quo vadis PD ????
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Re: quo vadis PD ????
Renzi alla direzione Pd con l'idea di correre per la segreteria.
Ogni volta che Matteo Renzi plana a Roma per partecipare ai lavori di un organismo del Pd, la cosa fa rumore. E’ per via della distanza che il sindaco di Roma ha sempre steso tra se stesso e il partito. Ma stavolta è diverso. Matteo arriva nella capitale direttamente dal summit sul lusso organizzato a Vienna dal Financial Times e in testa ha tutt’altre idee rispetto a quelle che lo guidarono al Nazareno il 6 marzo scorso, quando prese sì parte ai lavori della direzione nazionale del Pd ma se ne andò a metà riunione, lasciando tutti a bocca aperta a sparare polemiche. Stavolta c’è da scommettere che non se ne andrà. Perché quella ‘stramba’ idea di sparigliare anche rispetto a se stesso e correre per la segreteria del partito al congresso di fine anno (anticipata da Huffpost giovedì scorso) continua a ronzargli intorno e cresce. Tanto che tra i suoi già si parla di chi potrebbe candidarsi al suo posto alle comunali di Firenze l’anno prossimo
Tra i nemici Renzi non vorrebbe considerare Enrico Letta, al quale lo lega un buon rapporto da sempre. Ma i suoi non fanno mistero che la corsa di Matteo per la segreteria si staglierebbe quasi in automatico contro l’ex Popolare Dario Franceschini, ora ministro, “con un potere sovradimensionato nel partito”, accusano i renziani. Non che la cosa colga di sorpresa i franceschiniani. Del resto, frizioni forti tra le due aree – entrambe con radici nell’ex Margherita - ci sono state anche durante l’elezione dei presidenti delle Camere e per tutto il periodo post-voto. E così dalle parti del ministro un’eventuale discesa in campo di Renzi per la segreteria viene letta come “un atto di guerra” nei confronti del governo Letta, “staccherebbe la spina, lui non sarebbe un segretario di stabilizzazione…”, è il ragionamento, “allora tanto varrebbe rinviare il congresso per dare più fiato al governo…”.
Ogni volta che Matteo Renzi plana a Roma per partecipare ai lavori di un organismo del Pd, la cosa fa rumore. E’ per via della distanza che il sindaco di Roma ha sempre steso tra se stesso e il partito. Ma stavolta è diverso. Matteo arriva nella capitale direttamente dal summit sul lusso organizzato a Vienna dal Financial Times e in testa ha tutt’altre idee rispetto a quelle che lo guidarono al Nazareno il 6 marzo scorso, quando prese sì parte ai lavori della direzione nazionale del Pd ma se ne andò a metà riunione, lasciando tutti a bocca aperta a sparare polemiche. Stavolta c’è da scommettere che non se ne andrà. Perché quella ‘stramba’ idea di sparigliare anche rispetto a se stesso e correre per la segreteria del partito al congresso di fine anno (anticipata da Huffpost giovedì scorso) continua a ronzargli intorno e cresce. Tanto che tra i suoi già si parla di chi potrebbe candidarsi al suo posto alle comunali di Firenze l’anno prossimo
Tra i nemici Renzi non vorrebbe considerare Enrico Letta, al quale lo lega un buon rapporto da sempre. Ma i suoi non fanno mistero che la corsa di Matteo per la segreteria si staglierebbe quasi in automatico contro l’ex Popolare Dario Franceschini, ora ministro, “con un potere sovradimensionato nel partito”, accusano i renziani. Non che la cosa colga di sorpresa i franceschiniani. Del resto, frizioni forti tra le due aree – entrambe con radici nell’ex Margherita - ci sono state anche durante l’elezione dei presidenti delle Camere e per tutto il periodo post-voto. E così dalle parti del ministro un’eventuale discesa in campo di Renzi per la segreteria viene letta come “un atto di guerra” nei confronti del governo Letta, “staccherebbe la spina, lui non sarebbe un segretario di stabilizzazione…”, è il ragionamento, “allora tanto varrebbe rinviare il congresso per dare più fiato al governo…”.
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Re: quo vadis PD ????
Santa ingenuità
Se e quale nuova forma dare ai partiti, più in particolare a un partito di sinistra,
comunque lo si voglia chiamare quello che corrisponde ai miei convincimenti, discende
dal giudizio che diamo sul metodo di governo della cosa pubblica che può rinnovare e
rilanciare il paese.
FB
La prima osservazione da farsi in assoluto è che Fabrizio Barca, come suo padre, può essere definito senza ombra di dubbio alcuno “una persona per bene”.
Di quelle che in politica non trovi più da almeno 30 anni.
La seconda osservazione è che la sua ingenuità rasenta il donchisciottismo.
E’ fuor di dubbio che sia animato da una genuina e forte volontà di rinnovamento del Pd.
Una volontà che lo differenzia da tutti gli altri aderenti al Pd, soprattutto perché non ambisce al potere perché proviene da un’educazione in cui la presenza in politica ha solo il significato di “SERVIZIO”.
Servizio al partito da militante, servizio al Paese all’interno delle istituzioni.
Una visione che cozza nel profondo con i professionisti della politica di cui è circondato.
La riflessione che manca totalmente da 19 anni nella “sinistra” è :
“Un partito può vivere senza ideologia?”
La risposta è netta: NO.
Occhetto dopo la svolta della Bolognina, abbandona l’ideologia comunista, ma non ha nessuna intenzione di rinunciare all’ideologia di una nuova sinistra.
Poi verrà fatto fuori nel 1994.
Gli subentra D’Alema e il resto dei giovani leoni assetati di potere.
Nel 1996 il Pds aderisce all’Ulivo di Prodi.
L’Ulivo, piaccia o non piaccia è stato una nuova ideologia.
Sviluppare l’idealità della sinistra che andava dagli ex Pci agli ex democristiani di sinistra.
E’ un’idea che funziona da subito, perché nel 1996 l’Ulivo batte il campione della nuova destra a cui fanno capo tutti i poteri forti.
Batte Berlusconi che nel 1994 ha battuto Occhetto, perché i poteri forti non potevano accettare la sinistra al potere.
I poteri forti smanettano durante le elezioni, ma una volta eletta una coalizione non possono interferire direttamente sostenendo: “No a noi questi non piacciono perché sono contrari ai nostri interessi e quindi devono sloggiare”
Si comportano diversamente frapponendo mille ostacoli, rendendogli la vita difficile, aspettando l’occasione del primo passo falso affinché la coalizione cada.
Infatti l’occasione arriva nel 1998, quando Bertinotti ritira la fiducia nell’ottobre durante la finanziaria.
Gli subentra D’Alema con l’appoggio di Cossiga che gli porta a sostegno un partito di destra, l’Udeur.
A quel punto l’Ulivo muore, anche perché i tramesconi che non intendevano avere intorno Prodi, lo fanno nominare Presidente della Commissione Europea nel 1999.
Cossiga, per conto dei poteri forti voleva assicurarsi che tra il fondatore dell’Ulivo e la sua gente venisse interposta una distanza di migliaia e migliaia di chilometri.
L’alleanza dell’Ulivo prosegue fino al 2007, anno di fondazione del Pd.
Ma in realtà si è trattato di un’alleanza svuotata nei suoi contenuti perché a parte il breve intermezzo del secondo governo Prodi, è priva di contenuti e ideologia.
