economia, una rivoluzione simile a quella in cui la statistica è diventata parte essenziale della fisica quantistica, l’economia ha perso le sue certezze ottocentesche.
Pare comunque che il capitalismo non abbia alla sua base categorie ben definite; anzi con la categoria “valore” evidenzia una contraddizione a quanto pare insanabile.
Non è che con ciò abbiamo superato il capitalismo e nel nostro piccolo fatto la nostra rivoluzione. Ma i soloni del liberismo dovrebbero fare una riflessione sulla fragilità della loro dottrina.

Renato Gatti
http://blog.libero.it/socialismo/6851097.html
antonio77
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Re: LA TEORIA DEL VALORE-LAVORO

Messaggio da antonio77 »

LA TEORIA DEL VALORE LAVORO DI CARL MARX
LEZIONI DEL PROF. DAVID HARVEY
SONO IN INGLESE
MA VI E' UN PROGETTO DI TRADUZIONE IN ITALIANO.
CHI VUOLE PUO DARE IL PROPRIO CONTRIBUTO CON LA TRADUZIONE IN ITALIANO
------------------------------------------------------------------------

Reading Capital
Reading Marx’s Capital Volume I with David Harvey

A close reading of the text of Karl Marx’s Capital Volume I in 13 video lectures by Professor David Harvey. Links to the complete course:

Getting Started
Class 1, Introduction
Class 2, Chapters 1-2
Class 3, Chapter 3
Class 4, Chapters 4-6
Class 5, Chapters 7-9
Class 6, Chapters 10-11
Class 7, Chapters 12-14
Class 8, Chapter 15
Class 9, Chapter 15 continued
Class 10, Chapters 16-24
Class 11, Chapter 25
Class 12, Chapters 26-33
Class 13, Conclusion
http://davidharvey.org/reading-capital/

PER LA TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA
http://harvey-capital-lectures.wikidot.com/

These lectures were the inspiration for the book: A Companion to Marx’s Capital published by Verso in 2010.
antonio77
Messaggi: 121
Iscritto il: 11/03/2012, 22:41

Re: LA TEORIA DEL VALORE-LAVORO

Messaggio da antonio77 »

CORONAVIRUS,
ECONOMIA DELLA COMUNITA',
LA PIANIFICAZIONE ECONOMICA.
(PARTE 1)


Uno zibaldone politico ai tempi del coronavirus.
Appunti frammentari per una ricerca politica economico sociale.

Il lavoro lo crea la COMUNITA' e non il mercato.
Il lavoro lo crea lo STATO e non il mercato.
Il lavoro creativo, il lavoro dei piccoli commercianti , degli artigiani , dei contadini lo crea una ECONOMIA SOLIDALE DI MERCATO ma non il mercato.

Scrive Lionel Jospin : noi socialisti siamo per una economia di mercato ma no alla società di mercato '.
Questa affermazione ha assonanenze con Carlo Rosselli.

La Crisi coronavirus ha dimostrato che questa affermazione programmatica di Jospin è errata .
Ma in queste note frammentarie ed 'aperte' vedremo che il LAVORO CREATIVO e AUTOIMPRENDITOARIALITA si fondano in una economia di mercato.
Vedremo il ruolo delle economie di mercato al tempo stesso residuale ma anche fondamentale.
Ma l economia di mercato è comunque COMPLEMENTARE , RESIDUALE alle ECONOMIE DELLE COMUNITA e ALLE ECONOMIE DELLO STATO.


Dobbiamo costruire per avere il lavoro la comunità, le COMUNITA'.
Siamo senza le comunità ,e quindi siamo i senza lavoro.

L' epidemia ottocentesca Coronavirus ci ha portato tutti ad indagare e pensare ad un nuovo progetto di vita nello spazio e nel tempo .
Abbiamo una costituzione documento di Diritto Costituzionale complesso , plurale ora per uscire dalla crisi coravirus dobbiamo costruire una COSTITUZIONE ECONOMICA un documento di Diritto dell' economia.

L' indagine va condotta con approfindimenti e studi nell' ambito della politica , sociologia ed economia.

Tre sono i profili di indagine da analizzare :

1) ECONOMIA DELLE COMUNITA.
2) ECONOMIA DELLA PIANIFICAZIONE ECONOMICA
3) ECONOMIA SOLIDALE DI MERCATO per il lavoro creativo, per la micrimprenditorialità , per il commercio di prossimità , per il lavoro artigianale.
[/b]
1 )L' ECONOMIA DELLE COMUNITA'

Non si tratta di nulla di nuovo .

