Top News
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Re: Top News
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Di Pietro: "La nomina di Amato in Consulta favorisce Berlusconi"
Così Antonio Di Pietro su Twitter: "Amato alla Consulta? Varò la prima legge ad personam, su ordine di Craxi, per permettere a Berlusconi il monopolio TV".
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Re: Top News
I consigli di Amato alla vedova di un socialista:
“Zitta coi giudici, niente nomi”
In una telefonata del 1990 il neo giudice costituzionale chiede alla vedova di un dirigente socialista di non fare i nomi dei protagonisti di una tangente di 270 milioni di lire. Dice: "Tirati fuori da questa storia"
di Emiliano Liuzzi | 15 settembre 2013
La data dell’intercettazione telefonica in cui compare la voce di Giuliano Amato nella veste di minimizzatore, all’epoca deputato e vicesegretario del Psi di Bettino Craxi, è importante: 21 settembre 1990. Non c’è ancora nessuna Tangentopoli, ma le mazzette ci sono eccome. È qui che Amato, all’epoca dottor Sottile, come lo ribattezzò Giampaolo Pansa, mette il naso e molto di più. Chiama la moglie di un senatore socialista, Paolo Barsacchi, già sottosegretario, morto quattro anni prima. Barsacchi, nonostante non possa più difendersi, è accusato dai vecchi compagni di partito di essere l’uomo a cui finì la tangente di 270 milioni di lire per la costruzione della nuova pretura di Viareggio. La vedova del senatore, Anna Maria Gemignani, non vuole che il nome del marito, solo perché è deceduto e non perseguibile, finisca nel fascicolo dei magistrati. E minaccia di fare nomi e cognomi.
È a questo punto che Amato la chiama e, secondo i giudici, lo fa con uno scopo: evitare “una frittata”, intendendo per tale – scrivono i giudici del tribunale di Pisa Alberto Bargagna, Carmelo Solarino e Alberto De Palma a dicembre di quello stesso anno – “un capitombolo complessivo del Partito socialista”. I giudici vanno anche oltre e, nelle motivazioni della sentenza che condannerà i responsabili di quella tangente, si chiedono come mai “nessuno di questi eminenti uomini politici come Giuliano Vassalli (all’epoca ministro della giustizia) e Amato stesso, si siano sentiti in dovere di verificare tra i documenti della segreteria del partito per quali strade da Viareggio arrivarono a Roma finanziamenti ricollegabili alla tangente della pretura di Viareggio”. Lo scrivono, nero su bianco, il momento in cui condannano per la tangente i boss della Versilia del Psi e scagionano loro stessi la figura del senatore Barsacchi.
La telefonata, dicevamo. E quel 21 settembre 1990. È quel giorno che Amato chiama la vedova di Barsacchi e si trattiene al telefono con lei per 11 minuti e 49 secondi. Amato cerca la sua interlocutrice, poi è lei che lo richiama, registra e consegna il nastro, di cui il Fatto Quotidiano è in possesso, ai magistrati. Che acquisiscono la telefonata come prova, un’intercettazione indiretta, ma inserita nel fascicolo processuale. “Anna Maria, scusami, ma stavo curandomi la discopatia, ma vedo che questa situazione qui si è arroventata”. Dall’altra parte la vedova tace. Poi dice solo: “Ti ascolto”. Amato, con voce imbarazzata come lo sarà per il resto della telefonata, va dritto al problema: “La mia impressione è che qui rischiamo di andare incontro a una frittata generale per avventatezze, per linee difensive che lasciano aperti un sacco di problemi dal tuo punto di vista”. La frittata alla quale Amato fa riferimento è appunto un coinvolgimento – come dirà esplicitamente – di altre persone nel processo. “Troverei giusto che tu direttamente o indirettamente entrassi in quel maledetto processo e dicessi che quello che dicono di tuo marito non è vero. Punto. Non è vero. Ma senza andare a fare un’operazione che va a fare quello non è lui, ma è Caio, quello non è lui ma è Sempronio. Hai capito che intendo dire? Tu dici che tuo marito in questa storia non c’entra. Questo è legittimo. Ma a… a… a… a Viareggio hanno creato questo clima vergognoso, è una reciproca caccia alle streghe, io troverei molto bello che tu da questa storia ti tirassi fuori”.
Insomma Amato, oggi giudice della Corte costituzionale, all’epoca notabile del partito più corrotto d’Italia, il Psi, non dice vai e racconta la verità. Ma vai e non fare nomi. Tirati fuori. Non dire quello che sai, poi accerteranno i giudici. Difendi l’onore di tuo marito con un “lui non c’entra”. Diciamo che sarebbe stato poco, e il tribunale non si sarebbe accontentato, ovvio. Ma questo l’attuale giudice Amato le dice di fare: non raccontare tutto quello che conosce, come vorrebbe la legge sotto giuramento, ma esprimere una verità parziale.
Ancora più interessante il passaggio in cui – e ci arriviamo tra poco – Amato ammette di sapere più o meno chi sono i responsabili di un’azione illegale, ma invita a chiamarsi fuori. E quando verrà lui stesso trascinato a testimoniare non aggiungerà niente. Alla fine, come titolò all’epoca dei fatti la Nazione: Pretura d’oro, colpa dei morti. Insomma. Colpa di Barsacchi, che la moglie cerca in ogni modo di difendere e alla fine, nonostante i consigli di Amato, ci riuscirà.
La moglie di Barsacchi al telefono dice una cosa sola all’onorevole Amato, e lo fa tirando un grosso respiro per non sfogarsi ulteriormente: “Giuliano, io voglio soltanto che chi sa la verità la dica”. E Amato replica: “Ma vattelapesca chi la sa e qual è. Tu hai capito chi ha fatto qualcosa?”. “Io”, risponde lei all’illustre interlocutore, “penso che tu l’abbia capito anche te”. E Amato: “Ma per qualcuno forse dei locali sì, ma io non lo so, non lo so. Ma vedi, noi ci muoviamo su cose diverse. Questo non è un processo contro Paolo, ma contro altri”.
Il 13 dicembre del 1990 i responsabili della tangente verranno condannati. Tra loro Walter De Ninno, due anni e mezzo per ricettazione nei confronti di un imprenditore di Pisa. È l’inizio di Tangentopoli. E della fine del Partito socialista.
da Il Fatto Quotidiano del 15 settembre 2013
video e montaggio di Gisella Ruccia
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09 ... mi/711948/
“Zitta coi giudici, niente nomi”
In una telefonata del 1990 il neo giudice costituzionale chiede alla vedova di un dirigente socialista di non fare i nomi dei protagonisti di una tangente di 270 milioni di lire. Dice: "Tirati fuori da questa storia"
di Emiliano Liuzzi | 15 settembre 2013
La data dell’intercettazione telefonica in cui compare la voce di Giuliano Amato nella veste di minimizzatore, all’epoca deputato e vicesegretario del Psi di Bettino Craxi, è importante: 21 settembre 1990. Non c’è ancora nessuna Tangentopoli, ma le mazzette ci sono eccome. È qui che Amato, all’epoca dottor Sottile, come lo ribattezzò Giampaolo Pansa, mette il naso e molto di più. Chiama la moglie di un senatore socialista, Paolo Barsacchi, già sottosegretario, morto quattro anni prima. Barsacchi, nonostante non possa più difendersi, è accusato dai vecchi compagni di partito di essere l’uomo a cui finì la tangente di 270 milioni di lire per la costruzione della nuova pretura di Viareggio. La vedova del senatore, Anna Maria Gemignani, non vuole che il nome del marito, solo perché è deceduto e non perseguibile, finisca nel fascicolo dei magistrati. E minaccia di fare nomi e cognomi.