In tutti quegli anni, dal 1998 ad oggi, in assenza di ideologia è subentrata l’ideologia dell’affarismo, singolo o di gruppo.
I partiti sono diventati comitati d’affari.
Quindi diventa evidente che Barca sia intenzionato a combattere contro i mulini a vento, se intende combattere contro le cosche dei comitati d’affari proponendo tra l’altro un Pd di sinistra.
Non lo permetteranno mai.
Anche perché se Barca non da una scorsa alla linea politica degli ultimi 2 anni del Pd, fa un buco nell’acqua.
La diaspora democristiana è finita.
I democristiani intendono riunirsi per rifare la Dc.
Ad occuparsi dell’operazione se ne è incaricato Pierazzurro Casini, che aveva trovato l’intesa con D’Alema e i vertici del Pd.
Poi le urne hanno dato un responso avverso.
Ma gli ex Dc legati ai poteri forti non si sono persi d’animo e hanno intravisto una possibilità ancora più grande.
La Dc che si riunisce dalla sinistra alla destra.
Titola oggi un articolo di IFQ.
PD E PDL SONO UGUALI E NAPOLITANO DIRIGE.
E’ possibile che girando per l’Italia Barca trovi parecchi consensi personali, perché nel partito degli affari nessuno fa più queste operazioni.
E’ possibile che alla fine possa ottenere un buon consenso da parte della base.
Non pensi però che gli consentano di mettere a frutto il suo consenso
Se e quale nuova forma dare ai partiti, più in particolare a un partito di sinistra,
comunque lo si voglia chiamare quello che corrisponde ai miei convincimenti, discende
dal giudizio che diamo sul metodo di governo della cosa pubblica che può rinnovare e
rilanciare il paese.
FB
La prima osservazione da farsi in assoluto è che Fabrizio Barca, come suo padre, può essere definito senza ombra di dubbio alcuno “una persona per bene”.
Di quelle che in politica non trovi più da almeno 30 anni.
La seconda osservazione è che la sua ingenuità rasenta il donchisciottismo.
E’ fuor di dubbio che sia animato da una genuina e forte volontà di rinnovamento del Pd.
Una volontà che lo differenzia da tutti gli altri aderenti al Pd, soprattutto perché non ambisce al potere perché proviene da un’educazione in cui la presenza in politica ha solo il significato di “SERVIZIO”.
Servizio al partito da militante, servizio al Paese all’interno delle istituzioni.
Una visione che cozza nel profondo con i professionisti della politica di cui è circondato.
La riflessione che manca totalmente da 19 anni nella “sinistra” è :
“Un partito può vivere senza ideologia?”
La risposta è netta: NO.
Occhetto dopo la svolta della Bolognina, abbandona l’ideologia comunista, ma non ha nessuna intenzione di rinunciare all’ideologia di una nuova sinistra.
Poi verrà fatto fuori nel 1994.
Gli subentra D’Alema e il resto dei giovani leoni assetati di potere.
Nel 1996 il Pds aderisce all’Ulivo di Prodi.
L’Ulivo, piaccia o non piaccia è stato una nuova ideologia.
Sviluppare l’idealità della sinistra che andava dagli ex Pci agli ex democristiani di sinistra.
E’ un’idea che funziona da subito, perché nel 1996 l’Ulivo batte il campione della nuova destra a cui fanno capo tutti i poteri forti.
Batte Berlusconi che nel 1994 ha battuto Occhetto, perché i poteri forti non potevano accettare la sinistra al potere.
I poteri forti smanettano durante le elezioni, ma una volta eletta una coalizione non possono interferire direttamente sostenendo: “No a noi questi non piacciono perché sono contrari ai nostri interessi e quindi devono sloggiare”
Si comportano diversamente frapponendo mille ostacoli, rendendogli la vita difficile, aspettando l’occasione del primo passo falso affinché la coalizione cada.
Infatti l’occasione arriva nel 1998, quando Bertinotti ritira la fiducia nell’ottobre durante la finanziaria.
Gli subentra D’Alema con l’appoggio di Cossiga che gli porta a sostegno un partito di destra, l’Udeur.
A quel punto l’Ulivo muore, anche perché i tramesconi che non intendevano avere intorno Prodi, lo fanno nominare Presidente della Commissione Europea nel 1999.
Cossiga, per conto dei poteri forti voleva assicurarsi che tra il fondatore dell’Ulivo e la sua gente venisse interposta una distanza di migliaia e migliaia di chilometri.
L’alleanza dell’Ulivo prosegue fino al 2007, anno di fondazione del Pd.
Ma in realtà si è trattato di un’alleanza svuotata nei suoi contenuti perché a parte il breve intermezzo del secondo governo Prodi, è priva di contenuti e ideologia.
In tutti quegli anni, dal 1998 ad oggi, in assenza di ideologia è subentrata l’ideologia dell’affarismo, singolo o di gruppo.
I partiti sono diventati comitati d’affari.
Quindi diventa evidente che Barca sia intenzionato a combattere contro i mulini a vento, se intende combattere contro le cosche dei comitati d’affari proponendo tra l’altro un Pd di sinistra.
Non lo permetteranno mai.
Anche perché se Barca non da una scorsa alla linea politica degli ultimi 2 anni del Pd, fa un buco nell’acqua.
La diaspora democristiana è finita.
I democristiani intendono riunirsi per rifare la Dc.
Ad occuparsi dell’operazione se ne è incaricato Pierazzurro Casini, che aveva trovato l’intesa con D’Alema e i vertici del Pd.
Poi le urne hanno dato un responso avverso.
Ma gli ex Dc legati ai poteri forti non si sono persi d’animo e hanno intravisto una possibilità ancora più grande.
La Dc che si riunisce dalla sinistra alla destra.
Titola oggi un articolo di IFQ.
PD E PDL SONO UGUALI E NAPOLITANO DIRIGE.
E’ possibile che girando per l’Italia Barca trovi parecchi consensi personali, perché nel partito degli affari nessuno fa più queste operazioni.
E’ possibile che alla fine possa ottenere un buon consenso da parte della base.
Non pensi però che gli consentano di mettere a frutto il suo consenso
Re: quo vadis PD ????
piccoli dc crescono
Marco Follini lascia il Partito democratico. Repubblica intervista l’ex segretario dell’Udc che ha riconsegnato la tessera del Pd nel quale era entrato nel 2007, l’anno della nascita del partito. «La pax lettiana richiede che ogni forza politica approfondisca la sua identità e riannodi un legame più stretto con le proprie radici. In modo che la sinistra faccia la sinistra e il centro faccia il centro» spiega l’ex senatore dem che aggiunge: «Forse qualche volta mi è capitato di avere ragione prima del tempo». Il Pd è un «grande partito, al suo interno c’è forse la classe dirigente migliore di questo paese. – spiega Follini – Oggi però è bloccato da un’incertezza strategica e identitaria. Deve darsi un profilo più netto che non potrà che essere quello del socialismo europeo. È un profilo nobile, ma non è il mio».
