Tav. E' proprio "riformismo" contro "cavernicoli"?
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- Iscritto il: 20/04/2013, 20:48
Tav. E' proprio "riformismo" contro "cavernicoli"?
Da diversi anni mi interesso alle vicende "grandi opere", anche in relazione a come vengono trattate dai media.
Non sono un estremista di sinistra e non ho nostalgie "silvo pastorali", come dice qualche noto editorialista.
Il fatto è che il binomio grandi opere - sviluppo, malgrado ripetuti e ipnotici mantra, forse proprio non funziona, non fosse altro che una legge Lunardi - tra le altre cose - è una greppia per lauti pasti inconfessabili.
Faccio un minimo di autopromozione postando una mia recensione, già apparsa online, sul libro "Binario morto", ottima sintesi di quello che molti di noi - invano - tentano di far capire da anni.
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"Anche ad avere idee del tutto diverse su temi come sviluppo, ambiente e stato dei conti pubblici una constatazione è comunque valida per tutti: non si è a favore di un progetto Tav perché si sappia nel dettaglio cosa accadrà, oppure perché si abbia un’idea precisa del suo rapporto costi-benefici, ma perché ci sono dei violenti – pochi, molti o moltissimi – che lo contrastano. Tanto basta, spesso a prescindere da tutto il resto. C’è soltanto da prendere atto come, appunto per questa ragione, il dissenso riguardo un’opera pubblica, in qualsiasi forma sia espresso, venga considerato (non da tutti ma certo da molti) alla stregua di un oggettivo sostegno ad attività terroristiche, con conseguente evocazione degli anni ‘70. Certi discorsi si sentono, leggiamo editoriali che lo teorizzano con molta spavalderia, anche qui a prescindere dal credo politico di chi contesta. Oppure accusando i contestatori di essere uomini d’altri tempi e di voler tornare al calesse. Insomma, un po’ come il sottoscritto che coerentemente viaggia in groppa al somarello e comunica col piccione viaggiatore.
Non è questo il luogo adatto per elencare la provenienza politica e culturale di coloro che hanno espresso la propria contrarietà al sistema italiano delle cosiddette grandi opere, non fosse altro che alla fin fine appare un po’ singolare etichettare un progetto ingegneristico come di destra o di sinistra (altro la responsabilità politica per aver approvato una legge obiettivo ed aver perpetuato procedimenti a dir poco opachi); ma è un dato evidente che i contestatori, tra i quali docenti universitari, ingegneri del Politecnico, cittadini italiani di ogni latitudine, sono persone di sinistra, di destra, liberali, cattolici e via e via. Discorso ben diverso riguarda le posizioni ufficiali dei partiti, tutti formalmente “riformisti” e tutti impegnati a dispensare numeri e cifre mirabolanti, che però cambiano di volta in volta come numeri al lotto. Forse perché il project financing prevede che gli interessi sui mutui siano pagati con i soldi pubblici e nel contratto di concessione è previsto che “se” la domanda si rivelerà inferiore al previsto comunque le ferrovie statali faranno fronte ai debiti (quindi potenziali e non verificabili effetti positivi forse dopo il 2070 con inferno delle generazioni future e paradiso di quei pochi che possiedono quote di società coinvolte nel trapanare la montagna.
Quindi al di là del considerare quest’opera, il Tav Lione-Torino, come necessaria senza se e senza ma, è legittimo verificare quanto rispondano a verità affermazioni che in questi anni abbiamo ascoltato come autentici mantra, a cominciare da quel lontano 2001 quando Berlusconi dal fido Vespa, al momento di sottoscrivere il “contratto con gli italiani”, si mise a disegnare sulla lavagna le grandi opere da realizzare. Tra queste fu evocata la grande ferrovia, tutta in alta velocità, Lisbona-Kiev. Agli autori di “Binario morto” evidentemente queste affermazioni non sono bastate ed hanno voluto vedere con i propri occhi a che punto siamo col mirabolante progetto, tale da creare sviluppo, occupazione e un’Italia pienamente europea.
Questa volta poco a che vedere con gli studi di Calafati che, nel suo saggio del 2006, ha rilevato l’incapacità dell’informazione italiana di fare il suo mestiere proprio in relazione ad argomenti come le grandi opere pubbliche; poco a che vedere anche con quanto ha scritto l’ingegner Ivan Cicconi nel suo indispensabile “Storia del futuro di tangentopoli, il quale, con quasi venti anni di anticipo, ha perfettamente analizzato i nuovi sistemi corruttivi post “mani pulite”, difficilmente perseguibili, e che vedono protagonisti partiti, finanziamenti illeciti, opere pubbliche, imprenditori (e cooperative) complici, debito pubblico per le generazioni future. Non un’analisi puntuale delle devastazioni ambientali in quel del Mugello o della legislazione e dei tanti aspetti tecnici controversi che ancora Cicconi ha ottimamente raccontato in “Le grandi opere del cavaliere” e in “Il libro nero dell’Alta velocità, ovvero il futuro di tangentopoli diventato storia”.
“Binario morto”, come scrivono Rastello e De Benedetti, è innanzitutto il racconto di un viaggio e il tentativo di rispondere a delle domande che in Italia nessuno si pone: “Un viaggio da un capo all’altro del Vecchio Continente per verificare di persona lo stato di avanzamento dei progetti e dei lavori del cosiddetto “Corridoio 5”, la linea ferroviaria che, nei piani dell’Unione europea, risalenti all’inizio anni ’90, avrebbe dovuto mettere in comunicazione l’Europa occidentale con quella orientale, unendo Lisbona a Kiev. Peraltro il Corridoio 5, così come gli altri nove previsti dal progetto europeo, non è destinato al trasporto dei passeggeri, ma a quello delle merci. E qui inevitabile ricordare le affermazioni sul breve segmento italo-francese quale principale ostacolo al completarsi dell’opera. Non dimentichiamolo: ci hanno detto che l’Europa aspettava solo noi. Che se non apriamo il varco sotto le Alpi rimarremo tagliati fuori dal commercio, dal turismo, dal consesso sociale. Affermazioni nette, senza appello. Altra storia con la lettura del libro di Rastello e De Benedetti; tanto più nel leggere – ma già lo sapevamo- che la sostenibilità del progetto si regge su previsioni a lunghissimo termine già disattese dalla crisi del 2008 ed in particolare su un aumento costante del PIL (italiano ed europeo) e l’aumento costante dei volumi di traffico sulla linea Italia-Francia. Un viaggio, come scrivono ancora gli autori, nelle contraddizioni del Vecchio Continente, “unito e coeso finché si tratta di prendere decisioni dall’alto, ma irrimediabilmente sdrucito e frammentato al momento di metterle in pratica. Il corridoio 5 ne è solo un esempio. Anche se tra i più imbarazzanti” (pag. 6).
I dibattiti italiani per ora hanno guardato solo e soltanto alla Torino-Lione, ai suoi costi (3 miliardi e mezzo solo per il tunnel se andrà bene), all’impatto ambientale, ai numeri che vanno e vengono quando si tratta di affrontare il tema costi-benefici (dai citati 3 miliardi ad almeno 50 miliardi fino al 2070, debiti e interessi compresi); ma che hanno del tutto trascurato il resto del progetto, ammesso sia ancora tale, “al tercer carril tra Algeciras e Ronda, alla cortina ferroviaria eretta dalla Slovenia, ai 108-140 chilometri all’ora dei (nuovissimi) treni ucraini, e persino al cul de sac dell’alta velocità all’altezza di Vicenza e all’immane pasticcio della Gronda Nord sotto Torino, una manciata di chilometri a valle della tratta Torino-Lione” (pag. 201).
