Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?
Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Fausto Bertinotti
Presidente Fondazione Cercare Ancora, ex Presidente della Camera dei deputati
Per un big bang della sinistra
Una forza politica di sinistra può costruirsi in Italia, ce ne sono tutte le condizioni nelle soggettività critiche diffuse che alimentano le lotte. Ora è venuto il momento di porre la questione all'ordine del giorno, sia per necessità storica (l'alternativa irrinviabile all'Europa oligarchica dei mercati e del massacro sociale), sia per le opportunità maturate nel conflitto e nella società.
La necessità è tanto più acuta perché in tutto il Vecchio Continente il centrosinistra è diventato parte organica dell'Europa neoconservatrice che si sta costruendo con il contributo decisivo delle politiche di bilancio. Tanto che in molti autorevolmente sostengono che gli stessi risultati elettorali, in questo quadro, sarebbero ininfluenti sulle scelte di fondo.
Tutti possono mettersi al lavoro, soggetti sociali, politici, culturali e, persino, economici in una trama di relazioni che stabiliscano nessi, ponti, connessioni che formino, a loro volta, il tessuto di un movimento antagonista. Dalla suggestione di una rivoluzione culturale per una grande sinistra potrebbe essere recuperata l'idea del big bang; questa volta almeno per le forze politiche interessate al progetto.
Esse cioè dovrebbero accettare di mettersi in discussione fino all'autoscioglimento. E, soprattutto, andrebbe messa a base irrinunciabile del processo una scelta radicale e intransigente di metodo: democrazia partecipata e una testa un voto. La raccolta di firme per il referendum sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e sull'articolo 8 della legge Sacconi è un'occasione importante. Lo so che le elezioni in Italia si avvicinano, ma è una ragione in più per affermare la centralità della questione della coalizione sociale e per lavorarci prioritariamente.
http://www.huffingtonpost.it/fausto-ber ... _ref=italy
Finché rimarremo al vuoto pneumatico delle non-idee come queste, abbiamo voglia di aspettare!
Presidente Fondazione Cercare Ancora, ex Presidente della Camera dei deputati
Per un big bang della sinistra
Una forza politica di sinistra può costruirsi in Italia, ce ne sono tutte le condizioni nelle soggettività critiche diffuse che alimentano le lotte. Ora è venuto il momento di porre la questione all'ordine del giorno, sia per necessità storica (l'alternativa irrinviabile all'Europa oligarchica dei mercati e del massacro sociale), sia per le opportunità maturate nel conflitto e nella società.
La necessità è tanto più acuta perché in tutto il Vecchio Continente il centrosinistra è diventato parte organica dell'Europa neoconservatrice che si sta costruendo con il contributo decisivo delle politiche di bilancio. Tanto che in molti autorevolmente sostengono che gli stessi risultati elettorali, in questo quadro, sarebbero ininfluenti sulle scelte di fondo.
Tutti possono mettersi al lavoro, soggetti sociali, politici, culturali e, persino, economici in una trama di relazioni che stabiliscano nessi, ponti, connessioni che formino, a loro volta, il tessuto di un movimento antagonista. Dalla suggestione di una rivoluzione culturale per una grande sinistra potrebbe essere recuperata l'idea del big bang; questa volta almeno per le forze politiche interessate al progetto.
Esse cioè dovrebbero accettare di mettersi in discussione fino all'autoscioglimento. E, soprattutto, andrebbe messa a base irrinunciabile del processo una scelta radicale e intransigente di metodo: democrazia partecipata e una testa un voto. La raccolta di firme per il referendum sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e sull'articolo 8 della legge Sacconi è un'occasione importante. Lo so che le elezioni in Italia si avvicinano, ma è una ragione in più per affermare la centralità della questione della coalizione sociale e per lavorarci prioritariamente.
http://www.huffingtonpost.it/fausto-ber ... _ref=italy
Finché rimarremo al vuoto pneumatico delle non-idee come queste, abbiamo voglia di aspettare!
Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
non avevo letto il tuo commento verde a margine , stavo intervenendo allo stesso modo....più o meno
ancora parla di "antagonismo" .... dopo quello che ci consegnò nelle mani di bossi e co. per tre lustri, no grazie.
ma se pò fa politica nel 2012, coi mercati che sono iene , col paese alla frutta ....co l'antagonismo?
ma che è il remake de "l'alba dei morti viventi"?
ancora parla di "antagonismo" .... dopo quello che ci consegnò nelle mani di bossi e co. per tre lustri, no grazie.
ma se pò fa politica nel 2012, coi mercati che sono iene , col paese alla frutta ....co l'antagonismo?
ma che è il remake de "l'alba dei morti viventi"?
Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Parlano da soli i commenti dei lettori. Da notare che il sito è del Gruppo Espresso, certamente non di destra e nemmeno tanto vicino al PD!
Ciumbia
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6 minuti fa (17:18)
Fausto Bertinotti, chi?
quel vecchio politico che ha sfiduciato Prodi e il centrosinistra.
Se è lui a che titolo parla (?), visto che il suo partito non è più presente nel Parlamento,
forse pretende di parlare come pensionato privilegiato della casta!
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BigTupee
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7 minuti fa (17:17)
Che nostalgia, mi mancavano gli sproloqui del Fausto nazionale: "mettersi in discussione fino all'autoscioglimento" (leggi riciclarsi oppure cambiare nome e simbolo o fusione con altri); "democrazia partecipata e una testa un voto" (aspetta, che voglia iscriversi al M5S ???). Grazie Fausto, una ventata di novità.
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VinceCarteny
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9 minuti fa (17:15)
..a volte ritornano.. più virulenti che mai..!!!!
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GiacDV
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12 minuti fa (17:13)
Mi fa ribrezzo qualsiasi proposta di un ex onorevole COMUNISTA con stipendio/pensione esorbitante che occupa una cattedra universitaria SENZA CONCORSO e SENZA LAUREA incapace di ritirarsi a vita privata dopo il FALLIMENTO delle sue idee politiche decretate dal VOTO DEMOCRATICO degli italiani. Ma forse BERTINOTTI pensa che il popolo non è ancora maturo... questo popolo che magari voterà "inspiegabilmente" l' M5S...
GDV
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Antonio Califano
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19 minuti fa (17:05)
E' complicato a sinistra parlare a partire da quello che si dice e non per quello che si è detto. Quindi a prescindere dal giudizio su Bertinotti ed i suoi errori (molti) sono convinto che tutti a sinistra siano inadeguati a questa fase politica e a rispondere "politicamente" alla crisi, per cui varrebbe la pena tentare uno scatto in avanti, rinunciando ad un poco del proprio identitarismo minoritario aprendo una riflessione senza rete. Un Big Bang? Non lo so ma sicuramente un tentativo di evitare il tracollo.
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rolfed48
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32 minuti fa (16:52)
Per uno che aspetto' i risultati elettorali in un bar lussuoso di Via Veneto è una grande garanzia!!!!!!
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Marco Panza
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37 minuti fa (16:47)
Egr. On. Bertinotti, sino ad ora non s'era sentita la Sua mancanza sulla scena politica italiana. Purtroppo ci ricordiamo bene quando Lei, in accordo con D'Alema, fece cadere Prodi, facilitando nel 2001 il ritorno di Berlusconi.
Quindi per cortesia stia dov'è stato negli ultimi anni: nel suo dorato studio a Montecitorio a godersi il suo lauto vitalizio.
Con viva cordialità.
Ciumbia
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6 minuti fa (17:18)
Fausto Bertinotti, chi?
quel vecchio politico che ha sfiduciato Prodi e il centrosinistra.
Se è lui a che titolo parla (?), visto che il suo partito non è più presente nel Parlamento,
forse pretende di parlare come pensionato privilegiato della casta!
