Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
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Re: Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
Fra le varie cose il problema della disoccupazione rischia di non far vedere che anche chi lavora a tempo indeterminato non si trova bene per nulla, essendo il potere d'acquisto diminuito molto in questi ultimi 10 anni.
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Re: Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
Meglio tardi che mai che almeno dopo tre anni circa in Italia ci sia qualcuno che si accorga di cosa sta succedendo.
Ovviamente è la solita goccia nel mare, nessuno se ne accorge e tutto proseguirà come prima nell'indifferenza totale e generale.
Solo quando gli europei si accorgeranno del disastro cominceranno a tentare di reagire.
Ma allora sarà troppo tardi.
In questo gli europei assomigliano tanto agli abitanti dello stivalone.
Sembra di stare a Monaco nel ’38….
Incapacità di agire per il futuro. Rinuncia all’ideale unitario. Parole.
La classe dirigente europea dà uno spettacolo desolante.
Con qualche sussurro di orgoglio. Come quello di Hollande sull’Unità politica.
Un pessimo clima da anni Trenta del Novecento domina ormai da troppo tempo la scena europea.
Fortunatamente non incombono minacce di guerre sanguinose ma, come allora classi dirigenti imbelli e irresolute stanno offrendo uno spettacolo desolante di mediocrità politica.
Anziché esercitare un ruolo guida delle proprie opinioni pubbliche e di indirizzo verso obiettivi generali di bene comune, i leader di governo, appaiono sempre più accodati agli umori di pancia dei rispettivi elettorati nazionali.
Non mancano certo periodiche proclamazioni, anche solenni, di impegno e di fedeltà verso l’ideale dell’unità politica ed economica del continente: da ultimo vi si è cimentato con accenti alti e accorati iln presidente francese Francois Hollande.
Ma, almeno finora, si è trattato per lo più di vocalizzi senza seguito di azione politica davvero concreta e innovativa.
E’ come se il funesto e rinunciatario “spirito di Monaco” si fosse di nuovo impadronito delle cancellerie europee.
Alla gravità che assillano le società e le economie del continente – una crescente disoccupazione di massa provocata dalla caduta dell’attività produttiva – non si sanno dare risposte pronte, efficaci, lungimiranti.
Il confronto fra i sostenitori di una politica d’austerità e i fautori di una strategia di immediato rilancio della crescita ha assunto i toni astratti e feticistici di un incomprensibile conflitto di religioni.
Con l’increscioso risultato di non riuscire a compiere alcuna scelta che riesca a discostarsi dall’interpretazione più gretta e ortodossa delle regole fissate nei trattati concepiti e sottoscritti in un’epoca nella quale ci si illudeva che le sorti dell’Europa potessero essere soltanto meravigliose e progressive.
L’unione monetaria, in particolare, è scossa da contrasti e di interessi fra paesi più deboli e più forti ai quali l’economia dominante – quella tedesca – insiste da tempo nel voler applicare una terapia uguale per tutti.
Con un altro esito increscioso: quello di accrescere le difficoltà generali del sistema a moneta unica.
Tanto che ora il crollo della domanda interna indotto da una troppo rapida e brusca strategia del rigore nei paesi con i conti in disordine comincia a riflettersi sull’intera congiuntura continentale fino al punto di provocare una caduta delle esportazioni anche nelle economie più vitali, quella della Germania per prima
Da ultimo ci sono segnali che qualcosa possa mutare nelle rigide (e ottuse) posizioni assunte da Berlino, ma in concreto non si va oltre gli spostamenti millimetrici per lo più affidati ad aggiustamenti verbali nelle dichiarazioni.
Cosicché il quadro il quadro complessivo resta immutato con l’area più ricca del mondo che non riesce a darsi una politica comune all’altezza dei suoi problemi.
“Toujours en retard, d’un année, d’un armée, d’un idée.
Il celebre giudizio di Napoleone sull’Austria dipinge fedelmente l’attuale stato dell’Europa.
Dalla più lontana crisi della Grecia a quella recente di Cipro, un penoso ritardo dei tempi dell’intervento è stato la costante di una politica comunitaria sempre più indecisa a tutto fino a rendere sempre più costosa e pesante la terapia necessaria.
Quanto ai ritardi negli strumenti c’è una realtà sotto gli occhi di tutti : l’euro è una moneta senza Principe perché manca non solo di un governo sovrannazionale di riferimento ma perfino di una banca centrale in grado di esercitare tutti i poteri – a cominciare da stabilire la quantità di carta in circolazione – di cui ovviamente dispongono vuoi l’americana Fed, vuoi la Bank of Japan.
Ma il ritardo di gran lunga più grave ed allarmante riguarda l’appannamento dell’ideale unitario.
Uscita di scena la generazione che aveva vissuto sulla propria pelle le tragedie del Novecento, le ragioni storiche profonde della costruzione europea sembrano uscire dal cuore e dalla mente dei governanti attuali.