Praticamente a ovest una ragnatela di infrastrutture, mentre a est, partendo da Trieste a Lubiana in corriera, si viaggia con mezzi di fortuna, strade e stradine per giungere a stazioni che non sanno cosa sia l’alta velocità. Il diario di viaggio di De Benedetti e Rastello inizia in Portogallo (nazione che nel marzo scorso ha annunciato l'abbandono definitivo di ogni progetto di Alta velocità), precisamente alla stazione di Lisbona, e da qui è continuato di treno in treno in cerca della linea fantasma: il corridoio 5. Ricerca non del tutto vana perché qualche – dicesi qualche – tratto di alta velocità, tra tanti trenini “di ineffabile lentezza”, tra progetti abbandonati, tra nuovi investimenti su diverse linee ferroviarie, i nostri due giornalisti l’hanno trovato. Viaggio anche fatto di incontri con ingegneri ed esperti del ramo trasporti e dai quali sono scaturite interviste ricche di affermazioni piuttosto forti e sicuramente non tali da entusiasmare l’on. Esposito. Alcuni esempi: Germà Bel, Docente dell’Università autonoma di Barcellona: “Far viaggiare i treni merci su linee ad alta velocità non ha alcun senso. Primo perché i treni merci sono intrinsecamente più lenti, secondo perché i binari ad alta velocità hanno costi di mantenimento elevatissimi che inciderebbero pesantemente anche sul costo del trasporto merci” (pag. 60-61); Didier Migaud, presidente della Corte dei conti francese, nel novembre 2012: “E’ importante rapportare i costi dell’alta velocità con le reali possibilità di crescita che darebbe al paese. Ma il valore netto è negativo in tutti gli scenari” (pag. 131); un consulente tecnico della Direzione Trasporti e Ambiente Regione Piemonte: “Non è necessario l’opera. Sono necessari i soldi che derivano da cantieri e progetti […] Il Tav è un ‘Momendol’ economico. Come le olimpiadi. Diciamo che grazie ai lavori olimpici imprese e località che erano allo stremo hanno trovato prospettive di sopravvivenza per almeno cinque anni” (pag. 139); Luca Giunti, animatore del Movimento contro l’alta velocità in Piemonte: “Devastiamo il paese per aprire la strada agli Eurostar ma avevamo il Pendolino che era un gioiello tecnologico, veloce e superconfortevole, perfettamente adatto all’accidentata orografia italiana” [ndr: le argomentazioni tecniche e contrattuali in materia sono esposte in maniera esaustiva soprattutto nelle opere di Cicconi]; ancora Germà Bel: “tanti fanno affari su promesse a scadenza non verificabile: costruttori, politici, consulenti…. Si arricchiscono qui e ora, assicurano miracoli tra decenni […] quando tutto questo sarà in esercizio ci muoveremo col teletrasporto” (pag.64); prof. Sergio Bologna, storico e consulente per grandi imprese e istituzioni: “L’80 per cento delle merci che entrano in Italia o ne escono su rotaia transita dai valichi di Domossola, Chiasso, Luino, Brennero, Tarvisio. Cioè attraverso la Svizzera o l’Austria. Non siamo capaci di agganciarci a infrastrutture già esistenti, ma non ci facciamo problemi a chiedere all’Europa ulteriori capitali per realizzare la Torino-Lione […] L’alta velocità non riguarda le merci. Sanno tutti che è un imbroglio confondere i due argomenti. Al di sopra degli ottanta chilometri orari il logorio dei carri aumenta in maniera esponenziale e gonfia a dismisura i costi di manutenzione […] I problemi veri stanno nei progetti industriali di servizio che possono giustificare investimenti infrastrutturali, e nella gestione delle tecnologie […] Grandi infrastrutture la cui razionalità economica è dubbia producono comunque due indubbi vantaggi: a livello locale la soddisfazione immediata di appetiti economici di aziende interessate ai lavori e alle commesse; a livello globale, l’illusione che chi governa un territorio abbia un’idea strutturata non a cortissimo raggio di che cosa farne. Gli effetti saranno verificabili quando la classe politica sarà cambiata, ma nell’immediato è garantito un certo consenso. Scommettere sul cemento come motore delle sviluppo è un vizio italiano ma non solo” (pag. 66-74).
Fin qui gli esperti del settore, che spesso non hanno aggiunto molto, rispetto quanto già detto dalla Commissione Tecnica della Comunità montana della Val di Susa e Val Sangone: a fronte delle famigerate quattordici domande e risposte predisposte dal governo Monti, pubblicate il 9 marzo 2012 sul sito governo.it (della serie “si faccia una domanda e si sia una risposta”), la citata Commissione, integrata da esperti esterni, seguendo lo schema governativo, replicò illustrando le proprie ragioni e letteralmente sommergendo di dati il compiutuccio stitico della presidenza del consiglio.
Piuttosto interessante semmai un passaggio in merito ad un altro argomento, spesso dimenticato in queste discussioni basate su alti principi, e che meriterebbe ulteriori approfondimenti, non fosse altro che nel viaggio di De Benedetti e Rastello abbiamo avuto dimostrazione dell’esistenza di parecchi paradossi, compresa la volontà di velocizzare un traffico che non c’è: “tutti i finanziamenti per la rete Ten-T di infrastrutture viarie prevista dell’Unione, che comprende il nostro corridoio comunque lo si voglia chiamare, non implicano alcuna opzione a favore dell’alta velocità o dell’alta capacità, tant’è che alcuni paesi investono i finanziamenti relativi quasi interamente (Ungheria per esempio) o in laga parte (la Spagna) in progetti relativi alla realizzazione di strade ed autostrade. Con buona pace del mantra secondo cui la realizzazione dell’alta velocità fra Lione e Torino costituisce il tassello di un piano europeo di spostamento del traffico merci da gomma a rotaia” (pag. 87).
Alla fine di questo viaggio finalmente l’arrivo a Kiev (dopo aver visitato trenini lenti lenti e stazioni ancien régime). Qui “l’Eldorado” evocato dall’on. Fassino (“Trieste è la nostra porta d’ingresso in Oriente. L’Europa dell’Est è il nostro Eldorado”) i nostri Rastello e De Benedetti non sono riusciti a vederlo. Lo vedranno nel 2070 grazie alla Torino-Lione? Giusto leggere un libro d’inchiesta ma poi certe domande, pretendendo risposte puntuali, andrebbero fatte ad altri. Ad esempio ai Ministri Alfano e Lupi. Nomi non del tutto casuali.
Sappiamo tutti che in Italia esiste una percentuale di diversamente abili, ma anche tanti diversamente onesti ed ancor di più tante persone diversamente informate. Con una certa coerenza quindi i ministri Alfano e Lupi, in virtù del loro uditorio e della loro onestà intellettuale, hanno recentemente affermato:“lo Stato c'è, ascolta e decide”. E che non si fermerà un’opera fondamentale e strategica per l'Italia e per l'Europa. Fermo restando la condanna per la violenza, a noi in questa sede importa capire il significato di “fondamentale” e “strategica”, magari con qualche dettaglio in più e alla luce di quanto abbiamo letto in questi anni, “Binario morto” compreso. Quanto meno per evitare interpretazioni maligne tali da tradurre “lo Stato c’è”, con “lo Stato c’è, i partiti, i loro protetti e la mafia pure”.
