quo vadis PD ????
Re: quo vadis PD ????
http://www.repubblica.it/la-repubblica- ... -63089995/
Progressisti, smettete di rimpiangere il passato
Un tempo i riformisti erano identificati con il desiderio di cambiare lo stato delle cose. Poi questa strada si è smarrita
di MICHELE SERRA
Se dire "qualcosa di sinistra" fosse così facile, in molti l'avrebbero già detta, questa cosa. O per ruolo politico o per dovere intellettuale o anche solo per fare bella figura. Ma così non è stato, specie negli ultimi anni; tanto da far sospettare (i più sospettosi) che la sinistra abbia trascurato apposta i suoi doveri e i suoi compiti, pur sapendo bene quali fossero, per viltà o per opportunismo; o da far temere (i più timorosi) che la sinistra abbia esaurito strada facendo la sua funzione storica, e taccia, dunque, non per calcolo ma per inettitudine. Per totale smarrimento. Sono abbastanza vecchio di questi luoghi - la sinistra, le sue persone, le sue parole, i suoi giornali, i suoi interminabili dibattiti - da poter azzardare un'ipotesi un poco (solo un poco) più precisa.
La sinistra, dalla Rivoluzione francese in poi, è quella vasta area della politica e del pensiero che pretende di organizzare il cambiamento della società. Prima interpretandolo e poi orientandolo. Progettare il cambiamento è la sua stessa funzione, la sua ragione d'essere; e il verbo "cambiare" è stato, per molte generazioni di intellettuali e di militanti, di uso quotidiano. Quasi stucchevole per quanto spesso lo si impiegava: l'Italia che cambia, cambiamo l'Italia, l'Italia da cambiare. Nella celebre definizione del giovane Marx, "il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato delle cose presente". È un assetto di pensiero del tutto radicale, si capisce; ma contiene lo stesso germe che anima i riformismi anche più blandi: lo "stato delle cose presente" è insoddisfacente e dunque va cambiato. Si deve lavorare per cambiarlo. Si deve studiare come cambiarlo (in meglio, si intende) e attraverso quali leve, quali mezzi. Il mondo deve migliorare e la storia deve andare avanti. Per quanto approssimativa e schematica, la vecchia distinzione storica tra conservatori e progressisti, per generazioni, non ha conosciuto sostanziali smentite: la destra era per la conservazione, la sinistra per il progresso.
Dire "qualcosa di sinistra", dunque, è dire qualcosa in grado di descrivere o anticipare o favorire o provocare un cambiamento. Le parole della sinistra dovrebbero essere (o provare a essere) in qualche modo preveggenti: aiutare a immaginare il futuro, ad architettarlo. Le famose "parole d'ordine" del passato, tutte, quelle giuste e quelle sbagliate, quelle intelligenti e quelle stupide, quelle nobili e quelle ignobili, erano comunque l'indicazione di un obiettivo da raggiungere, di un percorso da fare. Erano "dinamiche", forza in movimento.
Nel suo Manifesto dei conservatori (1972) Giuseppe Prezzolini attribuisce alla Destra "i libri e la cultura"; alla Sinistra le canzonette, la televisione, i consumi futili, le mode, l'irresistibile marea montante della massificazione. Per dire quanto fosse radicata - appena dieci anni prima che Berlusconi apparisse sulla scena - l'idea che il "cambiamento", virtuoso o vizioso non importa, fosse comunque qualcosa "di sinistra". Che riguardava la sinistra.
Oggi (qui volevo arrivare) la sola traccia profondamente identitaria che la sinistra ha sempre avuto - la vocazione a cambiare "lo stato delle cose presente" - sembra perduta. Peggio, sembra che il cambiamento - proprio quello, massificante e mutageno, detestato dal conservatore Prezzolini e descritto con ben maggiore potenza e disperazione dal comunista Pasolini - abbia così spaventato la sinistra da al suo interno forti pulsioni conservatrici. Più che l'impulso a progettare "un altro cambiamento", ha pesato l'imsciandosi a proteggersi da quello in corso. Ne è nata una sinistra-ossimoro, conservatrice e terrorizzata dai mutamenti in atto. Ed è soprattutto per questo, secondo me, che è così difficile dire "qualcosa di sinistra": perché la sinistra ha perduto le parole del cambiamento, a partire dalla parola "cambiamento". E dunque ha perduto le sue parole.
