quo vadis PD ????
Re: quo vadis PD ????
C'è qualcosa dopo il Pd?
di Marco Damilano
Epifani sembra ogni giorno di più l'esecutore testamentario di un partito morto. E finché sta al governo con Berlusconi, c'è poco da fare. Però, forse, qualcosa si muove. Attorno a Barca, ma non solo(24 maggio 2013)All'ingresso della sezione, ad ascoltare sul marciapiede, c'è Roberto Martini, impiegato, c'era anche nel documentario "La Cosa" di Nanni Moretti sul passaggio dal Pci al Pds, era il giovane compagno con i baffi che invocava il cambio del nome, «perché, compagni, la bandiera rossa fa venire i brividi a tutti, compreso il sottoscritto. Ma bisogna vedere la sostanza politica. Perché altrimenti, tra vent'anni, staremo ancora qui a parlare...».
Oggi, a vent'anni e più di distanza, la sostanza politica della sinistra italiana è in questo angolo di Testaccio già ripreso nel film morettiano: la storica sezione del popolare quartiere è divisa a metà, da un lato c'è il circolo del Pd deserto con due bandiere all'uscita, dall'altro l'assemblea di Sel con Fabio Mussi e Fabrizio Barca, affollatissima, ombrelli aperti in mezzo alla strada, vapore e sudore dentro, gravata da un sentimento che l'ex ministro fotografa così: «Depressione, senso di impotenza autoinflitto. Rischio Pasok». Ovvero il partito socialista greco precipitato dopo la grande coalizione con la destra dal 43 al 12 per cento. Il fantasma dell'irrilevanza. La dissoluzione.
Il Pd ridotto a non-luogo disabitato, la sinistra di opposizione stanca e smarrita: il ritratto della izquierda italiana dopo il mese orribile che nel giro di poche settimane ha portato dalla coalizione elettorale Bersani-Vendola al governo Letta-Alfano con il Pd alleato di Silvio Berlusconi, capovolgimento totale di linea. Una nuova sanguinosa frattura destinata a pesare nello schieramento progressista e sul futuro delle larghe intese.
Come si è visto il 18 maggio alla manifestazione nazionale della Fiom. Significative le presenze sul palco: oltre al leader dei metalmeccanici Cgil Maurizio Landini il chirurgo di Emergency Gino Strada e il professor Stefano Rodotà, candidato al Quirinale del Movimento 5 Stelle, acclamato. E poi i vendoliani, un drappello di deputati grillini (il siciliano Tommaso Currò, Roberto Tripiedi), il giovane turco del Pd Matteo Orfini, rimasto solo perché i compagni di corrente Stefano Fassina e Andrea Orlando sono entrati nel governo, Fausto Raciti, Pippo Civati, più il neo-tesserato Barca e il vero leader della sinistra interna, Sergio Cofferati. Nessun altro dirigente di largo del Nazareno si è fatto vedere.
E dire che la manifestazione precedente della Fiom, era il 16 ottobre 2010, era stata conclusa proprio da Guglielmo Epifani: ma all'epoca era il segretario della Cgil, non del Pd.
«La decisione di Epifani di non partecipare alla nostra manifestazione mi ha sorpreso. Mi aspettavo più rispetto», dice Landini. «Quell'assenza è un segno della difficoltà, della crisi». Cinquantadue anni, alla testa della Fiom dal 2010, il combattivo segretario delle tute blu è individuato da più parti come il possibile leader di un nuovo soggetto di sinistra da far nascere sulle macerie della coalizione Pd-Sel: Marco Revelli sul "manifesto" lo ha esplicitamente chiamato a entrare nel campo politico, il vecchio Emanuele Macaluso su "L'Unità" lo ha attaccato: «L'obiettivo di Landini è radicalizzare l'opposizione al governo, un errore». Di certo il capo della Fiom è stato molto corteggiato prima delle elezioni da tutta la galassia a sinistra del Pd, è richiestissimo dai media per l'immagine di autenticità distante anni luce dal modello Bertinotti, è rispettato dal mondo grillino: dopo le elezioni ha incontrato i capigruppo Rocco Crimi e Roberta Lombardi, colloquio più che amichevole, non c'è stato bisogno dello streaming per testimoniarlo.
«Ma io ho chiesto di vedere tutti i partiti. Siamo fuori dai vecchi recinti, c'è un modo vecchio di concepire i rapporti tra sindacati e la politica, dentro la crisi ci siamo anche noi», spiega Landini, non molto amato da Susanna Camusso, già in forte imbarazzo per l'elezione di Epifani alla segreteria del Pd. «Grillo ha intercettato una domanda di cambiamento, in tanti dei nostri lo hanno votato. A questa domanda si è risposto con il governo Letta che rischia di aumentare la distanza con la società: un rinchiudersi dei partiti nel Palazzo». Sulla possibilità di un suo ingresso in politica, però, Landini ripete per l'ennesima volta che il fronte è un altro: «Ognuno deve giocare la partita dove si trova. La mia è quella di restituire rappresentanza a un sindacato che l'ha persa e che si appiattisce sulla politica perché ha smarrito il contatto con il mondo del lavoro. Non solo i precari: la maggioranza dei lavoratori non è iscritta a nessun sindacato. Ma il travaglio della politica e della sinistra ci coinvolge, chiaro».
La doppia sinistra si divide non solo a Roma: nel voto amministrativo una parte a Roma tifa per Ignazio Marino, un pezzo del Pd lo sostiene senza grande entusiasmo, a Bologna c'è il referendum sui finanziamenti alle scuole paritarie che ha messo in contrapposizione frontale il sindaco del Pd Virginio Merola e Nichi Vendola. Il 2 giugno, festa della Repubblica, la sinistra che non ci sta alle larghe intese tornerà a riunirsi a Bologna, convocata da Libertà e Giustizia in difesa della Costituzione e contro la Convenzione delle riforme. In cerca di un rifugio politico da offrire al popolo della sinistra infuriato e deluso, quello che riempie anche le assemblee con Barca in giro per l'Italia. «La nostra sconfitta non nasce oggi, inutile mettere alla graticola Pier Luigi Bersani, come hanno fatto in modo sleale quelli che fino a ieri lo omaggiavano», chiarisce l'ex ministro.
«E' da venti anni che la sinistra non riesce a presentare un progetto di cambiamento. Perché questa catena di insuccessi? Enrico Letta nel suo primo discorso alla Camera ha chiesto meno politica e più politiche, intendendo meno ideologia e più cose concrete, ma io penso esattamente il contrario. Ho visto da uomo di governo cosa succede quando manca la politica: non si va da nessuna parte. E ora per i capi della sinistra siamo al punto di non ritorno».