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BigTupee
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7 minuti fa (17:17)
Che nostalgia, mi mancavano gli sproloqui del Fausto nazionale: "mettersi in discussione fino all'autoscioglimento" (leggi riciclarsi oppure cambiare nome e simbolo o fusione con altri); "democrazia partecipata e una testa un voto" (aspetta, che voglia iscriversi al M5S ???). Grazie Fausto, una ventata di novità.
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VinceCarteny
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9 minuti fa (17:15)
..a volte ritornano.. più virulenti che mai..!!!!
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GiacDV
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12 minuti fa (17:13)
Mi fa ribrezzo qualsiasi proposta di un ex onorevole COMUNISTA con stipendio/pensione esorbitante che occupa una cattedra universitaria SENZA CONCORSO e SENZA LAUREA incapace di ritirarsi a vita privata dopo il FALLIMENTO delle sue idee politiche decretate dal VOTO DEMOCRATICO degli italiani. Ma forse BERTINOTTI pensa che il popolo non è ancora maturo... questo popolo che magari voterà "inspiegabilmente" l' M5S...
GDV
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Antonio Califano
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19 minuti fa (17:05)
E' complicato a sinistra parlare a partire da quello che si dice e non per quello che si è detto. Quindi a prescindere dal giudizio su Bertinotti ed i suoi errori (molti) sono convinto che tutti a sinistra siano inadeguati a questa fase politica e a rispondere "politicamente" alla crisi, per cui varrebbe la pena tentare uno scatto in avanti, rinunciando ad un poco del proprio identitarismo minoritario aprendo una riflessione senza rete. Un Big Bang? Non lo so ma sicuramente un tentativo di evitare il tracollo.
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rolfed48
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32 minuti fa (16:52)
Per uno che aspetto' i risultati elettorali in un bar lussuoso di Via Veneto è una grande garanzia!!!!!!
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Marco Panza
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37 minuti fa (16:47)
Egr. On. Bertinotti, sino ad ora non s'era sentita la Sua mancanza sulla scena politica italiana. Purtroppo ci ricordiamo bene quando Lei, in accordo con D'Alema, fece cadere Prodi, facilitando nel 2001 il ritorno di Berlusconi.
Quindi per cortesia stia dov'è stato negli ultimi anni: nel suo dorato studio a Montecitorio a godersi il suo lauto vitalizio.
Con viva cordialità.
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- Iscritto il: 21/02/2012, 17:56
Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Per non morire montiani –
Marco Revelli (Il Manifesto)
3/10/2012
EDITORIALE
«Chi rappresenta, oggi, il lavoro?»,
E soprattutto:
«Chi lo rappresenterà nell’Italia del dopo-elezioni?».
E «come?»
Queste domande, che la Fiom aveva posto il 9 giugno, chiamando le forze politiche della sinistra a confrontarsi a Roma, al Parco dei Principi, hanno assunto in questi mesi una sempre più drammatica rilevanza.
Che si chiama Taranto, Alcoa, Fiat, Termini Imerese, Carbosulcis… con gli operai costretti a scendere nelle viscere della terra (a 400 metri di profondità), ad arrampicarsi in cielo, su ciminiere e carro-ponti a decine di metri di altezza, a esporre i propri corpi e le proprie vite nude, per forare il muro di silenzio che si è alzato intorno alla loro condizione.
E rimediare al vuoto di parola – e di rappresentanza nello spazio pubblico – che affligge oggi il lavoro.
Senza che nel mondo della politica «ufficiale» nulla accada.
La cronaca, a saperla leggere, ci dice che un punto-limite è stato raggiunto.
Sulla soglia del disumano.
Quando, come accade a Taranto, i lavoratori dell’Ilva sono posti di fronte all’alternativa mortale
– biologicamente mortale –
tra la difesa della propria vita e la difesa del proprio lavoro (dal quale dipende a sua volta la vita), vuol dire che il conflitto tra «capitale e lavoro» è uscito dalla sua dimensione fisiologica, ed è diventato questione morale.
Problema che attiene ai fondamenti primi della nostra vita associata.
Nodo che, se non sciolto a favore della vita, finirà per perderci tutti.
Così come la vicenda
– meno atroce nei suoi aspetti immediati, ma altrettanto scandalosa dal punto di vista etico e sociale –
della Fiat di Marchionne, anch’essa protagonista di un ricatto mortale imposto ai propri operai:
rinunciare ai propri diritti e al controllo sulla propria vita o rinunciare al lavoro, perdere se stessi o perdere il proprio posto.
Anch’essa segnata da un’asimmetria assoluta tra il potere “del padrone” e quello del “lavoro”.
E dalla tracotante mancanza di sincerità e di credibilità di una proprietà irresponsabile, legibus soluta, indifferente a ogni impegno e a ogni patto.
E poi, le decine di migliaia di «esodati», dimenticati in una terra di nessuno dall’incompetenza di una ministra del lavoro distratta.
Le remunerazioni dei lavoratori dipendenti precipitate al di sotto del tasso di inflazione.
I precari licenziati silenziosamente per «fisiologica» fine del contratto… E ogni volta, all’esplodere di un nuovo dramma, o alla pubblicazione di un nuovo dato, la politica che balbetta, inconsapevole della sua perdita di radici sociali.
E il governo che gira la faccia dall’altra dopo aver messo pesantemente le mani nelle vite dei lavoratori per sottrarre reddito e diritti, coerente con il dogma liberista (il suo aspetto più devastante e asociale) che impone di ri-privatizzare il lavoro.
Di ricacciarlo indietro rispetto a quella piena rilevanza di «soggetto pubblico» che aveva conquistato nel Novecento,
e che aveva trovato piena sanzione nello stesso articolo 1 della Costituzione, per ridurlo, di nuovo, a fatto privato.
Di «diritto privato».
A contratto individuale tra singolo lavoratore e impresa, con il peso dell’immensa distanza che si dispiega tra l’impotenza dell’uno e l’estrema potenza dell’altra…
E tutti insieme, però, poteri pubblici e pubblici «rappresentanti», impegnati a scaricare il peso insostenibile dell’ «interesse generale» sulle fragili spalle del lavoro
(di quegli stessi lavoratori a cui tuttavia si negava contemporaneamente riconoscimento di «soggetto generale»), con un esercizio di ferocia non dichiarata inquietante.
Feroce è ciò che avviene con i lavoratori dell’Ilva e con i cittadini di Taranto – quelli costretti a vivere sotto la spada di Damocle di un disastro ambientale dal profilo mostruoso -, chiamati un po’ da tutti a «farsi carico» del fatto che quello stabilimento ha un interesse strategico per l’economia nazionale, che vale parecchi punti di Pil, che senza industria pesante non siamo nessuno nel mondo (come se con quell’industria lo fossimo),
senza che nessuno si preoccupi davvero di chiedere ai più diretti responsabili di pagare i danni prodotti…
Come feroce era stato, meno di due anni or sono, l’indecente scaricabarile di capi partito, amministratori, ministri sulla questione Fiat,
quando si chiese ai cinquemila di Mirafiori, e prima ai quattromila di Pomigliano – uomini e donne provati da mesi e mesi di cassa integrazione, con i salari ridotti all’osso – di «farsi carico» della permanenza «di Fiat» (sic!) nel nostro Paese.
Di permettere a Marchionne di effettuare quel rilancio da 20 miliardi che oggi sappiamo bene in che cosa consistesse…
Per questo è importante il «convegno-incontro» che si terrà a Torino i prossimi sabato e domenica, dedicato appunto al lavoro. A come ridare la parola al lavoro, e rimetterlo al centro della vicenda pubblica italiana, con la sua dignità di protagonista collettivo.
