Come se ne viene fuori ?
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Re: Come se ne viene fuori ?
Il Paese allo sbando – 69
Diario di un disastro annunciato – 14 ottobre 2012 – 1
Perché il patatrak è inevitabile - Verso la Repubblica di Weimar - 7
Il terremoto Lombardo
Cose Celesti
Silvio Berlusconi scarica Roberto Formigoni. E ora il piano B: Albertini e ricucire con la Lega
Pubblicato: 13/10/2012 20:02 CEST Aggiornato: 13/10/2012 20:56 CEST
"Questa situazione non può durare a lungo. Roberto deve mettersi in testa che ha sbagliato. Deve fare il gesto il prima possibile, sennò ci trascina a fondo con lui". Adesso il dossier Lombardia è arrivato sul tavolo di Silvio Berlusconi. Fuori i secondi. Sono giorni che il Cavaliere ha capito che la posizione del Celeste è indifendibile: "Si può resistere qualche giorno - ha spiegato ai suoi - ma lì è finita".
C'è di più. Berlusconi non si è stupito più di tanto dello strappo di oggi di Maroni. Sapeva che la Lega avrebbe scritto un comunicato duro: mandato a tempo e voto ad aprile. E sapeva che Maroni lo avrebbe messo nero su bianco al termine del consiglio federale, per dargli ufficialità. È la svolta, un punto di non ritorno: "Si era capito che non poteva tenere il partito". Silvio Berlusconi sono giorni che si muove su due piani. Quello ufficiale, in cui dà l'idea di "coprire" le posizioni di Alfano, come quando è intervenuto giovedì a telefono nel corso del vertice.
Ma l'ex premier sa che è un binario morto. Il secondo livello è la "sua" trattativa. Non è un caso, spiegano la cerchia ristrettissima, che negli ultimi giorni sono andate di pari passo le mosse di Berlusconi e quelle di Bossi. Stesso timing, stessi contenuti. A caldo entrambi hanno coperto il Celeste. Poi Bossi ha invocato il voto ad aprile, mandando all'aria la tregua Maroni-Formigoni-Alfano. E Berlusconi ha fatto sapere che Roberto va scaricato, convinzione maturata da tempo: ormai, è il ragionamento, sta passando il segno, sacrificando l'alleanza e il Pdl alla sua difesa personale. Berlusconi è stufo anche dello stile comunicativo del Celeste: è la difesa della Casta davanti agli scandali. Già Fiorito è costato due punti, la 'ndrangheta rischia di procurare danni incalcolabili.
E non è un caso che dopo lo strappo di oggi della Lega tutti big del Pdl lo hanno lasciato solo. Lui, il Celeste, ha straparlato, mostrando i muscoli, provando a proseguire a dispetto degli eventi. Si è pure presentato al convegno di Saint Vincent della Dc di Rotondi (il partito nel quale militava Zambetti, l'assessore arrestato per i voti comprati alla 'ndrangheta) per spiegare la sua resistenza a oltranza: "Abbiamo fatto un "patto" (giovedì con Maroni e Alfano, ndr). Non ci basta un comunicato. Tra partiti che collaborano vale il principio della correttezza e della lealtà. Per me quel patto è ancora valido". E poco importa che Maroni, quasi in tempo reale, fa sapere che la decisione comunicata è "sofferta ma giusta" e irreversibile. Poi in una nota precisa che "la durata della legislatura non faceva parte dell'accordo". Formigoni prova a prendere tempo, spara le ultime pallottole minacciando il voto subito - come a dire: muore Sansone con tutti i filistei - e assicura che Alfano e Berlusconi sono d'accordo con lui. Peccato che la solidarietà arrivi solo da Ignazio La Russa, di fatto al governo col Celeste in questi anni.
Segno che Formigoni è rimasto solo. Perché Berlusconi ha iniziato a lavorare già al dopo. Pensa che vada benissimo votare ad aprile con le politiche. Il Pirellone potrebbe essere un modo per ricucire l'alleanza con la Lega. Ma senza concedere la candidatura: "Quando si votò - spiegano a palazzo Grazioli - l'accordo con la Lega era due regioni a loro, una a noi nel Nord. Ora noi molliamo sul voto, ma il candidato è del Pdl".
Appena iniziata la crisi Berlusconi ha cominciato a sondare possibili nomi. Al momento il suo preferito è Gabriele Albertini, ex sindaco di Milano e attualmente europarlamentare. Da mesi Albertini è diventato interlocutore di un'area che va oltre il Pdl. Ottimo rapporto con i centristi, piace molto a Montezemolo. Agli occhi del Cavaliere è la soluzione migliore anche per evitare che il Pdl lombardo imploda. Già, perché quando si è capito che Formigoni non poteva durare la grande manovra è iniziata. Ci ha fatto più di un pensiero Paolo Romani, uomo Mediaset ex ministro, uno dei più fedeli a Berlusconi; Maurizio Lupi ha ricevuto più di una sollecitazione dal mondo di Cl, ormai privo di Formigoni; e poi il presidente della provincia Guido Podestà, il coordinatore lombardo del partito Mantovani. È presto per decidere, anche perché prima c'è da risolvere l'affaire Formigoni: "Ci pensa la procura - ironizzano a palazzo Grazioli - perché non si è mai vista una inchiesta per 'ndrangheta chiudersi con un solo arresto".
http://www.huffingtonpost.it/2012/10/13 ... _ref=italy
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Il terremoto Lombardo
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Silvio Berlusconi scarica Roberto Formigoni. E ora il piano B: Albertini e ricucire con la Lega
Pubblicato: 13/10/2012 20:02 CEST Aggiornato: 13/10/2012 20:56 CEST
"Questa situazione non può durare a lungo. Roberto deve mettersi in testa che ha sbagliato. Deve fare il gesto il prima possibile, sennò ci trascina a fondo con lui". Adesso il dossier Lombardia è arrivato sul tavolo di Silvio Berlusconi. Fuori i secondi. Sono giorni che il Cavaliere ha capito che la posizione del Celeste è indifendibile: "Si può resistere qualche giorno - ha spiegato ai suoi - ma lì è finita".
C'è di più. Berlusconi non si è stupito più di tanto dello strappo di oggi di Maroni. Sapeva che la Lega avrebbe scritto un comunicato duro: mandato a tempo e voto ad aprile. E sapeva che Maroni lo avrebbe messo nero su bianco al termine del consiglio federale, per dargli ufficialità. È la svolta, un punto di non ritorno: "Si era capito che non poteva tenere il partito". Silvio Berlusconi sono giorni che si muove su due piani. Quello ufficiale, in cui dà l'idea di "coprire" le posizioni di Alfano, come quando è intervenuto giovedì a telefono nel corso del vertice.
Ma l'ex premier sa che è un binario morto. Il secondo livello è la "sua" trattativa. Non è un caso, spiegano la cerchia ristrettissima, che negli ultimi giorni sono andate di pari passo le mosse di Berlusconi e quelle di Bossi. Stesso timing, stessi contenuti. A caldo entrambi hanno coperto il Celeste. Poi Bossi ha invocato il voto ad aprile, mandando all'aria la tregua Maroni-Formigoni-Alfano. E Berlusconi ha fatto sapere che Roberto va scaricato, convinzione maturata da tempo: ormai, è il ragionamento, sta passando il segno, sacrificando l'alleanza e il Pdl alla sua difesa personale. Berlusconi è stufo anche dello stile comunicativo del Celeste: è la difesa della Casta davanti agli scandali. Già Fiorito è costato due punti, la 'ndrangheta rischia di procurare danni incalcolabili.
E non è un caso che dopo lo strappo di oggi della Lega tutti big del Pdl lo hanno lasciato solo. Lui, il Celeste, ha straparlato, mostrando i muscoli, provando a proseguire a dispetto degli eventi. Si è pure presentato al convegno di Saint Vincent della Dc di Rotondi (il partito nel quale militava Zambetti, l'assessore arrestato per i voti comprati alla 'ndrangheta) per spiegare la sua resistenza a oltranza: "Abbiamo fatto un "patto" (giovedì con Maroni e Alfano, ndr). Non ci basta un comunicato. Tra partiti che collaborano vale il principio della correttezza e della lealtà. Per me quel patto è ancora valido". E poco importa che Maroni, quasi in tempo reale, fa sapere che la decisione comunicata è "sofferta ma giusta" e irreversibile. Poi in una nota precisa che "la durata della legislatura non faceva parte dell'accordo". Formigoni prova a prendere tempo, spara le ultime pallottole minacciando il voto subito - come a dire: muore Sansone con tutti i filistei - e assicura che Alfano e Berlusconi sono d'accordo con lui. Peccato che la solidarietà arrivi solo da Ignazio La Russa, di fatto al governo col Celeste in questi anni.
Segno che Formigoni è rimasto solo. Perché Berlusconi ha iniziato a lavorare già al dopo. Pensa che vada benissimo votare ad aprile con le politiche. Il Pirellone potrebbe essere un modo per ricucire l'alleanza con la Lega. Ma senza concedere la candidatura: "Quando si votò - spiegano a palazzo Grazioli - l'accordo con la Lega era due regioni a loro, una a noi nel Nord. Ora noi molliamo sul voto, ma il candidato è del Pdl".
Appena iniziata la crisi Berlusconi ha cominciato a sondare possibili nomi. Al momento il suo preferito è Gabriele Albertini, ex sindaco di Milano e attualmente europarlamentare. Da mesi Albertini è diventato interlocutore di un'area che va oltre il Pdl. Ottimo rapporto con i centristi, piace molto a Montezemolo. Agli occhi del Cavaliere è la soluzione migliore anche per evitare che il Pdl lombardo imploda. Già, perché quando si è capito che Formigoni non poteva durare la grande manovra è iniziata. Ci ha fatto più di un pensiero Paolo Romani, uomo Mediaset ex ministro, uno dei più fedeli a Berlusconi; Maurizio Lupi ha ricevuto più di una sollecitazione dal mondo di Cl, ormai privo di Formigoni; e poi il presidente della provincia Guido Podestà, il coordinatore lombardo del partito Mantovani. È presto per decidere, anche perché prima c'è da risolvere l'affaire Formigoni: "Ci pensa la procura - ironizzano a palazzo Grazioli - perché non si è mai vista una inchiesta per 'ndrangheta chiudersi con un solo arresto".
http://www.huffingtonpost.it/2012/10/13 ... _ref=italy
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Re: Come se ne viene fuori ?
Deve fare il gesto il prima possibile, sennò ci trascina a fondo con lui".
Formidabile il vecchio egoista,.......anche lui da più di un anno è nella stessa situazione....
Formidabile il vecchio egoista,.......anche lui da più di un anno è nella stessa situazione....
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Re: Come se ne viene fuori ?
QUESTA MIA POVERA CITTÀ STURM UND 'NDRANGHETA
Umberto Eco per La Repubblica
Sono arrivato a Milano nell'autunno del 1954, conquistato dalla possibilità di andare a teatro quasi ogni sera, e siccome eravamo giovani funzionari televisivi, gli attori e i registi che venivano in Studio 1 ci trovavano sempre i biglietti omaggio. Le
Starlette di allora, annunciatrici, presentatrici, comparse, venivano dopo lo spettacolo con noi, giovanotti squattrinati, e andavamo a ballare al Santa Tecla.
