Come se ne viene fuori ?

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camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

myriam ha scritto:In Sicilia la giunta Crocetta , appoggiata da M5S , abolisce le province.
Le prossime elezioni sono state annullate e un mucchio di soldi sono stati risparmiati.
Così se ne viene fuori, un passo dietro l'altro, con il lavoro e l'onestà di gente di buona volontà.
Perchè non si può fare lo stesso con il governo del paese? perchè?

Perché evidentemente a Roma non ci sono persone di buona volontà e oneste.
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

Deliberare è discutere e poi decidere, e per il Manifesto del G1000 è più efficace dei referendum: «In un referendum ci si limita a votare, mentre in democrazia deliberativa bisogna anche parlare, ascoltare».


Alla fine anche Barbara Spinelli ci è arrivata. I forum rappresentano la piazza, la vecchia Agorà. Ergo la democrazia.

Ma questo non può piacere di certo all’oligarchia che vede minacciato il proprio potere decisionale.

Recita un vecchio proverbio siciliano: “Megghiu cumannari ca futtiri.”…….. Meglio comandare che fottere.
Ed è tutto un dire per un popolo a cui piace fottere assai.

Non ho informazioni in merito e quindi mi attengo a quelle fornite da soloo42000, in merito all’ingerenza politica romana nel vecchio forum. A Roma la democrazia non piace. Piacciono solo gli indrottinamenti che gli consentono la permanenza all’interno della cittadella della casta.


****

Se la politica torna all’agorà di Atene (Barbara Spinelli).
20/03/2013 di triskel182



«NIENTE esperimenti! – Keine Experimente!»: così Konrad Adenauer, Cancelliere dopo la disfatta di Hitler, si rivolse nel ’57 ai cittadini tedeschi.

Voleva tranquillarli, toglier loro ogni ghiribizzo – o grillo che dir si voglia. Nacque una democrazia solida, e tuttavia c’era un che di ottuso e impolitico nel monito: era rivolto a un popolo vinto, sedotto per anni dalla più orrenda delle sperimentazioni.


Nel fondo dell’animo tedesco, questa paura dell’esperimento non svanisce.


Oggi non è così, né in Italia né in Europa: la crisi ha smascherato Stati nazione impotenti, la democrazia è ovunque in frantumi.



Politici e cittadini sono scollegati, con i primi chiusi nelle loro tane e i secondi che per farsi udire vogliono contare di più.
(anche Barbara Spinelli usa un termine improprio, accenna a “democrazia” quando in realtà si tratta di oligarchia. Da noi questa oligarchia è stata individuata da Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo nel libro “La casta” –ndt)



A meno di non considerarci sconfitti di guerra, oggi è più che mai tempo di esperimenti, proprio nella sfera della democrazia.

È tempo di disabituarci a schemi cui politici e giornalisti restano, per pigra convenienza, aggrappati.



Manuel Castells, uno dei massimi studiosi dell’informazione, scrive su La Vanguardia del 2 marzo:
«O innovare o perire».



I custodi del vecchio ordine non vedono il nesso, tra le varie crisi: dell’economia, dell’Europa, del clima, delle democrazie.



Gli sdegni cittadini non dicono loro nulla, anche se il segnale è chiaro: la democrazia rappresentativa è un Titanic che sta schiantandosi.




Tra governanti e governati c’è un deserto, e in mezzo campeggia un miraggio di rappresentanza: sono deboli i sindacati, spenti i partiti, e la stampa più che i lettori serve i potenti.




Nel vuoto, però: una cittadinanza che vuole svegliarsi, sondare altre strade, ricominciare la democrazia.



Oggi l’Italia è a un bivio, scossa ma non vinta: il nuovo inizio invocato da Castells non genera un governo, i primi cambiamenti si fanno attendere.


Intanto gli abitudinari gridano all’ingovernabilità.


È dagli anni ’70 che si esercitano ad averne paura, a non vedere le crepe che fendono la stabilità cui dicono di anelare.



In Europa abbiamo conosciuto un caso di ingovernabi-lità, spettacolare.


È il caso dei belgi, che Grillo cita tra l’altro nel libro scritto con Dario Fo e Roberto Casaleggio (Il grillo canta sempre al tramonto, Chiarelettere 2013).


Accadde in piena crisi del debito sovrano, dunque vale la pena farsi qualche idea su un evento che sorprese loro e noi.

Per 541 giorni il paese restò senza governo, fra il giugno 2010 e il novembre 2011.

Ben presto si vide che non era semplice squasso tra Fiandre e Vallonia: a traballare era l’impianto stesso della democrazia rappresentativa.

L’esperienza belga è istruttiva, per gli effetti negativi che ebbe ma anche per l’impeto di quelli trasformatori.

Molti luoghi comuni si sfaldarono.

Molte parole toccò ripescarle in soffitta: tra esse la parola riforma, che un tempo significava
miglioramento (ma immediato: se no meglio la rivoluzione).



Oggi vuol dire peggioramento.