La «traversa» la chiama Barca, ovvero la traversata nel deserto. Nel suo caso potrebbe essere breve: tra qualche settimana l'ex ministro potrebbe decidere di entrare ufficialmente in campo per il congresso del Pd, con una sua mozione anti-larghe intese e una sua candidatura alla segreteria che si aggiungerebbe a quella già annunciata di Gianni Cuperlo e forse di Epifani. Barca sembra pronto a combattere: «Basta con la pappa della concertazione e della pacificazione: l'innovazione nasce solo dal conflitto. Dobbiamo spingere i gruppi dirigenti più conservatori a cambiare, per evitare che la sinistra italiana faccia la fine del Pasok greco». Un annuncio di battaglia, con l'obiettivo di un nuovo Pd aperto alla sinistra della Fiom e di Vendola. Ma se l'operazione dovesse riuscire a durare pochissimo sarebbe la trasversata del governo Letta.
http://espresso.repubblica.it/dettaglio ... 2207763//0
di Marco Damilano
Epifani sembra ogni giorno di più l'esecutore testamentario di un partito morto. E finché sta al governo con Berlusconi, c'è poco da fare. Però, forse, qualcosa si muove. Attorno a Barca, ma non solo(24 maggio 2013)All'ingresso della sezione, ad ascoltare sul marciapiede, c'è Roberto Martini, impiegato, c'era anche nel documentario "La Cosa" di Nanni Moretti sul passaggio dal Pci al Pds, era il giovane compagno con i baffi che invocava il cambio del nome, «perché, compagni, la bandiera rossa fa venire i brividi a tutti, compreso il sottoscritto. Ma bisogna vedere la sostanza politica. Perché altrimenti, tra vent'anni, staremo ancora qui a parlare...».
Oggi, a vent'anni e più di distanza, la sostanza politica della sinistra italiana è in questo angolo di Testaccio già ripreso nel film morettiano: la storica sezione del popolare quartiere è divisa a metà, da un lato c'è il circolo del Pd deserto con due bandiere all'uscita, dall'altro l'assemblea di Sel con Fabio Mussi e Fabrizio Barca, affollatissima, ombrelli aperti in mezzo alla strada, vapore e sudore dentro, gravata da un sentimento che l'ex ministro fotografa così: «Depressione, senso di impotenza autoinflitto. Rischio Pasok». Ovvero il partito socialista greco precipitato dopo la grande coalizione con la destra dal 43 al 12 per cento. Il fantasma dell'irrilevanza. La dissoluzione.
Il Pd ridotto a non-luogo disabitato, la sinistra di opposizione stanca e smarrita: il ritratto della izquierda italiana dopo il mese orribile che nel giro di poche settimane ha portato dalla coalizione elettorale Bersani-Vendola al governo Letta-Alfano con il Pd alleato di Silvio Berlusconi, capovolgimento totale di linea. Una nuova sanguinosa frattura destinata a pesare nello schieramento progressista e sul futuro delle larghe intese.
Come si è visto il 18 maggio alla manifestazione nazionale della Fiom. Significative le presenze sul palco: oltre al leader dei metalmeccanici Cgil Maurizio Landini il chirurgo di Emergency Gino Strada e il professor Stefano Rodotà, candidato al Quirinale del Movimento 5 Stelle, acclamato. E poi i vendoliani, un drappello di deputati grillini (il siciliano Tommaso Currò, Roberto Tripiedi), il giovane turco del Pd Matteo Orfini, rimasto solo perché i compagni di corrente Stefano Fassina e Andrea Orlando sono entrati nel governo, Fausto Raciti, Pippo Civati, più il neo-tesserato Barca e il vero leader della sinistra interna, Sergio Cofferati. Nessun altro dirigente di largo del Nazareno si è fatto vedere.
E dire che la manifestazione precedente della Fiom, era il 16 ottobre 2010, era stata conclusa proprio da Guglielmo Epifani: ma all'epoca era il segretario della Cgil, non del Pd.
«La decisione di Epifani di non partecipare alla nostra manifestazione mi ha sorpreso. Mi aspettavo più rispetto», dice Landini. «Quell'assenza è un segno della difficoltà, della crisi». Cinquantadue anni, alla testa della Fiom dal 2010, il combattivo segretario delle tute blu è individuato da più parti come il possibile leader di un nuovo soggetto di sinistra da far nascere sulle macerie della coalizione Pd-Sel: Marco Revelli sul "manifesto" lo ha esplicitamente chiamato a entrare nel campo politico, il vecchio Emanuele Macaluso su "L'Unità" lo ha attaccato: «L'obiettivo di Landini è radicalizzare l'opposizione al governo, un errore». Di certo il capo della Fiom è stato molto corteggiato prima delle elezioni da tutta la galassia a sinistra del Pd, è richiestissimo dai media per l'immagine di autenticità distante anni luce dal modello Bertinotti, è rispettato dal mondo grillino: dopo le elezioni ha incontrato i capigruppo Rocco Crimi e Roberta Lombardi, colloquio più che amichevole, non c'è stato bisogno dello streaming per testimoniarlo.
«Ma io ho chiesto di vedere tutti i partiti. Siamo fuori dai vecchi recinti, c'è un modo vecchio di concepire i rapporti tra sindacati e la politica, dentro la crisi ci siamo anche noi», spiega Landini, non molto amato da Susanna Camusso, già in forte imbarazzo per l'elezione di Epifani alla segreteria del Pd. «Grillo ha intercettato una domanda di cambiamento, in tanti dei nostri lo hanno votato. A questa domanda si è risposto con il governo Letta che rischia di aumentare la distanza con la società: un rinchiudersi dei partiti nel Palazzo». Sulla possibilità di un suo ingresso in politica, però, Landini ripete per l'ennesima volta che il fronte è un altro: «Ognuno deve giocare la partita dove si trova. La mia è quella di restituire rappresentanza a un sindacato che l'ha persa e che si appiattisce sulla politica perché ha smarrito il contatto con il mondo del lavoro. Non solo i precari: la maggioranza dei lavoratori non è iscritta a nessun sindacato. Ma il travaglio della politica e della sinistra ci coinvolge, chiaro».
La doppia sinistra si divide non solo a Roma: nel voto amministrativo una parte a Roma tifa per Ignazio Marino, un pezzo del Pd lo sostiene senza grande entusiasmo, a Bologna c'è il referendum sui finanziamenti alle scuole paritarie che ha messo in contrapposizione frontale il sindaco del Pd Virginio Merola e Nichi Vendola. Il 2 giugno, festa della Repubblica, la sinistra che non ci sta alle larghe intese tornerà a riunirsi a Bologna, convocata da Libertà e Giustizia in difesa della Costituzione e contro la Convenzione delle riforme. In cerca di un rifugio politico da offrire al popolo della sinistra infuriato e deluso, quello che riempie anche le assemblee con Barca in giro per l'Italia. «La nostra sconfitta non nasce oggi, inutile mettere alla graticola Pier Luigi Bersani, come hanno fatto in modo sleale quelli che fino a ieri lo omaggiavano», chiarisce l'ex ministro.