Su tutto prevale la spinta a gestire il presente senza guardare alle conseguenze future
Ahinoi, proprio come a Monaco nel ’38.
Ovviamente è la solita goccia nel mare, nessuno se ne accorge e tutto proseguirà come prima nell'indifferenza totale e generale.
Solo quando gli europei si accorgeranno del disastro cominceranno a tentare di reagire.
Ma allora sarà troppo tardi.
In questo gli europei assomigliano tanto agli abitanti dello stivalone.
Sembra di stare a Monaco nel ’38….
Incapacità di agire per il futuro. Rinuncia all’ideale unitario. Parole.
La classe dirigente europea dà uno spettacolo desolante.
Con qualche sussurro di orgoglio. Come quello di Hollande sull’Unità politica.
Un pessimo clima da anni Trenta del Novecento domina ormai da troppo tempo la scena europea.
Fortunatamente non incombono minacce di guerre sanguinose ma, come allora classi dirigenti imbelli e irresolute stanno offrendo uno spettacolo desolante di mediocrità politica.
Anziché esercitare un ruolo guida delle proprie opinioni pubbliche e di indirizzo verso obiettivi generali di bene comune, i leader di governo, appaiono sempre più accodati agli umori di pancia dei rispettivi elettorati nazionali.
Non mancano certo periodiche proclamazioni, anche solenni, di impegno e di fedeltà verso l’ideale dell’unità politica ed economica del continente: da ultimo vi si è cimentato con accenti alti e accorati iln presidente francese Francois Hollande.
Ma, almeno finora, si è trattato per lo più di vocalizzi senza seguito di azione politica davvero concreta e innovativa.
E’ come se il funesto e rinunciatario “spirito di Monaco” si fosse di nuovo impadronito delle cancellerie europee.
Alla gravità che assillano le società e le economie del continente – una crescente disoccupazione di massa provocata dalla caduta dell’attività produttiva – non si sanno dare risposte pronte, efficaci, lungimiranti.
Il confronto fra i sostenitori di una politica d’austerità e i fautori di una strategia di immediato rilancio della crescita ha assunto i toni astratti e feticistici di un incomprensibile conflitto di religioni.
Con l’increscioso risultato di non riuscire a compiere alcuna scelta che riesca a discostarsi dall’interpretazione più gretta e ortodossa delle regole fissate nei trattati concepiti e sottoscritti in un’epoca nella quale ci si illudeva che le sorti dell’Europa potessero essere soltanto meravigliose e progressive.
L’unione monetaria, in particolare, è scossa da contrasti e di interessi fra paesi più deboli e più forti ai quali l’economia dominante – quella tedesca – insiste da tempo nel voler applicare una terapia uguale per tutti.
Con un altro esito increscioso: quello di accrescere le difficoltà generali del sistema a moneta unica.
Tanto che ora il crollo della domanda interna indotto da una troppo rapida e brusca strategia del rigore nei paesi con i conti in disordine comincia a riflettersi sull’intera congiuntura continentale fino al punto di provocare una caduta delle esportazioni anche nelle economie più vitali, quella della Germania per prima
Da ultimo ci sono segnali che qualcosa possa mutare nelle rigide (e ottuse) posizioni assunte da Berlino, ma in concreto non si va oltre gli spostamenti millimetrici per lo più affidati ad aggiustamenti verbali nelle dichiarazioni.
Cosicché il quadro il quadro complessivo resta immutato con l’area più ricca del mondo che non riesce a darsi una politica comune all’altezza dei suoi problemi.
“Toujours en retard, d’un année, d’un armée, d’un idée.
Il celebre giudizio di Napoleone sull’Austria dipinge fedelmente l’attuale stato dell’Europa.
Dalla più lontana crisi della Grecia a quella recente di Cipro, un penoso ritardo dei tempi dell’intervento è stato la costante di una politica comunitaria sempre più indecisa a tutto fino a rendere sempre più costosa e pesante la terapia necessaria.
Quanto ai ritardi negli strumenti c’è una realtà sotto gli occhi di tutti : l’euro è una moneta senza Principe perché manca non solo di un governo sovrannazionale di riferimento ma perfino di una banca centrale in grado di esercitare tutti i poteri – a cominciare da stabilire la quantità di carta in circolazione – di cui ovviamente dispongono vuoi l’americana Fed, vuoi la Bank of Japan.
Ma il ritardo di gran lunga più grave ed allarmante riguarda l’appannamento dell’ideale unitario.
Uscita di scena la generazione che aveva vissuto sulla propria pelle le tragedie del Novecento, le ragioni storiche profonde della costruzione europea sembrano uscire dal cuore e dalla mente dei governanti attuali.
Su tutto prevale la spinta a gestire il presente senza guardare alle conseguenze future
Ahinoi, proprio come a Monaco nel ’38.
