quo vadis PD ????

E' il luogo della libera circolazione delle idee "a ruota libera"
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mariok

Re: quo vadis PD ????

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Ecco: il Pd chiede ai 5Stelle che hanno appena vinto le elezioni se abbiano niente in contrario ad andare in “pezzi” e scilipotizzarsi per sostenere il monocolore di chi le elezioni le ha perse, e quelli non si eccitano neanche un po’. Che strana gente.

Naturalmente Macaluso sa benissimo che l’alternativa c’era eccome. Specie con la candidatura Rodotà al Quirinale: bastava che il Pd lo votasse, e il governo sarebbe nato l’indomani, come dissero Grillo e la Lombardi.
D'accordo sulla prima affermazione. Non sulla seconda.

Il Grillo che stiamo vedendo all'opera in questi mesi ci conferma senza ombra di dubbio che puntava chiaramente all'inciucio PD-Pdl nella convinzione (rivelatasi sbagliata) che lo avrebbe rafforzato. Non era certo disponibile ad un qualunque accordo per un governo.

E' giusto non dar credito a Bersani. Ma darlo a Grillo e Lombardi è da merli o da pifferai.
camillobenso
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Re: quo vadis PD ????

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Cose di casa Diccì - 3



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12 GIU 12:06

1. ECCO IL PIANO DEL ROTTAMATORE CONTRO LA CASTA DEL PD BY BERSANI & FRANCESCHINI: PARTITO DEI SINDACI CHE VINCONO LE ELEZIONI E ALLEANZA COI DALEMIANI -

2. BAFFINO-BLITZ PER FAR CADERE IL GOVERNO LETTA E LANCIARE MATTEUCCIO A PALAZZO CHIGI: A OTTOBRE RITORNO AL MATTARELLUM COL VOTO DEI GRILLINI IN LIBERA USCITA -

3. ALLE AMMINISTRATIVE VINCE IL MODELLO RENZI: NIENTE SIMBOLO PD E ADDIO AL ROSSO -

4. I BERSANIANI REDIVIVI CON IL 16 A ZERO VOGLIONO LA VENDETTA: DOCUMENTO ANTI-RENZI E BATTAGLIA PER PIAZZARE STUMPO A CAPO DELLA COMMISSIONE CONGRESSO -

5. DA BETTINI A FIORONI, IL CORRENTONE CONTRO IL ROTTAMATORE PUNTA SU ZINGARETTI -



1 - MODELLO RENZI: ROSSO ADDIO, SOLO IL ROTTAMATORE COME TESTIMONIAL, ECCO COME IL PD E' TORNATO A VINCERE LE ELEZIONI
Jacopo Iacoboni per "La Stampa"

«Il Pd non si intesti questa vittoria», ha avvisato il sindaco di Firenze già lunedì sera, in tv. «Il lavoro è il lavoro nostro, prima che del partito», spiegava ieri mattina Giovanni Manildo davanti a Ca' Sugana, sede del comune di Treviso appena sottratto alla Lega dopo 19 anni di era Gentilini. 
Ecco, è come se a Treviso, Brescia, Imperia, Siena, nella stessa Roma, i sindaci del Pd avessero maturato l'idea che si può vincere, ma quasi smarcandosi dal Pd, un parente di cui ci si vergogna forse un po'.

Volete sapere che cosa avevano in comune Manildo, appunto, e Emilio Del Bono a 
Brescia, o Carlo Capacci a Imperia, e persino un sindaco assai diverso da loro, Ignazio Marino a Roma? Per vincere hanno scolorito l'appartenenza, diluito la pesantezza politica del voto. Marino lo diceva fin dagli slogan (a parte il «daje»), «non è politica, è Roma». Convinzione che si è tradotta un po' in tutti i vincitori in uno stratagemma elementare: il simbolo del Pd non compariva nei siti delle campagne elettorali o negli spot (chi li ha fatti), era quasi assente negli slogan (tranne che nella campagna di Siena, ma ci torneremo).

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Insomma, in questo sono stati tutti super-renziani; 
non c'era il logo del Pd, nello show del Renzi delle primarie.
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Lo slogan in quasi tutti è stato «cambiare», o almeno darne l'idea. Manildo ha sottolineato l'inclusione («Il sindaco di tutti i trevigiani», «con me tutti i trevigiani saranno il sindaco»), ma anche la partecipazione, con concessione lessicale all'espressione «beni comuni», ossia, strizzatina d'occhio a tutto il mondo-Pisapia, la sinistra partecipata e dal basso, trasversalità, non solo neocentrismo democristiano.


I colori di Manildo erano l'azzurro tenue (dello scout), l'arancione (della democrazia dal basso), il giallo e il verde, al limite il rosa. Le magliette, azzurre e col logo di Superman, «superManildo». Il messaggio chiave di Renzi è diventato uno slogan, un sms con un semplice «dai che a Treviso ce la facciamo».


Così come Del Bono a Brescia puntava su un «cambiare si deve», due soli colori for- 
ti, il blu e il rosso, assieme al forte ambientalismo di «respiriamo»; e Carlo Capacci - che a Imperia ha sommato al centrosinistra anche un pezzo di centrodestra anti Scajola - proponeva «cambiamo insieme Imperia», oppure «il vento è girato davvero», e Ignazio Marino «liberiamo Roma». Al nord hanno accettato come testimonial in campagna elettorale solo Renzi, un po' di Serracchiani o Civati; poco si sono viste le facce - poniamo - di D'Alema, dei turchi, di Bersani.