Promosso da Alba, con la partecipazione di esponenti della Fiom, intellettuali, giornalisti, esperti e delle più significative realtà sociali italiane, a cominciare da Pomigliano, intende proseguire il discorso avviato il 9 giugno dalla Fiom su quelle domande iniziali che non hanno finora trovato risposte «in alto».
Nelle sedi istituzionali della «rappresentanza».
Si parlerà dunque di diritti – di diritti negati, o sottratti, o vulnerati – e di referendum, per ripristinarli (saremo alla vigilia dell’inizio della raccolta delle firme che ci dovrà vedere tutti impegnati), con la presenza di giuslavoristi e di costituzionalisti.
Del frammentato mosaico del lavoro – sempre più scisso tra lavoro stabile e precario, tra lavoro e non lavoro, tra lavoro industriale e altro lavoro, a cominciare dal lavoro di cura…), alla ricerca di un quadro di rivendicazioni unificante (primo fra tutti un sistema di garanzia del reddito), dando voce ai protagonisti delle diverse realtà produttive e sociali.
Ci si occuperà delle forme di lotta più adeguate a questa fase di vertiginosa de-industrializzazione, guardando con attenzione alle esperienze di autogestione vincenti in altri Paesi.
Ma si parlerà anche di Europa:
dell’Europa che non vogliamo, certo (questa, che va chiudendo ogni strada all’idea stessa di «giustizia sociale»), e dell’Europa che vorremmo (che sappia difendere con orgoglio quel «modello sociale» che era stato il suo miglior prodotto storico e che sta malamente sacrificando sull’altare del pareggio di bilancio e di un rigore fine a se stesso).
Naturalmente a Torino si parlerà anche della prossima primavera elettorale,
perché la rappresentanza del lavoro non sia più affidata a chi sul sacrificio del lavoro ha fondato – esplicitamente o implicitamente – la propria dissennata strategia.
E perché quello che c’è oggi «su piazza» non garantisce nulla al lavoro:
né parola, né rispetto.
Se l’orizzonte politico restasse limitato alla forze che sono attualmente in parlamento e che si spartiscono lo spazio mediatico ufficiale, davvero «dopo Monti» non ci potrebbe essere che Monti, in prima o per interposta persona.
In carne ed ossa o in effige.
Non c’è Vendola o primarie che tengano.
Ha purtroppo ragione Eugenio Scalfari,
che qualche giorno fa in televisione ha detto – senza forse ben rendersi conto delle implicazioni dell’affermazione – che chiunque vinca le prossime elezioni «la traccia è già scritta».
Non potrà che recitare a copione.
Tutto ciò su cui ci si potrà distinguere (immagino tra destra e sinistra) è «il condimento della pasta: se metterci il basilico o il prezzemolo» (ha detto proprio così!), ma il piatto è quello, e non si discute.
E’ la ricetta-Monti: la Bce sta lì, a Francoforte, per farsene garante.
Scalfari ha ragione, però,
solo se non dovesse emergere – anche dentro lo spazio elettorale
– nessuna credibile alternativa al dogma liberista imperante sul continente:
in assenza di una cultura politica radicalmente altra – razionale, realistica, ma «altra» rispetto a quel paradigma mortale – davvero non resterebbe che «morire montiani», soffocati da primarie, Montezemolo, finiecasini, presi nella tenaglia orribile tra rottamatori e rottamati.
Per questo è così importante rompere quel monopolio dello spazio pubblico:
fare tutto il possibile perché anche sul terreno elettorale si condensi una galassia di forze e culture «di alternativa»,
che spezzino il cerchio chiuso dell’esistente, sulla base di una chiara individuazione delle discriminanti da mettere al centro di un percorso collettivo «verso il 2013».
A questo sarà dedicata la domenica mattina, per un confronto vero su come lanciare una proposta che sia all’altezza della crisi della politica e di questi partiti.
Anche in questo caso non si può proprio più aspettare.
Se non ora, quando?
http://www.soggettopoliticonuovo.it/201 ... manifesto/
Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
E quando esce questa proposta "all'altezza"?A questo sarà dedicata la domenica mattina, per un confronto vero su come lanciare una proposta che sia all’altezza della crisi della politica e di questi partiti.
Anche in questo caso non si può proprio più aspettare.
Se non ora, quando?
Per ora siamo fermi al referendum sull'art. 18, che come risposta alla "crisi della politica" mi sembra un po' fiacca.
-
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- Iscritto il: 21/02/2012, 19:25
Re: La Questione Monti
... m'hai provocato e io ti distruggo adesso..camillobenso ha scritto: Omissis.........
Già pancho e giorgio, in diversi modi hanno evidenziato la necessità di combattere, capitalismo, neoliberismo e capitalismo finanziario.
Ripeto, io sono un praticone che si chiede sempre: Come????
.......Questi sono temi che vanno approfonditi possibilmente coralmente.
Cominciamo:
Sappiamo tutti noi veramente cosa vogliamo o quando si parla di sinistra ognuno di noi da la sua interpretazione secondo le sue convenienze piccole o grandi che siano?
Le democrazia e la dittature corrono spesso su due binari molto vicini e il confine e’ talmente sottile che spesso che spesso c’e’ il rischio che si sovrappongono,. Ed e’ quello che sta’ succedendo sia in questo secolo che nel secolo scorso.
Parliamo spesso di investimenti che non arrivano in Italia dobbiamo e ci domandiamo il perche’.
Per me e’ sempre stato chiaro il motivo cmq porto degli esempi per essere piu’ esplicito:
Faccio degli esempi pratici.
Durante il secolo scorso e quindi negli anni tristi del nazismo e del fascismo queste due dittature hanno avuto un grande flusso di investimenti che non era mai successo in nessuna parte del mondo..
.
Le corporazioni, lobbies e il potere economico finanziario ha investito in questi paesi poiche’ non esietevano regole (sindacati non ne parliamo).e se regole esitavano erano solo quelle a favore del potere.
Le stesse lobbies degli states hanno contribuito a far sta in piedi queste dittature. Se da una parte queste e quindi il potere economico finanziario metteva i soldi per tenere in piedi queste dittature dall’altra parte il governo mandava al macello popoli per combatterle.
Strano? Non tanto poiche e’ sempre stato cosi.. Non era cosi’ solo per i creduloni.
E sempre cosi’ poiche non puo’ essere diversamente quando la democrazia , quella vera, manca ed e’ tutto in mano a questi poteri non per niente occulti.
Ti fanno credere che c’e’ la democrazia poiche’ hanno nelle loro mani il potere dei media ma quando come ora ti trovi davanti a delle crisi, soltanto ora sei in grado di accorgerti che di democrazia ce ne ben poca o quasi niente. Sempre troppo tardi.
Solo ora ti accorgi d’essere un piccolo robot costruito per consumare. Aspetti una notte che aprano le porte dei negozi Apple per comprarti l’ultimo iPhone magari chiedendo i soldi ai genitori visto che non lavori.
Marx tutto questo l’aveva in parte previsto ma quando si parla a lui si fa solo riferimento a quello che giova di piu’ per screditarlo. Vebbe’ lasciamo perdere questo tema anche se sarebbe d’obbligo aprirlo nel prossimo futuro.
Ora pero ritorniamo al ns. discorso.
Camillo si chiede continuamente come si fa a venirne fuori.
Io rispondo, come ho iniziato sopra , che prima di tutto dobbiamo decidere cosa vogliamo senza mettere davanti troppi se e ma.
Se ci sentiamo vincolati da questi non ne verremo mai fuori .
Non dobbiamo fare i conti con i numeri anche se potrebbero darci esiti immediati ma nel tempo ci questi ci porterebbero fuori dai ns. obiettivi come sta’ succedendo ora e come sta’ operando il PD. Per creare una nuova sinistra bisogna ritornare alle ns.origini sapendo pero’ quali sono i ns. obiettivi. Qui non si puo’ divagare! Il popolo aspetta da troppo tempo per avere un faro a cui approdare.