La si è nuovamente udita, quella parola, echeggiare come un esorcismo nelle tremende settimane successive al voto di febbraio. A pronunciarla fu Bersani, non si sa quanto memore dello spirito ottimista e "progressista" del riformismo emiliano nel quale si è fatto le ossa. Disse, per la precisione, che "non c'è responsabilità senza cambiamento" (parlava ai suoi, si è poi capito quanto inutilmente) e che "non c'è cambiamento senza responsabilità " (parlava a Grillo, si è poi capito quanto inutilmente). L'ambito era - come dire - strettamente politologico, tattico e non strategico, e non scomodava certo sconquassi negli assetti economici e sociali, tanto meno modelli di sviluppo alternativi.
Ma in quanto capo della sinistra Bersani "sapeva", direi istintivamente, che la domanda (tumultuosa, quasi smaniosa) di cambiamento uscita dalle urne non poteva che investire in pieno la sinistra, fisiologicamente: la richiamava bruscamente alla sua funzione tradita o comunque sbiadita. Rovesciandosi a valanga verso le Cinque Stelle, la speranza di "cambiare le cose" per la prima volta abbandonava in misura così massiccia e così allarmante la sinistra italiana.
La verità - forse - è che nessuno, in questa fase, riesce non dico a determinare, ma ad azzardare i connotati del futuro, ivi compreso il futuro prossimo. E non per caso l'aspetto più debole - e più ridicolo, francamente - del movimento di Grillo e Casaleggio è quello che affida al web una specie di palingenesi politica, e di reincarnazione della democrazia, che fa impallidire, per ingenuità, il mito della "futura umanità" forgiata "nei campi e nelle officine". Che il vecchio materialismo scientifico possa lasciare il campo alla fede fantascientifica in un Avvento internautico non sembrerebbe proprio - quanto a cambiamento - un passo avanti.
Riassumendo. Direi che un buon criterio, di qui in avanti, per provare a dire "qualcosa di sinistra", e per capire se qualcuno sta dicendo davvero "qualcosa di sinistra", sia valutare, sempre, se e quanto questa cosa contiene il proposito, e magari la capacità, di incidere nel futuro, anche un piccolo pezzo di futuro, e di immaginarlo più equo, e migliore. Non è più vero, neanche per la più settaria delle persone di sinistra, che senza sinistra non c'è futuro: il futuro ha già dimostrato di poterne fare allegramente a meno, della sinistra. Ma è certamente vero che senza futuro non c'è una sinistra, che senza futuro la sinistra muore. Dunque la paura del cambiamento - qualunque sorpresa, qualunque incognita possa riservarci il futuro - è per la sinistra un indugio mortale. Ogni pigrizia conservatrice, dentro la sinistra e dentro le sue parole, parla prima di tutto di quella paura. Compresa la paura di sbilanciarsi, di dire cose azzardate, di sembrare stravaganti o ingenui o imprecisi. La paura dell'errore intellettuale. Ma per dire qualcosa di sinistra sarà obbligatorio, di qui in poi, ricominciare a rischiare. Chi si ferma è perduto. E chi tace acconsente.
Progressisti, smettete di rimpiangere il passato
Un tempo i riformisti erano identificati con il desiderio di cambiare lo stato delle cose. Poi questa strada si è smarrita
di MICHELE SERRA
Se dire "qualcosa di sinistra" fosse così facile, in molti l'avrebbero già detta, questa cosa. O per ruolo politico o per dovere intellettuale o anche solo per fare bella figura. Ma così non è stato, specie negli ultimi anni; tanto da far sospettare (i più sospettosi) che la sinistra abbia trascurato apposta i suoi doveri e i suoi compiti, pur sapendo bene quali fossero, per viltà o per opportunismo; o da far temere (i più timorosi) che la sinistra abbia esaurito strada facendo la sua funzione storica, e taccia, dunque, non per calcolo ma per inettitudine. Per totale smarrimento. Sono abbastanza vecchio di questi luoghi - la sinistra, le sue persone, le sue parole, i suoi giornali, i suoi interminabili dibattiti - da poter azzardare un'ipotesi un poco (solo un poco) più precisa.