Quelle tra loro che avevano bisogno di denaro facevano, accollatissime, i fotoromanzi o, in camicetta e jeans, apparivano sui muri della città mentre spalmavano il Ducotone. La peccatrice ufficiale del Santa Tecla andava vestita di nero, col trucco chiaro di luna, e si faceva chiamare Olivia l'esistenzialista. Hanno poi sposato tutte impiegati, garagisti, venditori di aspirapolvere.
Andavamo molto al cinema e vedevamo storie che si svolgevano in Sudamerica, dove il criminale passava la frontiera mettendo un biglietto da cinquanta dollari nel passaporto, l'agente incassava e lasciava passare. In quei luoghi regnava, apprendevamo, la corruzione generalizzata.
COSTRUIRE IL NEMICO
Beati noi che vivevamo in una città civile, capitale morale d'Italia, dove la criminalità era prevedibile e localizzata, un matto che uccideva a martellate la moglie e i figli dell'amante, poi verso gli anni Sessanta rapinatori quasi professionisti che emulavano i film di gangster, ma alla fine si facevano prendere, come Cavallero; e per il resto piccola malavita da Porta Romana bella, roba da commissario
Nardone. Salivano a Milano migliaia di meridionali, e i Cipputi di allora gli dicevano «Tas ti, brütt terun!», ma giocando insieme a scopone all'osteria, e gli offrivano da bere.
Di quel che accadeva al Sud si sapeva poco, e si guardava a Roma come a una sentina di vizi, coi deputati democristiani che i disegnatori comunisti rappresentavano come "forchettoni", e le follie della dolce vita. Ma il mondo dell'imprenditoria milanese viveva corazzato nelle proprie impenetrabili fortezze, i banchieri si chiamavano Cuccia o addirittura Leo Valiani, o Mattioli che a quanto mi risulta non aveva una barca ma finanziava i classici della letteratura italiana delle edizioni Ricciardi.
Gli artisti passavano le sere al bar Giamaica, e mangiavano per pochi soldi alla
table d'hôte delle sorelle Pirovini, gli scrittori conducevano vita morigerata come Montale chiuso in un ufficetto del Corriere della Sera. In televisione apparivano le prime ballerine in calze nere, ma negli studi di Corso Sempione si allestivano per i programmi di prima serata Shakespeare, Pirandello o, al peggio, Rosso di San Secondo; il giovedì sera i cinematografi sospendevano la proiezione, mettevano un televisore sotto lo schermo, e tutti seguivano con orgasmo massmediatico "Lascia o raddoppia?"; la satira politica era sommessa, ma Tognazzi e Vianello avevano osato imitare il presidente Gronchi che era caduto da una sedia alla Scala (Tognazzi cadeva e Vianello gli chiedeva: «Ma chi ti credi di essere?»). Era scoppiato uno scandalo nazionale, ma insomma. Andava in onda "Tribuna Politica", dove giornalisti e parlamentari parlavano uno alla volta.
Ogni sera si poteva trovare un dibattito o alla Casa della Cultura, o al Circolo Turati o, poi, a quello di Via De Amicis, ma anche dai gesuiti del San Fedele. Dal centro di fonologia musicale di Corso Sempione si diffondevano le nuove esperienze di musica elettronica e, sia pure tra qualche fischio, alla Scala apparivano Schoenberg, Webern e poi Luciano Berio.
Era Milano centro di cultura, sede delle grandi case editrici, ombelico del mondo produttivo. Era una città bianca che non prendeva ordini neppure dal Vaticano e faceva il carnevale in una data tutta sua, ma poteva mandare al governo della città i socialisti storici.
Milano ha cominciato a mutare volto col Sessantotto, e poi con la città che si svuotava a sera nel periodo del terrorismo, ma questo non metteva in questione la tenuta dei partiti e dello Stato. E la vita era ripresa negli anni Ottanta con qualche cedimento a un "edonismo reaganiano" e con quella che solo dopo sarebbe stata chiamata la "Milano da bere".
All'inizio degli anni Novanta si era scoperto che nella capitale morale si era sviluppata una politica fatta di bustarelle e tangenti, ma anche allora si pensava che i corrotti - e in grandissima parte era vero - praticassero la corruzione non per arricchire se stessi bensì per foraggiare la propria parte politica.
Il male però si era diffuso e si è avvertito in quei decenni un calo dell'attività culturale, nel senso che scomparivano i centri di discussione e di dibattito. Milano sonnecchiava. Ricordo che durante l'amministrazione leghista di Formentini si era tentato un rilancio della gloriosa Triennale (uno dei vanti della città), ma da una riunione a cui aveva partecipato tutto il mondo culturale milanese erano rimasti assenti e il sindaco e l'assessore alla cultura (anche se bisogna ammettere che il rilancio della Triennale è poi avvenuto a opera delle successive amministrazioni di centro destra).
Eppure l'idea di una Milano come sorgente di innovazione aveva convinto molte persone rispettabili che persino la discesa in campo di Berlusconi fosse un tentativo di introdurre nell'agone politico, agonizzante dopo Mani Pulite, il mondo sano dell'imprenditoria. Illusione durata pochissimo, ma anche questa illusione aveva testimoniato del mito di una Milano sana contro la capitale corrotta che infettava la nazione.
Anche i più ingenui si sono poi accorti che una nuova forza che si basava sul conflitto d'interessi, e quindi sulla difesa dell'interesse privato, non poteva essere che fonte di successiva corruzione - e i meno ingenui hanno avvertito che si apriva per loro l'epoca di una Italia da bere.
Così è accaduto quello a cui stiamo assistendo, scandalo dopo scandalo, con la scoperta che Milano era sorella di Roma nell'introdurre nel gioco uomini che si davano alla politica nel solo intento di arricchirsi personalmente. Ma ancora lì, per molto, si pensava che Milano non fosse tuttavia Palermo, era forse diventata una
città di disonesti ma non di mafiosi.
Ed ora eccoci al rendimento dei conti: non solo la politica milanese si trova compromessa con la 'ndrangheta ma addirittura ormai appare che non è la politica a usare la 'ndrangheta bensì la 'ndrangheta a usare la politica, che prende ordini dai suoi sgherri, piange e si umilia di fronte alle loro minacce, ha creduto di emulare politici romani che sapevano sfruttare la mafia, ma di quelli non avevano l'astuzia e il pelo sullo stomaco. Milano che non voleva prendere ordini da Roma ladrona
e disprezzava il meridione, si è ridotta a prendere ordini dal peggio del profondo Sud.
Come se ne esce, come purificare una città in cui il potere criminale, quasi indistinguibile da certe frange del potere politico, è imprendibile, non facilmente identificabile e nessun commissario Nardone è in grado di spezzare una orrenda catena di complicità? Siamo entrati nella fase sudamericana della Lombardia di Berchet, Cattaneo, Manzoni? E ci rendiamo conto che tutto questo produrrà disaffezione per la politica, astensionismo e quindi dittatura di coloro che l'hanno provocato?
Una delle domande che circolano in questi giorni è: "Che cosa possono fare gli onesti?". Dico subito che la nozione di "onesti" mi pare inapplicabile, visto che i ladri non hanno più il ghigno riconoscibile di Cavallero ma siedono accanto a noi al ristorante, vestiti da persone per bene. Di qui il senso di disorientamento che coglie moltissimi. Non è come in quei casi di rapina, stupro, malavita notturna che puoi (sia pure per decisione criticabilissima) costituire pattuglie di vigilantes. Non sai dove colpire e da chi guardarti.
Non credo si possano costituire gruppi di cittadini obbedienti alle leggi che in qualche modo, con attività culturali, appelli morali, nuovi impegni politici, possano fare un proselitismo che quasi suona a ideale deamicisiano. Viene da pensare a quel romanzo ingiustamente dimenticato di Giovanni Mosca, "La lega degli onesti", dove alla fine i presunti onesti, definendosi come tali, diventano peggio dei disonesti.
Sto pensando - come ultima spiaggia - a una serie di reazioni individuali, al richiamo certamente moralistico a una vita proba e riservata. Non sappiamo ormai chi siano gli onesti, che vediamo persino andare a messa, ma ciascuno può sapere con certezza se paga le tasse, non ha mai dato o ricevuto bustarelle, e fa il suo mestiere come si deve. E allora bisogna essere astuti come colombe, vivere una vita più ritirata e isolare in qualche modo coloro di cui sospettiamo.
Ci invitano a una cena che si annuncia fastosa? Ci propongono una vacanza in barca? Non ci si va. Notiamo facce nuove nel circolo che frequentavamo? Si danno le dimissioni. Ci invitano all'inaugurazione di un ente benefico? Se proprio non siamo sicuri di che si tratti, ci si defila. Non c'è niente di male se qualcuno si concede una dozzina di ostriche, ma è sospetto che le offra anche a noi e a molti altri, gratis.
Riduciamo le nostre frequentazioni, stabiliamo - se tutti parteciperanno a questo richiamo ascetico - una sorta di mobbing nei confronti di tutti coloro che ci paiono spendere con troppa disinvoltura o cambiano macchina con troppa frequenza, anche se il nostro sospetto può essere ingiusto.
Secondo Wikipedia il mobbing è "un insieme di comportamenti violenti (abusi psicologici, angherie, vessazioni, dimensionamento, emarginazione, umiliazioni, maldicenze, ostracizzazione, etc.) perpetrati da parte di uno o più individui nei confronti di un altro individuo, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso". Troppo. Si può esercitare il mobbing senza mettere in opera comportamenti violenti, abusi psicologici o maldicenze: basta attuare forme di emarginazione.
Fare mobbing si può ridurre a dire "io con te non ci parlo", e lo si può dire anche stando zitti. Si potrebbe arrivare, a lungo andare, alla manifestazione evidente del comportamento di una parte della popolazione che non accetta più certe frequenze, che si sottrae con noncuranza all'interessamento spesso affettuoso di chi ci vorrebbe a copertura della propria vita pubblica e privata. Fare il deserto intorno ad alcuni.
E attenersi in ogni circostanza al detto aureo che mi comunicava mio padre: «Se qualcuno vuole darmi qualcosa che non mi pare aver meritato, tanto per cominciare io chiamo i carabinieri».
Umberto Eco per La Repubblica
Sono arrivato a Milano nell'autunno del 1954, conquistato dalla possibilità di andare a teatro quasi ogni sera, e siccome eravamo giovani funzionari televisivi, gli attori e i registi che venivano in Studio 1 ci trovavano sempre i biglietti omaggio. Le
Starlette di allora, annunciatrici, presentatrici, comparse, venivano dopo lo spettacolo con noi, giovanotti squattrinati, e andavamo a ballare al Santa Tecla.
Quelle tra loro che avevano bisogno di denaro facevano, accollatissime, i fotoromanzi o, in camicetta e jeans, apparivano sui muri della città mentre spalmavano il Ducotone. La peccatrice ufficiale del Santa Tecla andava vestita di nero, col trucco chiaro di luna, e si faceva chiamare Olivia l'esistenzialista. Hanno poi sposato tutte impiegati, garagisti, venditori di aspirapolvere.