A Roma Marino ha speso, oltre alla sua, solo due immagini non casuali: Serracchiani e Pisapia. Soltanto Valentini, a Siena, ha usato nei cartelloni il logo del partito e lo sfondo rosso; ma Siena è Siena; e Valentini aveva il problema di dover tenere comunque insieme una strana alleanza in cui lui, renziano sia pure dell'ultima ora, firmava una tregua con l'area Ceccuzzi, l'ex sindaco della giunta dimissionaria. Si vince così, magari perdendo voti; oppure, come in Sicilia, con tantissime liste civiche che affiancano quella ufficiale del Pd. Sono tempi strani. Bisogna sapercisi muovere come in un Vietnam della politica. Mimetizzandosi.

2 - D'ALEMA PREPARA IL BLITZ PER FAR CADERE IL GOVERNO A OTTOBRE: RITORNO AL MATTARELLUM IN ACCORDO COI GRILLINI
Monica Guerzoni per "Il Corriere della Sera"

«Se a ottobre i saggi non avranno trovato un accordo per cambiare il Porcellum, io sono per fare una legge per tornare al Mattarellum, con chi ci sta». L'avvertimento arriva da Massimo D'Alema, intervistato da Lilli Gruber a Otto e mezzo. E quando la conduttrice gli fa notare che una simile mossa del Parlamento tirerebbe giù il governo, l'ex premier conferma il rischio: «Quagliariello ha detto che se fra quattro mesi i saggi non hanno una proposta è tanto meglio andare a casa e io condivido perfettamente...».

A Palazzo Chigi l'intervista non è passata inosservata, anche per i «consigli» che il già presidente del Pd ha offerto a Matteo Renzi, con il quale ha ripreso a parlarsi: «È una personalità fortissima, ha una grande forza di attrazione del consenso, ma se fossi nei suoi panni doserei meglio le mie forze, non starei tutti i giorni sui giornali...».

Consiglio numero due: dotarsi di un profilo internazionale. Numero tre: approfondire i grandi temi della vita del Paese. «Ora Renzi è uno straordinario comunicatore, ma se fa crescere la sua statura potrebbe essere la guida del Paese e avremmo risolto il problema della leadership». Parole che, c'è da giurarci, i democratici analizzeranno con la lente d'ingrandimento, per capire se davvero si tratti di un «endorsement» o di un «trappolone».

Il cuore del ragionamento dalemiano è che il Pd ha bisogno di un leader forte, ma anche di un gruppo dirigente autorevole e riconoscibile: «Io e Veltroni siamo stati sostanzialmente cacciati, ma non mi pare che la situazione sia migliorata in modo travolgente». Ruggini e vecchi rancori che rischiano di riaffiorare in vista del Congresso. 
I bersaniani giurano che «nessuno vuole fregare Renzi».

Ma ormai è chiaro che pochi fra i dirigenti siano disposti a consegnare il Pd, chiavi in mano, al sindaco di Firenze. La vittoria di Marino a Roma ha rafforzato Zingaretti e ora il presidente del Lazio medita seriamente di scendere in campo al Congresso, in chiave anti Renzi. «Sarebbe una candidatura di grande autorevolezza e prestigio», lo incoraggia Fioroni.
La battaglia delle regole sarà cruciale. Epifani ha convocato per lunedì la commissione congresso ed è già braccio di ferro su chi dovrà guidarla.

Al Nazareno ritengono che il candidato naturale sia Nico Stumpo, l'ex responsabile dell'Organizzazione al quale Renzi non vuole affidare le regole del gioco perché «è un po' come mettere Dracula in un centro Avis». E così i renziani, in asse con i dalemiani, provano a stopparlo proponendo che a presiedere il tavolo sia Roberto Gualtieri, eurodeputato autorevole molto vicino all'ex premier. «Qui non c'è nessuno che vuol fregare nessuno - assicura il bersaniano Davide Zoggia -. Siamo tutti della stessa squadra, regole e tempi del Congresso andranno bene a tutti».


Eppure i renziani non sono tranquilli e scaldano i motori. Il 22 e 23 giugno si riuniranno a Torino per un workshop autofinanziato con i parlamentari più vicini al sindaco (Bonafè, Boschi, Giachetti...).
Gli avversari di Renzi, che a Roma ha visto il ministro Delrio, la leggono come una riunione di corrente e si preparano a contrastarlo. Prima mossa: separare da Statuto la figura del segretario da quella del candidato a Palazzo Chigi. Se Renzi è contrario, per Fioroni le due candidature «devono essere distinte». E Bersani è ancora più netto: «Combatterò strenuamente per evitare che il Pd scivoli su un modello personalistico. Non si può scimmiottare chi fa il pifferaio e parla solo in base ai sondaggi».

3 - I BERSANIANI CHIAMANO GLI EX DS, MA D'ALEMA BENEDICE RENZI
Da "La Stampa"

È una chiamata alle armi in chiave anti-Renzi l'invito che i bersaniani hanno diramato agli ex Ds per un incontro oggi alla Camera. Un evento preparato stilando un documento mirato a fare la "pace"; e preceduto da una serie di riunioni della corrente dell'ex segretario. Ma l'area ex Ds è divisa e la presenza di «giovani turchi» e dalemiani non sarà massiccia.

«Hanno capito che sono isolati e vogliono uscire dall'angolo», commenta l'iniziativa un dalemiano doc. Bersani è tornato alla riscossa e si è lanciato contro i «partiti leaderistici e personali», con chiaro riferimento al rottamatore. Invece a Otto e Mezzo, D'Alema ha usato ben altre parole: «Il Pd ha bisogno di costruire una forte leadership. Certo con Renzi abbiamo ripreso a discutere. incontrato, ho cercato di dargli dei consigli. È una personalità fortissima con una grande forza di attrazione del consenso, se fossi in lui doserei meglio le mie forze e lavorerei sul profilo internazionale: se fa crescere la sua statura come uomo di governo e uomo di stato, può essere la guida del paese e avremmo risolto il problema della leadership.
mariok

Re: quo vadis PD ????