L’approdo di Follini per ora è la fondazione “Nuovo millennio – Per una nuova Italia” di Pellegrino Capaldo, la cui prima iniziativa è stata l’anno scorso la presentazione di una proposta di legge sul finanziamento pubblico ai partiti. Ma chi è Pellegrino Capaldo? Banchiere, economista e politico cattolico italiano, negli anni Ottanta fu uno dei tre probiviri designati dalla Segreteria di Stato del Vaticano per dirimere la questione Banco Ambrosiano-Ior, poi divenne il primo presidente della Banca di Roma. Già esponente della Dc, nel 1998 appoggiò la nascita dell’Unione democratica per la repubblica (UDR) creata dall’ex capo dello stato Francesco Cossiga. Indagato per la vicenda Federconsorzi, fu assolto con formula piena.
( salvare o non salvare B , questo è il dilemma )
Marco Follini lascia il Partito democratico. Repubblica intervista l’ex segretario dell’Udc che ha riconsegnato la tessera del Pd nel quale era entrato nel 2007, l’anno della nascita del partito. «La pax lettiana richiede che ogni forza politica approfondisca la sua identità e riannodi un legame più stretto con le proprie radici. In modo che la sinistra faccia la sinistra e il centro faccia il centro» spiega l’ex senatore dem che aggiunge: «Forse qualche volta mi è capitato di avere ragione prima del tempo». Il Pd è un «grande partito, al suo interno c’è forse la classe dirigente migliore di questo paese. – spiega Follini – Oggi però è bloccato da un’incertezza strategica e identitaria. Deve darsi un profilo più netto che non potrà che essere quello del socialismo europeo. È un profilo nobile, ma non è il mio».
L’approdo di Follini per ora è la fondazione “Nuovo millennio – Per una nuova Italia” di Pellegrino Capaldo, la cui prima iniziativa è stata l’anno scorso la presentazione di una proposta di legge sul finanziamento pubblico ai partiti. Ma chi è Pellegrino Capaldo? Banchiere, economista e politico cattolico italiano, negli anni Ottanta fu uno dei tre probiviri designati dalla Segreteria di Stato del Vaticano per dirimere la questione Banco Ambrosiano-Ior, poi divenne il primo presidente della Banca di Roma. Già esponente della Dc, nel 1998 appoggiò la nascita dell’Unione democratica per la repubblica (UDR) creata dall’ex capo dello stato Francesco Cossiga. Indagato per la vicenda Federconsorzi, fu assolto con formula piena.
( salvare o non salvare B , questo è il dilemma )
Re: quo vadis PD ????
Gli va riconosciuto, comunque, di essere una persona corretta. Almeno non si è fatto prima eleggere.
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Re: quo vadis PD ????
A proposito di Barca
dal Blog di Civati
Che cosa succederà a Reggio Emilia?
Tra il 5 e il 7 luglio? Che mentre il Pd rinvia il proprio Congresso a data (ancora) da destinarsi, noi ci porteremo avanti con il lavoro.
Con Fabrizio Barca e Walter Tocci, venerdì 5. Con Renato Soru e la sua piattaforma democratica e digitale, sabato 6. Con i contributi politici di molti di voi, domenica 7. E tante altre cose che scoprirete strada facendo.
Nei prossimi giorni pubblicheremo ulteriori dettagli. Nel frattempo, come sempre, tenetevi liberi.
Virtualmente il Congresso partirà il 5 luglio ( in barba a Epifani che studia commissioni e percorsi e non fissa un calendario) , vedremo se la piattaforma democratica riuscirà a scalzare i professionisti vecchio stampo che hanno messo le radici nel PD e ridare nuovo ossigeno
al partito
dal Blog di Civati
Che cosa succederà a Reggio Emilia?
Tra il 5 e il 7 luglio? Che mentre il Pd rinvia il proprio Congresso a data (ancora) da destinarsi, noi ci porteremo avanti con il lavoro.
Con Fabrizio Barca e Walter Tocci, venerdì 5. Con Renato Soru e la sua piattaforma democratica e digitale, sabato 6. Con i contributi politici di molti di voi, domenica 7. E tante altre cose che scoprirete strada facendo.
Nei prossimi giorni pubblicheremo ulteriori dettagli. Nel frattempo, come sempre, tenetevi liberi.
Virtualmente il Congresso partirà il 5 luglio ( in barba a Epifani che studia commissioni e percorsi e non fissa un calendario) , vedremo se la piattaforma democratica riuscirà a scalzare i professionisti vecchio stampo che hanno messo le radici nel PD e ridare nuovo ossigeno
al partito
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Re: quo vadis PD ????
Gattopardi - 1
«Segretario e sindaco non sono incompatibili»
Diciamo che ha capito tutto.
In questo Paese non cambierà mai nulla.
O fai bene un mestiere, o fai bene un'altro, perché occorre dedicarsi a tempo pieno.
Farlo comprendere a questo piccolo Superman che trova tutto facile come quando viveva su Kripton non è cosa semplice.
*****
Renzi pronto a correre per la guida del Pd
«Segretario e sindaco non sono incompatibili»
«Sono stanco di passare per il monello in cerca di un posto. Il pranzo con Briatore? No a questo moralismo senza morale»
BRESCIA - Matteo Renzi fatica a camminare tra la stazione e la metropolitana di Brescia, tutti tentano di fermarlo, qualcuno ha scritto a mano su foglietti di carta: «Renzi segretario». «È così dappertutto. Sono stato in posti dove non è andato nessuno: prima in Friuli per la Serracchiani, poi a Treviso, Vicenza, San Donà di Piave, Villafranca.
Visti i risultati dei nostri candidati sindaci, mi sono convinto che il Pd può vincere ovunque, anche in Veneto, anche qui in Lombardia. La nostra gente ci chiede soprattutto questo: stavolta fateci vincere davvero.
Perché noi non abbiamo mai davvero vinto: nel '96 facemmo la desistenza che provocò poi la caduta di Prodi; nel 2006 arrivammo primi con 24 mila voti mettendo insieme Turigliatto e Mastella, Luxuria e Lamberto Dini; stavolta abbiamo mancato un gol a porta vuota. Noi dobbiamo dare una risposta alla nostra gente, agli emiliani che sono stati i primi a dire no a Marini, ai bersaniani che in queste ore mi chiedono: Matteo ora basta, ci stai o no?».
Appunto: ci sta o no? Si candiderà alle primarie per la segreteria del Pd?
«Dipende dal Pd, non da me. Se riusciamo a uscire dalla palude, a imporre i nostri temi, la nostra gente capirà il governo con il Pdl. Se tiriamo a campare, se ci facciamo dettare l'agenda da Berlusconi, se non riusciamo a fare le riforme, allora...».
Le pare che le riforme siano partite bene?
«La prima cosa dovrebbe essere la legge elettorale. Invece vedo che la si vuol mettere per ultima. È sbagliato. È l'idea che "il problema è ben un altro" che porta a non far niente. Se non si trova un accordo sul sistema elettorale, mi pare difficile che lo si trovi su tutta la riforma dello Stato».
La vedo scettico.
«Sento che si parla di saggi, di commissioni. Ma non occorre un saggio per dire ad esempio che la burocrazia italiana è da rifare; te lo dice anche uno scemo. Quando la politica non vuole risolvere le cose, fa una commissione. Invece bisognerebbe chiudersi in una stanza e decidere».
Quindi lei è a un passo dalla candidatura.
«Io mi sono stancato di passare per il monello in cerca di un posto, il ragazzo tarantolato con la passione del potere. Sono l'unico che non si è seduto su nessuna poltrona ed è rimasto dov'era prima. Se c'è bisogno di me, me lo diranno i sindaci, i militanti. Persone che stimo molto, mi consigliavano di non farlo; ora però si vanno convincendo anche loro. Di sicuro, se succede, non sarà come l'altra volta una campagna improvvisata, per quanto bella. C'è bisogno di una squadra ben definita».