Il paese resse. L’ingovernabilità – lo stesso potrebbe valere per l’economia – fu letteralmente crisi: non stasi, ma occasione e svolta.

Il lato negativo è palese: in assenza di governo, il re decise che per gli affari correnti sarebbe rimasto il governo battuto alle urne di Yves Leterme, democristiano.


L’ordinaria amministrazione presto si rivelò poco ordinaria.


I poteri del governo s’estesero, e si parlò delle insidie degli affari correnti.


L’amministrazione ordinaria servì a sventare quel che gli immobilisti considerano da sempre la mostruosa causa dell’ingovernabilità: il «sovraccarico » delle domande cittadine.


Nei 18 mesi di stasi, il governo facente funzione regnò impassibile, forte di maggioranze obsolete.

Approvò l’austero bilancio del 2011, gestì il semestre di presidenza europea nel 2010. Partecipò perfino alla guerra libica.


In Italia, sarebbe come prolungare Monti: un risultato non ottimo, per chi ha vinto alle urne promettendo di «innovare o perire».


Gli Stati-nazione periclitano, l’Europa ancora non è una Federazione di solidarietà, e lo status quo è salvo.

Il non-governo crea un potere inedito, più libero dal popolo sovrano: assai simile al pilota automatico che, secondo Draghi, protegge la stabilità dal «sovraccarico » di domande cittadine.

Ma l’esperienza belga produsse al contempo novità enormi.

Cosciente che in gioco era la democrazia, la cittadinanza si mosse.

Prese a sperimentare soluzioni antiche come l’agorà greca che delibera, o l’Azione Popolare auspicata da Salvatore Settis, che risale alle «actiones populares » del diritto romano: i cittadini possono far valere non un interesse proprio ma della comunità, ed essendo titolari della sovranità in democrazia, saranno loro a inventare agende centrate sul bene comune.



Non c’è altra via, per battere l’antipolitica vera: il predominio dei mercati, e un’austerità che senza ridurre i debiti impoverisce e divide l’Europa.



Lo Stato siamo noi, dice M5S: è l’idea del movimento scaturito dal non-governo belga.


G1000 è il nome che si diede, e nacque durante l’ingovernabilità su iniziativa di quattro persone (un esperto di economia sostenibile, un archeologo, un politologo, un’attrice). Il primo vertice dei 1000 fu convocato l’11 novembre 2011, nell’ex sito industriale Tour et Taxis a Bruxelles.

Il Manifesto fondativo denuncia le faglie della democrazia rappresentativa e suggerisce rimedi.

Non si tratta di distruggere rappresentanza o deleghe (i Mille estratti a sorte delegarono le proposte a 32 cittadini – il G32 – come già aveva fatto l’Islanda per la riscrittura della Costituzione, prima discussa in rete poi affidata a un comitato di 25 rappresentanti).

Non si tratta neppure di «togliere lavoro ai partiti», scrive il Manifesto.




Quel che deve finire è lo status quo: la partitocrazia e – in era Internet – il giornalismo tradizionale: «In tutti i campi l’innovazione è stimolata, salvo che in democrazia.

Le imprese, gli scienziati, gli sportivi, gli artisti devono innovare, ma quando si tratta di organizzare la società facciamo ancora appello, nel 2011, all’800».




È uno dei primi esempi europei di democrazia deliberativa (il Brasile iniziò nei primi anni ’90):

Azione Popolare ha già una storia.


Deliberare è discutere e poi decidere, e per il Manifesto del G1000 è più efficace dei referendum: «In un referendum ci si limita a votare, mentre in democrazia deliberativa bisogna anche parlare, ascoltare».


Prende forma l’idea postmoderna dell’agire comunicativo, immaginato da Habermas nel 1981.

Il fenomeno è continentale, non solo italiano.



Avrà il suo peso, si spera, alle elezioni del Parlamento europeo nel maggio 2014.



Sarà scelto dai cittadini, si spera, il futuro capo della Commissione che siederà nella trojka dell’austerità.

È difficile sperimentare, ricominciare.

Lo si vede in queste ore: Grillo ha biasimato i parlamentari 5Stelle favorevoli a Grasso, ma la successiva scelta di far decidere i suoi a maggioranza (e l’apertura a governi non partitici) innova profondamente, rispetto alla prassi di tutti i partiti di trasmettere a deputati e senatori l’indicazione su come si deve votare.


È quello che Machiavelli consiglia a chi innova: «Vedere le cose più da presso», considerare «come i tempi e non gli uomini causano il disordine » (Discorsi, I-47).


Anche la democrazia rappresentativa fu difficile, anche proporre nell’800 il suffragio universale.

L’unica cosa impraticabile è dire no agli esperimenti, comportandosi come Adenauer da sconfitti. I veri esperimenti, quelli che usano le persone come mezzi e le Costituzioni come stracci, avvengono in Grecia, immiserita dall’austerità.

O a Cipro, dove stabilità vuol dire defraudare i conti bancari dei cittadini, ricchi e no.


