ANTONIO GRAMSCI E LA DIMENTICATA QUESTIONE MERIDIONALE

Analisi, proposte, riflessioni sul lavoro come valore.
Rispondi
antonio77
Messaggi: 121
Iscritto il: 11/03/2012, 22:41

ANTONIO GRAMSCI E LA DIMENTICATA QUESTIONE MERIDIONALE

Messaggio da antonio77 »

Antonio Gramsci e la DIMENTICATA Questione Meridionale .

Questo piccolo summer è per i più giovani che sono veramente interessati al sud Italia .
Alla Radici della Questione Meridionale .
In un saggio di Antonio Gramsci non terminato in quanto incarcerato : Alcuni temi della questione
meridionale , vi è una tesi sulla nascita della questione meridionale, si tratta di una tesi e come tutte
le tesi è di natura interpretativa e non di valore assoluto .
La tesi sostenuta da Gramsci è sulla contrapposizione tra blocco sociale del Sud di natura
prevalentemente contadina e il blocco sociale del nord di natura industriale ed operai.
In altri termini si può affermare che vi era un meridione con una struttura economica con Forme
Precapitaliste ed un nord con Forme capitalistiche.
Dal punto di vista reddituale vi era un fortissima differenza tra gli operai del nord e i contadini del
sud .
Secondo Gramsci ‘ Il mezzogiorno può essere definito una grande disgregazione sociale ‘.
E inoltre nel Nord già all’epoca vi erano dei luoghi comuni sui fannulloni meridionali , secondo
Gramsci i propagandisti del NORD ( la lega nord del tempo ) sembra un comizio di Borghezio ma
siamo nel 1920 affermavano : ‘ Il mezzogiorno è la palla di piombo che impedisce più rapidi
progressi allo sviluppo civile dell’Italia, i meridionali sono biologicamente degli esseri inferiori, dei
semibarbari o dei barbari completi ‘.
Il blocco sociale individuato da Gramsci è unico ( agrario) ma al proprio interno stratificato :
a) Massa di contadini amorfa e disgregata.
b) Intellettuali della piccola e media borghesia
c) Grandi proprietari latifondisti
d) Grandi intellettuali
Nel rapporto tra contadini e intellettuali vi è l’approccio innovativo Di Gramsci ma dentro la forte
contrapposizione con il Nord industriale e soprattutto nella drammatica ‘ grande disgregazione
sociale’ del sud.
La Situazione Meridionale .
Nel 1969 la popolazione meridionale ( 5 regione meridionali più Sicilia e Sardegna rappresentava il
40 % della popolazione con il reddito uguale al 50 % rispetto alla popolazione del Nord .
Reddito per abitante era 1.200.000 di vecchie lire nel nord contro 550.000 nel sud per abitante .
Per quanto riguarda la struttura economica il gap tra la struttura economica del nord e del sud fa
riferimento ad impostazioni diverse ma non contrapposte :
1) la prima tesi va riferimento ad una insufficienza di accumulazione del capitale.
La tesi sostenuta era che i meccanismi di mercato non erano in grado ‘spontaneamente ‘ di avviare
lo sviluppo economico e il processo di industrializzazione , questa affermazione senza inutili
‘ideologismi puerili ‘.
‘ E al riguardo giova rilevare che con il nuovo tipo di azione pubblica adottata in questo secolo dai
paesi ad economia di mercato NON SICOMPIE una scelta ideologica contro l’iniziativa di mercato
a favore dell’intervento dello stato .
e ‘ la formazione del capitale diviene una funzione pubblica ‘ ( Saraceno ).
Del resto in un clima politico da ultima guerra arriva il ‘tranquillo’ Pareto ‘ ‘ la produzione dovrà
essere organizzata esattamente ( allo stesso modo ) sia in un regime di libera concorrenza che in una
organizzazione socialista ‘ , è un problema di matematica grosso modo .
2) la seconda tesi è il ‘dualismo’ in estrema sintesi il sindacato forte nel nord ha mantenuto i salari
elevati, questi salari contrattuali elevati hanno costretto le imprese ad elevare la ‘dimensione ottima
‘ per diminuire i costi fissi con organizzazioni aziendali tayloriste la nascita della grande azienda
fordista mentre nel sud il sindacato debole, salari bassi le imprese non hanno dovuto incrementare
l’efficienza utilizzando grande quantità di lavoro a basso costo con fenomeni di mancata crescita
delle aziende e lo sviluppo dei 'lavoratori autonomi’ tipici delle economie sottosviluppate che
vivono nelle economie sommerse.
Ultima modifica di antonio77 il 19/06/2014, 16:23, modificato 4 volte in totale.
antonio77
Messaggi: 121
Iscritto il: 11/03/2012, 22:41

