ITALIA-EMERGENZA LAVORO
Re: ITALIA-EMERGENZA LAVORO
inutile, in certe cose i napoletani hanno una marcia in più.
Niente più finestrini tappezzati di giornali e ansie varie per occhi indiscreti o, peggio, malintenzionati. Meglio un amore libero sì, ma al sicuro. E' l'obiettivo de " La parada del amor", il primo love parking per coppie in cerca d'intimità. E' il primo in Campania, aperto a Pozzuoli in via Coste d'Agnano. Si tratta di un'area di sosta custodita e autorizzata dal Comune, in uno spiazzo verde precedentemente utilizzato come rimessa di barche, non lontano dalla Solfatara.
Le foto
E' attrezzata con 32 piazzole, ognuna separata dall'altra da un apposito velo separé blu: due ore di "parcheggio" costano 5 euro, più 1.50 per le successive frazioni. L'idea è di due fratelli napoletani, Riccardo e Daniele Casaletta, 36 e 31 anni, il primo libero professionista, l'altro operaio, da sei mesi in cassa integrazione.
"Abbiamo inaugurato la struttura mercoledì sera - spiega quest'ultimo - e già abbiamo avuto i nostri primi ospiti". Sono soprattutto giovani ragazzi, che qui possono tranquillamente godersi attimi di relax senza alcuna preoccupazione. "Troppo a lungo - prosegue Daniele - le cronache locali hanno riportato rapine o aggressioni alle coppiette appartate per strada".
L'area, la terza di questo tipo in Italia dopo Cremona e Bari, ha già una sua pagina Facebook ufficiale e l'orario di apertura è dalle 18 alle 2 nei giorni feriali, con punte fino alle 4 per i festivi.
"Fidanzatini teenagers, coppie di fatto, etero o gay, persone che semplicemente vogliano discutere in privato: il parco è aperto a tutti tutti", conclude Daniele. E fornisce, in aggiunta, un vero e proprio servizio di accoglienza: all'ingresso infatti, il personale dà agli automobilisti un sacchetto con tutto il "necessaire" per i momenti successivi, incluso un preservativo e un volantino per la pratica del sesso sicuro.
I primi commenti istituzionali sono più che favorevoli: "Tutti i comuni - spiegano i responsabili dei Giovani Verdi della Campania Fausto Colantuoni e Marco Gaudini - devono seguire l'esempio di Pozzuoli. Finalmente i giovani napoletani hanno un posto sicuro ed economico dove potersi appartare. Sono anni che ci battiamo per ottenerli".
Ma il sindaco di Pozzuoli non ci sta. Vincenzo Figliolia ha disposto "immediati accertamenti" sul "parco dell' amore" realizzato in un parcheggio nella zona della Solfatara precisano di non aver concesso "alcuna autorizzazione".
"Nessuno ha mai autorizzato la realizzazione sul territorio comunale di un "parco dell'amore" o strutture simili - ha reso noto il sindaco -. In ogni caso ho disposto immediati accertamenti con gli uffici comunali competenti in modo da fare luce su tutti gli eventuali passaggi burocratici che sarebbero stati fatti e siamo pronti anche ad intervenire in forma di autotutela".
"I rappresentanti di questo fantomatico parco dell'amore - insiste Figliolia - dovranno rendere conto al Comune e all'intera cittadinanza, spiegando bene quale autorizzazione abbiano presentato", conclude il sindaco di Pozzuoli.
(30 maggio 2013)
Niente più finestrini tappezzati di giornali e ansie varie per occhi indiscreti o, peggio, malintenzionati. Meglio un amore libero sì, ma al sicuro. E' l'obiettivo de " La parada del amor", il primo love parking per coppie in cerca d'intimità. E' il primo in Campania, aperto a Pozzuoli in via Coste d'Agnano. Si tratta di un'area di sosta custodita e autorizzata dal Comune, in uno spiazzo verde precedentemente utilizzato come rimessa di barche, non lontano dalla Solfatara.
Le foto
E' attrezzata con 32 piazzole, ognuna separata dall'altra da un apposito velo separé blu: due ore di "parcheggio" costano 5 euro, più 1.50 per le successive frazioni. L'idea è di due fratelli napoletani, Riccardo e Daniele Casaletta, 36 e 31 anni, il primo libero professionista, l'altro operaio, da sei mesi in cassa integrazione.
"Abbiamo inaugurato la struttura mercoledì sera - spiega quest'ultimo - e già abbiamo avuto i nostri primi ospiti". Sono soprattutto giovani ragazzi, che qui possono tranquillamente godersi attimi di relax senza alcuna preoccupazione. "Troppo a lungo - prosegue Daniele - le cronache locali hanno riportato rapine o aggressioni alle coppiette appartate per strada".
L'area, la terza di questo tipo in Italia dopo Cremona e Bari, ha già una sua pagina Facebook ufficiale e l'orario di apertura è dalle 18 alle 2 nei giorni feriali, con punte fino alle 4 per i festivi.
"Fidanzatini teenagers, coppie di fatto, etero o gay, persone che semplicemente vogliano discutere in privato: il parco è aperto a tutti tutti", conclude Daniele. E fornisce, in aggiunta, un vero e proprio servizio di accoglienza: all'ingresso infatti, il personale dà agli automobilisti un sacchetto con tutto il "necessaire" per i momenti successivi, incluso un preservativo e un volantino per la pratica del sesso sicuro.
I primi commenti istituzionali sono più che favorevoli: "Tutti i comuni - spiegano i responsabili dei Giovani Verdi della Campania Fausto Colantuoni e Marco Gaudini - devono seguire l'esempio di Pozzuoli. Finalmente i giovani napoletani hanno un posto sicuro ed economico dove potersi appartare. Sono anni che ci battiamo per ottenerli".
Ma il sindaco di Pozzuoli non ci sta. Vincenzo Figliolia ha disposto "immediati accertamenti" sul "parco dell' amore" realizzato in un parcheggio nella zona della Solfatara precisano di non aver concesso "alcuna autorizzazione".
"Nessuno ha mai autorizzato la realizzazione sul territorio comunale di un "parco dell'amore" o strutture simili - ha reso noto il sindaco -. In ogni caso ho disposto immediati accertamenti con gli uffici comunali competenti in modo da fare luce su tutti gli eventuali passaggi burocratici che sarebbero stati fatti e siamo pronti anche ad intervenire in forma di autotutela".
"I rappresentanti di questo fantomatico parco dell'amore - insiste Figliolia - dovranno rendere conto al Comune e all'intera cittadinanza, spiegando bene quale autorizzazione abbiano presentato", conclude il sindaco di Pozzuoli.
(30 maggio 2013)
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Re: ITALIA-EMERGENZA LAVORO
I dati della crisi
Scheda 6) Le aziende a rischio
=======================================================================================
6 – 1) – Aggiornata al 14 maggio 2013
Milano, 'Le Tre Marie' di Sammontana
va a Verona: 239 lavoratori a rischio
Ieri nel capoluogo un centinaio di dipendenti ha organizzato un presidio davanti alla sede di Assolombarda, l'associazione imprenditoriale dell'area milanese dove la famosa azienda dell'alimentare ha incontrato alcuni delegati sindacali
di Franz Baraggino
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06 ... io/626070/
Scheda 6) Le aziende a rischio
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Milano, 'Le Tre Marie' di Sammontana
va a Verona: 239 lavoratori a rischio
Ieri nel capoluogo un centinaio di dipendenti ha organizzato un presidio davanti alla sede di Assolombarda, l'associazione imprenditoriale dell'area milanese dove la famosa azienda dell'alimentare ha incontrato alcuni delegati sindacali
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Re: ITALIA-EMERGENZA LAVORO
LA CRISI DI FABRIANO
Indesit dichiara il «fermo produttivo»
causa scioperi. Insorgono i sindacati
L’azienda di dichiara costretta a mandare a casa i lavoratori. Fiom Fim Uilm: «Comportamento antisindacale»
Inatteso fermo produttivo alla Indesit. A causa degli scioperi di Melano e Albacina, è «impossibile approvvigionare correttamente le linee produttive - è stato annunciato ai lavoratori della società di Fabriano - e per questo Indesit Company si è vista «costretta a effettuare il fermo produttivo». L’attività lavorativa, è stato assicurato, riprenderà regolarmente il giorno 2 luglio».
LA REPLICA - «È un comportamento antisindacale» è stata la replica dei sindacati. Fiom, Fim e Uilm si riservano di denunciare l’azienda. Gli operai sono scesi in strada. La tensione è ora ai massimi, dopo la già traumatica rottura delle trattative sulla conferma da parte dell’ azienda dei 1.425 esuberi. Per la leader della Cgil Susanna Camusso, la ristrutturazione di Indesit più che rispondere a una crisi aziendale sembra essere un pretesto per «portare gli utili all’estero». Il ministero dello Sviluppo Flavio Zanonato aveva assicurato da parte sua l’impegno per la tutela dei lavoratori.
«PRONTI A TUTTO» - «Siamo pronti a tutto, da questa azienda ormai ci aspettiamo di tutto: ma lo slogan è ‘la nostra protesta non si arresta». Valeria Tizzoni, delegata Rsu Fiom della Indesit di Melano, parla dal presidio che i lavoratori messi in libertà (qui la produzione riprende il 1 luglio) tengono sotto la pioggia battente, nel cortile dello stabilimento. Stamattina quando un rappresentante di Indesit ha convocato la Rsu per leggere la comunicazione della messa in mobilità «ci siamo alzati a metà lettura e ce ne siamo andati. Non è vero che Indesit è costretta a interrompere la produzione perché gli scioperi impediscono l’ingresso dei camion con le materie prime: abbiamo sempre lasciato finestre per l’approvvigionamento». Anche oggi le tute blu si organizzano per turni: i lavoratori che escono tornano con viveri e bevande, o per dare il cambio ai compagni. Sia qui che ad Albacina la protesta, pacifica, è sorvegliata da polizia e carabinieri, fermi all’esterno dei corpi di fabbrica. Qualche lavoratore comincia a temere un replay del caso Fiat, possibili denunce da parte aziendale per occupazione o per il presunto danneggiamento di materiali: voci incontrollate e nulla di più, almeno fino a questo momento.
28 giugno 2013 | 15:39
http://www.corriere.it/economia/13_giug ... 0609.shtml
Indesit dichiara il «fermo produttivo»
causa scioperi. Insorgono i sindacati
L’azienda di dichiara costretta a mandare a casa i lavoratori. Fiom Fim Uilm: «Comportamento antisindacale»
Inatteso fermo produttivo alla Indesit. A causa degli scioperi di Melano e Albacina, è «impossibile approvvigionare correttamente le linee produttive - è stato annunciato ai lavoratori della società di Fabriano - e per questo Indesit Company si è vista «costretta a effettuare il fermo produttivo». L’attività lavorativa, è stato assicurato, riprenderà regolarmente il giorno 2 luglio».
LA REPLICA - «È un comportamento antisindacale» è stata la replica dei sindacati. Fiom, Fim e Uilm si riservano di denunciare l’azienda. Gli operai sono scesi in strada. La tensione è ora ai massimi, dopo la già traumatica rottura delle trattative sulla conferma da parte dell’ azienda dei 1.425 esuberi. Per la leader della Cgil Susanna Camusso, la ristrutturazione di Indesit più che rispondere a una crisi aziendale sembra essere un pretesto per «portare gli utili all’estero». Il ministero dello Sviluppo Flavio Zanonato aveva assicurato da parte sua l’impegno per la tutela dei lavoratori.
«PRONTI A TUTTO» - «Siamo pronti a tutto, da questa azienda ormai ci aspettiamo di tutto: ma lo slogan è ‘la nostra protesta non si arresta». Valeria Tizzoni, delegata Rsu Fiom della Indesit di Melano, parla dal presidio che i lavoratori messi in libertà (qui la produzione riprende il 1 luglio) tengono sotto la pioggia battente, nel cortile dello stabilimento. Stamattina quando un rappresentante di Indesit ha convocato la Rsu per leggere la comunicazione della messa in mobilità «ci siamo alzati a metà lettura e ce ne siamo andati. Non è vero che Indesit è costretta a interrompere la produzione perché gli scioperi impediscono l’ingresso dei camion con le materie prime: abbiamo sempre lasciato finestre per l’approvvigionamento». Anche oggi le tute blu si organizzano per turni: i lavoratori che escono tornano con viveri e bevande, o per dare il cambio ai compagni. Sia qui che ad Albacina la protesta, pacifica, è sorvegliata da polizia e carabinieri, fermi all’esterno dei corpi di fabbrica. Qualche lavoratore comincia a temere un replay del caso Fiat, possibili denunce da parte aziendale per occupazione o per il presunto danneggiamento di materiali: voci incontrollate e nulla di più, almeno fino a questo momento.