Che altro fare, se non sperimentare quel che la cittadinanza attiva chiede si provi.


Continuare a considerare un «sovraccarico» le sue domande: questa è ingovernabilità.


Se il nuovo Papa torna alle origini, chiamandosi Francesco, forse anche per la politica è ora di non confondere gli ultimi coi vinti.


Di tornare all’agoràdi Atene, all’Azione Popolare di Roma antica.

Da La Repubblica del 20/03/2013.
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

Spezzeremo le reni alla Grecia - 43
http://www.youtube.com/watch?v=AGCGt-bYd0I
Da Fratelli d’Italia a Banditi d’Italia - 17
La ruota della macina della storia si muove - 12

La guerra dell’Asilo Mariuccia - 6


El ejército amarillo papal de los comandante Monteneros si sta dissolvendo.

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Monti disgustato da critiche interne SC
Non vorrei essere estinto da chi ho contribuito a far eleggere
20 marzo, 17:05

(ANSA) - ROMA, 20 MAR - Mario Monti si e' detto disgustato dalle voci critiche nei suoi confronti, interne a Scelta Civica, riportate in alcune ricostruzioni giornalistiche, tanto da essere stato tentato dal disertare la riunione con gli eletti a Montecitorio.E' stato lo stesso capo del governo, secondo quanto riferito, a dar conto della propria amarezza per quanto letto sulla stampa. So di essere considerato in via d'estinzione, ma non vorrei essere estinto da chi ho contribuito a portare qui, avrebbe detto Monti.
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mariok

Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da mariok »

Credo che ormai si possa dire che Monti è la più grande bufala del dopo-guerra.

Grande tecnico, uomo super-partes, "riserva della repubblica", si è rivelato un piccolo arrampicatore sprezzante del ridicolo.

Con l'ultima gaffe indiana, con un ambasciatore preso in ostaggio, ha distrutto anche quella immagine internazionale tanto sbandierata e che sembrava essere la principale, se non l'unica, sua virtù.

Siamo un povero paese, dove tutto si rivela col tempo una truffa.

Mi diceva qualcuno stamani che il più "autentico" alla fine è Berlusconi, che si mostra per quello che è senza sorprese.

Come dargli torto?
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

mariok ha scritto:Credo che ormai si possa dire che Monti è la più grande bufala del dopo-guerra.

Grande tecnico, uomo super-partes, "riserva della repubblica", si è rivelato un piccolo arrampicatore sprezzante del ridicolo.

Con l'ultima gaffe indiana, con un ambasciatore preso in ostaggio, ha distrutto anche quella immagine internazionale tanto sbandierata e che sembrava essere la principale, se non l'unica, sua virtù.

Siamo un povero paese, dove tutto si rivela col tempo una truffa.

Mi diceva qualcuno stamani che il più "autentico" alla fine è Berlusconi, che si mostra per quello che è senza sorprese.

Come dargli torto?


Mi diceva qualcuno stamani che il più "autentico" alla fine è Berlusconi, che si mostra per quello che è senza sorprese.

Come dargli torto?



Un bandito?
mariok

Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da mariok »

camillobenso ha scritto:
mariok ha scritto:Credo che ormai si possa dire che Monti è la più grande bufala del dopo-guerra.

Grande tecnico, uomo super-partes, "riserva della repubblica", si è rivelato un piccolo arrampicatore sprezzante del ridicolo.

Con l'ultima gaffe indiana, con un ambasciatore preso in ostaggio, ha distrutto anche quella immagine internazionale tanto sbandierata e che sembrava essere la principale, se non l'unica, sua virtù.

Siamo un povero paese, dove tutto si rivela col tempo una truffa.

Mi diceva qualcuno stamani che il più "autentico" alla fine è Berlusconi, che si mostra per quello che è senza sorprese.

Come dargli torto?


Mi diceva qualcuno stamani che il più "autentico" alla fine è Berlusconi, che si mostra per quello che è senza sorprese.

Come dargli torto?



Un bandito?
Proprio così. Un bandito. Ed in Italia ci sono moltissimi merli che preferiscono i veri banditi ai falsi santi.
peanuts
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Iscritto il: 21/02/2012, 22:29

Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da peanuts »

myriam ha scritto:In Sicilia la giunta Crocetta , appoggiata da M5S , abolisce le province.
Le prossime elezioni sono state annullate e un mucchio di soldi sono stati risparmiati.
Così se ne viene fuori, un passo dietro l'altro, con il lavoro e l'onestà di gente di buona volontà.
Perchè non si può fare lo stesso con il governo del paese? perchè?
Crocetta è uno che in Sicilia ha rischiato in prima persona, per esempio quando ci fu la vicenda dell'acqua a Gela.
I vertici del pd sono tutt'altra faccenda, purtroppo, non ispirano fiducia
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
Amadeus

Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da Amadeus »

è un pò lungo ma è un bellissimo articolo.