La sinistra, dalla Rivoluzione francese in poi, è quella vasta area della politica e del pensiero che pretende di organizzare il cambiamento della società. Prima interpretandolo e poi orientandolo. Progettare il cambiamento è la sua stessa funzione, la sua ragione d'essere; e il verbo "cambiare" è stato, per molte generazioni di intellettuali e di militanti, di uso quotidiano. Quasi stucchevole per quanto spesso lo si impiegava: l'Italia che cambia, cambiamo l'Italia, l'Italia da cambiare. Nella celebre definizione del giovane Marx, "il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato delle cose presente". È un assetto di pensiero del tutto radicale, si capisce; ma contiene lo stesso germe che anima i riformismi anche più blandi: lo "stato delle cose presente" è insoddisfacente e dunque va cambiato. Si deve lavorare per cambiarlo. Si deve studiare come cambiarlo (in meglio, si intende) e attraverso quali leve, quali mezzi. Il mondo deve migliorare e la storia deve andare avanti. Per quanto approssimativa e schematica, la vecchia distinzione storica tra conservatori e progressisti, per generazioni, non ha conosciuto sostanziali smentite: la destra era per la conservazione, la sinistra per il progresso.
Dire "qualcosa di sinistra", dunque, è dire qualcosa in grado di descrivere o anticipare o favorire o provocare un cambiamento. Le parole della sinistra dovrebbero essere (o provare a essere) in qualche modo preveggenti: aiutare a immaginare il futuro, ad architettarlo. Le famose "parole d'ordine" del passato, tutte, quelle giuste e quelle sbagliate, quelle intelligenti e quelle stupide, quelle nobili e quelle ignobili, erano comunque l'indicazione di un obiettivo da raggiungere, di un percorso da fare. Erano "dinamiche", forza in movimento.
Nel suo Manifesto dei conservatori (1972) Giuseppe Prezzolini attribuisce alla Destra "i libri e la cultura"; alla Sinistra le canzonette, la televisione, i consumi futili, le mode, l'irresistibile marea montante della massificazione. Per dire quanto fosse radicata - appena dieci anni prima che Berlusconi apparisse sulla scena - l'idea che il "cambiamento", virtuoso o vizioso non importa, fosse comunque qualcosa "di sinistra". Che riguardava la sinistra.
Oggi (qui volevo arrivare) la sola traccia profondamente identitaria che la sinistra ha sempre avuto - la vocazione a cambiare "lo stato delle cose presente" - sembra perduta. Peggio, sembra che il cambiamento - proprio quello, massificante e mutageno, detestato dal conservatore Prezzolini e descritto con ben maggiore potenza e disperazione dal comunista Pasolini - abbia così spaventato la sinistra da al suo interno forti pulsioni conservatrici. Più che l'impulso a progettare "un altro cambiamento", ha pesato l'imsciandosi a proteggersi da quello in corso. Ne è nata una sinistra-ossimoro, conservatrice e terrorizzata dai mutamenti in atto. Ed è soprattutto per questo, secondo me, che è così difficile dire "qualcosa di sinistra": perché la sinistra ha perduto le parole del cambiamento, a partire dalla parola "cambiamento". E dunque ha perduto le sue parole.
La si è nuovamente udita, quella parola, echeggiare come un esorcismo nelle tremende settimane successive al voto di febbraio. A pronunciarla fu Bersani, non si sa quanto memore dello spirito ottimista e "progressista" del riformismo emiliano nel quale si è fatto le ossa. Disse, per la precisione, che "non c'è responsabilità senza cambiamento" (parlava ai suoi, si è poi capito quanto inutilmente) e che "non c'è cambiamento senza responsabilità " (parlava a Grillo, si è poi capito quanto inutilmente). L'ambito era - come dire - strettamente politologico, tattico e non strategico, e non scomodava certo sconquassi negli assetti economici e sociali, tanto meno modelli di sviluppo alternativi.
Ma in quanto capo della sinistra Bersani "sapeva", direi istintivamente, che la domanda (tumultuosa, quasi smaniosa) di cambiamento uscita dalle urne non poteva che investire in pieno la sinistra, fisiologicamente: la richiamava bruscamente alla sua funzione tradita o comunque sbiadita. Rovesciandosi a valanga verso le Cinque Stelle, la speranza di "cambiare le cose" per la prima volta abbandonava in misura così massiccia e così allarmante la sinistra italiana.
