Il tema del valore-lavoro e della democrazia economica

Analisi, proposte, riflessioni sul lavoro come valore.
Rispondi
mariok

Il tema del valore-lavoro e della democrazia economica

Messaggio da mariok »

Trovo estremamente difficoltoso, almeno per la mia comprensione, parlare di teoria del valore-lavoro partendo da una prospettiva meramente giuslavorista.

L'importanza delle regole nel rapporto di lavoro è fuori discussione. Tuttavia prescindere dai rapporti di forza (dovrei dire più correttamente: rapporti di classe) che ne sono il presupposto, è un errore che finisce con il condannare qualunque pur nobile e necessaria battaglia in difesa dei diritti, nel lungo periodo, ad inesorabili fallimenti.

Esemplificando: se Marchionne ha tutta la libertà di poter ricattare i suoi dipendenti, semplicemente ponendogli l'alternativa tra l'accettazione delle sue regole e la chiusura della fabbrica, quale lotta può mai avere la benché minima speranza di ribaltare la situazione? Da questo punto di vista, la battaglia della Fiom è degna di ogni considerazione, ma è oggettivamente perdente.

D'altra parte è pur vero che nessuna legge potrà mai obbligare un imprenditore a continuare le sue attività in una certa localizzazione, se essa è ritenuta non conveniente e profittevole.

Non ne faccio solo una questione di diritto (che in democrazia è pur rilevante) ma soprattutto di realistica impraticabilità.

Dunque: come ed in quale direzione intervenire per cercare di riequilibrare i rapporti di classe ed affrancarsi almeno in parte dal dilemma, ormai entrato nel sentimento comune, tra accettazione di condizioni normative ed economiche sempre peggiori e la perdita di milioni di posti di lavoro con il conseguente impoverimento di un'intera società?

E' da considerare che la drammaticità di tale dilemma è preesistente alla crisi in atto, anche se ovviammente è da essa pesantemente aggravata.

La questione si pone quindi in termini strutturali, piuttosto che congiunturali.

Torna quindi di attualità il tema della democrazia economica, sul quale si è detto e scritto moltissimo e che andrebbe ripreso rivedendolo ed aggiornandolo alla luce dell'attuale contesto.

Sintetizzando e schematizzando al massimo, penso che la questione della democrazia economica non possa oggi più essere intesa nei termini tradizionali del controllo dei processi produttivi e dell'organizzazione "in fabbrica", né nella partecipazione ai consigli di amministrazione (cogestione), né essere semplicemente ricondotta alla funzione pianificatrice dello stato (tema molto caro, a proposito di Riccardo Lombardi, alla sinistra italiana degli anni '70).

Rispetto all'ultimo punto, al di là della strumentalità ideologica di alcune posizioni cosiddette liberiste, non è senza fondamento la constatazione della estrema difficoltà, nell'attuale mondo globalizzato e finanziarizzato, di mettere in atto con una qualche efficacia le cosiddette politiche industriali.

Le questioni che sono, come detto, preesistenti a questa crisi, ma da essa poste in drammatica evidenza, ci portano a focalizzarci sul tema del controllo reale delle risorse economiche, che in un paese come il nostro privo di materie prime e fondato sulle attività di trasformazione e sui servizi, consistono essenzialmente in quelle finanziarie ed immateriali (conoscenza, formazione, know-how ecc.).

Guardando al tessuto economico del paese, possiamo dire che esso si regge sostanzialmente su quattro pilastri: quello della grande impresa, quello della piccola impresa a gestione quasi familiare ed artigianale, quello del mondo delle cooperative, quello della distribuzione e gestione dei cosiddetti "beni comuni" (acqua, energia, salute, territorio, ambiente, istruzione, ricerca).

Ciascuno di essi si trova in situazione di profonda crisi, sia pure in misure e con motivazioni diverse.

E' da essi e dalla loro "ricostruzione" su nuove basi che deve necessariamente partire la fondazione di una nuova democrazia economica.

Ciascuno di essi richiede approcci e politiche specifiche, con le quali la sinistra dovrebbe misurarsi concretamente al di là di schematiche semplificazioni.

Ma per ora basta.... continua (forse).
mariok

Il tema del valore-lavoro e della democrazia economica

Messaggio da mariok »

Il primo pilastro: la grande impresa.