Andavamo molto al cinema e vedevamo storie che si svolgevano in Sudamerica, dove il criminale passava la frontiera mettendo un biglietto da cinquanta dollari nel passaporto, l'agente incassava e lasciava passare. In quei luoghi regnava, apprendevamo, la corruzione generalizzata.
COSTRUIRE IL NEMICO
Beati noi che vivevamo in una città civile, capitale morale d'Italia, dove la criminalità era prevedibile e localizzata, un matto che uccideva a martellate la moglie e i figli dell'amante, poi verso gli anni Sessanta rapinatori quasi professionisti che emulavano i film di gangster, ma alla fine si facevano prendere, come Cavallero; e per il resto piccola malavita da Porta Romana bella, roba da commissario
Nardone. Salivano a Milano migliaia di meridionali, e i Cipputi di allora gli dicevano «Tas ti, brütt terun!», ma giocando insieme a scopone all'osteria, e gli offrivano da bere.
Di quel che accadeva al Sud si sapeva poco, e si guardava a Roma come a una sentina di vizi, coi deputati democristiani che i disegnatori comunisti rappresentavano come "forchettoni", e le follie della dolce vita. Ma il mondo dell'imprenditoria milanese viveva corazzato nelle proprie impenetrabili fortezze, i banchieri si chiamavano Cuccia o addirittura Leo Valiani, o Mattioli che a quanto mi risulta non aveva una barca ma finanziava i classici della letteratura italiana delle edizioni Ricciardi.
Gli artisti passavano le sere al bar Giamaica, e mangiavano per pochi soldi alla
table d'hôte delle sorelle Pirovini, gli scrittori conducevano vita morigerata come Montale chiuso in un ufficetto del Corriere della Sera. In televisione apparivano le prime ballerine in calze nere, ma negli studi di Corso Sempione si allestivano per i programmi di prima serata Shakespeare, Pirandello o, al peggio, Rosso di San Secondo; il giovedì sera i cinematografi sospendevano la proiezione, mettevano un televisore sotto lo schermo, e tutti seguivano con orgasmo massmediatico "Lascia o raddoppia?"; la satira politica era sommessa, ma Tognazzi e Vianello avevano osato imitare il presidente Gronchi che era caduto da una sedia alla Scala (Tognazzi cadeva e Vianello gli chiedeva: «Ma chi ti credi di essere?»). Era scoppiato uno scandalo nazionale, ma insomma. Andava in onda "Tribuna Politica", dove giornalisti e parlamentari parlavano uno alla volta.
Ogni sera si poteva trovare un dibattito o alla Casa della Cultura, o al Circolo Turati o, poi, a quello di Via De Amicis, ma anche dai gesuiti del San Fedele. Dal centro di fonologia musicale di Corso Sempione si diffondevano le nuove esperienze di musica elettronica e, sia pure tra qualche fischio, alla Scala apparivano Schoenberg, Webern e poi Luciano Berio.
Era Milano centro di cultura, sede delle grandi case editrici, ombelico del mondo produttivo. Era una città bianca che non prendeva ordini neppure dal Vaticano e faceva il carnevale in una data tutta sua, ma poteva mandare al governo della città i socialisti storici.
Milano ha cominciato a mutare volto col Sessantotto, e poi con la città che si svuotava a sera nel periodo del terrorismo, ma questo non metteva in questione la tenuta dei partiti e dello Stato. E la vita era ripresa negli anni Ottanta con qualche cedimento a un "edonismo reaganiano" e con quella che solo dopo sarebbe stata chiamata la "Milano da bere".
All'inizio degli anni Novanta si era scoperto che nella capitale morale si era sviluppata una politica fatta di bustarelle e tangenti, ma anche allora si pensava che i corrotti - e in grandissima parte era vero - praticassero la corruzione non per arricchire se stessi bensì per foraggiare la propria parte politica.
Il male però si era diffuso e si è avvertito in quei decenni un calo dell'attività culturale, nel senso che scomparivano i centri di discussione e di dibattito. Milano sonnecchiava. Ricordo che durante l'amministrazione leghista di Formentini si era tentato un rilancio della gloriosa Triennale (uno dei vanti della città), ma da una riunione a cui aveva partecipato tutto il mondo culturale milanese erano rimasti assenti e il sindaco e l'assessore alla cultura (anche se bisogna ammettere che il rilancio della Triennale è poi avvenuto a opera delle successive amministrazioni di centro destra).
Eppure l'idea di una Milano come sorgente di innovazione aveva convinto molte persone rispettabili che persino la discesa in campo di Berlusconi fosse un tentativo di introdurre nell'agone politico, agonizzante dopo Mani Pulite, il mondo sano dell'imprenditoria. Illusione durata pochissimo, ma anche questa illusione aveva testimoniato del mito di una Milano sana contro la capitale corrotta che infettava la nazione.
Anche i più ingenui si sono poi accorti che una nuova forza che si basava sul conflitto d'interessi, e quindi sulla difesa dell'interesse privato, non poteva essere che fonte di successiva corruzione - e i meno ingenui hanno avvertito che si apriva per loro l'epoca di una Italia da bere.
Così è accaduto quello a cui stiamo assistendo, scandalo dopo scandalo, con la scoperta che Milano era sorella di Roma nell'introdurre nel gioco uomini che si davano alla politica nel solo intento di arricchirsi personalmente. Ma ancora lì, per molto, si pensava che Milano non fosse tuttavia Palermo, era forse diventata una
città di disonesti ma non di mafiosi.
Ed ora eccoci al rendimento dei conti: non solo la politica milanese si trova compromessa con la 'ndrangheta ma addirittura ormai appare che non è la politica a usare la 'ndrangheta bensì la 'ndrangheta a usare la politica, che prende ordini dai suoi sgherri, piange e si umilia di fronte alle loro minacce, ha creduto di emulare politici romani che sapevano sfruttare la mafia, ma di quelli non avevano l'astuzia e il pelo sullo stomaco. Milano che non voleva prendere ordini da Roma ladrona
e disprezzava il meridione, si è ridotta a prendere ordini dal peggio del profondo Sud.
Come se ne esce, come purificare una città in cui il potere criminale, quasi indistinguibile da certe frange del potere politico, è imprendibile, non facilmente identificabile e nessun commissario Nardone è in grado di spezzare una orrenda catena di complicità? Siamo entrati nella fase sudamericana della Lombardia di Berchet, Cattaneo, Manzoni? E ci rendiamo conto che tutto questo produrrà disaffezione per la politica, astensionismo e quindi dittatura di coloro che l'hanno provocato?
Una delle domande che circolano in questi giorni è: "Che cosa possono fare gli onesti?". Dico subito che la nozione di "onesti" mi pare inapplicabile, visto che i ladri non hanno più il ghigno riconoscibile di Cavallero ma siedono accanto a noi al ristorante, vestiti da persone per bene. Di qui il senso di disorientamento che coglie moltissimi. Non è come in quei casi di rapina, stupro, malavita notturna che puoi (sia pure per decisione criticabilissima) costituire pattuglie di vigilantes. Non sai dove colpire e da chi guardarti.
Non credo si possano costituire gruppi di cittadini obbedienti alle leggi che in qualche modo, con attività culturali, appelli morali, nuovi impegni politici, possano fare un proselitismo che quasi suona a ideale deamicisiano. Viene da pensare a quel romanzo ingiustamente dimenticato di Giovanni Mosca, "La lega degli onesti", dove alla fine i presunti onesti, definendosi come tali, diventano peggio dei disonesti.
Sto pensando - come ultima spiaggia - a una serie di reazioni individuali, al richiamo certamente moralistico a una vita proba e riservata. Non sappiamo ormai chi siano gli onesti, che vediamo persino andare a messa, ma ciascuno può sapere con certezza se paga le tasse, non ha mai dato o ricevuto bustarelle, e fa il suo mestiere come si deve. E allora bisogna essere astuti come colombe, vivere una vita più ritirata e isolare in qualche modo coloro di cui sospettiamo.
Ci invitano a una cena che si annuncia fastosa? Ci propongono una vacanza in barca? Non ci si va. Notiamo facce nuove nel circolo che frequentavamo? Si danno le dimissioni. Ci invitano all'inaugurazione di un ente benefico? Se proprio non siamo sicuri di che si tratti, ci si defila. Non c'è niente di male se qualcuno si concede una dozzina di ostriche, ma è sospetto che le offra anche a noi e a molti altri, gratis.
Riduciamo le nostre frequentazioni, stabiliamo - se tutti parteciperanno a questo richiamo ascetico - una sorta di mobbing nei confronti di tutti coloro che ci paiono spendere con troppa disinvoltura o cambiano macchina con troppa frequenza, anche se il nostro sospetto può essere ingiusto.
Secondo Wikipedia il mobbing è "un insieme di comportamenti violenti (abusi psicologici, angherie, vessazioni, dimensionamento, emarginazione, umiliazioni, maldicenze, ostracizzazione, etc.) perpetrati da parte di uno o più individui nei confronti di un altro individuo, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso". Troppo. Si può esercitare il mobbing senza mettere in opera comportamenti violenti, abusi psicologici o maldicenze: basta attuare forme di emarginazione.
Fare mobbing si può ridurre a dire "io con te non ci parlo", e lo si può dire anche stando zitti. Si potrebbe arrivare, a lungo andare, alla manifestazione evidente del comportamento di una parte della popolazione che non accetta più certe frequenze, che si sottrae con noncuranza all'interessamento spesso affettuoso di chi ci vorrebbe a copertura della propria vita pubblica e privata. Fare il deserto intorno ad alcuni.
E attenersi in ogni circostanza al detto aureo che mi comunicava mio padre: «Se qualcuno vuole darmi qualcosa che non mi pare aver meritato, tanto per cominciare io chiamo i carabinieri».
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Re: Come se ne viene fuori ?
Il Paese allo sbando – 70
Diario di un disastro annunciato – 15 ottobre 2012 – 1
Perché il patatrak è inevitabile - Verso la Repubblica di Weimar - 8
La presa di coscienza del Paese - 1
Stamani Il Fatto, è per la prima volta in edicola al lunedì, e lo fa in maniera scoppiettante con un veste grafica rinnovata e con una serie di articoli del tipo “Da conservare”.
Il Fatto ha commissionato a Demoskopea un sondaggio su “L’altra politica”, che Salvatore Cannavò, in apertura del suo servizio non esita a definire:
Il sondaggio Demoskopea, commissionato dal Fatto, su “L’altra politica” consegna un giudizio impietoso sull’attuale politica. Non si salva nessuno.
Uno su due per il momento non voterà. Gli italiani sono troppo arrabbiati e pessimisti. Non si fidano delle istituzioni. Sono distanti dai partiti tradizionali e, guardando alle possibili novità politiche scommettono su Beppe Grillo e Matteo Renzi. Delusi e rassegnati, non smettono però di credere nell’impegno civile e in valori importanti.
A questo articolo che mi auguro Il Fatto pubblichi integralmente in rete con tanto di tabelle, è legato con un filo rosso al post pubblicato da mario in“quo vadis PD ????” “Ciao Walter……Addio Monti”, che dall’impostazione mi sembra farina del sacco di Sandra Bonsanti.