La verità - forse - è che nessuno, in questa fase, riesce non dico a determinare, ma ad azzardare i connotati del futuro, ivi compreso il futuro prossimo. E non per caso l'aspetto più debole - e più ridicolo, francamente - del movimento di Grillo e Casaleggio è quello che affida al web una specie di palingenesi politica, e di reincarnazione della democrazia, che fa impallidire, per ingenuità, il mito della "futura umanità" forgiata "nei campi e nelle officine". Che il vecchio materialismo scientifico possa lasciare il campo alla fede fantascientifica in un Avvento internautico non sembrerebbe proprio - quanto a cambiamento - un passo avanti.
Riassumendo. Direi che un buon criterio, di qui in avanti, per provare a dire "qualcosa di sinistra", e per capire se qualcuno sta dicendo davvero "qualcosa di sinistra", sia valutare, sempre, se e quanto questa cosa contiene il proposito, e magari la capacità, di incidere nel futuro, anche un piccolo pezzo di futuro, e di immaginarlo più equo, e migliore. Non è più vero, neanche per la più settaria delle persone di sinistra, che senza sinistra non c'è futuro: il futuro ha già dimostrato di poterne fare allegramente a meno, della sinistra. Ma è certamente vero che senza futuro non c'è una sinistra, che senza futuro la sinistra muore. Dunque la paura del cambiamento - qualunque sorpresa, qualunque incognita possa riservarci il futuro - è per la sinistra un indugio mortale. Ogni pigrizia conservatrice, dentro la sinistra e dentro le sue parole, parla prima di tutto di quella paura. Compresa la paura di sbilanciarsi, di dire cose azzardate, di sembrare stravaganti o ingenui o imprecisi. La paura dell'errore intellettuale. Ma per dire qualcosa di sinistra sarà obbligatorio, di qui in poi, ricominciare a rischiare. Chi si ferma è perduto. E chi tace acconsente.
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Re: quo vadis PD ????
A parte che Moretti diceva "una cosa di sinistra", nei secoli la sinistra più che il cambiamento fine a sé teorizzava una società con meno disuguaglianze. Se no dovrebbe accettare tutte le scoperte tecnologiche, anche quelle che queste disuguaglianze possono aumentare o peggiorare la vita sulla terra. Il termine progressisti ritengo che si rivolgesse più che altro al progresso sociale.Amadeus ha scritto:http://www.repubblica.it/la-repubblica- ... -63089995/
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Un tempo i riformisti erano identificati con il desiderio di cambiare lo stato delle cose. Poi questa strada si è smarrita
di MICHELE SERRA
Se dire "qualcosa di sinistra" fosse così facile, in molti l'avrebbero già detta, questa cosa. O per ruolo politico o per dovere intellettuale o anche solo per fare bella figura. Ma così non è stato, specie negli ultimi anni; tanto da far sospettare (i più sospettosi) che la sinistra abbia trascurato apposta i suoi doveri e i suoi compiti, pur sapendo bene quali fossero, per viltà o per opportunismo; o da far temere (i più timorosi) che la sinistra abbia esaurito strada facendo la sua funzione storica, e taccia, dunque, non per calcolo ma per inettitudine. Per totale smarrimento. Sono abbastanza vecchio di questi luoghi - la sinistra, le sue persone, le sue parole, i suoi giornali, i suoi interminabili dibattiti - da poter azzardare un'ipotesi un poco (solo un poco) più precisa.
La sinistra, dalla Rivoluzione francese in poi, è quella vasta area della politica e del pensiero che pretende di organizzare il cambiamento della società. Prima interpretandolo e poi orientandolo. Progettare il cambiamento è la sua stessa funzione, la sua ragione d'essere; e il verbo "cambiare" è stato, per molte generazioni di intellettuali e di militanti, di uso quotidiano. Quasi stucchevole per quanto spesso lo si impiegava: l'Italia che cambia, cambiamo l'Italia, l'Italia da cambiare. Nella celebre definizione del giovane Marx, "il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato delle cose presente". È un assetto di pensiero del tutto radicale, si capisce; ma contiene lo stesso germe che anima i riformismi anche più blandi: lo "stato delle cose presente" è insoddisfacente e dunque va cambiato. Si deve lavorare per cambiarlo. Si deve studiare come cambiarlo (in meglio, si intende) e attraverso quali leve, quali mezzi. Il mondo deve migliorare e la storia deve andare avanti. Per quanto approssimativa e schematica, la vecchia distinzione storica tra conservatori e progressisti, per generazioni, non ha conosciuto sostanziali smentite: la destra era per la conservazione, la sinistra per il progresso.