È a questo punto che Amato la chiama e, secondo i giudici, lo fa con uno scopo: evitare “una frittata”, intendendo per tale – scrivono i giudici del tribunale di Pisa Alberto Bargagna, Carmelo Solarino e Alberto De Palma a dicembre di quello stesso anno – “un capitombolo complessivo del Partito socialista”. I giudici vanno anche oltre e, nelle motivazioni della sentenza che condannerà i responsabili di quella tangente, si chiedono come mai “nessuno di questi eminenti uomini politici come Giuliano Vassalli (all’epoca ministro della giustizia) e Amato stesso, si siano sentiti in dovere di verificare tra i documenti della segreteria del partito per quali strade da Viareggio arrivarono a Roma finanziamenti ricollegabili alla tangente della pretura di Viareggio”. Lo scrivono, nero su bianco, il momento in cui condannano per la tangente i boss della Versilia del Psi e scagionano loro stessi la figura del senatore Barsacchi.
La telefonata, dicevamo. E quel 21 settembre 1990. È quel giorno che Amato chiama la vedova di Barsacchi e si trattiene al telefono con lei per 11 minuti e 49 secondi. Amato cerca la sua interlocutrice, poi è lei che lo richiama, registra e consegna il nastro, di cui il Fatto Quotidiano è in possesso, ai magistrati. Che acquisiscono la telefonata come prova, un’intercettazione indiretta, ma inserita nel fascicolo processuale. “Anna Maria, scusami, ma stavo curandomi la discopatia, ma vedo che questa situazione qui si è arroventata”. Dall’altra parte la vedova tace. Poi dice solo: “Ti ascolto”. Amato, con voce imbarazzata come lo sarà per il resto della telefonata, va dritto al problema: “La mia impressione è che qui rischiamo di andare incontro a una frittata generale per avventatezze, per linee difensive che lasciano aperti un sacco di problemi dal tuo punto di vista”. La frittata alla quale Amato fa riferimento è appunto un coinvolgimento – come dirà esplicitamente – di altre persone nel processo. “Troverei giusto che tu direttamente o indirettamente entrassi in quel maledetto processo e dicessi che quello che dicono di tuo marito non è vero. Punto. Non è vero. Ma senza andare a fare un’operazione che va a fare quello non è lui, ma è Caio, quello non è lui ma è Sempronio. Hai capito che intendo dire? Tu dici che tuo marito in questa storia non c’entra. Questo è legittimo. Ma a… a… a… a Viareggio hanno creato questo clima vergognoso, è una reciproca caccia alle streghe, io troverei molto bello che tu da questa storia ti tirassi fuori”.
Insomma Amato, oggi giudice della Corte costituzionale, all’epoca notabile del partito più corrotto d’Italia, il Psi, non dice vai e racconta la verità. Ma vai e non fare nomi. Tirati fuori. Non dire quello che sai, poi accerteranno i giudici. Difendi l’onore di tuo marito con un “lui non c’entra”. Diciamo che sarebbe stato poco, e il tribunale non si sarebbe accontentato, ovvio. Ma questo l’attuale giudice Amato le dice di fare: non raccontare tutto quello che conosce, come vorrebbe la legge sotto giuramento, ma esprimere una verità parziale.
Ancora più interessante il passaggio in cui – e ci arriviamo tra poco – Amato ammette di sapere più o meno chi sono i responsabili di un’azione illegale, ma invita a chiamarsi fuori. E quando verrà lui stesso trascinato a testimoniare non aggiungerà niente. Alla fine, come titolò all’epoca dei fatti la Nazione: Pretura d’oro, colpa dei morti. Insomma. Colpa di Barsacchi, che la moglie cerca in ogni modo di difendere e alla fine, nonostante i consigli di Amato, ci riuscirà.
La moglie di Barsacchi al telefono dice una cosa sola all’onorevole Amato, e lo fa tirando un grosso respiro per non sfogarsi ulteriormente: “Giuliano, io voglio soltanto che chi sa la verità la dica”. E Amato replica: “Ma vattelapesca chi la sa e qual è. Tu hai capito chi ha fatto qualcosa?”. “Io”, risponde lei all’illustre interlocutore, “penso che tu l’abbia capito anche te”. E Amato: “Ma per qualcuno forse dei locali sì, ma io non lo so, non lo so. Ma vedi, noi ci muoviamo su cose diverse. Questo non è un processo contro Paolo, ma contro altri”.
Il 13 dicembre del 1990 i responsabili della tangente verranno condannati. Tra loro Walter De Ninno, due anni e mezzo per ricettazione nei confronti di un imprenditore di Pisa. È l’inizio di Tangentopoli. E della fine del Partito socialista.
da Il Fatto Quotidiano del 15 settembre 2013
video e montaggio di Gisella Ruccia
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Re: Top News
Stanno facendo un casino mediatico sulla Costa Concordia da raddrizzare
Ma di Schettino quando ne riparliamo? Questo manco sta in carcere. Boh
Ma di Schettino quando ne riparliamo? Questo manco sta in carcere. Boh
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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Re: Top News
Il dilemma: l'Italia è un paese di relitti o ...un relitto di paese?peanuts ha scritto:Stanno facendo un casino mediatico sulla Costa Concordia da raddrizzare
Ma di Schettino quando ne riparliamo? Questo manco sta in carcere. Boh
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Re: Top News
Tav Firenze: arresti ai domiciliari per Lorenzetti (Pd), ex presidente dell’Umbria
L'esponente democratica accusata in veste di presidente di Italferr (Fs). I reati ipotizzati dalla Procura del capoluogo toscano sono corruzione, associazione a delinquere e abuso d'ufficio. "Rischio di reiterazione del reato". L'accusa: "Pressioni per agevolare aziende in cambio di favori al marito". La replica del legale: "Nessun vantaggio"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 16 settembre 2013
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09 ... ia/712718/
Una ulteriore notizia (se fondata) che ci porta a confermare che "viviamo" in un relitto di paese!
L'esponente democratica accusata in veste di presidente di Italferr (Fs). I reati ipotizzati dalla Procura del capoluogo toscano sono corruzione, associazione a delinquere e abuso d'ufficio. "Rischio di reiterazione del reato". L'accusa: "Pressioni per agevolare aziende in cambio di favori al marito". La replica del legale: "Nessun vantaggio"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 16 settembre 2013
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Una ulteriore notizia (se fondata) che ci porta a confermare che "viviamo" in un relitto di paese!
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Re: Top News
Beh, la cicciona ha preso un sacco di voti ma non ha la maggioranza, vistoc he i suoi colleghi liberali sono spariti dal parlamento
Adesso voglio vedere come fa a governare senza numeri. Dovrà scendere a patti, le si impongano parecchie cose
O si rivota
Adesso voglio vedere come fa a governare senza numeri. Dovrà scendere a patti, le si impongano parecchie cose
O si rivota
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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Re: Top News
Nell'attuale sfascio una piccola nota positiva: Zanonato mi sembra un buon ministro.
LA CRISI
Riva Acciaio, accordo a Roma
«Gli stabilimenti riaprono lunedì»
L'annuncio del ministro Flavio Zanonato
e il gip di Taranto garantisce la operatività bancaria
ROMA - «Gli stabilimenti della Riva Acciaio riapriranno lunedì». Lo ha annunciato il ministro per lo Sviluppo economico, Flavio Zanonato. E' in corso al ministero una riunione fra lo stesso ministro, il sottosegretario Claudio De Vincenti, con l'amministratore unico della Riva Acciaio, Cesare Riva, il rappresentante del gruppo e presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, il custode giudiziario, Mario Tagarelli e i rappresentanti delle banche.