Ora queste opposizioni in parlamento sono dall’altra parte di quella sinsitra che molti di noi auspicano.
Gli ex PCI ora nel PD hanno rinunciato da molto tempo a parlare di sinistra e si sono adattati al sistema in corso. Probabilmente per convenienza ma anche e soprattutto perche’ non hanno idee chiare da proporre in alternativa a queste.
Si dimostrano d’essere il nulla e quindi essendo il nulla sono costretti dalle circostanze ad adattarsi al potere magari mascherandosi dietro la parola “Riformismo”e non si accorgono o fanno finta di niente che in questo momento stanno distruggendo tutto quello che con dure lotte si era conquistato. Non tanto poiche eravamo solo agli inizi ma sufficiente per tutelrci un po’.
Per fortuna abbiamo dalla nostra parte la stupidita’ dei poteri forti che come dichiarava
Michael Morre sono come l’avarizia del diavolo che non si accorge che sta’ vendendo le corde con le quali sara’ poi impiccato.
Difatti si domandava come mai i suoi documentari di condanna verso questi poteri venivano messi in commercio da quegli stessi che lui condannava. Il potere, concludeva sempre Moore,, guarda ai soldi e basta. sapeva che Moore portava loro migliaia di spettatori e quindi tanti soldi.
Ma allora una domanda viene logica e nello stesso tempo molto triste.
Perche dobbiamo aspettare che siano queste classi ad autodistruggersi dopo averci distrutto anche noi e non siamo in grado di appropriarci il mal tolto salvaguardando nello stesso tempo le conquiste fatte? Chi ce lo impedisce? La paura di perdere quel poco che comunque lo perderemo prima o poi assieme a tutto il resto?
Ecco, caro Camillo. Non so se siamo ancora in tempo per fare scelte certamente coraggiose ma anche se fossimo fuori tempo massimo le adobbiamo cmq fare prima che scoppi il bubbone e questo venga gestito da chissa’ quale personaggio di passaggio.
Tutti questi movimenti di protesta, caro zione, dimostrano che non c’e’ un partito in grado di accoglierli ma visto che per il momento non c’e’ non ci resta che ingrossare questi movimenti di protesta e spettera’ a noi saperli indirizzare nelle giuste carreggiate e quindi non possano diventare inutili proteste capanelistiche che guardano solo il proprio campetto e quindi senza una visione politica generale.
Non dobbiamo aver paura di entrare anche perche e’ un popolo che protesta.
Se ricominciamo forse qualcosa nascera’ ma questa volta non dovremmo aggirare i proplemi con i soliti se o i ma.
Non dobbiamo guardare noi i numeri. Questi ci fanno deviare gli obiettivi.
Dobbiamo avere fiducia nel popolo e se parli guardando in faccia la gente, questa poi ti rispondera’ positivamente.
Grandi colpe di tutto questo casino nasce dagli ex PCI ora nel PD che non hanno piu’ creduto nel popolo. Quando non si crede piu’ alla forza di un popolo che unito puo’ rovesciare il mondo diventi anche te parte del un potere e dovrai poi risponderne al popolo qualora questi si risvegliera’ dal letargo e dall’anestesia del consumismo estremo.
Ora siamo solo agli inizi ed esiste un grande pericolo che questa esplosione degeneri come nel secolo scorso.
Qui chiudo e vi lascio alla visione di questo bellissimo documentario THE CORPORATION e solo dopo averne preso visione potremo dare un contributo alto alla ns. discussione contrariamente ne diverrebbe monca e per un certo senso inutile.
https://www.youtube.com/watch?feature=p ... BC7599E986
un salutone da Juan
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Ho spostato questo bel post di Juan perché penso che meriti un'attenzione particolare, che va ben oltre la "questione Monti" e la politichetta dei nostri partiti e partitini.
I problemi su cui pancho ci invita a riflettere attraverso la visione del film sulle corporation, sono di alcuni ordini di grandezza superiori ai dibattiti ed alle discussioni che ascoltiamo e leggiamo mediamente in giro.
Spero che molti di noi vogliano accogliere l'invito di Juan ed intervenire sul tema.
Per cominciare vorrei proporre io una piccola riflessione. Credo che non sia esatto affermare, come fa in chiusura l'autore del film, che si tratti di fare qualcosa per "riportare il mondo nelle nostre mani".
Io credo che sarebbe più corretto dire: per "portare il mondo nelle nostre mani", perché sono cambiati i soggetti, ma il mondo non è mai stato nelle nostre mani, nostre nel senso della maggioranza dell'umanità.
Tra un paio di mesi ricorrerà appena il quarantaquattresimo anniversario dei fatti di Avola.
Non riesco a vedere grandi differenze tra le corporation di oggi ed i latifondisti di allora, se non per le dimensioni e le forme del loro dominio.
Dico questo per evidenziare che la questione di cui parliamo è la questione dell'intera storia dell'umanità, che ha sempre visto il potere nelle mani di minoranze, talvolta in conflitto tra loro, che hanno sempre coinvolto (e il più delle volte strumentalizzato) la massa dei più deboli per tirarli da una parte o dall'altra.
L'unica eccezione si è vista nel secolo scorso, almeno a livello di tentativo di costruire un sistema economico basato sulla proprietà comune dei mezzi di produzione.
Ma è finita in tragedia, principalmente per un elemento imprevisto: l'emergere di una nuova minoranza dominante, fatta questa volta non di padroni della terra, delle fabbriche o dei mezzi finanziari, ma di burocrati che in nome del popolo sovrano hanno messo in atto una nuova forma di dittatura.
Credo che se non partiamo da qui, sarà difficile tentare di venirne a capo.
I problemi su cui pancho ci invita a riflettere attraverso la visione del film sulle corporation, sono di alcuni ordini di grandezza superiori ai dibattiti ed alle discussioni che ascoltiamo e leggiamo mediamente in giro.
Spero che molti di noi vogliano accogliere l'invito di Juan ed intervenire sul tema.
Per cominciare vorrei proporre io una piccola riflessione. Credo che non sia esatto affermare, come fa in chiusura l'autore del film, che si tratti di fare qualcosa per "riportare il mondo nelle nostre mani".
Io credo che sarebbe più corretto dire: per "portare il mondo nelle nostre mani", perché sono cambiati i soggetti, ma il mondo non è mai stato nelle nostre mani, nostre nel senso della maggioranza dell'umanità.
Tra un paio di mesi ricorrerà appena il quarantaquattresimo anniversario dei fatti di Avola.
Non riesco a vedere grandi differenze tra le corporation di oggi ed i latifondisti di allora, se non per le dimensioni e le forme del loro dominio.
Dico questo per evidenziare che la questione di cui parliamo è la questione dell'intera storia dell'umanità, che ha sempre visto il potere nelle mani di minoranze, talvolta in conflitto tra loro, che hanno sempre coinvolto (e il più delle volte strumentalizzato) la massa dei più deboli per tirarli da una parte o dall'altra.
L'unica eccezione si è vista nel secolo scorso, almeno a livello di tentativo di costruire un sistema economico basato sulla proprietà comune dei mezzi di produzione.
Ma è finita in tragedia, principalmente per un elemento imprevisto: l'emergere di una nuova minoranza dominante, fatta questa volta non di padroni della terra, delle fabbriche o dei mezzi finanziari, ma di burocrati che in nome del popolo sovrano hanno messo in atto una nuova forma di dittatura.
Credo che se non partiamo da qui, sarà difficile tentare di venirne a capo.
Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Non c'è dubbio che mai come oggi il problema della crisi economica si intreccia con quello della crisi della democrazia.