Dire "qualcosa di sinistra", dunque, è dire qualcosa in grado di descrivere o anticipare o favorire o provocare un cambiamento. Le parole della sinistra dovrebbero essere (o provare a essere) in qualche modo preveggenti: aiutare a immaginare il futuro, ad architettarlo. Le famose "parole d'ordine" del passato, tutte, quelle giuste e quelle sbagliate, quelle intelligenti e quelle stupide, quelle nobili e quelle ignobili, erano comunque l'indicazione di un obiettivo da raggiungere, di un percorso da fare. Erano "dinamiche", forza in movimento.
Nel suo Manifesto dei conservatori (1972) Giuseppe Prezzolini attribuisce alla Destra "i libri e la cultura"; alla Sinistra le canzonette, la televisione, i consumi futili, le mode, l'irresistibile marea montante della massificazione. Per dire quanto fosse radicata - appena dieci anni prima che Berlusconi apparisse sulla scena - l'idea che il "cambiamento", virtuoso o vizioso non importa, fosse comunque qualcosa "di sinistra". Che riguardava la sinistra.
Oggi (qui volevo arrivare) la sola traccia profondamente identitaria che la sinistra ha sempre avuto - la vocazione a cambiare "lo stato delle cose presente" - sembra perduta. Peggio, sembra che il cambiamento - proprio quello, massificante e mutageno, detestato dal conservatore Prezzolini e descritto con ben maggiore potenza e disperazione dal comunista Pasolini - abbia così spaventato la sinistra da al suo interno forti pulsioni conservatrici. Più che l'impulso a progettare "un altro cambiamento", ha pesato l'imsciandosi a proteggersi da quello in corso. Ne è nata una sinistra-ossimoro, conservatrice e terrorizzata dai mutamenti in atto. Ed è soprattutto per questo, secondo me, che è così difficile dire "qualcosa di sinistra": perché la sinistra ha perduto le parole del cambiamento, a partire dalla parola "cambiamento". E dunque ha perduto le sue parole.
La si è nuovamente udita, quella parola, echeggiare come un esorcismo nelle tremende settimane successive al voto di febbraio. A pronunciarla fu Bersani, non si sa quanto memore dello spirito ottimista e "progressista" del riformismo emiliano nel quale si è fatto le ossa. Disse, per la precisione, che "non c'è responsabilità senza cambiamento" (parlava ai suoi, si è poi capito quanto inutilmente) e che "non c'è cambiamento senza responsabilità " (parlava a Grillo, si è poi capito quanto inutilmente). L'ambito era - come dire - strettamente politologico, tattico e non strategico, e non scomodava certo sconquassi negli assetti economici e sociali, tanto meno modelli di sviluppo alternativi.
Ma in quanto capo della sinistra Bersani "sapeva", direi istintivamente, che la domanda (tumultuosa, quasi smaniosa) di cambiamento uscita dalle urne non poteva che investire in pieno la sinistra, fisiologicamente: la richiamava bruscamente alla sua funzione tradita o comunque sbiadita. Rovesciandosi a valanga verso le Cinque Stelle, la speranza di "cambiare le cose" per la prima volta abbandonava in misura così massiccia e così allarmante la sinistra italiana.
La verità - forse - è che nessuno, in questa fase, riesce non dico a determinare, ma ad azzardare i connotati del futuro, ivi compreso il futuro prossimo. E non per caso l'aspetto più debole - e più ridicolo, francamente - del movimento di Grillo e Casaleggio è quello che affida al web una specie di palingenesi politica, e di reincarnazione della democrazia, che fa impallidire, per ingenuità, il mito della "futura umanità" forgiata "nei campi e nelle officine". Che il vecchio materialismo scientifico possa lasciare il campo alla fede fantascientifica in un Avvento internautico non sembrerebbe proprio - quanto a cambiamento - un passo avanti.