«E' da venti anni che la sinistra non riesce a presentare un progetto di cambiamento. Perché questa catena di insuccessi? Enrico Letta nel suo primo discorso alla Camera ha chiesto meno politica e più politiche, intendendo meno ideologia e più cose concrete, ma io penso esattamente il contrario. Ho visto da uomo di governo cosa succede quando manca la politica: non si va da nessuna parte. E ora per i capi della sinistra siamo al punto di non ritorno».
La «traversa» la chiama Barca, ovvero la traversata nel deserto. Nel suo caso potrebbe essere breve: tra qualche settimana l'ex ministro potrebbe decidere di entrare ufficialmente in campo per il congresso del Pd, con una sua mozione anti-larghe intese e una sua candidatura alla segreteria che si aggiungerebbe a quella già annunciata di Gianni Cuperlo e forse di Epifani. Barca sembra pronto a combattere: «Basta con la pappa della concertazione e della pacificazione: l'innovazione nasce solo dal conflitto. Dobbiamo spingere i gruppi dirigenti più conservatori a cambiare, per evitare che la sinistra italiana faccia la fine del Pasok greco». Un annuncio di battaglia, con l'obiettivo di un nuovo Pd aperto alla sinistra della Fiom e di Vendola. Ma se l'operazione dovesse riuscire a durare pochissimo sarebbe la trasversata del governo Letta.
http://espresso.repubblica.it/dettaglio ... 2207763//0
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Re: quo vadis PD ????
Dal Blog di Civati e http://www.huffingtonpost.it
Il Pd ha bisogno di una piattaforma multimediale come l'm5s
Pubblicato: 23/05/2013 11:50
Pensiamoci: se nell'ottobre 2012 i tre milioni di votanti alle primarie Pd, invece che ricevere un certificato - e poi non essere mai più consultati - si fossero iscritti ad una piattaforma multimediale che consentiva loro di informarsi, discutere, commentare e proporre scelte e idee, forse oggi il centro-sinistra italiano non vivrebbe una delle più grandi crisi di credibilità della sua storia.
Non solo, infatti, durante la campagna elettorale l'uso della Rete avrebbe aiutato il Pd a capire che non stava stravincendo( e che proprio grazie alla Rete, M5s stava coinvolgendo e mobilitando milioni di elettori di estrazione democratica); ma subito dopo il voto avrebbe consentito al Pd di informare con rapidità e trasparenza sui numeri e le ragioni di una sconfitta (meno 3,5milioni di voti al Pd) che implicava un rapido cambio di rotta.
Ma soprattutto, nelle settimane convulse dopo il voto, l'uso della Rete come grande piattaforma di consultazione avrebbe aiutato il Pd a coinvolgere i tre milioni di elettori delle primarie, per condividere i candidati e le tattiche di una nuova, necessaria politica di mediazione.
E, come suggerisce Pietro Raffa avrebbe consentito agli eletti Pd di avere il polso dell'opinione degli elettori, ricevere idee, proposte, candidature e tenerne debito conto.
In altre parole: se una piattaforma che consente a chi vi accede di informarsi, discutere, commentare e proporre scelte e idee fosse esistita nel Pd e nel centro-sinistra, avremmo forse evitato di erigere quel muro di incomunicabilità tra eletti ed elettori, tra dirigenti ed iscritti, tra partiti e cittadini che - tra gli altre spiacevoli effetti - ha generato i 101 cecchini che hanno ucciso la credibilità del Pd.
La proposta presentata da Renato Soru a Sedilo e riproposta insieme a Milano - che nasce dall'esperienza di Sardegna Democratica e che abbiamo cominciato a discutere con altri esponenti del Pd come Ivan Scalfarotto, Sandro Gozi, Michele Emiliano e Laura Puppato - è di realizzare una piattaforma che sia insieme: sensore dell'opinione pubblica; fonte di informazione trasparente e istantanea; spazio di consultazione interattiva.
Una proposta che nasce dalla crisi di una forma obsoleta di partecipazione alla politica, secondo cui partecipazione significa informare gli elettori per raccogliere consenso su scelte già prese; o al massimo di coinvolgere gli elettori per scegliere tra alternative di voto (si pensi alle primarie) immodificabili.
La piattaforma per la politica che insieme a Renato Soru stiamo elaborando non intende ovviamente sostituirsi alle forme di democrazia rappresentativa e alle procedure organizzative di partito; ma neppure alle reti di comunicazione esistenti. Lo scopo piuttosto è di offrirsi come un servizio, uno spazio comune. Una Rete delle reti che, per essere efficace, dovrà riunire in un unico luogo le molteplici prestazioni che oggi vengono svolte dai social network, dalle piattaforme wiki, dagli organi web di informazione.
In sintesi, quello che proponiamo è che questo spazio diventi una nuova Agorà della politica del centro-sinistra italiana; e del Pd in particolare. Chi vi accede, portando in dote la sua identità e la sua rete di relazioni (anche quelle sviluppate su Social Network come facebook, twitter, linkedin, indoona), ne avrà alcuni vantaggi evidenti, a partire dalla moltiplicazione delle sue relazioni di scambio.
Verrà aggiornato in tempo reale sul quello che succede nella politica nazionale e locale; potrà commentare e verficare le notizie attraverso forme di "fact checking" .
Grazie a strumenti come Liquid Feedback o Nation Builder- potrà proporre idee e progetti, suggerire le candidature per realizzarli, ma anche (grazie a modalità wiki ) partecipare attivamente alla costruzione di programmi di governo e visioni per il futuro delle città, delle regioni, dei territori italiani.
Inoltre, chi accede alla piattaforma potrà essere consultato costantemente su decisioni di interesse generale e/o che riguardano la comunità di cui si è parte nella Rete e essere coinvolti nella costruzione di esperienze sociali "in presenza": dall'organizzazione e conduzione di circoli territoriali e tematici, alla promozione di eventi e incontri.
E infine potrà usufruire e partecipare alla costruzione di archivi di documentazione dove si seleziona e si accumula il sapere enciclopedico e di pratiche di un territorio.
In altre parole: la nuova piattaforma consentirà ai suoi utenti di immergersi e intervenire attivamente in un flusso di scambi, informazioni e decisioni sulla politica italiana, su livelli diversi. Pur avendo un format nazionale, potrà infatti essere sviluppata e arricchita nelle declinazioni di territorio.
Potrà essere sostenuta dai suoi promotori e utenti e dovrà elaborare un codice etico, il cui rispetto verrà costantemente monitorato da un Comitato nazionale di Garanti.
La nostra proposta è di invitare prima dell'estate le esperienze italiane più avanzate nel campo della comunicazione politica multimediale a due giorni di confronto nel corso delle quali raccogliere le esperienze migliori.
E di presentare poi una piattaforma che sia il contrario esatto di una nuova corrente nel Pd, ma piuttosto un aiuto per introdurre la democrazia continua e deliberativa nel Pd e nel centro-sinistra.
