Cose di casa Diccì - 3
12 GIU 12:06
1. ECCO IL PIANO DEL ROTTAMATORE CONTRO LA CASTA DEL PD BY BERSANI & FRANCESCHINI: PARTITO DEI SINDACI CHE VINCONO LE ELEZIONI E ALLEANZA COI DALEMIANI -
2. BAFFINO-BLITZ PER FAR CADERE IL GOVERNO LETTA E LANCIARE MATTEUCCIO A PALAZZO CHIGI: A OTTOBRE RITORNO AL MATTARELLUM COL VOTO DEI GRILLINI IN LIBERA USCITA -
3. ALLE AMMINISTRATIVE VINCE IL MODELLO RENZI: NIENTE SIMBOLO PD E ADDIO AL ROSSO -
4. I BERSANIANI REDIVIVI CON IL 16 A ZERO VOGLIONO LA VENDETTA: DOCUMENTO ANTI-RENZI E BATTAGLIA PER PIAZZARE STUMPO A CAPO DELLA COMMISSIONE CONGRESSO -
5. DA BETTINI A FIORONI, IL CORRENTONE CONTRO IL ROTTAMATORE PUNTA SU ZINGARETTI -
1 - MODELLO RENZI: ROSSO ADDIO, SOLO IL ROTTAMATORE COME TESTIMONIAL, ECCO COME IL PD E' TORNATO A VINCERE LE ELEZIONI
Jacopo Iacoboni per "La Stampa"
«Il Pd non si intesti questa vittoria», ha avvisato il sindaco di Firenze già lunedì sera, in tv. «Il lavoro è il lavoro nostro, prima che del partito», spiegava ieri mattina Giovanni Manildo davanti a Ca' Sugana, sede del comune di Treviso appena sottratto alla Lega dopo 19 anni di era Gentilini.
Ecco, è come se a Treviso, Brescia, Imperia, Siena, nella stessa Roma, i sindaci del Pd avessero maturato l'idea che si può vincere, ma quasi smarcandosi dal Pd, un parente di cui ci si vergogna forse un po'.
Volete sapere che cosa avevano in comune Manildo, appunto, e Emilio Del Bono a
Brescia, o Carlo Capacci a Imperia, e persino un sindaco assai diverso da loro, Ignazio Marino a Roma? Per vincere hanno scolorito l'appartenenza, diluito la pesantezza politica del voto. Marino lo diceva fin dagli slogan (a parte il «daje»), «non è politica, è Roma». Convinzione che si è tradotta un po' in tutti i vincitori in uno stratagemma elementare: il simbolo del Pd non compariva nei siti delle campagne elettorali o negli spot (chi li ha fatti), era quasi assente negli slogan (tranne che nella campagna di Siena, ma ci torneremo).
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Insomma, in questo sono stati tutti super-renziani;
non c'era il logo del Pd, nello show del Renzi delle primarie.
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Lo slogan in quasi tutti è stato «cambiare», o almeno darne l'idea. Manildo ha sottolineato l'inclusione («Il sindaco di tutti i trevigiani», «con me tutti i trevigiani saranno il sindaco»), ma anche la partecipazione, con concessione lessicale all'espressione «beni comuni», ossia, strizzatina d'occhio a tutto il mondo-Pisapia, la sinistra partecipata e dal basso, trasversalità, non solo neocentrismo democristiano.
I colori di Manildo erano l'azzurro tenue (dello scout), l'arancione (della democrazia dal basso), il giallo e il verde, al limite il rosa. Le magliette, azzurre e col logo di Superman, «superManildo». Il messaggio chiave di Renzi è diventato uno slogan, un sms con un semplice «dai che a Treviso ce la facciamo».
Così come Del Bono a Brescia puntava su un «cambiare si deve», due soli colori for-
ti, il blu e il rosso, assieme al forte ambientalismo di «respiriamo»; e Carlo Capacci - che a Imperia ha sommato al centrosinistra anche un pezzo di centrodestra anti Scajola - proponeva «cambiamo insieme Imperia», oppure «il vento è girato davvero», e Ignazio Marino «liberiamo Roma». Al nord hanno accettato come testimonial in campagna elettorale solo Renzi, un po' di Serracchiani o Civati; poco si sono viste le facce - poniamo - di D'Alema, dei turchi, di Bersani.
A Roma Marino ha speso, oltre alla sua, solo due immagini non casuali: Serracchiani e Pisapia. Soltanto Valentini, a Siena, ha usato nei cartelloni il logo del partito e lo sfondo rosso; ma Siena è Siena; e Valentini aveva il problema di dover tenere comunque insieme una strana alleanza in cui lui, renziano sia pure dell'ultima ora, firmava una tregua con l'area Ceccuzzi, l'ex sindaco della giunta dimissionaria. Si vince così, magari perdendo voti; oppure, come in Sicilia, con tantissime liste civiche che affiancano quella ufficiale del Pd. Sono tempi strani. Bisogna sapercisi muovere come in un Vietnam della politica. Mimetizzandosi.