Re: ANTONIO GRAMSCI E LA DIMENTICATA QUESTIONE MERIDIONALE

Messaggio da antonio77 »

Puglia Calabria Campania Basilicata Molise : la dimenticata questione meridionale ( Parte 2)

Qualcuno sostiene che le regioni meridionali sono profondamente cambiate e che comunque ora vi
sono notevoli differenze tra le singole regioni meridionali ( alcune sono molto più sviluppate di
altre ) .
Se esaminiamo la struttura dei Consumi in modo empirico questo è vero, ma sempre in modo
empirico la disoccupazione ‘strutturale ‘ è rimasta molto elevata , il lavoro standard ( contratto a
tempo indeterminato ) è ancora una chimera , un risultato quasi impossibile e lo sviluppo avviene
con una economia sommersa in nero e con qualche ‘ aiutino’ da parte dell’illegalità.
La seconda obiezione sostiene che la programmazione economica riguardava l’ intera economia
italiana non solo il mezzogiorno .
‘ Secondo il Saraceno il processo spontaneo non ha portato all’unificazione economica del paese.
Esso sembra in grado di risolvere dell’occupazione con modalità che non garantiscono un adeguato
sviluppo del mezzogiorno .
La pianificazione ( oggi forse andrebbe utilizzato il termine programmazione democratica
( teorizzato da Caffe ) in Italia deve essere concepita al fine di raggiungere uno sviluppo più
equilibrato del paese ed anche una crescita adeguata di certi consumi pubblici ( istruzione,
assistenza, edilizia popolare sovvenzionale … eccettera ) . Cit. da Lombardini in Graziani Econ .
Italiana 1945-1970 ).
Il dibattito sulla programmazione in Italia è stato enorme tra gli economisti ma ha avuto anche un
forte e contrastato dibattito nella Costituente ( III Sottocomissione ) che si è concluso con l’articolo
44 ,al fine di ……stabilire equi rapporti sociali la legge impone …………..la ricostruzione delle
unità produttive ; aiuta la piccola e media proprietà .
Per lo sviluppo del Mezzogiorno è fondamentale ritornare a Keynes anche se è necessario un
vigoroso processo di innovazione ed attualizzazione.
In un discorso radiofonico del 14/3/1932 Keynes affermava :
‘ Possiamo accettare la pianificazione senza essere comunisti, socialisti o fascisti ( si è dimenticato
il nazismo con il secondo piano quadriennale ….) , ma è possibile senza …un cambiamento nel
modo di funzionamento del governo democratico ?
E’ forse il problema dei problemi .
Due sono gli esempi ( meglio i sogni ) importanti secondo Keynes :
1) ‘il piano quinquennale russo ha assalito e catturato l’immagine del mondo ‘Questo sogno NON
può ancora essere considerato un successo già conseguito, è troppo presto per dirlo, ma non è
neppure il grottesco fallimento che molta gente saggia e piena di esperienza si aspettava ‘.
2) Secondo esempio citato da Keynes : la seconda forza ed esempio proviene dal Fascismo italiano ,
che con una mentalità opposta , sembra aver salvato L’ Italia dal caos e stabilito un ragionevole
livello di prosperità materiale in un paese povero e sovrappopolato .
Ma avverte Keynes che un inglese quando apprende che un treno italiano ha viaggiato in orario
( aggiungiamo con il riscaldamento funzionante ….) rimane assai colpito e arriva alla conclusione
che il Fascismo ha ottenuto un successo sbalorditivo…… .
Queste affermazioni di Keynes vanno contestualizzate nella grande crisi del 1929 che ha colpito gli
Stati Uniti prima e l’Inghilterra poi.
Egli afferma il totale fallimento del sistema economico degli Stati Uniti e dell’Inghilterra ( nella
grande Crisi ).
Per uscire dalla crisi ‘ la pianificazione statale diretta al mantenimento del livello ottimale della
produzione industriale e dell’attività economica e all’abolizione della disoccupazione è il più
importante e al tempo stesso il più difficile compito che abbiamo davanti a noi’ .
Infine vi il problema dei problemi , la democrazia politica di fronte alla pianificazione, democrazia
ed elezioni, rimandiamo alla attualità odierna e alla fine di questa analisi .
In Italia il dibattito tra economisti è stato molto vigoroso anche se i risultati di questo dibattito
hanno avuto effetto in modo diverso in Francia ed in Germania ma non più in Italia questo per un
deficit di formazione di tutta la classe politica italiana ( sinistra compresa ).
Le posizioni degli economisti in Italia riguardo alla Programmazione ed in riferimento allo sviluppo
del Mezzogiorno sono riferibili a tre idee guida e quindi a tre posizioni :
1) la prima posizioni si trattava di dare indicatori economici per cercare di ‘guidare’ dall’esterno le
decisioni strategiche ed investimento degli operatori privati e pubblici.
2) La seconda posizione prevede l’intervento dello Stato diretto ma come attività suppletiva alla
centralità del mercato Fondamentale era l’intervento di programmazione economica contro le
diseguaglianze settoriali e territoriale quindi la centralità della questione meridionale.
Correggere le disuguaglianze del Sud portando gli Investimenti ove vi è capacità di Forza Lavoro
NON utilizzata Gli strumenti sono indiretti per modificare le decisioni degli operatori ma anche se
questi non sono sufficienti in questo caso è possibile l’intervento della impresa pubblica nei vari
settori .
Secondo il Saraceno : ‘ le nuove attività produttive stabilite secondo le indicazioni del piano, in
modo da rimediare all’insufficiente sviluppo di alcune produzioni e alle ripercussione negative delle
tendenze di concentrazione geografica, debbono essere gestite con criteri simili a quelli con cui
sono gestite le imprese private ed organizzate con le stesse formule giuridiche ‘. ( cit .Lombardini In
Graziani ).
Il tema della separatezza tra la gestione e il livello politico verrà ripreso in quanto è ‘il problema dei
problemi ‘.
3) La Terza Posizioni può essere definita di programmazione economica per delle riforme di
struttura.
Il ruolo delle aziende pubbliche non è solo residuale ma anche strategico, penalizzare le aziende che
investono in settori e siti ritenuti antieconomici o non socialmente produttivi. Equilibrio tra
produzione, occupazione . e settori industriali .
Possibilità di nazionalizzazioni nei settori che vengono ritenuti improduttivi per i privati, o settori a
forte impatto sociale.
Questi appunti hanno il duplice scopo di dare alcuni piccoli elementi di riflessione di come il
dibattito e gli interventi programmatici erano di altissimo livello e passione ( per esempio il lavoro e
il dibattito della Commissione per la programmazione economica ) e di come oggi la situazione di
analisi politica sia oggettivamente scaduta , e di preparare alcune idee da sviluppare per un
programma economico ( potremmo dire di un piano ) per le regioni del meridione.