A quali nomi pensa?
«I migliori in ogni campo: energia, scuola, innovazione tecnologica. Di solito ai politici interessa il loro futuro personale. Io non ho ancora le idee chiare sul mio futuro, ma le ho chiarissime sul Pd e sull'Italia. Noi tra dieci anni possiamo essere la locomotiva d'Europa. Ma dobbiamo cambiare. Dobbiamo aiutare gli imprenditori invece di ostacolarli. Dobbiamo abbassare il costo dell'energia. Dobbiamo avere il coraggio di dire al Sulcis che non ha senso andare avanti con il carbone di Mussolini pagato dallo Stato».
Perché non può farle il governo Letta queste cose?
«Io spero che Letta abbia successo. Lo stimo, abbiamo un bel rapporto. Apprezzo il suo equilibrio; mi convincerà meno se cercherà l'equilibrismo. Non so fino a quando potremo governare con Schifani e Brunetta, i loro capigruppo. Il governo dura se fa le cose. È come andare in bicicletta: se non pedali, cadi. Io posso anche uscire a cena con gente che non sopporto, ma solo se il cibo è buono, la conversazione decolla e dopo si va a vedere un bel film. Se invece si resta in silenzio, meglio alzarsi e andarsene».
A leggere il suo libro, sembra quasi che le abbiano fatto intravedere Palazzo Chigi mentre c'era già un accordo alle sue spalle...
«Non credo sia così. La verità è che non era il mio turno. A Palazzo Chigi io andrei per smontare tutto e ricostruire daccapo: il fisco, la burocrazia. Per fare questo occorre un mandato forte. Letta dice che ci vuole il cacciavite. Io userei il trapano».
Non crede che se lei fosse eletto segretario il governo rischierebbe di cadere in pochi mesi, come Prodi quando divenne segretario Veltroni?
«Il rischio c'è. Anche più grave di quello del 2007: allora c'era un governo di centrosinistra, questo è un governo che vede sinistra e destra insieme. Ma sarebbe ancora peggio vivacchiare senza risolvere nulla, perdere un altro giro».
Dovrà scegliere tra segretario del Pd e sindaco di Firenze?
«Il problema non si pone, almeno non si pone adesso. Non c'è incompatibilità. Avere una funzione nazionale sinora ha aiutato a fare meglio il sindaco, ad esempio a trovare i fondi per salvare il Maggio fiorentino. Ora poi l'Europa finanzierà direttamente i Comuni e non solo le Regioni. Con la riforma del titolo V della Costituzione abbiamo fatto un grosso errore: alla burocrazia statale si è aggiunta la burocrazia regionale».
Berlusconi chiede il presidenzialismo, lei frena. Ma non era presidenzialista pure lei? «Non ho in mente una soluzione piuttosto di un'altra. Si può pensare all'elezione diretta del premier, che rafforza il governo, o del presidente della Repubblica, che però a questo punto non potrebbe più essere una figura di garanzia, dovrebbe essere un capo. L'importante è che ci sia qualcuno che si assuma la responsabilità, a cui dire grazie se ha successo o dare la colpa se fallisce».
Ma lei si vedrebbe al Quirinale?
«Le ho già detto che la mia preoccupazione non è il mio futuro politico. Ho 38 anni. Sa quali sono le due cose che mi danno più fastidio?».
Dica.
«La prima è quando mi descrivono roso dall'invidia, come se il mio treno fosse passato. Quando attribuiscono a me trame contro Letta, tipo la mozione di Giachetti per il ritorno ai collegi uninominali. Ora, se c'è uno che ha diritto di parlare di legge elettorale è Giachetti, ha fatto pure lo sciopero della fame, io non lo farei neppure se mi pagassero, ma rispetto le battaglie dei radicali. Nel merito sono d'accordo con lui; ma non ne sapevo nulla. Paradossalmente, sono proprio gli ex democristiani a dipingermi come un piantagrane. Tentano di logorarmi».
E la seconda?
«Quando mi dicono che non sono di sinistra. A me, il primo sindaco ad aver fatto un piano a volumi zero che ferma la cementificazione, con l'obbligo di aprire un giardino a dieci minuti di passeggiata da ogni casa, con le chiavi affidate alle mamme. Ora ho pedonalizzato un'altra parte del centro, dietro Palazzo Vecchio. Ma di questo non parla nessuno. Si parla solo del pranzo con Briatore».
Anche lei, però...
«Mi hanno dipinto come un'olgettina perché sono andato ad Arcore da Berlusconi, e ora con Berlusconi hanno fatto un governo. Mi hanno attaccato perché sono andato dalla De Filippi; dopo di me sono andati don Ciotti e Gino Strada e nessuno ha detto niente. Mi prendono in giro per il giubbotto di pelle, e non sanno che la pelletteria è un settore che tira, in dieci anni ha raddoppiato l'export. Ora mi attaccano perché ho incontrato Briatore. Io non la penso come lui. L'imprenditore cuneese con cui sono più in sintonia è Oscar Farinetti. Però sono curioso. Non voglio chiudermi nel mio steccato. Penso di poter imparare qualcosa da qualsiasi persona; a maggior ragione se è diversa da me, se ha avuto successo in quello che ha fatto, nello sport e nel lusso, se crea posti di lavoro».
Con il Billionaire?
«Non vado al Billionaire, non ho il fisico. Ma questo moralismo senza morale lo trovo insopportabile, questa saccenteria, questa pretesa di superiorità etica è la maledizione della sinistra. Per me la politica è una prateria, non una riserva indiana. Tra poco faccio il comizio. Sa qual è il passaggio su cui prenderò più applausi? Quando dirò che bisogna andare a cercare i voti della destra. Berlusconi vinse nel '94 con il milione di posti di lavoro e il nuovo miracolo italiano, nel 2001 con "meno tasse per tutti", e noi ironizzammo su questo. Fu un errore. Il Paese ha bisogno di speranza, sogni, fiducia. Berlusconi ha illuso gli italiani. Poi è seguita la disillusione. Ora è il tempo delle decisioni».
Lei ha preso l'abitudine di vedere pure D'Alema.
«Ma quale abitudine! Solo perché adesso ci parliamo... Ammiro il suo humour. Alla direzione Pd è andato da Matteo Orfini e gli ha detto: "Vedo che finalmente ci sono giovani turchi che fanno qualcosa di interessante. Peccato che siano a Istanbul».
Con D'Alema avete un patto?
«No. Con D'Alema è interessante discutere. Come con Veltroni. Io non rinnego la battaglia per la rottamazione. La rifarei; anche se rinunciare a D'Alema e tenersi Fioroni non è stato un affare. Però un partito ha bisogno di molte intelligenze e voglio ripartire dalle giovani leve, anche chi ha votato per Bersani. Voglio un partito vivo, in cui vengo fatto fuori e faccio fuori, ma in modo aperto, trasparente. Non chiedo fedeltà.
Chiedo lealtà».
Non ha paura, da segretario di partito, di non avere più l'appeal sull'opinione pubblica che ha ora? Di non essere più Renzi?
