Eresia centralista
Re: Eresia centralista
Grande gesto: Fiorito si è auto-sospeso dal partito.
Questi, oltre a rubare, ci prendono pure per i fondelli.
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Re: Eresia centralista
Riduciamo anche i compensi dei parlamentari, dei consiglieri regionali, comunali eccetera.
Basta oasi dorate, privilegi.
2-2500 euro di stipendio. Niente auto blu, benefit, sconti.
Al lavoro ci vai con mezzi tuoi o con i mezzi pubblici.
Vi sembra strana come proposta?
Beh, non l'abbiamo mai fatto. Proviamo. Facciamo una cosa nuova.
Basta oasi dorate, privilegi.
2-2500 euro di stipendio. Niente auto blu, benefit, sconti.
Al lavoro ci vai con mezzi tuoi o con i mezzi pubblici.
Vi sembra strana come proposta?
Beh, non l'abbiamo mai fatto. Proviamo. Facciamo una cosa nuova.
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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Re: Eresia centralista
Caldoro nomina la moglie nell’Osservatorio regionale della Campania
Pubblicato su 18 settembre 2012 da INFOSANNIO Lascia un commento
La famiglia, prima di tutto. Si sa l’Italia è un Paese dove certi valori contano. Così capita di imbattersi in un documento della Regione Campania dove il Governatore nomina la moglie in un Osservatorio regionale. Stefano Caldoro, esponente del Pdl e presidente della Campania dal marzo 2010, ha istituito nel maggio scorso un Osservatorio per la formazione medico specialistica per verificare lo standard di attività assistenziali dei medici in formazione specialistica, secondo i parametri europei.
Il gruppo di lavoro doveva essere composto da un presidente già preside di una Facoltà di Medicina e Chirurgia, sei professori universitari con le stesse competenze, tre rappresentanti di medici in formazione specialistica, sei dirigenti di strutture dove si svolge la formazione specialistica, un coordinatore dell’area generale di Coordinamento Piano sanitario Regionale, il dirigente del settore Aggiornamento e Formazione del personale sanitario della Giunta regionale della Campania. Tra i sei professori Caldoro ha scelto tutti nomi eccellenti del mondo universitario legato alla medicina. E uno di questi nomi è Annamaria Colao, che oltre a essere professore di Endocrinologia alla Federico II di Napoli è anche la moglie del presidente della Regione Campania. (ilportaborse.com)
Pubblicato su 18 settembre 2012 da INFOSANNIO Lascia un commento
La famiglia, prima di tutto. Si sa l’Italia è un Paese dove certi valori contano. Così capita di imbattersi in un documento della Regione Campania dove il Governatore nomina la moglie in un Osservatorio regionale. Stefano Caldoro, esponente del Pdl e presidente della Campania dal marzo 2010, ha istituito nel maggio scorso un Osservatorio per la formazione medico specialistica per verificare lo standard di attività assistenziali dei medici in formazione specialistica, secondo i parametri europei.
Il gruppo di lavoro doveva essere composto da un presidente già preside di una Facoltà di Medicina e Chirurgia, sei professori universitari con le stesse competenze, tre rappresentanti di medici in formazione specialistica, sei dirigenti di strutture dove si svolge la formazione specialistica, un coordinatore dell’area generale di Coordinamento Piano sanitario Regionale, il dirigente del settore Aggiornamento e Formazione del personale sanitario della Giunta regionale della Campania. Tra i sei professori Caldoro ha scelto tutti nomi eccellenti del mondo universitario legato alla medicina. E uno di questi nomi è Annamaria Colao, che oltre a essere professore di Endocrinologia alla Federico II di Napoli è anche la moglie del presidente della Regione Campania. (ilportaborse.com)
Re: Eresia centralista
CASO LAZIO
Trenta milioni in due anni
Ecco le cinque delibere scandalo
Il sacco inizia nella primavera 2010. La Polverini fa salire da uno a 5 milioni il fondo per i gruppi. È Maurizio Stracuzzi, capo del trattamento dei consiglieri, a chiedere di allargare la dote di 8,5 milioni
di CARLO BONINI e CORRADO ZUNINO
ROMA - Cinque delibere del presidente dell'Assemblea regionale del Lazio, Mario Abbruzzese, documentano che l'assalto alla diligenza che, in due anni e mezzo, ha consegnato 30 milioni di euro di denaro pubblico all'inesauribile appetito dei consiglieri della Pisana sotto le due voci "corretto funzionamento dei gruppi" e "rapporto tra elettore ed eletto", ha una paternità politica (la governatrice Renata Polverini, il suo assessore al bilancio Stefano Cetica e, appunto, Abbruzzese), una mano tecnica e una complicità silenziosa (con la lodevole eccezione dei radicali) di chi "chiedeva e riceveva" senza fare troppe domande.
Arrivano i "forchettoni"
Racconta Franco Fiorito a verbale che "il denaro arrivava a pioggia". Che "non controllava nessuno". Che la decisione di aprire ciclicamente la cuccagna era affare "nella sola discrezionalità di Abruzzese", suo compagno di partito. Nelle sue parole, sembra esserci una parte di verità. Ma solo una parte. La storia di questo sacco ha infatti una suo incipit: le elezioni regionali della primavera del 2010. La Polverini è il nuovo governatore e la variopinta maggioranza di centro-destra che transuma alla Regione ha come primo assillo quello di mettere mano alla cassa per rabboccare le tasche dei nuovi consiglieri prosciugate dalla campagna elettorale. La vecchia giunta Marrazzo ha infatti stanziato in bilancio per quell'anno "solo" 1 milione di euro destinato al "funzionamento dei gruppi". Non fosse altro perché il Paese sta entrando nella peggiore recessione della storia repubblicana. Troppo poco per l'appetito della nuova maggioranza. Al punto che, il 14 settembre, il nuovo presidente dell'Assemblea Abbruzzese quella cifra la quintuplica, facendo lievitare quel capitolo di bilancio, da 1 a 5,4 milioni di euro. Non è esattamente un atto da contabile. È un atto politico, che, come tale, ha l'avallo della Polverini e del suo potentissimo assessore al bilancio, Cetica. Ma che non merita più di una striminzita paginetta di giustificazioni. Nella delibera numero 90, si legge infatti che "l'integrazione del "contributo" ai gruppi si rende necessaria dal cambio di legislatura, dai sostanziali cambiamenti nel numero dei gruppi e nella loro consistenza". L'atto è firmato da Abruzzese e da Nazareno Cecinelli, segretario generale della Pisana, un tipo con la licenza liceale presa ai salesiani di Caserta, nato in provincia di Latina e cresciuto politicamente nella Destra, all'ombra del padre-padrone di quelle plaghe, Claudio Fazzone, ex poliziotto di Fondi diventato signore delle tessere e dei voti.
La "torta" lievita
La coppia Abbruzzese-Cecinelli è di nuovo al lavoro nel 2011. In gennaio, la Giunta decide di confermare in bilancio la previsione di spesa per il "funzionamento dei gruppi" già rimpinguata tre mesi prima. Dunque, 5 milioni e mezzo. Ma, neppure due mesi dopo, il 5 aprile, l'auto-elargizione deve apparire del tutto insufficiente. E, per tre volte, di lì a novembre, vengono dunque nuovamente messe la mani nella cassa. Tecnicamente si chiamano "variazioni di bilancio al capitolo 5". Di fatto, è un giochino contabile di vasi comunicanti, che vede svuotarsi altre voci del bilancio regionale a vantaggio del costo di "auto-sostentamento" della politica. Il 5 aprile, dunque, i 5,5 milioni iniziali vengono "integrati" con altri 3 (delibera 33). Il 19 luglio (delibera 86), di altri 3 ancora. L'8 novembre (delibera 72), di 2,5. Per una tombola finale di 14 milioni.
"Chiedete a Stracuzzi"
Le motivazioni dei tre provvedimenti sono fotocopia. Segnalano "una richiesta di fabbisogno", senza dettagliarne le ragioni. Spiegano che la sollecitazione ad allargare i cordoni della borsa di ben 8 milioni e mezzo arriva niente di meno che da tale "Signor Stracuzzi Maurizio, Responsabile della Funzione Strumentale del trattamento dei consiglieri". È lui, si legge nelle delibere, che non solo suona la campana che avvisa della "riserva" nel portafoglio della politica, ma, addirittura, ne quantifica "il fabbisogno". Che è un po' come dire che un cda di una Banca fa un aumento di capitale su segnalazione dell'addetto allo sportello per i correntisti.
Ma tant'è. Nessuno obietta. Tantomeno al momento di rendicontare il bilancio di quell'anno. Ascoltato due giorni fa dai militari del Nucleo Valutario, Abbruzzese, con disarmante candore, spiega infatti che in quel lavoro sul bilancio non c'è nulla di illegittimo. "Sia nel 2010, che nel 2011 - dice - la proposta di "variazione" è stata prima approvata dalla commissione bilancio della Regione (di cui, guarda caso, Fiorito era presidente ndr.) sia dall'Organismo di controllo, il Co. re. co. co, sia dal Consiglio in fase di voto di approvazione del rendiconto consuntivo del bilancio con legge regionale". Semplice, insomma. Prima ci si auto-certifica un "fabbisogno aggiuntivo". Quindi lo si accolla in testa a un funzionario (il signor Stracuzzi Maurizio) e alla fine lo si legittima con il voto dell'aula.