Scrive l’autrice:
Bisogna però convincerci che niente è normale, di questi tempi. E dunque possono accadere due cose abbastanza strane: la prima che si cambi alleanza così in fretta. E la seconda, mi duole dirlo, che gli altri due della coalizione, Vendola e Nencini, accettino pari pari un testo che andava bene a Casini e ora va bene a loro, con minimi ritocchi.
Tanto più che invece sia la prima che la seconda stesura della carta prevedono regole di ingaggio, diciamo pure un patto di ferro, che per cortesia viene chiamato “impegno” che rivela il terrore di finire come il governo Prodi
E tutto questo sta dentro a tutto il malessere che gli italiani sentono e manifestano nei confronti della politica corrente.
Diario di un disastro annunciato – 15 ottobre 2012 – 1
Perché il patatrak è inevitabile - Verso la Repubblica di Weimar - 8
La presa di coscienza del Paese - 1
Stamani Il Fatto, è per la prima volta in edicola al lunedì, e lo fa in maniera scoppiettante con un veste grafica rinnovata e con una serie di articoli del tipo “Da conservare”.
Il Fatto ha commissionato a Demoskopea un sondaggio su “L’altra politica”, che Salvatore Cannavò, in apertura del suo servizio non esita a definire:
Il sondaggio Demoskopea, commissionato dal Fatto, su “L’altra politica” consegna un giudizio impietoso sull’attuale politica. Non si salva nessuno.
Uno su due per il momento non voterà. Gli italiani sono troppo arrabbiati e pessimisti. Non si fidano delle istituzioni. Sono distanti dai partiti tradizionali e, guardando alle possibili novità politiche scommettono su Beppe Grillo e Matteo Renzi. Delusi e rassegnati, non smettono però di credere nell’impegno civile e in valori importanti.
A questo articolo che mi auguro Il Fatto pubblichi integralmente in rete con tanto di tabelle, è legato con un filo rosso al post pubblicato da mario in“quo vadis PD ????” “Ciao Walter……Addio Monti”, che dall’impostazione mi sembra farina del sacco di Sandra Bonsanti.
Scrive l’autrice:
Bisogna però convincerci che niente è normale, di questi tempi. E dunque possono accadere due cose abbastanza strane: la prima che si cambi alleanza così in fretta. E la seconda, mi duole dirlo, che gli altri due della coalizione, Vendola e Nencini, accettino pari pari un testo che andava bene a Casini e ora va bene a loro, con minimi ritocchi.
Tanto più che invece sia la prima che la seconda stesura della carta prevedono regole di ingaggio, diciamo pure un patto di ferro, che per cortesia viene chiamato “impegno” che rivela il terrore di finire come il governo Prodi
E tutto questo sta dentro a tutto il malessere che gli italiani sentono e manifestano nei confronti della politica corrente.
Re: Come se ne viene fuori ?
Sto fuori 5 giorni e quando torno mi ritrovo
Bersani che fa la pace con Vendola facendo incavolare Casini
Il Formigù che in conferenza stampa parla in terza persona ( nessuno lo ha avvertito che lo faceva Napoleone e per ultimo Scilipoti? )
Veltroni che fa il padre nobile e si fa da parte
D'alema dice che rimane se glielo chiede il partito ...mmh...ma il partito dei 700 che hanno firmato per farlo rimanere o il partito degli elettori del PD ?
Dipietro che si è fatto 4 conti con l'abaco nuovo e dall'alto del suo 4% adesso cerca di intrufolarsi nelle primarie di coalizione
la pdl in caduta libera , tentando di emulare il pazzo scatenato che si è lanciato da 39000 metri superando il muro del suono
.... se è così ...next time sto fuori più a lungo e risolviamo un pò di cosette.
Bersani che fa la pace con Vendola facendo incavolare Casini
Il Formigù che in conferenza stampa parla in terza persona ( nessuno lo ha avvertito che lo faceva Napoleone e per ultimo Scilipoti? )
Veltroni che fa il padre nobile e si fa da parte
D'alema dice che rimane se glielo chiede il partito ...mmh...ma il partito dei 700 che hanno firmato per farlo rimanere o il partito degli elettori del PD ?
Dipietro che si è fatto 4 conti con l'abaco nuovo e dall'alto del suo 4% adesso cerca di intrufolarsi nelle primarie di coalizione
la pdl in caduta libera , tentando di emulare il pazzo scatenato che si è lanciato da 39000 metri superando il muro del suono
.... se è così ...next time sto fuori più a lungo e risolviamo un pò di cosette.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Il Paese allo sbando – 71
Diario di un disastro annunciato – 16 ottobre 2012 – 1
Perché il patatrak è inevitabile - Verso la Repubblica di Weimar - 7
La presa di coscienza del Paese - 2
Sostiene la “Bonsanti”:
Bisogna però convincerci che niente è normale, di questi tempi. E dunque possono accadere due cose abbastanza strane: la prima che si cambi alleanza così in fretta. E la seconda, mi duole dirlo, che gli altri due della coalizione, Vendola e Nencini, accettino pari pari un testo che andava bene a Casini e ora va bene a loro, con minimi ritocchi.
La presidente di LeG, è di animo fondamentalmente buono tanto che davanti ad una guida del carro funebre del partito dei defunti che oscilla tra uno sbandamento a destra e poi repentinamente a sinistra lungo la strada, avendo escluso che il conduttore sia attualmente in stato di ubriachezza, attribuisce la responsabilità di questa strana guida ai tempi in cui viviamo.
Io che sono molto, molto, molto più malfidente di lei, do un’altra lettura di quello che accade.
- In primo luogo Bersani deve difendere le sue posizioni nei confronti di Renzi. Se Renzi i voti li cerca a destra, compresa la destra del partito dei defunti, diventa obbligatorio per Bersani cercarli a sinistra.
L’alleanza con Vendola è il miglior alibi. La strada che porta alle elezioni è completamente minata, e il richiamo ai merli di “sinistra” diventa un obbligo. Poi, in caso di ballottaggio con Renzi, Bersani si è assicurato che una parte dei vendoliani lo sostenga per evitare a tutti i costi che il sindaco di Firenze diventi il candidato premier.
- In secondo luogo, l’osservazione per cui Bersani fa accettare a Nencini e Vendola lo stesso testo che va bene a Casini è perché ha in mente il solito servizietto da praticare a secco ai merloni di sinistra.
Bersani sa che con questa alleanza mini non potrà governare e quindi tenterà la forzatura dell’associazione dell’U Dc al nuovo governo a giochi fatti. Cercherà di mettere tutti quanti davanti al fatto compiuto prospettando come alternativa l’apocalisse. Lo si vede chiaramente dalle scelte praticate perché imbarca il Psi con un irrisorio 1,3 % ed esclude l’Idv al 5,8 %. Sull’Idv c’è il veto assoluto di Casini. I socialisti di Nencini sono invece un partito perfetto da POLTRONE & FORCHETTE, completamente insignificante che non disturba Casini. Vendola personalmente è adatto nella prospettiva di POLTRONE & FORCHETTE, il Sel decisamente meno, quindi accontentare Casini escludendo l’Idv a Bersani conviene.
Il patto d’intenti è largamente giudicato negativamente, ma a Peppone non gliene frega più di tanto, lui è della vecchia scuola che si ispira a Mussolini. L’Italia è femmina e quindi deve essere fottuta e ai pepponi fare la parte della femmina fottuta sembra che piaccia più di quanto si possa immaginare.
La partita ancora più scorretta la sta facendo Vendola perché è tutt’altro che stupido e oggi gli piace raccontare un niet esclusivo per incompatibilità con Casini. Ma domani di fronte all’apocalisse saprà tirarsi indietro assumendosi tutte le responsabilità??? Perché non chiede un impegno netto al Pd di escludere in qualsiasi condizione l’alleanza con Casini???
Diario di un disastro annunciato – 16 ottobre 2012 – 1
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La presa di coscienza del Paese - 2
Sostiene la “Bonsanti”:
Bisogna però convincerci che niente è normale, di questi tempi. E dunque possono accadere due cose abbastanza strane: la prima che si cambi alleanza così in fretta. E la seconda, mi duole dirlo, che gli altri due della coalizione, Vendola e Nencini, accettino pari pari un testo che andava bene a Casini e ora va bene a loro, con minimi ritocchi.
La presidente di LeG, è di animo fondamentalmente buono tanto che davanti ad una guida del carro funebre del partito dei defunti che oscilla tra uno sbandamento a destra e poi repentinamente a sinistra lungo la strada, avendo escluso che il conduttore sia attualmente in stato di ubriachezza, attribuisce la responsabilità di questa strana guida ai tempi in cui viviamo.
Io che sono molto, molto, molto più malfidente di lei, do un’altra lettura di quello che accade.
- In primo luogo Bersani deve difendere le sue posizioni nei confronti di Renzi. Se Renzi i voti li cerca a destra, compresa la destra del partito dei defunti, diventa obbligatorio per Bersani cercarli a sinistra.
L’alleanza con Vendola è il miglior alibi. La strada che porta alle elezioni è completamente minata, e il richiamo ai merli di “sinistra” diventa un obbligo. Poi, in caso di ballottaggio con Renzi, Bersani si è assicurato che una parte dei vendoliani lo sostenga per evitare a tutti i costi che il sindaco di Firenze diventi il candidato premier.
- In secondo luogo, l’osservazione per cui Bersani fa accettare a Nencini e Vendola lo stesso testo che va bene a Casini è perché ha in mente il solito servizietto da praticare a secco ai merloni di sinistra.
Bersani sa che con questa alleanza mini non potrà governare e quindi tenterà la forzatura dell’associazione dell’U Dc al nuovo governo a giochi fatti. Cercherà di mettere tutti quanti davanti al fatto compiuto prospettando come alternativa l’apocalisse. Lo si vede chiaramente dalle scelte praticate perché imbarca il Psi con un irrisorio 1,3 % ed esclude l’Idv al 5,8 %. Sull’Idv c’è il veto assoluto di Casini. I socialisti di Nencini sono invece un partito perfetto da POLTRONE & FORCHETTE, completamente insignificante che non disturba Casini. Vendola personalmente è adatto nella prospettiva di POLTRONE & FORCHETTE, il Sel decisamente meno, quindi accontentare Casini escludendo l’Idv a Bersani conviene.
Il patto d’intenti è largamente giudicato negativamente, ma a Peppone non gliene frega più di tanto, lui è della vecchia scuola che si ispira a Mussolini. L’Italia è femmina e quindi deve essere fottuta e ai pepponi fare la parte della femmina fottuta sembra che piaccia più di quanto si possa immaginare.
La partita ancora più scorretta la sta facendo Vendola perché è tutt’altro che stupido e oggi gli piace raccontare un niet esclusivo per incompatibilità con Casini. Ma domani di fronte all’apocalisse saprà tirarsi indietro assumendosi tutte le responsabilità??? Perché non chiede un impegno netto al Pd di escludere in qualsiasi condizione l’alleanza con Casini???
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Re: Come se ne viene fuori ?