Il Pd ha bisogno di una piattaforma multimediale come l'm5s
Pubblicato: 23/05/2013 11:50
Pensiamoci: se nell'ottobre 2012 i tre milioni di votanti alle primarie Pd, invece che ricevere un certificato - e poi non essere mai più consultati - si fossero iscritti ad una piattaforma multimediale che consentiva loro di informarsi, discutere, commentare e proporre scelte e idee, forse oggi il centro-sinistra italiano non vivrebbe una delle più grandi crisi di credibilità della sua storia.
Non solo, infatti, durante la campagna elettorale l'uso della Rete avrebbe aiutato il Pd a capire che non stava stravincendo( e che proprio grazie alla Rete, M5s stava coinvolgendo e mobilitando milioni di elettori di estrazione democratica); ma subito dopo il voto avrebbe consentito al Pd di informare con rapidità e trasparenza sui numeri e le ragioni di una sconfitta (meno 3,5milioni di voti al Pd) che implicava un rapido cambio di rotta.
Ma soprattutto, nelle settimane convulse dopo il voto, l'uso della Rete come grande piattaforma di consultazione avrebbe aiutato il Pd a coinvolgere i tre milioni di elettori delle primarie, per condividere i candidati e le tattiche di una nuova, necessaria politica di mediazione.
E, come suggerisce Pietro Raffa avrebbe consentito agli eletti Pd di avere il polso dell'opinione degli elettori, ricevere idee, proposte, candidature e tenerne debito conto.
In altre parole: se una piattaforma che consente a chi vi accede di informarsi, discutere, commentare e proporre scelte e idee fosse esistita nel Pd e nel centro-sinistra, avremmo forse evitato di erigere quel muro di incomunicabilità tra eletti ed elettori, tra dirigenti ed iscritti, tra partiti e cittadini che - tra gli altre spiacevoli effetti - ha generato i 101 cecchini che hanno ucciso la credibilità del Pd.
La proposta presentata da Renato Soru a Sedilo e riproposta insieme a Milano - che nasce dall'esperienza di Sardegna Democratica e che abbiamo cominciato a discutere con altri esponenti del Pd come Ivan Scalfarotto, Sandro Gozi, Michele Emiliano e Laura Puppato - è di realizzare una piattaforma che sia insieme: sensore dell'opinione pubblica; fonte di informazione trasparente e istantanea; spazio di consultazione interattiva.
Una proposta che nasce dalla crisi di una forma obsoleta di partecipazione alla politica, secondo cui partecipazione significa informare gli elettori per raccogliere consenso su scelte già prese; o al massimo di coinvolgere gli elettori per scegliere tra alternative di voto (si pensi alle primarie) immodificabili.
La piattaforma per la politica che insieme a Renato Soru stiamo elaborando non intende ovviamente sostituirsi alle forme di democrazia rappresentativa e alle procedure organizzative di partito; ma neppure alle reti di comunicazione esistenti. Lo scopo piuttosto è di offrirsi come un servizio, uno spazio comune. Una Rete delle reti che, per essere efficace, dovrà riunire in un unico luogo le molteplici prestazioni che oggi vengono svolte dai social network, dalle piattaforme wiki, dagli organi web di informazione.
In sintesi, quello che proponiamo è che questo spazio diventi una nuova Agorà della politica del centro-sinistra italiana; e del Pd in particolare. Chi vi accede, portando in dote la sua identità e la sua rete di relazioni (anche quelle sviluppate su Social Network come facebook, twitter, linkedin, indoona), ne avrà alcuni vantaggi evidenti, a partire dalla moltiplicazione delle sue relazioni di scambio.
Verrà aggiornato in tempo reale sul quello che succede nella politica nazionale e locale; potrà commentare e verficare le notizie attraverso forme di "fact checking" .
Grazie a strumenti come Liquid Feedback o Nation Builder- potrà proporre idee e progetti, suggerire le candidature per realizzarli, ma anche (grazie a modalità wiki ) partecipare attivamente alla costruzione di programmi di governo e visioni per il futuro delle città, delle regioni, dei territori italiani.
Inoltre, chi accede alla piattaforma potrà essere consultato costantemente su decisioni di interesse generale e/o che riguardano la comunità di cui si è parte nella Rete e essere coinvolti nella costruzione di esperienze sociali "in presenza": dall'organizzazione e conduzione di circoli territoriali e tematici, alla promozione di eventi e incontri.
E infine potrà usufruire e partecipare alla costruzione di archivi di documentazione dove si seleziona e si accumula il sapere enciclopedico e di pratiche di un territorio.
In altre parole: la nuova piattaforma consentirà ai suoi utenti di immergersi e intervenire attivamente in un flusso di scambi, informazioni e decisioni sulla politica italiana, su livelli diversi. Pur avendo un format nazionale, potrà infatti essere sviluppata e arricchita nelle declinazioni di territorio.
Potrà essere sostenuta dai suoi promotori e utenti e dovrà elaborare un codice etico, il cui rispetto verrà costantemente monitorato da un Comitato nazionale di Garanti.
La nostra proposta è di invitare prima dell'estate le esperienze italiane più avanzate nel campo della comunicazione politica multimediale a due giorni di confronto nel corso delle quali raccogliere le esperienze migliori.
E di presentare poi una piattaforma che sia il contrario esatto di una nuova corrente nel Pd, ma piuttosto un aiuto per introdurre la democrazia continua e deliberativa nel Pd e nel centro-sinistra.
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Re: quo vadis PD ????
Qualcosa si muove nel PD e soprattutto fuori dal PD.
Il PD ha bisogno di un leader o di un gruppo dirigente in grado di ascoltare e dare risposte alla base dei cittadini ?
Io sarei per la seconda ipotesi anche se la maggior parte dei cittadini sembra attratta da un leader.
Il PD ha bisogno di un leader o di un gruppo dirigente in grado di ascoltare e dare risposte alla base dei cittadini ?
Io sarei per la seconda ipotesi anche se la maggior parte dei cittadini sembra attratta da un leader.
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Re: quo vadis PD ????
Vediamo che fine farà alle comunali.
Intanto un interessante articolo sul www.ilfattoquotidiano.it ci fa vedere i casi storici ...
Anche i partiti muoiono (rapidamente). Dal Pasok greco ai Liberal democratici inglesi
L'unione innaturale con partiti tra loro antagonisti e politiche di austerità: spesso dinamiche che tra loro si sommano e portano a una disfatta tanto veloce quanto inesorabile. E' il caso di laburisti irlandesi, liberaldemocratici del Regno Unito e tedeschi. Ma anche di Socrates in Portogallo e di Papandreou in Grecia
di Marco Quarantelli | 26 maggio 2013
Il primo dato delle amministrative dice che l’affluenza segna un ulteriore calo, come già era avvenuto alle politiche del 24 e 25 febbraio scorsi, quando un quarto netto degli elettori è rimasto a casa. Dopo le politiche di febbraio, i partiti non hanno dato grandi prove di efficienza davanti a un Paese messo in ginocchio dalla crisi. Sono stati i tre mesi più pazzi della Repubblica, con la lunga paralisi seguita al voto, l’incapacità di eleggere un nuovo presidente della Repubblica, gli affanni e le risse quotidiane delle “larghe intese” tra Pd e Pdl, il non facile debutto dei Cinque stelle nel grande gioco della politica parlamentare. Si intravede una tendenza all’autodistruzione, che forse non tiene conto di un fatto: anche i partiti muoiono. Spesso per loro stessa mano. Come dimostrano diverse recenti vicende che hanno segnato la politica di molti nostri vicini europei.