"Ho preso, ma ora restituisco"
Una volta distribuita da Abbruzzese, la cuccagna diventa affare "privato" di ogni gruppo. Nel Pdl - come racconta lui stesso a verbale - lo stile della casa lo detta Fiorito. La "stecca para" ritagliata dal contributo ai gruppi prevede 100 mila euro netti l'anno a consigliere. Ma per lui è triplicata. Tocca i 300 mila netti. Perché - si giustifica - "sono consigliere, capogruppo e presidente di commissione". Per una busta paga che si muove così sui 35 mila netti al mese, con picchi che superano i 40. Attraverso il suo avvocato Carlo Taormina, dice ora Fiorito che parte di quei soldi - 400 mila euro, secondo il calcolo che ne ha fatto - è pronto a restituirli. A farli confluire su un conto che la Procura o la Guardia di Finanza gli indicheranno. Non è al contrario dato sapere cosa faranno gli altri consiglieri del Pdl.
"Richiedo e ricevo"
Per quel che Fiorito ha riferito a verbale, la quota dei consiglieri Pdl da 100 mila netti annui "veniva versata con cadenze di 25 mila euro a trimestre. Anche se poi qualcuno li finiva prima". Mentre la quota di 4.190 euro (da ieri dimezzata) alla voce "mantenimento del rapporto tra elettore ed eletto" veniva elargita mensilmente. Portando così la retribuzione media di un consigliere Pdl intorno ai 20, 25 mila euro netti al mese (senza contare i rimborsi chilometrici di chi alla Pisana arrivava in auto propria, come la Nobili, che faceva Roma-Rieti in Porsche). Per molti, non c'era neppure l'obbligo di giustificare una parte di quell'importo che pure ricevevano quale "anticipo" di spese ancora da sostenere. Era sufficiente un'autodichiarazione su un qualunque foglio: "Richiedo e ricevo per attività svolte sul territorio".
11.598 euro non possono bastare
Certo, nella notte della Pisana, non tutti i gatti sono stati necessariamente neri. Perché pur godendo della stessa manna, qualcuno, come il Pd e Sel, ha quantomeno stabilito regole di trasparenza sull'accesso ai rendiconti delle spese. I Verdi hanno rinunciato al rimborso chilometrico. I radicali di Emma Bonino non hanno giustamente smesso mai di strillare. Certo, la Polverini non deve averli mai sentiti in questi anni. A maggior ragione quando impose l'emendamento che riconosceva ai 14 assessori un vitalizio che assicurerà all'uomo a lei più vicino, Cetica, una vita libera da angustie quando lascerà la Regione. Anche se - è notizia che la governatrice ha voluto ieri rendere pubblica - lei, che "campa del solo stipendio da consigliere e Presidente della giunta", pare non arrivi a fine mese. "Ho il conto sempre in rosso", ha spiegato compiaciuta. Con gli 11.598 euro netti che prende ogni 27 in busta (cui vanno aggiunti i 100 mila annui da consigliere e i 4 mila 190 mensili per il rapporto "eletto-elettore") evidentemente non ce la si fa.
(22 settembre 2012)
http://www.repubblica.it/politica/2012/ ... ef=HRER1-1
Trenta milioni in due anni
Ecco le cinque delibere scandalo
Il sacco inizia nella primavera 2010. La Polverini fa salire da uno a 5 milioni il fondo per i gruppi. È Maurizio Stracuzzi, capo del trattamento dei consiglieri, a chiedere di allargare la dote di 8,5 milioni
di CARLO BONINI e CORRADO ZUNINO
ROMA - Cinque delibere del presidente dell'Assemblea regionale del Lazio, Mario Abbruzzese, documentano che l'assalto alla diligenza che, in due anni e mezzo, ha consegnato 30 milioni di euro di denaro pubblico all'inesauribile appetito dei consiglieri della Pisana sotto le due voci "corretto funzionamento dei gruppi" e "rapporto tra elettore ed eletto", ha una paternità politica (la governatrice Renata Polverini, il suo assessore al bilancio Stefano Cetica e, appunto, Abbruzzese), una mano tecnica e una complicità silenziosa (con la lodevole eccezione dei radicali) di chi "chiedeva e riceveva" senza fare troppe domande.
Arrivano i "forchettoni"
Racconta Franco Fiorito a verbale che "il denaro arrivava a pioggia". Che "non controllava nessuno". Che la decisione di aprire ciclicamente la cuccagna era affare "nella sola discrezionalità di Abruzzese", suo compagno di partito. Nelle sue parole, sembra esserci una parte di verità. Ma solo una parte. La storia di questo sacco ha infatti una suo incipit: le elezioni regionali della primavera del 2010. La Polverini è il nuovo governatore e la variopinta maggioranza di centro-destra che transuma alla Regione ha come primo assillo quello di mettere mano alla cassa per rabboccare le tasche dei nuovi consiglieri prosciugate dalla campagna elettorale. La vecchia giunta Marrazzo ha infatti stanziato in bilancio per quell'anno "solo" 1 milione di euro destinato al "funzionamento dei gruppi". Non fosse altro perché il Paese sta entrando nella peggiore recessione della storia repubblicana. Troppo poco per l'appetito della nuova maggioranza. Al punto che, il 14 settembre, il nuovo presidente dell'Assemblea Abbruzzese quella cifra la quintuplica, facendo lievitare quel capitolo di bilancio, da 1 a 5,4 milioni di euro. Non è esattamente un atto da contabile. È un atto politico, che, come tale, ha l'avallo della Polverini e del suo potentissimo assessore al bilancio, Cetica. Ma che non merita più di una striminzita paginetta di giustificazioni. Nella delibera numero 90, si legge infatti che "l'integrazione del "contributo" ai gruppi si rende necessaria dal cambio di legislatura, dai sostanziali cambiamenti nel numero dei gruppi e nella loro consistenza". L'atto è firmato da Abruzzese e da Nazareno Cecinelli, segretario generale della Pisana, un tipo con la licenza liceale presa ai salesiani di Caserta, nato in provincia di Latina e cresciuto politicamente nella Destra, all'ombra del padre-padrone di quelle plaghe, Claudio Fazzone, ex poliziotto di Fondi diventato signore delle tessere e dei voti.
La "torta" lievita
La coppia Abbruzzese-Cecinelli è di nuovo al lavoro nel 2011. In gennaio, la Giunta decide di confermare in bilancio la previsione di spesa per il "funzionamento dei gruppi" già rimpinguata tre mesi prima. Dunque, 5 milioni e mezzo. Ma, neppure due mesi dopo, il 5 aprile, l'auto-elargizione deve apparire del tutto insufficiente. E, per tre volte, di lì a novembre, vengono dunque nuovamente messe la mani nella cassa. Tecnicamente si chiamano "variazioni di bilancio al capitolo 5". Di fatto, è un giochino contabile di vasi comunicanti, che vede svuotarsi altre voci del bilancio regionale a vantaggio del costo di "auto-sostentamento" della politica. Il 5 aprile, dunque, i 5,5 milioni iniziali vengono "integrati" con altri 3 (delibera 33). Il 19 luglio (delibera 86), di altri 3 ancora. L'8 novembre (delibera 72), di 2,5. Per una tombola finale di 14 milioni.
"Chiedete a Stracuzzi"
Le motivazioni dei tre provvedimenti sono fotocopia. Segnalano "una richiesta di fabbisogno", senza dettagliarne le ragioni. Spiegano che la sollecitazione ad allargare i cordoni della borsa di ben 8 milioni e mezzo arriva niente di meno che da tale "Signor Stracuzzi Maurizio, Responsabile della Funzione Strumentale del trattamento dei consiglieri". È lui, si legge nelle delibere, che non solo suona la campana che avvisa della "riserva" nel portafoglio della politica, ma, addirittura, ne quantifica "il fabbisogno". Che è un po' come dire che un cda di una Banca fa un aumento di capitale su segnalazione dell'addetto allo sportello per i correntisti.
Ma tant'è. Nessuno obietta. Tantomeno al momento di rendicontare il bilancio di quell'anno. Ascoltato due giorni fa dai militari del Nucleo Valutario, Abbruzzese, con disarmante candore, spiega infatti che in quel lavoro sul bilancio non c'è nulla di illegittimo. "Sia nel 2010, che nel 2011 - dice - la proposta di "variazione" è stata prima approvata dalla commissione bilancio della Regione (di cui, guarda caso, Fiorito era presidente ndr.) sia dall'Organismo di controllo, il Co. re. co. co, sia dal Consiglio in fase di voto di approvazione del rendiconto consuntivo del bilancio con legge regionale". Semplice, insomma. Prima ci si auto-certifica un "fabbisogno aggiuntivo". Quindi lo si accolla in testa a un funzionario (il signor Stracuzzi Maurizio) e alla fine lo si legittima con il voto dell'aula.
"Ho preso, ma ora restituisco"
Una volta distribuita da Abbruzzese, la cuccagna diventa affare "privato" di ogni gruppo. Nel Pdl - come racconta lui stesso a verbale - lo stile della casa lo detta Fiorito. La "stecca para" ritagliata dal contributo ai gruppi prevede 100 mila euro netti l'anno a consigliere. Ma per lui è triplicata. Tocca i 300 mila netti. Perché - si giustifica - "sono consigliere, capogruppo e presidente di commissione". Per una busta paga che si muove così sui 35 mila netti al mese, con picchi che superano i 40. Attraverso il suo avvocato Carlo Taormina, dice ora Fiorito che parte di quei soldi - 400 mila euro, secondo il calcolo che ne ha fatto - è pronto a restituirli. A farli confluire su un conto che la Procura o la Guardia di Finanza gli indicheranno. Non è al contrario dato sapere cosa faranno gli altri consiglieri del Pdl.