Il Paese allo sbando – 72
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La presa di coscienza del Paese - 3
Oltre al quadro fornito ieri da IFQ del lunedì, oggi si aggiunge questo sondaggio del sociologo Finzi.
“Il governo tecnico genera infelicità”, italiani mai così pessimisti
Lo rivelano una serie di sondaggi di AstraRicerche condotti dal sociologo Enrico Finzi su un campione rappresentativo della popolazione e pubblicati per la prima volta nel libro "Felici malgrado". Gli italiani hanno perso la speranza ma dimostrano una forte capacità di adattamento: l'impegno sociale e civile è in netta crescita e le donne sono il vero nuovo soggetto di cambiamento
di Mauro Meggiolaro
| 16 ottobre 2012Commenti (223)
Gli italiani sono sempre più depressi e infelici. Ce n’eravamo accorti confrontandoci con i nostri amici e familiari o leggendo le mail di chi chiede aiuto perché ha perso il lavoro ed è disposto a fare qualsiasi cosa pur di mantenersi a galla. Ma l’aspetto più preoccupante è che proprio in questi ultimi mesi la felicità dichiarata dalla popolazione non è mai stata a livelli così bassi dal dopoguerra. A rivelarlo è il libro Felici malgrado, curato dal sociologo Enrico Finzi per Ecomunicare, che ilfattoquotidiano.it ha ottenuto in esclusiva.
“Nel 2011-2012 la felicità dichiarata è caduta all’improvviso, coinvolgendo aree e soggetti prima solidi, sicuri”, si legge nello studio. “Una serie di onde sismiche ha cambiato il panorama sociale di colpo. Come nel 1917 il fronte ha ceduto di schianto, come una seconda rotta di Caporetto”. Per capire l’entità del disastro basta leggere i primi numeri pubblicati nel testo del libro, elaborato in base a un serie di sondaggi di AstraRicerche su un campione rappresentativo della popolazione composto complessivamente da 5.000 cittadini italiani dai 18 ai 74 anni. Se fino al 2010, per decenni, la percentuale degli italiani che si definiscono felici è rimasta – di sondaggio in sondaggio – pressoché fissa attestandosi intorno al 39%, dall’inizio del 2011 tutto è saltato e il “termometro della felicità” ha cominciato a scendere sempre più velocemente: a metà 2012 gli infelici integrali sono aumentati dal 12% di due anni prima fino al 17%, mentre i davvero appagati dell’esistenza sono crollati dal 39% al 29%. In meno di due anni l’area sociale connotata dalla piena gioia di vivere ha perso più di un quarto dei propri componenti in meno di due anni. Un fenomeno inedito e drammatico.
Se si passa poi alla percezione della condizione economica (personale e dei familiari) il dato è ancora più chiaro: all’inizio di luglio 2012 ben il 70% degli intervistati ha affermato che “le cose vanno male o malissimo”. Nel gennaio del 2010 la percentuale degli insoddisfatti del proprio tenore di vita era ancora minoritaria (48%): il passaggio dal lento calo al vero e proprio tracollo si è avviato nel giugno del 2011, quando la quota di contenti era pari al 55%. Le cose non vanno meglio se si parla del futuro atteso. Gli italiani pessimisti sulle proprie prospettive a breve termine hanno superato il 61%: erano il 37% a inizio 2010. Come se non bastasse, secondo il 58% degli intervistati il quadro non migliorerà nei prossimi tre anni e il futuro risulta portatore di felicità solo per il 25% della popolazione.
“Ciò che preoccupa non è solo il peggioramento delle condizioni economiche quanto la fine della speranza, il senso di perdita prospettica”, spiega Enrico Finzi. “Si tratta di una novità radicale nella storia post-bellica”. I motivi principali dell’infelicità diffusa e del pessimismo sono noti: disoccupazione in aumento, inoccupazione dei giovani, ridimensionamento di redditi e risparmi, calo della protezione del welfare, aumento della pressione fiscale. Ma a pesare di più è “il furto di futuro” sofferto da una parte crescente degli italiani. “Il risultato è la diffusione della depressione paralizzante appesantita da una sorta di spread psicologico, che ha esteso il divario di ottimismo tra l’Italia – in passato uno dei paesi meno pessimisti – e gli altri popoli, ad eccezione di greci e spagnoli”, continua Finzi.
L’infelicità del governo Monti
Un altro aspetto inedito rilevato dai sondaggi è la valutazione del governo Monti. All’inizio di settembre 2012 il rapporto tra chi lo considera “creatore della propria infelicità” e chi lo giudica felicitante era di quindici a uno: il peggiore della storia post-bellica conosciuta. “Sia ben chiaro, Mario Monti continua a godere dell’approvazione di un italiano su due. E’ il suo governo che genera insoddisfazione. Monti paga dazio per il suo team di ministri, che costituiscono una gigantesca macchina generatrice di infelicità senza precedenti”, spiega Enrico Finzi. I tecnici sono messi all’indice perché avrebbero alterato il patto sociale senza considerare appieno le conseguenze drammatiche delle loro azioni. “Non si può dire a chi è a uno, due, tre anni dalla pensione che non può più andarci. Non si possono cambiare le regole dopo un’intera vita di lavoro”, continua Finzi. “Non a caso dopo il provvedimento Fornero la fascia di italiani che si ritengono maggiormente pessimisti e depressi è scivolata verso l’alto, dai 45-54enni ai 55-64enni“. Dei tecnici hanno deluso, paradossalmente, proprio gli errori tecnici dei provvedimenti. “Solo per fare un esempio l’estensione a 60-90 giorni della pausa obbligatoria per i contratti a termine ha gettato le persone in uno stato di ancora maggiore precarietà e delusione”. Dai sondaggi sembra arrivare dagli italiani un “no” inequivocabile ai tecnici. Non solo perché si sarebbero dimostrati impreparati proprio sul loro terreno, ma anche perché è percepito in modo crescente il basso livello di democraticità delle loro scelte.
Un rinnovato impegno politico e sociale
Non è però il caso di abbandonarsi alla disperazione. Gli italiani, come hanno sempre dimostrato nella storia, continuano ad essere resilienti. Hanno una forte capacità di adattamento e proprio in un periodo di crisi come questo in cui ci si aspetterebbe un ritorno al tutti contro tutti, all’homo homini lupus di Hobbes, sono tornati con forza all’impegno politico e sociale. “Quasi un italiano su due si impegna per migliorare la propria condizione e la tendenza è in netta crescita”, spiega Finzi. “Ci si impegna per migliorare la propria felicità nel privato, negli affetti, ma anche per aiutare il paese ad uscire dalla crisi: si stanno ritrovando le ragioni della solidarietà, della cooperazione e della responsabilità individuale”.
Se da una parte c’è una rabbia diffusa che è una pre-condizione per ondate di violenza incontrollata, dall’altra ci sono sempre più persone che “si impegnano per convogliare la delusione verso forme di reazione concrete alla crisi economica e politica e alla mancanza di leadership: lo si vede chiaramente nella militanza dei giovani moderati pro-Renzi o nell’attivismo del movimento 5 stelle“. L’Italia si trova su un crinale pericolosissimo: da un lato potrebbe cadere in modo disastroso e dell’altro si potrebbe riprendere, “ritrovando la via della politica”, che è chiamata ad intercettare e tradurre in precise scelte programmatiche l’ondata di impegno spontaneo che sta caratterizzando il Paese.
In tutto ciò un ruolo decisivo potrebbero averlo le donne che, in base a quanto si può leggere nel libro “Felici malgrado” emergono come “il vero nuovo soggetto di cambiamento”. Perché sono portatrici di valori, di equità, di care (inteso come preoccupazione per gli altri), leggono più libri, sono ormai appaiate agli uomini nell’uso di Internet e delle tecnologie e sono state molto meno coinvolte nei fenomeni di degenerazione che hanno affossato il nostro paese.
E in un panorama politico nel quale il centrodestra è in “uno stato di necrosi e non riesce, almeno fino ad oggi, ad elaborare un’offerta politica dal basso” mentre il centro “è solo classe dirigente che non è in grado di mobilitare la popolazione”, la sinistra si trova di fronte all’opportunità storica di uscire vincente dalle urne, offrendo una nuova immagine di futuro agli italiani. “Perché il tema della disuguaglianza sociale, sentito dalla stragrande maggioranza della popolazione, fa parte del dna stesso della sinistra italiana”, spiega Finzi e perché in fin dei conti “il centro-sinistra è stato in parte complice della degenerazione del Paese ma con una grande differenza quantitativa rispetto alla destra, travolta dalla pornocleptocrazia del berlusconismo”.
Il libro “Felici malgrado” di Enrico Finzi, edito da Ecomunicare può essere scaricato a partire dal 16 ottobre su Amazon o lulu.com
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10 ... ti/383386/
Diario di un disastro annunciato – 16 ottobre 2012 – 2
Perché il patatrak è inevitabile - Verso la Repubblica di Weimar - 7
La presa di coscienza del Paese - 3
Oltre al quadro fornito ieri da IFQ del lunedì, oggi si aggiunge questo sondaggio del sociologo Finzi.
“Il governo tecnico genera infelicità”, italiani mai così pessimisti
Lo rivelano una serie di sondaggi di AstraRicerche condotti dal sociologo Enrico Finzi su un campione rappresentativo della popolazione e pubblicati per la prima volta nel libro "Felici malgrado". Gli italiani hanno perso la speranza ma dimostrano una forte capacità di adattamento: l'impegno sociale e civile è in netta crescita e le donne sono il vero nuovo soggetto di cambiamento
di Mauro Meggiolaro
| 16 ottobre 2012Commenti (223)
Gli italiani sono sempre più depressi e infelici. Ce n’eravamo accorti confrontandoci con i nostri amici e familiari o leggendo le mail di chi chiede aiuto perché ha perso il lavoro ed è disposto a fare qualsiasi cosa pur di mantenersi a galla. Ma l’aspetto più preoccupante è che proprio in questi ultimi mesi la felicità dichiarata dalla popolazione non è mai stata a livelli così bassi dal dopoguerra. A rivelarlo è il libro Felici malgrado, curato dal sociologo Enrico Finzi per Ecomunicare, che ilfattoquotidiano.it ha ottenuto in esclusiva.
“Nel 2011-2012 la felicità dichiarata è caduta all’improvviso, coinvolgendo aree e soggetti prima solidi, sicuri”, si legge nello studio. “Una serie di onde sismiche ha cambiato il panorama sociale di colpo. Come nel 1917 il fronte ha ceduto di schianto, come una seconda rotta di Caporetto”. Per capire l’entità del disastro basta leggere i primi numeri pubblicati nel testo del libro, elaborato in base a un serie di sondaggi di AstraRicerche su un campione rappresentativo della popolazione composto complessivamente da 5.000 cittadini italiani dai 18 ai 74 anni. Se fino al 2010, per decenni, la percentuale degli italiani che si definiscono felici è rimasta – di sondaggio in sondaggio – pressoché fissa attestandosi intorno al 39%, dall’inizio del 2011 tutto è saltato e il “termometro della felicità” ha cominciato a scendere sempre più velocemente: a metà 2012 gli infelici integrali sono aumentati dal 12% di due anni prima fino al 17%, mentre i davvero appagati dell’esistenza sono crollati dal 39% al 29%. In meno di due anni l’area sociale connotata dalla piena gioia di vivere ha perso più di un quarto dei propri componenti in meno di due anni. Un fenomeno inedito e drammatico.
