quo vadis PD ????
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Re: quo vadis PD ????
Pd, il documento di Puppato contro le larghe intese che apre a Sel e M5S
La senatrice democratica, una dei 'ribelli' con Civati contro l'esecutivo col Pdl, per l'assemblea di sabato ha preparato un testo per invitare il suo partito al dialogo anche con le forze politiche al di fuori della maggioranza. Però specifica: "Non vogliamo che questa sia una corrente"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 9 maggio 2013
Un documento che ricorda la necessità che il Parlamento sia centrale e per il “bene del Paese”, che invita a cercare condivisione sulle leggi anche con forze fuori dalla maggioranza come Sel ed M5s e che rinnova la fiducia nello strumento delle primarie aperte anche ai simpatizzanti del Pd per scegliere il prossimo segretario. La senatrice Pd Laura Puppato, una dei ‘ribelli’ che hanno mal digerito il governo delle larghe intese, presenterà sabato in Assemblea un documento che potrebbe raccogliere il sì di molti, dai prodiani a Civati, che hanno vissuto con difficoltà il governo col Pdl. Un documento che, però, non vuole accompagnare nessuna candidatura perché, spiega, “non vogliamo che questa sia una corrente” e che si pone come obiettivo quello “di ripartire dalla grande funzione che abbiamo dimenticato che è quella del rispetto nei confronti del Pd’’.
”La guida del governo è affidata al vicesegretario Enrico Letta, ma dobbiamo distinguere l’azione dell’esecutivo da quella del Parlamento - si legge nel documento -. Alla responsabilità che abbiamo verso il Paese, dobbiamo affiancare la lealtà verso i nostri elettori”. I gruppi del Pd alla Camera e al Senato ”devono pertanto rivendicare la loro autonomia legislativa e lavorare nelle commissioni e in aula a quei provvedimenti che avevamo promesso in campagna elettorale. Sulle singole leggi si possono e si devono trovare maggioranze variabili e trasversali”. E Puppato, parlando della questione delle ‘maggioranza variabili’ ricorda anche che “quando si è deciso di scegliere per le larghe intese” c’era chi aveva avanzato la richiesta di “escludere i decreti legge”.
Nel documento si rivendica anche la necessità di un rinnovato rapporto con il territorio “rifuggendo da pratiche feudali”. Poi ammette l’esistenza di un difetto di comunicazione a tutti i livelli, dal nazionale al locale, verificato “drammaticamente” nell’ultima campagna elettorale. Anche in questa chiave si ribadisce la centralità dello strumento delle primarie anche per il congresso. “Il prossimo segretario del Pd – si legge – deve essere scelto non solo dagli iscritti, ma anche dagli elettori e simpatizzanti del Pd, attraverso lo strumento delle primarie. Non dobbiamo celebrarlo nelle segrete stanze, ma facendo entrare nei circoli quei pezzi della società civile che ci possono contaminarè in maniera positiva, recuperando lo spirito originario. Chiudersi ora, significa avere paura del futuro”. La speranza è quella di avere “un congresso – si conclude – in cui si confrontino visioni politiche, intelligenze e idee. Senza candidati finti o predestinati e senza tesi precostituite o mozioni a tema. Voglio un congresso costituente capace di eleggere e di legittimare un segretario forte e in grado di prendere per mano un partito che deve essere rifondato su basi nuove”.
Puppato spiega così di avere “sintetizzato il pensiero di molti” e ribadisce che bisogna “ripartire dagli errori fatti non nascondendo ciò che è stato e le ragioni che hanno portato a un profondo turbamento in molti di noi, nei movimenti e nei giovani attorno al Pd per dire che alcuni errori non si possono ricommettere ed è opportuno che su questo si faccia chiarezza”. Dunque l’auspicio è quello di una forte centralità del Parlamento. “Se, come è auspicabilissimo – sottolinea – chi è al governo ha a cuore il bene del Paese allora non ci può essere ragione per cui il Parlamento non individui percorsi comuni per trovare il modo di risolvere i problemi”.
non per niente la Puppato mi è sempre piaciuta
La senatrice democratica, una dei 'ribelli' con Civati contro l'esecutivo col Pdl, per l'assemblea di sabato ha preparato un testo per invitare il suo partito al dialogo anche con le forze politiche al di fuori della maggioranza. Però specifica: "Non vogliamo che questa sia una corrente"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 9 maggio 2013
Un documento che ricorda la necessità che il Parlamento sia centrale e per il “bene del Paese”, che invita a cercare condivisione sulle leggi anche con forze fuori dalla maggioranza come Sel ed M5s e che rinnova la fiducia nello strumento delle primarie aperte anche ai simpatizzanti del Pd per scegliere il prossimo segretario. La senatrice Pd Laura Puppato, una dei ‘ribelli’ che hanno mal digerito il governo delle larghe intese, presenterà sabato in Assemblea un documento che potrebbe raccogliere il sì di molti, dai prodiani a Civati, che hanno vissuto con difficoltà il governo col Pdl. Un documento che, però, non vuole accompagnare nessuna candidatura perché, spiega, “non vogliamo che questa sia una corrente” e che si pone come obiettivo quello “di ripartire dalla grande funzione che abbiamo dimenticato che è quella del rispetto nei confronti del Pd’’.
”La guida del governo è affidata al vicesegretario Enrico Letta, ma dobbiamo distinguere l’azione dell’esecutivo da quella del Parlamento - si legge nel documento -. Alla responsabilità che abbiamo verso il Paese, dobbiamo affiancare la lealtà verso i nostri elettori”. I gruppi del Pd alla Camera e al Senato ”devono pertanto rivendicare la loro autonomia legislativa e lavorare nelle commissioni e in aula a quei provvedimenti che avevamo promesso in campagna elettorale. Sulle singole leggi si possono e si devono trovare maggioranze variabili e trasversali”. E Puppato, parlando della questione delle ‘maggioranza variabili’ ricorda anche che “quando si è deciso di scegliere per le larghe intese” c’era chi aveva avanzato la richiesta di “escludere i decreti legge”.
Nel documento si rivendica anche la necessità di un rinnovato rapporto con il territorio “rifuggendo da pratiche feudali”. Poi ammette l’esistenza di un difetto di comunicazione a tutti i livelli, dal nazionale al locale, verificato “drammaticamente” nell’ultima campagna elettorale. Anche in questa chiave si ribadisce la centralità dello strumento delle primarie anche per il congresso. “Il prossimo segretario del Pd – si legge – deve essere scelto non solo dagli iscritti, ma anche dagli elettori e simpatizzanti del Pd, attraverso lo strumento delle primarie. Non dobbiamo celebrarlo nelle segrete stanze, ma facendo entrare nei circoli quei pezzi della società civile che ci possono contaminarè in maniera positiva, recuperando lo spirito originario. Chiudersi ora, significa avere paura del futuro”. La speranza è quella di avere “un congresso – si conclude – in cui si confrontino visioni politiche, intelligenze e idee. Senza candidati finti o predestinati e senza tesi precostituite o mozioni a tema. Voglio un congresso costituente capace di eleggere e di legittimare un segretario forte e in grado di prendere per mano un partito che deve essere rifondato su basi nuove”.