La debolezza della grande impresa è un dato strutturale del capitalismo italiano.

Fino agli anni '70 tale debolezza è stata compensata da una forte presenza delle aziende pubbliche in settori strategici quali l'energia, la chimica, la telefonia, l'elettronica, l'informatica ecc.

La nostra borsa si trova (dato 2011) al ventesimo posto per capitalizzazione tra le borse mondiali, dopo Brasile, Spagna, Russia e Sudafrica.

Il quadro quindi è quanto mai preoccupante: un'industria pubblica ormai quasi completamente dismessa, attraversata da scandali di corruzione e cattiva gestione; un'industria privata in mano a poche famiglie, sottocapitalizzata rispetto ai grandi competitor internazionali, esposta alle scalate di potenti gruppi stranieri (vedi l'esempio del made in Italy dell'industria alimentare e tessile).

Se guardiamo invece alla "ricchezza" risparmiata dalle famiglie italiane, vediamo una situazione completamente capovolta rispetto agli altri paesi industrializzati.

La consistenza della ricchezza lorda delle famiglie corrisponde a circa sei volte il PIL e tale ricchezza è composta per circa un terzo da attività finanziarie.

Alla fine del 2002 le attività finanziarie delle famiglie corrispondevano a 2.494 miliardi di euro, di cui in titoli pubblici solo 218 miliardi di euro.

Una grande massa finanziaria solo in minima parte investita in titoli privati, azionari ed obbligazionari emessi da imprese, in larga parte confluita in quote di fondi comuni e in depositi ed altre forme di raccolta bancaria (alimentando quindi, in buona misura, la speculazione finanziaria).

Bastano questi pochi dati per trovare conferma del fatto che:

- la borsa italiana è tutt'altro che lo strumento attraverso il quale le imprese possano reperire i necessari capitali per gli investimenti in crescita ed innovazione;

- il risparmio delle famiglie contribuisce in misura inessenziale alla tenuta ed alla crescita dell'economia reale.

Tali caratteristiche del mercato finanziario, più marcatamente presenti nel caso italiano, sono determinate essenzialmente da cause fiscali e da gravi carenze sul piano delle regole atte a rendere trasparente ed affidabile il mercato azionario.

L'utile di un'impresa è tassato al 27,5% (IRES) più un'aliquota IRAP media del 4,5% (variabile da regione a regione) calcolata su una base imponibile più ampia che include i costi del personale dipendente!

Sugli utili netti distribuiti agli azionisti viene inoltre applicata un'ulteriore tassa del 20%. Da notare che tale aliquota del 20% è la stessa di quella applicata sul "capital gain" e sulle altre forme di speculazione finanziaria.

In assenza, inoltre, di regole rigorose di trasparenza e di salvaguardia dei piccoli azionisti, investire i propri risparmi in un impresa diventa una scelta, non solo scarsamente redditizia, ma ad elevatissimo rischio. I casi Cirio e Parmalat ne sono stati clamorosi esempi.

Nell'ottica di una politica che si ponga l'obbiettivo di un nuovo modello di sviluppo economico, una nuova sinistra di governo non può non porsi e dare una risposta alle seguenti domande:

- è pensabile una robusta ripresa dell'occupazione e dei salari senza un'inversione della tendenza al declino della grande impresa nazionale?

- con quali strumenti di politica industriale un governo alternativo alle ricette neo-liberiste può imprimere una tale inversione di tendenza?

- in considerazione della ristrettezza di risorse finanziarie pubbliche disponibili ed alla luce dei disastri registratisi purtroppo nella gestione delle aziende di stato, è realistico riproporre vecchi modelli del tipo delle ex-partecipazioni statali, IRI o altre aziende pubbliche come Alitalia, Ferrovie, Rai ecc.?

- quale è la proposta capace di dare risposta ai punti precedenti, nel quadro dello sviluppo di una nuova democrazia economica secondo i principi costituzionali a partire dall'art. 1 e dal titolo III interamente dedicato ai rapporti economici?


....continua (forse...)
mariok

Il tema del valore-lavoro e della democrazia economica

Messaggio da mariok »

Nuovi modi di fare impresa in attuazione dei principi costituzionali.

La nostra è la "costituzione più bella del mondo". Ma anche, forse, la meno applicata.

Proviamo dunque ad orientarci, sul tema del lavoro e dell'impresa, partendo da ciò che essa ci indica al riguardo.