Cosa è nato prima, l'uovo o la gallina?
Il tema andrebbe approfondito. Cavarsela dicendo che l'opacità (se non peggio) che caratterizza la gestione degli enti locali (soprattutto le regioni) dipende dalla mancanza di una legge sul falso in bilancio o che "la corruzione della politica è una compensazione per la cessione del potere reale all’alta finanza e alle grandi corporation" mi sembra una semplificazione che non credo basti a spiegare la vastità del fenomeno.
Affamare la bestia del nostro debito – Guido Viale (Il Manifesto)
19/10/2012
«Affama la bestia» è lo slogan con cui Ronald Reagan aveva inaugurato il trentennio di liberismo di cui oggi stiamo pagando le conseguenze. La «bestia» per Reagan era il governo: che – è un altro suo celebre detto – «non è la soluzione ma il problema». La bestia da affamare è in realtà la democrazia, l’autogoverno, la possibilità per i cittadini e i lavoratori di decidere il proprio destino. Il programma è di mettere tutto in mano ai privati, che si appropriano così delle funzioni di governo e le gestiscono in base alle leggi del profitto. Quel programma è stato ora tradotto dall’Ue e dai governi dell’eurozona in due strumenti micidiali: il pareggio di bilancio e il fiscal compact. Con queste due misure in Italia verranno prelevati ogni anno dalle tasse, cioè dai bilanci di chi le paga, quasi 100 miliardi di interessi e altri 45-50 di ratei, per versarli ai detentori del debito: in larga parte banche e assicurazioni sull’orlo del fallimento per operazioni avventate e altri grandi speculatori nazionali ed esteri, e solo in minima parte singoli risparmiatori. L’assurdità di queste misure non va sottovalutata: nessun paese al mondo, nemmeno la Germania di Weimar, condannata al pagamento dei danni di guerra, ha mai rimborsato un proprio debito: che è stato sempre ridimensionato o riassorbito dalla «crescita» del Pil – quando c’è stata – o dall’inflazione, o da un condono, o da un default. Sottoporre a un salasso del genere un paese come il nostro, con un debito di oltre il 120 per cento del Pil, vuol dire condannarlo alla rovina. L’esempio della Grecia, a cui pure sono imposte per ora misure assai meno drastiche di quelle previste dal fiscal compact, è sotto gli occhi di tutti. Ma bisogna ricordare che tre anni fa, quando la Grecia ha cominciato a dare attuazione al primo memorandum della Trojka (Bce, Fmi e Commissione europea), Monti aveva salutato il cammino intrapreso come l’alba del risanamento economico del paese. Esattamente quello che ripete ogni giorno, ora che è presidente del consiglio, lodandosi, e lodando le politiche del suo governo, mentre occupazione, redditi da lavoro, produzione, bilanci aziendali, Pil e debito pubblico precipitano verso il baratro.
D’altronde, se non bastassero le misure contro i lavoratori varati dal suo Governo, va ricordato anche che meno di un mese fa il parlamento europeo ha dovuto bloccare un regolamento proposto dalla Commissione, ma redatto e ispirato nel 2010 proprio da Monti, che mira a subordinare alle «convenienze» dell’impresa il diritto di sciopero: «Regolamentazione dell’esercizio del diritto di promuovere azioni collettive nel contesto della libertà d’impresa e della garanzia dei servizi».
Ecco chi è quello che i partiti che lo sostengono considerano salvatore della patria! «In Portogallo nel 1932 – ricorda l’associazione veneziana Fondamenta – un professore di economia, al secolo António de Oliveira Salazar, fu chiamato a dirigere il Paese per far fronte alla crisi economica e all’enorme deficit di bilancio che attanagliava la terra lusitana. Il suo intento era di creare una struttura super partes capace di riunire in sé tutte le correnti nazionali e di sostituirsi ai partiti. Rimase al potere per 36 anni e 82 giorni, e il suo regime, noto come salazarismo, ebbe termine solo con una rivoluzione, il 25 aprile del 1974». Vogliamo imboccare la stessa strada? O non l’abbiamo forse già imboccata?
Ecco allora un primo passaggio ineludibile: se non vogliamo rinchiuderci nel solco salazariano tracciato da Monti, pareggio di bilancio e fiscal compact devono venir respinti e disattesi e il debito pubblico va affrontato con altri strumenti. L’Italia ha un avanzo primario consistente: consolidando il proprio debito potrebbe evitare di ricorrere al mercato finanziario per parecchi anni. E senza «uscire dall’euro», a meno di venirne cacciata; cosa che porrebbe più problemi che vantaggi anche a tutti gli altri paesi dell’eurozona. D’altronde, che una ristrutturazione del debito italiano sia prima o poi inevitabile lo dicono ormai anche molti economisti mainstream, da Rubini a Savona. Una forte patrimoniale è certo necessaria, ma non basta a risolvere il problema. Ma questo non va affrontato in ordine sparso: con il fiscal compact i paesi che si troveranno nella nostra situazione, o anche peggio, sono destinati a crescere; e le forze sociali disposte a prendere di petto il debito sono sì sparse e per lo più senza rappresentanza, ma sempre più numerose. Dinnanzi a un loro schieramento compatto, le autorità monetarie e il cosiddetto fronte del nord si vedrebbero costretti a imboccare di corsa strade, come la mutualizzazione o la monetizzazione dei debiti pubblici dell’eurozona, che oggi vedono come fumo negli occhi.
La stretta monetaria e fiscale imposta dalle autorità europee – e, per lo meno fino a ieri, dal Fmi, che con queste imposizioni ha mandato in rovina ben più di un paese nel corso del tempo – ha il suo riflesso più vistoso nel patto di stabilità interno: quello che mette alle corde le finanze degli enti locali – e innanzitutto dei Comuni – costringendoli a svendere patrimonio immobiliare, beni comuni e servizi pubblici per far cassa. Così, nonostante che 27 milioni di italiani abbiano abrogato, con il referendum dello scorso anno, l’obbligo di svendere i servizi pubblici, sono ben quattro i decreti e le leggi che da allora prima il Governo Berlusconi e poi quello Monti hanno varato per reintrodurre quell’obbligo; e l’ultimo anche dopo che la Corte Costituzionale aveva decretato l’illegittimità dei primi tre; e tutti prontamente controfirmati dal Presidente della Repubblica, supremo «tutore» della Costituzione, per il quale evidentemente della volontà degli elettori si può e deve far strame. A sostegno di questo scippo viene poi mobilitata anche la Cassa Depositi e Prestiti – un istituto creato oltre 150 anni fa e finanziato dal risparmio postale per sostenere le iniziative dei Comuni, cioè i servizi pubblici locali – che il governo Berlusconi ha privatizzato con un trucco contabile e il governo Monti sta mettendo al servizio dei peggiori scempi perpetrati a danno dei territori e delle loro comunità. Più salazarismo di così … .