Puglia Calabria Campania Basilicata Molise : La dimenticata Questione Meridionale ( 3).

Per concludere questo piccolo summer arrivando ai giorni nostri si propongono alcune
considerazioni in totale libertà senza una ‘trama’ precostituita .
La prima domanda è perché negli anni 60 nelle regioni delle mezzogiorno governate dal centro
sinistra vi è stato un completo fallimento nelle politiche economiche di sviluppo .
La prima risposta è stata che la classe dirigente politica del sud era basata sul clientelismo.
Il clientelismo era il cemento unificante e strutturale della forma - partito, e dell’economia.
La seconda questione che ha impedito lo sviluppo è stata la mafia, camorra e sacra corona .
Su questo aspetto è necessario denunciare qualsiasi ceto politico compromesso o attiguo alla mafia.
In questo orribile contesto sembra che ci sia stato il totale disimpegno degli economisti ( quelli
veri ), di tutti gli economisti ( questo in quanto non volevano avere relazioni con una classe politica
collusa ) mentre i politici non erano in grado ( non avendo le conoscenze ) per intervenire.
Il problema della Democrazia sostanziale e la separazione tra economia e politica è fondamentale ed
all’origine del fallimento delle politiche applicate negli anni 50 e 60.
Una ipotesi analitica è una specie di ‘autority ‘ che potremmo denominare ‘ Commissione Centrale
per la Gestione Risorse Umane’ la quale composta da accademici esperti in materia nomina il
management garantendo la totale autonomia dalla politica.
Ci sono stati nel passato tanti fallimenti ma attualmente abbiamo 2 realtà assolutamente importanti.
1) La prima è la realtà Di Catania con la MST Microelectronic , è la dimostrazione concreta che il
mix Politica Economica e Politica Industriale ed anche un Amministratore Delegato con della solida
‘mission’ sono possibili importanti risultati.
2) La seconda esperienza è il porto di Gioia Tauro , inteso qui come esperienza di Grande Industria ,
anche qui con un ruolo fondamentale del manager proveniente dal mondo universitario .
Invece una grave mancanza per l’ Italia è la mancanza di un Centro di Calcolo Nazionale una
mancanza che ha dell’incredibile (anche se esiste il Centro di Calcolo per le Università ).
Uno degli aspetti di primaria importanza è l’intermediazione finanziaria .
Si o No alla banca mista è un problema che riguarda gli economisti che studiano la materia
complessiva.
Con enorme ritardo si è aperto un dibattito su una Banca per lo Sviluppo del Mezzogiorno,
qualcuno ora deve chiedersi di chi è la responsabilità quando in Italia ci sono regioni che hanno
istituti quali il Mediocredito Regionale e società finanziarie diretta emanazione della istituzione
regione .
La Banca deve avere una proiezione nel medio lungo termine con interventi , quindi lo strumento
possibile più che una banca ‘tradizionale’ potrebbe essere la costituzione di un Istituto mobiliare di
credito per lo sviluppo delle imprese .
A livello regionale oltre ai tradizionali strumenti ( Medicredito Regionale e finanziarie delle
regioni ) strumenti che erano state progettati negli anni 50 , l’aspetto innovativo potrebbe essere la
costituzione a livello regionale di Banche a sostegno delle famiglie di credito ordinario a breve.
Gli strumenti probabilmente più idonei sono le Banche Etiche costituite dagli enti regionali.
L’idea base e che il piccolo credito alla famiglie si espande in modo cooperativo tra i ‘consumatori’
in rapporto alla regolarità dei contributi e alla compartecipazione delle famiglie stesse.