Se si passa poi alla percezione della condizione economica (personale e dei familiari) il dato è ancora più chiaro: all’inizio di luglio 2012 ben il 70% degli intervistati ha affermato che “le cose vanno male o malissimo”. Nel gennaio del 2010 la percentuale degli insoddisfatti del proprio tenore di vita era ancora minoritaria (48%): il passaggio dal lento calo al vero e proprio tracollo si è avviato nel giugno del 2011, quando la quota di contenti era pari al 55%. Le cose non vanno meglio se si parla del futuro atteso. Gli italiani pessimisti sulle proprie prospettive a breve termine hanno superato il 61%: erano il 37% a inizio 2010. Come se non bastasse, secondo il 58% degli intervistati il quadro non migliorerà nei prossimi tre anni e il futuro risulta portatore di felicità solo per il 25% della popolazione.
“Ciò che preoccupa non è solo il peggioramento delle condizioni economiche quanto la fine della speranza, il senso di perdita prospettica”, spiega Enrico Finzi. “Si tratta di una novità radicale nella storia post-bellica”. I motivi principali dell’infelicità diffusa e del pessimismo sono noti: disoccupazione in aumento, inoccupazione dei giovani, ridimensionamento di redditi e risparmi, calo della protezione del welfare, aumento della pressione fiscale. Ma a pesare di più è “il furto di futuro” sofferto da una parte crescente degli italiani. “Il risultato è la diffusione della depressione paralizzante appesantita da una sorta di spread psicologico, che ha esteso il divario di ottimismo tra l’Italia – in passato uno dei paesi meno pessimisti – e gli altri popoli, ad eccezione di greci e spagnoli”, continua Finzi.
L’infelicità del governo Monti
Un altro aspetto inedito rilevato dai sondaggi è la valutazione del governo Monti. All’inizio di settembre 2012 il rapporto tra chi lo considera “creatore della propria infelicità” e chi lo giudica felicitante era di quindici a uno: il peggiore della storia post-bellica conosciuta. “Sia ben chiaro, Mario Monti continua a godere dell’approvazione di un italiano su due. E’ il suo governo che genera insoddisfazione. Monti paga dazio per il suo team di ministri, che costituiscono una gigantesca macchina generatrice di infelicità senza precedenti”, spiega Enrico Finzi. I tecnici sono messi all’indice perché avrebbero alterato il patto sociale senza considerare appieno le conseguenze drammatiche delle loro azioni. “Non si può dire a chi è a uno, due, tre anni dalla pensione che non può più andarci. Non si possono cambiare le regole dopo un’intera vita di lavoro”, continua Finzi. “Non a caso dopo il provvedimento Fornero la fascia di italiani che si ritengono maggiormente pessimisti e depressi è scivolata verso l’alto, dai 45-54enni ai 55-64enni“. Dei tecnici hanno deluso, paradossalmente, proprio gli errori tecnici dei provvedimenti. “Solo per fare un esempio l’estensione a 60-90 giorni della pausa obbligatoria per i contratti a termine ha gettato le persone in uno stato di ancora maggiore precarietà e delusione”. Dai sondaggi sembra arrivare dagli italiani un “no” inequivocabile ai tecnici. Non solo perché si sarebbero dimostrati impreparati proprio sul loro terreno, ma anche perché è percepito in modo crescente il basso livello di democraticità delle loro scelte.
Un rinnovato impegno politico e sociale
Non è però il caso di abbandonarsi alla disperazione. Gli italiani, come hanno sempre dimostrato nella storia, continuano ad essere resilienti. Hanno una forte capacità di adattamento e proprio in un periodo di crisi come questo in cui ci si aspetterebbe un ritorno al tutti contro tutti, all’homo homini lupus di Hobbes, sono tornati con forza all’impegno politico e sociale. “Quasi un italiano su due si impegna per migliorare la propria condizione e la tendenza è in netta crescita”, spiega Finzi. “Ci si impegna per migliorare la propria felicità nel privato, negli affetti, ma anche per aiutare il paese ad uscire dalla crisi: si stanno ritrovando le ragioni della solidarietà, della cooperazione e della responsabilità individuale”.
Se da una parte c’è una rabbia diffusa che è una pre-condizione per ondate di violenza incontrollata, dall’altra ci sono sempre più persone che “si impegnano per convogliare la delusione verso forme di reazione concrete alla crisi economica e politica e alla mancanza di leadership: lo si vede chiaramente nella militanza dei giovani moderati pro-Renzi o nell’attivismo del movimento 5 stelle“. L’Italia si trova su un crinale pericolosissimo: da un lato potrebbe cadere in modo disastroso e dell’altro si potrebbe riprendere, “ritrovando la via della politica”, che è chiamata ad intercettare e tradurre in precise scelte programmatiche l’ondata di impegno spontaneo che sta caratterizzando il Paese.
In tutto ciò un ruolo decisivo potrebbero averlo le donne che, in base a quanto si può leggere nel libro “Felici malgrado” emergono come “il vero nuovo soggetto di cambiamento”. Perché sono portatrici di valori, di equità, di care (inteso come preoccupazione per gli altri), leggono più libri, sono ormai appaiate agli uomini nell’uso di Internet e delle tecnologie e sono state molto meno coinvolte nei fenomeni di degenerazione che hanno affossato il nostro paese.
E in un panorama politico nel quale il centrodestra è in “uno stato di necrosi e non riesce, almeno fino ad oggi, ad elaborare un’offerta politica dal basso” mentre il centro “è solo classe dirigente che non è in grado di mobilitare la popolazione”, la sinistra si trova di fronte all’opportunità storica di uscire vincente dalle urne, offrendo una nuova immagine di futuro agli italiani. “Perché il tema della disuguaglianza sociale, sentito dalla stragrande maggioranza della popolazione, fa parte del dna stesso della sinistra italiana”, spiega Finzi e perché in fin dei conti “il centro-sinistra è stato in parte complice della degenerazione del Paese ma con una grande differenza quantitativa rispetto alla destra, travolta dalla pornocleptocrazia del berlusconismo”.
Il libro “Felici malgrado” di Enrico Finzi, edito da Ecomunicare può essere scaricato a partire dal 16 ottobre su Amazon o lulu.com
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10 ... ti/383386/
Re: Come se ne viene fuori ?
LA LIBIDINE DELLA SCONFITTA – ALBERTO ASOR ROSA
ROMA 15 ottobre 2012
Ripartirei da un fondo di Norma Rangeri (il manifesto, 29 settembre): «La trappola del tecnico», che condivido pressoché interamente. Sono d’accordo con lei che il pericolo più grande per la sinistra – qualsiasi sinistra – è la ripresentazione, dopo le elezioni politiche del 2013, di un Monti-bis. Non sposo gli accenti di esecrazione e di condanna, che sento spesso pronunciare, ovviamente sempre a sinistra, nei confronti dell’Agenda Monti. Lo sforzo compiuto dal Presidente del Consiglio (un po’ meno, e talvolta molto meno, dai suoi ministri) di elevare il tono delle attività di governo e di restituire dignità all’Italia nei confronti degli stati stranieri e della comunità internazionale (anche noi facciamo parte della Nazione, o no?), non è da sottovalutare. Tuttavia condivido: se Monti dovesse tornare con una qualsiasi manovra parlamentare alla Presidenza del Consiglio dopo il voto sarebbe una iattura per la sinistra, e per l’Italia. Perché?
Innanzi tutto, perché questo non è il nostro governo, e quindi noi pensiamo che non sia il governo giusto per l’Italia. I suoi valori, i suoi obiettivi, la sua mentalità sono radicalmente altri dai nostri. L’idea che equità e giustizia siano i fondamentali parametri di riferimento, intorno ai quali vada costruita la gabbia economica, e non viceversa, non lo tocca. Di questo passo, oltre tutto, si può ammazzare il cavallo prima di risanarlo.
Ma poiché ci sono altri motivi, che vorrei dire soprattutto rivolgendomi ad alcuni miei autorevoli amici, i quali sono di opinione nettamente contraria. La democrazia è una cosa delicata: se lo stato d’emergenza, di fronte al quale abbiamo chinato il capo, si trasforma nella regola, c’è il rischio che le fragili strutture della nostra rappresentanza collassino per sempre. A che servirebbe più il voto se la soluzione, in un modo o nell’altro, è già data in partenza?
Inoltre: preoccupa anche il profluvio d’indicazioni che in tal senso provengono dall’esterno. Capi di stato, banche centrali, economisti e politici di varie nazionalità e colore politico, sono tutti d’accordo: riconfermate Monti. Il migliorato rapporto dell’Italia con il resto del mondo rischia così di trasformarsi in un boomerang: il resto del mondo, invece di stare a guardare rispettosamente come noi più o meno ce la caviamo, ci indica a gran voce quale debba essere il nostro futuro Presidente del Consiglio. Non è un po’ troppo per la nostra dignità nazionale e, ancora una volta, per la nostra fragile democrazia?
Queste però sono soltanto le premesse. Come si può evitare che esse, invece che verso quella giusta, si volgano verso la direzione sbagliata? Qui si torna al voto, al vituperatissimo voto. È in questo ambito che la politica, se c’è, batta un colpo. Per evitare che il Monti-bis prenda corpo non bastano gli anatemi: è necessario che nel voto si manifesti una forza diversa e contraria, talmente significativa per le sue dimensioni e i suoi caratteri, da rendere semplicemente improponibile la ripresentazione del Monti-bis (e, com’è ovvio, di qualsiasi succedaneo pretenda a quel punto di sostituirglisi). Esiste una tale forza nel campo ancora variamente frammentato e scollegato della sinistra?
L’unica che possa aspirare a tale impresa è il Patto Pd-Sel, Bersani-Vendola. Mi appello alla logica prima che alla politica. Per garantirsi che il Monti-bis scompaia effettivamente di scena, occorre con il voto rendere il Patto Pd-Sel così consistente da impedire che si verifichi qualsiasi fuga sulle ali (persino al proprio interno) o verso il Monti-bis oppure verso altre alternative alleanze di stampo moderato. Nell’ambito di quelle che io considero le sciagurate primarie di coalizione vale comunque lo stesso ragionamento. Siccome Bersani ha preso la testa della coalizione, renderlo forte alle primarie significa rendere più forte la coalizione che capeggia. Inoltre: per battere senza incertezze Renzi, bisogna che la coalizione di centrosinistra sia in grado di navigare da sola: ossia dimostrando sin dall’inizio che non c’è bisogno di stampelle moderate perché questo avvenga.