28 giugno 2013 | 15:39
http://www.corriere.it/economia/13_giug ... 0609.shtml
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Re: ITALIA-EMERGENZA LAVORO
Vox populi
QUESTO E' IL CAPITALISMO BELLEZZA!
28.06|23:07 bourget
Questo è il capitalismo. Il bene che ne può derivare è un fatto casuale, non voluto. Al capitalismo cosa interessa? Il bene del lavoratore? Bisogna capire cosa ci sta al vertice della piramide. Ci sta il profitto o il lavoratore? Se si decide che ciò che conta è il profitto, senza un’etica…anzi senza “l’ETICA” (vadano a veder cosa significa i paladini del profitto). Il bene supremo cos’è? il lavoro? Il guadagno? Se è così allora sarà sempre peggio, ci vorranno far credere che per vivere dovremo fare a meno delle ferie, delle domeniche, non potremo più ammalarci, né stare con la famiglia e sapete perché? Perché ci sarà sempre qualcuno, in questo mondo globalizzato, che lo farà…perché già esistono gli ultimi, i diseredati, quelli che lavorano per un dollaro al giorno, lavorano 10 o più ore al giorno senza alcuna tutela. Non si tratta più di sindacati lavativi o non lavativi…levatevi le ragnatele dagli occhi, ingenuoni. La domandona è questa: È questo che farà andare avanti il mondo? È questo ciò che vogliamo tutti? Fermiamoci a riflettere. Io non so quale sia la soluzione. Ma se è questo che accetteremo passivamente, allora non meravigliamoci più se aumenterà il caos e la violenza. Il capitalismo selvaggio, senza un bilanciamento, porterà a forti tensioni sociali. E saranno guai grossi…per tutti.
Oggi anche la Whirpool ha annunciato
28.06|23:00 denci1964
la chiusura dello stabilimento di Spini do Gardoli (Trento), quasi cinquecento lavoratori a casa entro 75 giorni. Si prepara la fine dell'Industria Italiana, ed il collasso della nostra economia.
Lettore_2151...e quindi...
28.06|22:32 balubbino
bella tirata...e allora cosa si fa ? Si sciopera starnazzando ? Pensa che una multinazionale se ne cala molto di scioperi simili?E poi ,lei , andrebbe a lavorare x un'altra azienda se le dessero il 20 % in +?Si?Allora lei è uguale a Indesit . Come molti lei fa le pentole ma non i coperchi...le soluzioni...
GLI OPERAI SI RIDUCANO LA PAGA PER CONSENTIRE A INDESIT DI RESTARE IN ITALIA !!!!!!
28.06|22:14 limor
È il momento in cui é necessario che il sindacato ridimensioni le proprie brame!!!!
Anziche nominare una commissione (ma ci vorrebbe a livello statale per tutte le industrie)...
28.06|21:35 balkanian
... e cercare di studiare di come venir fuori da queste situazioni, facciamo sciopero e soprattutto la voce grossa, come suggerito da Camusso a Squinzi (chissa' cosa avra voluto dirre), che di noi sara' il regno dei cieli (nell'aldila gli ultimi sranno i primi...). Avanti cosi'...
balubbino
28.06|19:07 Lettore_2151
lei ad esempio è un costo altissimo. Lei non vuole capire che di bravi idealisti come lei la Serbia è piena e costano solo 330 euro al mese. Un costo come lei deve essere tagliato. lo so lei si impegna e non è un assenteista, ma purtroppo il suo salario è troppo alto e anche se mi dice che è disposto a lavorare per 300 euro al mese, io vado in Serbia lo stesso perchè la risparmio su energia è tasse. Questo è quello che voi liberalfallimentaqri non capirete nemmeno quando sarete cacciati in quanto costo inutile.
Mi dispiace per i lavoratori...
28.06|18:54 guido1972
... che sono difesi da una organizzazione che non ha capito che viviamo nel terzo millennio. Un'epoca in cui i consumatori acquistano dove vogliono e i produttori producono dove ritengono più vantaggioso farlo. Pensare di poter condizionare le aziende (con prove di forza) nelle loro scelte strategiche è soltanto controproducente. Può non piacere ma nell'era della globalizzazione le aziende sono più che mai libere di definire le proprie strategie di impresa.
@hydrogen
28.06|18:15 Lettore-1286151
e allora scioperiamo così se ne vanno prima? oppure i sindacati fanno un bagno di umilità e si siedono finalmente ad un tavolo per cedere qualcosa a vantaggio dell'ITALIA?!? Mattia
hydrogen...le aziende se ne vanno da MOLTI anni...
28.06|18:14 balubbino
la domanda e xchè se ne vanno ?La risposta?
Forse non avete capito...
28.06|18:08 hydrogen
Il caso Indesit ha creato interesse perchè se ne sta andando una azienda che non è in crisi, ma che fa utili. Se lavorate in un'altra azienda quindi, pensate che questa rimarrà in Italia? E se siete dipendenti pubblici, dove troverà i soldi lo stato per i vostri stipendi se tutti se ne vanno? Oggi tocca ai dipendenti Indesit, domani tocca a voi. A meno che non vogliate andare in Polonia o Turchia...
difendere i lavoratori ...da se stessi ?
28.06|18:08 balubbino
l'attuale sistema non permette di selezionare seriamente chi è bravo/serio/lavoratore/onesto da chi non lo è .La selezione lavora su leve costosissime x le aziende : buttare fuori un assenteista è costoso ,lungo e rischioso (ricorsi,sindacati...) .I lavoratori non capiscono che ci fosse un sistema di selezione efficiente x l'impresa non ci sarebbero molte storture ... i sindacati vivono su questa anomalia ,prosperano ...ci mangiano .Le ditte chiudono.
MA SENZA LAVORO E SENZA SOLDI,COME FACCIO A COMPRARE?
28.06|16:49 Lettore_2225593
Mangia pane a tradimento ma come si fa a dire alle aziende di assumere perche' si sono decisi di dare il bonus? L'azienda paga un'esagerazione di tasse,noi lavoratori anche.Mi spiegate quale cacchio di economia deve ripartire? Siamo in mano a dei ciarlatani,e' questa la verita'.
L'azienda da che mondo è mondo
28.06|16:36 Pigione_1893
Fa gli interessi dei lavoratori a discapito degli utili da presentare agli azionisti. Visto che il mondo si sta ribaltando mi pare una affermazione quantomai ovvia. Ed è pure ovvio che le fabbriche chiudano per colpa dei sindacati non di certo per colpa di chi ha spremuto il più possibile i Lavoratori ed ora trova nuovi lidi da spremere. Tutta colpa dei sindacati, che minacciano il benessere dei Lavoratori, benessere fornito da quei santuomini di "datori di lavoro", che non dormono la notte per rendere felici i loro "addetti". Poi vi svegliate senza sindacati, senza aziende e con il "terzo mondo" che sta meglio di noi. Ed allora la colpa di chi sarà?!?!? A RIDICOLI!!!!
E intanto
28.06|16:25 Night Flyer
E intanto i cinesi lavorano, e poiché vivono in quaranta dove c'è spazio per dieci, tutti in dormitori a cento metri dalla fabbrica, e i loro fiumi e i loro cieli sono inquinati come nemmeno in uno scenario post-atomico, le loro lavatrici costano la metà delle Indesit, e pure i compagni della FIOM le comprano. Non se ne esce.
Per esperienza
28.06|16:24 Lettore_2192516
posso dire che nel settore industriale i sindacalisti eletti, nel 90% dei casi e con le dovute eccezioni, sono sempre quelli con meno voglia di lavorare e che sperano (e a volte funziona) che lo scudo del sindacato li faccia sempre escludere da liste di mobilita' o licenziamenti vari. Ci fu uno una volta, e parliamo di uno dei piu' grandi lavativi e parassiti che io ricordi, che venne eletto in rappresentanza di un sindacato minoritario in uno stabilimento di una delle piu' grandi multinazionali dei beni di consumo: prese due voti, il suo e quello di lista, tanto quanto bastava per essere eletto. La cosa l'aiuto' a resistere (a continuare a far niente stavolta ben protetto dal sindacato) per altri 4 anni, finche' parte dello stabilimento venne chiusa e il nostro fini' sulla lista di mobilita' e giustizia venne finalmente fatta.
Incredibilmente
28.06|16:17 pozzopizza
mi trovo a fare il "tifo" per l'azienda.
la Camusso, con le sue minacce, sta facendo fuggire le aziende dall'Italia.
28.06|16:09 giorgio47
La prepotenza della FIOM e della CGIL sta distruggendo quel poco di industriale che rimane.
In compenso tace davanti all'annientamento dell'ILVA da parte della Magistratura. Perchè?
a novembre
28.06|15:50 hugheshi
si vota ( dopo default a settembre ) preparatevi italioti .
Grazie sindacati!
28.06|15:15 SteP78
Con voi le aziende già in crisi hanno un motivi un più per levare barecche e burattini! Sempre con questo fantomatica "lotta" in testa con il "padrone", e mai pensare a collaborare per i vantaggi degli uni e degli altri!!!!
I sindacati si stanno scavando la fossa...
28.06|15:09 Giovanni Piazza
Non e' vero che in futuro non ci saranno piu' garanzie per i lavoratori. Vero e' che probabilmente non ci saranno piu' garanzie collettive. Motivo: nei sindacati, onesti lavoratori sono stati sostituiti da politicanti lavativi. Con risultati come questi che si vedono...
i Sindacati nascono per aiutare i lavoratori ....
28.06|14:58 Lettore-1286151
ma moriranno perchè ostacolano il lavoro! Mattia
Ma i sindacati sanno dove vivono??
28.06|14:54 Stefano 981
Lo sanno che c'è crisi e che gli ordini per le aziende si sono decimati? Brava Indesit, dovrebbe succedere più spesso anche con altre aziende. Se non ci sono i soldi c'è ben poco da scioperare, che anzi si rivela controproducente. In italia si pensa ancora all'imprenditore come lo sfruttatore, come facevano i faraoni dell'antico Egitto con gli schiavi, ma non è così! Spesso l'imprenditore è il primo a fare sacrifici, cosa che invece sindacati ed operai non accetterebbero assolutamente; "c'è un contratto da onorare e si ha diritto al posto di lavoro!!" E no cari, è finita la pacchia, il lavoro è il diritto, non il "posto"; quello te lo devi mantenere, lavorando. E quando i soldi finiscono non sarà di sicuro il sindacato a tirarli fuori, per cui scioperate pure se pensate che possa servire a qualcosa, ma se lo fate mettete anche in conto che vi state garantendo molti pomeriggi a guardare la tv sul divano... finche potrete permettervela. Una delle tantissime partite IVA che i sindacati ed i diritti non sa nemmeno cosa siano.
INDESIT E FIAT VITTIME DEI SINDACATI PARASSITI CHE SFRUTTANO LA CRISI PER STARE A GALLA.
28.06|14:40 newmonitor
Se il sindacato ha favorito i miglioramenti salariali in tempi di crescita economica, adesso che la crisi riduce i consumi, anzichè sostenere le imprese produttrici e la relativa occupazione, non sapendo che atteggiamento prendere, fanno finta di fare gli interessi dei lavoratori aumentando gli scontri sindacali. Questo dimostra la DEBOLEZZA del governo LETTA che mentre si impegna all'estero sul tema delle politiche internazionali fa finta di non accorgersi di quello che i sindacati fanno alle sue spalle. E come dire che LETTA FA ASSUMERE 1000 DIPENDENTI MENTRE I SINDACATI NE FANNO LICENZIARE 2000. A questo serve EPIFANI alla segreteria del Partito mentre Napolitano non prende posizione. ATTENDIAMO SPIEGAZIONI DAL GOVERNO LETTA E ALFANO NEL MERITO.