“Non abbiamo un problema in cerca di soluzione, ma una soluzione in cerca di un problema” (cit. “Report”).
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EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE
Luca Rastello è nato a Torino il 9 luglio 1961. Giornalista de «la Repubblica», specializzato in economia criminale e relazioni internazionali, è stato direttore di «Narcomafie» e del mensile «L’Indice», e ha lavorato come inviato per il settimanale «Diario». Oltre che nei Balcani, di cui si è occupato nel volume La guerra in casa (Einaudi 1998) e in vari saggi – alcuni dei quali in Introduzione al mondo nuovo. Scenari, attori e strategie della politica internazionale (a cura di Fabio Armao e Anna Caffarena, Guerini 2006), in Kosovo 1999-2000: la pace intrattabile (a cura di Francesco Strazzari, Asterios 2000) e su varie riviste fra cui «Limes» e «Lo straniero» – ha lavorato in Asia centrale, Caucaso, Corno d’Africa e in Centro e Sudamerica, in particolare in Argentina, Bolivia, Venezuela e Antille olandesi. Per molti anni ha collaborato a progetti di cooperazione con le Agenzie della Democrazia locale nei paesi balcanici e con l’Italian Consortium of Solidarity. Oltre ai testi citati, ha all’attivo il romanzo Piove all’insù (Bollati Boringhieri 2006), la raccolta di racconti Undici buone ragioni per una pausa (Bollati Boringhieri 2009) e il saggio La frontiera addosso (Laterza 2010). Per Chiarelettere ha pubblicato nel 2009 “Io sono il mercato. Teoria, metodi e stile di vita del perfetto narcotrafficante”
Andrea De Benedetti è nato a Torino il 1° novembre 1970. Laureato in Grammatica italiana, dal 1997 al 2006 ha insegnato Lingua italiana all’Università di Granada (Spagna) e nello stesso periodo ha cominciato a collaborare come corrispondente per diverse testate italiane («il manifesto», «Guerin Sportivo», «Tuttosport»). Dopo il rientro in Italia, ha insegnato nei corsi Ssis dell’Università di Torino, nei master in traduzione editoriale dell’agenzia formativa TuttoEuropa e nei corsi di Italiano L2 dell’Università di Pavia. Contemporaneamente ha allargato la sua rete di collaborazioni giornalistiche firmando inchieste, interviste e articoli di sport e costume per testate quali «GQ», «D la Repubblica delle Donne» e «Pubblico». Tra le sue pubblicazioni, L’informazione liofilizzata (Franco Cesati, 2004), Ogni bel gioco (Nerosubianco 2006) e Val più la pratica. Piccola grammatica immorale della lingua italiana (Laterza 2009). È coautore, con Mimmo Genga, di una grammatica italiana per le scuole superiori (E ora, l’italiano) pubblicata da Laterza (2011). Sempre per Laterza, ha tradotto gli ultimi due saggi di Fernando Savater: Storia della filosofia raccontata da Fernando Savater e Tauroetica. È presidente e socio cofondatore dell’associazione culturale Slow Food. Prima del reportage di cui è frutto questo libro non si era mai occupato di Tav.
Luca Rastello, Andrea De Benedetti, “Binario morto. Lisbona-Kiev. Alla scoperta del Corridoio 5 e dell'alta velocità che non c'è”, Chiarelettere (collana Reverse), Milano 2013, pag. 203.
Luca Menichetti.
Non sono un estremista di sinistra e non ho nostalgie "silvo pastorali", come dice qualche noto editorialista.
Il fatto è che il binomio grandi opere - sviluppo, malgrado ripetuti e ipnotici mantra, forse proprio non funziona, non fosse altro che una legge Lunardi - tra le altre cose - è una greppia per lauti pasti inconfessabili.
Faccio un minimo di autopromozione postando una mia recensione, già apparsa online, sul libro "Binario morto", ottima sintesi di quello che molti di noi - invano - tentano di far capire da anni.
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"Anche ad avere idee del tutto diverse su temi come sviluppo, ambiente e stato dei conti pubblici una constatazione è comunque valida per tutti: non si è a favore di un progetto Tav perché si sappia nel dettaglio cosa accadrà, oppure perché si abbia un’idea precisa del suo rapporto costi-benefici, ma perché ci sono dei violenti – pochi, molti o moltissimi – che lo contrastano. Tanto basta, spesso a prescindere da tutto il resto. C’è soltanto da prendere atto come, appunto per questa ragione, il dissenso riguardo un’opera pubblica, in qualsiasi forma sia espresso, venga considerato (non da tutti ma certo da molti) alla stregua di un oggettivo sostegno ad attività terroristiche, con conseguente evocazione degli anni ‘70. Certi discorsi si sentono, leggiamo editoriali che lo teorizzano con molta spavalderia, anche qui a prescindere dal credo politico di chi contesta. Oppure accusando i contestatori di essere uomini d’altri tempi e di voler tornare al calesse. Insomma, un po’ come il sottoscritto che coerentemente viaggia in groppa al somarello e comunica col piccione viaggiatore.
Non è questo il luogo adatto per elencare la provenienza politica e culturale di coloro che hanno espresso la propria contrarietà al sistema italiano delle cosiddette grandi opere, non fosse altro che alla fin fine appare un po’ singolare etichettare un progetto ingegneristico come di destra o di sinistra (altro la responsabilità politica per aver approvato una legge obiettivo ed aver perpetuato procedimenti a dir poco opachi); ma è un dato evidente che i contestatori, tra i quali docenti universitari, ingegneri del Politecnico, cittadini italiani di ogni latitudine, sono persone di sinistra, di destra, liberali, cattolici e via e via. Discorso ben diverso riguarda le posizioni ufficiali dei partiti, tutti formalmente “riformisti” e tutti impegnati a dispensare numeri e cifre mirabolanti, che però cambiano di volta in volta come numeri al lotto. Forse perché il project financing prevede che gli interessi sui mutui siano pagati con i soldi pubblici e nel contratto di concessione è previsto che “se” la domanda si rivelerà inferiore al previsto comunque le ferrovie statali faranno fronte ai debiti (quindi potenziali e non verificabili effetti positivi forse dopo il 2070 con inferno delle generazioni future e paradiso di quei pochi che possiedono quote di società coinvolte nel trapanare la montagna.
Quindi al di là del considerare quest’opera, il Tav Lione-Torino, come necessaria senza se e senza ma, è legittimo verificare quanto rispondano a verità affermazioni che in questi anni abbiamo ascoltato come autentici mantra, a cominciare da quel lontano 2001 quando Berlusconi dal fido Vespa, al momento di sottoscrivere il “contratto con gli italiani”, si mise a disegnare sulla lavagna le grandi opere da realizzare. Tra queste fu evocata la grande ferrovia, tutta in alta velocità, Lisbona-Kiev. Agli autori di “Binario morto” evidentemente queste affermazioni non sono bastate ed hanno voluto vedere con i propri occhi a che punto siamo col mirabolante progetto, tale da creare sviluppo, occupazione e un’Italia pienamente europea.
