Come se ne viene fuori ?

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OCCUPAZIONE
Disoccupati e sfiduciati, in 6 milioni senza lavoro
I dati Istat sul secondo trimestre del 2013. Ai 3.07 milioni senza impiego si aggiungo i quasi 3 milioni che non lo cercano


Le persone potenzialmente impiegabili nel processo produttivo sono oltre 6 milioni, se ai 3,07 milioni di disoccupati si sommano i 2,99 milioni di persone che non cercano ma sono disponibili a lavorare (gli scoraggiati sono tra questi), oppure cercano lavoro ma non sono subito disponibili. Lo si legge nelle tabelle Istat sul II trimestre 2013.

FORZE LAVORO POTENZIALI - Nel secondo trimestre 2013 - secondo la tabella sulle "forze lavoro potenziali" - c’erano 2.899.000 persone tra i 15 e i 74 anni che pur non cercando attivamente lavoro sarebbero state disponibili a lavorare (con una percentuale dell’11,4% più che tripla rispetto alla media europea pari al 3,6% nel secondo trimestre 2013). A queste si aggiungono circa 99.000 persone che pur cercando non erano disponibili immediatamente a lavorare. Nel primo gruppo, ovvero gli inattivi che non cercano pur essendo disponibili a lavorare, ci sono quasi 1,3 milioni di persone "scoraggiate", ovvero che non si sono attivate nella ricerca di un lavoro pensando di non poter trovare impiego.

SUD - Trovare un lavoro resta una chimera soprattutto al Sud e tra i giovani: su 3.075.000 disoccupati segnati nel secondo trimestre 2013 quasi la metà sono al Sud (1.458.000) mentre oltre la metà sono giovani (1.538.000 tra i 15 e i 34 anni, 935.000 se si considera la fascia 25-34 anni). Se si guarda alle forze lavoro potenziali il Sud fa la parte del leone con 1.888.000 persone sui 2.998.000 inattivi potenzialmente occupabili. Se si guarda alla fascia dei più giovani sono potenzialmente occupabili nel complesso (ma inattivi) 538.000 persone tra i 15 e i 24 anni e 720.000 tra i 25 e i 34 anni con una grandissima prevalenza di coloro che non cercano pur essendo disponibili a lavorare.

SOTTO OCCUPAZIONE - L’Istat infine individua nell’area della «sotto-occupazione» nel secondo trimestre 2013 circa 650.000 persone mentre oltre 2,5 milioni di persone sono occupati con un “part time involontario”, in crescita di oltre 200.000 unità rispetto allo stesso periodo del 2012.

26 ottobre 2013
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Redazione Online

http://www.corriere.it/economia/13_otto ... 5692.shtml
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Un dramma tutto italiano.


Chi ha il pane non ha i denti, chi ha i denti non ha il pane.
(Proverbio italiano)


“Comunicazione? Zero”. Lo staff di Enrico Letta bocciato dai docenti universitari
Da Destinazione Italia alla caccia agli autografi, è una gaffe continua. Ecco cosa ne pensano all'Università. Il direttore del dipartimento marketing della Bocconi, Enrico Valdani: "Non ha dei collaboratori che lo aiutano molto"


di Redazione Il Fatto Quotidiano | 25 ottobre 2013


Enrico Letta è un classico politico democristiano di sacrestia sbiadito.

La sua comunicazione sta veramente a zero.

Come tanti altri del PDc può entusiasmare solo i gatti di marmo.

Per converso il suo diretto avversario Matteuccio Renzi riesce ad incantare. Il dramma tutto tricolore è che il Paese attraversa da 20 anni una fase che lo ha portato all’affondamento.
(Ieri abbiamo appreso che la Spagna è uscita dalla recessione,………ma anche che prossimamente usciremo dal G8 perché superati nel PIL dalla Russia. E tra 2 anni usciremo dal G10. Insomma, siamo di fronte ad un declino inarrestabile).

