Futura alleanza di governo
Re: Futura alleanza di governo
Beati voi che riuscite ad orientarvi così facilmente in questo casino, sulla base di dove "guardano" i vostri candidati.
Io cerco di immaginare che tipo di politiche concrete porteranno avanti e... mi viene lo strabismo alla gas-parri
Io cerco di immaginare che tipo di politiche concrete porteranno avanti e... mi viene lo strabismo alla gas-parri
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Re: Futura alleanza di governo
Certo adesso mi fai venire i dubbi.
E pero`.
Supponiamo che Vendola faccia casino per colpa della TAV, ad esempio.
E arrivi al punto di uscire dalla maggioranza.
In quel caso, a ragione, Bersani e il PD dovranno e potranno guardare al centro.
Perche` lo faranno come conseguenza di una causa politica: l'insensatezza di Vendola con conseguente rottura dell'alleanza PD/SEL.
Stara` quindi a Vendola.
Se perseguira` battaglie ideologiche insensate a danno delle vere cause (lavoro, sinistra in parlamento al governo,
rappresentativita` sindacale, ...).
Se arrivera` alla rottura come Bertinotti per le 35 ore.
Allora il PD potra` scegliere se continuare spostandosi al centro.
Il nostro voto sara` stato male utilizzato da Vendola.
Ma con nullo danno al CSX e al Paese.
Se invece Vendola per impedire ulteriori derive liberiste, mandasse tutto in aria.
In quel caso avrebbe utilizzato propriamente il nostro voto.
E il PD farebbe quel che crede SENZA il nostro consenso.
Il rischio di finire in galera non lo vedo...
;-)
soloo42000
E pero`.
Supponiamo che Vendola faccia casino per colpa della TAV, ad esempio.
E arrivi al punto di uscire dalla maggioranza.
In quel caso, a ragione, Bersani e il PD dovranno e potranno guardare al centro.
Perche` lo faranno come conseguenza di una causa politica: l'insensatezza di Vendola con conseguente rottura dell'alleanza PD/SEL.
Stara` quindi a Vendola.
Se perseguira` battaglie ideologiche insensate a danno delle vere cause (lavoro, sinistra in parlamento al governo,
rappresentativita` sindacale, ...).
Se arrivera` alla rottura come Bertinotti per le 35 ore.
Allora il PD potra` scegliere se continuare spostandosi al centro.
Il nostro voto sara` stato male utilizzato da Vendola.
Ma con nullo danno al CSX e al Paese.
Se invece Vendola per impedire ulteriori derive liberiste, mandasse tutto in aria.
In quel caso avrebbe utilizzato propriamente il nostro voto.
E il PD farebbe quel che crede SENZA il nostro consenso.
Il rischio di finire in galera non lo vedo...
;-)
soloo42000
Ultima modifica di soloo42000 il 06/01/2013, 11:29, modificato 1 volta in totale.
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Re: Futura alleanza di governo
Perché Monti mi ha deluso
di EUGENIO SCALFARI
SCRISSI domenica scorsa che esistono varie "agende" sulle quali confrontarsi e varie personalità che le hanno formulate e che concentreranno su di esse - cioè sugli obiettivi programmatici - le rispettive campagne elettorali per ottenere il consenso dei cittadini.
Confrontai anche le due agende principali, quella di Mario Monti e quella di Bersani, cioè del Pd e dei suoi alleati. Monti ha detto venerdì scorso nella trasmissione "Otto e mezzo" che non accetterebbe mai di partecipare come ministro ad un governo del quale non condividesse il 98 per cento della linea politica.
I due programmi, il suo e quello di Bersani, nelle parti principali coincidono. Entrambi si dichiarano pronti a mantenere gli impegni presi con l'Europa per quanto riguarda il rigore dei conti pubblici, l'equità, la crescita economica. Questi impegni Monti li ha indicati fin dall'inizio ma non è riuscito a realizzarli tutti dovendo dare la priorità al rigore in poche settimane per evitare il crollo dell'economia italiana e il default del debito pubblico che incombevano nel novembre del 2011 quando fu chiamato dal Capo dello Stato alla guida del governo. Perciò di equità se ne è vista pochissima, di crescita non si è visto nulla, ma nell'agenda ci sono, sia in quella di Monti sia in quella di Bersani.
C'è anche in tutte e due una nuova e molto più
incisiva legge sulla corruzione, l'estensione altrettanto incisiva delle liberalizzazioni, una radicale revisione delle strutture burocratiche dello Stato a cominciare dalle Province e dalle Regioni.
E poi c'è - più importante di tutto - un'ulteriore diminuzione della spesa corrente e delle evasioni fiscali per realizzare nuove risorse da destinare alla riduzione della pressione fiscale in favore dei lavoratori, delle imprese e delle famiglie nonché di un sistema moderno dello Stato sociale.
Infine entrambi i programmi, del centro e del centrosinistra, prevedono una migliore redistribuzione territoriale e sociale del reddito e un contributo efficace alla costruzione dello Stato federale europeo attraverso graduali cessioni di sovranità nazionale.
Esaminati questi due programmi si direbbe trattarsi del medesimo documento nelle sue linee fondamentali, tanto che dal canto mio scrissi che essi ben potevano esser chiamati "agenda Italia" per l'attuazione della quale un'alleanza pre o post elettorale tra il centro e il centrosinistra risultava opportuna data l'importanza ed anche la difficoltà di realizzare le finalità condivise.
Naturalmente permane una differenza tra i protagonisti, le forze politiche da essi guidate e i ceti sociali di riferimento.
Prima di passare all'esame di questi aspetti tutt'altro che trascurabili voglio però ricordare il messaggio con il quale la sera del 31 dicembre Giorgio Napolitano ha salutato gli italiani. È stato soprattutto un messaggio sociale. L'equità, i giovani, l'occupazione, il Mezzogiorno, l'Europa, il senso di responsabilità di ciascuno e di tutti, il rispetto dei diritti, il costo della cattiva politica, il rinnovamento della struttura burocratica: questo è stato il senso del messaggio. Vogliamo dire che esiste anche un'agenda Napolitano?
Sì, esiste. Non indica gli strumenti ma evoca un sentimento, un valore, un modo di pensare e di comportarsi. Costituisce la premessa essenziale dell'agenda Italia, lo spirito con il quale dovrà essere realizzata, la passione e la fedeltà alle due patrie delle quali siamo cittadini, la patria Italia e la patria Europa.
Chi andrà al Quirinale nel prossimo maggio erediterà un lascito di altissimo livello. Auguriamoci che il nuovo Parlamento sappia scegliere un successore capace di far propria quell'eredità. Non sarà una facile scelta.
* * *
Mario Monti, in appena un anno, ha salvato l'Italia dal peggio in cui stava precipitando ed ha recuperato al Paese la credibilità internazionale che da tanti anni aveva perduto.