Puppato spiega così di avere “sintetizzato il pensiero di molti” e ribadisce che bisogna “ripartire dagli errori fatti non nascondendo ciò che è stato e le ragioni che hanno portato a un profondo turbamento in molti di noi, nei movimenti e nei giovani attorno al Pd per dire che alcuni errori non si possono ricommettere ed è opportuno che su questo si faccia chiarezza”. Dunque l’auspicio è quello di una forte centralità del Parlamento. “Se, come è auspicabilissimo – sottolinea – chi è al governo ha a cuore il bene del Paese allora non ci può essere ragione per cui il Parlamento non individui percorsi comuni per trovare il modo di risolvere i problemi”.
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Re: quo vadis PD ????
Very very gooddddd. Vary Happyyyyyiospero ha scritto:Pd, il documento di Puppato contro le larghe intese che apre a Sel e M5S
La senatrice democratica, una dei 'ribelli' con Civati contro l'esecutivo col Pdl, per l'assemblea di sabato ha preparato un testo per invitare il suo partito al dialogo anche con le forze politiche al di fuori della maggioranza. Però specifica: "Non vogliamo che questa sia una corrente"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 9 maggio 2013
Un documento che ricorda la necessità che il Parlamento sia centrale e per il “bene del Paese”, che invita a cercare condivisione sulle leggi anche con forze fuori dalla maggioranza come Sel ed M5s e che rinnova la fiducia nello strumento delle primarie aperte anche ai simpatizzanti del Pd per scegliere il prossimo segretario. La senatrice Pd Laura Puppato, una dei ‘ribelli’ che hanno mal digerito il governo delle larghe intese, presenterà sabato in Assemblea un documento che potrebbe raccogliere il sì di molti, dai prodiani a Civati, che hanno vissuto con difficoltà il governo col Pdl. Un documento che, però, non vuole accompagnare nessuna candidatura perché, spiega, “non vogliamo che questa sia una corrente” e che si pone come obiettivo quello “di ripartire dalla grande funzione che abbiamo dimenticato che è quella del rispetto nei confronti del Pd’’.
”La guida del governo è affidata al vicesegretario Enrico Letta, ma dobbiamo distinguere l’azione dell’esecutivo da quella del Parlamento - si legge nel documento -. Alla responsabilità che abbiamo verso il Paese, dobbiamo affiancare la lealtà verso i nostri elettori”. I gruppi del Pd alla Camera e al Senato ”devono pertanto rivendicare la loro autonomia legislativa e lavorare nelle commissioni e in aula a quei provvedimenti che avevamo promesso in campagna elettorale. Sulle singole leggi si possono e si devono trovare maggioranze variabili e trasversali”. E Puppato, parlando della questione delle ‘maggioranza variabili’ ricorda anche che “quando si è deciso di scegliere per le larghe intese” c’era chi aveva avanzato la richiesta di “escludere i decreti legge”.
Nel documento si rivendica anche la necessità di un rinnovato rapporto con il territorio “rifuggendo da pratiche feudali”. Poi ammette l’esistenza di un difetto di comunicazione a tutti i livelli, dal nazionale al locale, verificato “drammaticamente” nell’ultima campagna elettorale. Anche in questa chiave si ribadisce la centralità dello strumento delle primarie anche per il congresso. “Il prossimo segretario del Pd – si legge – deve essere scelto non solo dagli iscritti, ma anche dagli elettori e simpatizzanti del Pd, attraverso lo strumento delle primarie. Non dobbiamo celebrarlo nelle segrete stanze, ma facendo entrare nei circoli quei pezzi della società civile che ci possono contaminarè in maniera positiva, recuperando lo spirito originario. Chiudersi ora, significa avere paura del futuro”. La speranza è quella di avere “un congresso – si conclude – in cui si confrontino visioni politiche, intelligenze e idee. Senza candidati finti o predestinati e senza tesi precostituite o mozioni a tema. Voglio un congresso costituente capace di eleggere e di legittimare un segretario forte e in grado di prendere per mano un partito che deve essere rifondato su basi nuove”.
Puppato spiega così di avere “sintetizzato il pensiero di molti” e ribadisce che bisogna “ripartire dagli errori fatti non nascondendo ciò che è stato e le ragioni che hanno portato a un profondo turbamento in molti di noi, nei movimenti e nei giovani attorno al Pd per dire che alcuni errori non si possono ricommettere ed è opportuno che su questo si faccia chiarezza”. Dunque l’auspicio è quello di una forte centralità del Parlamento. “Se, come è auspicabilissimo – sottolinea – chi è al governo ha a cuore il bene del Paese allora non ci può essere ragione per cui il Parlamento non individui percorsi comuni per trovare il modo di risolvere i problemi”.
non per niente la Puppato mi è sempre piaciuta
un salutone da Juan
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
Re: quo vadis PD ????
Hanno trovato il "traghettatore"... Caròn dimonio con occhi di bragia….
Assemblea Pd, c'è accordo su Epifani
traghetterà il partito fino al Congresso
ROMA - «Il gruppo indicato dal coordinamento per preparare l'Assemblea nazionale, al termine di due giorni di consultazione e di confronto, ha registrato un'ampia convergenza sulla figura di Guglielmo Epifani, il cui profilo risulta il più idoneo a condurre il Pd verso la stagione congressuale e nelle nuove e impegnative responsabilità che spettano al Partito democratico nella difficile fase politica del Paese». Lo comunicano i vicepresidenti Marina Sereni e Ivan Scalfarotto, i capigruppo Roberto Speranza, Luigi Zanda e David Sassoli e il coordinatore dei segretari regionali Enzo Amendola.
Dario Franceschini. «Epifani ha l'autorevolezza, il buonsenso, l'esperienza che servono adesso per sostenere il governo e rilanciare il partito tenendolo unito». Lo scrive il ministro dei Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini su twitter
Pier Luigi Bersani. «Abbiate fiducia nel Pd. Non è così caotico come lo descrivete voi. Vedrete... ». Lo dice Pier Luigi Bersani lasciando la sede del Pd in un video di Repubblica.it.
Matteo Renzi, salvo sorprese dell'ultima ora, parteciperà all'assemblea di domani a Roma, a cui arriva come candidato segretario di «ampia convergenza», Gugliemo Epifani. «Matteo viene e ha già detto che qualunque nome gli va bene», fanno sapere i suoi. Una linea ribadita da Simona Bonafè, parlamentare vicina al sindaco di Firenze: «Non abbiamo mai posto alcun problema sui nomi. Va bene Epifani, va bene questa fase di reggenza verso il congresso. Ora l'importante è che si apra un dibattito su quale idea di Pd, quale identità del Partito democratico». «Io spero che si possa aprire una fase nuova nel Pd -aggiunge Bonafè-. A mio parere sarebbe bene ripartire dall'idea originaria del Pd. Un partito riformista e aperto. Spero che si apra una discussione in questo senso e che si possa lavorare con il contributo costruttivo di tutti».