Una ipotesi organizzativa potrebbe essere la creazione di una ‘Commissione per lo sviluppo e la
programmazione economica del Meridione’ seguendo gli esempi storici per esempio del Piano
Vanoni e del ‘Rapporto Saraceno ‘ .
Questa commissione potrebbe essere istituita all’interno della sinistra tra studiosi ed accademici .
All’interno della Commissioni potrebbe essere costituito un gruppo di giovani ricercatori
‘econometristi’, ritornando alla capacità del progetto e alla capacità delle idee come capacità di
astrazione e di generalità con la volontà, la capacità e la passione e infine la speranza di cambiare la
realtà .
E’ importante riprendere una politica di analisi e programmazione dei settori industriali che
comporti un riequilibrio economico e occupazionale.
Nel SUD non è convincente la tesi sostenuta da alcune regione del nord gestite dal Centro Sinistra che le
politiche devono essere concentrate nell’azienda come unità TOTALE e complessiva, nel meridione
questa tesi non è condivisibile per vari motivi che sono già stati analizzati, ma anche perché vi un
dibattito in corso sullo sviluppo dell’economia italiana negli anni 50 che è stato secondo alcuni
troppo ‘irruento’ nel NORD Italia rispetto ad altri paesi europei e che questo ha creato squilibri tra i
settori produttivi e questo nel lungo periodo è stata una debolezza per l’intero sistema economico
italiano .
La sintesi generale è la capacità di coniugare politiche che vengono definite ‘dirigistiche’ che sono
necessarie per lo sviluppo e mantenimento della grande industria con politiche ‘offertistiche’ anche
basate su politiche di ‘job creation’ basate sulla capacità di soggetti individuali e di soggetti
collettivi di creare ed inventare realtà produttive ed occupazionali .
Sul nesso tra ‘vecchi’ distretti industriali e nuove organizzazioni che si evolvono con nuove
organizzazioni aziendali in rete ma mantenendo uno stretta relazione con il territorio ( cluster
territoriali) è già stato scritto qualcosa in questo forum, cosi come un altro capitolo da analizzare è
l’impatto che l’Economia delle Conoscenza ‘ può avere nel tessuto meridionali che ( nell’ambito
delle conoscenze ) è sempre stato ad alto valore aggiunto.
Per concludere Due Emergenze assolute .
La crisi di alcuni settori dell’economia meridionale.
In una situazione di crisi ‘strutturale’ in alcune zone in verità molto poche si sono sviluppate delle
realtà produttive importanti, queste realtà come è noto sono in grave crisi per la concorrenza di
paesi quali cina ed india.
La proposta d’intervento per le regioni meridionali non è l’applicazione dei dazii anche perché non
sarebbero di competenza europea, ma invece di approfondire alcune idee che sono in progress per
esempio negli Stati Uniti.
L’ utilizzo per esempio di computer di ultima generazione con enormi potenze di calcolo potrebbe
permettere il calcolo del Lavoro incorporato nei prodotti fabbricati in Cina .
Questo calcolo potrebbe anche comportare un calcolo della ‘Tax Social’ cioè una tassa SOLIDALE
su base volontaria che il Consumatore potrebbe riconosce ai lavoratori cinesi che hanno prodotto il
bene economico .
Non si tratta di dazii in quanto il pagamento è volontario da parte del consumatore e l’ambito è
quello già esistente del commercio equo e solidale .
Su questo argomento l’atteggiamento dei politici della Federazione NON è condivisibile, si tratta di
atteggiamenti convenzionale e sbagliati in quanto non tengono dell’analisi della vita lavorativa ne
degli operai nel mezzogiorno ne degli operai in Cina .