Re: Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
Il governo Letta raddoppia l’impegno per una politica europea a favore dell’occupazione, in particolare quella giovanile. Allo scopo di preparare il consiglio europeo del 27 e 28 giugno dedicato proprio al tema delle politiche del lavoro, il presidente del consiglio italiano ha convocato per il 14 giugno a Roma un vertice ministeriale a cui parteciperanno i ministri dell’economia e del lavoro di Italia, Francia, Germania e Spagna.
E’ quanto si legge in un comunicato di palazzo Chigi in cui si precisa che l’appuntamento, il primo nel suo genere, vuole costituire l’occasione per uno scambio di opinioni e un coordinamento in vista degli impegni internazionali in programma tra la fine del mese e l’inizio di luglio. Il vertice, che sarà aperto da una colazione di lavoro con il premier Letta, consentirà un confronto tra i ministri dei quattro principali paesi dell’eurozona in vista del Consiglio europeo, della riunione ministeriale di Berlino del 3 luglio e del G20 a Mosca in programma per la metà del prossimo mese.
Pressato da una disoccupazione a due cifre, il governo italiano punta a rafforzare il coordinamento tra politiche finanziarie e del lavoro, sia a livello nazionale che comunitario, al fine di combattere la disoccupazione soprattutto quella giovanile. Di qui il riconoscimento che un rapido miglioramento del mercato del lavoro sia condizione indispensabile per rilanciare la crescita dell’economia comunitaria proprio in un momento in cui i dati di Eurostat confermano una contrazione del Pil dell’eurozona nel primo trimestre di quest’anno pari allo 0,2% che diventa 0,5% in Italia, con un calo che su base annua si attesta rispettivamente all’1,1% e al 2,3%.
Il ministro del lavoro Enrico Giovannini ha sottolineato come sia la prima volta che i ministri del lavoro e delle finanze si siedono insieme per preparare un vertice europeo e il fatto che «lavorino insieme è un cambiamento culturale in termini di approccio». Insomma da oggi rigore e crescita, tenuta dei conti pubblici e occupazione, non sono più alternativi ma anzi vanno trattati insieme avendo come obiettivo quello di assicurare un futuro migliore all’Europa.
All’appuntamento di Roma con i ministri Enrico Giovannini e Fabrizio Saccomanni parteciperanno per la Francia Michel Sapin e Pierre Moscovici, per la Germania Ursula von der Layen e Wolfang Schaeuble, per la Spagna Luis de Guindos Jurado e Maria Fatima Baez Garcia.
E’ quanto si legge in un comunicato di palazzo Chigi in cui si precisa che l’appuntamento, il primo nel suo genere, vuole costituire l’occasione per uno scambio di opinioni e un coordinamento in vista degli impegni internazionali in programma tra la fine del mese e l’inizio di luglio. Il vertice, che sarà aperto da una colazione di lavoro con il premier Letta, consentirà un confronto tra i ministri dei quattro principali paesi dell’eurozona in vista del Consiglio europeo, della riunione ministeriale di Berlino del 3 luglio e del G20 a Mosca in programma per la metà del prossimo mese.
Pressato da una disoccupazione a due cifre, il governo italiano punta a rafforzare il coordinamento tra politiche finanziarie e del lavoro, sia a livello nazionale che comunitario, al fine di combattere la disoccupazione soprattutto quella giovanile. Di qui il riconoscimento che un rapido miglioramento del mercato del lavoro sia condizione indispensabile per rilanciare la crescita dell’economia comunitaria proprio in un momento in cui i dati di Eurostat confermano una contrazione del Pil dell’eurozona nel primo trimestre di quest’anno pari allo 0,2% che diventa 0,5% in Italia, con un calo che su base annua si attesta rispettivamente all’1,1% e al 2,3%.
Il ministro del lavoro Enrico Giovannini ha sottolineato come sia la prima volta che i ministri del lavoro e delle finanze si siedono insieme per preparare un vertice europeo e il fatto che «lavorino insieme è un cambiamento culturale in termini di approccio». Insomma da oggi rigore e crescita, tenuta dei conti pubblici e occupazione, non sono più alternativi ma anzi vanno trattati insieme avendo come obiettivo quello di assicurare un futuro migliore all’Europa.
All’appuntamento di Roma con i ministri Enrico Giovannini e Fabrizio Saccomanni parteciperanno per la Francia Michel Sapin e Pierre Moscovici, per la Germania Ursula von der Layen e Wolfang Schaeuble, per la Spagna Luis de Guindos Jurado e Maria Fatima Baez Garcia.
Re: Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
Ma vuoi vedere che questo è un buon governo?