L' economia della comunità ha avuto un ruolo fondamentale in Germania con il modello sociale europeo continentale e in Italia con l' economia solidale di matrice cattolica.
All' interno del modello sociale europeo tedesco la relazione importante ma non unica era
il territorio con il sistema economia. In particolare in Germania il territorio era al centro del sistema banche e del sistema industriale.
In Italia la storia dell' economia solidale comunitaria è stata presente ma debole .
Si abbiamo un sistema economico no profit, abbiamo aziende in autogestione ma oggettivamente il sistema economia delle comunità in Italia è marginale.
Tralasciamo la Francia che nonostante l' opera di Rasavallon il maggiore teorico dell' autogestione in europa ha avuto altri percorsi di sviluppo economico.

Il teorico fondamentale dell' Economia della Comunità è James Meade “AGATHOTOPIA” -
Dopo il coravirus avremmo il popolo degli agathotopiani. ( vedi in questo forum l' intervento di
Renato Costanzo Gatti ).

L isola agathotopiana è viva e vegeta, vive insieme a noi nella rete.

OGGI IL MODELLO DI VITA DEGLI AGATHOTOPIANI E IL LORO SISTEMA ECONOMICO VA STUDIATO .

Dobbiamo diventare tutti cittadini agathotopiani.

James Meade è un economista keynesiano premio nobel dell' economia.
Puo un economista keynesiano quindi un economista macroeconomico vivere nell' isola di agathotopia ? La risposta sarebbe ovvia NO.
E invece James Meade è il primo cittadino della sua isola.

La lezione di Meade è che non c è la comunità senza lo stato, e non c è stato senza comunità.

E questo il motivo del fallimento dei movimenti autogestionari in italia.

Povero Autogestionario Italico , dove vai se lo stato non c è l hai ?

La discussione è sul perimetro dello STATO e sul perimetro delle COMUNITA'.
Qui parliamo di COMUNITA' , le comunità hanno un aspetto decisivo la partecipazione , partecipazione economica e partecipane democratica ( democrazia diretta).
Anche qui la storia insegna , i consigli di comunità ( vedi in questo forum alcuni interventi su strategie consiliari ).
Si tratta di una grande evoluzione dello strumento che ha avuto un ruolo fondamentale nella rivoluzione russo , i SOVIET ma anche importante è la elaborazione socialdemocratica di Kautsky.
Ma chi sono le avanguardie , le formazioni sociali che devono essere i pilastri organizzativi dei CONSIGLI DI GESTIONE DEL TERRITORIO ?

I sindacati confederali, i sindacati di base , i piccoli commercianti e i piccoli artigiani , insegnanti , infermieri medici e i lavoratori creativi ( artisti di popolo ) i lavoratori informatici autonomi, i giovani professionisti non affermati.
I consigli di gestione del territorio devono organizzare i piani di lavoro legati al territorio.

IL WELFARE SOCIALE.

Il movimento 5 stelle ha sbagliato l' analisi sociale e la normativa giuridica.
Il pomposamente REDDITO DI CITTADINANZA si tratta di una norma giuridica diversa.
Di fatto si tratta di un REDDITO DI INCLUSIONE, l errore è stato l' ISEE che non c entrava nulla con il reddito di cittadinanza.
Giornalisti pennivendoli hanno fatto poi una campagna contro il pseudo reddito di cittadinanza vergognosa.
Chi prende il reddito di cittadinanza sono persone malate , senza casa homeless, oltre che evasori fiscali totali, ma questo non è un problema di norma.
QUESTE PERSONE NON POSSONO LAVORARE in quanto hanno problemi di salute e psicologici e molti non sono in grado nemmeno di ritirare il reddito .
Abbiamo per disoccupati involontari una norma la NASPI che funziona ma poi finisce.
Abbiamo strumenti COMPLESSI di Cassa integrazione che funzionano in situazioni normali ma in situazioni di guerra coranavirus non sono addatti.
Infine abbiamo cassa integrazione in deroga per aziende con meno di 5 dipendenti che hanno un assegno di 723 euro assoluttamente insufficiente per chi ha famiglia , affitti .
Abbiamo un fac simile di reddito di cittadinanza di cui giornalisti pennivendoli non scrivono.
Si tratta di un assegno di 500 Euro per commercianti che chiudono l' attività.
Fondamentale è uno strumento di lungo periodo di accompagnamento alla pensione , ai tempi di CORAVIRUS va raddoppiato a 1000 euro.

La riforma COVID è come analizzato in questo forum un REDDITO MINIMO GARANTITO
per disoccupati di lungo periodo e per lavoratori poveri part time.
Da ultimo un vero REDDITO DI CITTADINANZA per il popolo degli artisti .
Vedremo analizzando l' esperienza unione sovietica quanto importante sia il POPOLO DEGLI ARTISTI.
Reddito universale nella versione Beppe Grillo non legato a principi lavoristici.