I motivi sono ovunque gli stessi: l’unione innaturale con partiti antagonisti e le politiche di austerità messe in atto. In alcuni casi le due dinamiche si sommano. E la disfatta arriva rapida e inesorabile. E’ il caso del Partito laburista irlandese. Socio di minoranza di un governo con Fine Gael (centrodestra), a causa delle manovre lacrime e sangue avallate in cambio dei 67,5 miliardi ricevuti da Unione europea e Fondo monetario internazionale, dal 19,6% conquistato nel 2011 è piombato al 4,6%, ha subito una diaspora di parlamentari e ora rischia di essere spazzato via alle elezioni del 2015: la voce della folla scesa in strada a Dublino il 13 aprile contro la nuova property tax a gridare “non ce la facciamo a pagare” all’indirizzo del leader del partito Eamon Gilmore era quella del suo popolo. Un’eco sinistra al caso del Pd che, dopo aver votato tutte le misure di spending review volute da Mario Monti, ora parla di crescita e sospende l’Imu, come se appena nominato premier Enrico Letta non fosse volato a Berlino a rendere omaggio ad Angela Merkel, che di quelle politiche è musa ispiratrice e vigile controllore.
In Germania i problemi sono del Freie demokratische partei, il partito liberaldemocratico alleato di governo della Cdu: se nel 2009 aveva conquistato il 14,6% dei voti (miglior risultato di sempre), oggi i sondaggi nazionali lo danno al 5%. E rischia non prendere neanche un seggio alle elezioni di settembre. Emblematica la serie di disfatte inanellate nelle elezioni locali che tra il maggio 2011 e il marzo 2012 lo portano a perdere tutti i seggi in 6 Lander e contro cui nulla può l’avvicendamento al vertice tra il ministro degli Esteri Guido Westerwelle e quello delle Finanze Philipp Rosler. I motivi del crollo? Sempre oscillante tra l’appiattirsi sulle posizioni della Cdu e il proporsi come alternativo, si è mostrato ondivago su temi come il salario minimo e la riforma del welfare e aveva anche promesso una riforma del fisco che non è mai arrivata.
Nel Regno Unito in crollo verticale sono i Liberal-democratici di Nick Clegg: dal 23% conquistato nel 2010, ora a livello nazionale galleggiano attorno all’8%, superati dallo United kingdom independent party al 19%, secondo un sondaggio pubblicato domenica dall’Indipendent. Un sorpasso certificato dalle urne: le amministrative del 2 maggio hanno relegato il partito al 4° posto con il 14%, scalzato proprio dall’Ukip che è volato al 23%. A corto di idee dopo anni di difficile coalizione coi conservatori, euroconvinti in un paese di euroscettici (Cameron ha annunciato un referendum sulla permanenza nell’Ue, l’Ukip ne predica l’uscita), i LibDem pagano il tenere in piedi il governo a furia di compromessi e il mancato rispetto di varie promesse, tra cui quella sul taglio delle tasse universitarie.
La storia recente dell’Ue è funestata da due suicidi politici di portata storica. Nel 2011 il premier del Portogallo Socrates, socialista, concorda con Bruxelles una manovra lacrime e sangue per risanare i conti pubblici, il 23 marzo il parlamento la boccia e Socrates è costretto alle dimissioni. Risultato, l’Ue interviene con 78 miliardi e l’economia va a picco: in 2 anni sono aumentati disoccupazione (dal 12.9% al 18.2%), deficit e debito pubblico, passato dal 106% al 123%; soltanto la crescita è calata, dal -1,6% al -2,3%. Ancor più tragiche le storie del Pasok e del popolo greco. Dopo aver negato per mesi la crisi e aver sancito il tracollo del Paese, il Movimento socialista panellenico è passato dal 43,9% del 2009 al 12,28% del 2012 e oggi governa ancora, in una coalizione formata con Nea dimokratia, di centrodestra.
In alcuni casi, rari e virtuosi, il suicidio di un partito può salvare un Paese. In Germania nel 2003 l’Spd di Gerhard Schroeder fece approvare l’Agenda 2010, una serie di riforme del mercato del lavoro e del welfare necessarie per uscire dalla stagnazione. L’Agenda impose duri sacrifici ai tedeschi che nel 2005 punirono l’Spd e aprirono la strada a due governi guidati dalla Cdu di Angela Merkel. Ma l’Agenda 2010, come certificato anche dalla Deutsche bank, salvò il Paese e pose le basi per il boom economico tedesco.
Intanto un interessante articolo sul www.ilfattoquotidiano.it ci fa vedere i casi storici ...
Anche i partiti muoiono (rapidamente). Dal Pasok greco ai Liberal democratici inglesi
L'unione innaturale con partiti tra loro antagonisti e politiche di austerità: spesso dinamiche che tra loro si sommano e portano a una disfatta tanto veloce quanto inesorabile. E' il caso di laburisti irlandesi, liberaldemocratici del Regno Unito e tedeschi. Ma anche di Socrates in Portogallo e di Papandreou in Grecia
di Marco Quarantelli | 26 maggio 2013
Il primo dato delle amministrative dice che l’affluenza segna un ulteriore calo, come già era avvenuto alle politiche del 24 e 25 febbraio scorsi, quando un quarto netto degli elettori è rimasto a casa. Dopo le politiche di febbraio, i partiti non hanno dato grandi prove di efficienza davanti a un Paese messo in ginocchio dalla crisi. Sono stati i tre mesi più pazzi della Repubblica, con la lunga paralisi seguita al voto, l’incapacità di eleggere un nuovo presidente della Repubblica, gli affanni e le risse quotidiane delle “larghe intese” tra Pd e Pdl, il non facile debutto dei Cinque stelle nel grande gioco della politica parlamentare. Si intravede una tendenza all’autodistruzione, che forse non tiene conto di un fatto: anche i partiti muoiono. Spesso per loro stessa mano. Come dimostrano diverse recenti vicende che hanno segnato la politica di molti nostri vicini europei.