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Re: Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
Si, come no
Voglio vedere che diranno letta e alfano su Cucchi e su Terni
Letta un caXXo di niente, probabilmente
alfano dirà di rispettare le decisioni dei giudici (HA HA HA HA) e il lavoro della polizia
Ma vi vedrò ai lavori socialmente utili, un giorno. Zozzoni
Voglio vedere che diranno letta e alfano su Cucchi e su Terni
Letta un caXXo di niente, probabilmente
alfano dirà di rispettare le decisioni dei giudici (HA HA HA HA) e il lavoro della polizia
Ma vi vedrò ai lavori socialmente utili, un giorno. Zozzoni
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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Re: Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
questo dazii arrivano con almeno 15 anni di ritardo, quando ormai l' europa brucia !!!
quanto alla reazione dei cinesi ....le auto tedesche e i vini francesi vengono acquistati dai cinesi miliardari i quali pagheranno i daziii senza alcun problema.
mentre noi europei abbiamo impiegato 10 anni per i dazii nel settore ceramico e ancora non abbiamo i dazii nel settore tessile.
contro lo sfruttamento dei fanciulli e degli adulti il dumping sociale i dazii erano fondamentali
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Dazi sul vino, rappresaglia cinese contro l’Europa
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Tasse in vista sul vino europeo contro i dazi sul fotovoltaico cinese. Pechino ha annunciato oggi la sua rappresaglia dopo che ieri la Commissione europea ha deciso all’unanimità di imporre dazi provvisori sui pannelli solari importati dalla Cina. Parlare di protezionismo a Bruxelles è però vietato. Secondo l’Ue si tratta infatti esclusivamente di “contrastare il dumping di questi prodotti sul mercato europeo”, come ha spiegato il Commissario al commercio, Karel De Gucht.
La mossa della Commissione è arrivata nonostante l’avversità della maggioranza degli stati membri (Germania su tutti) e malgrado le fortissime pressioni di Pechino su diversi governi Ue. La probabile ritorsione sul vino non è casuale, ma punta a punire Francia e Italia, le due maggiori nazioni del fronte favorevole ai dazi, anche se per ora si tratta solo dell’avvio di un’indagine anti-dumping e anti-sussidi.
“Abbiamo notato – ha spiegato il ministero cinese del Commercio annunciando l’apertura del procedimento – il rapido aumento nelle importazioni di vino dall’Ue negli ultimi anni e indagheremo in accordo con le norme vigenti”. La Cina ha importato effettivamente 430 milioni di litri di vino lo scorso anno, circa due terzi dei quali provenienti dai 27 Paesi membri dell’Ue.
Ad accogliere con grande apprensione la mossa di Pechino sono stati quindi i produttori italiani. “L’annuncio della Cina di voler imporre dei dazi sul vino europeo rischia di bloccare un trend che negli ultimi tre anni ha visto quadruplicare le vendite di bottiglie ‘made in Italy’ sul mercato del paese asiatico”, lamenta la Coldiretti.
Per quanto riguarda il fotovoltaico cinese, i dazi entreranno in vigore da domani e dureranno 6 mesi, sino al completamento dell’inchiesta (cominciata nle settembre scorso, ndr) previsto all’inizio di dicembre di quest’anno. “In quel momento si dovrà decidere se imporre dazi permanenti per un periodo massimo di 5 anni”, ha spiegato ieri De Gucht, chiarendo che le misure si articoleranno in due fasi: “A decorrere dal 6 giugno s’imporrà un dazio dell’11,8% su tutte le importazioni di pannelli solari dalla Cina. Due mesi dopo, a decorrere dal 6 agosto, il dazio medio sarà al 47,6%”. “Nel complesso i dazi andranno, in questa fase, dal 37,2% al 67,9%. Le società cinesi che avranno cooperato godranno di tariffe più basse. Quelle che non avranno cooperato si vedranno imporre tariffe più elevate”, ha spiegato ancora il Commissario.
De Gucht ha sottolineato quindi che “non si tratta di protezionismo, ma di assicurare che le regole del commercio internazionale si applichino anche alle imprese cinesi, allo stesso modo con cui noi le applichiamo a noi stessi”. I dazi antidumping sono “una risposta equilibrata, lecita e giustificata nel contesto delle regole commerciali internazionali, volta a prevenire che la situazione abbia conseguenze fatali per l’industria europea”, che la Commissione ha il compito di difendere “di fronte a pratiche commerciali sleali di paesi terzi”.
Il boom della produzione cinese, sostenuta da sussidi e sovvenzioni governative e dalle vendite sottocosto, è un fatto degli ultimi anni. Secondo alcune stime, se nel 2009 la capacità di produzione in Cina era solo di 6,5 GW , oggi è di 55 GW, pari al 150% della domanda mondiale, con una sovrapproduzione pari a 27 GW rispetto a quanto il mercato mondiale potrebbe assorbire.