A parte l'iper-citato Art. 1 (L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro), ci sono altri articoli da cui trarre spunto.


Art. 41 comma 3

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

(non a caso è l'articolo che la destra sta tentando di riscrivere ribaltandone i principi)

Art. 46

Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.

Art. 47

La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito.

Favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese.

In particolare, il 2° comma dell'art. 47 può offrirci il bandolo della matassa.

La riforma del sistema, nell'ottica della democrazia economica, non può non partire dallo strapotere della finanza sulla vita delle imprese.

Nel post precedente, mi pare risulti chiaramente in che misura i poteri finanziari, interponendosi tra la raccolta del risparmio ed il suo impiego, non solo lucrino enormi profitti che non corrispondono ad alcun valore aggiunto, ma orientino l'intero sistema verso il primato della speculazione sulla produzione della ricchezza attraverso l'impresa.

Appare quindi evidente la prioritaria esigenza di spezzare tale catena, incentivando il risparmio ad orientarsi verso la crescita economica e sociale del paese.

Gli strumenti attraverso i quali agire sono tipicamente quello fiscale e quello delle regole.

Il modello di impresa, anche se non esaustivo in un sistema economico articolato e plurale, verso il quale occorrerebbe spingere è quello delle "public company": aziende, cioè, a capitale diffuso, nelle quali non prevalgano interessi familiari o di gruppo, gestite con la massima trasparenza e secondo principi etici condivisi.

Il riconoscimento di azienda a capitale diffuso, al quale far corrispondere vantaggi fiscali, dovrebbe essere condizionato all'adozione di uno statuto basato sui seguenti principi:

- limitazioni atte ad evitare la costituzione di pacchetti di controllo attraverso scalate, patti di sindacato ecc.

- divieto di acquisto di azioni da parte di fondi comuni, banche ed altre aziende finanziarie;

- regole di rappresentanza dei piccoli azionisti, attraverso regole trasparenti per la costituzione e la gestione democratica di forme associative, che ne garantiscano in ogni caso la capacità di controllo sulle decisioni assembleari;

- precise norme sui criteri di scelta dei componenti gli organi societari con particolare riguardo alla trasparenza delle valutazioni, al riconoscimento del merito, delle capacità professionali, alla non sussistenza di qualsiasi forma di conflitti di interesse;

- previsione di un "comitato di sorveglianza", che dia gli indirizzi generali e gli obbiettivi e che vigili sulla corretta gestione dell'azienda; in esso dovrebbero essere rappresentati i piccoli azionisti, i lavoratori, affiancati da esperti accreditati presso le istituzioni di vigilanza (Consob o altre);

- adozione di un codice etico, accettato e sottoscritto dai manager e da tutti i dipendenti, che impronti la gestione aziendale a principi di etica individuale, sociale e di mercato, regoli il rapporto massimo tra le retribuzioni dei vertici rispetto a quello dei dipendenti di base, fissi le linee guida per la definizione di "score card" attraverso le quali valutare il management e le relative retribuzioni/incentivi;

- massima comunicazione e trasparenza sui dati aziendali, sui fornitori e sui contratti di consulenza, anche mediante l'accesso attraverso internet.

Al riconoscimento di "azienda ad azionariato diffuso" dovrebbero corrispondere benefici fiscali in termini di riduzione dell'imposizione fiscale (IRES e IRAP con esclusione dalla base imponibile dei costi del personale), con criteri di progressività rispetto all'ammontare delle quote singolarmente possedute.

Ad ulteriore garanzia dei piccoli azionisti, andrebbero semplificate le procedure per un più tempestiva adozione della gestione commissariale dell'azienda (vedi caso Parmalat) in caso di insorgenza di rischi per eccessivo indebitamento, carenza di liquidità, deterioramento del conto economico.