«Io funziono solo se sono Renzi. Non sarò mai la copia di un funzionario di partito. La questione è un'altra: rimettere l'Italia in gioco, recuperare un pensiero lungo, passare dal Paese del piagnisteo al Paese dell'opportunità».
Il decreto sull'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti la convince?
«Ho fatto voto di non parlare male del governo; quindi taccio».
Non può cavarsela così.
«Mi pare la logica dell'"adelante con juicio". Si poteva avere più coraggio. Spero che il Parlamento lo migliori. E che venga abolito il Senato, trasformandolo in camera delle autonomie: 315 parlamentari in meno significano meno costi e più efficienza. Ma l'importante oggi non è dire; è fare. Subito. Non le sembra che a Roma abbiano già perso troppo tempo?».
Aldo Cazzullo
6 giugno 2013 | 10:02
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/13_giug ... 4866.shtml
«Segretario e sindaco non sono incompatibili»
Diciamo che ha capito tutto.
In questo Paese non cambierà mai nulla.
O fai bene un mestiere, o fai bene un'altro, perché occorre dedicarsi a tempo pieno.
Farlo comprendere a questo piccolo Superman che trova tutto facile come quando viveva su Kripton non è cosa semplice.
*****
Renzi pronto a correre per la guida del Pd
«Segretario e sindaco non sono incompatibili»
«Sono stanco di passare per il monello in cerca di un posto. Il pranzo con Briatore? No a questo moralismo senza morale»
BRESCIA - Matteo Renzi fatica a camminare tra la stazione e la metropolitana di Brescia, tutti tentano di fermarlo, qualcuno ha scritto a mano su foglietti di carta: «Renzi segretario». «È così dappertutto. Sono stato in posti dove non è andato nessuno: prima in Friuli per la Serracchiani, poi a Treviso, Vicenza, San Donà di Piave, Villafranca.
Visti i risultati dei nostri candidati sindaci, mi sono convinto che il Pd può vincere ovunque, anche in Veneto, anche qui in Lombardia. La nostra gente ci chiede soprattutto questo: stavolta fateci vincere davvero.
Perché noi non abbiamo mai davvero vinto: nel '96 facemmo la desistenza che provocò poi la caduta di Prodi; nel 2006 arrivammo primi con 24 mila voti mettendo insieme Turigliatto e Mastella, Luxuria e Lamberto Dini; stavolta abbiamo mancato un gol a porta vuota. Noi dobbiamo dare una risposta alla nostra gente, agli emiliani che sono stati i primi a dire no a Marini, ai bersaniani che in queste ore mi chiedono: Matteo ora basta, ci stai o no?».
Appunto: ci sta o no? Si candiderà alle primarie per la segreteria del Pd?
«Dipende dal Pd, non da me. Se riusciamo a uscire dalla palude, a imporre i nostri temi, la nostra gente capirà il governo con il Pdl. Se tiriamo a campare, se ci facciamo dettare l'agenda da Berlusconi, se non riusciamo a fare le riforme, allora...».
Le pare che le riforme siano partite bene?
«La prima cosa dovrebbe essere la legge elettorale. Invece vedo che la si vuol mettere per ultima. È sbagliato. È l'idea che "il problema è ben un altro" che porta a non far niente. Se non si trova un accordo sul sistema elettorale, mi pare difficile che lo si trovi su tutta la riforma dello Stato».
La vedo scettico.
«Sento che si parla di saggi, di commissioni. Ma non occorre un saggio per dire ad esempio che la burocrazia italiana è da rifare; te lo dice anche uno scemo. Quando la politica non vuole risolvere le cose, fa una commissione. Invece bisognerebbe chiudersi in una stanza e decidere».
Quindi lei è a un passo dalla candidatura.
«Io mi sono stancato di passare per il monello in cerca di un posto, il ragazzo tarantolato con la passione del potere. Sono l'unico che non si è seduto su nessuna poltrona ed è rimasto dov'era prima. Se c'è bisogno di me, me lo diranno i sindaci, i militanti. Persone che stimo molto, mi consigliavano di non farlo; ora però si vanno convincendo anche loro. Di sicuro, se succede, non sarà come l'altra volta una campagna improvvisata, per quanto bella. C'è bisogno di una squadra ben definita».
A quali nomi pensa?
«I migliori in ogni campo: energia, scuola, innovazione tecnologica. Di solito ai politici interessa il loro futuro personale. Io non ho ancora le idee chiare sul mio futuro, ma le ho chiarissime sul Pd e sull'Italia. Noi tra dieci anni possiamo essere la locomotiva d'Europa. Ma dobbiamo cambiare. Dobbiamo aiutare gli imprenditori invece di ostacolarli. Dobbiamo abbassare il costo dell'energia. Dobbiamo avere il coraggio di dire al Sulcis che non ha senso andare avanti con il carbone di Mussolini pagato dallo Stato».
Perché non può farle il governo Letta queste cose?
«Io spero che Letta abbia successo. Lo stimo, abbiamo un bel rapporto. Apprezzo il suo equilibrio; mi convincerà meno se cercherà l'equilibrismo. Non so fino a quando potremo governare con Schifani e Brunetta, i loro capigruppo. Il governo dura se fa le cose. È come andare in bicicletta: se non pedali, cadi. Io posso anche uscire a cena con gente che non sopporto, ma solo se il cibo è buono, la conversazione decolla e dopo si va a vedere un bel film. Se invece si resta in silenzio, meglio alzarsi e andarsene».
A leggere il suo libro, sembra quasi che le abbiano fatto intravedere Palazzo Chigi mentre c'era già un accordo alle sue spalle...
«Non credo sia così. La verità è che non era il mio turno. A Palazzo Chigi io andrei per smontare tutto e ricostruire daccapo: il fisco, la burocrazia. Per fare questo occorre un mandato forte. Letta dice che ci vuole il cacciavite. Io userei il trapano».
Non crede che se lei fosse eletto segretario il governo rischierebbe di cadere in pochi mesi, come Prodi quando divenne segretario Veltroni?
«Il rischio c'è. Anche più grave di quello del 2007: allora c'era un governo di centrosinistra, questo è un governo che vede sinistra e destra insieme. Ma sarebbe ancora peggio vivacchiare senza risolvere nulla, perdere un altro giro».
Dovrà scegliere tra segretario del Pd e sindaco di Firenze?
«Il problema non si pone, almeno non si pone adesso. Non c'è incompatibilità. Avere una funzione nazionale sinora ha aiutato a fare meglio il sindaco, ad esempio a trovare i fondi per salvare il Maggio fiorentino. Ora poi l'Europa finanzierà direttamente i Comuni e non solo le Regioni. Con la riforma del titolo V della Costituzione abbiamo fatto un grosso errore: alla burocrazia statale si è aggiunta la burocrazia regionale».
Berlusconi chiede il presidenzialismo, lei frena. Ma non era presidenzialista pure lei? «Non ho in mente una soluzione piuttosto di un'altra. Si può pensare all'elezione diretta del premier, che rafforza il governo, o del presidente della Repubblica, che però a questo punto non potrebbe più essere una figura di garanzia, dovrebbe essere un capo. L'importante è che ci sia qualcuno che si assuma la responsabilità, a cui dire grazie se ha successo o dare la colpa se fallisce».
Ma lei si vedrebbe al Quirinale?
«Le ho già detto che la mia preoccupazione non è il mio futuro politico. Ho 38 anni. Sa quali sono le due cose che mi danno più fastidio?».