Riassumendo. Direi che un buon criterio, di qui in avanti, per provare a dire "qualcosa di sinistra", e per capire se qualcuno sta dicendo davvero "qualcosa di sinistra", sia valutare, sempre, se e quanto questa cosa contiene il proposito, e magari la capacità, di incidere nel futuro, anche un piccolo pezzo di futuro, e di immaginarlo più equo, e migliore. Non è più vero, neanche per la più settaria delle persone di sinistra, che senza sinistra non c'è futuro: il futuro ha già dimostrato di poterne fare allegramente a meno, della sinistra. Ma è certamente vero che senza futuro non c'è una sinistra, che senza futuro la sinistra muore. Dunque la paura del cambiamento - qualunque sorpresa, qualunque incognita possa riservarci il futuro - è per la sinistra un indugio mortale. Ogni pigrizia conservatrice, dentro la sinistra e dentro le sue parole, parla prima di tutto di quella paura. Compresa la paura di sbilanciarsi, di dire cose azzardate, di sembrare stravaganti o ingenui o imprecisi. La paura dell'errore intellettuale. Ma per dire qualcosa di sinistra sarà obbligatorio, di qui in poi, ricominciare a rischiare. Chi si ferma è perduto. E chi tace acconsente.
Trovo assurda e ipocrita la ricostruzione di Prezzolini sul fatto che la cultura sia di destra e la televisione, o i consumi o la moda di sinistra. Ritengo che in caso sia il contrario e non capisco com'è che una cosa simile la dica non uno della destra parafascista (in questo contraria a ogni forma di progresso, sociale ma anche tecnologico o di modi di essere) ma uno che si diceva liberale e laico, che quindi in questo caso credo rinneghi quello che pensavano quelli come lui, portati al relativismo e a una concezione di vita molto individualistica; non come l'austerità berlingueriana, che alcuni, dell'area moderata e anticomunista, vedevano più propria di un ordine monastico.
Alla fine molte persone dicono tutto e il contrario di tutto. E su alcune cose ritengo che sia giusta la conservazione.
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Re: quo vadis PD ????
Follow the money.non capisco com'è che una cosa simile la dica non uno della destra parafascista (in questo contraria a ogni forma di progresso, sociale ma anche tecnologico o di modi di essere) ma uno che si diceva liberale e laico
Dobbiamo smettere di pensare 'la destra' come quella dei naziskin o dei trucidi bruti antisociali che si vedono nei film.
Destra e' chi non e' disposto a cambiare per un mondo piu' equo.
Cambiare, rinunciare a cosa? Ai propri iniqui privilegi.
La possibilita' di eludere le tasse, meglio ancora di evaderle.
La possibilita' di operare nell'illegalita'.
La possibilita' di sfruttare ogni situazione, anche umana.
La possibilita' di vivere e lavorare in modo a-responsabile.
Non essere responsabili delle conseguenze del proprio agire.
Muoiono in 20000 di fronte a Lampedusa? Nessun responsabile.
Muoiono come mosche a Taranto? Nessun responsabile.
Firmiamo trattati che dopo 20 anni finiscono col far smantellare il nostro tessuto industriale?
E per questo la disoccupazione esplode, ma nessuno pone rimedio?
Nessun responsabile.
Si vota col pisello l'ennesimo cialtrone dopo decenni di cialtroni corrotti?
NESSUN RESPONSABILE.
Si potrebbero fare paginate di esempi, ma la 'destra' e' questa qui.
E si annida anche nel cuore della sinistra.
Quelli peggio, poi, sono quelli che si dicono non di destra, ma ogni parola,
ogni erg di energia, la spendono contro la sinistra alla ricerca di una purezza
non di questo mondo...
Cosi' fanno bella figura, capite?
Le anime candide (de' sinistraaaa) indignate con la sinistra che ne denunciano
tutti i mali peggio di Savonarola.
Mali solo della sinistra, pero', gli altri, Chiesa, destra, centro, possono fare
quel che vogliono... perche' nella mente di costoro solo la sinistra deve rispondere
di fronte alla Storia.
Naturalmente i media ci vanno a nozze con questi tipi qua, pensate il clamore.
"Uomo di sinistra denuncia l'ipocrisia della sinistra".
E intanto the money flows a destra, comprese le tasche dei Savonarola...
soloo42000
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- Iscritto il: 21/02/2012, 17:56
Re: quo vadis PD ????
non avendo ancora capito ,
dopo lunghi mesi,
"dove va il PD",
ed avendo pure la netta sensazione che stia andando nella direzione sbagliata,
ierisera ho fatto la tessera di SEL per il 2013.
dopo lunghi mesi,
"dove va il PD",
ed avendo pure la netta sensazione che stia andando nella direzione sbagliata,
ierisera ho fatto la tessera di SEL per il 2013.