Messaggio da mariok »

Il coraggio e la credibilità personale di Bersani ( :!: ) hanno arginato l’impatto di un voto di sfiducia e scontento, ma complessivamente l’europeismo responsabile del PD non è apparso una risposta adeguata alla radicalità della richiesta di cambiamento.
Dal documento dei bersaniani: Fare il PD

http://www.scribd.com/doc/147339194/Il- ... sso-del-PD
camillobenso
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Re: quo vadis PD ????

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Cose di casa Diccì - 4



l’Unità 12.6.13
Non tornano i conti di Padellaro e Rangeri

di Emanuele Macaluso


SE LEGGETE QUEL CHE SCRIVEVA IL FATTO PRIMA DEI RISULTATI ELETTORALI e l’editoriale di Antonio Padellaro, vergato dopo avere letto l’esito del voto, capirete cos’è questo giornale. Ecco l’incipit dell’articolo di ieri: «Le larghe intese non c’entrano nulla, la catastrofe Pdl è la fotografia di un partito padronale che quando il padrone non scende in campo è costretto a schierare vecchi catorci o giovani nullità e i risultati si vedono». Non c’è dubbio almeno per me che le competizioni nelle elezioni amministrative hanno al centro il candidato sindaco e la vicenda comunale. Questo scenario ora descritto da Padellaro era però visibile anche quando a Roma vinceva Alemanno, e con lui i suoi colleghi di Viterbo, di Treviso, di Catania, di Messina, di Brescia, di Imperia, ecc.
Se in queste elezioni il quadro è rovesciato, è ragionevole pensare che abbia influito anche la vicenda politica che ha fatto nascere il governo Letta con l’apporto del Pd, Pdl e Scelta civica. Infatti, dopo la nascita del governo Letta, («inciucio» per i suoi detrattori) il Fatto, il Manifesto, alcuni editorialisti di Repubblica ecc., avevano previsto un disastro per il Pd abbandonato dai suoi elettori. Un Pd che si sarebbe piegato alla volontà di Berlusconi, descritto come il regista e detentore della golden-share del governo. Ieri il Manifesto ha pubblicato un editoriale della direttora Norma Rangeri con questo titolo: «Larghe intese sconfitte». Sconfitte perché nei Comuni vince il centrosinistra.
Vince il Pd che guida la battaglia del centrosinistra nei Comuni; ma guida anche il governo di emergenza e necessità costituito insieme ai suoi avversari, il Pdl. Si possono fare tante critiche al Pd, ma in questa occasione la sua strategia è stata chiara: governo d’emergenza per evitare il caos istituzionale e un pericoloso vuoto di potere, ma anche per costruire un sistema politico più funzionale alle alternative tra destra e sinistra; alternativa al Pdl in tutte le competizioni. Signori, questo «arcano» gli elettori l’hanno capito bene e non hanno mollato né il Pd né il centrosinistra. Chi non aveva capito, o faceva finta di non capire, era il bollettino anti-Quirinale di Padellaro e Travaglio. I quali, oggi, insieme a Norma Rangeri e altri, si arrampicano sugli specchi.
Il Travaglio, tra le altre amenità, continua a sfornare editoriali (ieri c’era un esemplare) in cui cerca di spiegare ai suoi lettori che Napolitano (sempre lui!) si contraddice continuamente dicendo una volta che quello di Letta è un governo a «termine» e altre volte che non ha scadenze.
La verità è l’abissale ignoranza politica di Travaglio, (il quale specula anche su un errore fatto dall’Ansa poi corretto, ma non dall’editorialista principe de il Fatto), il quale confonde la durata del governo (che non ha limiti) con quella delle convergenze Pd-Pdl che invece ha un limite: le prossime elezioni i due partiti saranno alternativi. Quel che dico è confermato dallo stesso Travaglio, il quale come prova della incoerenza di Napolitano riprende l’intervista del presidente a Scalfari: «Esecutivo nato in situazione eccezionale, l’alleanza è a termine». La distinzione è chiara per chi è in buona fede e sa leggere. Ma vale la pena polemizzare col Travaglio?



il Fatto 12.6.13
Furio Colombo
Trionfo delle larghissime intese?

Caro Furio Colombo, mi sembra che voi abbiate torto, e Macaluso abbia ragione: qui tutti hanno votato a sinistra nonostante il governo con la destra. Dunque?
Anita


BISOGNA AVERE la pazienza di ripercorrere i passaggi che ci hanno portato a questo momento politico in cui, senza dubbio, la realtà oltrepassa di molto l’immaginazione. Prima viene un Parlamento immobilizzato (non si sa perché e non si sa da chi) mentre sta votando per eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Nella sequenza che tutti ricordiamo, è andata a vuoto la prima votazione (Franco Marini) e poi si è verificata la grande sorpresa del blocco - deliberato e organizzato - alla elezione di Romano Prodi. É un evento strano e inspiegato. Tuttavia siamo solo al secondo tentativo di elezione. Ma qualcuno corre al Quirinale ad avvertire che la crisi è gravissima, che ogni votazione sarà impossibile (in un Paese dove ci sono state anche venti votazioni per trovare il nome giusto per la presidenza della Repubblica), che il Parlamento è impotente. Di fronte a un simile messaggio il presidente uscente è costretto a ricandidarsi. Meno chiaro è il nesso fra questo evento e la formazione del governo. Infatti il premier designato (sia pure con un mandato molto limitato) era ancora Bersani, il quale credeva di poter ancora giocare le sue carte. Ma evidentemente era male informato. Senza annunci o commiato, gli è stato sovrapposto un altro candidato Premier, Enrico Letta, non solo stesso partito ma anche vice segretario del Pd e dunque vice del Bersani liquidato senza ringraziamenti o saluti. A differenza del suo capo, Letta ha avuto non solo mandato ampio, ma istruzioni precise di stipulare un trattato che ha rovesciato l’esito delle elezioni, ovvero inserire d’autorità nel governo lo schieramento di Berlusconi, contro il quale avevano appena votato due terzi degli italiani. Così interpretato il sentimento popolare, Letta si associa con l’uomo più caro a Berlusconi, Angelino Alfano, tratta sia la politica di ogni giorno che le visioni a lungo termine con il capogruppo Pdl alla Camera Brunetta, (su cui evitiamo commenti per non ingombrare la pagina delle lettere). E con questi amici al fianco proclama la pacificazione. Alcuni di noi, spinti da un immenso mormorio levatosi dal Paese, hanno osservato che eravamo fuori dal seminato e che gli elettori Pd volevano indietro il loro voto. C’è chi sa di sicuro che non lo rivogliono. Tanto è vero - ci dicono - che nelle recenti elezioni comunali i cittadini hanno votato in massa per il Pd. É vero, ma ognuna di quelle votazioni vittoriose era contro Alfano, contro Brunetta, contro Scajola, contro la Lega, contro la banda Berlusconi. Voto per voto, una sorta di pugno sul tavolo della parte antiberlusconiana del Paese contro la coppia felicemente al governo. Si faccia avanti chi dice che queste elezioni, in cui il Pdl è crollato dovunque , sono state un plebiscito per la protezione di Berlusconi, dunque un omaggio al grande progetto di pacificazione, completo di assoluzioni e laticlavio a vita per il padrone.
camillobenso
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Re: quo vadis PD ????