La nascita del suo governo fu dovuta a varie circostanze e a vari protagonisti che è opportuno ricordare. Anzitutto al voto con il quale la Camera dei deputati bocciando il rendiconto di bilancio mandò in minoranza il governo Berlusconi. Uscì da quel voto una nuova maggioranza formata dal Pd, dall'Udc e da Fini. Su questa svolta parlamentare, sull'aggravarsi della situazione economica, sulla totale caduta della credibilità del governo e sulla lettera di commissariamento indirizzata a Berlusconi dalla Banca centrale europea il Cavaliere dette le dimissioni e Napolitano, dopo averlo nominato senatore a vita, incaricò Monti di formare un nuovo governo.
In quel frangente il Partito democratico avrebbe potuto chiedere lo scioglimento delle Camere e nuove elezioni. Il Pdl era allo stato comatoso, il Terzo polo valeva al massimo il 6 per cento, Grillo ancora non esisteva o quasi. Il Pd avrebbe stravinto ma sciogliere il Parlamento in quelle condizioni avrebbe spalancato le porte all'assalto dei mercati e il debito italiano sarebbe stato preda d'una vera e propria macelleria speculativa. Prevalse il senso di responsabilità di Bersani e del gruppo dirigente del Partito democratico.
Mario Monti ha cominciato la sua campagna elettorale con molta aggressività. È normale per una forza politica nuova che si batte per vincere. Ma l'azione di governo di cui porta legittimamente il vanto fu resa possibile dal Pd e il ricordo di quest'antecedente rappresenta un'omissione ingenerosa da parte di chi, utilizzando quel disco verde, si mise e mise il Paese sulla giusta strada.
* * *
Due domeniche fa pubblicammo su queste pagine una mia lunga conversazione con l'amico Mario Monti. Ci siamo conosciuti mezzo secolo fa, non era quindi un'intervista tra un giornalista e un capo di governo ma un incontro tra vecchi amici che resi pubblico senza preavvisarlo e me ne scusai a fatto compiuto. Del resto avevo riferito esattamente quanto ci eravamo detti e lui stesso lo riconobbe.
Sennonché a pochi giorni anzi a poche ore di distanza le sue scelte cambiarono: da uomo "super partes", come lo stesso Presidente della Repubblica avrebbe gradito, è diventato uomo di parte inalberando un'agenda più che accettabile ma nelle parti qualificanti identica o analoga a quella del partito con il quale compete affermando quel suo programma come il solo capace di condurre l'emergenza al suo termine e prospettare nuovi orizzonti per il futuro.
Purtroppo Monti ha cominciato la campagna elettorale con la promessa di diminuire le imposte personali sui redditi minimi. Non mi pare abbia indicato la copertura di questa promessa ma soprattutto ha dimenticato che nel prossimo luglio scatterà l'aumento di un punto dell'Iva, un'imposta regressiva quant'altre mai che colpirà soprattutto i redditi dei più deboli. Se ci sarà spazio per diminuire le tasse è proprio dall'Iva che bisognerebbe cominciare.
Ma non è per questo "dettaglio" che il nuovo Monti mi ha deluso. Parlo in prima persona perché per un anno sono stato tra i suoi più motivati sostenitori. Mi ha deluso e mi preoccupa molto perché la sua azione avrà come risultato inevitabile quella di rendere ingovernabile il nuovo Parlamento gettando il Paese (e l'Europa) nel caos. Vi sembra un'affermazione azzardata? È facile spiegare che purtroppo non lo è affatto ed ecco la spiegazione.
1. Pensare che le liste di Monti superino tutte le altre è estremamente illusionistico. Nei sondaggi effettuati in questi giorni è all'ultimo posto. Se gli va bene supererà Grillo; se gli va benissimo supererà Berlusconi. Per superare il centrosinistra ci vorrebbe un miracolo. È vero che il Vaticano è con lui, ma non credo che basti.
2. È tuttavia possibile che al Senato nessun partito abbia la maggioranza. Gianluigi Pellegrino ha spiegato ieri la vergogna dell'attuale legge elettorale specialmente per il Senato.
3. Superare quest'eventualità in teoria non è difficile, basterebbe un'alleanza tra centrosinistra e centro, cioè tra uno schieramento che avrebbe la maggioranza assoluta alla Camera e un altro schieramento (il centro) che non ha la maggioranza al Senato ma può renderla possibile.
4. A quali condizioni? Monti e Casini l'hanno già detto: vogliono la presidenza del Consiglio, vogliono un governo che sia il loro governo anche nell'eventualità che il centrosinistra abbia raggiunto nel complesso un consenso doppio a quello da loro ottenuto. E gli elettori? E il popolo sovrano?
5. Risultato: o il Pd accetta di pagare il pedaggio ad un nuovo Ghino di Tacco o la legislatura diventerebbe ingovernabile con le conseguenze che ciò comporterebbe sui mercati e in Europa.
Ho più volte indicato a Monti l'esempio di Carlo Azeglio Ciampi che, dopo aver risollevato il Paese da una gravissima crisi economica ed aver modificato la legge elettorale, si ritirò dopo un anno di governo a vita privata e ritornò poi a dare il suo contributo al bene pubblico come ministro del Tesoro di Romano Prodi con il quale fece la più grande delle riforme del secolo portando l'Italia nella moneta comune europea. Ma potrei aggiungere l'esempio di Giuliano Amato che da presidente del Consiglio cedette d'accordo con il Presidente della Repubblica la sua carica a Ciampi dopo essersi assunto la responsabilità d'una manovra economica di proporzioni inusitate nonché la svalutazione necessaria della lira e poi, quando ne fu richiesto, fu di nuovo ministro dell'Interno, delle Riforme o tornò alla sua vita di studi e di cultura.
La classe politica ha i suoi gravi difetti ma anche qualche virtù.
C'è un ultimo punto che mi preme chiarire. Cambiamento, riforme, conservazione: questi secondo Monti sono gli spartiacque tra le forze politiche in campo. Detto così è molto vago. Riforme? Quali? Quelle che propone Monti le propone anche Bersani. Alcune sono state fatte e il Pd le ha votate in Parlamento.
Cambiamento. Quale? Robespierre cambiò la Costituzione ereditata dagli Stati generali dell'Ottantanove. Naturalmente cambiò a suo modo. Il Direttorio che venne dopo cambiò all'incontrario. Poi arrivò Napoleone e cambiò anche lui. Per dire: la storia cambia di continuo e procede a balzelloni, non c'è un disegno divino ma la forza dei fatti e delle idee. Renzi, tanto per fare un esempio, voleva un cambiamento nel suo partito e c'è riuscito anche se ha perso le primarie. Poi ha mantenuto la parola data, non come Ichino. A me, quando faceva il rottamatore, mi sembrò troppo semplicista e rozzo nel pensare e nel dire. Adesso m'è diventato simpatico perché anch'io cambio.
Anche tu, caro Mario, sei cambiato. Mi piaci molto per quello che hai fatto e che eri, mi preoccupi per quello che sei ora e riesci perfino a spaventarmi per quello che potresti fare se, non vincendo il piatto, lo vorrai comunque tutto per te.
(06 gennaio 2013)
http://www.repubblica.it/politica/2013/ ... -49977594/
di EUGENIO SCALFARI
SCRISSI domenica scorsa che esistono varie "agende" sulle quali confrontarsi e varie personalità che le hanno formulate e che concentreranno su di esse - cioè sugli obiettivi programmatici - le rispettive campagne elettorali per ottenere il consenso dei cittadini.