-
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Re: quo vadis PD ????
Latorre al Senato ieri per sostenere l'acquisto degli F35.
«Non siamo di fronte - ha detto Nicola Latorre - a una scelta tra la pace e la guerra. Il Pd non ha ammainato e non intende ammainare la bandiera della pace. Non si possono contrapporre la necessità delle spese del sistema di difesa a quella del welfare». «Una grande forza riformista - ha aggiunto Latorre - non può sottrarsi alla sfida» di garantire all'Italia un sistema di difesa adeguato al suo ruolo internazionale e per questo, ha annunciato, «convintamente voteremo questa mozione».
********************
"...L'attuale flotta dell'AMI (AMX, Tornado e sopratutto Typhoon) è assolutamente idonea e sufficiente per le esigenze presenti e prevedibili e non è obsoleta..."
Fulvio Gagliardi-ex Generale dell'Aeronautica Militare, ha gestito in prima persona lo sviluppo dei velivoli AMX e contribuito allo sviluppo dei più importanti programmi aeronautici militari europei.
http://www.change.org/it/petizioni/gove ... NONkeHYXIU
**************************
ovviamente,
questo ex-generale che se ne intende manco l'hanno cacato...però affidano la replica ad un Carneade laqualunque come La Torre
(guardacaso un'altro col vizio dei pizzini come NipoLetta...)
che di un F35 non saprebbe distinguere il muso dalla coda...
morale:
ennesima prova provata di un governo indegno:
dimissioni e nuove elezioni.
p.s.
questi son riusciti a farmi rimpiangere Renzi:
e non l'avrei mai detto...maremmacane.
«Non siamo di fronte - ha detto Nicola Latorre - a una scelta tra la pace e la guerra. Il Pd non ha ammainato e non intende ammainare la bandiera della pace. Non si possono contrapporre la necessità delle spese del sistema di difesa a quella del welfare». «Una grande forza riformista - ha aggiunto Latorre - non può sottrarsi alla sfida» di garantire all'Italia un sistema di difesa adeguato al suo ruolo internazionale e per questo, ha annunciato, «convintamente voteremo questa mozione».
********************
"...L'attuale flotta dell'AMI (AMX, Tornado e sopratutto Typhoon) è assolutamente idonea e sufficiente per le esigenze presenti e prevedibili e non è obsoleta..."
Fulvio Gagliardi-ex Generale dell'Aeronautica Militare, ha gestito in prima persona lo sviluppo dei velivoli AMX e contribuito allo sviluppo dei più importanti programmi aeronautici militari europei.
http://www.change.org/it/petizioni/gove ... NONkeHYXIU
**************************
ovviamente,
questo ex-generale che se ne intende manco l'hanno cacato...però affidano la replica ad un Carneade laqualunque come La Torre
(guardacaso un'altro col vizio dei pizzini come NipoLetta...)
che di un F35 non saprebbe distinguere il muso dalla coda...
morale:
ennesima prova provata di un governo indegno:
dimissioni e nuove elezioni.
p.s.
questi son riusciti a farmi rimpiangere Renzi:
e non l'avrei mai detto...maremmacane.
Re: quo vadis PD ????
Renzi è l'unico che sta protestando...voi direte..lo fa per portare acqua al suo mulino, per una forma di protagonismo spesso fastidioso, per solleticare furbescamente le voglie di una certa " sinistra" ....
tutto quello che volete ....
intanto è l'unico che lo fa.
Civati e Cuperlo stamattina precisano che loro sono bravi ragazzi, non danno fastidio al governo.... come se in queste circostanze ( calderoli e kazza-kistan) fosse una nota di merito....
questi distinguo da asilo sono assai deludenti, mi scoccerebbe parecchio passare da veltroni-d'alema a renzi-civati ....
-
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- Iscritto il: 22/02/2012, 10:21
Re: quo vadis PD ????
Amà ... non credo che ci sarà un Renzi-Civati, a mio parere qualcosa cambierà, ma lo sapremo dopo il 30 luglio.
dal blog di Civati: www.ciwati.it
Alfanistan
Procaccini se ne va, ma dice al Corriere che lui al governo lo aveva detto, della questione kazaka.
Nel Pd cresce il disagio e in molti più o meno pubblicamente chiedono le dimissioni di Alfano: che sia lui a lasciare, per la precisione.