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Cose di casa Diccì - 5



il Fatto 12.6.13
D’Alema vuole Renzi al governo
“Se mi ascolta sarà premier”
E Bersani fa un documento contro Matteo
di Wanda Marra

Pier Luigi Bersani arriva al Nazareno di buon mattino, chiacchiera nell’atrio con Guglielmo Epifani per venti minuti, poi sale con lui nella sua ex stanza. Dopodiché rilascia dichiarazioni su dichiarazioni contro “il partito padronale”. Cioè contro Renzi. Nella serata dello stesso giorno, Massimo D’Alema va a Otto e mezzo dove dice che “Renzi è un leader straordinario”, al quali lui ultimamente ha dato “molti consigli”: se li ascolta potrà diventare “un uomo di governo” e così “avremmo risolto il problema della leadership”. Li dettaglia anche: dovrebbe stare meno in tv, dosare meglio le sue energie e dotarsi di un profilo internazionale. Non è (ancora) un appoggio formale per il congresso, ma è evidente che l’uomo del Lìder Maximo è il sindaco di Firenze. Quello che l’ha “cacciato” insieme a Veltroni (espressione dello stesso D’Alema, che non si fa scappare l’occasione: “Non mi pare che ora la situazione sia molto migliorata”).
Ieri intanto alla Camera i bersaniani doc facevano circolare un documento “non proprio” contro Renzi, ma “contro il renzismo”, per usare le parole di Alfredo D’Attore, membro della nuova segreteria. Bersani scende in campo con tutto il peso che ha (o che spera d’avere) e oggi convoca una riunione in una delle aulette del gruppo democratico a Montecitorio. Aperta a tutti. Obiettivo: fare asse nel partito, trovando un candidato alla leadership alternativo a Renzi, cercando di agganciare i Giovani Turchi e poi Dario Franceschini e i suoi. Tra i firmatari oltre a Nico Stumpo, Stefano Di Traglia e altri fedelissimi dell’ex segretario dovrebbe esserci persino il vice Ministro all’Economia, Stefano Fassina. Che in questa fase sta cercando di riunire l’area bersaniana con la corrente di Andrea Orlando e Matteo Orfini. I quali però resistono: il loro candidato è Gianni Cuperlo, se l’ex segretario converge su di lui se ne può parlare. Ma per adesso i nomi di Bersani sono altri. Tanto per cominciare quello dello stesso Epifani per arrivare a Fassina. Cuperlo sembra non essere più neanche il candidato di D’Alema. “Ha cambiato posizione venti volte negli ultimi venti giorni, quando ci sarà quella definitiva vedremo”, commenta l’ex pupillo Matteo Orfini.
Nel frattempo, i bersaniani, nella figura del responsabile Organizzazione, Zoggia (e anche Cuperlo, intervistato dall’Huffington Post) si affrettano a dire che loro non sono contro le primarie aperte per il congresso. Come distogliere l’attenzione dalle grandi manovre.

Repubblica 12.6.13
Torna l’asse tra Pierluigi e gli ex Ppi “Abbiamo vinto noi, Matteo non esageri”
Documento dei bersaniani: il segretario va eletto dagli iscritti
di Goffredo De Marchis