"Richiedo e ricevo"
Per quel che Fiorito ha riferito a verbale, la quota dei consiglieri Pdl da 100 mila netti annui "veniva versata con cadenze di 25 mila euro a trimestre. Anche se poi qualcuno li finiva prima". Mentre la quota di 4.190 euro (da ieri dimezzata) alla voce "mantenimento del rapporto tra elettore ed eletto" veniva elargita mensilmente. Portando così la retribuzione media di un consigliere Pdl intorno ai 20, 25 mila euro netti al mese (senza contare i rimborsi chilometrici di chi alla Pisana arrivava in auto propria, come la Nobili, che faceva Roma-Rieti in Porsche). Per molti, non c'era neppure l'obbligo di giustificare una parte di quell'importo che pure ricevevano quale "anticipo" di spese ancora da sostenere. Era sufficiente un'autodichiarazione su un qualunque foglio: "Richiedo e ricevo per attività svolte sul territorio".
11.598 euro non possono bastare
Certo, nella notte della Pisana, non tutti i gatti sono stati necessariamente neri. Perché pur godendo della stessa manna, qualcuno, come il Pd e Sel, ha quantomeno stabilito regole di trasparenza sull'accesso ai rendiconti delle spese. I Verdi hanno rinunciato al rimborso chilometrico. I radicali di Emma Bonino non hanno giustamente smesso mai di strillare. Certo, la Polverini non deve averli mai sentiti in questi anni. A maggior ragione quando impose l'emendamento che riconosceva ai 14 assessori un vitalizio che assicurerà all'uomo a lei più vicino, Cetica, una vita libera da angustie quando lascerà la Regione. Anche se - è notizia che la governatrice ha voluto ieri rendere pubblica - lei, che "campa del solo stipendio da consigliere e Presidente della giunta", pare non arrivi a fine mese. "Ho il conto sempre in rosso", ha spiegato compiaciuta. Con gli 11.598 euro netti che prende ogni 27 in busta (cui vanno aggiunti i 100 mila annui da consigliere e i 4 mila 190 mensili per il rapporto "eletto-elettore") evidentemente non ce la si fa.
(22 settembre 2012)
http://www.repubblica.it/politica/2012/ ... ef=HRER1-1
Re: Eresia centralista
Lazio, Onida: “Per governo possibile mettere un tetto a spese consiglieri”
L'ex presidente della Corte Costituzionale spiega che è possibile per l'esecutivo "fissare un limite" con una legge, anche un decreto, che poi passerebbe al vaglio del Parlamento
di Giovanna Trinchella | 24 settembre 2012
Lo scandalo dei fondi “incassati” dai consiglieri regionali Pdl del Lazio finiti in cene e spese folli impone la riflessione su quali margini abbia, a questo punto, il governo Monti per intervenire. Il titolo V della Costituzione italiana è chiaro sulla potestà legislativa di Stato e Regioni, ma per il professor Valerio Onida, costituzionalista e presidente emerito della Corte Costituzionale, è possibile per il governo “fissare un tetto di spesa per i consiglieri regionali” con una legge, anche un decreto, che deve passare comunque per il Parlamento e stabilire un limite. Lo Stato centrale non potrebbe decidere quale deve essere l’indennità - che compete ai consigli regionali – ma può innalzare un muro oltre quale sarebbe impossibile andare. Una facoltà propria della potestà legislativa in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali. Ma un tale intervento legislativo sarebbe impugnabile? “Naturalmente sì – spiega al fattoquotidiano.it- come ci si può opporre a tutti provvedimenti e in tutti i casi”.
Il giurista però sostiene che era possibile “scoprire tutto questo prima che lo facesse la Procura di Roma” se gli “organi di informazione fossero stati più attenti. Credo che i rendonconti fossero accessibili, quindi vanno rimproverati i mezzi di informazione: dove eravate?”. Anche se è soprattutto la politica a finire sotto accusa: “E’ ridicolo che questi fondi – ragiona il docente di Diritto Costituzionale – abbiano una destinazione indeterminata. Ha visto i rendiconti?”, chiede Onida riferendosi ai pochi fogli che venivano riempiti dai consiglieri con cifre e giustificazioni generiche. E così i singoli consiglieri hanno speso per ristoranti e caffè fino a 22 mila euro in un anno.
“Questi finanziamenti devono essere destinati ai gruppi consiliari, alla loro organizzazione e al loro funzionamento. E’ una cosa da ridere – argomenta l’ex presidente della Corte Costituzionale – che ci siano gruppi formati da una sola persona”. Certo è che i tanti gruppi rispecchiamo il “frazionamento” dei partiti, ma questo non deve giustificare gli sprechi: “I consiglieri - sostiene – hanno diritto solo all’indennità”. Il resto, insomma, sono spese fuorilegge. Secondo Onida non c’è “nessuna giustificazione a quello che è successo. Non dovrebbero esistere queste spese, i singoli in quanto tali non devono avere i finanziamenti”. Sono, bisogna ricordarlo, soldi pubblici.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/09 ... le/361823/
L'ex presidente della Corte Costituzionale spiega che è possibile per l'esecutivo "fissare un limite" con una legge, anche un decreto, che poi passerebbe al vaglio del Parlamento
di Giovanna Trinchella | 24 settembre 2012
Lo scandalo dei fondi “incassati” dai consiglieri regionali Pdl del Lazio finiti in cene e spese folli impone la riflessione su quali margini abbia, a questo punto, il governo Monti per intervenire. Il titolo V della Costituzione italiana è chiaro sulla potestà legislativa di Stato e Regioni, ma per il professor Valerio Onida, costituzionalista e presidente emerito della Corte Costituzionale, è possibile per il governo “fissare un tetto di spesa per i consiglieri regionali” con una legge, anche un decreto, che deve passare comunque per il Parlamento e stabilire un limite. Lo Stato centrale non potrebbe decidere quale deve essere l’indennità - che compete ai consigli regionali – ma può innalzare un muro oltre quale sarebbe impossibile andare. Una facoltà propria della potestà legislativa in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali. Ma un tale intervento legislativo sarebbe impugnabile? “Naturalmente sì – spiega al fattoquotidiano.it- come ci si può opporre a tutti provvedimenti e in tutti i casi”.
Il giurista però sostiene che era possibile “scoprire tutto questo prima che lo facesse la Procura di Roma” se gli “organi di informazione fossero stati più attenti. Credo che i rendonconti fossero accessibili, quindi vanno rimproverati i mezzi di informazione: dove eravate?”. Anche se è soprattutto la politica a finire sotto accusa: “E’ ridicolo che questi fondi – ragiona il docente di Diritto Costituzionale – abbiano una destinazione indeterminata. Ha visto i rendiconti?”, chiede Onida riferendosi ai pochi fogli che venivano riempiti dai consiglieri con cifre e giustificazioni generiche. E così i singoli consiglieri hanno speso per ristoranti e caffè fino a 22 mila euro in un anno.
“Questi finanziamenti devono essere destinati ai gruppi consiliari, alla loro organizzazione e al loro funzionamento. E’ una cosa da ridere – argomenta l’ex presidente della Corte Costituzionale – che ci siano gruppi formati da una sola persona”. Certo è che i tanti gruppi rispecchiamo il “frazionamento” dei partiti, ma questo non deve giustificare gli sprechi: “I consiglieri - sostiene – hanno diritto solo all’indennità”. Il resto, insomma, sono spese fuorilegge. Secondo Onida non c’è “nessuna giustificazione a quello che è successo. Non dovrebbero esistere queste spese, i singoli in quanto tali non devono avere i finanziamenti”. Sono, bisogna ricordarlo, soldi pubblici.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/09 ... le/361823/
Re: Eresia centralista
Ma questo dove vive? Di fronte ad una drammatica situazione di disastri, ruberie, sprechi, parla di "difetti del Titolo V" ai quali apportare un'aggiustatina!
Un altro disastro di cui non si parla e di cui il c-s porta la responsabilità, è la riforma Bassanini, che ha privatizzato interi settori pubblici, portando alla proliferazione delle società a partecipazione degli enti locali, fonte di privilegi e mala politica.
INTERVENTO DI PIER LUIGI BERSANI SUL SOLE 24 ORE
I difetti del Titolo V
28 settembre 2012
Caro Direttore, ho apprezzato il suo editoriale di ieri. Il tema di un riassetto delle autonomie in Italia c'è tutto. Non c'è dubbio che sotto l'offensiva culturale e politica della Lega degli anni 90 in favore del secessionismo, ci sia stata una iniziativa legislativa, anche da parte del centro-sinistra.
Questa iniziativa ha avuto aspetti positivi da non dimenticare, ma anche aspetti non coerenti, e talvolta anche scomposti, in materia di decentramento.
La riforma del Titolo V ha avuto almeno un paio di difetti. Innanzitutto non ha fissato un equilibrio bilanciato tra le responsabilità delle autonomie e il ruolo dello Stato. Sono stati sovrapposti poteri e competenze ed è esplosa la legislazione concorrente, rendendo difficile la vita a cittadini e imprese, aumentando costi e inefficienze, intasando di contenziosi la Corte costituzionale.
Gran parte di questi problemi sono stati il frutto di una attribuzione delle varie competenze più in una chiave giuridica che nella consapevolezza della realtà organizzativa delle singole materie. Faccio solo l'esempio dell'energia: vedendo come sono state ripartite le competenze si capisce bene che chi ha fatto la riforma non sapeva come funzionano i fili elettrici.
Il secondo difetto del Titolo V è stato nella mancanza di una visione e di un disegno organico di riforma. Non si è visto che il sistema doveva avere una coerenza d'insieme.