Stefano Di Traglia. «Sono convinto che Guglielmo Epifani per sensibilità e capacità potrà essere un ottimo segretario per il Pd, soprattutto in questo momento e anche per la sua attenzione alle tematiche del lavoro e alle questioni sociali. E aver guidato anni fa una grande organizzazione sindacale si rivelerà non un handicap ma una esperienza che potrà tornare molto utile». Lo afferma Stefano Di Traglia, responsabile comunicazione del segretario uscente del Pd, Pier Luigi Bersani.
Venerdì 10 Maggio 2013 - 18:50
Ultimo aggiornamento: 20:12
http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/P ... 8431.shtml
Assemblea Pd, c'è accordo su Epifani
traghetterà il partito fino al Congresso
ROMA - «Il gruppo indicato dal coordinamento per preparare l'Assemblea nazionale, al termine di due giorni di consultazione e di confronto, ha registrato un'ampia convergenza sulla figura di Guglielmo Epifani, il cui profilo risulta il più idoneo a condurre il Pd verso la stagione congressuale e nelle nuove e impegnative responsabilità che spettano al Partito democratico nella difficile fase politica del Paese». Lo comunicano i vicepresidenti Marina Sereni e Ivan Scalfarotto, i capigruppo Roberto Speranza, Luigi Zanda e David Sassoli e il coordinatore dei segretari regionali Enzo Amendola.
Dario Franceschini. «Epifani ha l'autorevolezza, il buonsenso, l'esperienza che servono adesso per sostenere il governo e rilanciare il partito tenendolo unito». Lo scrive il ministro dei Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini su twitter
Pier Luigi Bersani. «Abbiate fiducia nel Pd. Non è così caotico come lo descrivete voi. Vedrete... ». Lo dice Pier Luigi Bersani lasciando la sede del Pd in un video di Repubblica.it.
Matteo Renzi, salvo sorprese dell'ultima ora, parteciperà all'assemblea di domani a Roma, a cui arriva come candidato segretario di «ampia convergenza», Gugliemo Epifani. «Matteo viene e ha già detto che qualunque nome gli va bene», fanno sapere i suoi. Una linea ribadita da Simona Bonafè, parlamentare vicina al sindaco di Firenze: «Non abbiamo mai posto alcun problema sui nomi. Va bene Epifani, va bene questa fase di reggenza verso il congresso. Ora l'importante è che si apra un dibattito su quale idea di Pd, quale identità del Partito democratico». «Io spero che si possa aprire una fase nuova nel Pd -aggiunge Bonafè-. A mio parere sarebbe bene ripartire dall'idea originaria del Pd. Un partito riformista e aperto. Spero che si apra una discussione in questo senso e che si possa lavorare con il contributo costruttivo di tutti».
Stefano Di Traglia. «Sono convinto che Guglielmo Epifani per sensibilità e capacità potrà essere un ottimo segretario per il Pd, soprattutto in questo momento e anche per la sua attenzione alle tematiche del lavoro e alle questioni sociali. E aver guidato anni fa una grande organizzazione sindacale si rivelerà non un handicap ma una esperienza che potrà tornare molto utile». Lo afferma Stefano Di Traglia, responsabile comunicazione del segretario uscente del Pd, Pier Luigi Bersani.
Venerdì 10 Maggio 2013 - 18:50
Ultimo aggiornamento: 20:12
http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/P ... 8431.shtml
Re: quo vadis PD ????
L’ombra del Caimano sul caos della sinistra
FONTE: CURZIO MALTESE, LA REPUBBLICA | 12 MAGGIO 2013
CENTO anime e nessuna identità. Il dramma pirandelliano del Pd, il «caro defunto» lo chiama qualcuno, prosegue con toni e riti sempre meno comprensibili al comune cittadino. Anche ieri, nel giorno dell’elezione di Epifani, si sono fatti rubare la scena da Berlusconi, nel bene o nel male. Tumulti da prima pagina a Brescia, minuetti dal palco della Fiera di Roma.
Nella lunga lista degli intervenuti, a rappresentare con tutele da manuale Cencelli tutte le correnti interne, non se n’è trovato uno capace di stare sul fatto del giorno. E magari dire con chiarezza che un condannato in appello per evasione fiscale dovrebbe dimettersi, insieme ai ministri manifestanti, invece di arringare le folle in piazza. Così, per dare un contentino ai poveri elettori. I quali, al solito, stanno da un’altra parte. Sono in piazza a Brescia, a contestare Berlusconi, l’innominato dell’assemblea Pd. Quello che i dirigenti del partito debbono fingere di considerare davvero uno statista, un alleato affidabile, una sponda per le riforme necessarie a rilanciare il Paese. Non un caimano che pensa ai troppi affari suoi, convoca l’ennesima piazza eversiva e vi raduna i ministri appena nominati a fare da claque per i soliti attacchi alla magistratura.
L’unico che aveva intenzione di dirlo, il sindaco di Bari Michele Emiliano, non l’hanno neppure fatto entrare nella sala dell’assemblea. È rimasto fuori a masticare amaro: «Ci stiamo mettendo una vita per nominare un camerlengo. Berlusconi per scegliere il suo (Alfano, ndr) ha impiegato due minuti».
Questo è più o meno il senso di un’altra giornata vissuta come in un acquario. Con qualche momento patetico, come la salita sul palco di Pierluigi Bersani, salutato con uno svogliato tentativo di standing ovation, subito abortito. «Si vince insieme, si perde da soli» ha detto l’ex futuro premier, guardando dalla parte dei dalemiani, i quali naturalmente applaudivano. Per quattro anni avevano fatto finta di essere bersaniani e un minuto dopo la sconfitta su Prodi intorno a Bersani non c’era più nessuno.
Nel caos calmo del Pd, il blocco dei dalemiani e quello dei popolari, in pratica i post comunisti e i post democristiani, costituiscono l’unica certezza. Sono stati loro i registi delle ultime scelte del partito. Il boicottaggio della candidatura di Prodi, l’affossamento della linea Bersani, il ripescaggio di Napolitano e l’alleanza con la destra. La nuova «svolta di Salerno» dicono dal palco. Una bella inversione a U in autostrada, secondo altri. Sono passati vent’anni e comandano sempre loro. Hanno usato Veltroni contro Prodi e poi Bersani contro Veltroni, adesso Letta contro Bersani. Ora la strategia prevedeva la nomina di un reggente di scarso peso, Guglielmo Epifani, per traghettare il partito fino all’autunno, in attesa di farsi venire una buona idea per far fuori Matteo Renzi.