Pd-M5S, perché il modello Sicilia
è finito prima di cominciare...
http://www.unita.it/italia/pd-m5s-e-un- ... 192?page=1

Cartoline dalla Sicilia di Grillo: successi, bluff e incognite per l’Italia. Una guida minima al fenomeno M5S in Sicilia, e al futuro del Paese.

1
Il 2013 è iniziato da poco: a chi non sembra che sia già durato troppo? La campagna elettorale e le elezioni sotto la neve; il boom di Grillo, la delusione del Pd, la rimonta del Pdl; la crisi la disoccupazione lo spread; il nuovo Presidente, il nuovo Papa; le visite fiscali a Berlusconi, le manifestazioni contro i giudici. Il 2013 è iniziato da poco: è già durato troppo. E come spesso succede nelle cose della politica è iniziato in Sicilia e con largo anticipo.

2
E' un vizio storico dell'isola: saperla lunga. Qui Luigi Sturzo pone le basi per il Partito Popolare (1919, a Caltanissetta); qui comunisti e democristiani si accordano per far eleggere governatore Piersanti Mattarella (1975, tre anni prima del "governo di unità nazionale"); qui si votano direttamente i primi sindaci d'Italia (1991); qui il cuffarismo fa implodere l'Udc; qui il Pdl intuisce lo sfascio senza Berlusconi (regionali 2012).

3
Qui il 2013 della politica è iniziato nel novembre 2012: e per molti inaspettatamente. Con il Movimento 5 Stelle che diventa primo partito all'assemblea regionale, Rosario Crocetta del Pd nuovo governatore, il Pdl che si squaglia. Ora che l'ombra siciliana si è allungata su Roma e molti vi guardano come modello, se ne potrebbe cavare un'immagine utile a capire cos'è successo (e sta succedendo) in Sicilia - e cosa può succedere in Italia.

4
"L'immagine riguarda particolarmente la Sicilia (...) Ma non per un criterio limitativo, o peggio, di sciovinismo regionalistico: soltanto per l'esigenza di conferire all'immagine quella concentrazione e concretezza che di solito la Sicilia offre per ogni male italiano" (Leonardo Sciascia, “La noia e l'offesa”). Un pessimista è un'ottimista che ha imparato a fare due più due: sotto la crosta dello sciasciano "ogni male italiano", l'ottimista leggerà "ogni bene italiano".






5
Angelino Alfano è nato a Sant'Angelo Muxaro, piccolo paese in provincia di Agrigento (il padre ne è stato vicesindaco con la Dc). Eletto deputato regionale a 25 anni, molti compaesani lo accolsero buttandogli petali di rose dai balconi e Il Giornale di Sicilia titolò: “Mamma, vado a fare l’onorevole”. Alle scorse regionali ha visto franare il Pdl dal 33% al 12%. Alle politiche ha cantato vittoria, ma i numeri hanno la malagrazia di rovinare le feste: in Sicilia, rispetto alle scorse politiche (più di 1mln e 300mila voti), il Pdl ha dimezzato i consensi (660 mila voti). Rosario Crocetta è nato a Gela, in provincia di Caltanissetta, ha iniziato a fare politica con il Pci, ha scritto un libro di poesie, è stato messo sotto scorta per minacce mafiose (un killer lituano sarebbe stato pronto a ucciderlo). Del paese natale è diventato sindaco ("il primo sindaco dichiaratamente gay d'Italia", dice l'Arcigay), carica che ha lasciato nel 2009 per l'Europarlamento e poi per Palazzo d'Orléans (novembre 2012). Vista l'impresa di scalzare il centrodestra e divenire il secondo governatore di sinistra nella storia siciliana (il primo, nel 1998, è stato Angelo Capodicasa), il Pd sperava di riguadagnare con lui il 25% su base regionale delle elezioni del 2008: si è fermato al 18%. Beppe Grillo è nato a Genova: nel giro di quattro mesi s'è bevuto la Sicilia.

6
L'isola è stata romana bizantina e araba, berbera e normanna, lombarda piemontese austriaca, spagnola e papalina e fascista: fossero arrivati da Marte sarebbe stata marziana, è venuto Beppe Grillo, è diventata grillina.

7
Il Movimento 5 Stelle alle regionali del 2012 ottiene il 15% dei voti. Alle politiche conferma il primato di partito più votato e per 4 punti percentuali non strappa al Pdl il premio di maggioranza al Senato. Il Financial Times titola in prima pagina: "Gli elettori in Sicilia danno a un comico l'ultima risata".

8
Il 16 giugno 1938, Leo Longanesi scriveva sul suo diario: "Fra vent'anni nessuno immaginerà i tempi nei quali viviamo. Gli storici futuri leggeranno giornali, libri, consulteranno documenti d'ogni sorta ma nessuno saprà capire quel che ci è accaduto. Come tramandare ai posteri la faccia di F. quando è in divisa di gerarca e scende dall'automobile?". Ho l'impressione che questo è quello che ci stia capitando oggi: come tramandare la faccia di Beppe Grillo mentre zuppo d'acqua emerge dallo Stretto di Sicilia per prendersi un'intera isola?