Questa volta poco a che vedere con gli studi di Calafati che, nel suo saggio del 2006, ha rilevato l’incapacità dell’informazione italiana di fare il suo mestiere proprio in relazione ad argomenti come le grandi opere pubbliche; poco a che vedere anche con quanto ha scritto l’ingegner Ivan Cicconi nel suo indispensabile “Storia del futuro di tangentopoli, il quale, con quasi venti anni di anticipo, ha perfettamente analizzato i nuovi sistemi corruttivi post “mani pulite”, difficilmente perseguibili, e che vedono protagonisti partiti, finanziamenti illeciti, opere pubbliche, imprenditori (e cooperative) complici, debito pubblico per le generazioni future. Non un’analisi puntuale delle devastazioni ambientali in quel del Mugello o della legislazione e dei tanti aspetti tecnici controversi che ancora Cicconi ha ottimamente raccontato in “Le grandi opere del cavaliere” e in “Il libro nero dell’Alta velocità, ovvero il futuro di tangentopoli diventato storia”.
“Binario morto”, come scrivono Rastello e De Benedetti, è innanzitutto il racconto di un viaggio e il tentativo di rispondere a delle domande che in Italia nessuno si pone: “Un viaggio da un capo all’altro del Vecchio Continente per verificare di persona lo stato di avanzamento dei progetti e dei lavori del cosiddetto “Corridoio 5”, la linea ferroviaria che, nei piani dell’Unione europea, risalenti all’inizio anni ’90, avrebbe dovuto mettere in comunicazione l’Europa occidentale con quella orientale, unendo Lisbona a Kiev. Peraltro il Corridoio 5, così come gli altri nove previsti dal progetto europeo, non è destinato al trasporto dei passeggeri, ma a quello delle merci. E qui inevitabile ricordare le affermazioni sul breve segmento italo-francese quale principale ostacolo al completarsi dell’opera. Non dimentichiamolo: ci hanno detto che l’Europa aspettava solo noi. Che se non apriamo il varco sotto le Alpi rimarremo tagliati fuori dal commercio, dal turismo, dal consesso sociale. Affermazioni nette, senza appello. Altra storia con la lettura del libro di Rastello e De Benedetti; tanto più nel leggere – ma già lo sapevamo- che la sostenibilità del progetto si regge su previsioni a lunghissimo termine già disattese dalla crisi del 2008 ed in particolare su un aumento costante del PIL (italiano ed europeo) e l’aumento costante dei volumi di traffico sulla linea Italia-Francia. Un viaggio, come scrivono ancora gli autori, nelle contraddizioni del Vecchio Continente, “unito e coeso finché si tratta di prendere decisioni dall’alto, ma irrimediabilmente sdrucito e frammentato al momento di metterle in pratica. Il corridoio 5 ne è solo un esempio. Anche se tra i più imbarazzanti” (pag. 6).
I dibattiti italiani per ora hanno guardato solo e soltanto alla Torino-Lione, ai suoi costi (3 miliardi e mezzo solo per il tunnel se andrà bene), all’impatto ambientale, ai numeri che vanno e vengono quando si tratta di affrontare il tema costi-benefici (dai citati 3 miliardi ad almeno 50 miliardi fino al 2070, debiti e interessi compresi); ma che hanno del tutto trascurato il resto del progetto, ammesso sia ancora tale, “al tercer carril tra Algeciras e Ronda, alla cortina ferroviaria eretta dalla Slovenia, ai 108-140 chilometri all’ora dei (nuovissimi) treni ucraini, e persino al cul de sac dell’alta velocità all’altezza di Vicenza e all’immane pasticcio della Gronda Nord sotto Torino, una manciata di chilometri a valle della tratta Torino-Lione” (pag. 201).
Praticamente a ovest una ragnatela di infrastrutture, mentre a est, partendo da Trieste a Lubiana in corriera, si viaggia con mezzi di fortuna, strade e stradine per giungere a stazioni che non sanno cosa sia l’alta velocità. Il diario di viaggio di De Benedetti e Rastello inizia in Portogallo (nazione che nel marzo scorso ha annunciato l'abbandono definitivo di ogni progetto di Alta velocità), precisamente alla stazione di Lisbona, e da qui è continuato di treno in treno in cerca della linea fantasma: il corridoio 5. Ricerca non del tutto vana perché qualche – dicesi qualche – tratto di alta velocità, tra tanti trenini “di ineffabile lentezza”, tra progetti abbandonati, tra nuovi investimenti su diverse linee ferroviarie, i nostri due giornalisti l’hanno trovato. Viaggio anche fatto di incontri con ingegneri ed esperti del ramo trasporti e dai quali sono scaturite interviste ricche di affermazioni piuttosto forti e sicuramente non tali da entusiasmare l’on. Esposito. Alcuni esempi: Germà Bel, Docente dell’Università autonoma di Barcellona: “Far viaggiare i treni merci su linee ad alta velocità non ha alcun senso. Primo perché i treni merci sono intrinsecamente più lenti, secondo perché i binari ad alta velocità hanno costi di mantenimento elevatissimi che inciderebbero pesantemente anche sul costo del trasporto merci” (pag. 60-61); Didier Migaud, presidente della Corte dei conti francese, nel novembre 2012: “E’ importante rapportare i costi dell’alta velocità con le reali possibilità di crescita che darebbe al paese. Ma il valore netto è negativo in tutti gli scenari” (pag. 131); un consulente tecnico della Direzione Trasporti e Ambiente Regione Piemonte: “Non è necessario l’opera. Sono necessari i soldi che derivano da cantieri e progetti […] Il Tav è un ‘Momendol’ economico. Come le olimpiadi. Diciamo che grazie ai lavori olimpici imprese e località che erano allo stremo hanno trovato prospettive di sopravvivenza per almeno cinque anni” (pag. 139); Luca Giunti, animatore del Movimento contro l’alta velocità in Piemonte: “Devastiamo il paese per aprire la strada agli Eurostar ma avevamo il Pendolino che era un gioiello tecnologico, veloce e superconfortevole, perfettamente adatto all’accidentata orografia italiana” [ndr: le argomentazioni tecniche e contrattuali in materia sono esposte in maniera esaustiva soprattutto nelle opere di Cicconi]; ancora Germà Bel: “tanti fanno affari su promesse a scadenza non verificabile: costruttori, politici, consulenti…. Si arricchiscono qui e ora, assicurano miracoli tra decenni […] quando tutto questo sarà in esercizio ci muoveremo col teletrasporto” (pag.64); prof. Sergio Bologna, storico e consulente per grandi imprese e istituzioni: “L’80 per cento delle merci che entrano in Italia o ne escono su rotaia transita dai valichi di Domossola, Chiasso, Luino, Brennero, Tarvisio. Cioè attraverso la Svizzera o l’Austria. Non siamo capaci di agganciarci a infrastrutture già esistenti, ma non ci facciamo problemi a chiedere all’Europa ulteriori capitali per realizzare la Torino-Lione […] L’alta velocità non riguarda le merci. Sanno tutti che è un imbroglio confondere i due argomenti. Al di sopra degli ottanta chilometri orari il logorio dei carri aumenta in maniera esponenziale e gonfia a dismisura i costi di manutenzione […] I problemi veri stanno nei progetti industriali di servizio che possono giustificare investimenti infrastrutturali, e nella gestione delle tecnologie […] Grandi infrastrutture la cui razionalità economica è dubbia producono comunque due indubbi vantaggi: a livello locale la soddisfazione immediata di appetiti economici di aziende interessate ai lavori e alle commesse; a livello globale, l’illusione che chi governa un territorio abbia un’idea strutturata non a cortissimo raggio di che cosa farne. Gli effetti saranno verificabili quando la classe politica sarà cambiata, ma nell’immediato è garantito un certo consenso. Scommettere sul cemento come motore delle sviluppo è un vizio italiano ma non solo” (pag. 66-74).