Il sindaco di Firenze, persona sveglia, l’ha capito. Nel suo intervento, uno dei pochi comprensibili e perfino affascinanti, si è permesso di ricordare a chi da vent’anni elabora vecchie soluzioni per nuovi problemi che il mondo cambia in fretta, senza aspettare i tempi del centrosinistra italiano. Si è permesso pure qualche soddisfazione personale e qualche brillante battuta da esperto di twitter: «Se non si prendono i voti degli elettori delusi del centrodestra, poi tocca prendere i ministri della destra». Renzi è l’unico in grado di dare una nuova e moderna identità a un partito mai nato e aggrappato a due identità vecchie e ormai inutili, ex Pci ed ex Dc. «Una sinistra che da decenni non conosce e quindi non riconosce il nuovo mondo del lavoro che dovrebbe rappresentare», spiega il sociologo e neo eletto Franco Cassano. Per queste ragioni gli oligarchi del Pd, dalemiani ed ex popolari, ora cercano di usare Enrico Letta contro il sindaco di Firenze. La scelta inconsueta di far finire l’assemblea del partito con le conclusioni del presidente del Consiglio in carica è significativa. La strategia è far durare il governo il tempo necessario per rottamare il rottamatore e presentare alle elezioni Letta candidato premier del centrosinistra. Più tardi, con calma, dalemiani e popolari penseranno anche a come far fuori Letta, come hanno fatto con ben sette leader del centrosinistra. Un merito che è limitativo attribuire al vanesio Berlusconi. Hanno già deciso tutto. Poi però le cose cambiano, il mondo corre in fretta come dice Renzi, Berlusconi torna a rivelare la natura di caimano. La politica e la vita alla fine sono quel che accade mentre elabori progetti sbagliati.
FONTE: CURZIO MALTESE, LA REPUBBLICA | 12 MAGGIO 2013
CENTO anime e nessuna identità. Il dramma pirandelliano del Pd, il «caro defunto» lo chiama qualcuno, prosegue con toni e riti sempre meno comprensibili al comune cittadino. Anche ieri, nel giorno dell’elezione di Epifani, si sono fatti rubare la scena da Berlusconi, nel bene o nel male. Tumulti da prima pagina a Brescia, minuetti dal palco della Fiera di Roma.
Nella lunga lista degli intervenuti, a rappresentare con tutele da manuale Cencelli tutte le correnti interne, non se n’è trovato uno capace di stare sul fatto del giorno. E magari dire con chiarezza che un condannato in appello per evasione fiscale dovrebbe dimettersi, insieme ai ministri manifestanti, invece di arringare le folle in piazza. Così, per dare un contentino ai poveri elettori. I quali, al solito, stanno da un’altra parte. Sono in piazza a Brescia, a contestare Berlusconi, l’innominato dell’assemblea Pd. Quello che i dirigenti del partito debbono fingere di considerare davvero uno statista, un alleato affidabile, una sponda per le riforme necessarie a rilanciare il Paese. Non un caimano che pensa ai troppi affari suoi, convoca l’ennesima piazza eversiva e vi raduna i ministri appena nominati a fare da claque per i soliti attacchi alla magistratura.
L’unico che aveva intenzione di dirlo, il sindaco di Bari Michele Emiliano, non l’hanno neppure fatto entrare nella sala dell’assemblea. È rimasto fuori a masticare amaro: «Ci stiamo mettendo una vita per nominare un camerlengo. Berlusconi per scegliere il suo (Alfano, ndr) ha impiegato due minuti».
Questo è più o meno il senso di un’altra giornata vissuta come in un acquario. Con qualche momento patetico, come la salita sul palco di Pierluigi Bersani, salutato con uno svogliato tentativo di standing ovation, subito abortito. «Si vince insieme, si perde da soli» ha detto l’ex futuro premier, guardando dalla parte dei dalemiani, i quali naturalmente applaudivano. Per quattro anni avevano fatto finta di essere bersaniani e un minuto dopo la sconfitta su Prodi intorno a Bersani non c’era più nessuno.
Nel caos calmo del Pd, il blocco dei dalemiani e quello dei popolari, in pratica i post comunisti e i post democristiani, costituiscono l’unica certezza. Sono stati loro i registi delle ultime scelte del partito. Il boicottaggio della candidatura di Prodi, l’affossamento della linea Bersani, il ripescaggio di Napolitano e l’alleanza con la destra. La nuova «svolta di Salerno» dicono dal palco. Una bella inversione a U in autostrada, secondo altri. Sono passati vent’anni e comandano sempre loro. Hanno usato Veltroni contro Prodi e poi Bersani contro Veltroni, adesso Letta contro Bersani. Ora la strategia prevedeva la nomina di un reggente di scarso peso, Guglielmo Epifani, per traghettare il partito fino all’autunno, in attesa di farsi venire una buona idea per far fuori Matteo Renzi.
Il sindaco di Firenze, persona sveglia, l’ha capito. Nel suo intervento, uno dei pochi comprensibili e perfino affascinanti, si è permesso di ricordare a chi da vent’anni elabora vecchie soluzioni per nuovi problemi che il mondo cambia in fretta, senza aspettare i tempi del centrosinistra italiano. Si è permesso pure qualche soddisfazione personale e qualche brillante battuta da esperto di twitter: «Se non si prendono i voti degli elettori delusi del centrodestra, poi tocca prendere i ministri della destra». Renzi è l’unico in grado di dare una nuova e moderna identità a un partito mai nato e aggrappato a due identità vecchie e ormai inutili, ex Pci ed ex Dc. «Una sinistra che da decenni non conosce e quindi non riconosce il nuovo mondo del lavoro che dovrebbe rappresentare», spiega il sociologo e neo eletto Franco Cassano. Per queste ragioni gli oligarchi del Pd, dalemiani ed ex popolari, ora cercano di usare Enrico Letta contro il sindaco di Firenze. La scelta inconsueta di far finire l’assemblea del partito con le conclusioni del presidente del Consiglio in carica è significativa. La strategia è far durare il governo il tempo necessario per rottamare il rottamatore e presentare alle elezioni Letta candidato premier del centrosinistra. Più tardi, con calma, dalemiani e popolari penseranno anche a come far fuori Letta, come hanno fatto con ben sette leader del centrosinistra. Un merito che è limitativo attribuire al vanesio Berlusconi. Hanno già deciso tutto. Poi però le cose cambiano, il mondo corre in fretta come dice Renzi, Berlusconi torna a rivelare la natura di caimano. La politica e la vita alla fine sono quel che accade mentre elabori progetti sbagliati.
Re: quo vadis PD ????
Quello che a ragione è stato da molti indicato come uno dei pochissimi buoni interventi dell'assemblea nazionale.