E invece
28.06|14:33 Lettore_2585465
di lavorare seriamente e dare un valido motivo alla Indesit per rimanere in Italia (visto che ormai scarseggiano le ragioni per restarci),loro cosa fanno? Scioperano!!! Ehhh bisogna dire che i sindacati hanno capito proprio tutto,sono davvero bravi....a portare ancora di piu' nel baratro il Paese.
La Indesit non fa beneficenza...
28.06|14:17 Sidney-bz
..se è vero che la produzione si ferma a causa degli scioperi non è certo colpa di Indesit. Anzi loro sono proprio i danneggiati: è proprio questa la funzione dello sciopero che, sarà anche sacrosanto, ma talvolta prende la forma del ricatto. Ma quale condotta antisindacale? Sono i sindacati ad avere una condotta anti-aziendali. Si ricordino che è l'azienda a far lavorare gli operai e viceversa. Se si rompe l'equilibrio allora cade tutto....chi ha da perdere di più?
telefonate a letta nipote
28.06|14:14 hugheshi
cosi ve lo trova lui il posto magari come forestali in calabria .
antisindacale non vuole dire sbagliato
28.06|14:04 gigietto1
..quindi i sindacati organizzano un'altro sciopero, quindi ancora piu' gente a casa. Ma a cosa serve il sindacato? Consiglio per Indesit: chiudi e vai all'estero
Brava Indesit.....................
28.06|14:01 EADMERO
Fai benone. Se i sindacati, (ciechi) proclamano uno sciopero in questo momento, ti fanno un grande favore: ma loro non l'hanno capito, e le pecore della massa li hanno seguiti!!!!!!!!!!!!!
non è così difficile
28.06|14:00 Prochy
solo i nostri politici ed i nostri sindacati non lo hanno ancora capito...più spremono le aziende, più queste evadono o scappano all'estero! Siamo destinati al default!!!
Gli utili all'estero ?
28.06|13:56 MarcoAP
Con questo livello di tassazione, questo costo del lavoro e questa giungla burocratica, soltanto un eroe della patria rimarrebbe a produrre qui. Conoscete qualche eroe da queste parti ?
Farebbero bene ...
28.06|13:53 NoOne777
... a portare gli utili all'estero, così non sarebbero costretti a mentenere gente come appunto la camusso.
QUESTO E' IL CAPITALISMO BELLEZZA!
28.06|23:07 bourget
Questo è il capitalismo. Il bene che ne può derivare è un fatto casuale, non voluto. Al capitalismo cosa interessa? Il bene del lavoratore? Bisogna capire cosa ci sta al vertice della piramide. Ci sta il profitto o il lavoratore? Se si decide che ciò che conta è il profitto, senza un’etica…anzi senza “l’ETICA” (vadano a veder cosa significa i paladini del profitto). Il bene supremo cos’è? il lavoro? Il guadagno? Se è così allora sarà sempre peggio, ci vorranno far credere che per vivere dovremo fare a meno delle ferie, delle domeniche, non potremo più ammalarci, né stare con la famiglia e sapete perché? Perché ci sarà sempre qualcuno, in questo mondo globalizzato, che lo farà…perché già esistono gli ultimi, i diseredati, quelli che lavorano per un dollaro al giorno, lavorano 10 o più ore al giorno senza alcuna tutela. Non si tratta più di sindacati lavativi o non lavativi…levatevi le ragnatele dagli occhi, ingenuoni. La domandona è questa: È questo che farà andare avanti il mondo? È questo ciò che vogliamo tutti? Fermiamoci a riflettere. Io non so quale sia la soluzione. Ma se è questo che accetteremo passivamente, allora non meravigliamoci più se aumenterà il caos e la violenza. Il capitalismo selvaggio, senza un bilanciamento, porterà a forti tensioni sociali. E saranno guai grossi…per tutti.
Oggi anche la Whirpool ha annunciato
28.06|23:00 denci1964
la chiusura dello stabilimento di Spini do Gardoli (Trento), quasi cinquecento lavoratori a casa entro 75 giorni. Si prepara la fine dell'Industria Italiana, ed il collasso della nostra economia.
Lettore_2151...e quindi...
28.06|22:32 balubbino
bella tirata...e allora cosa si fa ? Si sciopera starnazzando ? Pensa che una multinazionale se ne cala molto di scioperi simili?E poi ,lei , andrebbe a lavorare x un'altra azienda se le dessero il 20 % in +?Si?Allora lei è uguale a Indesit . Come molti lei fa le pentole ma non i coperchi...le soluzioni...
GLI OPERAI SI RIDUCANO LA PAGA PER CONSENTIRE A INDESIT DI RESTARE IN ITALIA !!!!!!
28.06|22:14 limor
È il momento in cui é necessario che il sindacato ridimensioni le proprie brame!!!!
Anziche nominare una commissione (ma ci vorrebbe a livello statale per tutte le industrie)...
28.06|21:35 balkanian
... e cercare di studiare di come venir fuori da queste situazioni, facciamo sciopero e soprattutto la voce grossa, come suggerito da Camusso a Squinzi (chissa' cosa avra voluto dirre), che di noi sara' il regno dei cieli (nell'aldila gli ultimi sranno i primi...). Avanti cosi'...
balubbino
28.06|19:07 Lettore_2151
lei ad esempio è un costo altissimo. Lei non vuole capire che di bravi idealisti come lei la Serbia è piena e costano solo 330 euro al mese. Un costo come lei deve essere tagliato. lo so lei si impegna e non è un assenteista, ma purtroppo il suo salario è troppo alto e anche se mi dice che è disposto a lavorare per 300 euro al mese, io vado in Serbia lo stesso perchè la risparmio su energia è tasse. Questo è quello che voi liberalfallimentaqri non capirete nemmeno quando sarete cacciati in quanto costo inutile.
Mi dispiace per i lavoratori...
28.06|18:54 guido1972
... che sono difesi da una organizzazione che non ha capito che viviamo nel terzo millennio. Un'epoca in cui i consumatori acquistano dove vogliono e i produttori producono dove ritengono più vantaggioso farlo. Pensare di poter condizionare le aziende (con prove di forza) nelle loro scelte strategiche è soltanto controproducente. Può non piacere ma nell'era della globalizzazione le aziende sono più che mai libere di definire le proprie strategie di impresa.
@hydrogen
28.06|18:15 Lettore-1286151
e allora scioperiamo così se ne vanno prima? oppure i sindacati fanno un bagno di umilità e si siedono finalmente ad un tavolo per cedere qualcosa a vantaggio dell'ITALIA?!? Mattia
hydrogen...le aziende se ne vanno da MOLTI anni...
28.06|18:14 balubbino
la domanda e xchè se ne vanno ?La risposta?
Forse non avete capito...
28.06|18:08 hydrogen
Il caso Indesit ha creato interesse perchè se ne sta andando una azienda che non è in crisi, ma che fa utili. Se lavorate in un'altra azienda quindi, pensate che questa rimarrà in Italia? E se siete dipendenti pubblici, dove troverà i soldi lo stato per i vostri stipendi se tutti se ne vanno? Oggi tocca ai dipendenti Indesit, domani tocca a voi. A meno che non vogliate andare in Polonia o Turchia...
difendere i lavoratori ...da se stessi ?
28.06|18:08 balubbino
l'attuale sistema non permette di selezionare seriamente chi è bravo/serio/lavoratore/onesto da chi non lo è .La selezione lavora su leve costosissime x le aziende : buttare fuori un assenteista è costoso ,lungo e rischioso (ricorsi,sindacati...) .I lavoratori non capiscono che ci fosse un sistema di selezione efficiente x l'impresa non ci sarebbero molte storture ... i sindacati vivono su questa anomalia ,prosperano ...ci mangiano .Le ditte chiudono.
MA SENZA LAVORO E SENZA SOLDI,COME FACCIO A COMPRARE?
28.06|16:49 Lettore_2225593
Mangia pane a tradimento ma come si fa a dire alle aziende di assumere perche' si sono decisi di dare il bonus? L'azienda paga un'esagerazione di tasse,noi lavoratori anche.Mi spiegate quale cacchio di economia deve ripartire? Siamo in mano a dei ciarlatani,e' questa la verita'.
L'azienda da che mondo è mondo
28.06|16:36 Pigione_1893
Fa gli interessi dei lavoratori a discapito degli utili da presentare agli azionisti. Visto che il mondo si sta ribaltando mi pare una affermazione quantomai ovvia. Ed è pure ovvio che le fabbriche chiudano per colpa dei sindacati non di certo per colpa di chi ha spremuto il più possibile i Lavoratori ed ora trova nuovi lidi da spremere. Tutta colpa dei sindacati, che minacciano il benessere dei Lavoratori, benessere fornito da quei santuomini di "datori di lavoro", che non dormono la notte per rendere felici i loro "addetti". Poi vi svegliate senza sindacati, senza aziende e con il "terzo mondo" che sta meglio di noi. Ed allora la colpa di chi sarà?!?!? A RIDICOLI!!!!
E intanto
28.06|16:25 Night Flyer
E intanto i cinesi lavorano, e poiché vivono in quaranta dove c'è spazio per dieci, tutti in dormitori a cento metri dalla fabbrica, e i loro fiumi e i loro cieli sono inquinati come nemmeno in uno scenario post-atomico, le loro lavatrici costano la metà delle Indesit, e pure i compagni della FIOM le comprano. Non se ne esce.
Per esperienza
28.06|16:24 Lettore_2192516
posso dire che nel settore industriale i sindacalisti eletti, nel 90% dei casi e con le dovute eccezioni, sono sempre quelli con meno voglia di lavorare e che sperano (e a volte funziona) che lo scudo del sindacato li faccia sempre escludere da liste di mobilita' o licenziamenti vari. Ci fu uno una volta, e parliamo di uno dei piu' grandi lavativi e parassiti che io ricordi, che venne eletto in rappresentanza di un sindacato minoritario in uno stabilimento di una delle piu' grandi multinazionali dei beni di consumo: prese due voti, il suo e quello di lista, tanto quanto bastava per essere eletto. La cosa l'aiuto' a resistere (a continuare a far niente stavolta ben protetto dal sindacato) per altri 4 anni, finche' parte dello stabilimento venne chiusa e il nostro fini' sulla lista di mobilita' e giustizia venne finalmente fatta.
Incredibilmente
28.06|16:17 pozzopizza
mi trovo a fare il "tifo" per l'azienda.
la Camusso, con le sue minacce, sta facendo fuggire le aziende dall'Italia.
28.06|16:09 giorgio47
La prepotenza della FIOM e della CGIL sta distruggendo quel poco di industriale che rimane.
In compenso tace davanti all'annientamento dell'ILVA da parte della Magistratura. Perchè?
a novembre
28.06|15:50 hugheshi
si vota ( dopo default a settembre ) preparatevi italioti .
Grazie sindacati!
28.06|15:15 SteP78
Con voi le aziende già in crisi hanno un motivi un più per levare barecche e burattini! Sempre con questo fantomatica "lotta" in testa con il "padrone", e mai pensare a collaborare per i vantaggi degli uni e degli altri!!!!
I sindacati si stanno scavando la fossa...
28.06|15:09 Giovanni Piazza
Non e' vero che in futuro non ci saranno piu' garanzie per i lavoratori. Vero e' che probabilmente non ci saranno piu' garanzie collettive. Motivo: nei sindacati, onesti lavoratori sono stati sostituiti da politicanti lavativi. Con risultati come questi che si vedono...
i Sindacati nascono per aiutare i lavoratori ....
28.06|14:58 Lettore-1286151
ma moriranno perchè ostacolano il lavoro! Mattia
Ma i sindacati sanno dove vivono??