Fin qui gli esperti del settore, che spesso non hanno aggiunto molto, rispetto quanto già detto dalla Commissione Tecnica della Comunità montana della Val di Susa e Val Sangone: a fronte delle famigerate quattordici domande e risposte predisposte dal governo Monti, pubblicate il 9 marzo 2012 sul sito governo.it (della serie “si faccia una domanda e si sia una risposta”), la citata Commissione, integrata da esperti esterni, seguendo lo schema governativo, replicò illustrando le proprie ragioni e letteralmente sommergendo di dati il compiutuccio stitico della presidenza del consiglio.
Piuttosto interessante semmai un passaggio in merito ad un altro argomento, spesso dimenticato in queste discussioni basate su alti principi, e che meriterebbe ulteriori approfondimenti, non fosse altro che nel viaggio di De Benedetti e Rastello abbiamo avuto dimostrazione dell’esistenza di parecchi paradossi, compresa la volontà di velocizzare un traffico che non c’è: “tutti i finanziamenti per la rete Ten-T di infrastrutture viarie prevista dell’Unione, che comprende il nostro corridoio comunque lo si voglia chiamare, non implicano alcuna opzione a favore dell’alta velocità o dell’alta capacità, tant’è che alcuni paesi investono i finanziamenti relativi quasi interamente (Ungheria per esempio) o in laga parte (la Spagna) in progetti relativi alla realizzazione di strade ed autostrade. Con buona pace del mantra secondo cui la realizzazione dell’alta velocità fra Lione e Torino costituisce il tassello di un piano europeo di spostamento del traffico merci da gomma a rotaia” (pag. 87).
Alla fine di questo viaggio finalmente l’arrivo a Kiev (dopo aver visitato trenini lenti lenti e stazioni ancien régime). Qui “l’Eldorado” evocato dall’on. Fassino (“Trieste è la nostra porta d’ingresso in Oriente. L’Europa dell’Est è il nostro Eldorado”) i nostri Rastello e De Benedetti non sono riusciti a vederlo. Lo vedranno nel 2070 grazie alla Torino-Lione? Giusto leggere un libro d’inchiesta ma poi certe domande, pretendendo risposte puntuali, andrebbero fatte ad altri. Ad esempio ai Ministri Alfano e Lupi. Nomi non del tutto casuali.
Sappiamo tutti che in Italia esiste una percentuale di diversamente abili, ma anche tanti diversamente onesti ed ancor di più tante persone diversamente informate. Con una certa coerenza quindi i ministri Alfano e Lupi, in virtù del loro uditorio e della loro onestà intellettuale, hanno recentemente affermato:“lo Stato c'è, ascolta e decide”. E che non si fermerà un’opera fondamentale e strategica per l'Italia e per l'Europa. Fermo restando la condanna per la violenza, a noi in questa sede importa capire il significato di “fondamentale” e “strategica”, magari con qualche dettaglio in più e alla luce di quanto abbiamo letto in questi anni, “Binario morto” compreso. Quanto meno per evitare interpretazioni maligne tali da tradurre “lo Stato c’è”, con “lo Stato c’è, i partiti, i loro protetti e la mafia pure”.
“Non abbiamo un problema in cerca di soluzione, ma una soluzione in cerca di un problema” (cit. “Report”).
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EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE
Luca Rastello è nato a Torino il 9 luglio 1961. Giornalista de «la Repubblica», specializzato in economia criminale e relazioni internazionali, è stato direttore di «Narcomafie» e del mensile «L’Indice», e ha lavorato come inviato per il settimanale «Diario». Oltre che nei Balcani, di cui si è occupato nel volume La guerra in casa (Einaudi 1998) e in vari saggi – alcuni dei quali in Introduzione al mondo nuovo. Scenari, attori e strategie della politica internazionale (a cura di Fabio Armao e Anna Caffarena, Guerini 2006), in Kosovo 1999-2000: la pace intrattabile (a cura di Francesco Strazzari, Asterios 2000) e su varie riviste fra cui «Limes» e «Lo straniero» – ha lavorato in Asia centrale, Caucaso, Corno d’Africa e in Centro e Sudamerica, in particolare in Argentina, Bolivia, Venezuela e Antille olandesi. Per molti anni ha collaborato a progetti di cooperazione con le Agenzie della Democrazia locale nei paesi balcanici e con l’Italian Consortium of Solidarity. Oltre ai testi citati, ha all’attivo il romanzo Piove all’insù (Bollati Boringhieri 2006), la raccolta di racconti Undici buone ragioni per una pausa (Bollati Boringhieri 2009) e il saggio La frontiera addosso (Laterza 2010). Per Chiarelettere ha pubblicato nel 2009 “Io sono il mercato. Teoria, metodi e stile di vita del perfetto narcotrafficante”
Andrea De Benedetti è nato a Torino il 1° novembre 1970. Laureato in Grammatica italiana, dal 1997 al 2006 ha insegnato Lingua italiana all’Università di Granada (Spagna) e nello stesso periodo ha cominciato a collaborare come corrispondente per diverse testate italiane («il manifesto», «Guerin Sportivo», «Tuttosport»). Dopo il rientro in Italia, ha insegnato nei corsi Ssis dell’Università di Torino, nei master in traduzione editoriale dell’agenzia formativa TuttoEuropa e nei corsi di Italiano L2 dell’Università di Pavia. Contemporaneamente ha allargato la sua rete di collaborazioni giornalistiche firmando inchieste, interviste e articoli di sport e costume per testate quali «GQ», «D la Repubblica delle Donne» e «Pubblico». Tra le sue pubblicazioni, L’informazione liofilizzata (Franco Cesati, 2004), Ogni bel gioco (Nerosubianco 2006) e Val più la pratica. Piccola grammatica immorale della lingua italiana (Laterza 2009). È coautore, con Mimmo Genga, di una grammatica italiana per le scuole superiori (E ora, l’italiano) pubblicata da Laterza (2011). Sempre per Laterza, ha tradotto gli ultimi due saggi di Fernando Savater: Storia della filosofia raccontata da Fernando Savater e Tauroetica. È presidente e socio cofondatore dell’associazione culturale Slow Food. Prima del reportage di cui è frutto questo libro non si era mai occupato di Tav.
Luca Rastello, Andrea De Benedetti, “Binario morto. Lisbona-Kiev. Alla scoperta del Corridoio 5 e dell'alta velocità che non c'è”, Chiarelettere (collana Reverse), Milano 2013, pag. 203.
Luca Menichetti.
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Re: Tav. E' proprio "riformismo" contro "cavernicoli"?
A prescindere se sia giusto o meno fare il tav (al riguardo ci sono degli aspetti positivi e altri negativi) l'Italia ha investito pochissimo sul ferro. Col fatto che c'era la Fiat ha sempre fatto prevalere le opere stradali e il risultato è che e strade si sono intasate ed è aumentato anche l'inquinamento. Non vedo neanche a sinistra, a parte qualche caso isolato, una presa di posizione decisa verso il trasporto pubblico, e invece ritengo che sia una delle prime cose da affrontare. I posti di lavoro si aumentano anche così.
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Re: Tav. E' proprio "riformismo" contro "cavernicoli"?