A giochi fatti Berlino, principale partner commerciale di Pechino, è tornata a contestare duramente la scelta di Bruxelles. Il ministro dell’Economia tedesco, Philipp Roesler, ha ribadito anche oggi che l’introduzione dei dazi è un “grave errore”. L’esponente del partito liberale ha sottolineato come la Germania si sia sempre schierata a favore del dialogo “per scongiurare una guerra commerciale che coinvolgerebbe molti altri settori, e non solo il fotovoltaico” e ha ribadito che l’Unione è ancora in tempo per scegliere la strada del negoziato.
quanto alla reazione dei cinesi ....le auto tedesche e i vini francesi vengono acquistati dai cinesi miliardari i quali pagheranno i daziii senza alcun problema.
mentre noi europei abbiamo impiegato 10 anni per i dazii nel settore ceramico e ancora non abbiamo i dazii nel settore tessile.
contro lo sfruttamento dei fanciulli e degli adulti il dumping sociale i dazii erano fondamentali
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Dazi sul vino, rappresaglia cinese contro l’Europa
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Tasse in vista sul vino europeo contro i dazi sul fotovoltaico cinese. Pechino ha annunciato oggi la sua rappresaglia dopo che ieri la Commissione europea ha deciso all’unanimità di imporre dazi provvisori sui pannelli solari importati dalla Cina. Parlare di protezionismo a Bruxelles è però vietato. Secondo l’Ue si tratta infatti esclusivamente di “contrastare il dumping di questi prodotti sul mercato europeo”, come ha spiegato il Commissario al commercio, Karel De Gucht.
La mossa della Commissione è arrivata nonostante l’avversità della maggioranza degli stati membri (Germania su tutti) e malgrado le fortissime pressioni di Pechino su diversi governi Ue. La probabile ritorsione sul vino non è casuale, ma punta a punire Francia e Italia, le due maggiori nazioni del fronte favorevole ai dazi, anche se per ora si tratta solo dell’avvio di un’indagine anti-dumping e anti-sussidi.
“Abbiamo notato – ha spiegato il ministero cinese del Commercio annunciando l’apertura del procedimento – il rapido aumento nelle importazioni di vino dall’Ue negli ultimi anni e indagheremo in accordo con le norme vigenti”. La Cina ha importato effettivamente 430 milioni di litri di vino lo scorso anno, circa due terzi dei quali provenienti dai 27 Paesi membri dell’Ue.
Ad accogliere con grande apprensione la mossa di Pechino sono stati quindi i produttori italiani. “L’annuncio della Cina di voler imporre dei dazi sul vino europeo rischia di bloccare un trend che negli ultimi tre anni ha visto quadruplicare le vendite di bottiglie ‘made in Italy’ sul mercato del paese asiatico”, lamenta la Coldiretti.
Per quanto riguarda il fotovoltaico cinese, i dazi entreranno in vigore da domani e dureranno 6 mesi, sino al completamento dell’inchiesta (cominciata nle settembre scorso, ndr) previsto all’inizio di dicembre di quest’anno. “In quel momento si dovrà decidere se imporre dazi permanenti per un periodo massimo di 5 anni”, ha spiegato ieri De Gucht, chiarendo che le misure si articoleranno in due fasi: “A decorrere dal 6 giugno s’imporrà un dazio dell’11,8% su tutte le importazioni di pannelli solari dalla Cina. Due mesi dopo, a decorrere dal 6 agosto, il dazio medio sarà al 47,6%”. “Nel complesso i dazi andranno, in questa fase, dal 37,2% al 67,9%. Le società cinesi che avranno cooperato godranno di tariffe più basse. Quelle che non avranno cooperato si vedranno imporre tariffe più elevate”, ha spiegato ancora il Commissario.
De Gucht ha sottolineato quindi che “non si tratta di protezionismo, ma di assicurare che le regole del commercio internazionale si applichino anche alle imprese cinesi, allo stesso modo con cui noi le applichiamo a noi stessi”. I dazi antidumping sono “una risposta equilibrata, lecita e giustificata nel contesto delle regole commerciali internazionali, volta a prevenire che la situazione abbia conseguenze fatali per l’industria europea”, che la Commissione ha il compito di difendere “di fronte a pratiche commerciali sleali di paesi terzi”.
Il boom della produzione cinese, sostenuta da sussidi e sovvenzioni governative e dalle vendite sottocosto, è un fatto degli ultimi anni. Secondo alcune stime, se nel 2009 la capacità di produzione in Cina era solo di 6,5 GW , oggi è di 55 GW, pari al 150% della domanda mondiale, con una sovrapproduzione pari a 27 GW rispetto a quanto il mercato mondiale potrebbe assorbire.
A giochi fatti Berlino, principale partner commerciale di Pechino, è tornata a contestare duramente la scelta di Bruxelles. Il ministro dell’Economia tedesco, Philipp Roesler, ha ribadito anche oggi che l’introduzione dei dazi è un “grave errore”. L’esponente del partito liberale ha sottolineato come la Germania si sia sempre schierata a favore del dialogo “per scongiurare una guerra commerciale che coinvolgerebbe molti altri settori, e non solo il fotovoltaico” e ha ribadito che l’Unione è ancora in tempo per scegliere la strada del negoziato.
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Re: Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
Conclude la sua analisi Riccardo Bellofiore dell’universita’ di Bergamo su :camillobenso ha scritto:omissis.....
Sembra di stare a Monaco nel ’38….
La crisi capitalistica e le sue ricorrenze: una lettura a partire da Marx
……La ragione di fondo della crisi non è né solo finanziaria, né solo reale. Non sta né nei bassi salari,né nella finanza perversa.