Dica.
«La prima è quando mi descrivono roso dall'invidia, come se il mio treno fosse passato. Quando attribuiscono a me trame contro Letta, tipo la mozione di Giachetti per il ritorno ai collegi uninominali. Ora, se c'è uno che ha diritto di parlare di legge elettorale è Giachetti, ha fatto pure lo sciopero della fame, io non lo farei neppure se mi pagassero, ma rispetto le battaglie dei radicali. Nel merito sono d'accordo con lui; ma non ne sapevo nulla. Paradossalmente, sono proprio gli ex democristiani a dipingermi come un piantagrane. Tentano di logorarmi».
E la seconda?
«Quando mi dicono che non sono di sinistra. A me, il primo sindaco ad aver fatto un piano a volumi zero che ferma la cementificazione, con l'obbligo di aprire un giardino a dieci minuti di passeggiata da ogni casa, con le chiavi affidate alle mamme. Ora ho pedonalizzato un'altra parte del centro, dietro Palazzo Vecchio. Ma di questo non parla nessuno. Si parla solo del pranzo con Briatore».
Anche lei, però...
«Mi hanno dipinto come un'olgettina perché sono andato ad Arcore da Berlusconi, e ora con Berlusconi hanno fatto un governo. Mi hanno attaccato perché sono andato dalla De Filippi; dopo di me sono andati don Ciotti e Gino Strada e nessuno ha detto niente. Mi prendono in giro per il giubbotto di pelle, e non sanno che la pelletteria è un settore che tira, in dieci anni ha raddoppiato l'export. Ora mi attaccano perché ho incontrato Briatore. Io non la penso come lui. L'imprenditore cuneese con cui sono più in sintonia è Oscar Farinetti. Però sono curioso. Non voglio chiudermi nel mio steccato. Penso di poter imparare qualcosa da qualsiasi persona; a maggior ragione se è diversa da me, se ha avuto successo in quello che ha fatto, nello sport e nel lusso, se crea posti di lavoro».
Con il Billionaire?
«Non vado al Billionaire, non ho il fisico. Ma questo moralismo senza morale lo trovo insopportabile, questa saccenteria, questa pretesa di superiorità etica è la maledizione della sinistra. Per me la politica è una prateria, non una riserva indiana. Tra poco faccio il comizio. Sa qual è il passaggio su cui prenderò più applausi? Quando dirò che bisogna andare a cercare i voti della destra. Berlusconi vinse nel '94 con il milione di posti di lavoro e il nuovo miracolo italiano, nel 2001 con "meno tasse per tutti", e noi ironizzammo su questo. Fu un errore. Il Paese ha bisogno di speranza, sogni, fiducia. Berlusconi ha illuso gli italiani. Poi è seguita la disillusione. Ora è il tempo delle decisioni».
Lei ha preso l'abitudine di vedere pure D'Alema.
«Ma quale abitudine! Solo perché adesso ci parliamo... Ammiro il suo humour. Alla direzione Pd è andato da Matteo Orfini e gli ha detto: "Vedo che finalmente ci sono giovani turchi che fanno qualcosa di interessante. Peccato che siano a Istanbul».
Con D'Alema avete un patto?
«No. Con D'Alema è interessante discutere. Come con Veltroni. Io non rinnego la battaglia per la rottamazione. La rifarei; anche se rinunciare a D'Alema e tenersi Fioroni non è stato un affare. Però un partito ha bisogno di molte intelligenze e voglio ripartire dalle giovani leve, anche chi ha votato per Bersani. Voglio un partito vivo, in cui vengo fatto fuori e faccio fuori, ma in modo aperto, trasparente. Non chiedo fedeltà.
Chiedo lealtà».
Non ha paura, da segretario di partito, di non avere più l'appeal sull'opinione pubblica che ha ora? Di non essere più Renzi?
«Io funziono solo se sono Renzi. Non sarò mai la copia di un funzionario di partito. La questione è un'altra: rimettere l'Italia in gioco, recuperare un pensiero lungo, passare dal Paese del piagnisteo al Paese dell'opportunità».
Il decreto sull'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti la convince?
«Ho fatto voto di non parlare male del governo; quindi taccio».
Non può cavarsela così.
«Mi pare la logica dell'"adelante con juicio". Si poteva avere più coraggio. Spero che il Parlamento lo migliori. E che venga abolito il Senato, trasformandolo in camera delle autonomie: 315 parlamentari in meno significano meno costi e più efficienza. Ma l'importante oggi non è dire; è fare. Subito. Non le sembra che a Roma abbiano già perso troppo tempo?».
Aldo Cazzullo
6 giugno 2013 | 10:02
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http://www.corriere.it/politica/13_giug ... 4866.shtml
Re: quo vadis PD ????
Sono stato in posti dove non è andato nessuno: prima in Friuli per la Serracchiani, poi a Treviso, Vicenza, San Donà di Piave, Villafranca. Visti i risultati dei nostri candidati sindaci, mi sono convinto che il Pd può vincere ovunque, anche in Veneto, anche qui in Lombardia. La nostra gente ci chiede soprattutto questo: stavolta fateci vincere davvero.
Perché noi non abbiamo mai davvero vinto: nel '96 facemmo la desistenza che provocò poi la caduta di Prodi; nel 2006 arrivammo primi con 24 mila voti mettendo insieme Turigliatto e Mastella, Luxuria e Lamberto Dini; stavolta abbiamo mancato un gol a porta vuota. Noi dobbiamo dare una risposta alla nostra gente, agli emiliani che sono stati i primi a dire no a Marini, ai bersaniani che in queste ore mi chiedono: Matteo ora basta, ci stai o no?
Se non si trova un accordo sul sistema elettorale, mi pare difficile che lo si trovi su tutta la riforma dello Stato.
Sento che si parla di saggi, di commissioni. Ma non occorre un saggio per dire ad esempio che la burocrazia italiana è da rifare; te lo dice anche uno scemo. Quando la politica non vuole risolvere le cose, fa una commissione. Invece bisognerebbe chiudersi in una stanza e decidere.
Noi tra dieci anni possiamo essere la locomotiva d'Europa. Ma dobbiamo cambiare. Dobbiamo aiutare gli imprenditori invece di ostacolarli. Dobbiamo abbassare il costo dell'energia. Dobbiamo avere il coraggio di dire al Sulcis che non ha senso andare avanti con il carbone di Mussolini pagato dallo Stato.
Con la riforma del titolo V della Costituzione abbiamo fatto un grosso errore: alla burocrazia statale si è aggiunta la burocrazia regionale.
se c'è uno che ha diritto di parlare di legge elettorale è Giachetti, ha fatto pure lo sciopero della fame, io non lo farei neppure se mi pagassero, ma rispetto le battaglie dei radicali. Nel merito sono d'accordo con lui; ma non ne sapevo nulla. Paradossalmente, sono proprio gli ex democristiani a dipingermi come un piantagrane.
A Palazzo Chigi io andrei per smontare tutto e ricostruire daccapo: il fisco, la burocrazia. Per fare questo occorre un mandato forte. Letta dice che ci vuole il cacciavite. Io userei il trapano
Quando mi dicono che non sono di sinistra. A me, il primo sindaco ad aver fatto un piano a volumi zero che ferma la cementificazione, con l'obbligo di aprire un giardino a dieci minuti di passeggiata da ogni casa, con le chiavi affidate alle mamme. Ora ho pedonalizzato un'altra parte del centro, dietro Palazzo Vecchio. Ma di questo non parla nessuno. Si parla solo del pranzo con Briatore.