La settimana è ancora lunga, ne vedremo delle belle.
Per quanto mi riguarda, ribadisco quello che ho sempre detto, fin dall’inizio.
Questa impalcatura delle larghe intese è fragile, per motivi storico-politici e ideologici, ma non solo, e ogni evento rischia di comprometterla. Altro che Grosse Koalition, altro che Moro e Berlinguer. Altro che compromesso storico.
Non avere chiarito da subito le priorità e avere rinviato la legge elettorale sono stati due errori gravi. E in contraddizione con la missione che questo governo avrebbe voluto e dovuto darsi.
Il fatto poi che sia Alfano, considerato il più dialogante e l’alter ego di Letta (il Letta del Pdl, potremmo dire), a essere in difficoltà, rende tutto più problematico.
Ora c’è da capire una cosa: perché il problema non è la caduta, ma l’atterraggio. E le conseguenze di quello che accade in queste ore potrebbero condizionare i mesi e gli anni a venire.
Alfanistan (segue)
Ora, dopo le dichiarazioni di Giuseppe Procaccini, che smentiscono platealmente la relazione di Pansa e le virgolette di Alfano, mi sarei aspettato che il ministro dell’Interno dicesse qualcosa. Ho aspettato qualche ora, così, per dare tempo di organizzarsi all’ufficio stampa del Viminale. E invece.
Nel frattempo, mentre Brunetta chiede il sostegno incondizionato del Pd, si muovono un po’ tutti. Dario Ginefra chiede una commissione d’inchiesta, Casson parla di barzelletta, Cuperlo parla dichiaratamente di dimissioni, la componente renziana spinge più che mai.
Il Pd non ne ha ancora discusso, ma come scrivo dall’altro giorno, non la reggiamo. E penso (spero) che se ne siano resi conto anche al Quirinale, questa volta.
dal blog di Civati: www.ciwati.it
Alfanistan
Procaccini se ne va, ma dice al Corriere che lui al governo lo aveva detto, della questione kazaka.
Nel Pd cresce il disagio e in molti più o meno pubblicamente chiedono le dimissioni di Alfano: che sia lui a lasciare, per la precisione.
La settimana è ancora lunga, ne vedremo delle belle.
Per quanto mi riguarda, ribadisco quello che ho sempre detto, fin dall’inizio.
Questa impalcatura delle larghe intese è fragile, per motivi storico-politici e ideologici, ma non solo, e ogni evento rischia di comprometterla. Altro che Grosse Koalition, altro che Moro e Berlinguer. Altro che compromesso storico.
Non avere chiarito da subito le priorità e avere rinviato la legge elettorale sono stati due errori gravi. E in contraddizione con la missione che questo governo avrebbe voluto e dovuto darsi.
Il fatto poi che sia Alfano, considerato il più dialogante e l’alter ego di Letta (il Letta del Pdl, potremmo dire), a essere in difficoltà, rende tutto più problematico.
Ora c’è da capire una cosa: perché il problema non è la caduta, ma l’atterraggio. E le conseguenze di quello che accade in queste ore potrebbero condizionare i mesi e gli anni a venire.
Alfanistan (segue)
Ora, dopo le dichiarazioni di Giuseppe Procaccini, che smentiscono platealmente la relazione di Pansa e le virgolette di Alfano, mi sarei aspettato che il ministro dell’Interno dicesse qualcosa. Ho aspettato qualche ora, così, per dare tempo di organizzarsi all’ufficio stampa del Viminale. E invece.
Nel frattempo, mentre Brunetta chiede il sostegno incondizionato del Pd, si muovono un po’ tutti. Dario Ginefra chiede una commissione d’inchiesta, Casson parla di barzelletta, Cuperlo parla dichiaratamente di dimissioni, la componente renziana spinge più che mai.
Il Pd non ne ha ancora discusso, ma come scrivo dall’altro giorno, non la reggiamo. E penso (spero) che se ne siano resi conto anche al Quirinale, questa volta.
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«Non si discute per aver ragione, ma per capire» (Peanuts)
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Re: quo vadis PD ????
Qualcosa di sinistra lo sta facendo il M5S, con fatti.Non a parole.
Ciao
Paolo11
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Paolo11
Re: quo vadis PD ????
tipo stare all'opposizione ... in effetti più di sinistra di così.
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