9
Giorgio Vasta è nato a Palermo nel 1970. Con "Il Tempo materiale" è stato finalista allo Strega e uno dei pochi scrittori italiani a essere tradotti negli Stati Uniti. Gli chiedo come si spiega la fascinazione dei siciliani per il comico genovese. "In Grillo riconosco tratti espressivi e comportamentali nei quali una cultura come quella siciliana non può che rispecchiarsi", mi dice. "La sua disponibilità alla retorica messianica, per esempio. L'elettorato siciliano, allevato nei decenni a reagire a figure forti, a parole d'ordine elementari, nel momento in cui compare all'orizzonte un padre salvatore lo prende al volo".

10
Lo sbarco di Grillo in Sicilia, lo stupore sul volto di molti e l'impressione che tanti abbiano capito poco, mi ricordano una delle pagine più belle di Vitaliano Brancati. Vi si racconta l'arrivo a Pachino, per mano di un forestiero che tra l'altro l'aveva comprato per caso, ma a cui avevano detto che era un portento, del terzo libro delle Laudi di D'Annunzio - sorpresa, stupore e febbre a mordere i frequentatori della farmacia, specchio di tutta la provincia italiana:

"Ecco", disse il forestiero, e posò sul banco il volume. "L'avete letto?".
Tutti rizzarono il collo (...).
"Le laudi?".
"Eh, eh!", fece il viaggiatore. "Sentite un po'".
Aprì a caso il libro e lesse malamente alcune parole che non capiva. "Che siano delle fesserie?", cominciò a pensare, guardando con la coda dell'occhio coloro che lo avevano ascoltato. Ma si avvide che il suo uditorio alzava le orecchie in un modo particolare. (Vitaliano Brancati, “La Singolare avventura di Giuseppe Maria”)


11
"L'isola è abituata a una politica molto personale, al grande mattatore, al fenomeno. Personalità forti, che condiscono i loro discorsi con parole chiave, hanno sempre fatto breccia nell'elettorato siciliano. Vedi Berlusconi, Micciché, Lombardo, Cuffaro, Orlando, lo stesso Crocetta". Gianni Riotta, "palermitano siciliano italiano europeo del West Side di Manhattan newyorkese e americano adoro la mia identità" (così su Twitter qualche tempo fa), è negli Stati Uniti, lo sento al telefono: "Bersani, rispetto ai suoi avversari ha fatto una scelta se vuoi anche dignitosa: ha proposto un progetto invece che un leader. Ma questo in Sicilia, e più in generale nel sud, non ha funzionato. Il sud sta molto male. L'unico vero serbatoio di occupazione era la pubblica amministrazione. Nel momento in cui devi tagliare la spesa pubblica, devi inventarti qualcos'altro".

12
I posti di lavoro persi di qua dallo Stretto nel 2012 sono stati 100 mila; il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 18,4% (Fonte: Fondazione Curella). In Grecia, nello stesso periodo di tempo, la percentuale di chi era senza lavoro era di appena 3 punti percentuali in più (Ase 2012).


13
Alcamo è un paese in provincia di Trapani. Nel giro di qualche luna è passato dall'essere il comune più democristiano d'Italia (poi feudo Pd) a quello più grillino (il M5S ha fatto registrare il 50% di consensi alle scorse politiche). Christian Rocca, ex corrispondente del Foglio negli Stati Uniti e ora direttore del mensile IL (Sole 24 Ore), ad Alcamo ci è nato. La spiegazione che si dà del successo di Grillo in Sicilia è questa: "Sono finiti i soldi e il clientelismo è entrato in crisi. Nelle regioni dove era più accentuato il voto di scambio, come in Sicilia, il liberi tutti è stato più eclatante. I politici non possono più promettere posti, finanziamenti, aiutini e il popolo - che è stato esso stesso casta, perché ha vissuto di privilegi grandi e piccoli - si è infuriato. Non c'è nessun vento di cambiamento. È solo protesta, ma non protesta per la mala politica, semmai è protesta perché la mala politica non è più in grado di garantire i privilegi che ha elargito in questi decenni".

14
Esempio numero uno di malapolitica. Nel palermitano Parco d'Orléans, tre ettari di piante e fiori e impiegati a carico della Regione, dal 1954 a oggi svolazzano uccelli di tutto il mondo - e di molti si può ipotizzare che ormai ci siano i nipoti, di sicuro i figli. Per questi uccelli i siciliani hanno pagato un “affitto” tra i 300 mila e i 500 mila euro all'anno, con punte di un milione nei periodi di grassa. Piccioli che sono andati a un "certo signor Lauricella", dice Crocetta. Il "certo signor Lauricella", che tutto è fuorché "certo", visto che di lui si sa poco, ne rivendica la potestà, sopra tutto quella patria: vuole i piccioli, altrimenti si porta via gli uccelli. Esempio numero due di malapolitica. Tanto si è brigato per ottenere la restituzione della Venere di Morgantina dal Getty Museum di Los Angeles. L'accordo prevede però l'allestimento in Sicilia di una mostra con opere provenienti dall'estero. "Siamo rovinati - dice Sergio Gelardi, direttore generale dei Beni culturali -. Ho fatto dei calcoli: per allestirla ci vogliono 5 milioni". Antonio Condorelli di "S" ne ha fatti altri, di calcoli, e prevede che in base allo sbigliettamento del museo e dell'area archeologica negli ultimi due anni in cui c'è stata la Venere, ci vorranno altri 50 anni per ripagare questa mostra.