Re: quo vadis PD ????
http://www.corriere.it/politica/13_magg ... f77b.shtml
BOLOGNA - «Le ho qui da tempo le tessere 2013 di Romano Prodi e della moglie Flavia. No, non è ancora venuto nessuno a ritirarle. Sento dire che il Professore starebbe meditando di non rinnovare l'iscrizione al Pd: condivido pienamente, dopo l'agguato che gli hanno tirato sul Quirinale...». Non è lo sfogo di un militante qualsiasi. E non è nemmeno uno sfogo. È il ragionamento, tra rabbia, amarezza e un insopportabile senso di impotenza, della coordinatrice del circolo dei Democratici dove è iscritta metà della famiglia Prodi (l'ex premier, la moglie Flavia, il figlio Giorgio).
Il circolo è intitolato a Joyce Salvadori Lussu, scrittrice, poetessa, ma soprattutto partigiana nelle Brigate Giustizia e Libertà, medaglia d'argento al valor militare. «Donna coraggiosa, non come quei 101 che hanno tramato nell'ombra...» ringhiano, stracciando tessere, restituendole, qualcuno bruciandole, tanti iscritti, e non necessariamente prodiani (commento del segretario bolognese, Raffaele Donini, non l'ultimo arrivato: «Prodi non rinnova? Ha subito una vigliaccata»).
È un piccolo circolo in zona Santo Stefano, con vista sulle Due Torri, quello guidato da Cecilia Alessandrini, 34 anni, insegnante con laurea in Lettere classiche, approdata al Pd dall'arcipelago no global e, suo malgrado, finita nel marasma autolesionistico di ciò che resta di un partito. Gli iscritti sono poco più di un'ottantina («Qui non siamo alla Bolognina, questa è una delle poche zone in cui vince la destra...»), ma il solo fatto di annoverare tra i tesserati l'uomo dell'Ulivo, il fondatore del Pd, lo rende inevitabilmente speciale.
Romano Prodi, mentre Cecilia parla, è a qualche migliaio di chilometri, a Bruxelles per una riunione sul Mali. E gioca alla sfinge con chi gli chiede se davvero intende chiudere con il Pd. «Lasciate che i giornali scrivano, sono indiscrezioni...» saetta con sguardo ironico, ben attento però a non smentire, perfettamente consapevole che il tiramolla (rinnova? non rinnova?) è quanto di più esiziale, in termini di immagine, ma non solo, per un partito lanciato come Wile Coyote in una folle corsa verso il baratro. Sarà molto difficile che il due volte ex premier rientri sotto quel tetto che per tre volte (due a Palazzo Chigi, una in vista del Quirinale) lo ha silurato. Sarebbe semplicistico leggere la cosa solo con le lenti della vendetta. Anche se, come scriveva l'indimenticabile Edmondo Berselli, «l'uomo gronda bonomia da tutti gli artigli», e di sicuro di quei 101 difficilmente dimenticherà volti e nomi, oggi il problema, più che Prodi, è il Pd.
È da tempo che il Professore fatica a vedere in casa dei Democratici qualcosa che assomigli vagamente al progetto del 2008. Non si contano le volte che si è tappato la bocca per paura di danneggiare il partito. E quando proprio è stato costretto a esporsi, lo ha sempre fatto in chiave il più possibile costruttiva. Fino a qualche mese fa, perlomeno. Poi qualcosa ha cominciato a rompersi. Nel giugno scorso, parlando con il Corriere , si sfogò: «La spinta al suicidio di questo partito non ha limiti». Il resto è storia recente. Come tanti prodiani vanno dicendo, «non è Prodi a uscire dal Pd: è il Pd che è uscito da lui». In tutto ciò, la questione della tessera, anche se altamente simbolica, diventa quasi un dettaglio.
Toccherà alla segretaria del circolo, Cecilia, chiamare come ogni anno casa Prodi per avvertire che la nuova tessera 2013 è arrivata: «A volte - racconta - l'ho portata personalmente nell'abitazione del Professore. Altre volte è venuto lui in sede. Stavolta vedremo come finirà...». Sempre che non sia già finita.
Francesco Alberti
16 maggio 2013 | 7:21
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BOLOGNA - «Le ho qui da tempo le tessere 2013 di Romano Prodi e della moglie Flavia. No, non è ancora venuto nessuno a ritirarle. Sento dire che il Professore starebbe meditando di non rinnovare l'iscrizione al Pd: condivido pienamente, dopo l'agguato che gli hanno tirato sul Quirinale...». Non è lo sfogo di un militante qualsiasi. E non è nemmeno uno sfogo. È il ragionamento, tra rabbia, amarezza e un insopportabile senso di impotenza, della coordinatrice del circolo dei Democratici dove è iscritta metà della famiglia Prodi (l'ex premier, la moglie Flavia, il figlio Giorgio).
Il circolo è intitolato a Joyce Salvadori Lussu, scrittrice, poetessa, ma soprattutto partigiana nelle Brigate Giustizia e Libertà, medaglia d'argento al valor militare. «Donna coraggiosa, non come quei 101 che hanno tramato nell'ombra...» ringhiano, stracciando tessere, restituendole, qualcuno bruciandole, tanti iscritti, e non necessariamente prodiani (commento del segretario bolognese, Raffaele Donini, non l'ultimo arrivato: «Prodi non rinnova? Ha subito una vigliaccata»).
È un piccolo circolo in zona Santo Stefano, con vista sulle Due Torri, quello guidato da Cecilia Alessandrini, 34 anni, insegnante con laurea in Lettere classiche, approdata al Pd dall'arcipelago no global e, suo malgrado, finita nel marasma autolesionistico di ciò che resta di un partito. Gli iscritti sono poco più di un'ottantina («Qui non siamo alla Bolognina, questa è una delle poche zone in cui vince la destra...»), ma il solo fatto di annoverare tra i tesserati l'uomo dell'Ulivo, il fondatore del Pd, lo rende inevitabilmente speciale.
Romano Prodi, mentre Cecilia parla, è a qualche migliaio di chilometri, a Bruxelles per una riunione sul Mali. E gioca alla sfinge con chi gli chiede se davvero intende chiudere con il Pd. «Lasciate che i giornali scrivano, sono indiscrezioni...» saetta con sguardo ironico, ben attento però a non smentire, perfettamente consapevole che il tiramolla (rinnova? non rinnova?) è quanto di più esiziale, in termini di immagine, ma non solo, per un partito lanciato come Wile Coyote in una folle corsa verso il baratro. Sarà molto difficile che il due volte ex premier rientri sotto quel tetto che per tre volte (due a Palazzo Chigi, una in vista del Quirinale) lo ha silurato. Sarebbe semplicistico leggere la cosa solo con le lenti della vendetta. Anche se, come scriveva l'indimenticabile Edmondo Berselli, «l'uomo gronda bonomia da tutti gli artigli», e di sicuro di quei 101 difficilmente dimenticherà volti e nomi, oggi il problema, più che Prodi, è il Pd.