Disgregazione Sociale Lavoro e Valore D’Uso .
La Disgregazione Sociale sta raggiungendo livelli impressionanti, in alcune città ‘agli stranieri’ è
impedita la vista turistica .
La questione lavoro in questo contesto necessita di qualcosa di nuovo e diverso .
E’ necessario distinguere una ‘Indennità di Disoccupazione’ da uno stipendio basato sul Valore
d’Uso.
L’Indennità Di Disoccupazione ha comunque carattere eccezionale e di mera assistenza.
Si propone un ragionamento diverso .
In una società disgregata i ‘bisogni’ delle persone sono enormi.
Il lavoro ‘Valore d’Uso’ è il lavoro che soddisfa i bisogni che emergano dalla società.
La produttività è la capacità di modificare e riorganizzare i flussi conoscitivi e organizzativi e di
creare una produttività sociale che è qualità della vita .
La confusione in Italia tra produttività e efficienza è notevole anche in ambienti non sospetti,
potremmo definire in questo contesto la produttività il valore d’uso ( beni e servizi) mentre il Valore
di Scambio misura l’efficienza.
La disgregazione sociale in alcune città del sud è in forte aumento, necessità di progetti ‘shock’ , in
questo contesto di emergenza è necessario un piano del lavoro , ma nel concreto sono necessari
nuovi contratti SOCIALI di lavoro che nell’ emergenza ed eccezionalità della situazione siano esenti
da contribuzione previdenziale ed non soggetti ad imposizione fiscale.
In sintesi le cose sono molte semplici, la sinistra per la questione Meridionale ha tre soluzioni :
1) Non fare nulla, diciamo la continuità con il presente.
2) Sviluppare un sistema di potere clientelare ( come negli anni 60 ).
3) Sviluppare l’innovazione con progetti concreti ed un piano per lo sviluppo del SUD.
antonio77
Messaggi: 121
Iscritto il: 11/03/2012, 22:41