ROMA — Frenare Renzi. O meglio, stoppare la sua corsa verso la segreteria del Partito democratico. Dopo le elezioni amministrative, una parte del Pd fa la prima mossa. E per farla deve rompere l’asse Bersani-Letta-Franceschini che oggi regge il Pd. La corrente dell’ex segretario marcia (per il momento) da sola presentando un documento anti-Renzi. Lo firmano solo i fedelissimi di Bersani: Maurizio Martina in rappresentanza del Nord, Stefano Fassina (Centro) e Alfredo D’Attorre (Sud). I lettiani stanno a guardare mantenendo una totale neutralità. Gli ex Ppi, i franceschiniani, non si schierano ma non si sottraggono ad alcune manovre che puntano a rallentare il sindaco. Enrico Letta osserva. Da lontano.
Amico di tutti, schierato con nessuno. E se il congresso del Partito democratico avrà candidature contrapposte, cioè se Renzi avrà uno o più sfidanti, tanto meglio. Non perché il premier voglia parteggiare per qualcuno, ma perché lui avrà così la possibilità di ritagliarsi, da Palazzo Chigi, il ruolo di baricentro del Pd. «Non mi faccio coinvolgere nel congresso», ripete a tutti il Letta.
In nessun modo il presidente del Consiglio ha favorito l’iniziativa del suo amico “Pierluigi”. Ma l’ipotesi di un candidato alternativo a Renzi (oltre a Gianni Cuperlo, già in campo da tempo) gli permette nuovi margini di manovra. L’obiettivo vero resta quello di un patto con il sindaco. Ma anche questo traguardo è più facile di fronte a una sfida interna al Pd combattuta sul serio. Soprattutto dopo le elezioni ammini-strative. Che secondo lui hanno rafforzato l’esecutivo delle larghe intese e il suo presidente del Consiglio. In un modo o nell’altro, il futuro segretario del Pd dovrà fare i conti con Enrico Letta. E viceversa.
Anche i bersaniani sfruttano l’onda del voto per i sindaci. La scelta di tempo per la presentazione del documento (che verrà pubblicato oggi online) non è casuale. «Abbiamo vinto noi la sfida dei sindaci. Adesso Matteo non può esagerare». Non lo è nemmeno il sorriso di Bersani, il suo ritorno alla battaglia politica contro «il personalismo, contro i partiti proprietari ». In parole povere, contro Renzi. E contro il nuovo alleato di Renzi: Massimo D’Alema, nemico giurato dell’ex leader del Pd. I bersaniani non possono rimanere a guardare, non vogliono rimanere stretti nella morsa del dalemiano Cuperlo e dell’avversario delle primarie Renzi. Perciò il documento non basta. Serve un candidato. Che sarebbe stato individuato in Nicola Zingaretti. Corteggiato a lungo in queste settimane, il governatore del Lazio ha detto no. Per ora.
A Zingaretti guardano in molti. Un gruppo di deputati giovani e trasversali, da Massimiliano Manfredi a Dario Ginefra, hanno apprezzato le parole del governatore contro le correnti, per un Pd che si ricostruisce sui parlamentati eletti con le primarie. I Giovani Turchi vogliono giocare fuori dai rigidi schemi delle componenti. «Siamo liberi di pensare con la nostra testa», dice Matteo Orfini. La militarizzazione dei bersaniani apre ai “turchi” nuovi orizzonti. Ma la corsa del presidente del Lazio è una chimera. E allora si ritorna al punto di partenza: c’è Renzi in pista, praticamente senza avversari. Ma i pericoli possono anche non essere in carne e ossa. Possono nascondersi nelle regole del congresso, come ha denunciato il sindaco. Ieri i renziani sembravano impazziti a Montecitorio. Vedono grandi manovre sui meccanismi di elezione del segretario. Sospettano che dietro ci sia Dario Franceschini perché una regola di cui si vocifera è mutuata dalla Margherita: pesare in maniera diversa il voto degli iscritti e il voto dei cittadini e degli amministratori locali. Insomma, non “una testa un voto”, non primarie aperte. La prima riunione della commissione per le regole è lunedì. Con una grana che rischia di spaccarla prima ancora di cominciare. Il vertice ha deciso di chiamare a presiederla Davide Zoggia, ex braccio destro di Bersani. Una soluzione che piace anche ai franceschiniani. Ma si ribellano in molti: renziani e giovani turchi, minacciando clamorose dimissioni. La richiesta è semplice: eleggere il presidente.
mariok

Re: quo vadis PD ????

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Il blog di Fabrizio Barca

GIOVEDÌ, 13 GIUGNO 2013

Da questa mattina è online il nuovo sito di Fabrizio Barca, “Viaggio in Italia”. L’ex ministro per la Coesione territoriale ha aperto il blog per raccontare, come da denominazione, “il viaggio alla ricerca di un partito nuovo per il buon governo”. Fabrizio Barca in queste ultime settimane ha iniziato un lungo giro tra le città italiane, per incontrare i militanti e simpatizzanti del Partito democratico nei circoli così come nelle feste od in occasioni di dibattito pubblico. L’annuncio del nuovo sito è stato comunicato ieri sera su Twitter.

http://www.fabriziobarca.it/
camillobenso
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Re: quo vadis PD ????

Messaggio da camillobenso »

Cose di casa Diccì - 6



La sfiga di Renzie


Il Tg3 delle 19,00, si occupa anche di Renzie e dei suoi sponsor all’interno dei defunti.

Guardacaso (ma che combinazione) sono proprio quei Veltroni e D’Alema, i primi zombie-dinosauri rottamati dal ROTTAM’ATTORE.

Con due sponsor di quel livello la sfiga è garantita.
paolo11
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Re: quo vadis PD ????

Messaggio da paolo11 »

paolo11 ha scritto:
iospero ha scritto:
paolo11 ha scritto:Caro mariok .Io e altri lo abbiamo sempre detto quando si unirono Marcherita e DS.Erano dei partiti ognuno con le loro correnti e i suoi capibastone.Qualcuno ha lasciato come Rutelli Binetti e altri.
Un partito con tutte quelle correnti non può andare lontano.I fatti lo hanno dimostrato con le votazioni del Presidente della repubblica.Capisco che dicano nel nostro partito c'è democrazia interna.Ma quando ci sono delle decisioni da prendere devono essere coesi .Sono contento per Marino sindaco di Roma.Persona che ho sempre ammirato.
Il PD si salva SE:Manda a casa tutti i vecchi tromboni.E tutti i partiti la finiscono di essere dentro ogni cosa.
Ciao
Paolo11
Una domanda che ho fatto a Civati ed altri e non ha avuto risposta a proposito di
Il PD si salva SE:Manda a casa tutti i vecchi tromboni.
perchè non si utilizza il referendum previsto dall'art.28 dello Statuto del PD per indicare la linea politica del partito, se la base PD la pensa diversamente dai dirigenti,a partire dal segretario,
si cambiano i dirigenti.
Caro iospero.Mi sembra che i simpatizzanti lo abbiano già fatto occupando le sedi del PD.
Cosa bisogna ancora fare perché lo capiscano.Forse ci sono troppi legami vedi Siena e Monte dei Paschi.Io sono quasi certo che con il rientro dei capitali scudati c'erano pure loro, scudandoli solamente il 5%
Ciao
Paolo11
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Se proprio si deve nazionalizzare una banca, è meglio ricorrere alle azioni ordinarie. Invece per Mps si sono utilizzati i Monti bond, uno strumento opaco, a metà tra il debito e le azioni. La ragione ultima della scelta è nella proprietà della banca, con la presenza forte della Fondazione.