2 - D'ALEMA PREPARA IL BLITZ PER FAR CADERE IL GOVERNO A OTTOBRE: RITORNO AL MATTARELLUM IN ACCORDO COI GRILLINI
Monica Guerzoni per "Il Corriere della Sera"
«Se a ottobre i saggi non avranno trovato un accordo per cambiare il Porcellum, io sono per fare una legge per tornare al Mattarellum, con chi ci sta». L'avvertimento arriva da Massimo D'Alema, intervistato da Lilli Gruber a Otto e mezzo. E quando la conduttrice gli fa notare che una simile mossa del Parlamento tirerebbe giù il governo, l'ex premier conferma il rischio: «Quagliariello ha detto che se fra quattro mesi i saggi non hanno una proposta è tanto meglio andare a casa e io condivido perfettamente...».
A Palazzo Chigi l'intervista non è passata inosservata, anche per i «consigli» che il già presidente del Pd ha offerto a Matteo Renzi, con il quale ha ripreso a parlarsi: «È una personalità fortissima, ha una grande forza di attrazione del consenso, ma se fossi nei suoi panni doserei meglio le mie forze, non starei tutti i giorni sui giornali...».
Consiglio numero due: dotarsi di un profilo internazionale. Numero tre: approfondire i grandi temi della vita del Paese. «Ora Renzi è uno straordinario comunicatore, ma se fa crescere la sua statura potrebbe essere la guida del Paese e avremmo risolto il problema della leadership». Parole che, c'è da giurarci, i democratici analizzeranno con la lente d'ingrandimento, per capire se davvero si tratti di un «endorsement» o di un «trappolone».
Il cuore del ragionamento dalemiano è che il Pd ha bisogno di un leader forte, ma anche di un gruppo dirigente autorevole e riconoscibile: «Io e Veltroni siamo stati sostanzialmente cacciati, ma non mi pare che la situazione sia migliorata in modo travolgente». Ruggini e vecchi rancori che rischiano di riaffiorare in vista del Congresso.
I bersaniani giurano che «nessuno vuole fregare Renzi».
Ma ormai è chiaro che pochi fra i dirigenti siano disposti a consegnare il Pd, chiavi in mano, al sindaco di Firenze. La vittoria di Marino a Roma ha rafforzato Zingaretti e ora il presidente del Lazio medita seriamente di scendere in campo al Congresso, in chiave anti Renzi. «Sarebbe una candidatura di grande autorevolezza e prestigio», lo incoraggia Fioroni.
La battaglia delle regole sarà cruciale. Epifani ha convocato per lunedì la commissione congresso ed è già braccio di ferro su chi dovrà guidarla.
Al Nazareno ritengono che il candidato naturale sia Nico Stumpo, l'ex responsabile dell'Organizzazione al quale Renzi non vuole affidare le regole del gioco perché «è un po' come mettere Dracula in un centro Avis». E così i renziani, in asse con i dalemiani, provano a stopparlo proponendo che a presiedere il tavolo sia Roberto Gualtieri, eurodeputato autorevole molto vicino all'ex premier. «Qui non c'è nessuno che vuol fregare nessuno - assicura il bersaniano Davide Zoggia -. Siamo tutti della stessa squadra, regole e tempi del Congresso andranno bene a tutti».
Eppure i renziani non sono tranquilli e scaldano i motori. Il 22 e 23 giugno si riuniranno a Torino per un workshop autofinanziato con i parlamentari più vicini al sindaco (Bonafè, Boschi, Giachetti...).
Gli avversari di Renzi, che a Roma ha visto il ministro Delrio, la leggono come una riunione di corrente e si preparano a contrastarlo. Prima mossa: separare da Statuto la figura del segretario da quella del candidato a Palazzo Chigi. Se Renzi è contrario, per Fioroni le due candidature «devono essere distinte». E Bersani è ancora più netto: «Combatterò strenuamente per evitare che il Pd scivoli su un modello personalistico. Non si può scimmiottare chi fa il pifferaio e parla solo in base ai sondaggi».
3 - I BERSANIANI CHIAMANO GLI EX DS, MA D'ALEMA BENEDICE RENZI
Da "La Stampa"
È una chiamata alle armi in chiave anti-Renzi l'invito che i bersaniani hanno diramato agli ex Ds per un incontro oggi alla Camera. Un evento preparato stilando un documento mirato a fare la "pace"; e preceduto da una serie di riunioni della corrente dell'ex segretario. Ma l'area ex Ds è divisa e la presenza di «giovani turchi» e dalemiani non sarà massiccia.
«Hanno capito che sono isolati e vogliono uscire dall'angolo», commenta l'iniziativa un dalemiano doc. Bersani è tornato alla riscossa e si è lanciato contro i «partiti leaderistici e personali», con chiaro riferimento al rottamatore. Invece a Otto e Mezzo, D'Alema ha usato ben altre parole: «Il Pd ha bisogno di costruire una forte leadership. Certo con Renzi abbiamo ripreso a discutere. incontrato, ho cercato di dargli dei consigli. È una personalità fortissima con una grande forza di attrazione del consenso, se fossi in lui doserei meglio le mie forze e lavorerei sul profilo internazionale: se fa crescere la sua statura come uomo di governo e uomo di stato, può essere la guida del paese e avremmo risolto il problema della leadership.