Re: ANTONIO GRAMSCI E LA DIMENTICATA QUESTIONE MERIDIONALE

Messaggio da antonio77 »

COSTRUIRE IL SOCIALISMO
On 17 Novembre 2021 By SocialismoItaliano1892


di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |


La costruzione del socialismo oggi, in Italia membro dell’Unione Europea e aderente alla NATO, costituisce un compito intellettuale e strategico di una difficoltà difficilmente affrontabile con le forze in campo.

L’analisi, alla base della strategia, non può che rendersi conto di elementi come la collocazione internazionale del paese, i rapporti con gli altri paesi, la situazione economica, la situazione delle classi sociali e i moltissimi altri aspetti in cui ci si trova ad agire.

Osservando serenamente la situazione attuale del nostro paese, dobbiamo porci seriamente la questione della percorribilità delle alternative che potremmo voler seguire.

L’idea della rivoluzione ottocentesca come quella della Russia è una alternativa che ritengo non percorribile; essa lo fu nel famoso periodo definito “diciannovismo”, un periodo in cui fu messa in atto una azione accesamente rivoluzionaria da parte dei socialisti massimalisti. Essi non furono in grado di guidare le agitazioni operaie e bracciantili esplose subito dopo la fine del conflitto, dando loro obiettivi concreti e generali di rinnovamento della società italiana.

Gramsci, cinque anni dopo, definì quell’atteggiamento “la turpe demagogia delle fiere massimaliste” che ebbe solo il risultato di spaventare la borghesia e spingerla a schierarsi con la nascente forza fascista che solo dopo pochi anni avrebbe ridotto il paese ad un regime autoritario e reazionario. Sull’onda delle suggestioni indotte dalla Rivoluzione d’ottobre, una parte grande del socialismo europeo, e in Italia prevalente, invece di impostare la lotta sul terreno di uno sviluppo quantitativo e qualitativo della democrazia preferì, a imitazione della Russia dei soviet, perseguire un regime di tipo sovietico proclamando a gran voce come obiettivi immediati (XVI Congresso 5-8 ottobre 1919 a Bologna) la rivoluzione, la dittatura del proletariato, l’abbattimento violento dello Stato borghese.

Anche l’esperienza cinese dovrebbe farci riflettere sulla fattibilità di quel modello che presenta aspetti contradditori tra i disastri del “balzo in avanti” di Mao e la svolta ipercapitalista avviata da Den Xiaopin che ha portato al cancro del capitalismo finanziario così come rilevato dal caso Evergrande.