Confrontai anche le due agende principali, quella di Mario Monti e quella di Bersani, cioè del Pd e dei suoi alleati. Monti ha detto venerdì scorso nella trasmissione "Otto e mezzo" che non accetterebbe mai di partecipare come ministro ad un governo del quale non condividesse il 98 per cento della linea politica.
I due programmi, il suo e quello di Bersani, nelle parti principali coincidono. Entrambi si dichiarano pronti a mantenere gli impegni presi con l'Europa per quanto riguarda il rigore dei conti pubblici, l'equità, la crescita economica. Questi impegni Monti li ha indicati fin dall'inizio ma non è riuscito a realizzarli tutti dovendo dare la priorità al rigore in poche settimane per evitare il crollo dell'economia italiana e il default del debito pubblico che incombevano nel novembre del 2011 quando fu chiamato dal Capo dello Stato alla guida del governo. Perciò di equità se ne è vista pochissima, di crescita non si è visto nulla, ma nell'agenda ci sono, sia in quella di Monti sia in quella di Bersani.
C'è anche in tutte e due una nuova e molto più
incisiva legge sulla corruzione, l'estensione altrettanto incisiva delle liberalizzazioni, una radicale revisione delle strutture burocratiche dello Stato a cominciare dalle Province e dalle Regioni.
E poi c'è - più importante di tutto - un'ulteriore diminuzione della spesa corrente e delle evasioni fiscali per realizzare nuove risorse da destinare alla riduzione della pressione fiscale in favore dei lavoratori, delle imprese e delle famiglie nonché di un sistema moderno dello Stato sociale.
Infine entrambi i programmi, del centro e del centrosinistra, prevedono una migliore redistribuzione territoriale e sociale del reddito e un contributo efficace alla costruzione dello Stato federale europeo attraverso graduali cessioni di sovranità nazionale.
Esaminati questi due programmi si direbbe trattarsi del medesimo documento nelle sue linee fondamentali, tanto che dal canto mio scrissi che essi ben potevano esser chiamati "agenda Italia" per l'attuazione della quale un'alleanza pre o post elettorale tra il centro e il centrosinistra risultava opportuna data l'importanza ed anche la difficoltà di realizzare le finalità condivise.
Naturalmente permane una differenza tra i protagonisti, le forze politiche da essi guidate e i ceti sociali di riferimento.
Prima di passare all'esame di questi aspetti tutt'altro che trascurabili voglio però ricordare il messaggio con il quale la sera del 31 dicembre Giorgio Napolitano ha salutato gli italiani. È stato soprattutto un messaggio sociale. L'equità, i giovani, l'occupazione, il Mezzogiorno, l'Europa, il senso di responsabilità di ciascuno e di tutti, il rispetto dei diritti, il costo della cattiva politica, il rinnovamento della struttura burocratica: questo è stato il senso del messaggio. Vogliamo dire che esiste anche un'agenda Napolitano?
Sì, esiste. Non indica gli strumenti ma evoca un sentimento, un valore, un modo di pensare e di comportarsi. Costituisce la premessa essenziale dell'agenda Italia, lo spirito con il quale dovrà essere realizzata, la passione e la fedeltà alle due patrie delle quali siamo cittadini, la patria Italia e la patria Europa.
Chi andrà al Quirinale nel prossimo maggio erediterà un lascito di altissimo livello. Auguriamoci che il nuovo Parlamento sappia scegliere un successore capace di far propria quell'eredità. Non sarà una facile scelta.
* * *
Mario Monti, in appena un anno, ha salvato l'Italia dal peggio in cui stava precipitando ed ha recuperato al Paese la credibilità internazionale che da tanti anni aveva perduto.
La nascita del suo governo fu dovuta a varie circostanze e a vari protagonisti che è opportuno ricordare. Anzitutto al voto con il quale la Camera dei deputati bocciando il rendiconto di bilancio mandò in minoranza il governo Berlusconi. Uscì da quel voto una nuova maggioranza formata dal Pd, dall'Udc e da Fini. Su questa svolta parlamentare, sull'aggravarsi della situazione economica, sulla totale caduta della credibilità del governo e sulla lettera di commissariamento indirizzata a Berlusconi dalla Banca centrale europea il Cavaliere dette le dimissioni e Napolitano, dopo averlo nominato senatore a vita, incaricò Monti di formare un nuovo governo.
In quel frangente il Partito democratico avrebbe potuto chiedere lo scioglimento delle Camere e nuove elezioni. Il Pdl era allo stato comatoso, il Terzo polo valeva al massimo il 6 per cento, Grillo ancora non esisteva o quasi. Il Pd avrebbe stravinto ma sciogliere il Parlamento in quelle condizioni avrebbe spalancato le porte all'assalto dei mercati e il debito italiano sarebbe stato preda d'una vera e propria macelleria speculativa. Prevalse il senso di responsabilità di Bersani e del gruppo dirigente del Partito democratico.
Mario Monti ha cominciato la sua campagna elettorale con molta aggressività. È normale per una forza politica nuova che si batte per vincere. Ma l'azione di governo di cui porta legittimamente il vanto fu resa possibile dal Pd e il ricordo di quest'antecedente rappresenta un'omissione ingenerosa da parte di chi, utilizzando quel disco verde, si mise e mise il Paese sulla giusta strada.
* * *
Due domeniche fa pubblicammo su queste pagine una mia lunga conversazione con l'amico Mario Monti. Ci siamo conosciuti mezzo secolo fa, non era quindi un'intervista tra un giornalista e un capo di governo ma un incontro tra vecchi amici che resi pubblico senza preavvisarlo e me ne scusai a fatto compiuto. Del resto avevo riferito esattamente quanto ci eravamo detti e lui stesso lo riconobbe.
Sennonché a pochi giorni anzi a poche ore di distanza le sue scelte cambiarono: da uomo "super partes", come lo stesso Presidente della Repubblica avrebbe gradito, è diventato uomo di parte inalberando un'agenda più che accettabile ma nelle parti qualificanti identica o analoga a quella del partito con il quale compete affermando quel suo programma come il solo capace di condurre l'emergenza al suo termine e prospettare nuovi orizzonti per il futuro.
Purtroppo Monti ha cominciato la campagna elettorale con la promessa di diminuire le imposte personali sui redditi minimi. Non mi pare abbia indicato la copertura di questa promessa ma soprattutto ha dimenticato che nel prossimo luglio scatterà l'aumento di un punto dell'Iva, un'imposta regressiva quant'altre mai che colpirà soprattutto i redditi dei più deboli. Se ci sarà spazio per diminuire le tasse è proprio dall'Iva che bisognerebbe cominciare.
Ma non è per questo "dettaglio" che il nuovo Monti mi ha deluso. Parlo in prima persona perché per un anno sono stato tra i suoi più motivati sostenitori. Mi ha deluso e mi preoccupa molto perché la sua azione avrà come risultato inevitabile quella di rendere ingovernabile il nuovo Parlamento gettando il Paese (e l'Europa) nel caos. Vi sembra un'affermazione azzardata? È facile spiegare che purtroppo non lo è affatto ed ecco la spiegazione.