15
Quando si parla di queste cose, e delle cose che girano intorno a queste cose, le cose che chiamiamo Cultura, a Roberto Speziale, pare di capire, viene il nervoso. Con Giuseppe Schifani e Andrea Libero Carbone ha fondato a Palermo la casa editrice indipendente :duepunti, che qualche anno fa ha battuto tutti sul tempo e ha acquistato i diritti di Le Clézio poco prima che gli fosse assegnato il Nobel. Gli chiedo se il nuovo corso siciliano lo rassicura o preoccupa, mi risponde così: "Non abbiamo mai vissuto la politica elettorale come un momento di alta politica. In quest’ultimo periodo le cose non sono cambiate. Come imprenditori culturali indipendenti ci stiamo sottoponendo a un regime di disintossicazione dalle regole che hanno contribuito alla crisi attuale, non soltanto cattiva o inesistente politica culturale, ma anche retorica e reale crisi di idee". E Grillo? "Per il momento ci propone soltanto una specie di palingenesi, una millenaristica resa dei conti".

16
"I siciliani sono politicamente lungimiranti, senza bisogno di scomodare il gattopardo. Sanno in anticipo chi vince, e saltano per primi sul carro del vincitore. Ti dico tutto questo, ovviamente, con infinita tenerezza". Ottavio Cappellani è romanziere dalla penna feroce e allegra - come solo chi cresce a Catania può avere. Sul New York Times lo scrittore David Leavitt s'è preso una paginata per battezzarlo erede di Pietro Germi. Nel suo ultimo romanzo, L'isola prigione, la Sicilia, da sogno della ragione si fa sonno e poi incubo, sbranata (letteralmente) da casi di cannibalismo. Gli chiedo cosa ne sarà nel prossimo futuro, mi risponde con un paradosso che contiene l'ironia e l'amarezza che l'asciuga: "Come negli anni Novanta Berlusconi seppe parlare a coloro che si sentivano esclusi dalla politica, adesso Grillo sta riuscendo a parlare a tutti coloro che si sentono esclusi dalla televisione. Scomponendo la precedente frase potete farvi un'idea della verità. Ma a un Grillo se ne sostituirà un altro. Attendo che scendano in campo le vere forze della rete. Io immagino un partito Apple, o un partito Microsoft".

17
Un altro paradosso. A un amico dico che sto incontrando sempre più gente che mi racconta di una Sicilia trasformata in un mostro di depressione. Un ragazzo che lavora per un importante marchio di moda italiano comprato dai cinesi è appena andato a Catania a chiudere due negozi - e a Palermo non va meglio. Mi dice: "Manco i cinesi ci capiscono più niente". Il taxista quarantenne agrigentino mi dice che si deve vergognare. E perché? "Mio suocero mi vuole lasciare le terre, due anni che gli dico no. Siamo la prima generazione a rinunciare alle terre. Ma se me le piglio io già lo so: mi carico di debiti e depressione". L'amico sardo: "Perché non mollate tutto e andate a vivere a Parigi? Non ci aspetta niente di buono in questo Paese. Io forse vado a vivere al Quadraro e mi metto a fare casette di ceramica. Voglio fare solo quello".

18
Uno che se n'è andato dalla Sicilia con una certa rabbia, portandosi dietro le spine. Davide Enia, drammaturgo e attore molto premiato, l'anno scorso ha pubblicato un romanzo, Così in terra, venduto in 16 paesi prima dell'uscita in Italia. La prima spina: "Io voto in Sicilia, e l'unico dato incontrovertibile è il pessimo lavoro che la sinistra ha fatto in questi decenni sul territorio, in ultimo il suicida accordo con l'MPA che ha lacerato la base e fatto espatriare consensi". La seconda: "Perché l'ascesa dei 5 Stelle? Perché, fuori di retorica, i cristiani hanno -con merito- i cugghiùna vùnci". La terza: "A oggi la Regione Sicilia si candida a modello, ma, seriamente, cosa è stato fatto di così eclatante? Servono le boffe, non soltanto i sacrosanti tagli alla spesa pubblica. Serve un progetto che dimostri un piano che abbia prospettiva. Tu lo vedi? Io no, con assoluto rammarico. E, in questo, la cultura è assente".