C’è molta confusione sui Monti bond; forse perché sono uno strumento opaco, a metà tra il debito e le azioni. Se proprio si deve nazionalizzare una banca, è meglio ricorrere alle azioni ordinarie. La ragione ultima per ricorrere ai Monti bond sta nella proprietà di Mps, con la presenza forte della Fondazione. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza, rispondendo ad alcune domande ricorrenti.

PERCHÉ I MONTI BOND?

Molti pensano che i Monti bond sia stati inventati in questi giorni per “salvare” Monte dei Paschi di Siena dal fallimento, in seguito alle perdite emerse sulle operazioni in derivati. Non è corretto. I Monti bond nascono nel luglio dell’anno scorso, per consentire a Mps di soddisfare le raccomandazioni dell’Eba (l’Autorità bancaria europea), che imponeva ad alcune banche di aumentare il loro patrimonio, a causa delle potenziali perdite sul portafoglio di titoli di Stato. (1) Può sembrare paradossale, ma è proprio così: l’intervento della Stato in Mps è nato dalla forte esposizione del Monte dei Paschi verso lo Stato italiano (come lo stesso presidente della banca, Alessandro Profumo, affermò nell’agosto scorso).
Naturalmente, non tutte le banche che hanno avuto questa richiesta dall’Eba hanno fatto ricorso agli aiuti di Stato. Vi erano altri due modi di procedere (che non si escludono a vicenda): (i) ridurre la dimensione dell’attivo della banca; (ii) chiedere nuovo capitale a soggetti privati. La seconda soluzione è preferibile per l’economia ed è stata auspicata dalle autorità; in Italia, è stata adottata da Unicredit. Ma nel caso di Mps l’aumento di capitale si scontrava con gli interessi della Fondazione. Questa non aveva i soldi per versare altro capitale: per partecipare all’aumento di capitale del 2011 aveva già fatto debiti, cosa anomala per una Fondazione, ma autorizzata dall’allora ministro Tremonti. (2) D’altra parte, per la Fondazione accettare che fossero altri soggetti (ammesso che ve ne fossero) a versare ulteriore capitale equivaleva a sopportare una “diluizione”: una riduzione del proprio peso (leggasi potere) nell’azionariato della banca. E così si è preferito ricorrere agli aiuti di Stato. Quindi il problema non sono i derivati, ma la invadente presenza della Fondazione nella proprietà della banca: è un problema non solo perché è un veicolo di interferenza politica nella gestione, ma anche perché è un ostacolo al rafforzamento patrimoniale della banca.

È UN PRESTITO O È CAPITALE?

Bella domanda, ma una risposta chiara e netta non c’è, perché si tratta di un strumento “ibrido”, per sua natura particolarmente opaco. Da un lato è un prestito, perché prevede il pagamento degli interessi, che sono anche salati: 9 per cento iniziale, destinato a salire fino al 15 per cento. Dall’altro, è capitale, per due ragioni: (i) non c’è alcuna scadenza, quindi non c’è una data entro la quale i Monti bond devono essere restituiti; (ii) i Monti bond partecipano al rischio di impresa al pari delle azioni; in particolare, se la banca subisce perdite tali da portare il suo coefficiente patrimoniale (rapporto patrimonio/attivo) al di sotto dell’8 per cento regolamentare, il Tesoro condivide le perdite con gli altri azionisti. A differenza di questi, però, il Tesoro non può dire nulla sulla gestione della banca. Questo è il principale problema degli strumenti ibridi: chi li compra (in questo caso il Tesoro) sopporta il rischio di impresa, ma non ha diritto di voto. Le vecchie azioni di risparmio, una volta molto di moda nel nostro mercato azionario, sono state abbandonate proprio per questa ragione. Sarebbe stata molto più trasparente una emissione di azioni ordinarie, sottoscritta dal Tesoro. Ma ancora una volta questa ipotesi si scontra con gli interessi della Fondazione, per le stesse ragioni illustrate al punto precedente.

STIAMO ASSISTENDO ALLA NAZIONALIZZAZIONE DI MPS?

Oggi no, ma domani forse sì. Data la natura ibrida dello strumento, i Monti bond non rappresentano un ingresso a pieno titolo dello Stato nell’azionariato di Mps. Tuttavia, Mps ha la facoltà di convertire, in qualsiasi momento, i Monti bond in azioni proprie. Inoltre, gli interessi eccedenti il risultato di esercizio saranno pagati in azioni. È difficile prevedere se e quando Mps eserciterà la facoltà di conversione. Certo è che vi è un forte incentivo a decidere entro un paio d’anni. Se i Monti bond non saranno restituiti entro la metà del 2015, infatti, il loro valore nominale aumenterà del 5 per cento ogni due anni, incrementando così anche l’onere degli interessi. Quindi o la banca si rimette rapidamente in sesto, come promesso dall’attuale management, oppure la prospettiva della nazionalizzazione diventa assai realistica.

QUAL È L’IMPORTO DEI MONTI BOND?

Il conto è di 3,9 miliardi, per ora. In realtà, l’emissione netta è di 2 miliardi, poiché 1,9 miliardi servono a restituire i precedenti “Tremonti bond”. Tuttavia, l’importo sembra destinato ad aumentare, per due motivi: (i) quest’anno Mps potrà pagare gli interessi, maturati nel 2012 sui Tremonti bond, emettendo altri Monti bond; (ii) gli interessi maturati nel 2013, eccedenti il risultato di esercizio, potranno essere pagati da Mps (nel 2014) assegnando al Tesoro ulteriori Monti bond.