28.06|14:54 Stefano 981
Lo sanno che c'è crisi e che gli ordini per le aziende si sono decimati? Brava Indesit, dovrebbe succedere più spesso anche con altre aziende. Se non ci sono i soldi c'è ben poco da scioperare, che anzi si rivela controproducente. In italia si pensa ancora all'imprenditore come lo sfruttatore, come facevano i faraoni dell'antico Egitto con gli schiavi, ma non è così! Spesso l'imprenditore è il primo a fare sacrifici, cosa che invece sindacati ed operai non accetterebbero assolutamente; "c'è un contratto da onorare e si ha diritto al posto di lavoro!!" E no cari, è finita la pacchia, il lavoro è il diritto, non il "posto"; quello te lo devi mantenere, lavorando. E quando i soldi finiscono non sarà di sicuro il sindacato a tirarli fuori, per cui scioperate pure se pensate che possa servire a qualcosa, ma se lo fate mettete anche in conto che vi state garantendo molti pomeriggi a guardare la tv sul divano... finche potrete permettervela. Una delle tantissime partite IVA che i sindacati ed i diritti non sa nemmeno cosa siano.
INDESIT E FIAT VITTIME DEI SINDACATI PARASSITI CHE SFRUTTANO LA CRISI PER STARE A GALLA.
28.06|14:40 newmonitor
Se il sindacato ha favorito i miglioramenti salariali in tempi di crescita economica, adesso che la crisi riduce i consumi, anzichè sostenere le imprese produttrici e la relativa occupazione, non sapendo che atteggiamento prendere, fanno finta di fare gli interessi dei lavoratori aumentando gli scontri sindacali. Questo dimostra la DEBOLEZZA del governo LETTA che mentre si impegna all'estero sul tema delle politiche internazionali fa finta di non accorgersi di quello che i sindacati fanno alle sue spalle. E come dire che LETTA FA ASSUMERE 1000 DIPENDENTI MENTRE I SINDACATI NE FANNO LICENZIARE 2000. A questo serve EPIFANI alla segreteria del Partito mentre Napolitano non prende posizione. ATTENDIAMO SPIEGAZIONI DAL GOVERNO LETTA E ALFANO NEL MERITO.
E invece
28.06|14:33 Lettore_2585465
di lavorare seriamente e dare un valido motivo alla Indesit per rimanere in Italia (visto che ormai scarseggiano le ragioni per restarci),loro cosa fanno? Scioperano!!! Ehhh bisogna dire che i sindacati hanno capito proprio tutto,sono davvero bravi....a portare ancora di piu' nel baratro il Paese.
La Indesit non fa beneficenza...
28.06|14:17 Sidney-bz
..se è vero che la produzione si ferma a causa degli scioperi non è certo colpa di Indesit. Anzi loro sono proprio i danneggiati: è proprio questa la funzione dello sciopero che, sarà anche sacrosanto, ma talvolta prende la forma del ricatto. Ma quale condotta antisindacale? Sono i sindacati ad avere una condotta anti-aziendali. Si ricordino che è l'azienda a far lavorare gli operai e viceversa. Se si rompe l'equilibrio allora cade tutto....chi ha da perdere di più?
telefonate a letta nipote
28.06|14:14 hugheshi
cosi ve lo trova lui il posto magari come forestali in calabria .
antisindacale non vuole dire sbagliato
28.06|14:04 gigietto1
..quindi i sindacati organizzano un'altro sciopero, quindi ancora piu' gente a casa. Ma a cosa serve il sindacato? Consiglio per Indesit: chiudi e vai all'estero
Brava Indesit.....................
28.06|14:01 EADMERO
Fai benone. Se i sindacati, (ciechi) proclamano uno sciopero in questo momento, ti fanno un grande favore: ma loro non l'hanno capito, e le pecore della massa li hanno seguiti!!!!!!!!!!!!!
non è così difficile
28.06|14:00 Prochy
solo i nostri politici ed i nostri sindacati non lo hanno ancora capito...più spremono le aziende, più queste evadono o scappano all'estero! Siamo destinati al default!!!
Gli utili all'estero ?
28.06|13:56 MarcoAP
Con questo livello di tassazione, questo costo del lavoro e questa giungla burocratica, soltanto un eroe della patria rimarrebbe a produrre qui. Conoscete qualche eroe da queste parti ?
Farebbero bene ...
28.06|13:53 NoOne777
... a portare gli utili all'estero, così non sarebbero costretti a mentenere gente come appunto la camusso.
Re: ITALIA-EMERGENZA LAVORO
Continua lo stillicidio. Parte il solito rituale: sciopero- richiesta di "un tavolo" - forse un incontro al ministero senza concludere nulla.
Intanto mi chiedo che ci fa la regione. Se non ha un ruolo ma serve solo ad invocare l'intervento del governo, tanto vale toglierla di mezzo. Magari si risparmierebbero un po' di soldi da mettere sul tavolo di una politica industriale. E poi occorrerebbe porsi il problema della competitività a livello generale, non inseguendo caso per caso. Se un governo, in questa situazione, non fa questo, a che serve? Che risolviamo con i giochi delle tre carte su IMU, IVA, qualche incentivo a pioggia, se non si prende il "toro per le corna"?
Vendola: aprire subito un tavolo
Natuzzi: mobilità per 1.726 dipendenti, i sindacati proclamano lo sciopero
Natuzzi ha comunicato oggi ai sindacati la riorganizzazione dell'assetto italiano del gruppo, con la collocazione in mobilità di 1.726 dipendenti a partire dalla fine della cassa integrazione (a ottobre prossimo). Tutto ciò per "salvaguardare la posizione di 2.789 lavoratori, di cui 1.449 interni e 1.340 nell'indotto"
Puglia, 01-07-2013
Natuzzi ha comunicato oggi ai sindacati la riorganizzazione dell'assetto italiano del gruppo, con la collocazione in mobilità di 1.726 dipendenti a partire dalla fine della cassa integrazione (a ottobre prossimo). Tutto ciò per ''salvaguardare la posizione di 2.789 lavoratori, di cui 1.449 interni e 1.340 nell'indotto''.
Durante l'incontro con i sindacati, a Roma, Natuzzi, azienda cardine del distretto del mobile imbottito, fra Puglia e Basilicata, ha spiegato che l'obiettivo da raggiungere, in una situazione che ''si è ulteriormente aggravata'', è ''la salvaguardia dell'azienda''. I dirigenti del gruppo industriale hanno sottolineato che ''il gap che attualmente separa i costi industriale di Natuzzi da quelli dei principali competitor stranieri e di alcuni concorrente sleali insediati nel distretto è enorme'', al punto che negli ultimi sei anni, dal 2007 al 2012, ''il gruppo ha registrato un Ebit (il risultato prima degli oneri finanziari) negativo per circa 140 milioni di euro, largamente imputabile agli elevati costi industriali e all'altissimo costo del lavoro''. Ciò concorre a rendere ''gli attuali organici in Italia non più sostenibili e tecnicamente non possono più essere gestiti attraverso la cassa integrazione''.
Il gruppo, che si è detto ''consapevole dell'impatto nel territorio'' che la riorganizzazione produrrà, ha auspicato che ''attraverso il dialogo e l'intervento congiunto di istituzioni, sindacati e di Natuzzi spa possa scaturire un percorso condiviso per trovare soluzioni efficaci e sostenibili''.
Filca Cisl: Lettere di licenziamento in settimana
"Le 1726 unità lavorative degli stabilimenti dell'area Murgiana dell'azienda di salotti Natuzzi saranno licenziate''. Lo precisa in una nota il segretario generale della Filca Cisl di Puglia, Crescenzio Gallo, a conclusione della presentazione del Piano industriale Natuzzi che si è tenuta oggi a Roma. ''E' stato il consulente per la riorganizzazione del gruppo Natuzzi, Domenico Massaro - spiega Gallo - ad annunciare che l'azienda potrà essere competitiva nei prossimi 5 anni solo a condizione che si proceda ai licenziamenti''. L'azienda, secondo la Filca Cisl di Puglia, ''non ha fatto alcun accenno all'Accordo di programma Murgia, che oltretutto prevede risorse per ben 101 milioni di euro'', spiegando che ''le lettere di licenziamento per i 1726 esuberi partiranno entro questa settimana''. ''La Filca Cisl di Puglia - osserva Gallo - teme che la Natuzzi abbia, con questo Piano industriale, iniziato il suo disimpegno nell'area murgiana, tralasciando le responsabilità sociali e l'impegno dichiarato presso la Regione Puglia il 19 Giugno scorso circa il rilancio delle proprie aziende''. La Filca chiederà subito un incontro alla Regione Puglia perchè possa partire il progetto ''Distretto della casa'' che attraverso un coordinamento delle istituzioni locali e nazionali possa rilanciare il comparto del mobile imbottito, riqualificando e rioccupando, all'interno dell'Accordo di programma gli oltre 5000 esuberi che attualmente insistono nel distretto murgiano.
Sciopero in tutti gli stabilimenti
L'immediato sciopero generale in tutti gli stabilimenti della Natuzzi è stato annunciato, in un comunicato congiunto, dalle segreterie nazionali Fenael Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil, ''unitamente alle segreterie regionali di Puglia e Basilicata, alle segreterie territoriali di Bari, Taranto, Matera, ed alle rsu del gruppo''. Per i sindacati è ''inaccettabile la decisione della direzione aziendale di aprire una procedura di mobilità per 1.726 lavoratori''. La decisione della Natuzzi, per i rappresentanti sindacali, è stata presa ''senza nessuna possibilità di effettuare un confronto per verificare e/o proporre soluzioni orientate al mantenimento dei posti di lavoro'': per questo Feneal, Filca e Fillea hanno ''respinto'' i contenuti del Piano Industriale presentato presso la sede di Confindustria a Roma''. Nel comunicato congiunto è sottolineato che ''questa decisione evidenzia il fallimento della dirigenza del Gruppo che dopo un lunghissimo periodo di concessione della cassa integrazione non ha saputo trovare nessun progetto credibile per il rilancio del brand''. Le segreterie nazionali ''chiedono alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Ministero dello Sviluppo Economico, al Ministero del Lavoro, la convocazione urgente di un tavolo alla presenza dei Presidenti delle Regioni Puglia e Basilicata, anche per dare esigibilità ai contenuti dell'Accordo di Programma recentemente sottoscritto''.
Vendola: attivare subito un tavolo
''Ho chiesto al Ministro per lo Sviluppo Economico Flavio Zanonato, l'immediata convocazione, presso il ministero, di un Tavolo nazionale dedicato alla ricerca di possibili soluzioni per la vertenza Natuzzi che, in queste ore, sta prendendo una piega assolutamente inaccettabile e pericolosa''. Lo afferma in una nota il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, a proposito dell'annuncio fatto oggi dai responsabili dell'azienda Natuzzi sulla messa in mobilità di 1.726 dipendenti. ''Prendiamo atto - aggiunge Vendola - che il piano industriale, presentato questa mattina a Roma, presso la sede di Confindustria, è un piano di lacrime e sangue, che va oltre ogni ragionevole condivisione''. ''La chiusura di ben due stabilimenti e la messa in mobilità di oltre 1700 dipendenti - continua il presidente della Regione Puglia - non può che destare preoccupazione e allarme. E' però indispensabile, a questo punto, che intervenga il Governo nazionale e che intervenga con serie e credibili proposte di politica industriale che, fino a questo momento, hanno più brillato per assenza che non per efficienza e concretezza''.
http://www.rainews24.it/it/news.php?new ... um=twitter
Intanto mi chiedo che ci fa la regione. Se non ha un ruolo ma serve solo ad invocare l'intervento del governo, tanto vale toglierla di mezzo. Magari si risparmierebbero un po' di soldi da mettere sul tavolo di una politica industriale. E poi occorrerebbe porsi il problema della competitività a livello generale, non inseguendo caso per caso. Se un governo, in questa situazione, non fa questo, a che serve? Che risolviamo con i giochi delle tre carte su IMU, IVA, qualche incentivo a pioggia, se non si prende il "toro per le corna"?
Vendola: aprire subito un tavolo
Natuzzi: mobilità per 1.726 dipendenti, i sindacati proclamano lo sciopero
Natuzzi ha comunicato oggi ai sindacati la riorganizzazione dell'assetto italiano del gruppo, con la collocazione in mobilità di 1.726 dipendenti a partire dalla fine della cassa integrazione (a ottobre prossimo). Tutto ciò per "salvaguardare la posizione di 2.789 lavoratori, di cui 1.449 interni e 1.340 nell'indotto"
Puglia, 01-07-2013
Natuzzi ha comunicato oggi ai sindacati la riorganizzazione dell'assetto italiano del gruppo, con la collocazione in mobilità di 1.726 dipendenti a partire dalla fine della cassa integrazione (a ottobre prossimo). Tutto ciò per ''salvaguardare la posizione di 2.789 lavoratori, di cui 1.449 interni e 1.340 nell'indotto''.