Sta piuttosto in una interazione tra ristrutturazione dei processi di estrazione di plusvalore, da una parte, e inclusione subalterna delle famiglie dentro il capitale, dall'altra.
Precarizzazione e finanziarizzazione, le due armi gemelle con cui si era risposto alla crisi sociale degli anni Sessanta e Settanta, hanno prodotto una centralizzazione senza concentrazione' e una 'sussunzione reale del lavoro alla finanza e al debito' che, prima, hanno prodotto una crescita reale drogata, poi hanno determinato il ritorno della instabilità e la fine di quel modello.
Non si può dire che si sia ancora usciti da questa crisi, e neppure disegnare i lineamenti generalissimi del nuovo modello.
In realtà, la fine del neoliberismo così come lo abbiamo conosciuto è stata gestita dagli stessi neoliberisti.
Ciò è vero anche dove la frattura con la vecchia politica economica è più stata netta, dove cioè si è data una sia pure perversa socializzazione della finanza e dell'occupazione, fino ad alludere ad una socializzazione dell'investimento.
Quello che è certo è che la dinamica del capitale ha
segnato un salto ulteriore dell'inclusione dentro il capitale (a dominante finanziaria) delle condizioni della riproduzione sociale: non soltanto il consumo e il risparmio vitale, ma anche l'abitazione, la salute,l'educazione, le risorse naturali.
Le questioni di un diverso modo di lavorare e di un diverso modo di organizzare la riproduzione come condizioni ell'uscita da questo mulinello sempre più infernale tornano per questo più attuali che mai
La sfida è ancora quella di riattivare un conflitto di classe che si prolunghi in un intervento di politica economica – ma in realtà politico tout court - che ponga in primo piano la questione di una ridefinizione strutturale dell’offerta oltre che della domanda, e dello stesso modo in cui si svolge l'attività umana.
Con sorpresa di tutti, anche di una sinistra che fugge dal lavoro o si riduce alla dimensione redistributiva, una Grande
Crisi, dunque una dura 'oggettività' sociale, ha rimesso sul tappeto, fuori da ogni crollismo meccanicistico, l'alternativa di Rosa Luxemburg: 'socialismo o barbarie'.
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Inutile, amico mio, girare continuamente sulle conseguenze di queste politiche. Queste, non possono darci oltre quello che ci stanno dando. Non perche' non vogliamo ma perche' e' il sistema stesso che non lo permette.
Tutto questo, piaccia o non piaccia era gia' stato previsto del "vecchio" Marx e ora lo stiamo vivendo ciclicamente. Anzi, ora queste crisi si presenretanno sempre pi' fraquenti negli anni a venire. Tutto previsto, solo che ci hanno sempre messo davanti il solito spauracchio che cambiare non ci conveniva poiche a pagare saremmo stati sempre noi. Vero certamente questo ma allora a che serve perseverare sempre su questa linea sapendo che stamo continuando a farci harakiri?
Purtroppo qyuanto postato non esprime per intero questa analisi/esposizione dell'autore se non si legge per intero( lo so che e' un mattone) quanto da lui scritto
http://wwwdata.unibg.it/dati/persone/46 ... ofiore.pdf
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
Re: Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
Il socialismo in uno dei paesi più corrotti del mondo... sai che paradiso!
Con sorpresa di tutti, anche di una sinistra che fugge dal lavoro o si riduce alla dimensione redistributiva, una Grande Crisi, dunque una dura 'oggettività' sociale, ha rimesso sul tappeto, fuori da ogni crollismo meccanicistico, l'alternativa di Rosa Luxemburg: 'socialismo o barbarie'.
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Re: Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
Non è che, pure, costruiamo un sacco di cose che non servono e magari dovremmo costruire cose che servono?
La sfida ambientale, per esempio, potrebbe produrre occupazione.
La sfida ambientale, per esempio, potrebbe produrre occupazione.
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
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Re: Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
Ue salva solo se Berlino lascia l’euro, l’idea del Nobel Stiglitz fa proseliti
Se la Germania torna al marco, i paesi del Sud ne avrebbero grandi benefici, a partire dall’Italia. Presentato il 15 giugno un manifesto che propone la segmentazione controllata dell'Eurozona a partire dall’uscita dei paesi più competitivi, come strategia per evitare il collasso economico e politico dell’Ue
di Alberto Bagnai | 17 giugno 2013
Il 15 giugno è stato presentato a Parigi il Manifesto di Solidarietà Europea, una proposta di segmentazione controllata dell’Eurozona a partire dall’uscita dei paesi più competitivi, come strategia per evitare il collasso economico e politico dell’Ue. La proposta non è originale: già nell’ottobre 2010 il premio Nobel Joseph Stiglitz aveva dichiarato al Sunday Telegraph che se la Germania non avesse abbandonato l’euro, si rischiava che i governi dell’Eurozona scegliessero la strada dell’austerità, trascinando il continente in una nuova recessione. Così è stato.