LA NOTA DEL MINISTRO - « Tale decisione è resa possibile anche grazie a provvedimenti assunti in giornata dal gip di Taranto, con cui si è garantita agli istituti bancari la possibilità di riaprire l’operatività bancaria con il gruppo, assicurando che i nuovi incassi della società Riva Acciaio non saranno oggetto di ulteriori sequestri e potranno invece essere utilizzati per il fabbisogno di continuità aziendale. Per quanto riguarda le somme sequestrate – pari a circa 60 milioni di euro – durante la riunione al Mise è stato individuato un percorso, condiviso dal gip nel proprio provvedimento, volto a reimmettere a breve nel ciclo dei pagamenti aziendali anche gli importi sequestrati. Tale percorso - che costituisce un tassello fondamentale per la stabilizzazione finanziaria e produttiva di Riva Acciaio - introduce l’accantonamento progressivo, tramite un piano economico finanziario che sarà predisposto nei prossimi giorni, di un importo pari alle risorse che verranno liberate dal sequestro, sotto lo stretto controllo dell’amministratore giudiziario. “Grazie al risultato fondamentale raggiunto oggi – ha dichiarato il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato – già da lunedì prossimo 1400 lavoratori potranno tornare sul posto di lavoro. In questi giorni abbiamo lavorato con grande impegno e con la collaborazione di tutti per ottenere questo obbiettivo. Continueremo a monitorare e a seguire la situazione per assicurarci che la continuità produttiva sia preservata». ha concluso il ministro. «Grazie al risultato fondamentale raggiunto oggi già da lunedì prossimo 1.400 lavoratori potranno tornare sul posto di lavoro - ha concluso il ministro - in questi giorni abbiamo lavorato con grande impegno e con la collaborazione di tutti per ottenere questo obiettivo. Continueremo a monitorare e a seguire la situazione per assicurarci che la continuità produttiva sia preservata».
IL GIP DI TARANTO - Il gip di Taranto ha assunto i provvedimenti per garantire agli istituti bancari la possibilità di riaprire l'operatività con il gruppo Riva Acciaio. È quanto scritto in una nota del ministero dello Sviluppo Economico diffusa al termine dell'incontro. «I nuovi incassi della società non saranno oggetto di ulteriori sequestri», si legge.
Redazione online
27 settembre 2013
http://corrieredelmezzogiorno.corriere. ... 9000.shtml
LA CRISI
Riva Acciaio, accordo a Roma
«Gli stabilimenti riaprono lunedì»
L'annuncio del ministro Flavio Zanonato
e il gip di Taranto garantisce la operatività bancaria
ROMA - «Gli stabilimenti della Riva Acciaio riapriranno lunedì». Lo ha annunciato il ministro per lo Sviluppo economico, Flavio Zanonato. E' in corso al ministero una riunione fra lo stesso ministro, il sottosegretario Claudio De Vincenti, con l'amministratore unico della Riva Acciaio, Cesare Riva, il rappresentante del gruppo e presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, il custode giudiziario, Mario Tagarelli e i rappresentanti delle banche.
LA NOTA DEL MINISTRO - « Tale decisione è resa possibile anche grazie a provvedimenti assunti in giornata dal gip di Taranto, con cui si è garantita agli istituti bancari la possibilità di riaprire l’operatività bancaria con il gruppo, assicurando che i nuovi incassi della società Riva Acciaio non saranno oggetto di ulteriori sequestri e potranno invece essere utilizzati per il fabbisogno di continuità aziendale. Per quanto riguarda le somme sequestrate – pari a circa 60 milioni di euro – durante la riunione al Mise è stato individuato un percorso, condiviso dal gip nel proprio provvedimento, volto a reimmettere a breve nel ciclo dei pagamenti aziendali anche gli importi sequestrati. Tale percorso - che costituisce un tassello fondamentale per la stabilizzazione finanziaria e produttiva di Riva Acciaio - introduce l’accantonamento progressivo, tramite un piano economico finanziario che sarà predisposto nei prossimi giorni, di un importo pari alle risorse che verranno liberate dal sequestro, sotto lo stretto controllo dell’amministratore giudiziario. “Grazie al risultato fondamentale raggiunto oggi – ha dichiarato il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato – già da lunedì prossimo 1400 lavoratori potranno tornare sul posto di lavoro. In questi giorni abbiamo lavorato con grande impegno e con la collaborazione di tutti per ottenere questo obbiettivo. Continueremo a monitorare e a seguire la situazione per assicurarci che la continuità produttiva sia preservata». ha concluso il ministro. «Grazie al risultato fondamentale raggiunto oggi già da lunedì prossimo 1.400 lavoratori potranno tornare sul posto di lavoro - ha concluso il ministro - in questi giorni abbiamo lavorato con grande impegno e con la collaborazione di tutti per ottenere questo obiettivo. Continueremo a monitorare e a seguire la situazione per assicurarci che la continuità produttiva sia preservata».
IL GIP DI TARANTO - Il gip di Taranto ha assunto i provvedimenti per garantire agli istituti bancari la possibilità di riaprire l'operatività con il gruppo Riva Acciaio. È quanto scritto in una nota del ministero dello Sviluppo Economico diffusa al termine dell'incontro. «I nuovi incassi della società non saranno oggetto di ulteriori sequestri», si legge.
Redazione online
27 settembre 2013
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Re: Top News
Corriere 30.9.13
il sindaco Marino e l’allarme crac. Roma diventa un comune-simbolo
di Goffredo Buccini
C'è qualcosa di ripetitivo e insieme di paradossale nell'annuncio-choc con cui Ignazio Marino ha minacciato la bancarotta della Capitale: servono velocemente 867 milioni per coprire debiti «ereditati dalla passata amministrazione», ha ammonito il sindaco, altrimenti per i romani saranno lacrime e sangue. La ripetitività balza agli occhi soltanto a sfogliare le dichiarazioni di cinque anni or sono, quando Alemanno, appena eletto, si sgolava a denunciare un buco di bilancio miliardario che, a suo dire, gli avrebbe lasciato in dote il centrosinistra e Veltroni ne bollava la sortita con un tacitiano «bufala politica». Ora le parti si sono rovesciate ma la musica non cambia. Buco o debito, una qualche dolorosa eredità rotola sempre da un primo cittadino romano all'altro e, ammettiamolo, è forse utile da enfatizzare preliminarmente, come antidoto ai propri, eventuali, fallimenti. Del resto l'Urbe è sempre stata alquanto costosa da amministrare. Al tempo dell'Impero, fra Traiano e Commodo, si arrivavano a spendere circa mille denari a cranio di panem et circenses per tenersi buoni duecentomila plebei. Ora, il buon Marino non toglierà ai romani grano o spettacoli dei gladiatori ma, verosimilmente, bus notturni e servizi sociali, costretto magari alla fine alla più impopolare delle mosse: alzare Irpef e Tares. Il paradosso è che mai come ora Roma appare capitale emotiva dei Comuni d'Italia, con buona pace del leghista milanese Salvini (che invita Marino ad andare in malora): poiché, nonostante lo status e le peculiarità che la distanziano da essi, Roma ne condivide inevitabilmente le angosce contabili. Il sindaco di Roma fa appello, come i suoi colleghi d'ogni latitudine, a un governo morente e, come loro, s'affida alla provvidenza. La politica fin qui seguita sull'Imu ha lasciato le casse locali a secco ed è di una settimana fa il grido di dolore di Piero Fassino, nella sua qualità di presidente dell'Anci, sugli stipendi dei dipendenti comunali a rischio. Siamo tutti sulla stessa barca, basta capirlo: se ne usciremo più solidali, più stretti gli uni agli altri, perfino questa crisi sarà servita.
Repubblica 30.9.13
La bancarotta della Capitale
Impervie ma obbligate le vie della democrazia
di Mario Pirani
Lo chiamano il sindaco “marziano” ma non ci sembra basti la passione per la bici per conquistarsi automaticamente un nomignolo popolare. Anzi, questa monomania per le due ruote, comprensibile in una cittadina olandese, ci sembra difficilmente applicabile in una metropoli come Roma, dove basta qualche giornata di pioggia battente per ritrovarsi immersi nelle pittoresche gare fra gli “ombrellari” in lotta per assicurarsi la vendita di capienti ombrelloni da passeggio. In attesa di un fausto ritorno alle auto blu o, almeno, alle 500 grigie.