È da tempo che il Professore fatica a vedere in casa dei Democratici qualcosa che assomigli vagamente al progetto del 2008. Non si contano le volte che si è tappato la bocca per paura di danneggiare il partito. E quando proprio è stato costretto a esporsi, lo ha sempre fatto in chiave il più possibile costruttiva. Fino a qualche mese fa, perlomeno. Poi qualcosa ha cominciato a rompersi. Nel giugno scorso, parlando con il Corriere , si sfogò: «La spinta al suicidio di questo partito non ha limiti». Il resto è storia recente. Come tanti prodiani vanno dicendo, «non è Prodi a uscire dal Pd: è il Pd che è uscito da lui». In tutto ciò, la questione della tessera, anche se altamente simbolica, diventa quasi un dettaglio.
Toccherà alla segretaria del circolo, Cecilia, chiamare come ogni anno casa Prodi per avvertire che la nuova tessera 2013 è arrivata: «A volte - racconta - l'ho portata personalmente nell'abitazione del Professore. Altre volte è venuto lui in sede. Stavolta vedremo come finirà...». Sempre che non sia già finita.
Francesco Alberti
16 maggio 2013 | 7:21
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Re: quo vadis PD ????
http://www.corriere.it/politica/13_magg ... f77b.shtml
BOLOGNA - «Le ho qui da tempo le tessere 2013 di Romano Prodi e della moglie Flavia. No, non è ancora venuto nessuno a ritirarle. Sento dire che il Professore starebbe meditando di non rinnovare l'iscrizione al Pd: condivido pienamente, dopo l'agguato che gli hanno tirato sul Quirinale...». Non è lo sfogo di un militante qualsiasi. E non è nemmeno uno sfogo. È il ragionamento, tra rabbia, amarezza e un insopportabile senso di impotenza, della coordinatrice del circolo dei Democratici dove è iscritta metà della famiglia Prodi (l'ex premier, la moglie Flavia, il figlio Giorgio).
Il circolo è intitolato a Joyce Salvadori Lussu, scrittrice, poetessa, ma soprattutto partigiana nelle Brigate Giustizia e Libertà, medaglia d'argento al valor militare. «Donna coraggiosa, non come quei 101 che hanno tramato nell'ombra...» ringhiano, stracciando tessere, restituendole, qualcuno bruciandole, tanti iscritti, e non necessariamente prodiani (commento del segretario bolognese, Raffaele Donini, non l'ultimo arrivato: «Prodi non rinnova? Ha subito una vigliaccata»).
È un piccolo circolo in zona Santo Stefano, con vista sulle Due Torri, quello guidato da Cecilia Alessandrini, 34 anni, insegnante con laurea in Lettere classiche, approdata al Pd dall'arcipelago no global e, suo malgrado, finita nel marasma autolesionistico di ciò che resta di un partito. Gli iscritti sono poco più di un'ottantina («Qui non siamo alla Bolognina, questa è una delle poche zone in cui vince la destra...»), ma il solo fatto di annoverare tra i tesserati l'uomo dell'Ulivo, il fondatore del Pd, lo rende inevitabilmente speciale.
Romano Prodi, mentre Cecilia parla, è a qualche migliaio di chilometri, a Bruxelles per una riunione sul Mali. E gioca alla sfinge con chi gli chiede se davvero intende chiudere con il Pd. «Lasciate che i giornali scrivano, sono indiscrezioni...» saetta con sguardo ironico, ben attento però a non smentire, perfettamente consapevole che il tiramolla (rinnova? non rinnova?) è quanto di più esiziale, in termini di immagine, ma non solo, per un partito lanciato come Wile Coyote in una folle corsa verso il baratro. Sarà molto difficile che il due volte ex premier rientri sotto quel tetto che per tre volte (due a Palazzo Chigi, una in vista del Quirinale) lo ha silurato. Sarebbe semplicistico leggere la cosa solo con le lenti della vendetta. Anche se, come scriveva l'indimenticabile Edmondo Berselli, «l'uomo gronda bonomia da tutti gli artigli», e di sicuro di quei 101 difficilmente dimenticherà volti e nomi, oggi il problema, più che Prodi, è il Pd.
È da tempo che il Professore fatica a vedere in casa dei Democratici qualcosa che assomigli vagamente al progetto del 2008. Non si contano le volte che si è tappato la bocca per paura di danneggiare il partito. E quando proprio è stato costretto a esporsi, lo ha sempre fatto in chiave il più possibile costruttiva. Fino a qualche mese fa, perlomeno. Poi qualcosa ha cominciato a rompersi. Nel giugno scorso, parlando con il Corriere , si sfogò: «La spinta al suicidio di questo partito non ha limiti». Il resto è storia recente. Come tanti prodiani vanno dicendo, «non è Prodi a uscire dal Pd: è il Pd che è uscito da lui». In tutto ciò, la questione della tessera, anche se altamente simbolica, diventa quasi un dettaglio.
Toccherà alla segretaria del circolo, Cecilia, chiamare come ogni anno casa Prodi per avvertire che la nuova tessera 2013 è arrivata: «A volte - racconta - l'ho portata personalmente nell'abitazione del Professore. Altre volte è venuto lui in sede. Stavolta vedremo come finirà...». Sempre che non sia già finita.
Francesco Alberti
16 maggio 2013 | 7:21
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BOLOGNA - «Le ho qui da tempo le tessere 2013 di Romano Prodi e della moglie Flavia. No, non è ancora venuto nessuno a ritirarle. Sento dire che il Professore starebbe meditando di non rinnovare l'iscrizione al Pd: condivido pienamente, dopo l'agguato che gli hanno tirato sul Quirinale...». Non è lo sfogo di un militante qualsiasi. E non è nemmeno uno sfogo. È il ragionamento, tra rabbia, amarezza e un insopportabile senso di impotenza, della coordinatrice del circolo dei Democratici dove è iscritta metà della famiglia Prodi (l'ex premier, la moglie Flavia, il figlio Giorgio).
Il circolo è intitolato a Joyce Salvadori Lussu, scrittrice, poetessa, ma soprattutto partigiana nelle Brigate Giustizia e Libertà, medaglia d'argento al valor militare. «Donna coraggiosa, non come quei 101 che hanno tramato nell'ombra...» ringhiano, stracciando tessere, restituendole, qualcuno bruciandole, tanti iscritti, e non necessariamente prodiani (commento del segretario bolognese, Raffaele Donini, non l'ultimo arrivato: «Prodi non rinnova? Ha subito una vigliaccata»).
È un piccolo circolo in zona Santo Stefano, con vista sulle Due Torri, quello guidato da Cecilia Alessandrini, 34 anni, insegnante con laurea in Lettere classiche, approdata al Pd dall'arcipelago no global e, suo malgrado, finita nel marasma autolesionistico di ciò che resta di un partito. Gli iscritti sono poco più di un'ottantina («Qui non siamo alla Bolognina, questa è una delle poche zone in cui vince la destra...»), ma il solo fatto di annoverare tra i tesserati l'uomo dell'Ulivo, il fondatore del Pd, lo rende inevitabilmente speciale.