L'Italia oggi ha più di ottomila Comuni, un livello amministrativo intermedio da ripensare radicalmente, le aree metropolitane da interpretare, mentre continua a mancare una Camera delle autonomie. In questo ambito le Regioni hanno finito spesso per riproporre una centralizzazione a livello periferico, hanno acquisito un ruolo troppo esclusivamente gestionale, hanno in diversi casi smarrito la strada di un corretto ed equilibrato rapporto tra presidenti e Consigli regionali. Un fattore, quest'ultimo, esemplificato da quella definizione orribile di governatore attribuita nel linguaggio comune al presidente della Regione. Io mi sarei offeso se mi avessero chiamato governatore.
La nostra proposta, allora, è di mettere mano a una riforma organica dell'intero sistema nel quadro della revisione della seconda parte della Costituzione. Stavolta però in modo effettivo ed esigibile. All'inizio della prossima legislatura bisogna dar vita a uno strumento di rango costituzionale che abbia come suo obiettivo l'elaborazione di un disegno complessivo di riforma, che intervenga su tutti i livelli di governo.
Mentre si lavora a questo intervento complessivo, intanto, è possibile anche una ricerca di efficienza e di razionalizzazione più immediata. Ho apprezzato il segnale che hanno voluto dare ieri le Regioni in termini di sobrietà della politica, con proposte concrete di taglio dei costi e di semplificazione. È una strada che va percorsa subito e con decisione, utilizzando anche gli strumenti a disposizione del governo.
Un ultimo punto: il riassetto più complessivo del sistema delle autonomie non deve tradursi in una nuova centralizzazione. Il pendolo non deve passare da un estremo all'altro. Serve una riforma razionale che ricerchi l'efficienza in un giusto equilibrio. Non possiamo lasciare il centro impotente davanti ad evidenti segnali di scollatura che arrivano dalla periferia, ma non possiamo neppure dare compiti gestionali al centro. Il centro deve poter stimolare, e se necessario arrivare ad imporre, le migliori pratiche regionali, svolgendo un ruolo di supporto per far fare passi in avanti al sistema.
Si prenda la Sanità. Nel complesso quella italiana, pur con tutti i problemi, è considerata tra le migliori nel mondo, tenuto conto del rapporto tra costi e benefici. Però c'è una profonda distanza nella qualità dei servizi tra le diverse Regioni. Il ruolo del centro qui non può certo essere quello di gestire gli ospedali da Roma, ma deve poter intervenire per garantire che tutti i cittadini italiani godano dei migliori servizi e delle migliori pratiche già sperimentate in molte aree del Paese. Quello che vale per la sanità, deve valere per qualunque altra materia. Servono risposte funzionali settore per settore. Perciò la prossima volta, quando si rimetterà mano a tutto questo, chiameremo sì i giuristi a dare una mano, ma dovranno dire la loro anche gli esperti di ogni singola materia. E dalla nostra capacità di ascoltarli dipenderà l'efficacia di una revisione profonda che deve avere il cittadino e l'impresa al centro delle nostre preoccupazioni.
Fonte Il sole 24 Ore
Un altro disastro di cui non si parla e di cui il c-s porta la responsabilità, è la riforma Bassanini, che ha privatizzato interi settori pubblici, portando alla proliferazione delle società a partecipazione degli enti locali, fonte di privilegi e mala politica.
INTERVENTO DI PIER LUIGI BERSANI SUL SOLE 24 ORE
I difetti del Titolo V
28 settembre 2012
Caro Direttore, ho apprezzato il suo editoriale di ieri. Il tema di un riassetto delle autonomie in Italia c'è tutto. Non c'è dubbio che sotto l'offensiva culturale e politica della Lega degli anni 90 in favore del secessionismo, ci sia stata una iniziativa legislativa, anche da parte del centro-sinistra.
Questa iniziativa ha avuto aspetti positivi da non dimenticare, ma anche aspetti non coerenti, e talvolta anche scomposti, in materia di decentramento.
La riforma del Titolo V ha avuto almeno un paio di difetti. Innanzitutto non ha fissato un equilibrio bilanciato tra le responsabilità delle autonomie e il ruolo dello Stato. Sono stati sovrapposti poteri e competenze ed è esplosa la legislazione concorrente, rendendo difficile la vita a cittadini e imprese, aumentando costi e inefficienze, intasando di contenziosi la Corte costituzionale.
Gran parte di questi problemi sono stati il frutto di una attribuzione delle varie competenze più in una chiave giuridica che nella consapevolezza della realtà organizzativa delle singole materie. Faccio solo l'esempio dell'energia: vedendo come sono state ripartite le competenze si capisce bene che chi ha fatto la riforma non sapeva come funzionano i fili elettrici.
Il secondo difetto del Titolo V è stato nella mancanza di una visione e di un disegno organico di riforma. Non si è visto che il sistema doveva avere una coerenza d'insieme.
L'Italia oggi ha più di ottomila Comuni, un livello amministrativo intermedio da ripensare radicalmente, le aree metropolitane da interpretare, mentre continua a mancare una Camera delle autonomie. In questo ambito le Regioni hanno finito spesso per riproporre una centralizzazione a livello periferico, hanno acquisito un ruolo troppo esclusivamente gestionale, hanno in diversi casi smarrito la strada di un corretto ed equilibrato rapporto tra presidenti e Consigli regionali. Un fattore, quest'ultimo, esemplificato da quella definizione orribile di governatore attribuita nel linguaggio comune al presidente della Regione. Io mi sarei offeso se mi avessero chiamato governatore.
La nostra proposta, allora, è di mettere mano a una riforma organica dell'intero sistema nel quadro della revisione della seconda parte della Costituzione. Stavolta però in modo effettivo ed esigibile. All'inizio della prossima legislatura bisogna dar vita a uno strumento di rango costituzionale che abbia come suo obiettivo l'elaborazione di un disegno complessivo di riforma, che intervenga su tutti i livelli di governo.
Mentre si lavora a questo intervento complessivo, intanto, è possibile anche una ricerca di efficienza e di razionalizzazione più immediata. Ho apprezzato il segnale che hanno voluto dare ieri le Regioni in termini di sobrietà della politica, con proposte concrete di taglio dei costi e di semplificazione. È una strada che va percorsa subito e con decisione, utilizzando anche gli strumenti a disposizione del governo.
Un ultimo punto: il riassetto più complessivo del sistema delle autonomie non deve tradursi in una nuova centralizzazione. Il pendolo non deve passare da un estremo all'altro. Serve una riforma razionale che ricerchi l'efficienza in un giusto equilibrio. Non possiamo lasciare il centro impotente davanti ad evidenti segnali di scollatura che arrivano dalla periferia, ma non possiamo neppure dare compiti gestionali al centro. Il centro deve poter stimolare, e se necessario arrivare ad imporre, le migliori pratiche regionali, svolgendo un ruolo di supporto per far fare passi in avanti al sistema.
Si prenda la Sanità. Nel complesso quella italiana, pur con tutti i problemi, è considerata tra le migliori nel mondo, tenuto conto del rapporto tra costi e benefici. Però c'è una profonda distanza nella qualità dei servizi tra le diverse Regioni. Il ruolo del centro qui non può certo essere quello di gestire gli ospedali da Roma, ma deve poter intervenire per garantire che tutti i cittadini italiani godano dei migliori servizi e delle migliori pratiche già sperimentate in molte aree del Paese. Quello che vale per la sanità, deve valere per qualunque altra materia. Servono risposte funzionali settore per settore. Perciò la prossima volta, quando si rimetterà mano a tutto questo, chiameremo sì i giuristi a dare una mano, ma dovranno dire la loro anche gli esperti di ogni singola materia. E dalla nostra capacità di ascoltarli dipenderà l'efficacia di una revisione profonda che deve avere il cittadino e l'impresa al centro delle nostre preoccupazioni.
Fonte Il sole 24 Ore
Re: Eresia centralista
Nicola Zingaretti
Le Regioni fabbriche di posti (e di sprechi). Sono quasi 400 le società partecipate, con circa diecimila dipendenti. Sono costose e, spesso, con i conti in ‘rosso’. Per questo nel Lazio è urgente cambiare e riportare una gestione attenta e trasparente
Bisogna iniziare da una drastica riduzione di enti e sottoenti, di consigli di amministrazione e consulenti.
E poi lavorare per portare innovazione, che permette di ridurre le spese e migliorare la qualità dei servizi
Le Regioni fabbriche di posti (e di sprechi). Sono quasi 400 le società partecipate, con circa diecimila dipendenti. Sono costose e, spesso, con i conti in ‘rosso’. Per questo nel Lazio è urgente cambiare e riportare una gestione attenta e trasparente
Bisogna iniziare da una drastica riduzione di enti e sottoenti, di consigli di amministrazione e consulenti.
E poi lavorare per portare innovazione, che permette di ridurre le spese e migliorare la qualità dei servizi
Re: Eresia centralista
Sembra un bollettino di guerra.
Regioni, la metà dei governatori è indagata. Spese folli non solo in Lazio
Da Formigoni a Lombardo, passando per Vendola: sono dieci i presidenti messi sotto accusa dalla magistratura. E nove consigli regionali sono al centro di inchieste su rimborsi elettorali, nomine e sprechi per milioni di euro
di Thomas Mackinson | 19 ottobre 2012
Nove regioni nel mirino delle procure e della Guardia di Finanza, dieci governatori su venti sotto indagine. E per alcuni di loro l’agenda si complica: il calendario dei comizi elettorali dovrà far pace con quello delle udienze nelle aule di giustizia. Succede a Vendola come a Lombardo, mentre le inchieste sui rimborsi dei consiglieri dilagano da un capoluogo all’altro. Il “caso Lazio” è arrivato infatti anche in Piemonte, Emilia Romagna e Sicilia, altrove era già iniziato o sta per partire.