Detto questo non staremo a contar le pulci al prof. Marino, in carica da quattro mesi e di cui alcune iniziative dall’avvio del mandato, come la pedonalizzazione iniziale dei Fori, sono state accolte assai favorevolmente dal mondo culturale italiano e internazionale. Le ostilità, per contro, di una parte della stampa capitolina per il Campidoglio lasciano spazio alle critiche di chi ormai da tempo considera troppo succube il rapporto tra le cronache cittadine e la vita amministrativa di Roma. È difficile infatti negare che la lettura dei fatti resta pur sempre segnata da una gestione spesso infettata da troppi decenni di affarismo. Da questo punto di vista il ritorno del centro sinistra al potere rivela uno stile apprezzabile, con la presentazione di alcuni punti programmatici, spogli dai vecchi riti consociativi, spesso sinonimo di immobilismo. Un atteggiamento che ha portato a qualche incomprensione nella stessa maggioranza, adusa ai giochi interni e alle spartizioni sottobanco, in nome della cosiddetta condivisione e altre sottomarche della partitocrazia. Una linea di comportamento che può avere infastidito taluni ma ha mostrato un modo di muoversi all’insegna della rapidità. Lo stesso può dirsi per la delibera che ha annullato diversi milioni di metri cubi di nuovo cemento nell’agro romano, decisi dalla precedente amministrazione, offrendo come alternativa il concetto del tutto nuovo per Roma, di rigenerazione urbana.
Ma l’operazione che si annuncia col maggior coefficiente di innovazione è quella della Metro C, la più grande opera pubblica in corso di realizzazione nel nostro Paese. Il sindaco è andato di persona nei cantieri e ha aperto una discussione diretta su tempi e costi certi a fronte di ulteriori istanze di pagamento ereditate dal passato. Non sono mancate polemiche allorquando il primo cittadino ha mostrato una certa esitazione di fronte alle richieste, usando un argomento che in genere non si mette in piazza: «Andiamo piano con le spese perché si tratta dei soldi dei romani e degli italiani (gli stanziamenti sono infatti per metà nazionali e per metà cittadini) e dobbiamo controllare ogni centesimo». Alla fine Marino ha avuto la meglio ottenendo il completamento di stazioni che sarebbero dovute essere consegnate diversi anni orsono secondo gli accordi dell’epoca ma ancora mai fatte.
Tutto questo, allo stato delle cose, andrebbe monitorato politicamente nei municipi e negli altri enti locali liberando la discussione da manovre strumentali per dare spazio a una visione programmatica del futuro di Roma. È una scommessa di non poco momento che ha per palio il recupero di un rapporto vivo tra amministrazione e popolo. Solo l’uso spregiudicato e coraggioso della verità può dare alla giunta Marino il fiato per portare avanti l’impresa. A cominciare dall’arduo scoglio del bilancio, gravato dal lascito negativo di Alemanno che va risolto entro il 30 novembre. Nel 2012, infatti, per effetto dei tagli dei trasferimenti locali (decreto “salva Italia” del governo Monti) al Campidoglio sono entrati 500 milioni di euro di meno, la giunta Alemanno non ne ha tenuto conto, spendendo di fatto soldi che sapeva non sarebbero mai arrivati nelle sue casse. Far di conto è noioso e difficile. Sarebbe utile però che i cittadini si impadronissero dei meccanismi che governano las orte delle loro spese. La democrazia passa anche da qui.
il sindaco Marino e l’allarme crac. Roma diventa un comune-simbolo
di Goffredo Buccini
C'è qualcosa di ripetitivo e insieme di paradossale nell'annuncio-choc con cui Ignazio Marino ha minacciato la bancarotta della Capitale: servono velocemente 867 milioni per coprire debiti «ereditati dalla passata amministrazione», ha ammonito il sindaco, altrimenti per i romani saranno lacrime e sangue. La ripetitività balza agli occhi soltanto a sfogliare le dichiarazioni di cinque anni or sono, quando Alemanno, appena eletto, si sgolava a denunciare un buco di bilancio miliardario che, a suo dire, gli avrebbe lasciato in dote il centrosinistra e Veltroni ne bollava la sortita con un tacitiano «bufala politica». Ora le parti si sono rovesciate ma la musica non cambia. Buco o debito, una qualche dolorosa eredità rotola sempre da un primo cittadino romano all'altro e, ammettiamolo, è forse utile da enfatizzare preliminarmente, come antidoto ai propri, eventuali, fallimenti. Del resto l'Urbe è sempre stata alquanto costosa da amministrare. Al tempo dell'Impero, fra Traiano e Commodo, si arrivavano a spendere circa mille denari a cranio di panem et circenses per tenersi buoni duecentomila plebei. Ora, il buon Marino non toglierà ai romani grano o spettacoli dei gladiatori ma, verosimilmente, bus notturni e servizi sociali, costretto magari alla fine alla più impopolare delle mosse: alzare Irpef e Tares. Il paradosso è che mai come ora Roma appare capitale emotiva dei Comuni d'Italia, con buona pace del leghista milanese Salvini (che invita Marino ad andare in malora): poiché, nonostante lo status e le peculiarità che la distanziano da essi, Roma ne condivide inevitabilmente le angosce contabili. Il sindaco di Roma fa appello, come i suoi colleghi d'ogni latitudine, a un governo morente e, come loro, s'affida alla provvidenza. La politica fin qui seguita sull'Imu ha lasciato le casse locali a secco ed è di una settimana fa il grido di dolore di Piero Fassino, nella sua qualità di presidente dell'Anci, sugli stipendi dei dipendenti comunali a rischio. Siamo tutti sulla stessa barca, basta capirlo: se ne usciremo più solidali, più stretti gli uni agli altri, perfino questa crisi sarà servita.
Repubblica 30.9.13
La bancarotta della Capitale
Impervie ma obbligate le vie della democrazia
di Mario Pirani
Lo chiamano il sindaco “marziano” ma non ci sembra basti la passione per la bici per conquistarsi automaticamente un nomignolo popolare. Anzi, questa monomania per le due ruote, comprensibile in una cittadina olandese, ci sembra difficilmente applicabile in una metropoli come Roma, dove basta qualche giornata di pioggia battente per ritrovarsi immersi nelle pittoresche gare fra gli “ombrellari” in lotta per assicurarsi la vendita di capienti ombrelloni da passeggio. In attesa di un fausto ritorno alle auto blu o, almeno, alle 500 grigie.
Detto questo non staremo a contar le pulci al prof. Marino, in carica da quattro mesi e di cui alcune iniziative dall’avvio del mandato, come la pedonalizzazione iniziale dei Fori, sono state accolte assai favorevolmente dal mondo culturale italiano e internazionale. Le ostilità, per contro, di una parte della stampa capitolina per il Campidoglio lasciano spazio alle critiche di chi ormai da tempo considera troppo succube il rapporto tra le cronache cittadine e la vita amministrativa di Roma. È difficile infatti negare che la lettura dei fatti resta pur sempre segnata da una gestione spesso infettata da troppi decenni di affarismo. Da questo punto di vista il ritorno del centro sinistra al potere rivela uno stile apprezzabile, con la presentazione di alcuni punti programmatici, spogli dai vecchi riti consociativi, spesso sinonimo di immobilismo. Un atteggiamento che ha portato a qualche incomprensione nella stessa maggioranza, adusa ai giochi interni e alle spartizioni sottobanco, in nome della cosiddetta condivisione e altre sottomarche della partitocrazia. Una linea di comportamento che può avere infastidito taluni ma ha mostrato un modo di muoversi all’insegna della rapidità. Lo stesso può dirsi per la delibera che ha annullato diversi milioni di metri cubi di nuovo cemento nell’agro romano, decisi dalla precedente amministrazione, offrendo come alternativa il concetto del tutto nuovo per Roma, di rigenerazione urbana.
Ma l’operazione che si annuncia col maggior coefficiente di innovazione è quella della Metro C, la più grande opera pubblica in corso di realizzazione nel nostro Paese. Il sindaco è andato di persona nei cantieri e ha aperto una discussione diretta su tempi e costi certi a fronte di ulteriori istanze di pagamento ereditate dal passato. Non sono mancate polemiche allorquando il primo cittadino ha mostrato una certa esitazione di fronte alle richieste, usando un argomento che in genere non si mette in piazza: «Andiamo piano con le spese perché si tratta dei soldi dei romani e degli italiani (gli stanziamenti sono infatti per metà nazionali e per metà cittadini) e dobbiamo controllare ogni centesimo». Alla fine Marino ha avuto la meglio ottenendo il completamento di stazioni che sarebbero dovute essere consegnate diversi anni orsono secondo gli accordi dell’epoca ma ancora mai fatte.