1. Pensare che le liste di Monti superino tutte le altre è estremamente illusionistico. Nei sondaggi effettuati in questi giorni è all'ultimo posto. Se gli va bene supererà Grillo; se gli va benissimo supererà Berlusconi. Per superare il centrosinistra ci vorrebbe un miracolo. È vero che il Vaticano è con lui, ma non credo che basti.
2. È tuttavia possibile che al Senato nessun partito abbia la maggioranza. Gianluigi Pellegrino ha spiegato ieri la vergogna dell'attuale legge elettorale specialmente per il Senato.
3. Superare quest'eventualità in teoria non è difficile, basterebbe un'alleanza tra centrosinistra e centro, cioè tra uno schieramento che avrebbe la maggioranza assoluta alla Camera e un altro schieramento (il centro) che non ha la maggioranza al Senato ma può renderla possibile.
4. A quali condizioni? Monti e Casini l'hanno già detto: vogliono la presidenza del Consiglio, vogliono un governo che sia il loro governo anche nell'eventualità che il centrosinistra abbia raggiunto nel complesso un consenso doppio a quello da loro ottenuto. E gli elettori? E il popolo sovrano?
5. Risultato: o il Pd accetta di pagare il pedaggio ad un nuovo Ghino di Tacco o la legislatura diventerebbe ingovernabile con le conseguenze che ciò comporterebbe sui mercati e in Europa.
Ho più volte indicato a Monti l'esempio di Carlo Azeglio Ciampi che, dopo aver risollevato il Paese da una gravissima crisi economica ed aver modificato la legge elettorale, si ritirò dopo un anno di governo a vita privata e ritornò poi a dare il suo contributo al bene pubblico come ministro del Tesoro di Romano Prodi con il quale fece la più grande delle riforme del secolo portando l'Italia nella moneta comune europea. Ma potrei aggiungere l'esempio di Giuliano Amato che da presidente del Consiglio cedette d'accordo con il Presidente della Repubblica la sua carica a Ciampi dopo essersi assunto la responsabilità d'una manovra economica di proporzioni inusitate nonché la svalutazione necessaria della lira e poi, quando ne fu richiesto, fu di nuovo ministro dell'Interno, delle Riforme o tornò alla sua vita di studi e di cultura.
La classe politica ha i suoi gravi difetti ma anche qualche virtù.
C'è un ultimo punto che mi preme chiarire. Cambiamento, riforme, conservazione: questi secondo Monti sono gli spartiacque tra le forze politiche in campo. Detto così è molto vago. Riforme? Quali? Quelle che propone Monti le propone anche Bersani. Alcune sono state fatte e il Pd le ha votate in Parlamento.
Cambiamento. Quale? Robespierre cambiò la Costituzione ereditata dagli Stati generali dell'Ottantanove. Naturalmente cambiò a suo modo. Il Direttorio che venne dopo cambiò all'incontrario. Poi arrivò Napoleone e cambiò anche lui. Per dire: la storia cambia di continuo e procede a balzelloni, non c'è un disegno divino ma la forza dei fatti e delle idee. Renzi, tanto per fare un esempio, voleva un cambiamento nel suo partito e c'è riuscito anche se ha perso le primarie. Poi ha mantenuto la parola data, non come Ichino. A me, quando faceva il rottamatore, mi sembrò troppo semplicista e rozzo nel pensare e nel dire. Adesso m'è diventato simpatico perché anch'io cambio.
Anche tu, caro Mario, sei cambiato. Mi piaci molto per quello che hai fatto e che eri, mi preoccupi per quello che sei ora e riesci perfino a spaventarmi per quello che potresti fare se, non vincendo il piatto, lo vorrai comunque tutto per te.
(06 gennaio 2013)
http://www.repubblica.it/politica/2013/ ... -49977594/
Re: Futura alleanza di governo
lo vedi che pure Scalfari la pensa come me?
per il BBBBBBene dell'Italia si metteranno d'accordo e accetteranno l'incarico insieme.
e il popolo sovrano?
.... omissis ....
per il BBBBBBene dell'Italia si metteranno d'accordo e accetteranno l'incarico insieme.
e il popolo sovrano?
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Re: Futura alleanza di governo
Elezioni, c’è anche la lista della ‘ndrangheta. Che ora sfonda al Nord
Secondo il pm Gratteri, nelle regioni settentrionali la criminalità calabrese controlla il 5% dei consensi. Tra Lombardia, Piemonte e Liguria, le ultime inchieste hanno svelato compravendite di voto mafioso a 50 euro al pezzo e tariffe di 20mila per volantinare tra "gli amici degli amici". L'appuntamento con le urne è vicino, ma le norme sono insufficienti. E la pulizia delle liste è affidata all'autocontrollo dei partiti
di Elena Ciccarello | 6 gennaio 2013
L’arresto a ottobre dell’assessore alla casa della regione Lombardia, Domenico Zambetti, che secondo la Procura di Milano avrebbe comprato pacchetti di preferenze dai clan calabresi, è stato solo il caso più clamoroso. Il 2012 sarà ricordato come l’annus horribilis dei rapporti tra ‘ndrangheta e politica nel nord Italia, e non perché la liaison sia stata una novità degli ultimi mesi – ché anzi le inchieste riferiscono di episodi accaduti negli anni passati – ma perché, a partire dalle maxi operazioni contro la ‘ndrangheta del 2011, tali relazioni sono venute alla luce con un’ampiezza e simultaneità mai registrata prima. Gli arresti del 3 dicembre in Liguria, che hanno inserito nella lista degli indagati anche gli ex sindaci Pdl di Bordighera e Ventimiglia, comuni sciolti per mafia, in tale contesto sono solo gli ultimi grani di un lungo rosario.
Tra la fine del 2011 e il 2012, per la prima volta, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, sono stati commissariati quattro comuni del nordovest del Paese. Si è iniziato nel marzo 2011 sulla riviera di Ponente, con lo scioglimento di Bordighera, seguito nel febbraio 2012 da quello di Ventimiglia, e poi dai comuni piemontesi di Leinì e Rivarolo Canavese, commissariati la scorsa primavera. In ognuno di questi centri la ‘ndrangheta si è ritagliata una fetta di affari pubblici grazie alla complicità di funzionari e politici locali, che in cambio di lavori e commesse hanno ricevuto voti e sostegno in occasione di competizioni elettorali. Una merce preziosa, i voti della ‘ndrangheta, visto che per accaparrarseli i politici sono stati disposti a manipolare il regolare funzionamento della macchina amministrativa.
Ma quanti voti controlla la ‘ndrangheta in questi territori del nord? Secondo alcuni magistrati come il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, fino al 5 per cento dei consensi. Una cifra sufficiente a decidere l’elezione di un consigliere comunale o di un sindaco nei piccoli e medi comuni, ma capace di fare la differenza anche per l’elezione di consiglieri provinciali, regionali e persino per la conquista di una poltrona al parlamento europeo. Numeri spaventosi se calcolati su base regionale, secondo i quali il sodalizio riuscirebbe a controllare 380mila preferenze nella sola Lombardia e 180mila in Piemonte.