A filo di logica, mi pare, questo ragionamento non teme obiezioni. Ma la logica coincide con la politica? L’obiezione più grossa al mio ragionamento è che il Patto Pd-Sel porta in seno l’Agenda Monti. Non vale votarlo, se non ci sono garanzie che un governo di centro-sinistra di tale natura non sia l’erede, il continuatore, l’alleato di quelle forze cui sarebbe chiamato a subentrare. Mi permetto di dubitare di un giudizio così drastico. Tutti sanno che nel Pd si contrappongono posizioni in materia assai differenziate; molto dipende dalla natura di quel partito, caoticamente stratificatosi nel tempo. Il rischio dunque è reale: ma io preferirei affrontarlo dopo. Dirò le cose nella maniera più semplice (brutale?) possibile: per vedere come stanno davvero le cose, bisogna vincere; se si vincerà bene, l’Agenda Monti sfumerà persino all’interno del centro-sinistra e sfumerà tanto più quanto il centro-sinistra risulterà vincitore. E questa volta c’è solo un modo di vincere (per non parlare dell’argine da apporre all’ondata travolgente dell’antipolitica, dell’astensionismo, del grillismo, della deflagrazione istituzionale: un grosso successo del centro-sinistra rappresenta l’unico modo per fronteggiarla).
Sarebbe semmai auspicabile un ragionato, consapevole premere dall’esterno alle porte del Patto Pd-Sel, presentando proposte, correzioni, aggiunte, formulando progetti più incisivi e avanzati: onde, come si diceva una volta, «spingere a sinistra» il più possibile la coalizione. È possibile questo? Finora nessuno ci ha mai provato; finora nessuno l’ha mai proposto. Questo è un male. Tempo fa proposi al Pd d’indire un’Assemblea nazionale (e magari regionali, provinciali, ecc.) di programma. La proposta è ancora valida. Ci sarebbe il tempo per fare questo e altro.
Invece c’è in giro, a sinistra, una voglia di frammentazione crescente, una sorta di voglia (del resto assai ben nota) di sopravanzare tutti gli altri in purezza, correttezza, squisitezza di programmi e di idee. È la libidine della sconfitta, che tanta prova di sé ha dato in passato nell’impedire il raggiungimento di risultati già quasi certi e nella dilapidazione di risultati già raggiunti. Speriamo che questa volta sia battuta.
Alberto Asor Rosa – il manifesto
ROMA 15 ottobre 2012
Ripartirei da un fondo di Norma Rangeri (il manifesto, 29 settembre): «La trappola del tecnico», che condivido pressoché interamente. Sono d’accordo con lei che il pericolo più grande per la sinistra – qualsiasi sinistra – è la ripresentazione, dopo le elezioni politiche del 2013, di un Monti-bis. Non sposo gli accenti di esecrazione e di condanna, che sento spesso pronunciare, ovviamente sempre a sinistra, nei confronti dell’Agenda Monti. Lo sforzo compiuto dal Presidente del Consiglio (un po’ meno, e talvolta molto meno, dai suoi ministri) di elevare il tono delle attività di governo e di restituire dignità all’Italia nei confronti degli stati stranieri e della comunità internazionale (anche noi facciamo parte della Nazione, o no?), non è da sottovalutare. Tuttavia condivido: se Monti dovesse tornare con una qualsiasi manovra parlamentare alla Presidenza del Consiglio dopo il voto sarebbe una iattura per la sinistra, e per l’Italia. Perché?
Innanzi tutto, perché questo non è il nostro governo, e quindi noi pensiamo che non sia il governo giusto per l’Italia. I suoi valori, i suoi obiettivi, la sua mentalità sono radicalmente altri dai nostri. L’idea che equità e giustizia siano i fondamentali parametri di riferimento, intorno ai quali vada costruita la gabbia economica, e non viceversa, non lo tocca. Di questo passo, oltre tutto, si può ammazzare il cavallo prima di risanarlo.
Ma poiché ci sono altri motivi, che vorrei dire soprattutto rivolgendomi ad alcuni miei autorevoli amici, i quali sono di opinione nettamente contraria. La democrazia è una cosa delicata: se lo stato d’emergenza, di fronte al quale abbiamo chinato il capo, si trasforma nella regola, c’è il rischio che le fragili strutture della nostra rappresentanza collassino per sempre. A che servirebbe più il voto se la soluzione, in un modo o nell’altro, è già data in partenza?
Inoltre: preoccupa anche il profluvio d’indicazioni che in tal senso provengono dall’esterno. Capi di stato, banche centrali, economisti e politici di varie nazionalità e colore politico, sono tutti d’accordo: riconfermate Monti. Il migliorato rapporto dell’Italia con il resto del mondo rischia così di trasformarsi in un boomerang: il resto del mondo, invece di stare a guardare rispettosamente come noi più o meno ce la caviamo, ci indica a gran voce quale debba essere il nostro futuro Presidente del Consiglio. Non è un po’ troppo per la nostra dignità nazionale e, ancora una volta, per la nostra fragile democrazia?
Queste però sono soltanto le premesse. Come si può evitare che esse, invece che verso quella giusta, si volgano verso la direzione sbagliata? Qui si torna al voto, al vituperatissimo voto. È in questo ambito che la politica, se c’è, batta un colpo. Per evitare che il Monti-bis prenda corpo non bastano gli anatemi: è necessario che nel voto si manifesti una forza diversa e contraria, talmente significativa per le sue dimensioni e i suoi caratteri, da rendere semplicemente improponibile la ripresentazione del Monti-bis (e, com’è ovvio, di qualsiasi succedaneo pretenda a quel punto di sostituirglisi). Esiste una tale forza nel campo ancora variamente frammentato e scollegato della sinistra?
L’unica che possa aspirare a tale impresa è il Patto Pd-Sel, Bersani-Vendola. Mi appello alla logica prima che alla politica. Per garantirsi che il Monti-bis scompaia effettivamente di scena, occorre con il voto rendere il Patto Pd-Sel così consistente da impedire che si verifichi qualsiasi fuga sulle ali (persino al proprio interno) o verso il Monti-bis oppure verso altre alternative alleanze di stampo moderato. Nell’ambito di quelle che io considero le sciagurate primarie di coalizione vale comunque lo stesso ragionamento. Siccome Bersani ha preso la testa della coalizione, renderlo forte alle primarie significa rendere più forte la coalizione che capeggia. Inoltre: per battere senza incertezze Renzi, bisogna che la coalizione di centrosinistra sia in grado di navigare da sola: ossia dimostrando sin dall’inizio che non c’è bisogno di stampelle moderate perché questo avvenga.
A filo di logica, mi pare, questo ragionamento non teme obiezioni. Ma la logica coincide con la politica? L’obiezione più grossa al mio ragionamento è che il Patto Pd-Sel porta in seno l’Agenda Monti. Non vale votarlo, se non ci sono garanzie che un governo di centro-sinistra di tale natura non sia l’erede, il continuatore, l’alleato di quelle forze cui sarebbe chiamato a subentrare. Mi permetto di dubitare di un giudizio così drastico. Tutti sanno che nel Pd si contrappongono posizioni in materia assai differenziate; molto dipende dalla natura di quel partito, caoticamente stratificatosi nel tempo. Il rischio dunque è reale: ma io preferirei affrontarlo dopo. Dirò le cose nella maniera più semplice (brutale?) possibile: per vedere come stanno davvero le cose, bisogna vincere; se si vincerà bene, l’Agenda Monti sfumerà persino all’interno del centro-sinistra e sfumerà tanto più quanto il centro-sinistra risulterà vincitore. E questa volta c’è solo un modo di vincere (per non parlare dell’argine da apporre all’ondata travolgente dell’antipolitica, dell’astensionismo, del grillismo, della deflagrazione istituzionale: un grosso successo del centro-sinistra rappresenta l’unico modo per fronteggiarla).
Sarebbe semmai auspicabile un ragionato, consapevole premere dall’esterno alle porte del Patto Pd-Sel, presentando proposte, correzioni, aggiunte, formulando progetti più incisivi e avanzati: onde, come si diceva una volta, «spingere a sinistra» il più possibile la coalizione. È possibile questo? Finora nessuno ci ha mai provato; finora nessuno l’ha mai proposto. Questo è un male. Tempo fa proposi al Pd d’indire un’Assemblea nazionale (e magari regionali, provinciali, ecc.) di programma. La proposta è ancora valida. Ci sarebbe il tempo per fare questo e altro.
Invece c’è in giro, a sinistra, una voglia di frammentazione crescente, una sorta di voglia (del resto assai ben nota) di sopravanzare tutti gli altri in purezza, correttezza, squisitezza di programmi e di idee. È la libidine della sconfitta, che tanta prova di sé ha dato in passato nell’impedire il raggiungimento di risultati già quasi certi e nella dilapidazione di risultati già raggiunti. Speriamo che questa volta sia battuta.
Alberto Asor Rosa – il manifesto
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Re: Come se ne viene fuori ?
Commento a :
Il migliorato rapporto dell’Italia con il resto del mondo rischia così di trasformarsi in un boomerang: il resto del mondo, invece di stare a guardare rispettosamente come noi più o meno ce la caviamo, ci indica a gran voce quale debba essere il nostro futuro Presidente del Consiglio. Non è un po’ troppo per la nostra dignità nazionale e, ancora una volta, per la nostra fragile democrazia?
ALBERTO ASOR ROSA
L’impressione che se ne trae dalle valutazioni che “”il resto del mondo””” esprime nei confronti del Bel Paese a guida Monti è che questi siano un gran bel gruppo di coglionazzi, superficiali come minimo, ma spesso certamente interessati.
Il tutto è anche suffragato dallo spettacolino che ci offrono dell’andamento dell’economia mondiale. Il mondo, il pianeta sta andando male, molto male, ma certamente la responsabilità non la possiamo addossare alle sore Cesira, Ggina, Camilla, Pina o a Gennaro Esposito portantino al Cardarelli di Napoli, oppure a Mariano Bonocore, faticatore alla stazione marittima di Napoli.
Monty e montiani, si appellano a quello che interessa loro quando fanno riferimento all’estero. Eppure, Christine Lagarde per il Fmi e Mario Draghi per la Bce, non hanno mai nascosto che la ripresa economica in Italia è un elemento ineludibile. La Lagarde, sono almeno dieci mesi che lo sottolinea.
Mario Monty e la sua fattispecie di Professor, ignorano bellamente da sempre le sollecitazioni del Fmi e della Bce.
A parole certamente no, stanno superando il duo Berlusconi-Tremonti, ma a fatti stanno a zero, esattamente come loro.
Pure la sora, Ggina, la sora Camilla, la sora Cesira,..quel che mena el ges, e i sassi, sanno che se solo nei mesi di luglio e agosto 2012, hanno chiuso 41.000 aziende diminuiscono le entrate dello Stato.
Non basta il riacquistato prestigio solo perché per anni una parte di italiani con la complicità di una sinistra fasulla ha permesso che uno scadente attore d’avanspettacolo recitasse la parte del premier.
Qualsiasi altro italiano non appartenente alla categoria “bucanieri” ci avrebbe consentito di riacquistare rispetto, soprattutto se, avesse ben saldo il concetto che questo da sempre è un Paese di trasformazione e che non a caso i padri fondatori hanno voluto mettere al primo posto della Costituzione “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.”