Tutto questo, allo stato delle cose, andrebbe monitorato politicamente nei municipi e negli altri enti locali liberando la discussione da manovre strumentali per dare spazio a una visione programmatica del futuro di Roma. È una scommessa di non poco momento che ha per palio il recupero di un rapporto vivo tra amministrazione e popolo. Solo l’uso spregiudicato e coraggioso della verità può dare alla giunta Marino il fiato per portare avanti l’impresa. A cominciare dall’arduo scoglio del bilancio, gravato dal lascito negativo di Alemanno che va risolto entro il 30 novembre. Nel 2012, infatti, per effetto dei tagli dei trasferimenti locali (decreto “salva Italia” del governo Monti) al Campidoglio sono entrati 500 milioni di euro di meno, la giunta Alemanno non ne ha tenuto conto, spendendo di fatto soldi che sapeva non sarebbero mai arrivati nelle sue casse. Far di conto è noioso e difficile. Sarebbe utile però che i cittadini si impadronissero dei meccanismi che governano las orte delle loro spese. La democrazia passa anche da qui.
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Re: Top News
l’Unità 1.10.13
Frustati per tuffarsi, morti tredici migranti
Annegati a pochi metri dalla spiaggia resa famosa dalla serie tv Montalbano
Un superstite in fuga ucciso da un’auto pirata
I bagnanti salvano decine di persone. Presi sei scafisti
di Manuela Modica
RAGUSA Sono morti in 13 ma «potevano essere molti di più. Altri tre, per esempio, avevano già la schiuma alla bocca, non pensavo si potessero riprendere ma abbiamo lo stesso praticato il massaggio cardiaco e la respirazione e sono tornati tra noi, sputando l’acqua nei polmoni». Così racconta il maresciallo Carmelo Floriddia, 41 anni, che ieri grazie anche al suo brevetto di assistente ai bagnanti ha salvato molti dei migranti sbarcati sulla spiaggia di Sampieri, nel ragusano. «È servito il brevetto, è servito saper nuotare ma è difficile pensare adesso che tredici persone non sono più di questo mondo – ha continuato il maresciallo -. Io ho fatto quello che potevo con l’aiuto del mio collega, poi anche di un ragazzo del 118, di un brigadiere in pensione che faceva jogging sulla spiaggia, di alcuni del Marsa Siclà (residence di Sampieri, ndr). Sono felice per chi abbiamo salvato, ma restano impressi gli occhi immobili di chi non siamo riusciti a rianimare».
I migranti, secondo le testimonianze raccolte sarebbero stati frustati, con colpi di corda e cinghiate per farli scendere dalla barca (poi arenatasi). Gridavano aiuto, gridavano dicendo di non sapere nuotare ma gli scafisti non hanno avuto pietà. Li hanno bastonati, frustati con delle cime e minacciati con i coltelli costringendoli a buttarsi in mare. E chi resisteva attaccandosi a qualsiasi cosa veniva preso e gettato in acqua. I bagnanti li hanno visti saltare a qualche centinaio di metri dalla riva. Uomini, ragazzi, donne con bambini. «Ho portato a riva un bambino di due o tre anni» ha raccontato uno di loro. La procura ha fermato sei presunti scafisti e sta accertando le loro identità.
Quella di Sampieri è una delle spiagge più belle della Sicilia, mezzo chilometro di baia «californiana», tra spiaggia libera e strutture turistiche rivolta verso l’Africa. È uno degli scorci usati per le riprese della serie tv “Il Commissario Montalbano”. Ieri, lì dove l’acqua è più spesso conciliante, il mare era troppo forte e la sabbia è stata travolta dalla disperazione dei migranti e dalla morte.
Così continua Floriddia: «A un certo punto, più in lontananza, l’acqua sarà stata più o meno alta due metri, vedevo delle braccia agitarsi. Ho tolto la divisa e mi sono buttato in acqua. Fino alla riva era facile, ma una volta in spiaggia i loro corpi erano poesanti per i giubbotti e per l’acqua ingerita: sono distrutto». «Abbiamo visto una macchia nera in lontananza – racconta anche un operatore turistico del Marsa Siclà, Michele Gambaro – poi i corpi morti sulle nostre gambe immerse: finché si vede in televisione è un conto, quello che abbiamo vissuto oggi (ieri, ndr) è stato troppo duro».
Erano in 200, 13 non ce l’hanno fatta, 6 sono stati ricoverati in gravi condizioni, uno di questi con complicazioni cardiache, mentre una donna è stata trasportata in gravi condizioni all’ospedale Maggiore di Modica. Altri sono scappati per il paese, alcuni sono arrivati nel residence Marsa Siclà e sono stati «soccorsi e rifocillati» all’interno del resort dagli operatori turistici. Uno di loro, invece, dopo aver scampato l’annegamento è stato investito da un automobilista poi fuggito ed è stato trasportato con l’elisoccorso in gravi condizioni all’ospedale Cannizzaro di Catania. Un altro, invece, racconta: «Per il viaggio siamo partiti dalle coste della Libia. Abbiamo pagato tra i 300 e i mille euro. Ci avevano detto di arrivare sulle coste di Sampieri perché così non saremmo stati identificati e saremmo riusciti a sfuggire dalle forze dell'ordine e avremmo potuto continuare il nostro viaggio la cui meta finale non è l'Italia».
A raccontare è uno dei superstiti, un migrante eritreo di 23 anni dopo lo sbarco. E continua: «Siamo arrivati nella prima mattinata e il nostro barcone si è arenato e pensavamo che l’acqua non fosse così profonda. Il mare era agitatissimo. Ci siamo buttati in acqua e abbiamo cercato di arrivare alla costa che vedevamo vicino, ma l'acqua nera troppo profonda. Purtroppo molti nostri fratelli non ce l’hanno fatta. Noi vorremmo soltanto essere aiutati». Il profugo ha sostenuto che lui e i suoi compagni non avevano intenzione di fermarsi in Italia. «Per noi il vostro territorio è solo un posto dal quale passare perché io ad esempio voglio raggiungere i miei cugini in Germania».
Una tragedia che lascia sconvolta l’Italia, ed esprime commozione il presidente Giorgio Napolitano per il «bilancio dell’ennesimo episodio di tratta di esseri umani davanti al litorale ragusano e ha chiesto al prefetto di Ragusa di rappresentare i suoi sentimenti di apprezzamento e di gratitudine a quanti si sono distinti nelle operazioni di soccorso».
l’Unità 1.10.13
Nel Mediterraneo duemila le vittime solo nel 2012
Il traffico di esseri umani rende più di quello della droga e delle armi
La maggior parte delle navi arriva dalla Libia e dalla Tunisia
di Umberto De Giovannageli
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Un giro d’affari imponente. Un traffico che rende più di quello delle armi e della droga: il traffico di esseri umani. A dar conto di un crimine senza fine, sono i dati. Agghiaccianti. Numeri impressionanti, dietro i quali vi sono storie di una sofferenza indicibile, di una umanità sofferente in fuga da guerre, pulizie etniche, stupri di massa. Una fuga verso al libertà che per molti, troppi, è finita tragicamente. In fondo al mare. Il mare della morte: il Mediterraneo. Una tragedia infinita. Negli ultimi 20 anni, infatti, il mar Mediterraneo è stato la tomba di oltre 20mila persone.
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TRAGEDIA INFINITA
Stando alle parole degli esperti, attualmente si muore molto di più sulla rotta libica che su quella tunisina: le due tratte della speranza, per uomini, giovani, donne e bambini che scappano da guerre e fame in Africa. Ma, ovviamente, le statistiche dei morti e dei dispersi possono essere del tutto orientative. Oltre 2mila vittime del mare sono state contate solo nel 2012. In più, da diversi anni, nella maggior parte dei casi, i criminali che organizzano le spedizioni di migranti non mettono più i loro uomini al timone, ma la guida delle barche è affidata a caso a uno dei passeggeri, anche se non hanno mai guidato un «vascello». «Fa rabbrividire il pensiero che si sarebbero potute impedire molte di queste morti», rimarca Judith Sunderland, ricercatrice esperta di Europa occidentale a Human Rights Watch. «Occorre che l’imperativo in mare diventi salvare vite umane e non schivare responsabilità».