Durante l'incontro con i sindacati, a Roma, Natuzzi, azienda cardine del distretto del mobile imbottito, fra Puglia e Basilicata, ha spiegato che l'obiettivo da raggiungere, in una situazione che ''si è ulteriormente aggravata'', è ''la salvaguardia dell'azienda''. I dirigenti del gruppo industriale hanno sottolineato che ''il gap che attualmente separa i costi industriale di Natuzzi da quelli dei principali competitor stranieri e di alcuni concorrente sleali insediati nel distretto è enorme'', al punto che negli ultimi sei anni, dal 2007 al 2012, ''il gruppo ha registrato un Ebit (il risultato prima degli oneri finanziari) negativo per circa 140 milioni di euro, largamente imputabile agli elevati costi industriali e all'altissimo costo del lavoro''. Ciò concorre a rendere ''gli attuali organici in Italia non più sostenibili e tecnicamente non possono più essere gestiti attraverso la cassa integrazione''.
Il gruppo, che si è detto ''consapevole dell'impatto nel territorio'' che la riorganizzazione produrrà, ha auspicato che ''attraverso il dialogo e l'intervento congiunto di istituzioni, sindacati e di Natuzzi spa possa scaturire un percorso condiviso per trovare soluzioni efficaci e sostenibili''.
Filca Cisl: Lettere di licenziamento in settimana
"Le 1726 unità lavorative degli stabilimenti dell'area Murgiana dell'azienda di salotti Natuzzi saranno licenziate''. Lo precisa in una nota il segretario generale della Filca Cisl di Puglia, Crescenzio Gallo, a conclusione della presentazione del Piano industriale Natuzzi che si è tenuta oggi a Roma. ''E' stato il consulente per la riorganizzazione del gruppo Natuzzi, Domenico Massaro - spiega Gallo - ad annunciare che l'azienda potrà essere competitiva nei prossimi 5 anni solo a condizione che si proceda ai licenziamenti''. L'azienda, secondo la Filca Cisl di Puglia, ''non ha fatto alcun accenno all'Accordo di programma Murgia, che oltretutto prevede risorse per ben 101 milioni di euro'', spiegando che ''le lettere di licenziamento per i 1726 esuberi partiranno entro questa settimana''. ''La Filca Cisl di Puglia - osserva Gallo - teme che la Natuzzi abbia, con questo Piano industriale, iniziato il suo disimpegno nell'area murgiana, tralasciando le responsabilità sociali e l'impegno dichiarato presso la Regione Puglia il 19 Giugno scorso circa il rilancio delle proprie aziende''. La Filca chiederà subito un incontro alla Regione Puglia perchè possa partire il progetto ''Distretto della casa'' che attraverso un coordinamento delle istituzioni locali e nazionali possa rilanciare il comparto del mobile imbottito, riqualificando e rioccupando, all'interno dell'Accordo di programma gli oltre 5000 esuberi che attualmente insistono nel distretto murgiano.
Sciopero in tutti gli stabilimenti
L'immediato sciopero generale in tutti gli stabilimenti della Natuzzi è stato annunciato, in un comunicato congiunto, dalle segreterie nazionali Fenael Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil, ''unitamente alle segreterie regionali di Puglia e Basilicata, alle segreterie territoriali di Bari, Taranto, Matera, ed alle rsu del gruppo''. Per i sindacati è ''inaccettabile la decisione della direzione aziendale di aprire una procedura di mobilità per 1.726 lavoratori''. La decisione della Natuzzi, per i rappresentanti sindacali, è stata presa ''senza nessuna possibilità di effettuare un confronto per verificare e/o proporre soluzioni orientate al mantenimento dei posti di lavoro'': per questo Feneal, Filca e Fillea hanno ''respinto'' i contenuti del Piano Industriale presentato presso la sede di Confindustria a Roma''. Nel comunicato congiunto è sottolineato che ''questa decisione evidenzia il fallimento della dirigenza del Gruppo che dopo un lunghissimo periodo di concessione della cassa integrazione non ha saputo trovare nessun progetto credibile per il rilancio del brand''. Le segreterie nazionali ''chiedono alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Ministero dello Sviluppo Economico, al Ministero del Lavoro, la convocazione urgente di un tavolo alla presenza dei Presidenti delle Regioni Puglia e Basilicata, anche per dare esigibilità ai contenuti dell'Accordo di Programma recentemente sottoscritto''.
Vendola: attivare subito un tavolo
''Ho chiesto al Ministro per lo Sviluppo Economico Flavio Zanonato, l'immediata convocazione, presso il ministero, di un Tavolo nazionale dedicato alla ricerca di possibili soluzioni per la vertenza Natuzzi che, in queste ore, sta prendendo una piega assolutamente inaccettabile e pericolosa''. Lo afferma in una nota il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, a proposito dell'annuncio fatto oggi dai responsabili dell'azienda Natuzzi sulla messa in mobilità di 1.726 dipendenti. ''Prendiamo atto - aggiunge Vendola - che il piano industriale, presentato questa mattina a Roma, presso la sede di Confindustria, è un piano di lacrime e sangue, che va oltre ogni ragionevole condivisione''. ''La chiusura di ben due stabilimenti e la messa in mobilità di oltre 1700 dipendenti - continua il presidente della Regione Puglia - non può che destare preoccupazione e allarme. E' però indispensabile, a questo punto, che intervenga il Governo nazionale e che intervenga con serie e credibili proposte di politica industriale che, fino a questo momento, hanno più brillato per assenza che non per efficienza e concretezza''.
http://www.rainews24.it/it/news.php?new ... um=twitter
Re: ITALIA-EMERGENZA LAVORO
A guardare la Germania da lontano, il lavoro sembra essere l’ultimo problema dello Stato più potente d’Europa. Eppure di quel tasso di disoccupazione al 6,9% – molto al di sotto della media europea del 10,9%, anche se lontanissimo dallo 0,6% raggiunto negli anni Settanta – va fatta la tara. E in questa tara non possono non entrare i 7,4 milioni di tedeschi in possesso di un geringfügige Beschäftigung ovverosia di un minijob che permette di guadagnare fino a un massimo di 450 euro in esenzione di imposta.
Anche se l’istituzione del minijob ha tolto molti disoccupati dalla strada dando loro un reddito, l’impressione è che, come al solito, il vero affare lo abbiano fatto i datori di lavoro che con questo tipo di contratti possono tenere molto basso il costo del lavoro.
Da un po’ di tempo fra i lavoratori serpeggia il malumore: perché con le performance ottenute dalla Germania qualcuno non riesce a spiegarsi come mai questo “benessere” non venga condiviso, ovverosia come mai i minijob continuino a essere “mini” e non perdano il prefisso, diventando contratti veri e propri.
In Germania il dibattito si sta facendo acceso. Da una parte i sostenitori, per cui i minijob offrono ai giovani genitori tempo libero da dedicare ai figli, agli studenti un’opzione per guadagnare denaro in maniera legale ed esentasse e alle impese la flessibilità necessaria per adattare la forza lavoro alle proprie reali necessità. I minijob sono una vera e propria manna per i ristoranti e per tutte quelle attività (specialmente di vendita al dettaglio) che prevedono picchi di utenza e repentine decadute dei flussi di clienti.
Dall’altra parte, i critici sostengono come i minijob contribuiscano ad aumentare il divario tra ricchi e poveri, facendo crescere la povertà e minando i fondamenti del contratto sociale.
Mentre fra i lavoratori a tempo pieno, fra il 1999 e il 2010 gli stipendi sono aumentati mediamente del 25%, nello stesso periodo, nelle fasce più basse, i redditi hanno avuto un incremento del 7,5%. Visto che nello stesso periodo l’inflazione è aumentata del 18% a fronte di una crescita economica del 13%, molti tedeschi non hanno avuto l’impressione di partecipare ai vantaggi economici della crescita della nazione.
La questione sarà uno dei cavalli di battaglia dei Socialdemocratici nella campagna elettorale in vista delle elezioni politiche di settembre. E se Angela Merkel dal 1° gennaio ha fatto innalzare il limite del lavoro esentasse da 400 a 450 euro al mese, i Verdi chiedono che venga abbassato a 100 euro, in modo da creare i presupposti per contratti più regolari. Per i sostenitori i minijob sono una sorta di trampolino, per i detrattori creano una sorta di “ghetto”, ponendo chi è assunto con questi contratti ai margini del mondo del lavoro.
I minijob si sono diffusi soprattutto nella ex Germania Occidentale. Un recente studio pubblicato dal Ministero della Famiglia tedesco ha riscontrato come soprattutto le donne rischino di restare “intrappolate” nei minijobs che finirebbero per essere “un programma per la creazione permanente di impotenza e dipendenza economica delle donne”.
Nell’Eldorado tedesco, dunque, il minijob rappresenta un consolidato compromesso fra puro assistenzialismo e piena occupazione. Spesso i compromessi, da soli, non sono sufficienti e per 5 dei 7,3 milioni di mini-lavoratori questi contratti sono l’unica forma di reddito. E questi 5 milioni potrebbero essere l’ago della bilancia nelle elezioni politiche di fine estate.
http://it.finance.yahoo.com/notizie/ger ... 32255.html
Anche se l’istituzione del minijob ha tolto molti disoccupati dalla strada dando loro un reddito, l’impressione è che, come al solito, il vero affare lo abbiano fatto i datori di lavoro che con questo tipo di contratti possono tenere molto basso il costo del lavoro.
Da un po’ di tempo fra i lavoratori serpeggia il malumore: perché con le performance ottenute dalla Germania qualcuno non riesce a spiegarsi come mai questo “benessere” non venga condiviso, ovverosia come mai i minijob continuino a essere “mini” e non perdano il prefisso, diventando contratti veri e propri.
In Germania il dibattito si sta facendo acceso. Da una parte i sostenitori, per cui i minijob offrono ai giovani genitori tempo libero da dedicare ai figli, agli studenti un’opzione per guadagnare denaro in maniera legale ed esentasse e alle impese la flessibilità necessaria per adattare la forza lavoro alle proprie reali necessità. I minijob sono una vera e propria manna per i ristoranti e per tutte quelle attività (specialmente di vendita al dettaglio) che prevedono picchi di utenza e repentine decadute dei flussi di clienti.
Dall’altra parte, i critici sostengono come i minijob contribuiscano ad aumentare il divario tra ricchi e poveri, facendo crescere la povertà e minando i fondamenti del contratto sociale.
Mentre fra i lavoratori a tempo pieno, fra il 1999 e il 2010 gli stipendi sono aumentati mediamente del 25%, nello stesso periodo, nelle fasce più basse, i redditi hanno avuto un incremento del 7,5%. Visto che nello stesso periodo l’inflazione è aumentata del 18% a fronte di una crescita economica del 13%, molti tedeschi non hanno avuto l’impressione di partecipare ai vantaggi economici della crescita della nazione.
La questione sarà uno dei cavalli di battaglia dei Socialdemocratici nella campagna elettorale in vista delle elezioni politiche di settembre. E se Angela Merkel dal 1° gennaio ha fatto innalzare il limite del lavoro esentasse da 400 a 450 euro al mese, i Verdi chiedono che venga abbassato a 100 euro, in modo da creare i presupposti per contratti più regolari. Per i sostenitori i minijob sono una sorta di trampolino, per i detrattori creano una sorta di “ghetto”, ponendo chi è assunto con questi contratti ai margini del mondo del lavoro.
I minijob si sono diffusi soprattutto nella ex Germania Occidentale. Un recente studio pubblicato dal Ministero della Famiglia tedesco ha riscontrato come soprattutto le donne rischino di restare “intrappolate” nei minijobs che finirebbero per essere “un programma per la creazione permanente di impotenza e dipendenza economica delle donne”.
Nell’Eldorado tedesco, dunque, il minijob rappresenta un consolidato compromesso fra puro assistenzialismo e piena occupazione. Spesso i compromessi, da soli, non sono sufficienti e per 5 dei 7,3 milioni di mini-lavoratori questi contratti sono l’unica forma di reddito. E questi 5 milioni potrebbero essere l’ago della bilancia nelle elezioni politiche di fine estate.
http://it.finance.yahoo.com/notizie/ger ... 32255.html
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Re: ITALIA-EMERGENZA LAVORO
Sei in: Il Fatto Quotidiano > Emilia Romagna > Sciopero contro...