Cifre messe insieme a partire dai comuni minori, dove la ‘ndrangheta inizia a tessere la sua tela. Dove, se le risorse sul territorio non sono sufficienti, si può anche organizzare una repentina “importazione” di residenti dalla Calabria per accrescere il numero di elettori del candidato prescelto. E dove, secondo i magistrati, sono gli stessi affiliati, talvolta, a scendere in campo, come è avvenuto alle porte di Torino, nel Comune di Chivasso, o a Bollate, nell’interland milanese.
Al di là dei numeri, difficili da rilevare per un fenomeno sommerso che non ha una distribuzione omogenea, le inchieste del 2012 hanno dipinto comunque scenari inquietanti, in cui logiche clientelari si mescolano a forme di voto di scambio, con tariffe e accordi capaci di annichilire le normali competizioni democratiche. Qualche migliaio di preferenze per la promessa di appalti e lavori, 20mila euro per il volantinaggio tra gli “amici degli amici” alla porte di Torino, 200mila euro per un pacchetto di 4mila preferenze in Lombardia, non sono che degli esempi.
La “rete dei calabresi” conta e i politici sanno dove andare a cercarla, a partire dal negozio di un fruttivendolo a Genova o nei bar della periferia torinese, quelli in cui si cucina il miglior stocco (piatto tipico calabrese) della città. “Che un candidato si rivolga alla criminalità organizzata come fosse una holding in grado di portare voti è un qualcosa di devastante per il principio stesso della democrazia”, ha dichiarato Ilda Boccassini in merito all’inchiesta che vede protagonista l’assessore lombardo Zambetti. Una frase che nasconde un importante, e più generale, dato di novità. A differenza di quanto si è a lungo creduto, infatti, le indagini degli ultimi anni mostrano che non è la ‘ndrangheta a tentare di infiltrare i salotti buoni del nord, quanto piuttosto la politica ad andare a caccia di voti dove sa di poterli trovare.
“Al voto calabrese si sono rivolti tutti i candidati a tutte le elezioni, è un dato che vi posso dare per certo”, aveva confermato a ilfattoquotidiano.it Alessio Saso, consigliere regionale del Pdl eletto nel 2010 nella circoscrizione di Imperia, indagato per promesse elettorali in una delle inchieste che hanno portato allo scioglimento del Comune di Ventimiglia. Come lui molti politici piemontesi e lombardi, non indagati, ma finiti nelle carte delle Procure per i loro incontri pre-elettorali con esponenti del mondo criminale.
I politici, di ogni schieramento, non hanno potuto negare di aver chiesto quei voti durante telefonate e appuntamenti immortalati dalle telecamere degli investigatori. Hanno assicurato però di non aver minimamente sospettato dell’appartenenza mafiosa dei loro interlocutori. “Dal look credevo si trattasse di imprenditori. M’avessero invitato in un bunker o in un capannone alla periferia di Torino forse qualche dubbio poteva anche venirmi. Ma una pizzeria, di fronte un comando dei carabinieri, tutto poteva farmi pensare tranne che ad un covo di delinquenti” si è difeso Fabrizio Bertot, ex sindaco di Rivarolo Canavese, non indagato ma al centro di un presunto episodio di voto di scambio. Per tutti si è trattato di confondere un certo tipo di gestione del consenso, di tipo clientelare, con il controllo del voto da parte della criminalità. Una prova, l’ennesima, del fatto che la malapolitica, anche quando non ha responsabilità penali, diventa acqua per i pesci mafiosi.
Resta pure il fatto che, consapevole o meno, il sostegno della ‘ndrangheta è comunque roba che scotta. Nelle parole e millanterie dei presunti ‘ndranghetisti i politici diventano infatti “giocattoli”, come nel caso dell’ex sindaco di Leinì Nevio Coral, o “pisciaturu” (uomo di poco conto) nel caso di Zambetti. A Chivasso, grosso centro alle porte di Torino, Bruno Trunfio, vice segretario della locale Udc accusato di appartenere alla ‘ndrangheta, ha confermato, intercettato, il suo sostegno alle comunali per la lista che gli avrebbe offerto maggiori vantaggi: “Noi al ballottaggio dobbiamo andare con chi ci offre più garanzie. Noi non andiamo a chiedere l’elemosina a nessuno”, spiegava al suo interlocutore.
Questa la fotografia di un 2012 in cui il governo Monti ha segnato il record del numero di comuni sciolti per mafia, ma ha introdotto una legge sull’incandidabilità del tutto inutile su simili contesti e non ha modificato quell’articolo 416ter, sul voto di scambio, che secondo gli esperti sarebbe in grado di rendere più incisiva l’azione della magistratura. Un articolo che attualmente prevede esclusivamente lo scambio tra voti e denaro e non, come accade più frequentemente, tra voti e altri vantaggi.
A parità di strumenti preventivi e di contrasto, anche per il 2013 resterà dunque in capo ai partiti politici, e alla loro capacità di autocontrollo, il compito di arginare il malsano matrimonio che mafia e politica celebrano all’interno della cabina elettorale. Quindi c’è da scommettere che continueremo a vederne delle belle.
Secondo il pm Gratteri, nelle regioni settentrionali la criminalità calabrese controlla il 5% dei consensi. Tra Lombardia, Piemonte e Liguria, le ultime inchieste hanno svelato compravendite di voto mafioso a 50 euro al pezzo e tariffe di 20mila per volantinare tra "gli amici degli amici". L'appuntamento con le urne è vicino, ma le norme sono insufficienti. E la pulizia delle liste è affidata all'autocontrollo dei partiti
di Elena Ciccarello | 6 gennaio 2013
L’arresto a ottobre dell’assessore alla casa della regione Lombardia, Domenico Zambetti, che secondo la Procura di Milano avrebbe comprato pacchetti di preferenze dai clan calabresi, è stato solo il caso più clamoroso. Il 2012 sarà ricordato come l’annus horribilis dei rapporti tra ‘ndrangheta e politica nel nord Italia, e non perché la liaison sia stata una novità degli ultimi mesi – ché anzi le inchieste riferiscono di episodi accaduti negli anni passati – ma perché, a partire dalle maxi operazioni contro la ‘ndrangheta del 2011, tali relazioni sono venute alla luce con un’ampiezza e simultaneità mai registrata prima. Gli arresti del 3 dicembre in Liguria, che hanno inserito nella lista degli indagati anche gli ex sindaci Pdl di Bordighera e Ventimiglia, comuni sciolti per mafia, in tale contesto sono solo gli ultimi grani di un lungo rosario.
Tra la fine del 2011 e il 2012, per la prima volta, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, sono stati commissariati quattro comuni del nordovest del Paese. Si è iniziato nel marzo 2011 sulla riviera di Ponente, con lo scioglimento di Bordighera, seguito nel febbraio 2012 da quello di Ventimiglia, e poi dai comuni piemontesi di Leinì e Rivarolo Canavese, commissariati la scorsa primavera. In ognuno di questi centri la ‘ndrangheta si è ritagliata una fetta di affari pubblici grazie alla complicità di funzionari e politici locali, che in cambio di lavori e commesse hanno ricevuto voti e sostegno in occasione di competizioni elettorali. Una merce preziosa, i voti della ‘ndrangheta, visto che per accaparrarseli i politici sono stati disposti a manipolare il regolare funzionamento della macchina amministrativa.