Riflette Mons. Giancarlo Perego, direttore Generale di Migrantes: «La situazione dei rifugiati in Italia, già difficile per il nostro Paese, che comunque ha una rete di accoglienza, diventa drammatica nei Paesi segnati dalla guerra o per i Paesi confinanti: penso in particolare alla Siria e al Libano, alla Giordania o ai campi del Nord-Centro Africa o della Somalia ed Eritrea. Ogni anno cresce il numero di rifugiati e richiedenti asilo e cresce anche la consapevolezza di nuovi e allargati strumenti di protezione internazionale che sappiano rispondere a una situazione sempre più complessa. Misure di sola repressione e reclusione o solo emergenziali, soprattutto nel contesto europeo dove oltre 330.000 persone nel 2012 sono rifugiate, non bastano. Misure solo attente alle persone e non alle famiglie risultano insufficienti e inefficaci. Misure che creano un continuo spostamento delle persone da un Paese all’altro facendo aumentare il disagio sociale». Si stima che nel 2011 circa il 90% di tutti i richiedenti asilo nell’Unione europea siano entrati irregolarmente. Inoltre, la maggior parte delle persone che cercano di raggiungere l’Europa sono generalmente soggette a gravi violazioni dei diritti umani nel loro viaggio e in particolare nei Paesi di transito e in alto mare. I migranti sono spesso intercettati e respinti in mare, senza avere la possibilità in molte occasioni di chiedere asilo nell’Ue, con il concreto rischio che i diritti umani dei rifugiati e il principio di «non refoulement» venga violato. «Il mare Mediterraneo, nel corso degli ultimi venticinque anni, ha inghiottito migliaia di cadaveri: uomini, donne e bambini che, partendo dalle coste africane, cercavano un’opportunità di vita nel nostro continente. Queste le cifre crudeli, stimate per difetto, sulla base di dati parziali e di fonti internazionali, da A Buon diritto Onlus – di un’autentica strage», rilancia il senatore del Partito Democratico Luigi Manconi, presidente della Commissione speciale per la tutela dei diritti umani a Palazzo Madama.
«Il fenomeno della tratta di esseri umani sta crescendo in Italia, e i trafficanti stanno diventando sempre più audaci nello sfruttamento e nell’abuso delle loro vittime». A sostenerlo è Joy Ngozi Ezeilo, inviata speciale Onu sul problema del tratta di persone, invitando il governo italiano a potenziare gli strumenti di controllo e valutazione dell’efficacia delle misure sin qui adottate. Le autorità per esempio, spiega Joy Ngozi Ezeilo, tendono a non identificare le vittime, che siano maggiorenni o minorenni, chiedono solo dati personali di base e non forniscono informazioni sui loro diritti e le modalità per richiedere protezione. Questo impedisce loro di essere assistite, ma anche di identificare i loro sfruttatori e trafficanti. Allargando lo sguardo al dato mondiale, ogni anno, secondo le stime, circa 2 milioni di persone sono vittime del traffico sessuale, il 60% delle quali sono ragazze. Il traffico di organi umani raggiunge quasi l’1% di questa cifra, colpendo quindi circa 20.000 persone a cui, con diverse forme di inganno, vengono estratti, in maniera illegale, organi come fegato, reni, pancreas, cornea, polmone e persino il cuore, non senza la complicità di medici, infermieri e altro personale.
Repubblica 1.10.13
I testimoni
“Noi, in viaggio da giorni picchiati con fruste e bastoni poi spinti in mare a morire”
Iprofughi: “Partiti dalla Libia, nessuno sapeva nuotare”
di Francesco Viviano
SCICLI (RAGUSA) — «Sapevano che molti di noi non erano in grado di nuotare ma ci urlavano di fare in fretta, di tuffarci, perché dovevano salvare la barca finita sulla secca. Hanno cominciato a picchiarci con corde e bastoni, minacciandoci con i coltelli. Ci spingevano in mare, molti erano caduti perché eravamo come in una trappola su quella piccola barca con cui eravamo partiti non so più quanti giorni fa. No, non lo so come mi sono salvato, non so nuotare, qualcuno però mi ha preso per le braccia e mi ha tirato fuori dall’acqua portandomi sulla spiaggia. Ma gli altri, e tra questi miei parenti e amici, sono morti. Loro (gli scafisti, ndr) li hanno ammazzati».
Davanti agli uomini della squadra mobile di Ragusa Irai Syfatt, 30 anni, eritreo, mette a verbale con l’aiuto di un interprete, l’odissea sua e degli altri disperati partiti «da una spiaggia libica tre o quattro giorni fa». Erano almeno 150, su quella barca di otto metri appena. «La traversata era stata buona — racconta Irai — anche se su quella barca non ti potevi muovere, eravamo appiccicati comel’uno all’altro come lumache. Loro (gli scafisti,ndr) ci dicevano di stare buoni. E quando abbiamo visto terra pensavamo di avercela fatta. E invece i nostri amici sono morti annegati anche se il fondale è bassissimo: quasi nessuno tra noi sapeva nuotare».
«Gli scafisti erano cinque, ma il più cattivo era l’arabo che ci aveva portato sulla barca per andare a Lampedusa — aggiunge una sopravvissuta somala, Marianne Fadith — gli avevamo consegnato 1.500 dollari per me e per il mio bambino e dicevanoche era “un prezzo buono”. Mi trovavo in Libia da un anno, poi qualche giorno fa nel capannone dove ci avevano radunati è arrivato quell’arabo cattivo: ha raccolto i soldi e ci ha portati su una spiaggia. Siamo partiti alcune ore dopo, quando era già buio. Abbiamo sofferto tanto perché avevamo poco cibo e poca acqua, pensavo che il mio bambino non ce l’avrebbe fatta a sopravvivere. E come lui gli altri bimbi a bordo. Invece Dio ci ha aiutati facendoci arrivare fino a qui. Ma quando la barca si è fermata a poche decine di metridalla riva l’arabo cattivo e i suoi amici hanno cominciato a bastonarci urlandoci di buttarci giù».
“L’arabo cattivo” è stato riconosciuto da più di un sopravvissuto e quando gli investigatori hanno mostrato loro le foto dei fermati, non hanno avuto dubbi a riconoscerlo: «è lui» ha detto la donna agli inquirenti scoppiando in lacrime e stringendo al petto il suo piccolo di appena tre anni.
Anche altri sopravvissuti hanno indicato l’uomo come uno degli scafisti: «Erano loro che comandavano sulla barca e poche ore prima che arrivassimo qui hanno litigato perché avevano sbagliato rotta avevano sbagliato rotta. Ci avevano detto — ha raccontato il sopravvissuto agli investigatori ragusani — che ci avrebbero portato a Lampedusa, invece ci hanno portato qui, in pieno giorno».
«Era incredibile — dice una turista di Bergamo, tra i testimoni del drammatico naufragio sulla spiaggia di Sampieri, litorale di Scicli — come quella barca riuscisse a galleggiare, era stipata fino all’inverosimile con gente che gridava e si agitava. Chiedevano aiuto e abbiamo visto una gran confusione con gente che veniva spinta fuori dalla barca. Scene terribili che non avevo mai visto in vita mai. Era uno strazio vedere quelledonne in mare con i loro bambini in braccio. E poi quella fila di cadaveri che uno ad uno venivano adagiati sulla sabbia e coperti dai lenzuoli bianchi dei soccorritori». Tra i primi a sopraggiungere, anche il vicequestore di Ragusa, Francesco Marino che da anni conduce inchieste sugli scafisti e che sospetta siano egiziani o tunisini ad aver organizzato il viaggio: «Qualcuno di questi “senza Dio” è stato riconosciuto dai sopravvissuti ma stiamo cercando di trovare altri elementi per potere incastrare tutti i presunti scafisti». Li hanno buttati in mare «perché tentavano — spiega Marino — di disincagliare la barca, speravano che senza “carico” il mare li avrebbe liberati dalla secca sulla quale dov’erano finiti, ma sono stati sfortunati, quella barca non si è più mossa e anche loro sono rimasti incastrati ». Ora gli inquirenti sperano che non ci siano altre vittime ma non escludono che tra qualche giorno altri cadaveri possano riemergere dal fondo del mare dove erano stati buttati dagli “arabi cattivi”.