L'importante è saper valutare la normativa esistente e sopratutto valutare i costi- benefici dei progetti. Cosa che non si fa. Peraltro il trasporto locale è allo sfascio e senza manutenzione. Quindi certe "perplessità" su megaprogetti che un Boitani, un Cicconi ed anche il saggio di cui sopra contestano, rimangono tutte. Il fatto che poi si invochi "progresso" o "non rimaniamo fuori dall'Europa" è altro discorso. Ai mantra si dovrebbe replicare con fatti e dati. Qualcuno ci prova, ma non è detto che sia ascoltato. Siamo pur sempre in Italia.
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Re: Tav. E' proprio "riformismo" contro "cavernicoli"?
lucameni1 ha scritto:L'importante è saper valutare la normativa esistente e sopratutto valutare i costi- benefici dei progetti. Cosa che non si fa. Peraltro il trasporto locale è allo sfascio e senza manutenzione. Quindi certe "perplessità" su megaprogetti che un Boitani, un Cicconi ed anche il saggio di cui sopra contestano, rimangono tutte. Il fatto che poi si invochi "progresso" o "non rimaniamo fuori dall'Europa" è altro discorso. Ai mantra si dovrebbe replicare con fatti e dati. Qualcuno ci prova, ma non è detto che sia ascoltato. Siamo pur sempre in Italia.
Son cose risapute, caro Luca.L'importante è saper valutare la normativa esistente e sopratutto valutare i costi- benefici dei progetti. Cosa che non si fa
Purtroppo anche i media cosidetti "progressisti" seguono gli ordini degli loro editori e gli editori seguono...il loro portafogli alla faccia dei costi e benefici.
C'est la vie mon ami.
Purtroppo i media hanno influenzato i cervelli di quasi tutta l'Italia . Pure noi avevamo dei dubbi seguendo quanto affermavano gran parte dei media.
Il quarto potere, bellezza, funziona non come prima ma piu' di prima.
Questo ci dovrebbe insegnare come spesso veniamo fottuti da questi editori pseudo riformisti. L'avversario sai chi e' e da costui e' facile difendersii mentre costoro sono lupi vestiti di agnello e sempre ci fottono. Peccato che ce ne accorgiamo soltanto quando succedono casi del genere. Questo dovrebbe dirci qualcosa o no?
un salutone da Juan, il compagno
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: Tav. E' proprio "riformismo" contro "cavernicoli"?
Erri De Luca: “Il Tav Torino-Lione va sabotato”. Ltf denuncerà lo scrittore
La Lyon-Turin ferroviaire presenterà un esposto contro lo scrittore napoletano che, in un'intervista aveva dichiarato: “Hanno fallito i tavoli del governo, hanno fallito le mediazioni: il sabotaggio è l'unica alternativa”. Unj concetto ribadito anche oggi nonostante la minaccia di denuncia
di Andrea Giambartolomei | 5 settembre 2013
Dalle parole alle denunce. La Lyon-Turin ferroviaire (Ltf), la società che deve realizzare la tratta comune della linea ad alta velocità Torino-Lione, ha deciso di denunciare lo scrittore Erri De Luca . Per questo, nei prossimi giorni potrebbe presentare un esposto. “Questa denuncia non mi fa certo cambiare idea, sempre che arrivi, perché al momento io non ho ricevuto nulla”, ha risposto l’autore napoletano annunciando la sua presenza a una manifestazione in Val di Susa il prossimo 5 ottobre.
In un’intervista pubblicata domenica dall’Huffington Post De Luca, con un passato nel servizio d’ordine di Lotta Continua e convinto sostenitore del movimento No Tav, aveva dichiarato che “la Tav va sabotata” e che le cesoie (trovate insieme ad altro materiale nell’auto di due militanti arrestati lo scorso 30 agosto) “sono utili a tagliare le reti”: “Hanno fallito i tavoli del governo, hanno fallito le mediazioni: il sabotaggio è l’unica alternativa”. A lui si è aggiunto anche il sindacalista Giorgio Cremaschi: “In Val di Susa gli atti contro gli impianti della Tav fanno parte di una lotta civile e democratica profondamente giusta e come tali vanno compresi e giustificati”.
L’invito di De Luca non deve essere piaciuto ai dirigenti della società Ltf, soprattutto in un periodo di intimidazioni e arresti. Risale solo al 30 agosto scorso l’incendio al capannone e ai mezzi della Geomont, una ditta di Bussoleno (Torino) che ha svolto dei lavori nel cantiere di Chiomonte. Dopo l’episodio, ritenuto finora un attentato, il titolare della società Giuseppe Benente aveva affermato di essere pronto a lasciare l’attività per il clima negativo nei confronti delle aziende impegnate nell’opera. Sui siti del movimento, come notav.info, è stato pubblicato un messaggio anonimo che lancia sospetti sul rogo: l’autore ipotizza che sia stato appiccato dalla ditta per ottenere un risarcimento dall’assicurazione, ma il titolare rigetta l’accusa querelando il movimento. Ieri sera, su altri siti di controinformazione, è apparso un altro testo anonimo che invita il movimento ad assumersi le responsabilità di atti contro l’opera: “Anziché rischiare di sminuire il gesto di qualche coraggioso notav – si legge – difendiamo pubblicamente dalla repressione i nostri compagni di lotta nell’unico modo dignitoso possibile. Rivendicando qualunque gesto compiuto contro l’avanzare del mostro Tav come patrimonio di tutti noi”.
“È del tutto evidente che il tagliare le reti con le cesoie non ha nulla a che vedere con il terrorismo – afferma Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista, che si schiera a difesa di Erri De Luca – Dopo la criminalizzazione del movimento ora c’è anche la criminalizzazione di chi sostiene le ragioni dei No Tav. Come durante il fascismo siamo tornati ai reati di opinione – aggiunge – Erri del Luca ha espresso solo parole di buon senso”. Contrario invece il senatore del Pdl e vicepresidente del Copasir (Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti) Giuseppe Esposito: “L’unica cosa da sabotare a questo punto mi sembrano i libri di Erri De Luca – dichiara – Evidentemente ha nostalgia del suo passato in Lotta Continua, un’epoca di tensione conclusasi fortunatamente con lo scioglimento di quel gruppo extraparlamentare”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09 ... re/702489/
La Lyon-Turin ferroviaire presenterà un esposto contro lo scrittore napoletano che, in un'intervista aveva dichiarato: “Hanno fallito i tavoli del governo, hanno fallito le mediazioni: il sabotaggio è l'unica alternativa”. Unj concetto ribadito anche oggi nonostante la minaccia di denuncia
di Andrea Giambartolomei | 5 settembre 2013
Dalle parole alle denunce. La Lyon-Turin ferroviaire (Ltf), la società che deve realizzare la tratta comune della linea ad alta velocità Torino-Lione, ha deciso di denunciare lo scrittore Erri De Luca . Per questo, nei prossimi giorni potrebbe presentare un esposto. “Questa denuncia non mi fa certo cambiare idea, sempre che arrivi, perché al momento io non ho ricevuto nulla”, ha risposto l’autore napoletano annunciando la sua presenza a una manifestazione in Val di Susa il prossimo 5 ottobre.
In un’intervista pubblicata domenica dall’Huffington Post De Luca, con un passato nel servizio d’ordine di Lotta Continua e convinto sostenitore del movimento No Tav, aveva dichiarato che “la Tav va sabotata” e che le cesoie (trovate insieme ad altro materiale nell’auto di due militanti arrestati lo scorso 30 agosto) “sono utili a tagliare le reti”: “Hanno fallito i tavoli del governo, hanno fallito le mediazioni: il sabotaggio è l’unica alternativa”. A lui si è aggiunto anche il sindacalista Giorgio Cremaschi: “In Val di Susa gli atti contro gli impianti della Tav fanno parte di una lotta civile e democratica profondamente giusta e come tali vanno compresi e giustificati”.