L’idea di Stiglitz è stata approfondita e fatta propria da un gruppo di economisti europei con percorsi accademici e politici disparati: dai conservatori Hans-Olaf Henkel (ex-presidente della Confindustria tedesca) e Stefan Kawalec (già sostenitore di Solidarnosc ed ex-viceministro delle Finanze in Polonia), ai progressisti Jacques Sapir (economista legato al Front de Gauche francese) e Juan Francisco Martin Seco (membro del comitato scientifico di Attac in Spagna). Anche in Italia l’adesione è stata trasversale: da Claudio Borghi Aquilini (editorialista del Giornale, già manager di Deutsche Bank Italia), al sottoscritto.
La scelta della Germania
Si realizza così quanto scrivevo il 29 novembre 2011 nel mio blog, sostenendo che “l’unica soluzione razionale per la Germania è propugnare un’uscita selettiva o generalizzata”. Il partito euroscettico tedesco (Alternative für Deutschland) era ancora di là da venire, ma che si sarebbe andati a parare lì era chiaro per due motivi. Il primo è che la crisi europea trae origine dalle rigidità proprie alla moneta unica. L’euro ha falsato il mercato (portando all’accumulo di ingenti crediti/debiti esteri), e ingessato le economie (impedendo alle più deboli di reagire con una fisiologica svalutazione allo choc determinato dalla crisi americana). Il ripristino di un rapporto di cambio meno artificiale fra Nord e Sud è quindi uno snodo necessario,anche se certo non sufficiente, nel percorso di soluzione della crisi.
Il fascino del marco
Il secondo motivo, politico, è che l’equilibrio dell’Eurozona si regge su due menzogne: quella dei politici del Sud (“l’euro vi proteggerà”), e quella dei politici del Nord (“la crisi è colpa dei Pigs”). Che l’euro non ci abbia protetto è chiaro. Lo è anche il fatto che dell’origine e dell’aggravarsi della crisi è corresponsabile l’attuale leadership tedesca. Ma mentre i nostri politici non possono ora venirci a dire che l’euro è stato un errore, ai politici del Nord è più facile scaricare sui paesi del Sud la colpa e propugnare come soluzione l’abbandono dell’euro. Lo sganciamento dall’Eurozona, vissuto al Sud come una sconfitta, al Nord sarebbe visto come il riappropriarsi di un simbolo vincente di identità nazionale (il marco).
L’obiezione secondo la quale avendo la Germania beneficiato dall’euro, non vorrà abbandonarlo, è inconsistente. Certo, l’euro, impedendo alla Germania di rivalutare, le ha attribuito un’indebita competitività di prezzo: lo ricorda perfino il Fondo monetario internazionale (Fmi). Ma in economia non ci sono pasti gratis: nel momento stesso in cui l’euro rendeva convenienti per il Sud i beni del Nord, esso poneva le basi per il crollo finanziario del Sud, che ora è in caduta libera e non può più sostenere con la propria domanda l’economia tedesca. La conseguenza è una forte sofferenza di quest’ultima, le cui prospettive di crescita per il 2013 sono state recentemente dimezzate dal Fmi. La rinuncia al vantaggio in termini di prezzo sarebbe quindi per la Germania una manifestazione di solidarietà (consentirebbe il rilancio delle economie del Sud), ma soprattutto di razionalità.
L’uscita sarebbe anche meno costosa dell’unione fiscale: il “costo del federalismo” – ovvero l’ammontare dei trasferimenti da Nord a Sud necessari per ripristinare una situazione equilibrata senza ricorrere alla leva del cambio – è stato stimato da Jacques Sapir in quasi il 10 per cento del Pil per un paese come la Germania. Trasferimenti di questa entità sono politicamente improponibili. Se una segmentazione dell’euro è necessaria, è più razionale realizzarla lasciando che nella transizione le economie più deboli godano della relativa stabilità della moneta unica: fra euforia da “nuovo marco” e panico da “li-retta” è piuttosto evidente cosa convenga scegliere. Non si tratta però di una proposta di euro a due velocità. Il Manifesto considera la possibilità di ulteriori segmentazioni, fino a un eventuale ritorno alle valute nazionali. Un percorso non facile, ma necessario, e comunque più gestibile se realizzato in modo ordinato, con il progressivo distacco dei paesi più competitivi.
*Alberto Bagnai è professore di Economia politica all’Università di Pescara, blogger per ilfattoquotidiano.it e su goofynomics.blogspot.com
Se la Germania torna al marco, i paesi del Sud ne avrebbero grandi benefici, a partire dall’Italia. Presentato il 15 giugno un manifesto che propone la segmentazione controllata dell'Eurozona a partire dall’uscita dei paesi più competitivi, come strategia per evitare il collasso economico e politico dell’Ue
di Alberto Bagnai | 17 giugno 2013
Il 15 giugno è stato presentato a Parigi il Manifesto di Solidarietà Europea, una proposta di segmentazione controllata dell’Eurozona a partire dall’uscita dei paesi più competitivi, come strategia per evitare il collasso economico e politico dell’Ue. La proposta non è originale: già nell’ottobre 2010 il premio Nobel Joseph Stiglitz aveva dichiarato al Sunday Telegraph che se la Germania non avesse abbandonato l’euro, si rischiava che i governi dell’Eurozona scegliessero la strada dell’austerità, trascinando il continente in una nuova recessione. Così è stato.