La cosa è tanto più grave perché è solo dai territori e dalle comunità che lo abitano, e proprio facendo leva su un approccio innovativo ai servizi pubblici locali, che possono prendere piede progetti e pratiche di una vera politica industriale orientata alla conversione ecologica. Una politica industriale fondata sul decentramento delle decisioni, sulla partecipazione della cittadinanza attiva, su impianti di piccola taglia, su servizi flessibili diffusi e diversificati in base alle risorse disponibili e alle esigenze locali: nel campo della cultura, dell’educazione, dell’energia, della mobilità, degli approvvigionamenti alimentari (e quindi di un’agricoltura a km0), della gestione delle risorse materiali (oggi chiamata gestione dei rifiuti), dell’edilizia ecologica, della salvaguardia del territorio; e di tutte le produzioni che potrebbero essere avviate, creando un mercato e riconvertendo molte aziende in crisi, per fornire materiali, impianti, attrezzature e supporto tecnico a quei progetti. E’ l’unico modo per salvaguardare l’occupazione e promuoverne di nuova, legandola al sostegno attivo della cittadinanza. Invece, tra patto di stabilità e assalto alla finanza locale sferrato dalle banche, che hanno riempito i comuni di debiti e di derivati per finanziare bilanci sempre meno trasparenti e comprensibili, le amministrazioni locali sono state svuotate di ogni funzione, se non quella di fare da paravento a una progressiva cessione di sovranità a favore dei privati, dell’alta finanza e di poteri centralizzati. Questa cessione di funzioni è illegittima, contraria alla volontà espressa dagli elettori con il referendum; e i sindaci delle giunte che vogliono rinnovarsi e assumere le responsabilità che la Costituzione attribuisce loro devono prenderne atto: anche adottando – ed è il secondo passaggio ineludibile – misure di requisizione e di esproprio delle aziende necessarie a rimettere in moto l’economia dei propri territori.
Ma i governi locali, si obietta, sono proprio quelli dove corruzione e malgoverno allignano maggiormente, come mostrano gli episodi più recenti di cronaca politica. Intanto se il malgoverno alligna anche lì è perché a promuoverlo sono i poteri centrali: basta pensare a una legge contro la corruzione che non contiene nulla contro il falso in bilancio e che nonostante ciò fatica a passare – e poi si lamentano che nessuno investe in Italia! Lo è venuto a spiegare l’emiro del Qatar al prof. Monti, il quale «credeva» invece che gli investimenti non arrivassero per via dell’art. 18. Per questo l’art. 18 è stato cancellato e per la corruzione è stato invece votato un salvacondotto. Poi ha ragione chi scrive che la corruzione della politica è una compensazione per la cessione del potere reale all’alta finanza e alle grandi corporation. Ma se il governo del territorio viene affidato a una gestione privata, i poteri pubblici perdono la loro stessa ragion d’essere e non resta loro altra finalità che quella di perpetuarsi a qualunque costo. Per questo l’alternativa tra pubblico e privato ha perso gran parte del suo significato; solo gestendo patrimonio e servizi pubblici come beni comuni, in forme partecipate, si può restituire alla politica il suo significato originario, che è quello di autogoverno.
Cosa è nato prima, l'uovo o la gallina?
Il tema andrebbe approfondito. Cavarsela dicendo che l'opacità (se non peggio) che caratterizza la gestione degli enti locali (soprattutto le regioni) dipende dalla mancanza di una legge sul falso in bilancio o che "la corruzione della politica è una compensazione per la cessione del potere reale all’alta finanza e alle grandi corporation" mi sembra una semplificazione che non credo basti a spiegare la vastità del fenomeno.
Affamare la bestia del nostro debito – Guido Viale (Il Manifesto)
19/10/2012
«Affama la bestia» è lo slogan con cui Ronald Reagan aveva inaugurato il trentennio di liberismo di cui oggi stiamo pagando le conseguenze. La «bestia» per Reagan era il governo: che – è un altro suo celebre detto – «non è la soluzione ma il problema». La bestia da affamare è in realtà la democrazia, l’autogoverno, la possibilità per i cittadini e i lavoratori di decidere il proprio destino. Il programma è di mettere tutto in mano ai privati, che si appropriano così delle funzioni di governo e le gestiscono in base alle leggi del profitto. Quel programma è stato ora tradotto dall’Ue e dai governi dell’eurozona in due strumenti micidiali: il pareggio di bilancio e il fiscal compact. Con queste due misure in Italia verranno prelevati ogni anno dalle tasse, cioè dai bilanci di chi le paga, quasi 100 miliardi di interessi e altri 45-50 di ratei, per versarli ai detentori del debito: in larga parte banche e assicurazioni sull’orlo del fallimento per operazioni avventate e altri grandi speculatori nazionali ed esteri, e solo in minima parte singoli risparmiatori. L’assurdità di queste misure non va sottovalutata: nessun paese al mondo, nemmeno la Germania di Weimar, condannata al pagamento dei danni di guerra, ha mai rimborsato un proprio debito: che è stato sempre ridimensionato o riassorbito dalla «crescita» del Pil – quando c’è stata – o dall’inflazione, o da un condono, o da un default. Sottoporre a un salasso del genere un paese come il nostro, con un debito di oltre il 120 per cento del Pil, vuol dire condannarlo alla rovina. L’esempio della Grecia, a cui pure sono imposte per ora misure assai meno drastiche di quelle previste dal fiscal compact, è sotto gli occhi di tutti. Ma bisogna ricordare che tre anni fa, quando la Grecia ha cominciato a dare attuazione al primo memorandum della Trojka (Bce, Fmi e Commissione europea), Monti aveva salutato il cammino intrapreso come l’alba del risanamento economico del paese. Esattamente quello che ripete ogni giorno, ora che è presidente del consiglio, lodandosi, e lodando le politiche del suo governo, mentre occupazione, redditi da lavoro, produzione, bilanci aziendali, Pil e debito pubblico precipitano verso il baratro.
D’altronde, se non bastassero le misure contro i lavoratori varati dal suo Governo, va ricordato anche che meno di un mese fa il parlamento europeo ha dovuto bloccare un regolamento proposto dalla Commissione, ma redatto e ispirato nel 2010 proprio da Monti, che mira a subordinare alle «convenienze» dell’impresa il diritto di sciopero: «Regolamentazione dell’esercizio del diritto di promuovere azioni collettive nel contesto della libertà d’impresa e della garanzia dei servizi».
Ecco chi è quello che i partiti che lo sostengono considerano salvatore della patria! «In Portogallo nel 1932 – ricorda l’associazione veneziana Fondamenta – un professore di economia, al secolo António de Oliveira Salazar, fu chiamato a dirigere il Paese per far fronte alla crisi economica e all’enorme deficit di bilancio che attanagliava la terra lusitana. Il suo intento era di creare una struttura super partes capace di riunire in sé tutte le correnti nazionali e di sostituirsi ai partiti. Rimase al potere per 36 anni e 82 giorni, e il suo regime, noto come salazarismo, ebbe termine solo con una rivoluzione, il 25 aprile del 1974». Vogliamo imboccare la stessa strada? O non l’abbiamo forse già imboccata?
Ecco allora un primo passaggio ineludibile: se non vogliamo rinchiuderci nel solco salazariano tracciato da Monti, pareggio di bilancio e fiscal compact devono venir respinti e disattesi e il debito pubblico va affrontato con altri strumenti. L’Italia ha un avanzo primario consistente: consolidando il proprio debito potrebbe evitare di ricorrere al mercato finanziario per parecchi anni. E senza «uscire dall’euro», a meno di venirne cacciata; cosa che porrebbe più problemi che vantaggi anche a tutti gli altri paesi dell’eurozona. D’altronde, che una ristrutturazione del debito italiano sia prima o poi inevitabile lo dicono ormai anche molti economisti mainstream, da Rubini a Savona. Una forte patrimoniale è certo necessaria, ma non basta a risolvere il problema. Ma questo non va affrontato in ordine sparso: con il fiscal compact i paesi che si troveranno nella nostra situazione, o anche peggio, sono destinati a crescere; e le forze sociali disposte a prendere di petto il debito sono sì sparse e per lo più senza rappresentanza, ma sempre più numerose. Dinnanzi a un loro schieramento compatto, le autorità monetarie e il cosiddetto fronte del nord si vedrebbero costretti a imboccare di corsa strade, come la mutualizzazione o la monetizzazione dei debiti pubblici dell’eurozona, che oggi vedono come fumo negli occhi.