Nel 2009, tre anni prima che Fiorito finisse in prima pagina, in Sardegna e Basilicata gli inquirenti muovevano i primi passi. Il pm di Potenza John Woodcock indagava sui rimborsi dei consiglieri regionali. Allora era una storia tutta da scrivere, sembrava un’inchiesta meno interessante di “vallettopoli”, Corona, erede Savoia e appalti truccati. Tre anni dopo, invece, è esplosa in modo dirompente su scala nazionale e viene paragonata a Tangentopoli. E non è ancora finita. In Calabria e Veneto la magistratura non ha aperto inchieste, ma sui giornali sono già cominciate le polemiche su come sono stati spesi i soldi destinati ai rimborsi dei gruppi consiliari. E intanto la giustizia si occupa anche dei presidenti falcidiati dalle inchieste.
Occhi puntati su Bari. Nichi Vendola affronterà un’udienza delicatissima per la sua corsa alle primarie. Ma è in un’aula di giustizia di Catania che si celebra il paradosso più forte della nuova stagione di scandali: il 28 ottobre si vota per il rinnovo della giunta e due giorno dopo parte il processo per voto di scambio con aggravante mafiosa al presidente Raffaele Lombardo. Il governatore della Sicilia, vista l’aria che tira, ha deciso di mandare avanti il figlio Tito.
SARDEGNA: SI INDAGA DAL 2009. CAPPELLACCI (PDL) RISCHIA DUE VOLTE
Tre anni prima del Laziogate la Procura di Cagliari aveva messo nel mirino il consiglio regionale della Sardegna e a fine settembre ha chiesto il rinvio a giudizio 19 consiglieri con l’accusa di peculato. Sono accusati di aver utilizzato come paghetta mensile i 2.500 euro assegnati a titolo di rimborso durante la legislatura 2004-2009, quando era presidente Renato Soru. Il Gup deciderà il 24 ottobre se mandarli tutti a processo per peculato.
Ma anche l’attuale presidenza ha i suoi problemi con la giustizia. Ugo Cappellacci (Pdl) se la deve vedere con un doppio rinvio a giudizio. Il primo è quello disposto il 15 giugno dalla Procura di Cagliari per il crac della Sept che dirigeva in qualità di amministratore delegato. La società è fallita nel 2010 con un passivo accertato di circa due milioni di euro. L’accusa è di bancarotta fraudolenta. Il 3 gennaio 2012 la Procura di Roma ha poi rinviato a giudizio Cappellacci insieme ad altre 20 persone, tra le quali il coordinatore del Pdl Denis Verdini, Marcello Dell’Utri e l’imprenditore Flavio Carboni, nell’inchiesta sulla P3 e sull’eolico in Sardegna. A Cappellacci viene contestato l’abuso d’ufficio per la nomina di Ignazio Farris all’Agenzia regionale per l’ambiente della Sardegna, nomina che secondo l’accusa sarebbe stata funzionale al sistema di condizionamento politico-economico degli organi istituzionali e costituzionali dello Stato.
SICILIA, IL DIMISSIONARIO LOMBARDO
La Procura di Palermo ha aperto a fine settembre un fascicolo senza indagati e ipotesi di reato anche in Sicilia. L’inchiesta è un calco di quella laziale e riguarda l’uso dei rimborsi dei gruppi dell’Ars. Si aspettano sorprese, anche per la “dote” dei consiglieri che è addirittura superiore a quella dei colleghi della Pisana (14 milioni di euro contro 12,65). Ma la Sicilia ha anche un altro problema perché a poche settimane dalle elezioni si è svolta l’udienza preliminare del processo che vede imputato il governatore Raffaele Lombardo (Mpa) e il fratello Angelo, accusati di reato elettorale aggravato dall’aver favorito l’associazione mafiosa. L’inchiesta è uno stralcio dell’operazione Iblis scattata il 3 novembre del 2010 con decine di arresti tra esponenti di spicco della mafia di Catania, imprenditori e uomini politici. Indagati per concorso esterno, la posizione sui fratelli Lombardo crea una diversificazione di vedute nella Procura ma alla fine il Gip Luigi Barone dispone l’imputazione coatta e il 26 settembre è stata depositata la richiesta di rinvio a giudizio. Lombardo ha optato per il rito abbreviato e la prima udienza si terrà il 30 ottobre, due giorni dopo il voto. Intanto è polemica sull’assunzione a fine mandato di un direttore del Consorzio autostrade siciliane (Cas) con contratto quinquennale da dirigente generale che costerà tra 700 mila e un milione di euro.
PUGLIA: VENDOLA (SEL) E L’INCOGNITA SULLE PRIMARIE
Non si ha notizia di blitz della Finanza in Regione Puglia dove i gruppi consiliari hanno messo a disposizione i rendiconti (aggregati), ma la dotazione è decisamente inferiore a quelle di altre regioni (5,3 milioni all’anno di rimborsi). Ma a Bari si guarda con trepidazione alla doppietta giudiziaria che grava sul leader di Sel Nichi Vendola, candidato alla primarie del centrosinistra. Entrambi i procedimenti sono all’udienza preliminare ma il primo potrebbe avere conseguenze politiche. Il 24 ottobre si terrà infatti l’udienza chiave per la vicenda che vede Vendola rinviato a giudizio per peculato, falso e abuso d’ufficio per la nomina a primario di Paolo Sardelli, responsabile del reparto di chirurgia toracica all’ospedale San Paolo di Bari. Ad accusarlo è l’ex dirigente dell’Asl di Bari, Lea Cosentino, la quale fu sollevata dal suo incarico dal governatore pugliese. Oggi tocca al Gup titolare dell’inchiesta sul senatore Tedesco decidere se accorpare i procedimenti come chiede “Lady Asl” (quello a carico di Vendola ne è uno stralcio).
In attesa che il processo venga celebrato, Vendola ha messo le mani avanti: “Se sarò condannato, è chiaro che mi ritirerò dalle primarie. Vado a giudizio con rito abbreviato chiesto da me, e lo faccio con la coscienza totalmente serena”. A questo punto, se la richiesta venisse accolta, i tempi si allungherebbero e per il leader di Sel sarà difficile presentarsi alle primarie del 25 novembre prosciolto da ogni addebito. Del resto a suo carico c’è un secondo avviso di garanzia che riguarda una transazione di 45 milioni di euro non conclusa tra Regione Puglia e l’ospedale “ecclesiastico” Miulli.
CAMPANIA: CALDORO NEL MIRINO
Il 21 settembre la Guardia di Finanza ha sequestrato tutta la documentazione sui rimborsi nel periodo 2008-2012 dalla sede della Regione Campania. Secondo i magistrati potrebbero esserci state irregolarità sia in questa che nella precedente legislatura. Indagato il capogruppo dell’Udeur Ugo De Flaviis, oggi in maggioranza col Pdl e prima assessore all’Ambiente nella prima giunta Bassolino. L’accusa per lui è di corruzione e abuso d’ufficio. Nel mirino degli inquirenti, l’assunzione della ex cognata del politico in una società informatica che ha avuto rapporti con la pubblica amministrazione. Anche il governatore Stefano Caldoro ha i suoi guai. Un anno fa veniva indagato nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Napoli sui rischi per la salute pubblica determinati dalla mancata raccolta dei rifiuti. Nell’inchiesta del procuratore aggiunto Francesco Greco e del pm Francesco Curcio si contestano al presidente della giunta campana la mancata attivazione di discariche in altre province per fronteggiare l’emergenza. Sotto accusa anche le nomine facili tra le quali spicca la moglie Annamaria Colao all’Osservatorio regionale sulla salute.
PIEMONTE: SOTTO LA LENTE ANCHE I RIMBORSI DI COTA
Il blitz delle Fiamme Gialle a Palazzo Lascaris fa tremare il consiglio regionale del Piemonte il 28 settembre. Tutto parte da una settimana bianca. La procura torinese è stata messa sulla pista dalle dichiarazioni del parlamentare Pdl Roberto Rosso a proposito dell’abitudine “consolidata” dei consiglieri regionali di far “figurare di essere missione e incassare la relativa indennità”. Immediate le polemiche sui media che hanno subito parlato di “sistema Piemonte”. I rimborsi sospetti ammontano a circa 3,5 milioni di euro. Le verifiche cadono su tutti, compreso il presidente Roberto Cota che nel 2011 ha incassato 17.931 euro di rimborsi, oltre allo stipendio. Da tempo l’opposizione lamenta che il suo reale domicilio sia a Milano, dove risiedono la moglie magistrato e la figlia. Del resto il sistema di controlli era praticamente inesistente, con rimborsi “sulla parola”, e questo avrebbe alimentato il sistema dei finti pendolari.