Per vent’anni il Caimano ha incantato i merli della destra. Anche Monti ha dichiarato lo scorso anno di aver creduto alla “Rivoluzione liberale” del berluscone.

Per contro il centrosinistra che ha preceduto il PDc, ad eccezione del bistrattato Prodi, non ha avuto nessuno in grado di contrastare Silviuzzo.

A parte il fatto che secondo le denunce dell’ex senatore Saraceni (Pds) e di Violante alla Camera nel febbraio 2003, gli ex Pci si erano accordati con Berlusconi e Dell’Utri.

Silviuzzo aveva il pane e i denti. I suoi avversari solo i denti ma non avevano il pane.

Enrico Letta ha una preparazione politica di gran lunga superiore a Renzi, ma a comunicazione vale zero.

Renzi gode del vantaggio opposto, solo che di politica sta a zero.

Letta ha dato scarsissimi risultati in politica istituzionale.

A sua “discolpa” l’essere costretto a governare nel momento più difficile della storia repubblicana.

Letta può essere un premier da vacche grasse, dove se fa anche errori non incide sull'andamento del Paese.

Ma se tanto mi da tanto, Letta con preparazione superiore a quella di Renzi ha fatto un buco nell’acqua.

Figuriamoci cosa potrebbe fare Renzi che è abile solo come Berlusconi nelle campagne elettorali.

Il doppio dramma sta nell’ascoltare il popolo della sinistra, diventato ora democristiano, che per vent’anni ha denigrato il popolo berlusconiano per avere lo stomaco di seguire il gran corruttore.

Non si è mai capacitato come quell’elettorato potesse votare Silviuzzo.

Lo stesso sta facendo da più di un anno con il popolo grillino, non capacitandosi come possa votare per il Movimento del comico genovese.

Quello che non sta accorgendosi è che loro stanno dimostrando di comportarsi come gli elettori avversari.

Votano per gli incanta merli.

Letta offre maggiori garanzie ma sa solo incantare i gatti di marmo, oltre al fatto di aver dimostrato di essere un custode dell’esistente.

Conciata in questo modo l’Italia non era mai stata.

Nel passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, si è avuta la sensazione che potessero farcela gli Occhetto, i D’Alema, i Veltroni, i Fassino.

Dopo vent’anni sappiamo che non era così.

Solo che adesso non c’è proprio nessuno. Il buio oltre la siepe.
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Il ricattone, la decadenza e il Pd.


26/10/2013 di triskel182



A cosa serve tutta questa manovra di B. per “riprendersi” il Pdl, perché l’ha fatta ieri, dove va a parare?

A costo di sembrare didascalici, se non banali, è forse necessario mettere qualche puntino sulle i.

Tutto il disegno infatti parte dalla necessità dell’ex premier di salvarsi dalla decadenza, cioé dalla perdita dello scudo parlamentare che lo metterebbe a rischio di arresto: non per la sentenza Mediaset, ma per gli altri procedimenti in corso a Napoli, a Bari e pure a Milano.

A questo pensa ininterrottamente Berlusconi da quando è stato condannato in Cassazione, quindi da quando è partito l’iter di applicazione della legge Severino: fondata o meno che sia questa sua paura.

Tutte le sue mosse sono quindi finalizzate a questo scopo: non perdere lo scudo parlamentare che lo mette al riparo dagli arresti.

Per evitare la decadenza, l’unica possibilità al momento è che questa venga bocciata con voto segreto al Senato.


Perché questo accada, c’è bisogno che un certo numero di senatori di gruppi diversi da Pdl e Lega nel segreto dell’urna abbiano interesse a votare contro la decadenza.

L’unico modo perché abbiano interesse a votare contro la decadenza è minacciare – con robuste carte in mano – di far cadere la legislatura se la decadenza fosse approvata.


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Molti senatori non hanno ancora finito di pagare i debiti della campagna 2013, altri hanno ottenuto posti di rilievo che soffrirebbero a lasciare, altri ancora sono semplicemente tutt’altro che sicuri di essere rieletti, specie dopo l’implosione di Scelta Civica e il prossimo congresso del Pd.