La stretta monetaria e fiscale imposta dalle autorità europee – e, per lo meno fino a ieri, dal Fmi, che con queste imposizioni ha mandato in rovina ben più di un paese nel corso del tempo – ha il suo riflesso più vistoso nel patto di stabilità interno: quello che mette alle corde le finanze degli enti locali – e innanzitutto dei Comuni – costringendoli a svendere patrimonio immobiliare, beni comuni e servizi pubblici per far cassa. Così, nonostante che 27 milioni di italiani abbiano abrogato, con il referendum dello scorso anno, l’obbligo di svendere i servizi pubblici, sono ben quattro i decreti e le leggi che da allora prima il Governo Berlusconi e poi quello Monti hanno varato per reintrodurre quell’obbligo; e l’ultimo anche dopo che la Corte Costituzionale aveva decretato l’illegittimità dei primi tre; e tutti prontamente controfirmati dal Presidente della Repubblica, supremo «tutore» della Costituzione, per il quale evidentemente della volontà degli elettori si può e deve far strame. A sostegno di questo scippo viene poi mobilitata anche la Cassa Depositi e Prestiti – un istituto creato oltre 150 anni fa e finanziato dal risparmio postale per sostenere le iniziative dei Comuni, cioè i servizi pubblici locali – che il governo Berlusconi ha privatizzato con un trucco contabile e il governo Monti sta mettendo al servizio dei peggiori scempi perpetrati a danno dei territori e delle loro comunità. Più salazarismo di così … .
La cosa è tanto più grave perché è solo dai territori e dalle comunità che lo abitano, e proprio facendo leva su un approccio innovativo ai servizi pubblici locali, che possono prendere piede progetti e pratiche di una vera politica industriale orientata alla conversione ecologica. Una politica industriale fondata sul decentramento delle decisioni, sulla partecipazione della cittadinanza attiva, su impianti di piccola taglia, su servizi flessibili diffusi e diversificati in base alle risorse disponibili e alle esigenze locali: nel campo della cultura, dell’educazione, dell’energia, della mobilità, degli approvvigionamenti alimentari (e quindi di un’agricoltura a km0), della gestione delle risorse materiali (oggi chiamata gestione dei rifiuti), dell’edilizia ecologica, della salvaguardia del territorio; e di tutte le produzioni che potrebbero essere avviate, creando un mercato e riconvertendo molte aziende in crisi, per fornire materiali, impianti, attrezzature e supporto tecnico a quei progetti. E’ l’unico modo per salvaguardare l’occupazione e promuoverne di nuova, legandola al sostegno attivo della cittadinanza. Invece, tra patto di stabilità e assalto alla finanza locale sferrato dalle banche, che hanno riempito i comuni di debiti e di derivati per finanziare bilanci sempre meno trasparenti e comprensibili, le amministrazioni locali sono state svuotate di ogni funzione, se non quella di fare da paravento a una progressiva cessione di sovranità a favore dei privati, dell’alta finanza e di poteri centralizzati. Questa cessione di funzioni è illegittima, contraria alla volontà espressa dagli elettori con il referendum; e i sindaci delle giunte che vogliono rinnovarsi e assumere le responsabilità che la Costituzione attribuisce loro devono prenderne atto: anche adottando – ed è il secondo passaggio ineludibile – misure di requisizione e di esproprio delle aziende necessarie a rimettere in moto l’economia dei propri territori.
Ma i governi locali, si obietta, sono proprio quelli dove corruzione e malgoverno allignano maggiormente, come mostrano gli episodi più recenti di cronaca politica. Intanto se il malgoverno alligna anche lì è perché a promuoverlo sono i poteri centrali: basta pensare a una legge contro la corruzione che non contiene nulla contro il falso in bilancio e che nonostante ciò fatica a passare – e poi si lamentano che nessuno investe in Italia! Lo è venuto a spiegare l’emiro del Qatar al prof. Monti, il quale «credeva» invece che gli investimenti non arrivassero per via dell’art. 18. Per questo l’art. 18 è stato cancellato e per la corruzione è stato invece votato un salvacondotto. Poi ha ragione chi scrive che la corruzione della politica è una compensazione per la cessione del potere reale all’alta finanza e alle grandi corporation. Ma se il governo del territorio viene affidato a una gestione privata, i poteri pubblici perdono la loro stessa ragion d’essere e non resta loro altra finalità che quella di perpetuarsi a qualunque costo. Per questo l’alternativa tra pubblico e privato ha perso gran parte del suo significato; solo gestendo patrimonio e servizi pubblici come beni comuni, in forme partecipate, si può restituire alla politica il suo significato originario, che è quello di autogoverno.
Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Elezioni 2013, un appello per “un nuovo soggetto politico anti Monti e anti casta”
“Un’alleanza per i beni comuni”, è il titolo della raccolta firme lanciata da alcuni amministratori locali e da una parte del mondo ecologista per creare un gruppo che si presenti alle prossime politiche in alternativa agli attuali partiti. Obiettivo, mettere insieme le tante anime del mondo ambientalista e civico
di Luigi Franco | 20 ottobre 2012
“Un’alleanza per i beni comuni”. E’ il titolo dell’appello lanciato da alcuni amministratori locali e da una parte del mondo ecologista per creare un soggetto politico nuovo che alle elezioni politiche del 2013 costituisca un’alternativa all’agenda Monti. Ma anche un’alternativa per quel bacino elettorale del centrosinistra che non si riconosce nel Pd e che non vuole cedere alle lusinghe di Beppe Grillo. “E’ una chiamata a unirsi partita dal basso – spiega Domenico Finiguerra, ex sindaco anti cemento di Cassinetta di Lugagnano (Milano) e co-portavoce del partito Ecologisti e Reti civiche, una delle forze che sostengono l’iniziativa – Lo scopo è di mettere insieme le tante anime sparpagliate del mondo ambientalista e civico per guardare a quella metà del campo che non è occupata dal centrodestra”.
“Le prossime elezioni – si legge nell’appello – probabilmente vedranno una contesa tra poli costruiti e strutturati attorno alla cosiddetta “agenda Monti”. Qualcuno persegue in maniera molto chiara il Monti bis, altri si definiscono alternativi ma sono in realtà portatori delle stesse ricette, ormai provate e riprovate, che non possono essere la soluzione alla crisi economica, ambientale e morale del Paese”. La nuova proposta parte invece dalle esperienze di alcune amministrazioni locali virtuose e dei referendum del 2011 su acqua pubblica e nucleare. E si impegna su temi come territorio e paesaggio, scuola e sanità pubbliche. E poi sul lavoro, attraverso il sostegno alla consultazione popolare sulla riforma Fornero. L’attenzione è dunque messa su “tutti quei beni comuni che – sostiene Finiguerra – il centrosinistra non ha dimostrato di voler tutelare e non ha messo al centro della propria agenda politica”.
Oltre a Ecologisti e Reti civiche, hanno già aderito all’appello anche ‘Per una lista civica nazionale’, la rete di liste civiche attiva da due anni che una decina di giorni fa ha fondato la ‘Lista civica italiana’, e il ‘Movimento civico solidale’, che alle prossime elezioni regionali in Sicilia appoggia come candidato alla presidenza il magistrato Gaspare Sturzo. La nuova alleanza punta a includere altre liste civiche locali e a trovare un accordo con Alba, il progetto lanciato dallo storico Paul Ginsborg per creare un soggetto politico nuovo che sia alternativo ai partiti tradizionali.