19
Parlo di cultura anche con Roberta Torre, siciliana di Milano (ovvero milanese col mal di Sicilia). Regista cinematografica e teatrale, ha deciso di tornare nell'isola dopo anni in giro per l’Italia: e regie e laboratori e film (l'ultimo girato a Catania, “I baci mai dati”) e malespine anche per lei: "Per me la Sicilia è terra di eterno ritorno, ma le difficoltà di questo momento le ho verificate sulla mia pelle". Le chiedo se la politica ha fatto qualcosa per limarle, e lei: "Le istituzioni arrancano, faticano, e a farne le spese sono gli artisti che scelgono di lavorare qui. Spesso sono abbandonati a se stessi. Io questo senso di abbandono lo sento costantemente. Sono un'innamorata e un'amante assoluta della Sicilia, ma non so per quanto potrò ancora scegliere di restare se le cose non cambieranno, è il mio dolore costante".

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"Il quadro della mediocrità che si riscontra anche nel peggio dà l'idea di un paese anchilosato. E la Sicilia è l'esasperazione dell'Italia intera". Roberto Alajmo da anni racconta l'isola in articoli e saggi e romanzi (leggetevi “L'arte di annacarsi”, non ve ne pentirete). Quando gli chiedo della situazione attuale, fa una cosa, cerca un altro baricentro, lo trova nella criminalità organizzata: "Nelle situazioni fluide come queste si fa strada l'intraprendenza. Sia nel bene sia nel male. Ma non mi pare che nemmeno nel peggio mafioso stiano emergendo eccellenze, e meno male. Ma la perdurante assenza (eufemismo) dello Stato crea dei vuoti che qualcuno periodicamente può tentare di colmare". Che fare? "Assumere la posizione d'emergenza, testa fra le braccia, togliere le scarpe e prepararsi all'impatto. Chi sopravvivrà vivrà meglio. Come in tutti i dopoguerra".

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Un giudice nisseno che incontro sull'aero Fiumicino-Palermo: ci vorrebbe un nuovo Sciascia per spiegare cos'è diventata oggi la mafia. Un sindaco agrigentino inquisito per concorso esterno e poi prosciolto: ci vorrebbe un nuovo Sciascia per spiegare cos'è diventata oggi l'antimafia.

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Federico Urciullo è la voce più giovane tra quelle che sento per venire a capo di questa matassa. E' un cantautore, nei manifesti non troverete il suo nome ma quello di Colapesce, essere che nella mitologia siciliana regge l'isola da millenni per non farla affondare. L'anno scorso ha vinto il Premio Tenco con l'album d'esordio "Un meraviglioso declino". Ha girato e gira molto, l'isola e la penisola, e perciò gli chiedo di raccontarmi di cosa parla con i ragazzi che vanno ai suoi concerti - e sono molti. "Le storie sono tutte uguali: insoddisfazione, evaporazione del desiderio, scarsa fiducia nel governo. Oggi si parla molto d'individualità e i social ne sono lo specchio, ma la sensazione è che si tratta di un'individualità standardizzata. Siamo un popolo d'individualisti che usa il filtro Kelvin di instagram". Critica il Pd ("fratello minore che fa la voce grossa dal bagno con la porta chiusa a chiave") e di Grillo dice: "E' nato politicamente dal blog e domani potrebbe nascere un leader X da un tweet. Questo un po' mi spaventa, non si può fare resistenza da un tablet".

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Questa cosa della resistenza via tablet, una cosa che assomiglia alla smania della rivoluzione con un clic che è nella testa di molti italiani, per ora, una cosa che i siciliani conoscono bene, per via del fatto che l'isola ha il vizio della rivolta (e il vizietto della restaurazione), questa cosa qui, mi sembra, è la cosa che più di ogni altra nasconda la realtà che sta alla base del cosiddetto "modello siciliano". Modello siciliano, brutalmente significa questo: più di un elettore su tre ha deciso di non dare il voto ad alcun partito, e tra quelli che sono andati a votare più di uno su tre li ha nuovamente bocciati, scegliendo il M5S. Un buco enorme di rappresentanza: e tanto più grande, tanti più ragni da cavarvi.
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

Spezzeremo le reni alla Grecia - 44
http://www.youtube.com/watch?v=AGCGt-bYd0I
Da Fratelli d’Italia a Banditi d’Italia - 18
La ruota della macina della storia si muove - 13

La guerra dell’Asilo Mariuccia - 7



Osservando da lontano la guerra romana per il controllo della Penisola dei Famosi, possiamo dire che quanto è accaduto il 25 febbraio 2013, equivale dal punto di vista militare da parte de los ejército fucsia de los comandante Grillettos, all’abbattimento, tramite ariete, del portone d’ingresso della cittadella dorata che Sergio Rizzo e G.A. Stella hanno denominato “Casta”.

Adesso i fucsia sono all’interno della cittadella e si stanno guardando intorno per individuare come conquistarla.

Dei tre eserciti in difesa della cittadella, uno si sta sgretolando. Quello amarillo papal de los comandante Monteneros.

Non sembra più influente per la conquista del potere per la difesa della cittadella della Casta.


Per capire cosa succede bisogna però prima obbligatoriamente fissare un punto fondamentale del momento storico che stiamo vivendo.