Irai Syfatt, eritreo
Marianne Fadith, somala
Frustati per tuffarsi, morti tredici migranti
Annegati a pochi metri dalla spiaggia resa famosa dalla serie tv Montalbano
Un superstite in fuga ucciso da un’auto pirata
I bagnanti salvano decine di persone. Presi sei scafisti
di Manuela Modica
RAGUSA Sono morti in 13 ma «potevano essere molti di più. Altri tre, per esempio, avevano già la schiuma alla bocca, non pensavo si potessero riprendere ma abbiamo lo stesso praticato il massaggio cardiaco e la respirazione e sono tornati tra noi, sputando l’acqua nei polmoni». Così racconta il maresciallo Carmelo Floriddia, 41 anni, che ieri grazie anche al suo brevetto di assistente ai bagnanti ha salvato molti dei migranti sbarcati sulla spiaggia di Sampieri, nel ragusano. «È servito il brevetto, è servito saper nuotare ma è difficile pensare adesso che tredici persone non sono più di questo mondo – ha continuato il maresciallo -. Io ho fatto quello che potevo con l’aiuto del mio collega, poi anche di un ragazzo del 118, di un brigadiere in pensione che faceva jogging sulla spiaggia, di alcuni del Marsa Siclà (residence di Sampieri, ndr). Sono felice per chi abbiamo salvato, ma restano impressi gli occhi immobili di chi non siamo riusciti a rianimare».
I migranti, secondo le testimonianze raccolte sarebbero stati frustati, con colpi di corda e cinghiate per farli scendere dalla barca (poi arenatasi). Gridavano aiuto, gridavano dicendo di non sapere nuotare ma gli scafisti non hanno avuto pietà. Li hanno bastonati, frustati con delle cime e minacciati con i coltelli costringendoli a buttarsi in mare. E chi resisteva attaccandosi a qualsiasi cosa veniva preso e gettato in acqua. I bagnanti li hanno visti saltare a qualche centinaio di metri dalla riva. Uomini, ragazzi, donne con bambini. «Ho portato a riva un bambino di due o tre anni» ha raccontato uno di loro. La procura ha fermato sei presunti scafisti e sta accertando le loro identità.
Quella di Sampieri è una delle spiagge più belle della Sicilia, mezzo chilometro di baia «californiana», tra spiaggia libera e strutture turistiche rivolta verso l’Africa. È uno degli scorci usati per le riprese della serie tv “Il Commissario Montalbano”. Ieri, lì dove l’acqua è più spesso conciliante, il mare era troppo forte e la sabbia è stata travolta dalla disperazione dei migranti e dalla morte.
Così continua Floriddia: «A un certo punto, più in lontananza, l’acqua sarà stata più o meno alta due metri, vedevo delle braccia agitarsi. Ho tolto la divisa e mi sono buttato in acqua. Fino alla riva era facile, ma una volta in spiaggia i loro corpi erano poesanti per i giubbotti e per l’acqua ingerita: sono distrutto». «Abbiamo visto una macchia nera in lontananza – racconta anche un operatore turistico del Marsa Siclà, Michele Gambaro – poi i corpi morti sulle nostre gambe immerse: finché si vede in televisione è un conto, quello che abbiamo vissuto oggi (ieri, ndr) è stato troppo duro».
Erano in 200, 13 non ce l’hanno fatta, 6 sono stati ricoverati in gravi condizioni, uno di questi con complicazioni cardiache, mentre una donna è stata trasportata in gravi condizioni all’ospedale Maggiore di Modica. Altri sono scappati per il paese, alcuni sono arrivati nel residence Marsa Siclà e sono stati «soccorsi e rifocillati» all’interno del resort dagli operatori turistici. Uno di loro, invece, dopo aver scampato l’annegamento è stato investito da un automobilista poi fuggito ed è stato trasportato con l’elisoccorso in gravi condizioni all’ospedale Cannizzaro di Catania. Un altro, invece, racconta: «Per il viaggio siamo partiti dalle coste della Libia. Abbiamo pagato tra i 300 e i mille euro. Ci avevano detto di arrivare sulle coste di Sampieri perché così non saremmo stati identificati e saremmo riusciti a sfuggire dalle forze dell'ordine e avremmo potuto continuare il nostro viaggio la cui meta finale non è l'Italia».
A raccontare è uno dei superstiti, un migrante eritreo di 23 anni dopo lo sbarco. E continua: «Siamo arrivati nella prima mattinata e il nostro barcone si è arenato e pensavamo che l’acqua non fosse così profonda. Il mare era agitatissimo. Ci siamo buttati in acqua e abbiamo cercato di arrivare alla costa che vedevamo vicino, ma l'acqua nera troppo profonda. Purtroppo molti nostri fratelli non ce l’hanno fatta. Noi vorremmo soltanto essere aiutati». Il profugo ha sostenuto che lui e i suoi compagni non avevano intenzione di fermarsi in Italia. «Per noi il vostro territorio è solo un posto dal quale passare perché io ad esempio voglio raggiungere i miei cugini in Germania».
Una tragedia che lascia sconvolta l’Italia, ed esprime commozione il presidente Giorgio Napolitano per il «bilancio dell’ennesimo episodio di tratta di esseri umani davanti al litorale ragusano e ha chiesto al prefetto di Ragusa di rappresentare i suoi sentimenti di apprezzamento e di gratitudine a quanti si sono distinti nelle operazioni di soccorso».
l’Unità 1.10.13
Nel Mediterraneo duemila le vittime solo nel 2012
Il traffico di esseri umani rende più di quello della droga e delle armi
La maggior parte delle navi arriva dalla Libia e dalla Tunisia
di Umberto De Giovannageli
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Un giro d’affari imponente. Un traffico che rende più di quello delle armi e della droga: il traffico di esseri umani. A dar conto di un crimine senza fine, sono i dati. Agghiaccianti. Numeri impressionanti, dietro i quali vi sono storie di una sofferenza indicibile, di una umanità sofferente in fuga da guerre, pulizie etniche, stupri di massa. Una fuga verso al libertà che per molti, troppi, è finita tragicamente. In fondo al mare. Il mare della morte: il Mediterraneo. Una tragedia infinita. Negli ultimi 20 anni, infatti, il mar Mediterraneo è stato la tomba di oltre 20mila persone.
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TRAGEDIA INFINITA
Stando alle parole degli esperti, attualmente si muore molto di più sulla rotta libica che su quella tunisina: le due tratte della speranza, per uomini, giovani, donne e bambini che scappano da guerre e fame in Africa. Ma, ovviamente, le statistiche dei morti e dei dispersi possono essere del tutto orientative. Oltre 2mila vittime del mare sono state contate solo nel 2012. In più, da diversi anni, nella maggior parte dei casi, i criminali che organizzano le spedizioni di migranti non mettono più i loro uomini al timone, ma la guida delle barche è affidata a caso a uno dei passeggeri, anche se non hanno mai guidato un «vascello». «Fa rabbrividire il pensiero che si sarebbero potute impedire molte di queste morti», rimarca Judith Sunderland, ricercatrice esperta di Europa occidentale a Human Rights Watch. «Occorre che l’imperativo in mare diventi salvare vite umane e non schivare responsabilità».