L’idea di Stiglitz è stata approfondita e fatta propria da un gruppo di economisti europei con percorsi accademici e politici disparati: dai conservatori Hans-Olaf Henkel (ex-presidente della Confindustria tedesca) e Stefan Kawalec (già sostenitore di Solidarnosc ed ex-viceministro delle Finanze in Polonia), ai progressisti Jacques Sapir (economista legato al Front de Gauche francese) e Juan Francisco Martin Seco (membro del comitato scientifico di Attac in Spagna). Anche in Italia l’adesione è stata trasversale: da Claudio Borghi Aquilini (editorialista del Giornale, già manager di Deutsche Bank Italia), al sottoscritto.
La scelta della Germania
Si realizza così quanto scrivevo il 29 novembre 2011 nel mio blog, sostenendo che “l’unica soluzione razionale per la Germania è propugnare un’uscita selettiva o generalizzata”. Il partito euroscettico tedesco (Alternative für Deutschland) era ancora di là da venire, ma che si sarebbe andati a parare lì era chiaro per due motivi. Il primo è che la crisi europea trae origine dalle rigidità proprie alla moneta unica. L’euro ha falsato il mercato (portando all’accumulo di ingenti crediti/debiti esteri), e ingessato le economie (impedendo alle più deboli di reagire con una fisiologica svalutazione allo choc determinato dalla crisi americana). Il ripristino di un rapporto di cambio meno artificiale fra Nord e Sud è quindi uno snodo necessario,anche se certo non sufficiente, nel percorso di soluzione della crisi.
Il fascino del marco
Il secondo motivo, politico, è che l’equilibrio dell’Eurozona si regge su due menzogne: quella dei politici del Sud (“l’euro vi proteggerà”), e quella dei politici del Nord (“la crisi è colpa dei Pigs”). Che l’euro non ci abbia protetto è chiaro. Lo è anche il fatto che dell’origine e dell’aggravarsi della crisi è corresponsabile l’attuale leadership tedesca. Ma mentre i nostri politici non possono ora venirci a dire che l’euro è stato un errore, ai politici del Nord è più facile scaricare sui paesi del Sud la colpa e propugnare come soluzione l’abbandono dell’euro. Lo sganciamento dall’Eurozona, vissuto al Sud come una sconfitta, al Nord sarebbe visto come il riappropriarsi di un simbolo vincente di identità nazionale (il marco).
L’obiezione secondo la quale avendo la Germania beneficiato dall’euro, non vorrà abbandonarlo, è inconsistente. Certo, l’euro, impedendo alla Germania di rivalutare, le ha attribuito un’indebita competitività di prezzo: lo ricorda perfino il Fondo monetario internazionale (Fmi). Ma in economia non ci sono pasti gratis: nel momento stesso in cui l’euro rendeva convenienti per il Sud i beni del Nord, esso poneva le basi per il crollo finanziario del Sud, che ora è in caduta libera e non può più sostenere con la propria domanda l’economia tedesca. La conseguenza è una forte sofferenza di quest’ultima, le cui prospettive di crescita per il 2013 sono state recentemente dimezzate dal Fmi. La rinuncia al vantaggio in termini di prezzo sarebbe quindi per la Germania una manifestazione di solidarietà (consentirebbe il rilancio delle economie del Sud), ma soprattutto di razionalità.
L’uscita sarebbe anche meno costosa dell’unione fiscale: il “costo del federalismo” – ovvero l’ammontare dei trasferimenti da Nord a Sud necessari per ripristinare una situazione equilibrata senza ricorrere alla leva del cambio – è stato stimato da Jacques Sapir in quasi il 10 per cento del Pil per un paese come la Germania. Trasferimenti di questa entità sono politicamente improponibili. Se una segmentazione dell’euro è necessaria, è più razionale realizzarla lasciando che nella transizione le economie più deboli godano della relativa stabilità della moneta unica: fra euforia da “nuovo marco” e panico da “li-retta” è piuttosto evidente cosa convenga scegliere. Non si tratta però di una proposta di euro a due velocità. Il Manifesto considera la possibilità di ulteriori segmentazioni, fino a un eventuale ritorno alle valute nazionali. Un percorso non facile, ma necessario, e comunque più gestibile se realizzato in modo ordinato, con il progressivo distacco dei paesi più competitivi.
*Alberto Bagnai è professore di Economia politica all’Università di Pescara, blogger per ilfattoquotidiano.it e su goofynomics.blogspot.com
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