L'adozione di tale forma societaria dovrebbe essere progressivamente adottata per le aziende attualmente controllate dal ministero del tesoro o da altre istituzioni pubbliche, ad eccezione degli enti preposti alla gestione di "beni comuni" (enti di diritto pubblico diversamente regolamentati).


continua...(forse)
antonio77
Messaggi: 121
Iscritto il: 11/03/2012, 22:41

Re: Il tema del valore-lavoro e della democrazia economica

Messaggio da antonio77 »

in riferimento al primo intervento di Mariok.
Era stato chiesto ad Obama perchè PRIMA di essere eletto presidente era molto attivo in rete e poi da presidente aveva dichiarato che non segue più la rete.
la risposta di Obama è stata che non aveva tempo in quanto le discussioni erano troppo SUPERFICIALI

molti oggi in Italia sostengono questa tesi.

per questo è importante confrontarsi in rete avendo in mano ANCHE dei documenti.

la politica per sua natura è INTERDISCIPLINARE è quindi la politica del lavoro non può essere solo giurislavorismo.

la famosa ' crescita'.

le parole chiave sono MODELLO SOCIALE EUROPEO e NUOVO MODELLO DI SVILUPPO.

dice mariok :
--------------------------------------------------------------------------------------------
Sintetizzando e schematizzando al massimo, penso che la questione della democrazia economica non possa oggi più essere intesa nei termini tradizionali del controllo dei processi produttivi e dell'organizzazione "in fabbrica", né nella partecipazione ai consigli di amministrazione (cogestione), né essere semplicemente ricondotta alla funzione pianificatrice dello stato (tema molto caro, a proposito di Riccardo Lombardi, alla sinistra italiana degli anni '70).
----------------------------------------------------------------------------------------------

non basta ma sarebbe già molto.

In germania abbiamo nelle aziende con più di 2.000 dipendenti consigli di fabbrica luogo della LOTTA DI CLASSE intesa come un modello di sviluppo delle forze produttive e anche il luogo massimo della TRASPARENZA tra ruoli gerarchci di potere.

Poi come è noto abbiamo i consigli di codeterminazione.

in Italia giaciono molte proposte di leggi ordinarie sulla democrazia economica.
perchè sono tutte fallite ?
c è tutto da rifare qualcuno direbbe.

LA COGESTIONE IN GERMANIA E' NON UNA LEGGE ( cosi sarebbe già fallita ) ma parte costituente della COSTITUZIONE TEDESCA.

In italia da li dobbiamo partire non da leggi parlamentari ordinarie.

scusa Mariok ma ti sembrerebbe poca cosa avere in Italia un processo di codeterminazione e cogestione a livello di novazione della costituzione italiana ( novazione in quanto il secondo tempo degli articolo 1 e 3 ) ?

poi Mariok dici :
essere semplicemente ricondotta alla funzione pianificatrice dello stato (tema molto caro, a proposito di Riccardo Lombardi, alla sinistra italiana degli anni '70).

qui la questione fondamentale è il MODELLO SOCIALE EUROPEO.
non possiamo avere una economia che si confronta con il dumping sociale asiatico.
qui sta il corto circuito del pensiero dei camerieri dei poteri forti neoliberisti italiani.
e qui veniamo ad un punto programmatico :
dobbiamo introdurre in Europa i daziii doganali DA SUBITO per il tessle e per le scarpe come è stato fatto con grande ritardo per la ceramica.

Citi Riccardo Lombardi, come sappiamo non era un economista era uno studioso e appasionato di economia.
Lui da grande statista e uomo politico diceva queta anno PIL + 5% e crescita occupazionale +....
poi aveva una vera scuola di giovani economisti econometristi matematici di ricerca opeativa che lavoravano con entusiasmo e grande competenza.

questa era la programmazione economica democratica di cui parli tu.
oggi cosa abbiamo ?
cameritieri di poteri forti paperino nonna papera qui quo e qua !!!

la GRANDE POLITICA gestisce l' ECONOMIA intesa come GRANDE SCIENZA SOCIALE.

la PICCOLA POLITICA gestisce i CAMERIERI DEI PORERI FORTI (cioè dei MERCATI).

il nuovo modello di sviluppo ( allego poi 2 post su questa tematica ) è la CAPACITA' DELLA NOSTRA STORIA COLLETTIVA di produrre secondo i nostri BISOGNI e di vivere secondo i nostri desideri materiali e immateriali ( che vuol dire vivere in modo armonioso con le nostre forze culturali).
e qui condivido quando dici che dobbiamo partire dal modo di gestire le risorse.
.
mariok

Re: Il tema del valore-lavoro e della democrazia economica

Messaggio da mariok »

antonio77 ha scritto: scusa Mariok ma ti sembrerebbe poca cosa avere in Italia un processo di codeterminazione e cogestione a livello di novazione della costituzione italiana ( novazione in quanto il secondo tempo degli articolo 1 e 3 ) ?