I motivi sono ovunque gli stessi: l’unione innaturale con partiti antagonisti e le politiche di austerità messe in atto. In alcuni casi le due dinamiche si sommano. E la disfatta arriva rapida e inesorabile. E’ il caso del Partito laburista irlandese. Socio di minoranza di un governo con Fine Gael (centrodestra), a causa delle manovre lacrime e sangue avallate in cambio dei 67,5 miliardi ricevuti da Unione europea e Fondo monetario internazionale, dal 19,6% conquistato nel 2011 è piombato al 4,6%, ha subito una diaspora di parlamentari e ora rischia di essere spazzato via alle elezioni del 2015: la voce della folla scesa in strada a Dublino il 13 aprile contro la nuova property tax a gridare “non ce la facciamo a pagare” all’indirizzo del leader del partito Eamon Gilmore era quella del suo popolo. Un’eco sinistra al caso del Pd che, dopo aver votato tutte le misure di spending review volute da Mario Monti, ora parla di crescita e sospende l’Imu, come se appena nominato premier Enrico Letta non fosse volato a Berlino a rendere omaggio ad Angela Merkel, che di quelle politiche è musa ispiratrice e vigile controllore.
In Germania i problemi sono del Freie demokratische partei, il partito liberaldemocratico alleato di governo della Cdu: se nel 2009 aveva conquistato il 14,6% dei voti (miglior risultato di sempre), oggi i sondaggi nazionali lo danno al 5%. E rischia non prendere neanche un seggio alle elezioni di settembre. Emblematica la serie di disfatte inanellate nelle elezioni locali che tra il maggio 2011 e il marzo 2012 lo portano a perdere tutti i seggi in 6 Lander e contro cui nulla può l’avvicendamento al vertice tra il ministro degli Esteri Guido Westerwelle e quello delle Finanze Philipp Rosler. I motivi del crollo? Sempre oscillante tra l’appiattirsi sulle posizioni della Cdu e il proporsi come alternativo, si è mostrato ondivago su temi come il salario minimo e la riforma del welfare e aveva anche promesso una riforma del fisco che non è mai arrivata.
Nel Regno Unito in crollo verticale sono i Liberal-democratici di Nick Clegg: dal 23% conquistato nel 2010, ora a livello nazionale galleggiano attorno all’8%, superati dallo United kingdom independent party al 19%, secondo un sondaggio pubblicato domenica dall’Indipendent. Un sorpasso certificato dalle urne: le amministrative del 2 maggio hanno relegato il partito al 4° posto con il 14%, scalzato proprio dall’Ukip che è volato al 23%. A corto di idee dopo anni di difficile coalizione coi conservatori, euroconvinti in un paese di euroscettici (Cameron ha annunciato un referendum sulla permanenza nell’Ue, l’Ukip ne predica l’uscita), i LibDem pagano il tenere in piedi il governo a furia di compromessi e il mancato rispetto di varie promesse, tra cui quella sul taglio delle tasse universitarie.
La storia recente dell’Ue è funestata da due suicidi politici di portata storica. Nel 2011 il premier del Portogallo Socrates, socialista, concorda con Bruxelles una manovra lacrime e sangue per risanare i conti pubblici, il 23 marzo il parlamento la boccia e Socrates è costretto alle dimissioni. Risultato, l’Ue interviene con 78 miliardi e l’economia va a picco: in 2 anni sono aumentati disoccupazione (dal 12.9% al 18.2%), deficit e debito pubblico, passato dal 106% al 123%; soltanto la crescita è calata, dal -1,6% al -2,3%. Ancor più tragiche le storie del Pasok e del popolo greco. Dopo aver negato per mesi la crisi e aver sancito il tracollo del Paese, il Movimento socialista panellenico è passato dal 43,9% del 2009 al 12,28% del 2012 e oggi governa ancora, in una coalizione formata con Nea dimokratia, di centrodestra.
In alcuni casi, rari e virtuosi, il suicidio di un partito può salvare un Paese. In Germania nel 2003 l’Spd di Gerhard Schroeder fece approvare l’Agenda 2010, una serie di riforme del mercato del lavoro e del welfare necessarie per uscire dalla stagnazione. L’Agenda impose duri sacrifici ai tedeschi che nel 2005 punirono l’Spd e aprirono la strada a due governi guidati dalla Cdu di Angela Merkel. Ma l’Agenda 2010, come certificato anche dalla Deutsche bank, salvò il Paese e pose le basi per il boom economico tedesco.
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«Non si discute per aver ragione, ma per capire» (Peanuts)
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Re: quo vadis PD ????
Per adesso constatiamo che l'affluenza segna un vistoso calo.
A che cosa sia dovuto non è facile essere d'accordo:
Il sociologo Revelli: "I politici se ne sono fregati del voto degli elettori e ora si lamentano? Chi può ancora credere in questi personaggi?"
Io direi anche che ormai anche i sindaci hanno poche leve a loro disposizione, l'Italia dipende da Bruxelle, i Comuni dipendono da Roma e allora i cittadini dovrebbero andare a votare per che cosa ?
Lasciamo che i sindaci decidano con l'ICI o con l'IMU ,tutto per i comuni allora sarebbe diverso.
Lo Stato invece ha un po' le mani legate da Bruxelles, ma la distribuzione della ricchezza prodotta potrebbe gestirla meglio. I costi delle province, della politica , delle controllate ecc...ecc...
i mega stipendi di burocrati e menagers, le mega e doppie pensioni , l'evasione,l'elusione, la criminalità organizzata, gli sprechi delle pubbliche amministrazioni ecc..ecc.. sono tutte cose dove Bruxelles non c'entra e la politica nazionale potrebbe intervenire .
Potrebbe intervenire qualora le redini del governo vadano in mano ad una sinistra rinnovata che non cerchi il potere, ma il bene della nazione.
A che cosa sia dovuto non è facile essere d'accordo:
Il sociologo Revelli: "I politici se ne sono fregati del voto degli elettori e ora si lamentano? Chi può ancora credere in questi personaggi?"
Io direi anche che ormai anche i sindaci hanno poche leve a loro disposizione, l'Italia dipende da Bruxelle, i Comuni dipendono da Roma e allora i cittadini dovrebbero andare a votare per che cosa ?
Lasciamo che i sindaci decidano con l'ICI o con l'IMU ,tutto per i comuni allora sarebbe diverso.
Lo Stato invece ha un po' le mani legate da Bruxelles, ma la distribuzione della ricchezza prodotta potrebbe gestirla meglio. I costi delle province, della politica , delle controllate ecc...ecc...
i mega stipendi di burocrati e menagers, le mega e doppie pensioni , l'evasione,l'elusione, la criminalità organizzata, gli sprechi delle pubbliche amministrazioni ecc..ecc.. sono tutte cose dove Bruxelles non c'entra e la politica nazionale potrebbe intervenire .
Potrebbe intervenire qualora le redini del governo vadano in mano ad una sinistra rinnovata che non cerchi il potere, ma il bene della nazione.
Re: quo vadis PD ????
stefano menichini
( il post.it)
Contrordine, rimettiamo nei cassetti gli epitaffi per il Pd. Allo scadere del trimestre più nero del centrosinistra, inatteso si apre uno squarcio di luce.