Riflette Mons. Giancarlo Perego, direttore Generale di Migrantes: «La situazione dei rifugiati in Italia, già difficile per il nostro Paese, che comunque ha una rete di accoglienza, diventa drammatica nei Paesi segnati dalla guerra o per i Paesi confinanti: penso in particolare alla Siria e al Libano, alla Giordania o ai campi del Nord-Centro Africa o della Somalia ed Eritrea. Ogni anno cresce il numero di rifugiati e richiedenti asilo e cresce anche la consapevolezza di nuovi e allargati strumenti di protezione internazionale che sappiano rispondere a una situazione sempre più complessa. Misure di sola repressione e reclusione o solo emergenziali, soprattutto nel contesto europeo dove oltre 330.000 persone nel 2012 sono rifugiate, non bastano. Misure solo attente alle persone e non alle famiglie risultano insufficienti e inefficaci. Misure che creano un continuo spostamento delle persone da un Paese all’altro facendo aumentare il disagio sociale». Si stima che nel 2011 circa il 90% di tutti i richiedenti asilo nell’Unione europea siano entrati irregolarmente. Inoltre, la maggior parte delle persone che cercano di raggiungere l’Europa sono generalmente soggette a gravi violazioni dei diritti umani nel loro viaggio e in particolare nei Paesi di transito e in alto mare. I migranti sono spesso intercettati e respinti in mare, senza avere la possibilità in molte occasioni di chiedere asilo nell’Ue, con il concreto rischio che i diritti umani dei rifugiati e il principio di «non refoulement» venga violato. «Il mare Mediterraneo, nel corso degli ultimi venticinque anni, ha inghiottito migliaia di cadaveri: uomini, donne e bambini che, partendo dalle coste africane, cercavano un’opportunità di vita nel nostro continente. Queste le cifre crudeli, stimate per difetto, sulla base di dati parziali e di fonti internazionali, da A Buon diritto Onlus – di un’autentica strage», rilancia il senatore del Partito Democratico Luigi Manconi, presidente della Commissione speciale per la tutela dei diritti umani a Palazzo Madama.
«Il fenomeno della tratta di esseri umani sta crescendo in Italia, e i trafficanti stanno diventando sempre più audaci nello sfruttamento e nell’abuso delle loro vittime». A sostenerlo è Joy Ngozi Ezeilo, inviata speciale Onu sul problema del tratta di persone, invitando il governo italiano a potenziare gli strumenti di controllo e valutazione dell’efficacia delle misure sin qui adottate. Le autorità per esempio, spiega Joy Ngozi Ezeilo, tendono a non identificare le vittime, che siano maggiorenni o minorenni, chiedono solo dati personali di base e non forniscono informazioni sui loro diritti e le modalità per richiedere protezione. Questo impedisce loro di essere assistite, ma anche di identificare i loro sfruttatori e trafficanti. Allargando lo sguardo al dato mondiale, ogni anno, secondo le stime, circa 2 milioni di persone sono vittime del traffico sessuale, il 60% delle quali sono ragazze. Il traffico di organi umani raggiunge quasi l’1% di questa cifra, colpendo quindi circa 20.000 persone a cui, con diverse forme di inganno, vengono estratti, in maniera illegale, organi come fegato, reni, pancreas, cornea, polmone e persino il cuore, non senza la complicità di medici, infermieri e altro personale.
Repubblica 1.10.13
I testimoni
“Noi, in viaggio da giorni picchiati con fruste e bastoni poi spinti in mare a morire”
Iprofughi: “Partiti dalla Libia, nessuno sapeva nuotare”
di Francesco Viviano
SCICLI (RAGUSA) — «Sapevano che molti di noi non erano in grado di nuotare ma ci urlavano di fare in fretta, di tuffarci, perché dovevano salvare la barca finita sulla secca. Hanno cominciato a picchiarci con corde e bastoni, minacciandoci con i coltelli. Ci spingevano in mare, molti erano caduti perché eravamo come in una trappola su quella piccola barca con cui eravamo partiti non so più quanti giorni fa. No, non lo so come mi sono salvato, non so nuotare, qualcuno però mi ha preso per le braccia e mi ha tirato fuori dall’acqua portandomi sulla spiaggia. Ma gli altri, e tra questi miei parenti e amici, sono morti. Loro (gli scafisti, ndr) li hanno ammazzati».
Davanti agli uomini della squadra mobile di Ragusa Irai Syfatt, 30 anni, eritreo, mette a verbale con l’aiuto di un interprete, l’odissea sua e degli altri disperati partiti «da una spiaggia libica tre o quattro giorni fa». Erano almeno 150, su quella barca di otto metri appena. «La traversata era stata buona — racconta Irai — anche se su quella barca non ti potevi muovere, eravamo appiccicati comel’uno all’altro come lumache. Loro (gli scafisti,ndr) ci dicevano di stare buoni. E quando abbiamo visto terra pensavamo di avercela fatta. E invece i nostri amici sono morti annegati anche se il fondale è bassissimo: quasi nessuno tra noi sapeva nuotare».
«Gli scafisti erano cinque, ma il più cattivo era l’arabo che ci aveva portato sulla barca per andare a Lampedusa — aggiunge una sopravvissuta somala, Marianne Fadith — gli avevamo consegnato 1.500 dollari per me e per il mio bambino e dicevanoche era “un prezzo buono”. Mi trovavo in Libia da un anno, poi qualche giorno fa nel capannone dove ci avevano radunati è arrivato quell’arabo cattivo: ha raccolto i soldi e ci ha portati su una spiaggia. Siamo partiti alcune ore dopo, quando era già buio. Abbiamo sofferto tanto perché avevamo poco cibo e poca acqua, pensavo che il mio bambino non ce l’avrebbe fatta a sopravvivere. E come lui gli altri bimbi a bordo. Invece Dio ci ha aiutati facendoci arrivare fino a qui. Ma quando la barca si è fermata a poche decine di metridalla riva l’arabo cattivo e i suoi amici hanno cominciato a bastonarci urlandoci di buttarci giù».
“L’arabo cattivo” è stato riconosciuto da più di un sopravvissuto e quando gli investigatori hanno mostrato loro le foto dei fermati, non hanno avuto dubbi a riconoscerlo: «è lui» ha detto la donna agli inquirenti scoppiando in lacrime e stringendo al petto il suo piccolo di appena tre anni.
Anche altri sopravvissuti hanno indicato l’uomo come uno degli scafisti: «Erano loro che comandavano sulla barca e poche ore prima che arrivassimo qui hanno litigato perché avevano sbagliato rotta avevano sbagliato rotta. Ci avevano detto — ha raccontato il sopravvissuto agli investigatori ragusani — che ci avrebbero portato a Lampedusa, invece ci hanno portato qui, in pieno giorno».
«Era incredibile — dice una turista di Bergamo, tra i testimoni del drammatico naufragio sulla spiaggia di Sampieri, litorale di Scicli — come quella barca riuscisse a galleggiare, era stipata fino all’inverosimile con gente che gridava e si agitava. Chiedevano aiuto e abbiamo visto una gran confusione con gente che veniva spinta fuori dalla barca. Scene terribili che non avevo mai visto in vita mai. Era uno strazio vedere quelledonne in mare con i loro bambini in braccio. E poi quella fila di cadaveri che uno ad uno venivano adagiati sulla sabbia e coperti dai lenzuoli bianchi dei soccorritori». Tra i primi a sopraggiungere, anche il vicequestore di Ragusa, Francesco Marino che da anni conduce inchieste sugli scafisti e che sospetta siano egiziani o tunisini ad aver organizzato il viaggio: «Qualcuno di questi “senza Dio” è stato riconosciuto dai sopravvissuti ma stiamo cercando di trovare altri elementi per potere incastrare tutti i presunti scafisti». Li hanno buttati in mare «perché tentavano — spiega Marino — di disincagliare la barca, speravano che senza “carico” il mare li avrebbe liberati dalla secca sulla quale dov’erano finiti, ma sono stati sfortunati, quella barca non si è più mossa e anche loro sono rimasti incastrati ». Ora gli inquirenti sperano che non ci siano altre vittime ma non escludono che tra qualche giorno altri cadaveri possano riemergere dal fondo del mare dove erano stati buttati dagli “arabi cattivi”.
Irai Syfatt, eritreo
Marianne Fadith, somala
Re: Top News
Sì, che tragedia.
oggi lutto cittadino.
stamattina hanno arrestato 7 scafisti.
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stamattina hanno arrestato 7 scafisti.
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