BASILICATA: WOODCOCK APRIPISTA SUI RIMBORSI
Tra le regioni che hanno precorso lo scandalo Fiorito c’è la Basilicata. L’indagine sulle spese dei consiglieri (della legislatura precedente) fu aperta dal pm di Potenza Henry John Woodcock nel 2009 e riguardava in particolare i rimborsi chilometrici previsti per chi non è di Potenza. Allora era una storia tutta da scrivere e sembrava la meno interessante tra le indagini in mano al pm anglonapoletano. Quattro gli indagati rinviati a giudizio con le accuse di falso e truffa: il presidente dell’assemblea Prospero De Franchi (Federazione popolari di centro), i due vicepresidenti Franco Mattia (Pdl) e Giacomo Nardiello (Pdci), e Franco Mollica (Centro popolare). L’accusa è che abbiano percepito i rimborsi indebitamente perché, in realtà, risiedevano a Potenza e non nei comuni dichiarati. Gli indagati, tutti rinviati a giudizio, continuano ancora oggi a respingere l’addebito, sostenendo di non aver fatto alcuna falsa attestazione di residenza e chiamando in causa i concetti di domicilio e dimora. Nel frattempo, però, la Procura ha deciso di sequestrare loro le somme percepite. A carico del presidente Vito de Filippo resta un’indagine, sempre firmata da Woodcock, per favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio.
CALABRIA E VENETO: PER ORA DENUNCIANO SOLO I GIORNALI
In Calabria e Veneto a denunciare, per ora, sono i giornali. Che si beccano, per contro, minacce di querela. Da settimane va avanti una polemica pesantissima che investe i rispettivi consigli regionali sulla quantità e l’uso dei rimborsi. La Calabria ha pubblicato sul sito della regione il rendiconto dei rimborsi forniti ai gruppi: 4,4 milioni di euro nel 2011. Il gruppo consiliare di Autonomia e Diritti, composto da un solo membro, l’ex-governatore Agazio Loiero, percepisce da solo 335 mila euro, di cui 212 mila per pagare i suoi otto collaboratori. Nella regione settentrionale, secondo il Gazzettino del Veneto, i consiglieri percepirebbero uno stipendio aggiuntivo di 2.100 euro al mese come rimborso per le spese senza obbligo di giustificativi: la stessa accusa, in sostanza, che è stata fatta ai consiglieri regionali sardi rinviati a giudizio. Ma per tutta risposta i consiglieri veneti hanno annunciato che quereleranno il quotidiano.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10 ... io/386393/
Regioni, la metà dei governatori è indagata. Spese folli non solo in Lazio
Da Formigoni a Lombardo, passando per Vendola: sono dieci i presidenti messi sotto accusa dalla magistratura. E nove consigli regionali sono al centro di inchieste su rimborsi elettorali, nomine e sprechi per milioni di euro
di Thomas Mackinson | 19 ottobre 2012
Nove regioni nel mirino delle procure e della Guardia di Finanza, dieci governatori su venti sotto indagine. E per alcuni di loro l’agenda si complica: il calendario dei comizi elettorali dovrà far pace con quello delle udienze nelle aule di giustizia. Succede a Vendola come a Lombardo, mentre le inchieste sui rimborsi dei consiglieri dilagano da un capoluogo all’altro. Il “caso Lazio” è arrivato infatti anche in Piemonte, Emilia Romagna e Sicilia, altrove era già iniziato o sta per partire.
Nel 2009, tre anni prima che Fiorito finisse in prima pagina, in Sardegna e Basilicata gli inquirenti muovevano i primi passi. Il pm di Potenza John Woodcock indagava sui rimborsi dei consiglieri regionali. Allora era una storia tutta da scrivere, sembrava un’inchiesta meno interessante di “vallettopoli”, Corona, erede Savoia e appalti truccati. Tre anni dopo, invece, è esplosa in modo dirompente su scala nazionale e viene paragonata a Tangentopoli. E non è ancora finita. In Calabria e Veneto la magistratura non ha aperto inchieste, ma sui giornali sono già cominciate le polemiche su come sono stati spesi i soldi destinati ai rimborsi dei gruppi consiliari. E intanto la giustizia si occupa anche dei presidenti falcidiati dalle inchieste.
Occhi puntati su Bari. Nichi Vendola affronterà un’udienza delicatissima per la sua corsa alle primarie. Ma è in un’aula di giustizia di Catania che si celebra il paradosso più forte della nuova stagione di scandali: il 28 ottobre si vota per il rinnovo della giunta e due giorno dopo parte il processo per voto di scambio con aggravante mafiosa al presidente Raffaele Lombardo. Il governatore della Sicilia, vista l’aria che tira, ha deciso di mandare avanti il figlio Tito.
SARDEGNA: SI INDAGA DAL 2009. CAPPELLACCI (PDL) RISCHIA DUE VOLTE
Tre anni prima del Laziogate la Procura di Cagliari aveva messo nel mirino il consiglio regionale della Sardegna e a fine settembre ha chiesto il rinvio a giudizio 19 consiglieri con l’accusa di peculato. Sono accusati di aver utilizzato come paghetta mensile i 2.500 euro assegnati a titolo di rimborso durante la legislatura 2004-2009, quando era presidente Renato Soru. Il Gup deciderà il 24 ottobre se mandarli tutti a processo per peculato.
Ma anche l’attuale presidenza ha i suoi problemi con la giustizia. Ugo Cappellacci (Pdl) se la deve vedere con un doppio rinvio a giudizio. Il primo è quello disposto il 15 giugno dalla Procura di Cagliari per il crac della Sept che dirigeva in qualità di amministratore delegato. La società è fallita nel 2010 con un passivo accertato di circa due milioni di euro. L’accusa è di bancarotta fraudolenta. Il 3 gennaio 2012 la Procura di Roma ha poi rinviato a giudizio Cappellacci insieme ad altre 20 persone, tra le quali il coordinatore del Pdl Denis Verdini, Marcello Dell’Utri e l’imprenditore Flavio Carboni, nell’inchiesta sulla P3 e sull’eolico in Sardegna. A Cappellacci viene contestato l’abuso d’ufficio per la nomina di Ignazio Farris all’Agenzia regionale per l’ambiente della Sardegna, nomina che secondo l’accusa sarebbe stata funzionale al sistema di condizionamento politico-economico degli organi istituzionali e costituzionali dello Stato.
SICILIA, IL DIMISSIONARIO LOMBARDO
La Procura di Palermo ha aperto a fine settembre un fascicolo senza indagati e ipotesi di reato anche in Sicilia. L’inchiesta è un calco di quella laziale e riguarda l’uso dei rimborsi dei gruppi dell’Ars. Si aspettano sorprese, anche per la “dote” dei consiglieri che è addirittura superiore a quella dei colleghi della Pisana (14 milioni di euro contro 12,65). Ma la Sicilia ha anche un altro problema perché a poche settimane dalle elezioni si è svolta l’udienza preliminare del processo che vede imputato il governatore Raffaele Lombardo (Mpa) e il fratello Angelo, accusati di reato elettorale aggravato dall’aver favorito l’associazione mafiosa. L’inchiesta è uno stralcio dell’operazione Iblis scattata il 3 novembre del 2010 con decine di arresti tra esponenti di spicco della mafia di Catania, imprenditori e uomini politici. Indagati per concorso esterno, la posizione sui fratelli Lombardo crea una diversificazione di vedute nella Procura ma alla fine il Gip Luigi Barone dispone l’imputazione coatta e il 26 settembre è stata depositata la richiesta di rinvio a giudizio. Lombardo ha optato per il rito abbreviato e la prima udienza si terrà il 30 ottobre, due giorni dopo il voto. Intanto è polemica sull’assunzione a fine mandato di un direttore del Consorzio autostrade siciliane (Cas) con contratto quinquennale da dirigente generale che costerà tra 700 mila e un milione di euro.
PUGLIA: VENDOLA (SEL) E L’INCOGNITA SULLE PRIMARIE
Non si ha notizia di blitz della Finanza in Regione Puglia dove i gruppi consiliari hanno messo a disposizione i rendiconti (aggregati), ma la dotazione è decisamente inferiore a quelle di altre regioni (5,3 milioni all’anno di rimborsi). Ma a Bari si guarda con trepidazione alla doppietta giudiziaria che grava sul leader di Sel Nichi Vendola, candidato alla primarie del centrosinistra. Entrambi i procedimenti sono all’udienza preliminare ma il primo potrebbe avere conseguenze politiche. Il 24 ottobre si terrà infatti l’udienza chiave per la vicenda che vede Vendola rinviato a giudizio per peculato, falso e abuso d’ufficio per la nomina a primario di Paolo Sardelli, responsabile del reparto di chirurgia toracica all’ospedale San Paolo di Bari. Ad accusarlo è l’ex dirigente dell’Asl di Bari, Lea Cosentino, la quale fu sollevata dal suo incarico dal governatore pugliese. Oggi tocca al Gup titolare dell’inchiesta sul senatore Tedesco decidere se accorpare i procedimenti come chiede “Lady Asl” (quello a carico di Vendola ne è uno stralcio).
In attesa che il processo venga celebrato, Vendola ha messo le mani avanti: “Se sarò condannato, è chiaro che mi ritirerò dalle primarie. Vado a giudizio con rito abbreviato chiesto da me, e lo faccio con la coscienza totalmente serena”. A questo punto, se la richiesta venisse accolta, i tempi si allungherebbero e per il leader di Sel sarà difficile presentarsi alle primarie del 25 novembre prosciolto da ogni addebito. Del resto a suo carico c’è un secondo avviso di garanzia che riguarda una transazione di 45 milioni di euro non conclusa tra Regione Puglia e l’ospedale “ecclesiastico” Miulli.