GLI ALTRI PAESI COME STANNO?

Dal confronto internazionale emerge qualche motivo di consolazione. Come si può vedere nella tabella qui sotto, dal 2008 in poi gli altri Governi europei hanno stanziato cifre enormemente superiori all’Italia per finanziare aiuti al settore bancario, sotto diverse forme: ricapitalizzazioni (in alcuni casi vere e proprie nazionalizzazioni) e prestazioni di garanzie. Tuttavia, va notato che lo strumento normale di intervento dello Stato nel capitale delle banche è la sottoscrizione di azioni ordinarie, con l’eccezione del governo francese che è più volte ricorso ai titoli subordinati. (3)
http://www.lavoce.info/tutto-quello-che ... onti-bond/
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Non avevo capito bene la manovra .Ora mi è chiara.
Ciao
Paolo11
camillobenso
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Re: quo vadis PD ????

Messaggio da camillobenso »

Cose di casa Diccì - 7


La domanda sorgeva spontanea già tanto tempo fà.


"Ma l'ometto per tutte le stagioni quando trova il tempo per fare il sindaco?????"

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Matteo Renzi sempre in tv, ma non in Consiglio. E vanno in fumo 36 milioni Ue
Il sindaco di Firenze non manca mai agli appuntamenti con il piccolo schermo, ma nel 2012 ha partecipato ai lavori comunali 8 volte su 45. Nel 2013 a 7 su 17. Peggio di lui solo Alemanno. Intanto la città dovrà rinunciare ai fondi europei per i ritardi nel completamento della tramvia

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 13 giugno 2013Commenti (1655)



“Un comportamento indecoroso”. Tommaso Grassi, consigliere dell’opposizione di sinistra alla giunta Renzi, bolla così un dato statistico che inchioda il sindaco di Firenze: è il meno presente in Consiglio comunale tra i sindaci delle grandi città italiane. Soprattutto se, accanto a questo dato, si leggono anche fallimenti importanti, come i 36,6 milioni di euro di fondi europei persi per il completamento della tramvia a causa di tre fattori fondamentali: le difficoltà economiche del costruttore (Impresa S.p.a. subentrato alle già fallite Btp e Consorzio etruria), il restringimento del credito bancario in seguito alla crisi economica, le incertezze del progetto e dello strumento finanziario scelto, quello del project financing. Il sindaco Matteo Renzi, proiettato a giorni alterni alla guida del Partito democratico e a Palazzo Chigi, nel 2012 ha partecipato a 8 sedute su 45 del Consiglio comunale. Dall’inizio del 2013 a oggi è comparso nello scranno del primo cittadino nel Salone de’ Dugento 7 volte su 17.

Per capire se sono medie normali per un sindaco, sufficienti al rispetto dovuto alle istituzioni democratiche, basta fare un giro nelle altre grandi città italiane. Nel 2013 solo Gianni Alemanno, appena bocciato dai romani, aveva fatto peggio: 7 su 30. Marco Doria a Genova ha preso parte a 25 Consigli su 27 nel 2012 e quest’anno non ha mai mancato l’appuntamento: già 18 all’attivo. Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia viaggia a quote altissime: 66 su 86 nel 2012 e 17 su 22 in questo primo semestre 2013. Anche Piero Fassino a Torino non fa mancare quasi mai la sua presenza: 47 su 56 nel 2012 e 18 su 20 nel 2013. Luigi De Magistris a Napoli si è assentato dai lavori consiliari soltanto due volte dal gennaio 2012 a oggi, toccando quota 49 su 51.

Tra un’ospitata televisiva e l’altra è molto difficile riuscire a fare il sindaco di Firenze, “il mestiere più bello del mondo”, come amava definire lo stesso Renzi il suo incarico. E quante volte durante le primarie di novembre lo stesso Renzi ha incalzato: “Bisogna usare meglio i fondi europei”. Peccato che è di questi giorni la notizia che proprio Firenze rinuncerà a 36,6 milioni. “Il sindaco fallisce – afferma la consigliera comunale, Ornella De Zordo – in una delle sue promesse più vendute”. Cioè la costruzione delle linee 2 e 3 della tramvia, la metro di superficie che oggi con una sola linea collega la città a Scandicci. Bruxelles aveva fissato delle scadenze precise: tutto pronto entro il 2015 o niente soldi. Palazzo Vecchio dà la colpa alla crisi che fa fallire le imprese, ma il problema è legato anche alle incertezze del progetto e dello strumento finanziario scelto, quello, appunto, del project financing.

Il governatore della Toscana, Enrico Rossi, va su tutte le furie e tenta di metterci una pezza con una nota ufficiale: “Proveremo a convincere l’Unione europea a considerare una rimodulazione di quei fondi”, in vista della riunione del prossimo 20 giugno a Bruxelles, perché “continuiamo a pensare che quell’opera sia strategica per il capoluogo di questa regione, non realizzarla rappresenterebbe un fallimento di tutti i nostri piani sulla mobilità”. E tra Rossi e Renzi i rapporti, tramvia a parte, sono ai minimi termini rispetto alle scelte amministrative e ai partner per realizzarle. Infatti, Rossi ha appena risposto con un secco “no” alle tentazioni toscane di Flavio Briatore: l’idea era quella di costruire un super mega ultra campo da golf a Bibbona. “Briatore propone campi da golf da tutte le parti, ma l’ultima struttura discussa in Toscana era da 77 ettari, non si può fare così”: bocciato da Enrico Rossi, il berlusconiano Briatore potrebbe tornare comodo proprio al boy scout di Rignano sull’Arno, di cui è da sempre grande fan: “Se si candidasse premier lo voterei al 100 per cento”. Infatti lo stesso Renzi, che soltanto pochi giorni fa ha pranzato a Firenze con Briatore, ha inserito nel suo piano di rilancio del Parco delle Cascine, il cuore verde al centro della città, proprio un campo da golf. Il progetto è inserito in un masterplan che dovrebbe essere concretizzato entro il 2015.