Sciopero contro 56 licenziamenti alla Motori Minarelli, lettera a ValeRossi
Una manifestazione per ricordare alla Yamaha, che ha acquisito l'azienda nel 2002, "che esistono altre strade per fronteggiare le crisi di mercato”. Un operaio ha scritto anche al campione di motociclismo su Facebook
di Annalisa Dall'Oca | 8 luglio 2013Commenti (1)
Sono arrivati con ancora indosso i grembiuli verdi da lavoro gli operai della Motori Minarelli, che hanno iniziato la loro battaglia contro i 56 licenziamenti annunciati dall’azienda con un presidio di protesta. Una manifestazione, organizzata in concomitanza con un incontro in Unindustria tra sindacati e dirigenza, per ricordare alla Yamaha, dal 2002 proprietaria dell’azienda fondata nel 1951 da Vittorio Minarelli e Franco Morini, “che esistono altre strade per fronteggiare le crisi di mercato” e che “essere licenziati oggi significa rimanere disoccupati molto a lungo. Non si possono lasciare sul lastrico tante famiglie in questo modo”. “La procedura di licenziamento – spiega Orlando Maviglia, delegato Fiom – è stata avviata dall’azienda perché Yamaha si è vista ridurre le commesse in Europa, e quindi ha subito un calo degli ordini sui nuovi scooter. Noi però non siamo disposti a cedere su questo punto: possiamo accettare accordi difficili, ammortizzatori sociali, contratti di solidarietà, ma i licenziamenti no. Bisogna trovare un’alternativa”.
La crisi della Motori Minarelli è iniziata nel 2008 ma in 5 anni, racconta Maviglia, “si sono sempre trovate soluzioni praticabili, anche se pesanti”: la cassa integrazione ordinaria, quella straordinaria, i contratti di solidarietà, “che peraltro potrebbero essere riattivati”. Oggi, però, l’azienda non sembra più disposta a dialogare: “Gianfranco Zironi, amministratore delegato della Motori Minarelli, ci ha detto che siamo su ‘posizioni distanti’. Certo, perché non intendiamo accettare 56 esuberi su 283 dipendenti, 215 dei quali sono operai, per la maggior parte donne”. Esuberi che, di fatto, dimezzerebbero il personale prevalentemente femminile impiegato nello stabilimento adibito alla lavorazione, “un segnale bruttissimo – spiega la Fiom – che sembra andare nella direzione di una dismissione della produzione in Italia. Purtroppo oggi succede sempre più spesso che le aziende si rivolgano all’estero per produrre, dove i costi sono più bassi. Le multinazionali fanno così quando vogliono dismettere un sito. Ma lavoratori, sindacati e istituzioni non devono permettere che ciò accada anche alla Motori Minarelli, perché l’Italia ha già perso troppe aziende”.
“Siamo sempre stati un’eccellenza, non vogliamo diventare un’officina di montaggio che assembla pezzi di scarsa qualità prodotti all’estero, in Indonesia, in Vietnam, in India” spiegano i lavoratori dello stabilimento di Calderara di Reno, in provincia di Bologna, che per due ore hanno manifestato sotto alle finestre di Unindustra mentre Fim Cisl e Fiom Cgil discutevano la procedura con la dirigenza della Minarelli e i rappresentanti Yamaha. Tra loro, oltre a delegazioni delle principali fabbriche del tessuto produttivo bolognese, dalla Gd alla Bonfiglioli Riduttori, dalla Ducati all’Ima, c’era anche l’operaio – fantoccio vestito con un camice da lavoro, sul petto la scritta “siamo solo numeri”. “Che ne sarebbe di chi viene lasciato a casa? – si domandano – Come potrebbe continuare a mantenere la propria famiglia?”.
Dopo la procedura di ‘mobilità controllata’ da 70 esuberi attivata nel 2010, del resto, chi si trovava vicino alla pensione ha lasciato l’azienda e “nessuno dei lavoratori che oggi potrebbe essere licenziato avrebbe alternative oltre alla disoccupazione. In questo momento storico è necessario ricordare che l’andamento del mercato non può ricadere sulle spalle delle persone: da quando Yamaha ha comprato la Motori Minarelli lavoriamo a ritmi serrati, senza interruzioni, come una catena di montaggio di cent’anni fa. Lo accettiamo, in cambio chiediamo solo che la nostra professionalità sia salvaguardata”.
L’incontro si è concluso con un nulla di fatto ma Fim e Fiom sono pronti a “mettere in campo nuove iniziative di protesta” per convincere la proprietà a ritornare sui suoi passi. “L’azienda ha constatato che abbiamo due visioni diametralmente opposte. È vero, e domattina in assemblea discuteremo con i lavoratori per proseguire la nostra battaglia. A noi non sfugge l’andamento del mercato, ma se mantenere la competitività significa abbandonare al loro destino 56 famiglie, allora non ci stiamo. Una multinazionale come Yamaha deve essere in grado di trovare delle soluzioni alternative”.
Marco, dipendente della Motori Minarelli, per denunciare la situazione ha scritto persino a Valentino Rossi che, in sella a una Yamaha, è tornato a vincere. “Ciao Dottore – scrive su Facebook l’operaio – sono un dipendente della Motori Minarelli di Bologna, primario partner europeo di Yamaha per la produzione di motori da scooter e moto. Mi faccio portavoce di tutti i dipendenti e sindacati per denunciare la grave situazione aziendale. Correva l’anno 2008, l’11 aprile si festeggiava il 10milionesimo motore prodotto con grande festa aziendale, grandi ringraziamenti da parte della dirigenza italiana e giapponese, e la moto campione del mondo in bella vista. A distanza di sei mesi veniamo travolti come tutti dalla crisi, con grandi scuse dalla dirigenza giapponese per gli errati calcoli di mercato e dimissioni in tronco del presidente. Nel corso di questi anni si è ricorso ad ogni tipo di ammortizzatore sociale, ma continuando a non vigilare su sprechi e organizzazione come se nulla fosse successo. Oggi Motori Minarelli dichiara di volere licenziare 56 operai, incolpevoli delle scelte fatte negli anni addietro, siamo passati dalle oltre 400 unità lavorative a circa 290, e come sempre gli errori dei dirigenti ricadono sugli operai. Mandiamo a casa chi ci ha fatto perdere lavoro, competitività e soldi!”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/07 ... si/650147/
Sciopero contro 56 licenziamenti alla Motori Minarelli, lettera a ValeRossi
Una manifestazione per ricordare alla Yamaha, che ha acquisito l'azienda nel 2002, "che esistono altre strade per fronteggiare le crisi di mercato”. Un operaio ha scritto anche al campione di motociclismo su Facebook
di Annalisa Dall'Oca | 8 luglio 2013Commenti (1)
Sono arrivati con ancora indosso i grembiuli verdi da lavoro gli operai della Motori Minarelli, che hanno iniziato la loro battaglia contro i 56 licenziamenti annunciati dall’azienda con un presidio di protesta. Una manifestazione, organizzata in concomitanza con un incontro in Unindustria tra sindacati e dirigenza, per ricordare alla Yamaha, dal 2002 proprietaria dell’azienda fondata nel 1951 da Vittorio Minarelli e Franco Morini, “che esistono altre strade per fronteggiare le crisi di mercato” e che “essere licenziati oggi significa rimanere disoccupati molto a lungo. Non si possono lasciare sul lastrico tante famiglie in questo modo”. “La procedura di licenziamento – spiega Orlando Maviglia, delegato Fiom – è stata avviata dall’azienda perché Yamaha si è vista ridurre le commesse in Europa, e quindi ha subito un calo degli ordini sui nuovi scooter. Noi però non siamo disposti a cedere su questo punto: possiamo accettare accordi difficili, ammortizzatori sociali, contratti di solidarietà, ma i licenziamenti no. Bisogna trovare un’alternativa”.
La crisi della Motori Minarelli è iniziata nel 2008 ma in 5 anni, racconta Maviglia, “si sono sempre trovate soluzioni praticabili, anche se pesanti”: la cassa integrazione ordinaria, quella straordinaria, i contratti di solidarietà, “che peraltro potrebbero essere riattivati”. Oggi, però, l’azienda non sembra più disposta a dialogare: “Gianfranco Zironi, amministratore delegato della Motori Minarelli, ci ha detto che siamo su ‘posizioni distanti’. Certo, perché non intendiamo accettare 56 esuberi su 283 dipendenti, 215 dei quali sono operai, per la maggior parte donne”. Esuberi che, di fatto, dimezzerebbero il personale prevalentemente femminile impiegato nello stabilimento adibito alla lavorazione, “un segnale bruttissimo – spiega la Fiom – che sembra andare nella direzione di una dismissione della produzione in Italia. Purtroppo oggi succede sempre più spesso che le aziende si rivolgano all’estero per produrre, dove i costi sono più bassi. Le multinazionali fanno così quando vogliono dismettere un sito. Ma lavoratori, sindacati e istituzioni non devono permettere che ciò accada anche alla Motori Minarelli, perché l’Italia ha già perso troppe aziende”.
“Siamo sempre stati un’eccellenza, non vogliamo diventare un’officina di montaggio che assembla pezzi di scarsa qualità prodotti all’estero, in Indonesia, in Vietnam, in India” spiegano i lavoratori dello stabilimento di Calderara di Reno, in provincia di Bologna, che per due ore hanno manifestato sotto alle finestre di Unindustra mentre Fim Cisl e Fiom Cgil discutevano la procedura con la dirigenza della Minarelli e i rappresentanti Yamaha. Tra loro, oltre a delegazioni delle principali fabbriche del tessuto produttivo bolognese, dalla Gd alla Bonfiglioli Riduttori, dalla Ducati all’Ima, c’era anche l’operaio – fantoccio vestito con un camice da lavoro, sul petto la scritta “siamo solo numeri”. “Che ne sarebbe di chi viene lasciato a casa? – si domandano – Come potrebbe continuare a mantenere la propria famiglia?”.
Dopo la procedura di ‘mobilità controllata’ da 70 esuberi attivata nel 2010, del resto, chi si trovava vicino alla pensione ha lasciato l’azienda e “nessuno dei lavoratori che oggi potrebbe essere licenziato avrebbe alternative oltre alla disoccupazione. In questo momento storico è necessario ricordare che l’andamento del mercato non può ricadere sulle spalle delle persone: da quando Yamaha ha comprato la Motori Minarelli lavoriamo a ritmi serrati, senza interruzioni, come una catena di montaggio di cent’anni fa. Lo accettiamo, in cambio chiediamo solo che la nostra professionalità sia salvaguardata”.
L’incontro si è concluso con un nulla di fatto ma Fim e Fiom sono pronti a “mettere in campo nuove iniziative di protesta” per convincere la proprietà a ritornare sui suoi passi. “L’azienda ha constatato che abbiamo due visioni diametralmente opposte. È vero, e domattina in assemblea discuteremo con i lavoratori per proseguire la nostra battaglia. A noi non sfugge l’andamento del mercato, ma se mantenere la competitività significa abbandonare al loro destino 56 famiglie, allora non ci stiamo. Una multinazionale come Yamaha deve essere in grado di trovare delle soluzioni alternative”.