Ma quanti voti controlla la ‘ndrangheta in questi territori del nord? Secondo alcuni magistrati come il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, fino al 5 per cento dei consensi. Una cifra sufficiente a decidere l’elezione di un consigliere comunale o di un sindaco nei piccoli e medi comuni, ma capace di fare la differenza anche per l’elezione di consiglieri provinciali, regionali e persino per la conquista di una poltrona al parlamento europeo. Numeri spaventosi se calcolati su base regionale, secondo i quali il sodalizio riuscirebbe a controllare 380mila preferenze nella sola Lombardia e 180mila in Piemonte.
Cifre messe insieme a partire dai comuni minori, dove la ‘ndrangheta inizia a tessere la sua tela. Dove, se le risorse sul territorio non sono sufficienti, si può anche organizzare una repentina “importazione” di residenti dalla Calabria per accrescere il numero di elettori del candidato prescelto. E dove, secondo i magistrati, sono gli stessi affiliati, talvolta, a scendere in campo, come è avvenuto alle porte di Torino, nel Comune di Chivasso, o a Bollate, nell’interland milanese.
Al di là dei numeri, difficili da rilevare per un fenomeno sommerso che non ha una distribuzione omogenea, le inchieste del 2012 hanno dipinto comunque scenari inquietanti, in cui logiche clientelari si mescolano a forme di voto di scambio, con tariffe e accordi capaci di annichilire le normali competizioni democratiche. Qualche migliaio di preferenze per la promessa di appalti e lavori, 20mila euro per il volantinaggio tra gli “amici degli amici” alla porte di Torino, 200mila euro per un pacchetto di 4mila preferenze in Lombardia, non sono che degli esempi.
La “rete dei calabresi” conta e i politici sanno dove andare a cercarla, a partire dal negozio di un fruttivendolo a Genova o nei bar della periferia torinese, quelli in cui si cucina il miglior stocco (piatto tipico calabrese) della città. “Che un candidato si rivolga alla criminalità organizzata come fosse una holding in grado di portare voti è un qualcosa di devastante per il principio stesso della democrazia”, ha dichiarato Ilda Boccassini in merito all’inchiesta che vede protagonista l’assessore lombardo Zambetti. Una frase che nasconde un importante, e più generale, dato di novità. A differenza di quanto si è a lungo creduto, infatti, le indagini degli ultimi anni mostrano che non è la ‘ndrangheta a tentare di infiltrare i salotti buoni del nord, quanto piuttosto la politica ad andare a caccia di voti dove sa di poterli trovare.
“Al voto calabrese si sono rivolti tutti i candidati a tutte le elezioni, è un dato che vi posso dare per certo”, aveva confermato a ilfattoquotidiano.it Alessio Saso, consigliere regionale del Pdl eletto nel 2010 nella circoscrizione di Imperia, indagato per promesse elettorali in una delle inchieste che hanno portato allo scioglimento del Comune di Ventimiglia. Come lui molti politici piemontesi e lombardi, non indagati, ma finiti nelle carte delle Procure per i loro incontri pre-elettorali con esponenti del mondo criminale.
I politici, di ogni schieramento, non hanno potuto negare di aver chiesto quei voti durante telefonate e appuntamenti immortalati dalle telecamere degli investigatori. Hanno assicurato però di non aver minimamente sospettato dell’appartenenza mafiosa dei loro interlocutori. “Dal look credevo si trattasse di imprenditori. M’avessero invitato in un bunker o in un capannone alla periferia di Torino forse qualche dubbio poteva anche venirmi. Ma una pizzeria, di fronte un comando dei carabinieri, tutto poteva farmi pensare tranne che ad un covo di delinquenti” si è difeso Fabrizio Bertot, ex sindaco di Rivarolo Canavese, non indagato ma al centro di un presunto episodio di voto di scambio. Per tutti si è trattato di confondere un certo tipo di gestione del consenso, di tipo clientelare, con il controllo del voto da parte della criminalità. Una prova, l’ennesima, del fatto che la malapolitica, anche quando non ha responsabilità penali, diventa acqua per i pesci mafiosi.
Resta pure il fatto che, consapevole o meno, il sostegno della ‘ndrangheta è comunque roba che scotta. Nelle parole e millanterie dei presunti ‘ndranghetisti i politici diventano infatti “giocattoli”, come nel caso dell’ex sindaco di Leinì Nevio Coral, o “pisciaturu” (uomo di poco conto) nel caso di Zambetti. A Chivasso, grosso centro alle porte di Torino, Bruno Trunfio, vice segretario della locale Udc accusato di appartenere alla ‘ndrangheta, ha confermato, intercettato, il suo sostegno alle comunali per la lista che gli avrebbe offerto maggiori vantaggi: “Noi al ballottaggio dobbiamo andare con chi ci offre più garanzie. Noi non andiamo a chiedere l’elemosina a nessuno”, spiegava al suo interlocutore.
Questa la fotografia di un 2012 in cui il governo Monti ha segnato il record del numero di comuni sciolti per mafia, ma ha introdotto una legge sull’incandidabilità del tutto inutile su simili contesti e non ha modificato quell’articolo 416ter, sul voto di scambio, che secondo gli esperti sarebbe in grado di rendere più incisiva l’azione della magistratura. Un articolo che attualmente prevede esclusivamente lo scambio tra voti e denaro e non, come accade più frequentemente, tra voti e altri vantaggi.
A parità di strumenti preventivi e di contrasto, anche per il 2013 resterà dunque in capo ai partiti politici, e alla loro capacità di autocontrollo, il compito di arginare il malsano matrimonio che mafia e politica celebrano all’interno della cabina elettorale. Quindi c’è da scommettere che continueremo a vederne delle belle.
Re: Futura alleanza di governo
Sinceramente non la vedo così semplice. Non mi pare chiaro né quali riforme propone Monti, né quali propone Bersani, per non parlare di Vendola.Cambiamento, riforme, conservazione: questi secondo Monti sono gli spartiacque tra le forze politiche in campo. Detto così è molto vago. Riforme? Quali? Quelle che propone Monti le propone anche Bersani. Alcune sono state fatte e il Pd le ha votate in Parlamento.
A parte la toppa sugli esodati, il sistema pensionistico rimane quello della Fornero?
Sul mercato del lavoro, tutto il problema è che si fa con l'art. 18? O cos'altro? Riforma simil-Ichino? Con quali e quante risorse?
Sanità: resta tutto com'è? Ma allora va rifinanziato. Si riforma? Ma come? Facendolo saccheggiare dalle assicurazioni?
Sarò monomaniaco ed anche un po' duro di comprendonio, ma quali siano realmente le proposte in campo non riesco proprio a vederlo.
Qualcuno è in grado di spiegarmelo?
E che ci tocca fare? Firmare ancora una volta una delega in bianco a quelli che ci sembrano meno "sporchi" e compromessi degli altri o in base alla direzione (destra o sinistra) nella quale "guardano"?
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Re: Futura alleanza di governo
>>Sarò monomaniaco ed anche un po' duro di comprendonio, ma quali siano realmente le proposte in campo non riesco proprio a vederlo.