Non bisogna farsi illusioni, né sulle ragioni né sulla durata di questa improvvisa primavera democratica. Diciamo però che gli elettori, votando o non votando, si sono espressi chiaramente: hanno deciso di concedere una prova d’appello al centrosinistra ferito; hanno riportato il centrodestra indietro rispetto all’ubriacatura della peraltro inesistente “rimonta berlusconiana”; infine – dato più evidente e incontrovertibile – hanno ritirato l’affidavit della rabbia e della protesta che era stato messo tutto nelle mani di Beppe Grillo.
Non sarebbe corretto trarre indicazioni nazionali da una tornata parziale di amministrative. Ma se in ballo c’è Roma, e se i risultati a partire dall’astensione hanno una costante su tutto il territorio nazionale, allora la lezione da trarre c’è tutta.
È evidente il riflusso dello tsunami grillino.
Non è però un ritorno all’antico. Pd e Pdl ristabiliscono fra di loro rapporti di forza tradizionali nelle amministrative (a favore del Pd), lo fanno però senza recuperare i milioni di voti perduti in febbraio. Semplicemente, l’elettorato deluso torna in stand-by. Nell’area di parcheggio. Lascia Grillo e i grillini ai loro scontrini fiscali e alle loro ossessioni sui complotti mediatici (ribadite anche ieri da De Vito); se e dove può fa una puntata rapida su altre proposte trasversali (Marchini); in generale si chiama fuori, rinnovando un giudizio negativo sulle proposte politiche e sullo stato della democrazia in Italia.
Dovunque, dal Nord al Sud e soprattutto a Roma, il centrosinistra si ritrova meglio piazzato per giocarsi questa inattesa e forse immeritata chance di rinascita.
Come è potuto succedere? Non ci aspettavamo il contrario, dopo gli orrori delle elezioni per il Quirinale, l’adesione dolorosa al governo di larghe intese e la crisi di leadership del Pd?
C’è un merito che va riconosciuto ai candidati, che si confermano la vera forza del centrosinistra, e in particolare a Ignazio Marino. E poi c’è il fatto reciproco di quanto accadde a febbraio: allora M5S vinse più per demeriti altrui che per i meriti propri, oggi evidentemente succede la stessa cosa a ruoli invertiti.
In tutta Italia, al riparo dal condizionamento operato dalla polemica politica nazionale, torna a farsi valere il vantaggio competitivo di personalità quasi ovunque e quasi sempre di migliore qualità rispetto agli avversari. Si impone la legge dei municipi, del rapporto diretto con i cittadini, dove il valore individuale del candidato fa premio su tutto il resto.
Il risultato di Marino è francamente sorprendente. Per capirlo basta confrontare il suo abbondante 43 per cento con il 45,3 per cento che Nicola Zingaretti prese in città in febbraio: e stiamo parlando di un candidato molto più conosciuto, a lungo “coltivato” proprio come possibile sindaco, quando ancora doveva scatenarsi la furia degli orrori e degli errori del Pd.
Eguagliare il risultato di Zingaretti era oltre le aspettative. Si vede che ha funzionato quel presentarsi di Marino come un alieno rispetto alle dinamiche politiche romane. Tra l’altro, va a suo merito di aver sfidato e sconfitto la campagna ostile scatenatagli contro dal Messaggero di Caltagirone, il più grande giornale della capitale.
A proposito di aspettative, erano cresciute nelle ultime settimane quelle di Gianni Alemanno. Qui invece siamo a un brusco risveglio nella realtà. Il distacco subìto è enorme, a riprova di un giudizio pesantemente negativo di cinque anni che nessuno a Roma può ricordare se non con scherno o con fastidio.
I sondaggi della vigilia erano molto più positivi per il sindaco uscente. Sono stati smentiti dal mostruoso astensionismo, un record per Roma: vuol dire che il centrodestra viene ricacciato nella sua condizione pre-elezioni di febbraio, nell’abbandono di gran parte del suo elettorato tradizionale.
Con nessun candidato promosso ai ballottaggi, anche Cinquestelle viene malamente respinto, ridimensionato allo stato di formazione importante ma condannata all’opposizione, senza margini di vittoria, di manovra, di alleanza.
Questo della sconfitta di Grillo è un vero dato nazionale.
Vedremo se la delusione alle amministrative, al di là delle scuse accampate nelle prime ore che fanno molto vecchia politica, causerà nelle file di Cinquestelle le turbolenze che sono state più volte preannunciate dalla stampa che segue il movimento in parlamento, fino a ipotizzare scissioni o cose del genere. Quel che è certo è che M5S, proprio in quanto movimento, si regge soltanto se rimane continuamente in moto, e in avanti. La reazione allo stop sarà la vera prova di maturità, che però già corrisponde a una prova di sopravvivenza.
Quella che rimane al Pd e al centrosinistra è una prova d’appello, dopo la sua stagione più nera. Le profezie di sventura inevitabile sono state sventate. Il trionfalismo però sarebbe fuori luogo.
I voti decisivi non solo per vincere, ma per governare, rimangono tutti fuori dal perimetro delle conquiste odierne di Marino e dei suoi colleghi candidati. Sono tutti in quello stato, tornato gassoso, a metà tra astensione, grillismo e dispersione.
Possiamo dare per scontato che il governo Letta e gli equilibri politici nazionali saranno tenuti al riparo, sia dallo scontro per i ballottaggi che dalle polemiche locali.
Ciò non di meno, il tema per il Pd rimane lo stesso: la domanda di una cosa nuova nel paese c’è, è forte, e ha già consumato anche Cinquestelle. Si riapre uno spazio, evidentemente ben oltre il centrosinistra. Questo, non altri, sarà il tema del congresso.
( il post.it)
Contrordine, rimettiamo nei cassetti gli epitaffi per il Pd. Allo scadere del trimestre più nero del centrosinistra, inatteso si apre uno squarcio di luce.
Non bisogna farsi illusioni, né sulle ragioni né sulla durata di questa improvvisa primavera democratica. Diciamo però che gli elettori, votando o non votando, si sono espressi chiaramente: hanno deciso di concedere una prova d’appello al centrosinistra ferito; hanno riportato il centrodestra indietro rispetto all’ubriacatura della peraltro inesistente “rimonta berlusconiana”; infine – dato più evidente e incontrovertibile – hanno ritirato l’affidavit della rabbia e della protesta che era stato messo tutto nelle mani di Beppe Grillo.
Non sarebbe corretto trarre indicazioni nazionali da una tornata parziale di amministrative. Ma se in ballo c’è Roma, e se i risultati a partire dall’astensione hanno una costante su tutto il territorio nazionale, allora la lezione da trarre c’è tutta.
È evidente il riflusso dello tsunami grillino.
Non è però un ritorno all’antico. Pd e Pdl ristabiliscono fra di loro rapporti di forza tradizionali nelle amministrative (a favore del Pd), lo fanno però senza recuperare i milioni di voti perduti in febbraio. Semplicemente, l’elettorato deluso torna in stand-by. Nell’area di parcheggio. Lascia Grillo e i grillini ai loro scontrini fiscali e alle loro ossessioni sui complotti mediatici (ribadite anche ieri da De Vito); se e dove può fa una puntata rapida su altre proposte trasversali (Marchini); in generale si chiama fuori, rinnovando un giudizio negativo sulle proposte politiche e sullo stato della democrazia in Italia.