CAMPANIA: CALDORO NEL MIRINO
Il 21 settembre la Guardia di Finanza ha sequestrato tutta la documentazione sui rimborsi nel periodo 2008-2012 dalla sede della Regione Campania. Secondo i magistrati potrebbero esserci state irregolarità sia in questa che nella precedente legislatura. Indagato il capogruppo dell’Udeur Ugo De Flaviis, oggi in maggioranza col Pdl e prima assessore all’Ambiente nella prima giunta Bassolino. L’accusa per lui è di corruzione e abuso d’ufficio. Nel mirino degli inquirenti, l’assunzione della ex cognata del politico in una società informatica che ha avuto rapporti con la pubblica amministrazione. Anche il governatore Stefano Caldoro ha i suoi guai. Un anno fa veniva indagato nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Napoli sui rischi per la salute pubblica determinati dalla mancata raccolta dei rifiuti. Nell’inchiesta del procuratore aggiunto Francesco Greco e del pm Francesco Curcio si contestano al presidente della giunta campana la mancata attivazione di discariche in altre province per fronteggiare l’emergenza. Sotto accusa anche le nomine facili tra le quali spicca la moglie Annamaria Colao all’Osservatorio regionale sulla salute.
PIEMONTE: SOTTO LA LENTE ANCHE I RIMBORSI DI COTA
Il blitz delle Fiamme Gialle a Palazzo Lascaris fa tremare il consiglio regionale del Piemonte il 28 settembre. Tutto parte da una settimana bianca. La procura torinese è stata messa sulla pista dalle dichiarazioni del parlamentare Pdl Roberto Rosso a proposito dell’abitudine “consolidata” dei consiglieri regionali di far “figurare di essere missione e incassare la relativa indennità”. Immediate le polemiche sui media che hanno subito parlato di “sistema Piemonte”. I rimborsi sospetti ammontano a circa 3,5 milioni di euro. Le verifiche cadono su tutti, compreso il presidente Roberto Cota che nel 2011 ha incassato 17.931 euro di rimborsi, oltre allo stipendio. Da tempo l’opposizione lamenta che il suo reale domicilio sia a Milano, dove risiedono la moglie magistrato e la figlia. Del resto il sistema di controlli era praticamente inesistente, con rimborsi “sulla parola”, e questo avrebbe alimentato il sistema dei finti pendolari.
BASILICATA: WOODCOCK APRIPISTA SUI RIMBORSI
Tra le regioni che hanno precorso lo scandalo Fiorito c’è la Basilicata. L’indagine sulle spese dei consiglieri (della legislatura precedente) fu aperta dal pm di Potenza Henry John Woodcock nel 2009 e riguardava in particolare i rimborsi chilometrici previsti per chi non è di Potenza. Allora era una storia tutta da scrivere e sembrava la meno interessante tra le indagini in mano al pm anglonapoletano. Quattro gli indagati rinviati a giudizio con le accuse di falso e truffa: il presidente dell’assemblea Prospero De Franchi (Federazione popolari di centro), i due vicepresidenti Franco Mattia (Pdl) e Giacomo Nardiello (Pdci), e Franco Mollica (Centro popolare). L’accusa è che abbiano percepito i rimborsi indebitamente perché, in realtà, risiedevano a Potenza e non nei comuni dichiarati. Gli indagati, tutti rinviati a giudizio, continuano ancora oggi a respingere l’addebito, sostenendo di non aver fatto alcuna falsa attestazione di residenza e chiamando in causa i concetti di domicilio e dimora. Nel frattempo, però, la Procura ha deciso di sequestrare loro le somme percepite. A carico del presidente Vito de Filippo resta un’indagine, sempre firmata da Woodcock, per favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio.
CALABRIA E VENETO: PER ORA DENUNCIANO SOLO I GIORNALI
In Calabria e Veneto a denunciare, per ora, sono i giornali. Che si beccano, per contro, minacce di querela. Da settimane va avanti una polemica pesantissima che investe i rispettivi consigli regionali sulla quantità e l’uso dei rimborsi. La Calabria ha pubblicato sul sito della regione il rendiconto dei rimborsi forniti ai gruppi: 4,4 milioni di euro nel 2011. Il gruppo consiliare di Autonomia e Diritti, composto da un solo membro, l’ex-governatore Agazio Loiero, percepisce da solo 335 mila euro, di cui 212 mila per pagare i suoi otto collaboratori. Nella regione settentrionale, secondo il Gazzettino del Veneto, i consiglieri percepirebbero uno stipendio aggiuntivo di 2.100 euro al mese come rimborso per le spese senza obbligo di giustificativi: la stessa accusa, in sostanza, che è stata fatta ai consiglieri regionali sardi rinviati a giudizio. Ma per tutta risposta i consiglieri veneti hanno annunciato che quereleranno il quotidiano.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10 ... io/386393/
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Re: Eresia centralista
I trasporti li hanno privatizzati e temo che le Fs non solo non torneranno a far parte dell PA ma di pubblico resterà, se va bene, la rete, ma non il servizio universale. Le municipalizzate sono a capitale comunale con la possibilità che si inseruiscano i privati.giorgio ha scritto:Visti gli aumenti incontrollabili della spesa pubblica gestita dalle regioni e da quelle a statuto speciale in particolare, vista e verificata l'inutilità delle province, che tutti affermano voler abolire ma che nessuno tocca davvero, visto che le pessime gestioni economiche delle autonomie non riguardano solo l'Italia (¡ay España! ¡ay mi Catalunya!...), credo sarebbe conveniente tornare a gestioni centralizzate di attività chiave come la sanità, i trasporti, l'istruzione...
Altro che federalismi, padanie libere e altre cazzate....
L'Italia è da sempre terra di Comuni: che da quelli si riparta, liberi di consorziarsi a costo zero per condividere attività che necessitino di dimensioni maggiori per essere più funzionali ed economiche (rifiuti, trasporti etc...)
Le strade statali le hanno inspiegabilmente regionalizzate o fatte diventare provinciali.
Re: Eresia centralista
Al Celeste piace la reggia
di Michele Sasso e Francesca Sironi
Decine di stanze lussuose riservate solo al governatore nel nuovo palazzo, in quello vecchio, a Roma e a Bruxelles. Come un vero re. A proposito di sprechi. E meno male che Formigoni ha fatto voto di povertà
(19 ottobre 2012)
La più suggestiva è la "Sala nera", in un palazzo seicentesco alle spalle del quartiere generale dei Gesuiti, nel cuore di Roma. Non è una stanza di torture, ma il nome da feuilleton con cui l'amministrazione lombarda ha battezzato il locale riservato alle riunioni capitoline di Roberto Formigoni. Resta sempre chiusa, come la reception personale e i suoi uffici riservatissimi: tutto solo per lui, per accoglierlo nelle rare trasferte romane. La stessa atmosfera di mistero circonda tre piani dei due grattacieli milanesi della Regione, il vecchio e il nuovo, entrambi in funzione alla faccia della spending review. Sono livelli che gli ascensori dei visitatori e degli impiegati saltano, senza fermarsi: come se non esistessero. Perché sono dedicati soltanto a lui, al politico che da 17 anni amministra la Lombardia: altri ascensori e porte con ingressi protetti da codici, permettono di accedere ai suoi uffici e alla foresteria. Che lui ha raddoppiato: si è tenuto un piano del Pirellone e ne ha occupati altri due nel nuovissimo Palazzo Lombardia, che distano soltanto settecento metri l'uno dall'altro. Per non parlare poi della struttura di Bruxelles, sempre e solo per lui, l'uomo che per fede ha fatto voto di povertà e come amministratore si circonda di sfarzo.
Il trentesimo piano. Il suo ufficio nel Grattacielo Pirelli, disegno degli anni Sessanta di Giò Ponti, in realtà non è così vecchio: è stato ristrutturato completamente dopo lo schianto dell'aereo nel 2002. Il presidente si è tenuto tutto il trentesimo piano: uno spazio personale di 900 metri quadrati. Sotto di lui, al 27esimo, ci sono altri doppioni: gli uffici degli assessori regionali. Le luci sono spente, le porte chiuse, la reception abbandonata. Le stanze sono inutilizzate da tempo, perché gli assessori si sono trasferiti nella nuova sede. Formigoni invece ha voluto mantenere anche qui un avamposto. Sugli arredi, i servizi, le forniture, nessuno può dire una parola. L'economato del Consiglio Regionale infatti non ne sa nulla, perché al di sopra del venticinquesimo piano è territorio della Giunta. Per gli uffici del presidente è coperta da segreto anche la Tarsu, la tassa sui rifiuti, che si paga in base alla metratura: nessuno può avere numeri certi sulle stanze del governatore.
«Le leggende non si contano. Anche perché quello rimasto al Pirellone è un vero e proprio appartamento privato, non un ufficio di rappresentanza. Ma vista la spesa per la nuova sede, penso che qui siano rimasti solo ambienti sobri», dice un dipendente sotto garanzia di anonimato. Eppure al governatore il lusso non dispiace.
Nel rifacimento del 31esimo piano ha fatto costruire una struttura di vetro (chiamata "Pod", per la sua forma a fungo), che ospita una sala riunioni di 45 metri quadri, arredata con grande stile: sedie di design, un tavolo progettato da Cerri, una scultura di Fausto Melotti. Solo per sé Formigoni ha voluto una poltrona rivestita di cavallino disegnata da Giò Ponti per Frau nel 1966. Una sorta di trono, a uso esclusivo del Celeste.
Nel segno di Marilyn. Un divano e due poltrone ad angolo, un tavolino scolpito dall'artista albanese Helidon Xhixha e come sfondo il panorama di Milano, nebbia permettendo. E' l'angolo preferito dal presidente per discutere con i suoi ospiti, e farsi fotografare, al 35esimo piano di Palazzo Lombardia. Nella nuova sede della Regione Formigoni ha a sua disposizione due piani, uniti da una scala interna. C'è una parte dedicata alla rappresentanza, che si può scorgere nelle immagini ufficiali, e una invece privatissima, dove si trova anche il letto matrimoniale richiesto dal governatore per le sue notti di lavoro.