Romano Prodi, mentre Cecilia parla, è a qualche migliaio di chilometri, a Bruxelles per una riunione sul Mali. E gioca alla sfinge con chi gli chiede se davvero intende chiudere con il Pd. «Lasciate che i giornali scrivano, sono indiscrezioni...» saetta con sguardo ironico, ben attento però a non smentire, perfettamente consapevole che il tiramolla (rinnova? non rinnova?) è quanto di più esiziale, in termini di immagine, ma non solo, per un partito lanciato come Wile Coyote in una folle corsa verso il baratro. Sarà molto difficile che il due volte ex premier rientri sotto quel tetto che per tre volte (due a Palazzo Chigi, una in vista del Quirinale) lo ha silurato. Sarebbe semplicistico leggere la cosa solo con le lenti della vendetta. Anche se, come scriveva l'indimenticabile Edmondo Berselli, «l'uomo gronda bonomia da tutti gli artigli», e di sicuro di quei 101 difficilmente dimenticherà volti e nomi, oggi il problema, più che Prodi, è il Pd.
È da tempo che il Professore fatica a vedere in casa dei Democratici qualcosa che assomigli vagamente al progetto del 2008. Non si contano le volte che si è tappato la bocca per paura di danneggiare il partito. E quando proprio è stato costretto a esporsi, lo ha sempre fatto in chiave il più possibile costruttiva. Fino a qualche mese fa, perlomeno. Poi qualcosa ha cominciato a rompersi. Nel giugno scorso, parlando con il Corriere , si sfogò: «La spinta al suicidio di questo partito non ha limiti». Il resto è storia recente. Come tanti prodiani vanno dicendo, «non è Prodi a uscire dal Pd: è il Pd che è uscito da lui». In tutto ciò, la questione della tessera, anche se altamente simbolica, diventa quasi un dettaglio.
Toccherà alla segretaria del circolo, Cecilia, chiamare come ogni anno casa Prodi per avvertire che la nuova tessera 2013 è arrivata: «A volte - racconta - l'ho portata personalmente nell'abitazione del Professore. Altre volte è venuto lui in sede. Stavolta vedremo come finirà...». Sempre che non sia già finita.
Francesco Alberti
16 maggio 2013 | 7:21
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Re: quo vadis PD ????
Ma quanto è odiosa alessandra moretti?
Parla come una pidiellina, stesso tono, deforma la realtà come una pidiellina, ma come si fa a sopportarla?
Mamma mia quanto ti odio...
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"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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Re: quo vadis PD ????
: Il Fatto Quotidiano
Pd, Boeri e Soru alleati per rigenerare il partito. A partire dalla Rete
L'ex assessore di Milano e l'ex governatore della Sardegna lanciano insieme un progetto per risolvere i problemi di comunicazione tra base e vertici democratici. Come Liquid Feedback o Nation Builder. Come Grillo? "No, noi vogliamo fare circolare le idee tra milioni di persone"
di Luigi Franco | 18 maggio 2013
Rigenerare il Pd a partire dalla Rete. E’ il nuovo progetto lanciato da Stefano Boeri e Renato Soru per portare il partito nell’era post primarie attraverso una nuova piattaforma web che consenta di informare e consultare gli elettori. Un mezzo per ricucire un rapporto tra dirigenti e base che gli ultimi mesi hanno dimostrato essere in profonda crisi: “Nella comunicazione politica del Pd c’è un gigantesco vuoto”, accusa Boeri.
Questo vuoto, secondo l’architetto, ha caratterizzato tutte le fasi che hanno portato il partito fino ai 101 franchi tiratori che hanno impallinato Romano Prodi: “Quell’episodio è l’esempio classico della perversione di una comunicazione che non esiste”. Da qui la necessità di creare una nuova piattaforma Internet che si ispiri a strumenti già esistenti come Liquid Feedback e Nation Builder, per integrare funzioni diverse: installare dei ‘sensori’ per percepire quello che succede nell’elettorato, informare gli elettori in tempo reale e consultarli. Tre elementi che negli ultimi mesi sono mancati del tutto, spiega Boeri: “In campagna elettorale si pensava di avere già vinto, mentre la Rete dava già indizi diversi, ma questo non lo si è capito. Poi, quando si è perso, non si è informato in modo convincente l’elettorato della sconfitta”. E nel momento delle scelte su presidente della Repubblica, alleanze e governo “bisognava consultare gli elettori per capire che cosa fare”. E invece niente.
L’ex assessore alla Cultura di Milano e l’ex presidente della regione Sardegna, nonché fondatore di Tiscali, ripartono dalla consapevolezza di quello che non è andato. E per ricostruire un rapporto con l’elettorato, la Rete è indispensabile. Venerdì ne hanno parlato all’Arci Bellezza di Milano. Presenti anche Ivan Scalfarotto e Sandro Gozi, entrambi intenzionati a dare una mano al progetto. Anche Michele Emiliano e Laura Puppato si sono già fatti sentire. L’iniziativa vuole andare al di là della partecipazione che già è garantita dalle primarie, perché tali consultazioni “sono un grande passo in avanti – sostiene Boeri – ma chiedono il voto su opzioni chiuse. Non c’è mai la possibilità di coinvolgere i cittadini anche su scelte che possono essere proposte dai cittadini stessi”.
La piattaforma dovrebbe essere pronta entro l’estate. “Sicuramente prima del congresso di ottobre”, garantisce Boeri, con una certezza: “Se la Rete è usata bene, è un modo straordinario per fare circolare le idee”. Una frase che nasconde una stoccata a Beppe Grillo, proprio colui che ha portato Internet in politica. Di questo Boeri gli dà atto, così come della “straordinaria innovazione dell’uso dei meet up”. Positivo anche fare una consultazione per scegliere il candidato al Quirinale. Ma dire che chi ha preso qualche migliaia di voti è il candidato della Rete è “una buffonata totale, così si strumentalizza la Rete”.
L’idea di Boeri e di Soru vuole andare al di là anche dell’uso del web fatto dal Movimento 5 Stelle. Alla primarie che hanno incoronato Bersani, ragiona l’architetto, non hanno partecipato migliaia di persone, ma oltre tre milioni. Ecco, immaginiamo una piattaforma Internet dove “tre milioni di italiani seguono, intervengono, propongono e correggono”.