Intanto il sindaco annuncia su Facebook: “Messaggio per i fiorentini. Domani faremo l’ultima giunta programmatica della legislatura: metteremo giù l’elenco delle priorità per chiudere cinque anni di lavoro bello e intenso. In nottata faremo un giro anche a controllare i tanti cantieri stradali su cui lavoriamo di notte per non intralciare il traffico come da impegno pre-elettorale. Segnalatemi, se vi va, le vostre priorità e le vostre proposte sull’ultimo anno di azione amministrativa. E già che ci siete dateci un consiglio su dove mettere gli ultimi cinque fontanelli dell’acqua naturale e gassata di Publiacqua”.

di Giampiero Calapà e Sara Frangini

da Il Fatto Quotidiano del 13 giugno 2013

aggiornato da redazione web alle 0re 12.30 del 13/06/2013

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06 ... 36/625090/
camillobenso
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Re: quo vadis PD ????

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Cose di casa Diccì - 8



http://www.youtube.com/watch?v=zNydwi7r7Q4

RETROSCENA
«Matteo leader? Così si iscrive Briatore»
Bersani attacca. Il sindaco: hanno paura
Lo sfogo: «Forse vuol fare il premier, ma quello lo abbiamo già ed è Letta»


ROMA - Non va per il sottile, Pier Luigi Bersani. In piedi, nel Transatlantico di Montecitorio, l'ex leader del Pd non usa accorgimenti diplomatici: «Che cosa vuole fare Renzi? Il premier? Quello lo abbiamo già ed è Enrico Letta. Allora vuole fare il segretario? E che cosa pensa di fare: di iscrivere Briatore e gente così?».

Bersani ha il dente avvelenato contro Renzi. Lui non ne fa una questione personale, almeno così dice, però è fermamente determinato a contrastare i piani del sindaco. È per questo che ha riunito tutti gli ex Ds (ma le defezioni sono state molte): «Io sono contrario al partito del leader e a chi vuole fare un partito personale. Le forze di questo tipo stanno declinando, basti pensare al Pdl di Berlusconi o al Movimento 5 Stelle di Grillo, e dovremmo essere noi del Pd a fare un partito del genere?». Che cosa vuole, quindi, l'ex segretario? Intende ancora giocare un ruolo di primo piano nel Partito democratico? «Io non voglio niente per me, io voglio essere solo il federatore di quelli che sono contro il progetto di un partito personalistico. Io sono un emiliano: per me il partito è una cooperativa, non una spa».


Dunque, Bersani punta a sbarrare il passo al sindaco rottamatore. Il suo piano è questo ed è scritto nero su bianco sul documento stilato dai suoi sostenitori: i segretari locali del Pd verranno scelti prima del leader nazionale e solo dagli iscritti, non più dagli elettori, mentre il partito si trasformerà in un partito federato. Tradotto dal politichese all'italiano: Renzi si troverebbe ingabbiato, con un apparato già preconfezionato dalla precedente gestione e quindi fedele alla vecchia maggioranza interna e un gruppo parlamentare che ricalca equilibri interni del passato. Un modo per dissuadere il sindaco dall'idea di scendere in campo. «Hanno paura e vogliono fregarmi», ha spiegato Renzi ai suoi.


Però sulla strada imboccata, il Bersani federatore «anti-renziano» sta trovando più di un ostacolo e il suo schieramento rischia di sfaldarsi. Tanto per cominciare, il documento non è firmato perché quelli che lo avrebbero sottoscritto non erano tantissimi e mediaticamente sarebbe stato un boomerang. E poi nella vecchia maggioranza si stanno aprendo nuove crepe. Dario Franceschini, per esempio, sta cominciando a prendere le distanze. Il ministro per i rapporti con il Parlamento, che ieri ha riunito i suoi, è stato chiaro: «Ci vuole un leader nuovo e ci vuole una politica nuova». Insomma, ha aperto a Renzi.
I franceschiniani non hanno partecipato alla riunione di Bersani. Il perché lo ha spiegato in modo più che tagliente Gianclaudio Bressa: «Quella è un'assemblea di comunisti». E in effetti erano invitati solo gli ex Ds. Però nemmeno tra di loro l'iniziativa è andata alla grande. Quaranta parlamentari bersaniani hanno sottoscritto una lettera per criticare le pratiche correntizie del loro ex leader e per prendere le distanze da lui. Alcuni di loro sperano in Nicola Zingaretti, altri, come Alessandra Moretti, stanno veleggiando verso i lidi renziani. Dalemiani e «giovani turchi» hanno mandato una mini-delegazione alla riunione, giusto per non rompere i rapporti con l'ex segretario. Ma ciò che pensa di Bersani, Massimo D'Alema non è un mistero per nessuno. E anche Matteo Orfini (che non è andato alla riunione) non ha troppi peli sulla lingua quando parla dell'iniziativa dell'ex leader e dei suoi sostenitori: «Mi sembrano come quelli che stavano sul Titanic, ma non prima dello scontro con l'iceberg, dopo...».


Bersani però non demorde. Tanto che c'è chi pensa che l'ultima mossa potrebbe essere quella di rinviare il congresso. Del resto Guglielmo Epifani una data ancora non l'ha detta. Nemmeno nell'ultima segreteria, quando c'era chi gliela sollecitava...


Maria Teresa Meli
13 giugno 2013 | 10:17
© RIPRODUZIONE RISERVATA

http://www.corriere.it/politica/13_giug ... 64c6.shtml
Ultima modifica di camillobenso il 14/06/2013, 11:42, modificato 1 volta in totale.
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