Come tutti i Memores Domini, la cerchia più devota di Cl, vive in comunità ed è obbligato a condividere tutto, invece nei suoi uffici di Palazzo Lombardia Formigoni ha voluto esagerare: un tavolo "direzionale" da 11.200 euro, due divani di ecopelle da 12 mila, una sala da pranzo in rovere, quattro poltrone "in vellutino accoppiato con resinato" e tappeti "fabbricati a mano con pelo corto e fitto di lino/lana", oltre a librerie, armadi, comodini.
Nella sala dei ricevimenti ha anche in bella mostra il "Piccolo cavaliere" di Marino Marini, una scultura dal valore di 5 milioni di euro, «prestito di un amico» aveva detto il governatore in un'intervista. Formigoni, d'altronde, ha sempre sostenuto che la politica deve amare l'arte. E lui ne ha riempito il suo studio. Attaccato alla finestra, proprio al fianco della sua scrivania personale (quella a cui i giornalisti non possono arrivare), ha appeso un quadro di Mimmo Rotella, uno dei suoi artisti preferiti: è una Marilyn Monroe in posa sexy nel poster francese di "Quando la moglie è in vacanza". Una presenza scomoda, in teoria, per un uomo che si rifà alla castità.
Tutte le stanze del presidente. Formigoni deve aver bisogno di rimanere solo anche in missione. Non si spiegano altrimenti i suoi uffici personali e riservatissimi nelle sedi delle delegazioni lombarde di Roma e Bruxelles. Nella capitale europea il presidente ha l'ufficio più ampio di Casa della Lombardia, i due piani da 800 metri quadri comprati dalla giunta per 3 milioni e 750 mila euro in Place du champ de Mars. Non è che il governatore si veda spesso, ma l'ufficio lombardo è uno dei più grandi fra quelli delle nostre regioni, ed è considerato più lussuoso anche di quello della rappresentanza italiana presso la Ue. Non è da meno la sede romana: il seicentesco palazzo Maddaleni Capodiferro in via del Gesù a due passi da via del Corso e dal Pantheon. Agli uffici del presidente si arriva passando da una reception e da un lungo corridoio. Anche qui sedie di pelle nera e tavoli di cristallo, attaccapanni di design e colonne con stucchi da discoteca che cozzano con lo splendido soffitto a cassettoni dell'antica nobilità.
A cosa serve una simile ambasciata capitolina? L'ha voluta Formigoni in nome della «modernità»: «Una struttura all'altezza del ruolo che la Lombardia è chiamata a svolgere». Era il 1999, l'alba di un'era di spese folli e palazzi dorati che ora si chiude nello scandalo.
http://espresso.repubblica.it/dettaglio ... 2193293//0
di Michele Sasso e Francesca Sironi
Decine di stanze lussuose riservate solo al governatore nel nuovo palazzo, in quello vecchio, a Roma e a Bruxelles. Come un vero re. A proposito di sprechi. E meno male che Formigoni ha fatto voto di povertà
(19 ottobre 2012)
La più suggestiva è la "Sala nera", in un palazzo seicentesco alle spalle del quartiere generale dei Gesuiti, nel cuore di Roma. Non è una stanza di torture, ma il nome da feuilleton con cui l'amministrazione lombarda ha battezzato il locale riservato alle riunioni capitoline di Roberto Formigoni. Resta sempre chiusa, come la reception personale e i suoi uffici riservatissimi: tutto solo per lui, per accoglierlo nelle rare trasferte romane. La stessa atmosfera di mistero circonda tre piani dei due grattacieli milanesi della Regione, il vecchio e il nuovo, entrambi in funzione alla faccia della spending review. Sono livelli che gli ascensori dei visitatori e degli impiegati saltano, senza fermarsi: come se non esistessero. Perché sono dedicati soltanto a lui, al politico che da 17 anni amministra la Lombardia: altri ascensori e porte con ingressi protetti da codici, permettono di accedere ai suoi uffici e alla foresteria. Che lui ha raddoppiato: si è tenuto un piano del Pirellone e ne ha occupati altri due nel nuovissimo Palazzo Lombardia, che distano soltanto settecento metri l'uno dall'altro. Per non parlare poi della struttura di Bruxelles, sempre e solo per lui, l'uomo che per fede ha fatto voto di povertà e come amministratore si circonda di sfarzo.
Il trentesimo piano. Il suo ufficio nel Grattacielo Pirelli, disegno degli anni Sessanta di Giò Ponti, in realtà non è così vecchio: è stato ristrutturato completamente dopo lo schianto dell'aereo nel 2002. Il presidente si è tenuto tutto il trentesimo piano: uno spazio personale di 900 metri quadrati. Sotto di lui, al 27esimo, ci sono altri doppioni: gli uffici degli assessori regionali. Le luci sono spente, le porte chiuse, la reception abbandonata. Le stanze sono inutilizzate da tempo, perché gli assessori si sono trasferiti nella nuova sede. Formigoni invece ha voluto mantenere anche qui un avamposto. Sugli arredi, i servizi, le forniture, nessuno può dire una parola. L'economato del Consiglio Regionale infatti non ne sa nulla, perché al di sopra del venticinquesimo piano è territorio della Giunta. Per gli uffici del presidente è coperta da segreto anche la Tarsu, la tassa sui rifiuti, che si paga in base alla metratura: nessuno può avere numeri certi sulle stanze del governatore.
«Le leggende non si contano. Anche perché quello rimasto al Pirellone è un vero e proprio appartamento privato, non un ufficio di rappresentanza. Ma vista la spesa per la nuova sede, penso che qui siano rimasti solo ambienti sobri», dice un dipendente sotto garanzia di anonimato. Eppure al governatore il lusso non dispiace.
Nel rifacimento del 31esimo piano ha fatto costruire una struttura di vetro (chiamata "Pod", per la sua forma a fungo), che ospita una sala riunioni di 45 metri quadri, arredata con grande stile: sedie di design, un tavolo progettato da Cerri, una scultura di Fausto Melotti. Solo per sé Formigoni ha voluto una poltrona rivestita di cavallino disegnata da Giò Ponti per Frau nel 1966. Una sorta di trono, a uso esclusivo del Celeste.
Nel segno di Marilyn. Un divano e due poltrone ad angolo, un tavolino scolpito dall'artista albanese Helidon Xhixha e come sfondo il panorama di Milano, nebbia permettendo. E' l'angolo preferito dal presidente per discutere con i suoi ospiti, e farsi fotografare, al 35esimo piano di Palazzo Lombardia. Nella nuova sede della Regione Formigoni ha a sua disposizione due piani, uniti da una scala interna. C'è una parte dedicata alla rappresentanza, che si può scorgere nelle immagini ufficiali, e una invece privatissima, dove si trova anche il letto matrimoniale richiesto dal governatore per le sue notti di lavoro.
Come tutti i Memores Domini, la cerchia più devota di Cl, vive in comunità ed è obbligato a condividere tutto, invece nei suoi uffici di Palazzo Lombardia Formigoni ha voluto esagerare: un tavolo "direzionale" da 11.200 euro, due divani di ecopelle da 12 mila, una sala da pranzo in rovere, quattro poltrone "in vellutino accoppiato con resinato" e tappeti "fabbricati a mano con pelo corto e fitto di lino/lana", oltre a librerie, armadi, comodini.
Nella sala dei ricevimenti ha anche in bella mostra il "Piccolo cavaliere" di Marino Marini, una scultura dal valore di 5 milioni di euro, «prestito di un amico» aveva detto il governatore in un'intervista. Formigoni, d'altronde, ha sempre sostenuto che la politica deve amare l'arte. E lui ne ha riempito il suo studio. Attaccato alla finestra, proprio al fianco della sua scrivania personale (quella a cui i giornalisti non possono arrivare), ha appeso un quadro di Mimmo Rotella, uno dei suoi artisti preferiti: è una Marilyn Monroe in posa sexy nel poster francese di "Quando la moglie è in vacanza". Una presenza scomoda, in teoria, per un uomo che si rifà alla castità.
Tutte le stanze del presidente. Formigoni deve aver bisogno di rimanere solo anche in missione. Non si spiegano altrimenti i suoi uffici personali e riservatissimi nelle sedi delle delegazioni lombarde di Roma e Bruxelles. Nella capitale europea il presidente ha l'ufficio più ampio di Casa della Lombardia, i due piani da 800 metri quadri comprati dalla giunta per 3 milioni e 750 mila euro in Place du champ de Mars. Non è che il governatore si veda spesso, ma l'ufficio lombardo è uno dei più grandi fra quelli delle nostre regioni, ed è considerato più lussuoso anche di quello della rappresentanza italiana presso la Ue. Non è da meno la sede romana: il seicentesco palazzo Maddaleni Capodiferro in via del Gesù a due passi da via del Corso e dal Pantheon. Agli uffici del presidente si arriva passando da una reception e da un lungo corridoio. Anche qui sedie di pelle nera e tavoli di cristallo, attaccapanni di design e colonne con stucchi da discoteca che cozzano con lo splendido soffitto a cassettoni dell'antica nobilità.
A cosa serve una simile ambasciata capitolina? L'ha voluta Formigoni in nome della «modernità»: «Una struttura all'altezza del ruolo che la Lombardia è chiamata a svolgere». Era il 1999, l'alba di un'era di spese folli e palazzi dorati che ora si chiude nello scandalo.
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