Marco, dipendente della Motori Minarelli, per denunciare la situazione ha scritto persino a Valentino Rossi che, in sella a una Yamaha, è tornato a vincere. “Ciao Dottore – scrive su Facebook l’operaio – sono un dipendente della Motori Minarelli di Bologna, primario partner europeo di Yamaha per la produzione di motori da scooter e moto. Mi faccio portavoce di tutti i dipendenti e sindacati per denunciare la grave situazione aziendale. Correva l’anno 2008, l’11 aprile si festeggiava il 10milionesimo motore prodotto con grande festa aziendale, grandi ringraziamenti da parte della dirigenza italiana e giapponese, e la moto campione del mondo in bella vista. A distanza di sei mesi veniamo travolti come tutti dalla crisi, con grandi scuse dalla dirigenza giapponese per gli errati calcoli di mercato e dimissioni in tronco del presidente. Nel corso di questi anni si è ricorso ad ogni tipo di ammortizzatore sociale, ma continuando a non vigilare su sprechi e organizzazione come se nulla fosse successo. Oggi Motori Minarelli dichiara di volere licenziare 56 operai, incolpevoli delle scelte fatte negli anni addietro, siamo passati dalle oltre 400 unità lavorative a circa 290, e come sempre gli errori dei dirigenti ricadono sugli operai. Mandiamo a casa chi ci ha fatto perdere lavoro, competitività e soldi!”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/07 ... si/650147/
Re: ITALIA-EMERGENZA LAVORO
La competitività azzoppata
E l'Italia torna nel mirino dei mercati. "Lavoro supertassato, altro che Iva e Imu". La bocciatura di S&P spiegata con lo squilibrio fiscale: rischio avvitamento. Un'impresa paga tasse del 60% per cento
di FEDERICO FUBINI
C'è una frase che spiega più di mille numeri, o della prossimità stessa dell'Italia al rango di "spazzatura" sui mercati dopo il taglio al rating di ieri. Spiega Standard & Poor's, nell'annunciare la sua bocciatura: "La composizione del bilancio è un deterrente alla crescita: le tasse sugli investimenti e sul lavoro sono più alte di quelle sulla proprietà immobiliare e sui consumi". Un italiano che apre un'impresa paga tasse al 60% sull'attività, al 50% sul lavoro, e può finire strozzato dall'incapacità delle banche di dar credito o dell'amministrazione di dare i permessi. Invece un italiano che si dedica alla rendita, non crea un solo posto di lavoro, ma sarà premiato.
Se investe in titoli di Stato o nel mattone pagherà appena il 12,5% di prelievo sui redditi da Btp e magari gli verrà anche tolta o ridotta qualunque tassa sulla casa. In un paese che punisce al contrario come un carabiniere di Pinocchio, perseguire la rendita e l'inerzia del denaro ormai ha perfettamente senso; il rischio, il lavoro e la crescita sono invece ormai scelte quasi irrazionali. Poco importa che in Italia le imposte sugli immobili, al 2% del totale delle entrate, siano già oggi (a pieno regime Imu) appena metà della media dei paesi avanzati.
Per fortuna l'Italia è ancora piena di persone così illogiche da non cedere alle sirene di un fisco distorto, ma neanche loro possono rimuovere la realtà descritta ieri da Standard & Poor's. Negli ultimi dieci anni la crescita del paese è stata, onore ai decimali, meno 0,04 per cento. Da quando la crisi finanziaria ha colpito, il Prodotto lordo è crollato dell'8 per cento e continua a scendere a ritmo sostenuto. Su questo sfondo, vista da Londra, da Bruxelles, da Washington o da Francoforte, la discussione italiana sull'Imu o sull'Iva appaiono sempre di più un sofisticato esercizio nell'irrilevanza economica.
Il sistema erode ogni giorno di più i suoi fermenti di competitività, al punto che gli investimenti nel 2012 sono giù dell'8 per cento e anche l'export quest'anno ha iniziato a scendere (-0,3 per cento, secondo Hsbc); nel frattempo, S&P, le banche si stanno ormai dimostrando incapaci di generare il credito necessario perché le imprese funzionino. Malgrado i tassi quasi zero della Banca centrale europea, il costo reale di ciascun prestito è ormai ben più alto di prima che il sipario del debito si strappasse nel 2008. Questa è la ragione di fondo del rischio di sostenibilità che emerge per i debiti pubblici e privati: Haver Analytics, un centro studi di New York, stima che solo negli ultimi nove mesi del 2012 il debito cumulato di tutti i soggetti in Italia (famiglie, imprese, Stato e società finanziarie) sia salito del 15% del Pil. Più l'economia perde capacità di competere nel mondo e slitta verso il basso, più il peso relativo di tutti i debiti - non solo quello pubblico - aumenta.
Intanto il sistema politico investe tempo e energia sul taglio dell'Imu o il rinvio sull'aumento dell'Iva, come se davvero da questo dipendesse la ripresa. Enrico Letta sa bene che non è così e ieri lo ha ricordato, sottolineando che l'Italia resta un "sorvegliato speciale". Ma lui per primo sa quanto sia duro imprimere un senso di marcia al paese, dopo che Silvio Berlusconi ha giocato la sua ultima carta su un altro premio alle rendite immobiliari e una parte del suo stesso partito punta più su un rilancio dei consumi che della produttività. La decisione di Standard & Poor's adesso non potrà che riportare tensioni, spinte centrifughe e paralisi decisionale nella maggioranza.
Del resto proprio questo è uno dei fattori che Standard & Poor's ha valutato con più attenzione negli ultimi mesi. I responsabili dell'agenzia di rating sono stati spesso in Italia negli ultimi mesi. A maggio, quando l'elezione di un presidente della Repubblica e la nascita del governo sembravano fuori portata, S&P è stata a un passo dal declassamento dell'Italia. La decisione era praticamente pronta. Poi Giorgio Napolitano ha dato la sua disponibilità a un rinnovo del mandato al Colle e il governo Letta ha iniziato a lavorare. In quelle settimane gli analisti del rating hanno sospeso il giudizio e si sono messi alla finestra, per vedere fino a che punto il nuovo esecutivo era in grado di affrontare i problemi del paese.
Quella luna di miele ora è finita. Sia S&P, che il Fondo monetario internazionale, che la stessa Commissione europea - ciascuno con le sue contraddizioni - stanno dando tutti all'Italia lo stesso messaggio: non vanno sostenuti i consumi, un (costoso) cucchiaino di zucchero all'economia, ma rafforzati i muscoli. Si può criticare certo il messaggero: Standard & Poor's sottovalutò a lungo, talvolta in malafede, la bolla immobiliare e creditizia americana; in certe fasi, la scelta di tempo dei suoi interventi ha creato sui mercati un panico evitabile. Ma neanche questo autorizza gli italiani a eludere il messaggio. L'evidenza dei numeri, messa in risalto da S&P, mostra che nel paese si è generato in questi anni il più ampio ritardo di produttività nell'area euro. Il costo di ciascuna ora di lavoro in Italia, in proporzione al valore prodotto, è il più alto della zona euro: si spiega così, con questa caduta della produttività il paradosso di un paese con costi troppo alti, ma salari che a volte non permettono di arrivare alla fine del mese.
(10 luglio 2013)
http://www.repubblica.it/economia/2013/ ... ef=HREC1-8
E l'Italia torna nel mirino dei mercati. "Lavoro supertassato, altro che Iva e Imu". La bocciatura di S&P spiegata con lo squilibrio fiscale: rischio avvitamento. Un'impresa paga tasse del 60% per cento
di FEDERICO FUBINI
C'è una frase che spiega più di mille numeri, o della prossimità stessa dell'Italia al rango di "spazzatura" sui mercati dopo il taglio al rating di ieri. Spiega Standard & Poor's, nell'annunciare la sua bocciatura: "La composizione del bilancio è un deterrente alla crescita: le tasse sugli investimenti e sul lavoro sono più alte di quelle sulla proprietà immobiliare e sui consumi". Un italiano che apre un'impresa paga tasse al 60% sull'attività, al 50% sul lavoro, e può finire strozzato dall'incapacità delle banche di dar credito o dell'amministrazione di dare i permessi. Invece un italiano che si dedica alla rendita, non crea un solo posto di lavoro, ma sarà premiato.
Se investe in titoli di Stato o nel mattone pagherà appena il 12,5% di prelievo sui redditi da Btp e magari gli verrà anche tolta o ridotta qualunque tassa sulla casa. In un paese che punisce al contrario come un carabiniere di Pinocchio, perseguire la rendita e l'inerzia del denaro ormai ha perfettamente senso; il rischio, il lavoro e la crescita sono invece ormai scelte quasi irrazionali. Poco importa che in Italia le imposte sugli immobili, al 2% del totale delle entrate, siano già oggi (a pieno regime Imu) appena metà della media dei paesi avanzati.
Per fortuna l'Italia è ancora piena di persone così illogiche da non cedere alle sirene di un fisco distorto, ma neanche loro possono rimuovere la realtà descritta ieri da Standard & Poor's. Negli ultimi dieci anni la crescita del paese è stata, onore ai decimali, meno 0,04 per cento. Da quando la crisi finanziaria ha colpito, il Prodotto lordo è crollato dell'8 per cento e continua a scendere a ritmo sostenuto. Su questo sfondo, vista da Londra, da Bruxelles, da Washington o da Francoforte, la discussione italiana sull'Imu o sull'Iva appaiono sempre di più un sofisticato esercizio nell'irrilevanza economica.
Il sistema erode ogni giorno di più i suoi fermenti di competitività, al punto che gli investimenti nel 2012 sono giù dell'8 per cento e anche l'export quest'anno ha iniziato a scendere (-0,3 per cento, secondo Hsbc); nel frattempo, S&P, le banche si stanno ormai dimostrando incapaci di generare il credito necessario perché le imprese funzionino. Malgrado i tassi quasi zero della Banca centrale europea, il costo reale di ciascun prestito è ormai ben più alto di prima che il sipario del debito si strappasse nel 2008. Questa è la ragione di fondo del rischio di sostenibilità che emerge per i debiti pubblici e privati: Haver Analytics, un centro studi di New York, stima che solo negli ultimi nove mesi del 2012 il debito cumulato di tutti i soggetti in Italia (famiglie, imprese, Stato e società finanziarie) sia salito del 15% del Pil. Più l'economia perde capacità di competere nel mondo e slitta verso il basso, più il peso relativo di tutti i debiti - non solo quello pubblico - aumenta.
Intanto il sistema politico investe tempo e energia sul taglio dell'Imu o il rinvio sull'aumento dell'Iva, come se davvero da questo dipendesse la ripresa. Enrico Letta sa bene che non è così e ieri lo ha ricordato, sottolineando che l'Italia resta un "sorvegliato speciale". Ma lui per primo sa quanto sia duro imprimere un senso di marcia al paese, dopo che Silvio Berlusconi ha giocato la sua ultima carta su un altro premio alle rendite immobiliari e una parte del suo stesso partito punta più su un rilancio dei consumi che della produttività. La decisione di Standard & Poor's adesso non potrà che riportare tensioni, spinte centrifughe e paralisi decisionale nella maggioranza.
Del resto proprio questo è uno dei fattori che Standard & Poor's ha valutato con più attenzione negli ultimi mesi. I responsabili dell'agenzia di rating sono stati spesso in Italia negli ultimi mesi. A maggio, quando l'elezione di un presidente della Repubblica e la nascita del governo sembravano fuori portata, S&P è stata a un passo dal declassamento dell'Italia. La decisione era praticamente pronta. Poi Giorgio Napolitano ha dato la sua disponibilità a un rinnovo del mandato al Colle e il governo Letta ha iniziato a lavorare. In quelle settimane gli analisti del rating hanno sospeso il giudizio e si sono messi alla finestra, per vedere fino a che punto il nuovo esecutivo era in grado di affrontare i problemi del paese.
Quella luna di miele ora è finita. Sia S&P, che il Fondo monetario internazionale, che la stessa Commissione europea - ciascuno con le sue contraddizioni - stanno dando tutti all'Italia lo stesso messaggio: non vanno sostenuti i consumi, un (costoso) cucchiaino di zucchero all'economia, ma rafforzati i muscoli. Si può criticare certo il messaggero: Standard & Poor's sottovalutò a lungo, talvolta in malafede, la bolla immobiliare e creditizia americana; in certe fasi, la scelta di tempo dei suoi interventi ha creato sui mercati un panico evitabile. Ma neanche questo autorizza gli italiani a eludere il messaggio. L'evidenza dei numeri, messa in risalto da S&P, mostra che nel paese si è generato in questi anni il più ampio ritardo di produttività nell'area euro. Il costo di ciascuna ora di lavoro in Italia, in proporzione al valore prodotto, è il più alto della zona euro: si spiega così, con questa caduta della produttività il paradosso di un paese con costi troppo alti, ma salari che a volte non permettono di arrivare alla fine del mese.