Infatti.
E per questo nel dubbio il voto va a SEL.
Cia`.
soloo42000
Infatti.
E per questo nel dubbio il voto va a SEL.
Cia`.
soloo42000
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Re: Futura alleanza di governo
Amadeus ha scritto:lo vedi che pure Scalfari la pensa come me?
per il BBBBBBene dell'Italia si metteranno d'accordo e accetteranno l'incarico insieme.
e il popolo sovrano?
.... omissis ....
14:55 – Oggi
Pronto a dialogare anche con Berlusconi
Monti nell'intervista non esclude il dialogo con Berlusconi
http://www.huffingtonpost.it/2013/01/06 ... berlusconi
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Re: Futura alleanza di governo
Voto, istruzioni per l’uso
di Antonio Padellaro
| 6 gennaio 2013
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“È intrattenimento non politica”: così giorni fa il professor Giuseppe De Rita definiva Beppe Grillo e la sua campagna elettorale. Avrebbe dovuto aggiungere che ormai è tutta la politica-intrattenimento a debordare incontenibile da ogni angolo televisivo.
Ma in fin dei conti è più normale un comico di professione che strappa una risata o Bersani che imita Crozza che imita Bersani?
Rassegniamoci: la politica è un format con un preciso apparato di regole, come il Grande Fratello o X Factor.
Solo che il vincitore non andrà a Sanremo ma a Palazzo Chigi.
Attori di una fiction collaudata, i leader di partito interpretano ruoli ben truccati, disegnati e sceneggiati da esperti ghostwriter mentre con gli autori di fiducia essi provano e riprovano le battute decisive, quelle che faranno titolo su giornali e tg.
C’è Mario Monti, giustiziere della notte che bang bang fa fuori destra e sinistra e twitta allegramente con gli italiani mostrando le faccine sorridenti per far dimenticare il tecnico tutto lacrime e sangue.
Ecco Bersani nella parte del buon padre di famiglia, l’amico saggio con cui puoi farti una birra ma anche l’usato sicuro dal sapore antico come l’amaro Montenegro.
E riecco Berlusconi, piazzista di pentole, maschera bonaria del superballista e dunque più pericoloso che mai.
Superfluo chiedersi dove finisca la finzione e dove cominci la realtà perché tanto il 25 febbraio, proclamati i risultati elettorali, tutti quei format verranno riposti come manichini usati in magazzino.
Litigo ergo sum.
Il plot di una fiction politica è la zuffa, l’alterco, il battibecco.
È come nella Formula Uno quando l’attesa della carambola increspa gli ascolti. Ma non deve essere rissa.
Gli Sgarbi urlanti non tirano più (forse lo ha capito pure lui). Funziona piuttosto la stilettata intelligente, l’allusione sarcastica, la parola chiave.
Del Monti catatonico che alambicca e sottilizza chi si ricorderà qualcosa?
Ma il Professore ghignante che intima a Bersani di silenziare le sinistre pretese dei Fassina e della Cgil o che deride la “statura accademica” di Brunetta non sarà elegante ma fa notizia.
Non mancheranno insulti e calunnie, volerà qualche ceffone (metaforico) e si sprecheranno intimazioni e preclusioni .
“Con Monti mai” (Berlusconi).
“Ministro di Bersani mai” (Monti).
“Governi tecnici mai più”(Bersani).
Ma un’ora dopo la chiusura delle urne, lo sappiamo, le aperture di dialogo si sprecheranno, e in fondo perché no?
Senza happy end che fiction è?
No, il programma no
È una delle litanie più scontate: indignarsi perché il candidato premier non ha esplicitato la sua ricetta su tasse, sviluppo, pensioni, sanità, istruzione, ricerca ecc. ecc. Ma perché? A cosa serve?
Come se nella politica italiana tra gli impegni assunti e la loro attuazione ci fosse mai stato un legame serio. Infatti le categorie sono due.
I ballisti che le sparano grosse (come il solito B: “Aboliremo l’Imu”).
E gli altri che accortamente ci girano intorno con scaltrezza democristiana.
Prendiamo una frase di Monti sulla patrimoniale “che non è il diavolo anche se nel sistema fiscale ci sono altri interventi più importanti da fare”.
Ha forse detto che farà la patrimoniale? No. Ha detto che non la farà? No. E quali sono gli “interventi più importanti”? Boh…
La dura realtà quotidiana
“Ogni anno l’Italia paga 85 miliardi di interessi per onorare il debito pubblico nazionale”.
Lo ha detto Giorgio Napolitano nel messaggio di Capodanno ed è il macigno che qualsiasi governo, di qualsiasi colore dovrà caricarsi sulle spalle per tutta la prossima legislatura.
Pensate, l’equivalente di due finanziarie toste solo per evitare che il nostro Paese non rientri nella lista nera degli Stati insolventi e bancarottieri.
Tagli, tagli, tagli e ancora tagli: ecco quale sarà programma realistico di qualsiasi governo di qualsiasi colore.
E lo sviluppo? E la crescita? Solo se resterà qualche euro.
Almeno non facciamoci prendere in giro dai tanti venditori di fumo in circolazione.
Come andrà a finire?
Molto probabile, quasi sicura la vittoria alla Camera del centrosinistra di Bersani e Vendola che a Montecitorio porterà il famoso “squadrone” grazie anche al cospicuo premio di maggioranza.
Situazione più complicata al Senato dove Bersani e Vendola senza maggioranza rischiano di fare i conti con la lista unitaria guidata da Monti: un accordo di governo sinistra-centro diventerebbe allora inevitabile.
Ma se l’attuale premier chiedesse in cambio di restare a Palazzo Chigi, come potrebbe Bersani dire di no a Napolitano, all’Europa, a Draghi, alla Merkel e ai famosi mercati pronti a far scattare la ritorsione spread?
Attenzione infine a Berlusconi: dato ancora una volta per morto ma che, accreditato del 17-20 per cento, potrebbe sparigliare mettendo i suoi voti a disposizione di una “grande coalizione” (e non dategli retta se alla profferta aggiunge “senza Monti però” perché uno come lui se serve tratta anche col diavolo).
Resta infine Grillo: male che gli vada porterà in Parlamento ottanta-cento deputati.
E non solo per pigiare un pulsante.
Zitto e vota
Vi diranno:
lotta all’evasione fiscale,
guerra alla corruzione,
difesa del territorio e del patrimonio artistico,
dare un futuro ai giovani,
dimezzare il numero dei parlamentari,
tagliare i costi della casta…
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Ma non diranno come né quando perché queste cose le ripetono da sempre come una litania insopportabile.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Solo dalla lista di Ingroia, Di Pietro e De Magistris è lecito attendersi proposte concrete per arginare le mafie che si stanno mangiando il Paese.
E un impulso alla ricerca della verità sulla trattativa tra lo Stato e Cosa nostra che precedette l’uccisione di Paolo Borsellino.
Vi diranno liste pulite senza gli impresentabili, personaggi inquisiti, condannati e in conflitto d’interessi.