Dovunque, dal Nord al Sud e soprattutto a Roma, il centrosinistra si ritrova meglio piazzato per giocarsi questa inattesa e forse immeritata chance di rinascita.
Come è potuto succedere? Non ci aspettavamo il contrario, dopo gli orrori delle elezioni per il Quirinale, l’adesione dolorosa al governo di larghe intese e la crisi di leadership del Pd?
C’è un merito che va riconosciuto ai candidati, che si confermano la vera forza del centrosinistra, e in particolare a Ignazio Marino. E poi c’è il fatto reciproco di quanto accadde a febbraio: allora M5S vinse più per demeriti altrui che per i meriti propri, oggi evidentemente succede la stessa cosa a ruoli invertiti.
In tutta Italia, al riparo dal condizionamento operato dalla polemica politica nazionale, torna a farsi valere il vantaggio competitivo di personalità quasi ovunque e quasi sempre di migliore qualità rispetto agli avversari. Si impone la legge dei municipi, del rapporto diretto con i cittadini, dove il valore individuale del candidato fa premio su tutto il resto.
Il risultato di Marino è francamente sorprendente. Per capirlo basta confrontare il suo abbondante 43 per cento con il 45,3 per cento che Nicola Zingaretti prese in città in febbraio: e stiamo parlando di un candidato molto più conosciuto, a lungo “coltivato” proprio come possibile sindaco, quando ancora doveva scatenarsi la furia degli orrori e degli errori del Pd.
Eguagliare il risultato di Zingaretti era oltre le aspettative. Si vede che ha funzionato quel presentarsi di Marino come un alieno rispetto alle dinamiche politiche romane. Tra l’altro, va a suo merito di aver sfidato e sconfitto la campagna ostile scatenatagli contro dal Messaggero di Caltagirone, il più grande giornale della capitale.
A proposito di aspettative, erano cresciute nelle ultime settimane quelle di Gianni Alemanno. Qui invece siamo a un brusco risveglio nella realtà. Il distacco subìto è enorme, a riprova di un giudizio pesantemente negativo di cinque anni che nessuno a Roma può ricordare se non con scherno o con fastidio.
I sondaggi della vigilia erano molto più positivi per il sindaco uscente. Sono stati smentiti dal mostruoso astensionismo, un record per Roma: vuol dire che il centrodestra viene ricacciato nella sua condizione pre-elezioni di febbraio, nell’abbandono di gran parte del suo elettorato tradizionale.
Con nessun candidato promosso ai ballottaggi, anche Cinquestelle viene malamente respinto, ridimensionato allo stato di formazione importante ma condannata all’opposizione, senza margini di vittoria, di manovra, di alleanza.
Questo della sconfitta di Grillo è un vero dato nazionale.
Vedremo se la delusione alle amministrative, al di là delle scuse accampate nelle prime ore che fanno molto vecchia politica, causerà nelle file di Cinquestelle le turbolenze che sono state più volte preannunciate dalla stampa che segue il movimento in parlamento, fino a ipotizzare scissioni o cose del genere. Quel che è certo è che M5S, proprio in quanto movimento, si regge soltanto se rimane continuamente in moto, e in avanti. La reazione allo stop sarà la vera prova di maturità, che però già corrisponde a una prova di sopravvivenza.
Quella che rimane al Pd e al centrosinistra è una prova d’appello, dopo la sua stagione più nera. Le profezie di sventura inevitabile sono state sventate. Il trionfalismo però sarebbe fuori luogo.
I voti decisivi non solo per vincere, ma per governare, rimangono tutti fuori dal perimetro delle conquiste odierne di Marino e dei suoi colleghi candidati. Sono tutti in quello stato, tornato gassoso, a metà tra astensione, grillismo e dispersione.
Possiamo dare per scontato che il governo Letta e gli equilibri politici nazionali saranno tenuti al riparo, sia dallo scontro per i ballottaggi che dalle polemiche locali.
Ciò non di meno, il tema per il Pd rimane lo stesso: la domanda di una cosa nuova nel paese c’è, è forte, e ha già consumato anche Cinquestelle. Si riapre uno spazio, evidentemente ben oltre il centrosinistra. Questo, non altri, sarà il tema del congresso.
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Re: quo vadis PD ????
infatti.Amadeus ha scritto:
stefano menichini
I Ciò non di meno, il tema per il Pd rimane lo stesso: la domanda di una cosa nuova nel paese c’è, è forte, e ha già consumato anche Cinquestelle. Si riapre uno spazio, evidentemente ben oltre il centrosinistra. Questo, non altri, sarà il tema del congresso.
quello che Menichini non dice è che il PD per tornare ad essere credibile deve espellere quei 101 che hanno asfaltato Prodi.
e di quei 101 fa parte anche D'Alema...il suo editore di riferimento.
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Re: quo vadis PD ????
Il regalo che ci ha fatto Bersani è uno: è andato a vedere il bluff di Grillo.
Gli elettori ti votano per fare qualcosa, non per urlare vaffa e dire di no per tutto il tempo. Bersani ha dimostrato che Grillo vuole solo giocare allo sfascio e mandare in rovina milioni di persone solo per la sua smania di potere.
Ora sono rimasti quasi solo gli invasati , quelli che credono nel web, e nella democrazia liquida, sciolta e acquosa come la cacarella.
Bersani ci ha rimesso la carriera politica, ma ha fatto un immenso piacere all'Italia.
chapeau Pierluigi.
Gli elettori ti votano per fare qualcosa, non per urlare vaffa e dire di no per tutto il tempo. Bersani ha dimostrato che Grillo vuole solo giocare allo sfascio e mandare in rovina milioni di persone solo per la sua smania di potere.
Ora sono rimasti quasi solo gli invasati , quelli che credono nel web, e nella democrazia liquida, sciolta e acquosa come la cacarella.
Bersani ci ha rimesso la carriera politica, ma ha fatto un immenso piacere all'Italia.
chapeau Pierluigi.
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Re: quo vadis PD ????
Però l'astensione massiccia come la valutate?
Mi pare chiaro che sia rimasta a casa un sacco di gente che vota a destra, ma il caimano adesso è tornato di moda.
Non è strano?
Mi pare chiaro che sia rimasta a casa un sacco di gente che vota a destra, ma il caimano adesso è tornato di moda.
Non è strano?
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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Re: quo vadis PD ????
peanuts ha scritto:Però l'astensione massiccia come la valutate?
Mi pare chiaro che sia rimasta a casa un sacco di gente che vota a destra, ma il caimano adesso è tornato di moda.
Non è strano?
niente di strano.
alle amministrative c'è ormai un 25% di elettori che se ne sta a casa.
quasi tutti di destra.
però alle politiche a votare ci vanno...
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