poi Mariok dici :
essere semplicemente ricondotta alla funzione pianificatrice dello stato (tema molto caro, a proposito di Riccardo Lombardi, alla sinistra italiana degli anni '70).

qui la questione fondamentale è il MODELLO SOCIALE EUROPEO.
non possiamo avere una economia che si confronta con il dumping sociale asiatico.
qui sta il corto circuito del pensiero dei camerieri dei poteri forti neoliberisti italiani.
e qui veniamo ad un punto programmatico :
dobbiamo introdurre in Europa i daziii doganali DA SUBITO per il tessle e per le scarpe come è stato fatto con grande ritardo per la ceramica.

Citi Riccardo Lombardi, come sappiamo non era un economista era uno studioso e appasionato di economia.
Lui da grande statista e uomo politico diceva queta anno PIL + 5% e crescita occupazionale +....
poi aveva una vera scuola di giovani economisti econometristi matematici di ricerca opeativa che lavoravano con entusiasmo e grande competenza.

questa era la programmazione economica democratica di cui parli tu.
oggi cosa abbiamo ?
cameritieri di poteri forti paperino nonna papera qui quo e qua !!!

la GRANDE POLITICA gestisce l' ECONOMIA intesa come GRANDE SCIENZA SOCIALE.

la PICCOLA POLITICA gestisce i CAMERIERI DEI PORERI FORTI (cioè dei MERCATI).

il nuovo modello di sviluppo ( allego poi 2 post su questa tematica ) è la CAPACITA' DELLA NOSTRA STORIA COLLETTIVA di produrre secondo i nostri BISOGNI e di vivere secondo i nostri desideri materiali e immateriali ( che vuol dire vivere in modo armonioso con le nostre forze culturali).
e qui condivido quando dici che dobbiamo partire dal modo di gestire le risorse.
.
Ho grande rispetto per la storia della sinistra europea e per le sue conquiste.

Quello che volevo evidenziare è che, pur in continuità con quella storia, oggi vanno affrontati problemi che nel passato non si ponevano con la stessa evidenza e drammaticità.

E' sotto i nostri occhi il potere di condizionamento politico ed economico della finanza.

Combatterlo non è cosa semplice, soprattutto per la sua dimensione globale che richiede quindi livelli di intervento a livello sovra-nazionale (da europeo in su). Ma certamente non può bastare l'imposizione di una tobin tax, proposta oltre la quale l'attuale sinistra non sembra saper andare.

In considerazione delle specificità italiane e dei gravi rischi di deindustrializzazione che le caratterizzano, spezzare la filiera perversa che sta strozzando finanziariamente il nostro sistema produttivo è un'evidente priorità.

A nuove modalità di finanziamento del sistema economico, per sottrarlo alla speculazioni dei grandi gruppi finanziari, vanno naturalmente affiancati maggiore trasparenza e nuovi poteri di controllo, non solo da parte dei dipendenti dell'impresa, ma più complessivamente dalla collettività nel quadro appunto di una democrazia economica i cui principi, ovviamente migliorabili, sono già presenti nel titolo III della nostra costituzione.
antonio77
Messaggi: 121
Iscritto il: 11/03/2012, 22:41

Re: Il tema del valore-lavoro e della democrazia economica

Messaggio da antonio77 »

L'economista Jossa: La rivoluzione liberale avverrà nel segno di Marx

Il futuro? Capitalisti in tuta blu


"L'impresa Democratica" (Carocci Editore) è il titolo dell'ultimo libro di Bruno Jossa, ordinario di Economia Politica alla Federico II di Napoli, che propone un modo nuovo di produrre e distribuire il reddito, di concepire il mondo delle imprese che dovrebbero assumere forma cooperativa per realizzare quella che si definisce una vera rivoluzione democratica.

Alfonso Ruffo


Professore, che cosa manca oggi alle imprese per essere considerate "democratiche"?

Le imprese attuali, per lo meno quelle più rilevanti dal punto di vista della società capitalistica, sono dirette dal principio "un'azione, un voto" che si può definire plutocratico. L'idea di fondo è affermare, invece, il principio democratico "una testa, un voto".

Il capitale al posto del lavoro e viceversa: una specie di rivoluzione copernicana?