(10 luglio 2013)
http://www.repubblica.it/economia/2013/ ... ef=HREC1-8
Re: ITALIA-EMERGENZA LAVORO
http://www.huffingtonpost.it/2013/07/09 ... _ref=italy
Da Domenico Menniti riceviamo e pubblichiamo:
"L'acquisizione di Loro Piana da parte di LVHM è solo l'ultimo esempio in ordine di tempo di quello che sta avvenendo ormai da troppi anni: è la logica conclusione dell’assenza di una seria politica di sviluppo industriale dell’Italia.
Per decenni l’attenzione della classe dirigente di questo Paese si è concentrata, erroneamente, sulla meccanica pesante, sulle autostrade mai completate, sul cemento. Tutto con una miopia, con una visione medievale, con un respiro corto.
Panerai scrive: “se le banche…si fossero mosse per far nascere due o tre grandi gruppi del lusso, oggi Loro Piana sarebbe ancora in mani italiane”.
Purtroppo con i se e con i ma non si riscrive la storia. Abbiamo per anni detto che, nei nostri viaggi all’estero, avvertivamo forte la assenza del nostro Paese mentre Francesi, Tedeschi e Americani godevano del supporto forte e deciso dei loro governi.
Nel 2004 inaugurammo la prima boutique Harmont & Blaine in Cina a Guangzhou.
I partner cinesi di allora ci chiesero la presenza delle autorità (volutamente scritto con la minuscola) Italiane che, impegnate in altre attività non ci concessero il benché minimo supporto. Va bene, ci dicemmo, siamo una piccola azienda che parte per una impresa impossibile, 14 milioni di fatturato, così deve andare. Ne avevamo aperte 12 di boutique in Cina saremmo dovuti arrivare a 30 entro questo anno. Le abbiamo chiuse tutte a Febbraio 2012 per usurpazione del marchio unitamente alla chiusura del desk per la assistenza alle aziende italiane in Cina per la protezione dei marchi.
Oggi fatturiamo quasi 100 di milioni di euro con circa 500 dipendenti diretti, presenza in quattro continenti, testardamente attestati nel Mezzogiorno d’Italia, a confrontarci quotidianamente con un player internazionale che fattura 6 miliardi di dollari.
Come potremmo noi non comprendere il travaglio dei fratelli Loro Piana nell’assumere la più difficile ed irreversibile decisione della storia centenaria dell’azienda.
Resistere portando avanti la bandiera della Italianità totale o trovare alleanze per garantire la continuità dello storico brand, il rafforzamento dell’azienda ed una migliore capacità di penetrare i mercati mondiali?
L’Italia non offre e non potrà più offrire alternative che non è stata capace di costruire negli ultimi 25 anni del secolo scorso. Si è perso troppo tempo ed il tempo non è una variabile indipendente
Colpa degli imprenditori, colpa delle banche, colpa della politica?
A cosa servono queste sterili discussioni quando, di fronte allo sfacelo delle istituzioni, all'assenza della politica si continua ad assistere agli sprint di questo o quel ministro per ottenere uno strillo in prima pagina su ipotesi che vendono ritirate il giorno dopo?
Imu, Tares, Tarsu mentre il mondo corre veloce, mentre quelle nazioni che noi chiamiamo ancora emergenti sono emerse da un pezzo e sono diventate protagoniste su palcoscenico del mondo. Forse la sicurezza che poi le bellezze naturali, il patrimonio artistico più importante del mondo ci hanno cullato nella certezza che tutto si sarebbe risistemato, che le nostre inefficienze sarebbero state compensate da altri valori che solo noi italiani possedevamo. No, non è così. Lo shopping continua, la produzione resterà forse in Italia ma altrove andrà il valore aggiunto, quello che genera capacità di comunicazione e di investimento.
Facciamo qualcosa, tutti assieme, se non vogliamo che l’Italia resti un guscio vuoto, una bella conchiglia su una spiaggia deserta."
Domenico Menniti
Presidente ed A.D. Harmont & Blaine S.p.A.
Da Domenico Menniti riceviamo e pubblichiamo:
"L'acquisizione di Loro Piana da parte di LVHM è solo l'ultimo esempio in ordine di tempo di quello che sta avvenendo ormai da troppi anni: è la logica conclusione dell’assenza di una seria politica di sviluppo industriale dell’Italia.
Per decenni l’attenzione della classe dirigente di questo Paese si è concentrata, erroneamente, sulla meccanica pesante, sulle autostrade mai completate, sul cemento. Tutto con una miopia, con una visione medievale, con un respiro corto.
Panerai scrive: “se le banche…si fossero mosse per far nascere due o tre grandi gruppi del lusso, oggi Loro Piana sarebbe ancora in mani italiane”.
Purtroppo con i se e con i ma non si riscrive la storia. Abbiamo per anni detto che, nei nostri viaggi all’estero, avvertivamo forte la assenza del nostro Paese mentre Francesi, Tedeschi e Americani godevano del supporto forte e deciso dei loro governi.
Nel 2004 inaugurammo la prima boutique Harmont & Blaine in Cina a Guangzhou.
I partner cinesi di allora ci chiesero la presenza delle autorità (volutamente scritto con la minuscola) Italiane che, impegnate in altre attività non ci concessero il benché minimo supporto. Va bene, ci dicemmo, siamo una piccola azienda che parte per una impresa impossibile, 14 milioni di fatturato, così deve andare. Ne avevamo aperte 12 di boutique in Cina saremmo dovuti arrivare a 30 entro questo anno. Le abbiamo chiuse tutte a Febbraio 2012 per usurpazione del marchio unitamente alla chiusura del desk per la assistenza alle aziende italiane in Cina per la protezione dei marchi.
Oggi fatturiamo quasi 100 di milioni di euro con circa 500 dipendenti diretti, presenza in quattro continenti, testardamente attestati nel Mezzogiorno d’Italia, a confrontarci quotidianamente con un player internazionale che fattura 6 miliardi di dollari.
Come potremmo noi non comprendere il travaglio dei fratelli Loro Piana nell’assumere la più difficile ed irreversibile decisione della storia centenaria dell’azienda.
Resistere portando avanti la bandiera della Italianità totale o trovare alleanze per garantire la continuità dello storico brand, il rafforzamento dell’azienda ed una migliore capacità di penetrare i mercati mondiali?
L’Italia non offre e non potrà più offrire alternative che non è stata capace di costruire negli ultimi 25 anni del secolo scorso. Si è perso troppo tempo ed il tempo non è una variabile indipendente
Colpa degli imprenditori, colpa delle banche, colpa della politica?
A cosa servono queste sterili discussioni quando, di fronte allo sfacelo delle istituzioni, all'assenza della politica si continua ad assistere agli sprint di questo o quel ministro per ottenere uno strillo in prima pagina su ipotesi che vendono ritirate il giorno dopo?
Imu, Tares, Tarsu mentre il mondo corre veloce, mentre quelle nazioni che noi chiamiamo ancora emergenti sono emerse da un pezzo e sono diventate protagoniste su palcoscenico del mondo. Forse la sicurezza che poi le bellezze naturali, il patrimonio artistico più importante del mondo ci hanno cullato nella certezza che tutto si sarebbe risistemato, che le nostre inefficienze sarebbero state compensate da altri valori che solo noi italiani possedevamo. No, non è così. Lo shopping continua, la produzione resterà forse in Italia ma altrove andrà il valore aggiunto, quello che genera capacità di comunicazione e di investimento.
Facciamo qualcosa, tutti assieme, se non vogliamo che l’Italia resti un guscio vuoto, una bella conchiglia su una spiaggia deserta."
Domenico Menniti
Presidente ed A.D. Harmont & Blaine S.p.A.
Re: ITALIA-EMERGENZA LAVORO
APPARTENEVA ALL'AVERNA
Un altro marchio italiano «emigra»
Pernigotti venduta ai turchi
Dopo Loro Piana, anche il marchio del settore dolciario pasas in mani straniere: venduto alla Toksoz di Istanbul
Dopo Loro Piana, recentemente passata ai francesi, anche i cioccolatini Pernigotti lasciano l'Italia. Fratelli Averna ha siglato un accordo con il gruppo della famiglia Toksoz per la cessione dell'azienda che detiene lo storico marchio italiano nel settore dolciario. Si tratta di una azienda privata, con sede a Istanbul, che realizza un fatturato annuo pari di circa 450 milioni. Nel segmento dolciario, attraverso una società controllata, detiene i marchi Tadelle, Sarelle e una gamma completa di snack dolci, creme spalmabili e gelati realizzando un fatturato annuo pari a circa 80 milioni. La società Averna, gestita dalla Famiglia Averna da cinque generazioni, è attiva nella produzione e commercializzazione di alcolici con marchi propri (Amaro Averna, Amaro Braulio, Limoncetta di Sorrento e Grappa Frattina), oltrechè nella distribuzione nel mercato italiano di alcuni affermati marchi internazionali. Inoltre, il Gruppo è leader di mercato nel segmento private label, attraverso la propria controllata Casoni Fabbricazione Liquori.
I GIANDUIOTTI - Pernigotti, azienda italiana con oltre 150 anni di storia, si distingue per la posizione di leadership nel segmento del cioccolato gianduia (con gli storici gianduiotti), del torrone e degli intermedi per gelato e pasticceria. Pernigotti, pur operando finora prevalentemente sul mercato domestico, ha riscontrato negli ultimi anni un crescente interesse per i propri prodotti sui mercati internazionali (tra cui Germania, Stati Uniti, America Latina e Cina). Le vendite ammontano a circa 75 milioni, di cui circa 55% nel segmento del dolciario e circa 45% nel segmento degli intermedi per gelato e pasticceria. L'attività produttiva si svolge a Novi Ligure. In questa operazione, Averna si è avvalsa della consulenza di Vitale & Associati (advisor finanziario), Blf studio legale (advisor legale) e Kpmg. Sanset si è avvalsa della consulenza di N+1 (advisor finanziario), Baker & McKenzie (advisor legale) e PwC. com-
11 luglio 2013 | 18:35
http://www.corriere.it/economia/13_lugl ... d3db.shtml
Un altro marchio italiano «emigra»
Pernigotti venduta ai turchi
Dopo Loro Piana, anche il marchio del settore dolciario pasas in mani straniere: venduto alla Toksoz di Istanbul
Dopo Loro Piana, recentemente passata ai francesi, anche i cioccolatini Pernigotti lasciano l'Italia. Fratelli Averna ha siglato un accordo con il gruppo della famiglia Toksoz per la cessione dell'azienda che detiene lo storico marchio italiano nel settore dolciario. Si tratta di una azienda privata, con sede a Istanbul, che realizza un fatturato annuo pari di circa 450 milioni. Nel segmento dolciario, attraverso una società controllata, detiene i marchi Tadelle, Sarelle e una gamma completa di snack dolci, creme spalmabili e gelati realizzando un fatturato annuo pari a circa 80 milioni. La società Averna, gestita dalla Famiglia Averna da cinque generazioni, è attiva nella produzione e commercializzazione di alcolici con marchi propri (Amaro Averna, Amaro Braulio, Limoncetta di Sorrento e Grappa Frattina), oltrechè nella distribuzione nel mercato italiano di alcuni affermati marchi internazionali. Inoltre, il Gruppo è leader di mercato nel segmento private label, attraverso la propria controllata Casoni Fabbricazione Liquori.
I GIANDUIOTTI - Pernigotti, azienda italiana con oltre 150 anni di storia, si distingue per la posizione di leadership nel segmento del cioccolato gianduia (con gli storici gianduiotti), del torrone e degli intermedi per gelato e pasticceria. Pernigotti, pur operando finora prevalentemente sul mercato domestico, ha riscontrato negli ultimi anni un crescente interesse per i propri prodotti sui mercati internazionali (tra cui Germania, Stati Uniti, America Latina e Cina). Le vendite ammontano a circa 75 milioni, di cui circa 55% nel segmento del dolciario e circa 45% nel segmento degli intermedi per gelato e pasticceria. L'attività produttiva si svolge a Novi Ligure. In questa operazione, Averna si è avvalsa della consulenza di Vitale & Associati (advisor finanziario), Blf studio legale (advisor legale) e Kpmg. Sanset si è avvalsa della consulenza di N+1 (advisor finanziario), Baker & McKenzie (advisor legale) e PwC. com-
11 luglio 2013 | 18:35
http://www.corriere.it/economia/13_lugl ... d3db.shtml
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