Se la fila al vecchio dazio di Viale Monza si allunga ogni giorno sempre più, dove Pane Quotidiano cerca di alleviare le sofferenze fornendo il minimo indispensabile per sopravvivere una giornata, il Super economista Mario Monty non può pensare che i dati delle perdite Fiat che peggiorano di mese in mese possano invertire di tendenza.
Se poi mi mette pure la tassa sui cani per ciechi e non ha recuperato dopo 11 mesi un solo euro dei 37 miliardi depositati presso le banche svizzere, …tutto non può che peggiorare a vista d’occhio.
Forte con i deboli,….debole con i forti.
Il migliorato rapporto dell’Italia con il resto del mondo rischia così di trasformarsi in un boomerang: il resto del mondo, invece di stare a guardare rispettosamente come noi più o meno ce la caviamo, ci indica a gran voce quale debba essere il nostro futuro Presidente del Consiglio. Non è un po’ troppo per la nostra dignità nazionale e, ancora una volta, per la nostra fragile democrazia?
ALBERTO ASOR ROSA
L’impressione che se ne trae dalle valutazioni che “”il resto del mondo””” esprime nei confronti del Bel Paese a guida Monti è che questi siano un gran bel gruppo di coglionazzi, superficiali come minimo, ma spesso certamente interessati.
Il tutto è anche suffragato dallo spettacolino che ci offrono dell’andamento dell’economia mondiale. Il mondo, il pianeta sta andando male, molto male, ma certamente la responsabilità non la possiamo addossare alle sore Cesira, Ggina, Camilla, Pina o a Gennaro Esposito portantino al Cardarelli di Napoli, oppure a Mariano Bonocore, faticatore alla stazione marittima di Napoli.
Monty e montiani, si appellano a quello che interessa loro quando fanno riferimento all’estero. Eppure, Christine Lagarde per il Fmi e Mario Draghi per la Bce, non hanno mai nascosto che la ripresa economica in Italia è un elemento ineludibile. La Lagarde, sono almeno dieci mesi che lo sottolinea.
Mario Monty e la sua fattispecie di Professor, ignorano bellamente da sempre le sollecitazioni del Fmi e della Bce.
A parole certamente no, stanno superando il duo Berlusconi-Tremonti, ma a fatti stanno a zero, esattamente come loro.
Pure la sora, Ggina, la sora Camilla, la sora Cesira,..quel che mena el ges, e i sassi, sanno che se solo nei mesi di luglio e agosto 2012, hanno chiuso 41.000 aziende diminuiscono le entrate dello Stato.
Non basta il riacquistato prestigio solo perché per anni una parte di italiani con la complicità di una sinistra fasulla ha permesso che uno scadente attore d’avanspettacolo recitasse la parte del premier.
Qualsiasi altro italiano non appartenente alla categoria “bucanieri” ci avrebbe consentito di riacquistare rispetto, soprattutto se, avesse ben saldo il concetto che questo da sempre è un Paese di trasformazione e che non a caso i padri fondatori hanno voluto mettere al primo posto della Costituzione “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.”
Se la fila al vecchio dazio di Viale Monza si allunga ogni giorno sempre più, dove Pane Quotidiano cerca di alleviare le sofferenze fornendo il minimo indispensabile per sopravvivere una giornata, il Super economista Mario Monty non può pensare che i dati delle perdite Fiat che peggiorano di mese in mese possano invertire di tendenza.
Se poi mi mette pure la tassa sui cani per ciechi e non ha recuperato dopo 11 mesi un solo euro dei 37 miliardi depositati presso le banche svizzere, …tutto non può che peggiorare a vista d’occhio.
Forte con i deboli,….debole con i forti.
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Re: Come se ne viene fuori ?
LA VISTA CORTA DELLA POLITICA
Una spenta idea del nostro Paese
Il Paese è nella gabbia della politica dei partiti, ogni giorno succede di tutto ma da anni non cambia nulla
Una gabbia d'acciaio intorno a un corpo piagato, che con la scusa di sorreggerlo in realtà lo tiene prigioniero aggravandone le piaghe: questo oggi è il rapporto in Italia tra la politica e i partiti da un lato, e la compagine sociale dall'altra. Non ci sono cattivi da una parte e buoni dall'altra, no: semplicemente un morto che tiene un vivo che vuole vivere. Il Paese è nella gabbia della politica dei partiti, destinato dalla loro immobilità ad un «presentismo», come lo ha chiamato Roberto Esposito, nel quale ogni giorno succede di tutto ma da anni non cambia nulla. Mai nulla di sostanziale. Consumata nel 1991-93 la frattura con le culture storiche del nostro Novecento (il socialismo, il fascismo, il cattolicesimo politico, il comunismo gramsciano), da allora la politica della Seconda Repubblica è immersa in un torpido presente senza vita. Da vent'anni non è più in grado di immaginare alcun futuro per il Paese, di offrirgli una visione.
Il motivo più vero e profondo è principalmente uno: perché la politica ha smarrito il senso del passato; perché nei suoi attori e nei suoi istituti - come del resto in tanta parte del Paese - si è spenta ogni idea d'Italia e della sua storia; di che cosa sia l'Italia. Distruggere un paesaggio o deturpare una piazza; lasciare che biblioteche, archivi, musei, siti archeologici si sperdano e di fatto muoiano o cadano in rovina; accettare che nomi e luoghi antichi del lavoro e dell'industriosità italiana siano acquisiti dall'estero; consentire che il sistema d'istruzione escluda sempre più dai suoi programmi interi segmenti della cultura nazionale (a cominciare dalla lingua); è questo il vuoto che abbiamo creato, presi troppo spesso dalla fregola insulsa che ciò volesse dire essere «moderni». Senza capire che sul vuoto, però, è impossibile costruire; e che poi, a riempirlo, non bastano le mitologie d'accatto.
Dobbiamo ricominciare dall'Italia, ritornare a guardare ad essa. Sì, l'Europa naturalmente, ma è qui, entro di noi, nella nostra storia, che qualcosa si è inceppato, ed è da qui che dobbiamo ricominciare: dalla necessità di ricostruire un filo e un legame con il passato, di tornare a pensare a ciò che siamo stati. L'unica speranza che il Paese stia in piedi e reagisca, oggi risiede nella sua consapevolezza della propria identità. Non per accrescere il Pil o la produttività, infatti; non per fare i compiti richiesti da qualche lontano maestro; ma solo in nome di un'idea di sé e del proprio destino una comunità può essere chiamata a fare i sacrifici più duri e trovare la forza di rialzarsi. Dobbiamo ricordare quanto ci è costato arrivare fin qui: la nostra originaria miseria, le lotte per vincerla, i morti disseminati lungo tutte le sanguinose vie del Novecento; ma pure le idee, le immagini, i libri, le musiche che sono usciti da questi luoghi. Così come dobbiamo ricordare che la politica non è sempre stata ladrocini, corruzione o ideologie dissennate, ma ha pure voluto dire speranze di libertà e movimenti di emancipazione, intelligenza del mondo, mobilitazione di passioni e di solidarietà, capacità di darsi ad una causa.
Se vuole avere un futuro, l'Italia ha bisogno di tornare a credere in se stessa, e per far ciò ha bisogno di ritrovare quel senso e quel ricordo di sé che ha smarrito. È su questo tavolo che al di là di ogni cosa si giocherà la vera partita del prossimo confronto elettorale. L'alternativa è una sottile disperazione, e il rassegnato governo del declino.
Ernesto Galli Della Loggia
16 ottobre 2012 | 8:52
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/editoriali/12_ot ... 3e23.shtml
Una spenta idea del nostro Paese
Il Paese è nella gabbia della politica dei partiti, ogni giorno succede di tutto ma da anni non cambia nulla
Una gabbia d'acciaio intorno a un corpo piagato, che con la scusa di sorreggerlo in realtà lo tiene prigioniero aggravandone le piaghe: questo oggi è il rapporto in Italia tra la politica e i partiti da un lato, e la compagine sociale dall'altra. Non ci sono cattivi da una parte e buoni dall'altra, no: semplicemente un morto che tiene un vivo che vuole vivere. Il Paese è nella gabbia della politica dei partiti, destinato dalla loro immobilità ad un «presentismo», come lo ha chiamato Roberto Esposito, nel quale ogni giorno succede di tutto ma da anni non cambia nulla. Mai nulla di sostanziale. Consumata nel 1991-93 la frattura con le culture storiche del nostro Novecento (il socialismo, il fascismo, il cattolicesimo politico, il comunismo gramsciano), da allora la politica della Seconda Repubblica è immersa in un torpido presente senza vita. Da vent'anni non è più in grado di immaginare alcun futuro per il Paese, di offrirgli una visione.
Il motivo più vero e profondo è principalmente uno: perché la politica ha smarrito il senso del passato; perché nei suoi attori e nei suoi istituti - come del resto in tanta parte del Paese - si è spenta ogni idea d'Italia e della sua storia; di che cosa sia l'Italia. Distruggere un paesaggio o deturpare una piazza; lasciare che biblioteche, archivi, musei, siti archeologici si sperdano e di fatto muoiano o cadano in rovina; accettare che nomi e luoghi antichi del lavoro e dell'industriosità italiana siano acquisiti dall'estero; consentire che il sistema d'istruzione escluda sempre più dai suoi programmi interi segmenti della cultura nazionale (a cominciare dalla lingua); è questo il vuoto che abbiamo creato, presi troppo spesso dalla fregola insulsa che ciò volesse dire essere «moderni». Senza capire che sul vuoto, però, è impossibile costruire; e che poi, a riempirlo, non bastano le mitologie d'accatto.
Dobbiamo ricominciare dall'Italia, ritornare a guardare ad essa. Sì, l'Europa naturalmente, ma è qui, entro di noi, nella nostra storia, che qualcosa si è inceppato, ed è da qui che dobbiamo ricominciare: dalla necessità di ricostruire un filo e un legame con il passato, di tornare a pensare a ciò che siamo stati. L'unica speranza che il Paese stia in piedi e reagisca, oggi risiede nella sua consapevolezza della propria identità. Non per accrescere il Pil o la produttività, infatti; non per fare i compiti richiesti da qualche lontano maestro; ma solo in nome di un'idea di sé e del proprio destino una comunità può essere chiamata a fare i sacrifici più duri e trovare la forza di rialzarsi. Dobbiamo ricordare quanto ci è costato arrivare fin qui: la nostra originaria miseria, le lotte per vincerla, i morti disseminati lungo tutte le sanguinose vie del Novecento; ma pure le idee, le immagini, i libri, le musiche che sono usciti da questi luoghi. Così come dobbiamo ricordare che la politica non è sempre stata ladrocini, corruzione o ideologie dissennate, ma ha pure voluto dire speranze di libertà e movimenti di emancipazione, intelligenza del mondo, mobilitazione di passioni e di solidarietà, capacità di darsi ad una causa.
Se vuole avere un futuro, l'Italia ha bisogno di tornare a credere in se stessa, e per far ciò ha bisogno di ritrovare quel senso e quel ricordo di sé che ha smarrito. È su questo tavolo che al di là di ogni cosa si giocherà la vera partita del prossimo confronto elettorale. L'alternativa è una sottile disperazione, e il rassegnato governo del declino.
Ernesto Galli Della Loggia
16 ottobre 2012 | 8:52
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