Speriamo che funzioni viste le intenzioni di Grillo ( segue )
Pd, Boeri e Soru alleati per rigenerare il partito. A partire dalla Rete
L'ex assessore di Milano e l'ex governatore della Sardegna lanciano insieme un progetto per risolvere i problemi di comunicazione tra base e vertici democratici. Come Liquid Feedback o Nation Builder. Come Grillo? "No, noi vogliamo fare circolare le idee tra milioni di persone"
di Luigi Franco | 18 maggio 2013
Rigenerare il Pd a partire dalla Rete. E’ il nuovo progetto lanciato da Stefano Boeri e Renato Soru per portare il partito nell’era post primarie attraverso una nuova piattaforma web che consenta di informare e consultare gli elettori. Un mezzo per ricucire un rapporto tra dirigenti e base che gli ultimi mesi hanno dimostrato essere in profonda crisi: “Nella comunicazione politica del Pd c’è un gigantesco vuoto”, accusa Boeri.
Questo vuoto, secondo l’architetto, ha caratterizzato tutte le fasi che hanno portato il partito fino ai 101 franchi tiratori che hanno impallinato Romano Prodi: “Quell’episodio è l’esempio classico della perversione di una comunicazione che non esiste”. Da qui la necessità di creare una nuova piattaforma Internet che si ispiri a strumenti già esistenti come Liquid Feedback e Nation Builder, per integrare funzioni diverse: installare dei ‘sensori’ per percepire quello che succede nell’elettorato, informare gli elettori in tempo reale e consultarli. Tre elementi che negli ultimi mesi sono mancati del tutto, spiega Boeri: “In campagna elettorale si pensava di avere già vinto, mentre la Rete dava già indizi diversi, ma questo non lo si è capito. Poi, quando si è perso, non si è informato in modo convincente l’elettorato della sconfitta”. E nel momento delle scelte su presidente della Repubblica, alleanze e governo “bisognava consultare gli elettori per capire che cosa fare”. E invece niente.
L’ex assessore alla Cultura di Milano e l’ex presidente della regione Sardegna, nonché fondatore di Tiscali, ripartono dalla consapevolezza di quello che non è andato. E per ricostruire un rapporto con l’elettorato, la Rete è indispensabile. Venerdì ne hanno parlato all’Arci Bellezza di Milano. Presenti anche Ivan Scalfarotto e Sandro Gozi, entrambi intenzionati a dare una mano al progetto. Anche Michele Emiliano e Laura Puppato si sono già fatti sentire. L’iniziativa vuole andare al di là della partecipazione che già è garantita dalle primarie, perché tali consultazioni “sono un grande passo in avanti – sostiene Boeri – ma chiedono il voto su opzioni chiuse. Non c’è mai la possibilità di coinvolgere i cittadini anche su scelte che possono essere proposte dai cittadini stessi”.
La piattaforma dovrebbe essere pronta entro l’estate. “Sicuramente prima del congresso di ottobre”, garantisce Boeri, con una certezza: “Se la Rete è usata bene, è un modo straordinario per fare circolare le idee”. Una frase che nasconde una stoccata a Beppe Grillo, proprio colui che ha portato Internet in politica. Di questo Boeri gli dà atto, così come della “straordinaria innovazione dell’uso dei meet up”. Positivo anche fare una consultazione per scegliere il candidato al Quirinale. Ma dire che chi ha preso qualche migliaia di voti è il candidato della Rete è “una buffonata totale, così si strumentalizza la Rete”.
L’idea di Boeri e di Soru vuole andare al di là anche dell’uso del web fatto dal Movimento 5 Stelle. Alla primarie che hanno incoronato Bersani, ragiona l’architetto, non hanno partecipato migliaia di persone, ma oltre tre milioni. Ecco, immaginiamo una piattaforma Internet dove “tre milioni di italiani seguono, intervengono, propongono e correggono”.
Speriamo che funzioni viste le intenzioni di Grillo ( segue )
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Re: quo vadis PD ????
Grillo alla conquista dei voti di sinistra: “Ora facciamo un percorso insieme”
Il leader del Movimento Cinque Stelle continua l'operazione di "svuotamento" del bacino elettorale del Pd: "Ora gli elettori si vergogneranno a votarlo perché li hanno presi per il culo. Stracciate la tessera e tornate a essere cittadini". Epifani: "Non abbiamo paura. Siamo in difficoltà ma abbiamo le idee chiare"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 18 maggio 2013
Insomma, per dirla con il deputato del Movimento Dino Alberti: “Noi l’abbiamo sempre detto: il Pd è la stessa cosa del Pdl. Loro hanno ormai smesso di essere i punti di riferimento dei lavoratori, della sinistra”. Alberti che con una delegazione di parlamentari 5 Stelle, tra cui i componenti della commissione Lavoro Davide Tripiedi e Claudio Cominardi, ha partecipato al corteo della Fiom di Roma. A chi gli chiede di commentare le parole rivolte al Pd da Maurizio Landini (“Non capisco come si può essere al governo con Berlusconi e aver paura di essere qui”), Alberti risponde: “Noi non siamo né sinistra né destra, siamo altro. Ma oggi sembriamo essere noi quel punto di riferimento che il Pd non è più, per il semplice fatto che siamo in mezzo alla gente. Si facessero vedere anche loro in mezzo alla gente”.
Dopo aver letto questi due articoli credo alla fine che sbagli Grillo perchè il PD dopotutto ha uno Statuto che gli permette di rigenerarsi e Grillo con il suo " Non Statuto" si è congelato perchè le probabilità che alle prossime elezioni prenda più del 50% dei voti sono una chimera.
Il leader del Movimento Cinque Stelle continua l'operazione di "svuotamento" del bacino elettorale del Pd: "Ora gli elettori si vergogneranno a votarlo perché li hanno presi per il culo. Stracciate la tessera e tornate a essere cittadini". Epifani: "Non abbiamo paura. Siamo in difficoltà ma abbiamo le idee chiare"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 18 maggio 2013
Insomma, per dirla con il deputato del Movimento Dino Alberti: “Noi l’abbiamo sempre detto: il Pd è la stessa cosa del Pdl. Loro hanno ormai smesso di essere i punti di riferimento dei lavoratori, della sinistra”. Alberti che con una delegazione di parlamentari 5 Stelle, tra cui i componenti della commissione Lavoro Davide Tripiedi e Claudio Cominardi, ha partecipato al corteo della Fiom di Roma. A chi gli chiede di commentare le parole rivolte al Pd da Maurizio Landini (“Non capisco come si può essere al governo con Berlusconi e aver paura di essere qui”), Alberti risponde: “Noi non siamo né sinistra né destra, siamo altro. Ma oggi sembriamo essere noi quel punto di riferimento che il Pd non è più, per il semplice fatto che siamo in mezzo alla gente. Si facessero vedere anche loro in mezzo alla gente”.
Dopo aver letto questi due articoli credo alla fine che sbagli Grillo perchè il PD dopotutto ha uno Statuto che gli permette di rigenerarsi e Grillo con il suo " Non Statuto" si è congelato perchè le probabilità che alle prossime elezioni prenda più del 50% dei voti sono una chimera.
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