Sì, una vera e propria rivoluzione la cui matrice culturale ho ripescato nei classici del marxismo. Ma una rivoluzione pacifica, da realizzare nel tempo e attraverso percorsi democratici che condurranno a risultati positivi impensabili.

Si può concepire una rivoluzione pacifica?

Per "pacifica" intendo "parlamentare". Se gli intellettuali si convincono che il nuovo sistema è migliore del capitalismo, è più efficiente e produce vantaggi per la mano pubblica, penso che una decisione del Parlamento, di qui a cinquant'anni, fatta con le dovute regole, dopo un'ampia discussione che coinvolga i cittadini, si possa avere.

Il suo è un attacco al capitalismo ma non all'economia di mercato. Come la mette con il socialismo di Marx?

La novità è l'idea di riuscire a coniugare, per la prima volta, socialismo e mercato. Il sistema che propongo è più di mercato dello stesso capitalismo perché rende imprenditori anche i lavoratori e diffonde libertà economica ovunque si irradi.

Lei è sicuro che i lavoratori, tutti o in gran parte, vogliano trasformarsi in imprenditori assumendosi anche le responsabilità del ruolo?

Questo è un punto importante. L'idea è bellissima. Ma, naturalmente, ci sono punti che vanno discussi. Si potrebbe credere che i lavoratori non siano d'accordo nel passare da una situazione di reddito è fisso ad un'altra con reddito variabile. Potrebbe sembrare un passo indietro ma così non è perché in un sistema di imprese cooperative la perdita del posto di lavoro è quasi da escludere.

Perchè ritiene che nei momenti di crisi lo strumento cooperativo funzioni meglio di quello capitalistico classico?

Un sistema di imprese democratiche reagisce meglio alla crisi perché la disoccupazione per alto costo del lavoro, secondo una timore dei conservatori, diventerebbe inconcepibile dal momento che il costo del lavoro non esisterebbe praticamente più.
In questo modo lei annulla il ruolo dei sindacati che non avranno più nulla da difendere se i lavoratori si trasformano in imprenditori…
Questo è un punto dolente. E' chiaro che quando i lavoratori saranno padroni di se stessi non avranno più bisogno di un sindacato che li protegga. L'aspetto importante, chiarissimo a Gramsci al cui pensiero mi rifaccio volentieri, è realizzare un marxismo democratico.

Non teme l'opposizione di troppe forze rilevanti: capitalisti, sindacati, parte stessa dei lavoratori?

Credo sia facile conquistare gli intellettuali all'idea che il sistema è molto bello. Ma è indubbiamente difficile conquistarli all'idea che il passaggio sia anche facile. Occorre avere visione e coraggio.

Un passaggio intermedio poteva essere quello della cogestione. Ma non ha avuto successo. Perché?

C'è tutta una letteratura a riguardo, di matrice soprattutto marxista, che porta a dire che la cogestione è peggio del capitalismo perchè lascia il potere decisionale in mano ai capitalisti e rende i lavoratori più partecipi alla attività produttiva e quindi maggiormente sfruttati.

Siamo in un'economia globalizzata: a che scala dovrebbe avvenire questa rivoluzione? E' possibile che un paese che adotti il sistema cooperativo possa competere con un altro di stampo capitalistico?

La riposta da parte mia è un netto sì perché in una economia rigorosamente di mercato le imprese gestite dai lavoratori devono e possono competere con imprese capitalistiche del mondo intero. E siccome è radicata in letteratura la convinzione che le imprese cooperative siano le più produttive, vincerebbero anche la gara degli scambi internazionali.

Sta attendendo alla creazione di un uomo uovo o quello che c'è è sufficiente a incarnare il suo ideale?

Non c'è nulla di idealistico in quello che dico. La mia tesi poggia sulla convinzione che l'uomo sia perfettamente egoista e persegua dunque il suo proprio interesse. Ma noi sappiamo che l'uomo non è solo egoista; dunque…

Lei richiama il ruolo degli intellettuali. E' sicuro che abbiano un peso nella società?

Voglio essere un po' cattivo e penso che oggi gli intellettuali non siano sufficientemente coraggiosi. Si collegano ai partiti e perdono la loro autonomia. C'è poco da sperare se non si svegliano perché potrebbero e dovrebbero svolgere una funzione fondamentale

Quale?