Tra gli amministratori locali firmatari dell’appello “Un’alleanza per i beni comuni” c’è Vincenzo Cenname, che da sindaco di Camigliano, piccolo comune in provincia di Caserta, aveva ottenuto ottimi risultati nella raccolta differenziata in una regione sempre in emergenza proprio per la spazzatura. Ma nonostante ciò nel 2010 un decreto del governo Berlusconi aveva imposto di affidare la raccolta dei rifiuti a un carrozzone provinciale. Cenname si era rifiutato, col risultato di vedersi sciogliere il consiglio comunale. Alle elezioni del 2011, però, si è ripresentato ed è stato eletto con quasi l’80% dei consensi. Secondo Finiguerra, esperienze positive come questa devono essere prese ad esempio dalla politica nazionale.
Se l’appello riuscirà a fare massa critica, l’alleanza darà vita a una nuova formazione che si presenterà alle elezioni. Il nome non è ancora deciso, anche se potrebbe essere mantenuto il riferimento ai beni comuni. L’obiettivo non è facile: delle forze promotrici, l’unica di cui i sondaggi stimano il peso a livello nazionale è Ecologisti e reti civiche: “Ci danno attorno all’1,6% – dice Finiguerra -. Ma esiste un bacino enorme di elettori che hanno bisogno di proposte concrete”. E risposte di governo che, secondo l’ex sindaco di Cassinetta di Lugangano, Beppe Grillo non garantisce fino in fondo: “Non demonizzo il Movimento 5 Stelle, che ha il merito di portare avanti delle istanze che la politica deve prendere in considerazione. Ma il suo risultato eccezionale è frutto del malessere dei cittadini e di una politica che fa schifo”.
Le differenze con i 5 Stelle ci sono, a partire dall’eccessiva personalizzazione del loro movimento, spiega Italo Campagnoli, membro del coordinamento nazionale della Lista civica italiana. Tuttavia il rapporto con loro è ancora da valutare: “Se si vuole cambiare l’Italia – sostiene Campagnoli – bisogna fare delle alleanze e Grillo si rivolge alla nostra stessa area. Un’area di riferimento referendaria, anti montiana e anti casta, che, se unita, ha i numeri anche per governare. E noi vogliamo diventare promotori di un’aggregazione più ampia”.
twitter: @gigi_gno
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10 ... ta/388082/
“Un’alleanza per i beni comuni”, è il titolo della raccolta firme lanciata da alcuni amministratori locali e da una parte del mondo ecologista per creare un gruppo che si presenti alle prossime politiche in alternativa agli attuali partiti. Obiettivo, mettere insieme le tante anime del mondo ambientalista e civico
di Luigi Franco | 20 ottobre 2012
“Un’alleanza per i beni comuni”. E’ il titolo dell’appello lanciato da alcuni amministratori locali e da una parte del mondo ecologista per creare un soggetto politico nuovo che alle elezioni politiche del 2013 costituisca un’alternativa all’agenda Monti. Ma anche un’alternativa per quel bacino elettorale del centrosinistra che non si riconosce nel Pd e che non vuole cedere alle lusinghe di Beppe Grillo. “E’ una chiamata a unirsi partita dal basso – spiega Domenico Finiguerra, ex sindaco anti cemento di Cassinetta di Lugagnano (Milano) e co-portavoce del partito Ecologisti e Reti civiche, una delle forze che sostengono l’iniziativa – Lo scopo è di mettere insieme le tante anime sparpagliate del mondo ambientalista e civico per guardare a quella metà del campo che non è occupata dal centrodestra”.
“Le prossime elezioni – si legge nell’appello – probabilmente vedranno una contesa tra poli costruiti e strutturati attorno alla cosiddetta “agenda Monti”. Qualcuno persegue in maniera molto chiara il Monti bis, altri si definiscono alternativi ma sono in realtà portatori delle stesse ricette, ormai provate e riprovate, che non possono essere la soluzione alla crisi economica, ambientale e morale del Paese”. La nuova proposta parte invece dalle esperienze di alcune amministrazioni locali virtuose e dei referendum del 2011 su acqua pubblica e nucleare. E si impegna su temi come territorio e paesaggio, scuola e sanità pubbliche. E poi sul lavoro, attraverso il sostegno alla consultazione popolare sulla riforma Fornero. L’attenzione è dunque messa su “tutti quei beni comuni che – sostiene Finiguerra – il centrosinistra non ha dimostrato di voler tutelare e non ha messo al centro della propria agenda politica”.
Oltre a Ecologisti e Reti civiche, hanno già aderito all’appello anche ‘Per una lista civica nazionale’, la rete di liste civiche attiva da due anni che una decina di giorni fa ha fondato la ‘Lista civica italiana’, e il ‘Movimento civico solidale’, che alle prossime elezioni regionali in Sicilia appoggia come candidato alla presidenza il magistrato Gaspare Sturzo. La nuova alleanza punta a includere altre liste civiche locali e a trovare un accordo con Alba, il progetto lanciato dallo storico Paul Ginsborg per creare un soggetto politico nuovo che sia alternativo ai partiti tradizionali.
Tra gli amministratori locali firmatari dell’appello “Un’alleanza per i beni comuni” c’è Vincenzo Cenname, che da sindaco di Camigliano, piccolo comune in provincia di Caserta, aveva ottenuto ottimi risultati nella raccolta differenziata in una regione sempre in emergenza proprio per la spazzatura. Ma nonostante ciò nel 2010 un decreto del governo Berlusconi aveva imposto di affidare la raccolta dei rifiuti a un carrozzone provinciale. Cenname si era rifiutato, col risultato di vedersi sciogliere il consiglio comunale. Alle elezioni del 2011, però, si è ripresentato ed è stato eletto con quasi l’80% dei consensi. Secondo Finiguerra, esperienze positive come questa devono essere prese ad esempio dalla politica nazionale.
Se l’appello riuscirà a fare massa critica, l’alleanza darà vita a una nuova formazione che si presenterà alle elezioni. Il nome non è ancora deciso, anche se potrebbe essere mantenuto il riferimento ai beni comuni. L’obiettivo non è facile: delle forze promotrici, l’unica di cui i sondaggi stimano il peso a livello nazionale è Ecologisti e reti civiche: “Ci danno attorno all’1,6% – dice Finiguerra -. Ma esiste un bacino enorme di elettori che hanno bisogno di proposte concrete”. E risposte di governo che, secondo l’ex sindaco di Cassinetta di Lugangano, Beppe Grillo non garantisce fino in fondo: “Non demonizzo il Movimento 5 Stelle, che ha il merito di portare avanti delle istanze che la politica deve prendere in considerazione. Ma il suo risultato eccezionale è frutto del malessere dei cittadini e di una politica che fa schifo”.
Le differenze con i 5 Stelle ci sono, a partire dall’eccessiva personalizzazione del loro movimento, spiega Italo Campagnoli, membro del coordinamento nazionale della Lista civica italiana. Tuttavia il rapporto con loro è ancora da valutare: “Se si vuole cambiare l’Italia – sostiene Campagnoli – bisogna fare delle alleanze e Grillo si rivolge alla nostra stessa area. Un’area di riferimento referendaria, anti montiana e anti casta, che, se unita, ha i numeri anche per governare. E noi vogliamo diventare promotori di un’aggregazione più ampia”.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Le differenze con i 5 Stelle ci sono, a partire dall’eccessiva personalizzazione del loro movimento, spiega Italo Campagnoli, membro del coordinamento nazionale della Lista civica italiana. Tuttavia il rapporto con loro è ancora da valutare: “Se si vuole cambiare l’Italia – sostiene Campagnoli – bisogna fare delle alleanze e Grillo si rivolge alla nostra stessa area. Un’area di riferimento referendaria, anti montiana e anti casta, che, se unita, ha i numeri anche per governare. E noi vogliamo diventare promotori di un’aggregazione più ampia”.
Se il sondaggio quota 1.6% “Un’alleanza per i beni comuni” o si trova il modo di entrare in coalizione con Idv o sarebbero voti
dispersi.
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