Rimane la strada indicata da Gramsci di una guerra di posizione più adatta della guerra di movimento in una articolazione di poteri diffusa come nei paesi occidentali dove la presa del palazzo sarebbe inadeguata.

“Il passaggio dalla guerra manovrata alla guerra di posizione”, afferma Gramsci, appare “la questione di teoria politica la più importante, posta dal periodo del dopoguerra e la più difficile a essere risolta giustamente”. La Rivoluzione d’ottobre, quindi, era da considerare l’ultima rivoluzione ottocentesca.

Afferma Gramsci nel Quaderno n. 7 che “la guerra di posizione che era la sola possibile in Occidente (…). In Oriente lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa; nell’Occidente tra Stato e società civile c’era un giusto rapporto e nel tremolio dello Stato si scorgeva subito una robusta struttura di società civile. Lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte; più o meno, da Stato a Stato, si capisce, ma questo appunto domandava un’accurata ricognizione di carattere nazionale”

Nel celeberrimo Par. 17, Rapporti di forza: analisi delle situazioni, alla domanda «se le crisi storiche fondamentali sono determinate immediatamente dalle crisi economiche», egli risponde: «si può escludere che, di per sé stesse, le crisi economiche immediate producano eventi fondamentali; solo possono creare un terreno più favorevole alla diffusione di certi modi di pensare, di impostare e risolvere le questioni che coinvolgono tutto l’ulteriore sviluppo della vita statale».

Questa strada percorsa dal Partito Comunista Italiano fintanto che esso è stato in vita è oggi in una fase di estrema debolezza per la contemporanea assenza di un partito politico che si ponga questo obiettivo, la dissoluzione della coscienza critica della classe operaia dalla scomparsa della figura dell’intellettuale singolo e collettivo.

Le crisi economiche quindi come momento per diffondere “certi modi di pensare, di impostare e risolvere le questioni che coinvolgono tutto l’ulteriore sviluppo della vita statale.”

E di crisi economiche, a partire dal ’29 ad oggi, se ne sono viste parecchie alcune gravi proprio negli ultimi anni (crisi dei subprimes, crisi pandemica).

Da queste crisi il capitalismo ha imparato, grazie a Keynes, ad uscirne anche se temporaneamente e con difficoltà ma sempre scaricando i costi sulle classi subalterne, ma senza risolvere il nodo fondamentale alla base delle crisi stesse. Tutti i tentativi di interpretazione delle crisi, penso alla gestione Obama della crisi del 2008, rilevavano una incapacità strutturale del capitalismo a risolvere le sue contraddizioni e proprio per questa ragione, quei tentativi di soluzione della crisi, che vedevano nell’intervento dello stato una condizione sempre più profonda nella guida dell’economia, sono state accantonate nella presunzione di una superiorità insita nella logica del capitale.

Ma la crisi pandemica ha dimostrato ancora una volta l’inadeguatezza del capitalismo ad affrontare le crisi e ha ridato all’intervento dello Stato un ruolo inedito dal dilagarsi del pensiero unico liberista. Ora qual è la differenza tra l’affrontare i problemi da parte dei due contendenti: capitalismo e socialismo.

Di fronte ad un problema il processo decisorio del capitalismo è quello della ricerca della massima valorizzazione del capitale; tale valorizzazione percorre le strade del capitalismo agricolo, industriale, finanziario, della rendita etc. tutte strade con caratteristiche diverse riconducibili, ad esempio, nelle formule del D-M-D’ ovvero direttamente D-D’. Ora è ovvio che le soluzioni ricercate nella massimizzazione della valorizzazione del capitale saranno soluzioni che vanno bene per il capitale ma non è affatto detto che vadano bene per la collettività degli esseri umani, anzi quasi sempre questa ricerca della valorizzazione si realizza comprimendo le soggettività dei subordinati a favore dei possessori di capitali. Va inoltre precisato che le soluzioni di questo tipo sono fortemente condizionate dal “shortismo” cioè da un orizzonte temporale relativamente molto limitato.