Una riforma delle pensioni che sia coerente con quota 100 e una pensione a 60 anni in simbiosi con
il REDDITO MINIMO GARANTITO.

Gli aspetti finanziari sono legati ad un nuovo ruolo della Banca D' italia ( con governatore il ragioniere Giuseppe Grillo) come sostenuto in questo forum.

IL SECONDO FILONE DI RICERCA E' LA PIANIFICAZIONE ECONOMICA .

a) la teoria marxista del valore lavoro.
b) La rivoluzione russa: il programma economico.

L'opera fondamentale da studiare ai tempi del coravirus è di Bronislaw MINC
Economia politica del socialismo .


Si dice una manuale di economia stalinista, è un falso va sudiato capitolo per capitolo.
In questo manuale c è il movimento dell' economia per un NUOVO MODELLO ECONOMICO SOCIALE.
Economia come pensiero marxianamente astratto che si materializzo nel il PIANO QUINQUENNALE DELLO SVILUPPO ECONOMICO.
E evidente che se applicato interamente al 100 % avremmo una grande crisi di Carestia.
Probabilmente 15 milioni di italiani ignudi stesi per terra con un limone in mano che aspettano la morte per fame.

Per questo va studiamo con grande attenzione, con una metodologia critico hegeliana.

Per l' analisi della Rivoluzione Russa proponiamo un documento storici orribile e banale.
Progetto di programma del PCR

Chi lo ha scritto ?
Si Dice LENIN .
Probabilmente non Lenin , non Trosky non Bucharin e neppure la volpe Stalin.
Una ipotesi potrebbe essere questa :

la delegazione che ha trattato la pace di Brest-Litovsk con i tedeschi era guidata da Trosky poi ministro dell'esercito
ed era composta da operai .
La cena dopo la firma del trattato, da una parte del tavolo c erano i generali dell' esercito tedesco
dall altra gli operai bolscevichi.
Un cameriere chiese ad delegato bolscevico : Vuole vino bianco o vino rosso ?
, il compagno delegato chiese : qual è piu forte ?
E' probabile che il cameriere sia arrivato con una bottiglia di vodka.
Questo è il probabile contesto ed habitat culturale in cui fu scritto il programma qui presentato
che ha notevoli comunque cose interessanti.
E semplice, e banale, permette in pochissimo tempo di avere un quadro concreto del programma rivoluzionario.
Ideale per la velocità divulgativa della rete.

LA TEORIA MARXIANA DEL VALORE LAVORO
.

I riferimenti sono tanti , biblioteche sterminate.
Noi proponiamo alla lettura il manuale di Davide Hervey Marx e la Follia del capitale.
Per un analisi innovativa del movimento del lavoro consigliamo il manuale politico di
Talpone Giovanni
laureato in fisica , quadro storico del sindacato in IBM .


Un economista mette a confronto un pane prodotto a milano e uno prodotto in cina e pensa ma quanto lavoro contiene il pane di milano e quanto lavoro contiene il pane della cina.

Il lavoro concreto della cina è totalmente diverso dal lavoro concreto di milano, quindi l'economista conclude non è il lavoro che crea il valore.

L economista è come San Tommaso crede solo in quello che vede.

All università bocconi di Milano uno studente cinese chiese agli economisti , economisti vedete la gravità ?

Gli economisti risposero la gravità ? Non la vediamo.

Lo studente cinese portò 5 economisti al quinto piano dell' università e li getto giu da una finestra.

Gli economisti sopravvissuti arrivarono alla conclusione, si la gravità esiste.

Nessun economista sopravvisse.

Il modello alternativo alla teoria del valore lavoro è il modello microeconomico delle preferenze.

Il modello economico neoclassico si basa sulle preferenze individuali dei consumatori.

Questa teoria economica ( Microeconomia) ha superato la verifica dell' idraulico.

Un centinaio di idraulici andarono in una agenzia di viaggi e comprarono un pacchetto complesso , un viaggio a Dubai.
Il pacchetto comprendeva 15 giorni albergo spiaggia e 4 mogli.
Gli idraulici finita la vacanza ritornarono in Italia con 4 mogli a testa.
Le preferenze del consumatore idraulico sono le stesse del sultano di Dubai.
Quindi il sistema microeconomico di equilibrio della domanda e dell' offerta è in equilibrio a Milano e a Dubai , in quanto le preferenze sono le stesse a Milano e a Dubai.

Diciamo una prima banalità senza il lavoro non c è il divano , non c è il televisore, il computer , senza il lavoro di un professore non c è una lezione di anatomia all' università di medicina.