L’invito di De Luca non deve essere piaciuto ai dirigenti della società Ltf, soprattutto in un periodo di intimidazioni e arresti. Risale solo al 30 agosto scorso l’incendio al capannone e ai mezzi della Geomont, una ditta di Bussoleno (Torino) che ha svolto dei lavori nel cantiere di Chiomonte. Dopo l’episodio, ritenuto finora un attentato, il titolare della società Giuseppe Benente aveva affermato di essere pronto a lasciare l’attività per il clima negativo nei confronti delle aziende impegnate nell’opera. Sui siti del movimento, come notav.info, è stato pubblicato un messaggio anonimo che lancia sospetti sul rogo: l’autore ipotizza che sia stato appiccato dalla ditta per ottenere un risarcimento dall’assicurazione, ma il titolare rigetta l’accusa querelando il movimento. Ieri sera, su altri siti di controinformazione, è apparso un altro testo anonimo che invita il movimento ad assumersi le responsabilità di atti contro l’opera: “Anziché rischiare di sminuire il gesto di qualche coraggioso notav – si legge – difendiamo pubblicamente dalla repressione i nostri compagni di lotta nell’unico modo dignitoso possibile. Rivendicando qualunque gesto compiuto contro l’avanzare del mostro Tav come patrimonio di tutti noi”.
“È del tutto evidente che il tagliare le reti con le cesoie non ha nulla a che vedere con il terrorismo – afferma Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista, che si schiera a difesa di Erri De Luca – Dopo la criminalizzazione del movimento ora c’è anche la criminalizzazione di chi sostiene le ragioni dei No Tav. Come durante il fascismo siamo tornati ai reati di opinione – aggiunge – Erri del Luca ha espresso solo parole di buon senso”. Contrario invece il senatore del Pdl e vicepresidente del Copasir (Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti) Giuseppe Esposito: “L’unica cosa da sabotare a questo punto mi sembrano i libri di Erri De Luca – dichiara – Evidentemente ha nostalgia del suo passato in Lotta Continua, un’epoca di tensione conclusasi fortunatamente con lo scioglimento di quel gruppo extraparlamentare”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09 ... re/702489/
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Re: Tav. E' proprio "riformismo" contro "cavernicoli"?
Bè non è che parole in libertà facciano poi tanto bene alla causa. In questo senso secondo me aveva ragione Travaglio che, portando dati oggettivi sullo spreco e sulla demenzialità del progetto (ma greppia per partiti, cooperative e imprenditori amici), ha ripetutamente chiesto che tutte le proteste rimanessero nell'ambito della legalità. Altrimenti si dà pretesto per nascondere il problema in quanto tale per trasferirlo sull'ordine pubblico. Ho già sentito gente che di Tav non sa nulla ma per il fatto che sia stato fatto casino allora approvano il progetto. Come se un progetto avesse un colore politico.. Tipo: "ero contrario, ma ora che protestano così allora sono favorevole". Discorso che non ha senso, ma le cose vanno così. Quindi un po' più di intelligenza portando avanti argomenti di buon senso magari....
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Re: Tav. E' proprio "riformismo" contro "cavernicoli"?
Il miracolo dell'altra Tav ecco la galleria gemella che piace agli ambientalisti
LUCERNA (SVIZZERA) - Sul lungolago di Lucerna una gigantesca talpa accoglie i visitatori all'ingresso del museo dei trasporti. È una fresa identica a quella che invano i no Tav hanno tentato di bloccare in val di Susa. La talpa di Lucerna ha ormai finito di scavare ed è diventata un monumento.
Perché dal 2010 la Tav ha una gemella in Svizzera. Che piace agli ambientalisti.
La talpa di Lucerna ha perforato la montagna per undici anni, ha «devastato» come direbbero nei cortei valsusini. Ha realizzato la galleria ferroviaria sotto il Gottardo: 57 chilometri di binari nella montagna, per un costo di 8 miliardi di euro. Le stesse cifre della galleria della Torino-Lione. Con la differenza che in questo caso i soldi li ha messi tutti la Svizzera: non ci sono sovvenzioni dell'Unione europea, non c'è un altro Stato con cui dividere l'onere. Non è un dramma: a Berna i soldi non mancano, possono permetterselo.
L'obiettivo è quello «di creare un corridoio per passeggeri e merci che consenta di unire Milano a Zurigo in tre ore. Oggi ce ne vogliono quattro e mezza». Parla così Gregor Saladin, responsabile della comunicazione dell'ufficio dei trasporti federale, aprendo la due giorni informativa sulla nuova galleria ferroviaria svizzera.
L'opera entrerà in funzione tra due anni.
Il 15 ottobre 2010 l'arrivo della talpa e l'abbattimento dell'ultimo diaframma di roccia sono stati accolti con l'orchestra, i fuochi d'artificio e la marcia trionfale dell'Aida.
Da allora è iniziato l'allestimento dei servizi interni. I binari e la rete elettrica sono posati. Nel 2015 inizieranno i collaudi.
Il 27 maggio 2016 il primo treno in esercizio attraverserà la galleria.
E i problemi ambientali? E lo spreco di denaro pubblico? E il modello di sviluppo?
Le questioni che tanto fanno discutere in Italia, fanno sorridere gli svizzeri. Non che siano temi irrilevanti, tutt'altro:
«Certo per noi l'ambiente è una questione molto seria», conferma Saladin. Ma i problemi sono stati risolti. Le associazioni ambientaliste hanno fatto nascere un comitato di controllo indipendente che ha monitorato tutte le fasi di realizzazione dell'opera, «e abbiamo realizzato interventi di compensazione per migliorare l'ambiente». Come le cinque isole artificiali create nel lago di Lucerna utilizzando una parte dei 28 milioni di tonnellate di terra estratte dalla montagna. In Italia saranno poco più di 5 milioni perché il resto è un problema francese.
A che cosa servono le isolette artificiali di Lucerna?
«Quattro vengono utilizzate come oasi per far nidificare gli uccelli. La quinta per andare a pesca», rispondono i funzionari del ministero. La Svizzera sta investendo molto sul sistema ferroviario: «L'obiettivo di trasferire il traffico merci e passeggeri sul ferro è stato inserito nella nostra costituzione», annuncia Peter Fuglistaler, direttore dell'Ufficio federale dei Trasporti, quello che noi chiameremmo viceministro. Investire non significa solo scavare gallerie ma studiare nuovi sistemi per abbattere il rumore e migliorare la sicurezza. Vicino a Basilea la Joseph Meyer studia nuovi materiali in grado di abbattere il rumore causato dai freni e lo Stato svizzero ha realizzato una rete di microfoni e sensori in grado di misurare rumore e segnalare rischi di incendio e incidente. C'è un sistema di incentivi che garantisce sconti ai trasportatori se utilizzano vagoni con sistemi frenanti silenziati.
Tutto questo ha l'obiettivo di ridurre drasticamente il trasporto su gomma che attraversa la Svizzera sull'asse Nord-Sud. Ma come superare l'opposizione dei contrari?
«Tutte le nostre grandi opere - spiega Fuglistaler - sono state sottoposte a referendum. Il Gottardo ha ottenuto il 60 per cento di sì». Chi ha votato? «Tutta la Svizzera».