Su questo punto mi sento un po' gramsciano ma ancor più hayekiano. Hayek, economista di destra, ha detto e scritto più volte che per affermare un'idea non c'è bisogno di conquistare la maggioranza della popolazione perché basta convincere gli intellettuali.

E' quello che cercherà di fare?

Ho l'impressione che se gli intellettuali l'abbracciassero e la difendessero, l'idea dell'impresa democratica si affermerebbe anche in Parlamento. La sua origine, la sua matrice culturale, è sicuramente liberale.

Non le sembra un tentativo di conciliare gli opposti?

Questa è una vera rivoluzione liberale. Anzi, è il passo in avanti che la rivoluzione liberale non è ancora riuscita a compiere. Queste cose le ha dette meglio di qualsiasi altro Carlo Rosselli nel suo magnifico libro "Socialismo liberale". Poi, l'idea è fortemente cattolica per il solidarismo che sviluppa. E poi c'è un po' di marxismo che io amo metterci dentro.

Perchè si sforza di appoggiare tutta la costruzione su una solida base marxista? Perché ci tiene così tanto?

Il mio maestro, il mio grande maestro di cui venero la memoria, Paolo Sylos Labini, con cui parlavo di queste cose, mi faceva la stessa domanda: perché ti vuoi collegare a tutti i costi al marxismo?, non sarebbe meglio rifarti alla cultura borghese?

E lei che cosa rispondeva?

Io sono di matrice cristiana, ma nei confronti dei cristiani oggi ho molta sfiducia perché li vedo poco battaglieri, sulla difensiva. Aspettarsi una rivoluzione dai cattolici mi sembra impossibile. E per quanto riguarda liberali, come si può pensare che la rivoluzione contro il capitale la facciano i proprietari degli strumenti?

Quindi giunge a Marx per differenza?

C'è una ripresa di marxismo autentico, di altissimo livello, negli Stati Uniti che si collega al crollo del Muro di Berlino: il grande avvenimento storico che lungi dall'aver sancito la fine del marxismo e del socialismo rappresenta in qualche modo l'inizio del vero marxismo e del vero socialismo, quello democratico.

***

Bruno Jossa
L' impresa democratica
mariok

Re: Il tema del valore-lavoro e della democrazia economica

Messaggio da mariok »

Molto interessante, Grazie antonio77 per averlo postato.

Mi sembra convincente, anche se andrebbe approfondito nei dettagli.

Credo che valga la pena comprare il libro.
La novità è l'idea di riuscire a coniugare, per la prima volta, socialismo e mercato. Il sistema che propongo è più di mercato dello stesso capitalismo perché rende imprenditori anche i lavoratori e diffonde libertà economica ovunque si irradi.
Mi sembra un punto di forza della teoria. Immaginare una rivoluzione che non vada a scontrarsi col mercato ha senza dubbio una fattibilità maggiore di altre ipotesi più totalizzanti.

Qui in Italia il sistema delle cooperative potrebbe rappresentare un buon punto di partenza, anche se non sono la stessa cosa. Tuttavia hanno dimostrato una resistenza alle crisi molto superiore alle classiche imprese capitalistiche.

Quello che non mi è chiaro è l'aspetto riguardante la finanza. La competitività di un'impresa dipende in larga misura dalla capacità di investire. Non vedo come possa affermarsi un nuovo modello di "Impresa democratica" senza una diversa finanza che la sostenga.

Penso che sarà tra le prossime letture estive.
antonio77
Messaggi: 121
Iscritto il: 11/03/2012, 22:41

Re: Il tema del valore-lavoro e della democrazia economica

Messaggio da antonio77 »

LA RELAZIONE DEL PROF. ZAMAGNI al Festival del Diritto di Piacenza 2013.
Titolo : MERCATO E DEMOCRAZIA
Parole chiave : Solidarietà ,Fratellanza, Collettività , Uguaglianza, Mercato Civile, Economia dei Beni contro Meritocrazia Competitività, Individualismo, Efficientismo, Mercato Capitalistico, Economia delle merci, Economia del Denaro.

------------------------------------------------------------------------------------------
http://www.festivaldeldiritto.it/app/pr ... ok=1&pos=1
http://www.festivaldeldiritto.it/downlo ... amagni.mp3
Rispondi

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 1 ospite