El ejército blanco de los comandante Bersanderos era fermamente convinto di vincere le elezioni del febbraio 2013, perché dal febbraio 2011, senza soluzione di continuità era diventato il partito di maggioranza relativa.

Con la mossa del gattopardo, con le primarie del 25 novembre 2012 aveva conseguito un consenso temporaneo del 36 %. Sceso poi intorno al 29 %, 15 giorni prima delle elezioni.

Il comandante Bersanderos, prima della campagna elettorale ci ha tenuto ripetutamente a fare sapere, erga omnes, che se anche avesse vinto le elezioni con il 51 %, le avrebbe considerate solo come una vittoria al 49 %.

Con questo intendeva dire che se anche fosse uscita una maggioranza del 51 % avrebbe associato a sé altre formazioni che ci stavano. Era solo un sogno di una notte di mezza estate perché alla Camera vincerà soltanto con il 29,54 %.

Ma di formazioni che in pratica ci potevano stare era solo quella della coalizione LC-U Dc-Fli.

In sostanza era quanto ha sostenuto el comandante Bersanderos a partir de septiembre 2011, che riprendeva quanto detto dal febbraio 2010, da los general de división de los blanco, Conde Duque Dalemones, nell’accordo con il comandante Pierfurbos Casineros.

La XVII legislatura sarebbe stata caratterizzata dall’alleanza tra “progressisti” & “moderati”.

El comandante Bersanderos, non vincerà le elezioni.
El comandante Monteneros, affronterà e affonderà in un flop tremendo.
El comandante Pierfurbos Casineros se prenderà un gran toston che lo farà passare come un embriagon per un mes.
El comandante Finieros, verrà degradato a civil.
El comandante Pa perón es picado las bolas, para llegar a una coño pelo en el éxito
El comandante Grillettos si rende conto di aver usato troppa polvere nera per abbattere el porton.

Lo sbrego fa entrare nella cittadella più uomini del previsto, e adesso diventa determinante per i vecchi giochi.

Questo però non era nei programmi.

Gli ultimi 20 giorni sono un gran casino ma si delineano le strategie.

El comandante Bersanderos non vuole allearsi con gli azul del comandante Pa perón, perché dal quartier generale ritengono che la sconfitta cocente dipenda da 16 mesi di alleanza con il comandante Pa perón. Suficiente, porque él es el diablo. In realtà è una giustificazione infantile perché in parte è vero che non sia piaciuta a nessuno de los ejército blanco l’alleanza con il comandante Pa perón. Ma la verità è che il comandante Monteneros si è prestato alla macelleria sociale e all’abbattimento del sistema produttivo, per salvare banche, il mondo dell’alta finanza e lo Stato dalla gestione allegra del comandante Pa perón e del general Tres montañas.

El comandante Bersanderos dopo due giorni di silenzio ripiega su un armistizio con il comandante Grillettos, che però non ne vuol sapere. Grillettos chiede in sostanza la testa del comandante Bersanderos.

Un motivo plausibile, oltre ad altri, potrebbe essere quello della vendetta personale.

Non è raro in guerra che certi successi abbiano origine da vendette personali.

Nel caso specifico, alla base ci sta il gran rifiuto della Comunidad de la Buena Muerte, alla iscrizione alla stessa di Grillettos, quando non aveva ancora un suo esercito personale. Grillettos aveva chiesto la tessera per poter partecipare alle primarie. La risposta della Comunidad, fu quella di sbattergli la porta in faccia.

Lungimirante Fassino a Repubblica Tv, rispondendo al vice direttore Massimo Giannini: Grillo fondi partito, vediamo quanto prende.
http://www.youtube.com/watch?v=BYtLXILmyhI

Ironia de la suerte, il comandante Grillettos sfonda la porta della cittadella dorata della Casta e ci entra dentro trionfante, anche con uomini de los ejército blanco che hanno cambiato casacca perché ne avevano piene les bolas della Comunidad de la Buena Muerte, de los coronel Faxineo, de los general de división Conde Duque Dalemones, e del comandante Bersanderos.


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La guerra dell’Asilo Mariuccia - 8
iospero
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Iscritto il: 24/02/2012, 18:16

Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da iospero »

Perché non cambiare il regolamento del senato?
Si parla tanto del problema "Senato", a causa del quale il PD non può avere la fiducia (al senato l'astensione è = al diniego).

Se il M5S volesse riproporre il modello Sicilia, aggirando il problema "fiducia", non basterebbe che alla prima seduta del Senato, oltre all'elezione del presidente del senato, si procedesse a una modifica del regolamento del senato (atto semplice, monocamerale, modificabile a maggioranza semplice), rendendolo simile a quello della Camera, dove, in quel caso, l'astensione non equivale al diniego ne incide sul numero legale?

In uno scenario del genere il PD prenderebbe la fiducia al senato in caso di astensione dei grillini, ma il voto dei grillini sarebbe determinante ogni volta che il pd si presentasse con un provvedimento
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