Il processo decisorio del socialismo è al contrario ispirato dalla ragione, dal processo razionale, dalla scienza, una forte componente umanistica, peraltro con orizzonti temporali piuttosto ampliati. L’approccio socialista non è quindi condizionato da finalità di valorizzazione di alcunché ed è quindi dominio dei subordinati ma non automaticamente ma solo nella misura in cui il subordinato sia conscio del suo stato libero, conscio dell’oggettività che lo contrappone al possessore di capitali, conscio del suo compito storicamente assegnatoli dalla realtà storicamente determinata che sta vivendo.

Se prendiamo ad esempio la pandemia, un problema decisamente globale, possiamo vedere come una crisi funzioni in modo da mettere in movimento “certi modi di pensare, di impostare e risolvere le questioni che coinvolgono tutto l’ulteriore sviluppo della vita statale.

Il capitalismo ha spinto la ricerca scientifica, peraltro incentivata potentemente dalla collettività, alla individuazione di un vaccino atto a combattere la pandemia, da brevettare con forme brevettuali e da distribuire alla collettività utilizzando la distribuzione gratuita fornita dagli stati. Quindi il capitale usa strumentalmente la scienza per appropriarsene i risultati ed usa lo stato per mettere in circolazione il massimo dei vaccini, spingendo anche sulla ripetizione delle dosi. Il fine della valorizzazione del capitale usa come mezzi sia la scienza che lo stato, usando quindi la collettività per raggiungere i suoi scopi.

Ma il capitalismo ha anche dimostrato di essere incapace di gestire la crisi e, pur sfruttandolo, ha dovuto appellarsi al potere decisionale dello stato, che se da una parte ha il potere della forza, dall’altra ha dimostrato, almeno in Italia, di farsi tramite della scienza, di ricercare cioè nella razionalità la fonte del suo agire, sopperendo in tal modo alle deficienze di una logica fondata sulla valorizzazione del capitale.

Ancor più evidente è la crisi climatica. Questa crisi generata dalla logica della valorizzazione del capitale rischia di affossare non solo quella valorizzazione ma l’umanità intera. A partire dagli anni ’80 la consapevolezza scientifica degli effetti che il modello di sviluppo umano sta apportando al fattore climatico, si è scontrata con la sordità del capitale, geneticamente incapace di capire, assimilare, elaborare problematiche estranee al suo dna. Ci sono voluti quarant’anni perché il tema si ponesse come primario per la nostra sopravvivenza e che quindi si dovesse intervenire con una logica che ignora i meccanismi del libero mercato, ma che richiede un impegno razionalistico ai governi e agli stili di vita delle comunità, scatenando contraddizioni enormi inimmaginabili solo pochi anni fa. Ed i problemi stentano ad individuare una soluzione percorribile anche se il recente G20 abbia messo al centro dei suoi lavori questo tema. Ciò che tuttavia, in questa sede, mi interessa è rimarcare il crollo della logica del capitale che costringe a ricorrere ad una logica diversa, basata su principi completamente avulsi dalla logica della valorizzazione del capitale, ma che guardano oltre con un timido accenno di razionalità che diverrà sempre più impellente man mano che la consapevolezza del pericolo diverrà “senso comune”.

Nel frattempo si sviluppa una contraddizione tra la necessità di adottare una logica diversa da quella del capitale ed il fatto che i “governanti” sono tali perché voluti da quella logica che dovrebbe essere superata; la contraddizione si manifesta palesemente con questo governo consapevole di dover intervenire a supplire le carenze della logica della valorizzazione del capitale ma incapace di svincolarsi da una consolidata mentalità figlia di quella logica che dovrebbero modificare.
Rispondi

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 2 ospiti