Mi hanno attaccato perché sono andato dalla De Filippi; dopo di me sono andati don Ciotti e Gino Strada e nessuno ha detto niente.
Ma questo moralismo senza morale lo trovo insopportabile, questa saccenteria, questa pretesa di superiorità etica è la maledizione della sinistra.
Il Paese ha bisogno di speranza, sogni, fiducia. Berlusconi ha illuso gli italiani. Poi è seguita la disillusione. Ora è il tempo delle decisioni.
non rinnego la battaglia per la rottamazione. La rifarei; anche se rinunciare a D'Alema e tenersi Fioroni non è stato un affare. Però un partito ha bisogno di molte intelligenze e voglio ripartire dalle giovani leve, anche chi ha votato per Bersani. Voglio un partito vivo, in cui vengo fatto fuori e faccio fuori, ma in modo aperto, trasparente. Non chiedo fedeltà.
Chiedo lealtà.
Il decreto sull'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti la convince?
«Ho fatto voto di non parlare male del governo; quindi taccio». Mi pare la logica dell'"adelante con juicio".
Ditemi ciò che volete, ma a me questo ragazzo piace.
Almeno si distingue per il linguaggio, chiaro e diretto. Ben diverso dalle pallose analisi dei professori che sanno tutto e non concludono mai niente.
Perché noi non abbiamo mai davvero vinto: nel '96 facemmo la desistenza che provocò poi la caduta di Prodi; nel 2006 arrivammo primi con 24 mila voti mettendo insieme Turigliatto e Mastella, Luxuria e Lamberto Dini; stavolta abbiamo mancato un gol a porta vuota. Noi dobbiamo dare una risposta alla nostra gente, agli emiliani che sono stati i primi a dire no a Marini, ai bersaniani che in queste ore mi chiedono: Matteo ora basta, ci stai o no?
Se non si trova un accordo sul sistema elettorale, mi pare difficile che lo si trovi su tutta la riforma dello Stato.
Sento che si parla di saggi, di commissioni. Ma non occorre un saggio per dire ad esempio che la burocrazia italiana è da rifare; te lo dice anche uno scemo. Quando la politica non vuole risolvere le cose, fa una commissione. Invece bisognerebbe chiudersi in una stanza e decidere.
Noi tra dieci anni possiamo essere la locomotiva d'Europa. Ma dobbiamo cambiare. Dobbiamo aiutare gli imprenditori invece di ostacolarli. Dobbiamo abbassare il costo dell'energia. Dobbiamo avere il coraggio di dire al Sulcis che non ha senso andare avanti con il carbone di Mussolini pagato dallo Stato.
Con la riforma del titolo V della Costituzione abbiamo fatto un grosso errore: alla burocrazia statale si è aggiunta la burocrazia regionale.
se c'è uno che ha diritto di parlare di legge elettorale è Giachetti, ha fatto pure lo sciopero della fame, io non lo farei neppure se mi pagassero, ma rispetto le battaglie dei radicali. Nel merito sono d'accordo con lui; ma non ne sapevo nulla. Paradossalmente, sono proprio gli ex democristiani a dipingermi come un piantagrane.
A Palazzo Chigi io andrei per smontare tutto e ricostruire daccapo: il fisco, la burocrazia. Per fare questo occorre un mandato forte. Letta dice che ci vuole il cacciavite. Io userei il trapano
Quando mi dicono che non sono di sinistra. A me, il primo sindaco ad aver fatto un piano a volumi zero che ferma la cementificazione, con l'obbligo di aprire un giardino a dieci minuti di passeggiata da ogni casa, con le chiavi affidate alle mamme. Ora ho pedonalizzato un'altra parte del centro, dietro Palazzo Vecchio. Ma di questo non parla nessuno. Si parla solo del pranzo con Briatore.
Mi hanno attaccato perché sono andato dalla De Filippi; dopo di me sono andati don Ciotti e Gino Strada e nessuno ha detto niente.
Ma questo moralismo senza morale lo trovo insopportabile, questa saccenteria, questa pretesa di superiorità etica è la maledizione della sinistra.
Il Paese ha bisogno di speranza, sogni, fiducia. Berlusconi ha illuso gli italiani. Poi è seguita la disillusione. Ora è il tempo delle decisioni.
non rinnego la battaglia per la rottamazione. La rifarei; anche se rinunciare a D'Alema e tenersi Fioroni non è stato un affare. Però un partito ha bisogno di molte intelligenze e voglio ripartire dalle giovani leve, anche chi ha votato per Bersani. Voglio un partito vivo, in cui vengo fatto fuori e faccio fuori, ma in modo aperto, trasparente. Non chiedo fedeltà.
Chiedo lealtà.
Il decreto sull'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti la convince?
«Ho fatto voto di non parlare male del governo; quindi taccio». Mi pare la logica dell'"adelante con juicio".
Ditemi ciò che volete, ma a me questo ragazzo piace.
Almeno si distingue per il linguaggio, chiaro e diretto. Ben diverso dalle pallose analisi dei professori che sanno tutto e non concludono mai niente.
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- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: quo vadis PD ????
Ditemi ciò che volete, ma a me questo ragazzo piace.
Almeno si distingue per il linguaggio, chiaro e diretto. Ben diverso dalle pallose analisi dei professori che sanno tutto e non concludono mai niente.
mariok
***
Dicevano le stesse cose di Berlusconi 19 anni fa.
Rimane però il fatto di fondo che ognuno è libero di assecondare i propri gusti.
Almeno si distingue per il linguaggio, chiaro e diretto. Ben diverso dalle pallose analisi dei professori che sanno tutto e non concludono mai niente.
mariok
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Dicevano le stesse cose di Berlusconi 19 anni fa.
Rimane però il fatto di fondo che ognuno è libero di assecondare i propri gusti.
Re: quo vadis PD ????
Se vogliamo tentare di parlare seriamente, Renzi potrà non piacere, ci mancherebbe, ma l'accostamento a Berlusconi non sta in piedi.
I fatti concreti alla base di un gigantesco conflitto di interessi erano chiari sin dall'inizio e non è certamente questo il caso.
I fatti concreti alla base di un gigantesco conflitto di interessi erano chiari sin dall'inizio e non è certamente questo il caso.
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Re: quo vadis PD ????
Se vogliamo tentare di parlare seriamente, Renzi potrà non piacere, ci mancherebbe, ma l'accostamento a Berlusconi non sta in piedi.
I fatti concreti alla base di un gigantesco conflitto di interessi erano chiari sin dall'inizio e non è certamente questo il caso.
Ovviamente è completamente inutile ogni confronto che debba prendere in considerazione Berlusconi, le sue ricchezze, le sue proprietà, con quelle di Renzi.
Di conseguenza, anche il conflitto d’interessi di quelle dimensioni non è affatto proponibile.
Il problema non è che Renzi possa piacere o non possa piacere, il problema è la valutazione politica del personaggio Renzi.
Soprattutto, obbligatoriamente rapportato in una transizione politica di questo livello, che non ha precedenti nella storia repubblicana.