Una seconda banalità della teoria marxiana del valore lavoro è la teoria del plusvalore.
Io imprenditore se costruisco una auto il valore della auto manufatti sara superiore al valore
del lavoro, o dei valori concreti presente nel manufatto.

Se il valore dell' auto fosse minore al lavoro concreto diretto e indiretto ( beni intermedi, tecnologia )
perchè io imprenditore impiegherei il mio tempo a costruire l' auto ?
AL LIMITE costruirei una sola auto la mia.
Perchè il VALORE D' USO a differenza del VALORE DI SCAMBIO è un valore intrinseco.
Il valore d' uso soddisfa i miei bisogni, semplici ,complessi, necessari , radicali ( vedi in questo forum Heller e la Teoria dei Bisogni ).

Il valore aggiunto che io imprenditore ricavo dalla vendita delle mie auto è dato dalla differenza tra il prezzo monetario la moneta e il lavoro incorporato, questa è la teoria marxiana del plusvalore.

LA TEORIA MARXIANA DEL VALORE LAVORO E' IL FONDAMENTO PER UN MODELLO ECONOMICO BASATO SUL LAVORO E NON SUL MERCATO.

Importante per lo sviluppo di un modello economico sociale che rifiuta il mercantilismo
e in termini economici e sociologici ponga al centro la teoria del valore lavoro.


La pianificazione economica ha due submodelli :
a) modelli matematici statali di Pianificazione economica
b) la programmazione economica.

Modelli decentrati di calcolo economico a matrice suddivisi per macro regioni.
Modelli di integrazione di settori economici. Sulla relazione tra economia pianificata , macro regioni ( nord , centro, sud ).
e modelli di programmazione economica, e programmazione dei settori industriali
il manuale di riferimento è Leontief le tavole input output.


LA RIVOLUZIONE RUSSA

La rivoluzione russa sia nei suoi aspetti positivi sia nei suoi aspetti totalmente distruttivi
è fondamentale per una analisi della crisi della politica e per un nuovo e diverso sviluppo della politica e dell' economia.
Il manuale che proponiamo è il classico TROSKY : LA RIVOLUZIONE RUSSA.

LA RIVOLUZIONE RUSSA , LA PERCEZIONE IN ALCUNI STRATI DELLA POPOLAZIONE EX UNIONE SOVIETICA .
PUTIN : “ NELL UNIONE SOVIETICA ERA COME ESSERE NEGLI ANNI 50 “.

L'unione sovietica negli anni 80 veniva percepita come l' unione sovietica degli anni 50.

Potremmo oggi dire che le aspettative negli anni 80 erano negative.

Ma utilizzando un linguaggio tecnico potremmo dire che nell' unione sovietica negli anni 80 c era un clima di SFIGA.

Negli anni 60 e 70 non vi era una situazione sociale di sfortuna, i piani quinquennali funzionavano
almeno nel PIL.

L' UNIONE SOVIETICA , LE VACANZE E IL CLIMA METEOROLOGICO:

Odessa il sanatorio Magnolia.

Tutto bello tutto ben curato , grande parco , struttura ben costruita , lunga alta 3 piani, personale professionale

Se andavi in un albergo per turisti la cosa era molto problematica se non pericolosa.
Ordinavi una coca cola ti guardavano male.
50 dollari , tu pagavi e la coca cola non ti veniva offerta.
Tu guardavi la security la security guarda te , e tu spassiba e te andavi.
Naturalmente quando lasci l albergo paghi la coca cola il doppio 100 dollari .
La prima volta era la mancia per il personale , la seconda volta era il prezzo per l' apparato amministrativo.

Le vacanze in unione sovietica erano ben organizzate, vacanze premio non pagate e vacanze a prezzi stracciati semigratuite.

Il problema era meteorologico.
Pioveva sempre .
Il costume da bagno delle donne era nero di plastica non per la protezione dal sole ma dalla pioggia.

Imbruniva alle 16.

Finita l unione sovietica cambio la meteorologia.

un caldo folle secco 38 gradi percepiti 45.
un sole mio spaventoso , le giornate si allungarono .
imbrunisce alle 22.
Le donne vestivano il costume da bagno diciamo in modalita diversa.
Indossavano ora bikini e in alcune spiagge dimenticavano a casa anche il bikini.

Per questo PUTIN disse in unione sovietica era come vivere negli anni 50.
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3) UNA ECONOMIA SOLIDALE DI MERCATO-

Una economia basata su analisi di bisogni concreti materiali ed immateriali legati al LAVORO CREATIVO.
una sintesi tra bisogni individuali e collettivi
e il lavoro creativo individuale ( il lavoro artistico, il lavoro professionale, il lavoro autonomo, l artigianato , il commercio ).
( continua
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