E se i territori coinvolti direttamente dall'opera non sono d'accordo? «Tutti devono accettare il risultato del referendum. Non è possibile che un piccolo territorio blocchi un'opera decisa a livello nazionale». Dove si sono concentrati i no al Gottardo?
«È semplice: nei cantoni esclusi dai cantieri che protestavano perché non avrebbero tratto un vantaggio diretto dall'investimento». Un mondo al contrario: come se la Val di Susa fosse alla guida dei Sì Tav.
Ma i costi?
Il Gottardo costa 8 miliardi ai contribuenti svizzeri (la Torino-Lione ne costerà 2,8 agli italiani).
Come finanziarli?
«Con l'aumento delle tariffe su gomma», risponde il viceministro. E spiega: «In questi giorni il Parlamento sta discutendo la proposta di aumentare da 40 a 100 franchi svizzeri il pedaggio annuo sulle autostrade».
Una cifra molto alta...«100 franchi sono 80 euro. Lei crede di spendere di meno in Italia per un anno di utilizzo dell'autostrada?».
Sorride il signor Fuglistaler mentre lascia la sede del museo dei trasporti. Incrocia una scolaresca che si ferma di fronte alla grande fresa per scattare la foto ricordo. Un altro mondo: da noi la prenderebbero d'assalto con le molotov.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
DAL NOSTRO INVIATO PAOLO GRISERI
http://ricerca.repubblica.it/repubblica ... leria.html
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Sarebbe interessante proseguire la discussione su questo tema.
Dove stanno le differenze fra gli ambientalisti svizzeri e quelli italiani?
L'interlocutore o c'e' dell'altro?
Le priorita' secondo le disponibilita'?
Chi e' il vero ambientalista?
un salutone da Juan, il compagno
LUCERNA (SVIZZERA) - Sul lungolago di Lucerna una gigantesca talpa accoglie i visitatori all'ingresso del museo dei trasporti. È una fresa identica a quella che invano i no Tav hanno tentato di bloccare in val di Susa. La talpa di Lucerna ha ormai finito di scavare ed è diventata un monumento.
Perché dal 2010 la Tav ha una gemella in Svizzera. Che piace agli ambientalisti.
La talpa di Lucerna ha perforato la montagna per undici anni, ha «devastato» come direbbero nei cortei valsusini. Ha realizzato la galleria ferroviaria sotto il Gottardo: 57 chilometri di binari nella montagna, per un costo di 8 miliardi di euro. Le stesse cifre della galleria della Torino-Lione. Con la differenza che in questo caso i soldi li ha messi tutti la Svizzera: non ci sono sovvenzioni dell'Unione europea, non c'è un altro Stato con cui dividere l'onere. Non è un dramma: a Berna i soldi non mancano, possono permetterselo.
L'obiettivo è quello «di creare un corridoio per passeggeri e merci che consenta di unire Milano a Zurigo in tre ore. Oggi ce ne vogliono quattro e mezza». Parla così Gregor Saladin, responsabile della comunicazione dell'ufficio dei trasporti federale, aprendo la due giorni informativa sulla nuova galleria ferroviaria svizzera.
L'opera entrerà in funzione tra due anni.
Il 15 ottobre 2010 l'arrivo della talpa e l'abbattimento dell'ultimo diaframma di roccia sono stati accolti con l'orchestra, i fuochi d'artificio e la marcia trionfale dell'Aida.
Da allora è iniziato l'allestimento dei servizi interni. I binari e la rete elettrica sono posati. Nel 2015 inizieranno i collaudi.
Il 27 maggio 2016 il primo treno in esercizio attraverserà la galleria.
E i problemi ambientali? E lo spreco di denaro pubblico? E il modello di sviluppo?
Le questioni che tanto fanno discutere in Italia, fanno sorridere gli svizzeri. Non che siano temi irrilevanti, tutt'altro:
«Certo per noi l'ambiente è una questione molto seria», conferma Saladin. Ma i problemi sono stati risolti. Le associazioni ambientaliste hanno fatto nascere un comitato di controllo indipendente che ha monitorato tutte le fasi di realizzazione dell'opera, «e abbiamo realizzato interventi di compensazione per migliorare l'ambiente». Come le cinque isole artificiali create nel lago di Lucerna utilizzando una parte dei 28 milioni di tonnellate di terra estratte dalla montagna. In Italia saranno poco più di 5 milioni perché il resto è un problema francese.
A che cosa servono le isolette artificiali di Lucerna?
«Quattro vengono utilizzate come oasi per far nidificare gli uccelli. La quinta per andare a pesca», rispondono i funzionari del ministero. La Svizzera sta investendo molto sul sistema ferroviario: «L'obiettivo di trasferire il traffico merci e passeggeri sul ferro è stato inserito nella nostra costituzione», annuncia Peter Fuglistaler, direttore dell'Ufficio federale dei Trasporti, quello che noi chiameremmo viceministro. Investire non significa solo scavare gallerie ma studiare nuovi sistemi per abbattere il rumore e migliorare la sicurezza. Vicino a Basilea la Joseph Meyer studia nuovi materiali in grado di abbattere il rumore causato dai freni e lo Stato svizzero ha realizzato una rete di microfoni e sensori in grado di misurare rumore e segnalare rischi di incendio e incidente. C'è un sistema di incentivi che garantisce sconti ai trasportatori se utilizzano vagoni con sistemi frenanti silenziati.
Tutto questo ha l'obiettivo di ridurre drasticamente il trasporto su gomma che attraversa la Svizzera sull'asse Nord-Sud. Ma come superare l'opposizione dei contrari?
«Tutte le nostre grandi opere - spiega Fuglistaler - sono state sottoposte a referendum. Il Gottardo ha ottenuto il 60 per cento di sì». Chi ha votato? «Tutta la Svizzera».
E se i territori coinvolti direttamente dall'opera non sono d'accordo? «Tutti devono accettare il risultato del referendum. Non è possibile che un piccolo territorio blocchi un'opera decisa a livello nazionale». Dove si sono concentrati i no al Gottardo?
«È semplice: nei cantoni esclusi dai cantieri che protestavano perché non avrebbero tratto un vantaggio diretto dall'investimento». Un mondo al contrario: come se la Val di Susa fosse alla guida dei Sì Tav.
Ma i costi?
Il Gottardo costa 8 miliardi ai contribuenti svizzeri (la Torino-Lione ne costerà 2,8 agli italiani).
Come finanziarli?
«Con l'aumento delle tariffe su gomma», risponde il viceministro. E spiega: «In questi giorni il Parlamento sta discutendo la proposta di aumentare da 40 a 100 franchi svizzeri il pedaggio annuo sulle autostrade».
Una cifra molto alta...«100 franchi sono 80 euro. Lei crede di spendere di meno in Italia per un anno di utilizzo dell'autostrada?».
Sorride il signor Fuglistaler mentre lascia la sede del museo dei trasporti. Incrocia una scolaresca che si ferma di fronte alla grande fresa per scattare la foto ricordo. Un altro mondo: da noi la prenderebbero d'assalto con le molotov.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
DAL NOSTRO INVIATO PAOLO GRISERI
http://ricerca.repubblica.it/repubblica ... leria.html
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Sarebbe interessante proseguire la discussione su questo tema.
Dove stanno le differenze fra gli ambientalisti svizzeri e quelli italiani?
L'interlocutore o c'e' dell'altro?
Le priorita' secondo le disponibilita'?
Chi e' il vero ambientalista?
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