La storia repubblicana italiana annovera uno ed un solo presidente del Consiglio di prima grandezza, Alcide De Gasperi. Non ce ne è stato più uno di quel livello, anche se tutti hanno operato successivamente in tempi decisamente più favorevoli.
Questo lo affermo in tutta tranquillità da avversario politico.
L’intelligenza politica, la caparbietà, la modestia, l’onestà politica e morale (non si è appropriato di nulla dello Stato italiano, che non fosse il suo stipendio), ci hanno consentito di uscire dalle rovine della seconda guerra mondiale e ricostruire un Paese in parte raso al suolo nei suoi edifici, ma interamente raso al suolo nei suoi valori.
Personalmente mi dà soddisfazione sentire che la sinistra di queste parti, della ex Stalingrado d’Italia riconosca la grandezza di Alcide De Gasperi, un avversario politico. Per la cronaca mi è capitato ancora tre ore fa senza nessuna richiesta specifica sullo statista trentino.
Ma se non sei un grande, questi riconoscimenti non li avrai mai dai tuoi avversari politici.
De Gasperi rappresenta quindi un punto di riferimento politico italiano.
Per ricordare di che tempra fosse fatto basta ricordare l’incidente con il Vaticano (tratto da Wikipedia).
L'incidente diplomatico con il Vaticano [modifica]
Nel 1952, per il timore di un'affermazione in Italia delle posizioni marxiste, ilVaticano avallò per le elezioni amministrative del comune di Roma l'iniziativa di don Luigi Sturzo che prospettava un'ampia alleanza elettorale che coinvolgesse, oltre ai quattro partiti governativi anche il Movimento Sociale Italiano e il Partito Nazionale Monarchico.[14][15] La Santa Sede non avrebbe accettato che la "Città Eterna", in quanto sede della Cristianità, potesse essere amministrata da un sindaco comunista. De Gasperi si oppose nettamente a questa ipotesi per motivi morali e per il suo passato antifascista, e anche per sostenere la sua visione laica dello stato. Affermò con decisione:
« Se mi verrà imposto, dovrò chinare la testa, ma rinunzierò alla vita politica.[16] »
La coalizione con le destre non venne accettata ed egli seppe resistere sulle sue posizioni sino a quando Papa Pio XII – che aveva persino mandato da lui il famoso predicatore Riccardo Lombardi, nell'intento di persuaderlo[17] – si arrese di fronte all'impraticabilità della proposta.
L'incidente diplomatico con il Vaticano, d'altra parte, turbò profondamente l'animo di De Gasperi; ai suoi collaboratori scrisse:
« Proprio a me, un povero cattolico della Valsugana, è toccato dire di no al Papa.[?] »
Di lì a poco, nello stesso anno, Pio XII non ricevette in Vaticano De Gasperi in occasione del trentennale delle sue nozze con Francesca Romani.[15] De Gasperi ne fu molto amareggiato e rispose ufficialmente all'ambasciatore Mameli che gli aveva comunicato il rifiuto:
« Come cristiano accetto l'umiliazione, benché non sappia come giustificarla. Come Presidente del Consiglio italiano e Ministro degli Esteri, l'autorità e la dignità che rappresento e dalla quale non posso spogliarmi neanche nei rapporti privati, m'impongono di esprimere lo stupore per un gesto così eccezionale e di riservarmi di provocare dalla segreteria di Stato un chiarimento.[16] »
continua
I fatti concreti alla base di un gigantesco conflitto di interessi erano chiari sin dall'inizio e non è certamente questo il caso.
Ovviamente è completamente inutile ogni confronto che debba prendere in considerazione Berlusconi, le sue ricchezze, le sue proprietà, con quelle di Renzi.
Di conseguenza, anche il conflitto d’interessi di quelle dimensioni non è affatto proponibile.
Il problema non è che Renzi possa piacere o non possa piacere, il problema è la valutazione politica del personaggio Renzi.
Soprattutto, obbligatoriamente rapportato in una transizione politica di questo livello, che non ha precedenti nella storia repubblicana.
La storia repubblicana italiana annovera uno ed un solo presidente del Consiglio di prima grandezza, Alcide De Gasperi. Non ce ne è stato più uno di quel livello, anche se tutti hanno operato successivamente in tempi decisamente più favorevoli.
Questo lo affermo in tutta tranquillità da avversario politico.
L’intelligenza politica, la caparbietà, la modestia, l’onestà politica e morale (non si è appropriato di nulla dello Stato italiano, che non fosse il suo stipendio), ci hanno consentito di uscire dalle rovine della seconda guerra mondiale e ricostruire un Paese in parte raso al suolo nei suoi edifici, ma interamente raso al suolo nei suoi valori.
Personalmente mi dà soddisfazione sentire che la sinistra di queste parti, della ex Stalingrado d’Italia riconosca la grandezza di Alcide De Gasperi, un avversario politico. Per la cronaca mi è capitato ancora tre ore fa senza nessuna richiesta specifica sullo statista trentino.
Ma se non sei un grande, questi riconoscimenti non li avrai mai dai tuoi avversari politici.
De Gasperi rappresenta quindi un punto di riferimento politico italiano.
Per ricordare di che tempra fosse fatto basta ricordare l’incidente con il Vaticano (tratto da Wikipedia).
L'incidente diplomatico con il Vaticano [modifica]
Nel 1952, per il timore di un'affermazione in Italia delle posizioni marxiste, ilVaticano avallò per le elezioni amministrative del comune di Roma l'iniziativa di don Luigi Sturzo che prospettava un'ampia alleanza elettorale che coinvolgesse, oltre ai quattro partiti governativi anche il Movimento Sociale Italiano e il Partito Nazionale Monarchico.[14][15] La Santa Sede non avrebbe accettato che la "Città Eterna", in quanto sede della Cristianità, potesse essere amministrata da un sindaco comunista. De Gasperi si oppose nettamente a questa ipotesi per motivi morali e per il suo passato antifascista, e anche per sostenere la sua visione laica dello stato. Affermò con decisione:
« Se mi verrà imposto, dovrò chinare la testa, ma rinunzierò alla vita politica.[16] »
La coalizione con le destre non venne accettata ed egli seppe resistere sulle sue posizioni sino a quando Papa Pio XII – che aveva persino mandato da lui il famoso predicatore Riccardo Lombardi, nell'intento di persuaderlo[17] – si arrese di fronte all'impraticabilità della proposta.
L'incidente diplomatico con il Vaticano, d'altra parte, turbò profondamente l'animo di De Gasperi; ai suoi collaboratori scrisse:
« Proprio a me, un povero cattolico della Valsugana, è toccato dire di no al Papa.[?] »
Di lì a poco, nello stesso anno, Pio XII non ricevette in Vaticano De Gasperi in occasione del trentennale delle sue nozze con Francesca Romani.[15] De Gasperi ne fu molto amareggiato e rispose ufficialmente all'ambasciatore Mameli che gli aveva comunicato il rifiuto:
« Come cristiano accetto l'umiliazione, benché non sappia come giustificarla. Come Presidente del Consiglio italiano e Ministro degli Esteri, l'autorità e la dignità che rappresento e dalla quale non posso spogliarmi neanche nei rapporti privati, m'impongono di esprimere lo stupore per un gesto così eccezionale e di riservarmi di provocare dalla segreteria di Stato un chiarimento.[16] »
continua
Ultima modifica di camillobenso il 06/06/2013, 17:52, modificato 1 volta in totale.
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