Non è così nel Pd (come andiamo scrivendo da giorni) e figuriamoci nel Pdl, in attesa che Monti mantenga le promesse di trasparenza.
Restano gli elettori, masse di cittadini angosciati da una crisi infinita che non lascia spazio a speranze di ripresa, i senza lavoro, i senza futuro, spremuti dalle tasse, dai mutui, dal costo della vita.
Gli rimane il voto.
Vogliono pure quello.
Il Fatto Quotidiano, 6 gennaio 2013
di Antonio Padellaro
| 6 gennaio 2013
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“È intrattenimento non politica”: così giorni fa il professor Giuseppe De Rita definiva Beppe Grillo e la sua campagna elettorale. Avrebbe dovuto aggiungere che ormai è tutta la politica-intrattenimento a debordare incontenibile da ogni angolo televisivo.
Ma in fin dei conti è più normale un comico di professione che strappa una risata o Bersani che imita Crozza che imita Bersani?
Rassegniamoci: la politica è un format con un preciso apparato di regole, come il Grande Fratello o X Factor.
Solo che il vincitore non andrà a Sanremo ma a Palazzo Chigi.
Attori di una fiction collaudata, i leader di partito interpretano ruoli ben truccati, disegnati e sceneggiati da esperti ghostwriter mentre con gli autori di fiducia essi provano e riprovano le battute decisive, quelle che faranno titolo su giornali e tg.
C’è Mario Monti, giustiziere della notte che bang bang fa fuori destra e sinistra e twitta allegramente con gli italiani mostrando le faccine sorridenti per far dimenticare il tecnico tutto lacrime e sangue.
Ecco Bersani nella parte del buon padre di famiglia, l’amico saggio con cui puoi farti una birra ma anche l’usato sicuro dal sapore antico come l’amaro Montenegro.
E riecco Berlusconi, piazzista di pentole, maschera bonaria del superballista e dunque più pericoloso che mai.
Superfluo chiedersi dove finisca la finzione e dove cominci la realtà perché tanto il 25 febbraio, proclamati i risultati elettorali, tutti quei format verranno riposti come manichini usati in magazzino.
Litigo ergo sum.
Il plot di una fiction politica è la zuffa, l’alterco, il battibecco.
È come nella Formula Uno quando l’attesa della carambola increspa gli ascolti. Ma non deve essere rissa.
Gli Sgarbi urlanti non tirano più (forse lo ha capito pure lui). Funziona piuttosto la stilettata intelligente, l’allusione sarcastica, la parola chiave.
Del Monti catatonico che alambicca e sottilizza chi si ricorderà qualcosa?
Ma il Professore ghignante che intima a Bersani di silenziare le sinistre pretese dei Fassina e della Cgil o che deride la “statura accademica” di Brunetta non sarà elegante ma fa notizia.
Non mancheranno insulti e calunnie, volerà qualche ceffone (metaforico) e si sprecheranno intimazioni e preclusioni .
“Con Monti mai” (Berlusconi).
“Ministro di Bersani mai” (Monti).
“Governi tecnici mai più”(Bersani).
Ma un’ora dopo la chiusura delle urne, lo sappiamo, le aperture di dialogo si sprecheranno, e in fondo perché no?
Senza happy end che fiction è?
No, il programma no
È una delle litanie più scontate: indignarsi perché il candidato premier non ha esplicitato la sua ricetta su tasse, sviluppo, pensioni, sanità, istruzione, ricerca ecc. ecc. Ma perché? A cosa serve?
Come se nella politica italiana tra gli impegni assunti e la loro attuazione ci fosse mai stato un legame serio. Infatti le categorie sono due.
I ballisti che le sparano grosse (come il solito B: “Aboliremo l’Imu”).
E gli altri che accortamente ci girano intorno con scaltrezza democristiana.
Prendiamo una frase di Monti sulla patrimoniale “che non è il diavolo anche se nel sistema fiscale ci sono altri interventi più importanti da fare”.
Ha forse detto che farà la patrimoniale? No. Ha detto che non la farà? No. E quali sono gli “interventi più importanti”? Boh…
La dura realtà quotidiana
“Ogni anno l’Italia paga 85 miliardi di interessi per onorare il debito pubblico nazionale”.
Lo ha detto Giorgio Napolitano nel messaggio di Capodanno ed è il macigno che qualsiasi governo, di qualsiasi colore dovrà caricarsi sulle spalle per tutta la prossima legislatura.
Pensate, l’equivalente di due finanziarie toste solo per evitare che il nostro Paese non rientri nella lista nera degli Stati insolventi e bancarottieri.
Tagli, tagli, tagli e ancora tagli: ecco quale sarà programma realistico di qualsiasi governo di qualsiasi colore.
E lo sviluppo? E la crescita? Solo se resterà qualche euro.
Almeno non facciamoci prendere in giro dai tanti venditori di fumo in circolazione.
Come andrà a finire?
Molto probabile, quasi sicura la vittoria alla Camera del centrosinistra di Bersani e Vendola che a Montecitorio porterà il famoso “squadrone” grazie anche al cospicuo premio di maggioranza.
Situazione più complicata al Senato dove Bersani e Vendola senza maggioranza rischiano di fare i conti con la lista unitaria guidata da Monti: un accordo di governo sinistra-centro diventerebbe allora inevitabile.
Ma se l’attuale premier chiedesse in cambio di restare a Palazzo Chigi, come potrebbe Bersani dire di no a Napolitano, all’Europa, a Draghi, alla Merkel e ai famosi mercati pronti a far scattare la ritorsione spread?
Attenzione infine a Berlusconi: dato ancora una volta per morto ma che, accreditato del 17-20 per cento, potrebbe sparigliare mettendo i suoi voti a disposizione di una “grande coalizione” (e non dategli retta se alla profferta aggiunge “senza Monti però” perché uno come lui se serve tratta anche col diavolo).
Resta infine Grillo: male che gli vada porterà in Parlamento ottanta-cento deputati.
E non solo per pigiare un pulsante.
Zitto e vota
Vi diranno:
lotta all’evasione fiscale,
guerra alla corruzione,
difesa del territorio e del patrimonio artistico,
dare un futuro ai giovani,
dimezzare il numero dei parlamentari,
tagliare i costi della casta…
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Ma non diranno come né quando perché queste cose le ripetono da sempre come una litania insopportabile.
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Solo dalla lista di Ingroia, Di Pietro e De Magistris è lecito attendersi proposte concrete per arginare le mafie che si stanno mangiando il Paese.
E un impulso alla ricerca della verità sulla trattativa tra lo Stato e Cosa nostra che precedette l’uccisione di Paolo Borsellino.
Vi diranno liste pulite senza gli impresentabili, personaggi inquisiti, condannati e in conflitto d’interessi.
Non è così nel Pd (come andiamo scrivendo da giorni) e figuriamoci nel Pdl, in attesa che Monti mantenga le promesse di trasparenza.
Restano gli elettori, masse di cittadini angosciati da una crisi infinita che non lascia spazio a speranze di ripresa, i senza lavoro, i senza futuro, spremuti dalle tasse, dai mutui, dal costo della vita.
Gli rimane il voto.
Vogliono pure quello.
Il Fatto Quotidiano, 6 gennaio 2013
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