Quindi la paura che la legislatura finisca in anticipo, nell’aula di Palazzo Madama, è tanta.
===============================================================



Bene: solo riprendendosi il partito e ‘militarizzandolo’ (cosa che è avvenuta con l’azzeramento delle cariche) Berlusconi può arrivare al giorno della votazione sulla decadenza con quest’arma di ricatto in mano.

Certo, le ‘colombe’ governiste al Senato allo stato sarebbero abbastanza per tenere in piedi il governo Letta, come si è visto poche settimane fa: ma nella nuova situazione (Pdl sciolto) un comportamento del genere significherebbe per loro non far parte della nuova Forza Italia, quindi essere esclusi da una ricandidatura nel partito di B. al prossimo giro e rischiare molto seriamente il destino di Fini.

È il ‘bivio’ che ha di fronte Alfano di cui tutti parlano: restare con il Caimano appoggiandolo in quest’ultimo ricatto e sperando di ereditare tutto il partito tra qualche anno oppure mollarlo e giocare in proprio (ma senza le fideiussioni milionarie di B., senza i suoi media, senza il consenso di quelli che ancora amano il Cavaliere).

Quindi, vedremo.

È ovvio che tutto questo ricattone sulla decadenza si sgonfierebbe come un soufflé se fosse il Pd a rovesciare il gioco: dicendo cioé che farebbe cadere governo e legislatura se – al contrario – la decadenza fosse bocciata.

Ma ce lo vedete questo Pd ad avere così tante palle?

Da gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it
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Una boccata d’ossigeno - 1


Nel giorno in cui il sito del Fatto Quotidiano pubblica un in’inchiesta di questo tipo:

Il vox di Ricca: talk-tv, genere superato?
Rispondi al sondaggio del Fatto.it


Il dibattito politico in televisione ha un futuro? Oppure il format, visto il calo dello share, è al capolinea? 'Uomo da marciapiede' lo ha chiesto alla gente

di Piero Ricca


stamani ad Omnibus è andato in onda un talk eccezionale, da far discutere per un mese intero ed oltre.

E’ stato lo stesso Giovanni Valentini, editorialista di Repubblica a farlo presente facendo sapere di essere soddisfatto di avere partecipato a quella puntata di Omnibus, sottolineando che questo è stato possibile per la qualità dei partecipanti.

Non posso che associarmi al pensiero di Valentini, anche se alcune carenze di fondo sono mancate malgrado la qualità del consesso.

Ovviamente non c’erano politici. Tre giornalisti ed un economista, che va per la maggiore in questo momento.

Un pò ‘ossigeno in questa cappa greve.

Sul sito di Triskel182 compare questo:

TRISKEL182
La libertà è il diritto dell'anima di respirare.



Stamani è stata fatta respirare un po’ “l’anima” riscoprendo per due ore un po’ di libertà dopo un’immersione pluridecennale nella Morta Gora.
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Una boccata d’ossigeno - 2


La puntata di Omnibus del 27 ottobre 2013.


Partecipano:

Giulio Sapelli, economista
Paolo Madron, giornalista
Elisabetta Gualmini politologa
Giovanni Valentini, giornalista
Filippo Sensi, giornalista

Conduce Alessandra Sardoni


http://www.la7.tv/richplayer/index.html ... d=50370904
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I politici degli ultimi 30 anni sono stati impegnati solo ed esclusivamente ad occuparsi dei propri affari e dei propri interessi personali.

Tra il 1980 e il 1994, erano ancora presenti le ideologie, ma gli affari di bottega della casta affiancavano ed insinuavano prepotentemente le ideologie che stavano scemando.

Nel 1994 la svolta. Entra in scena un nuovo soggetto politico, il Caimano, con un bagaglio culturale e morale che porterà alla distruzione il sistema Italia. Ovviamente non da solo, perché la nuova generazione di giovani leoni della sinistra che ha esautorato Akel, porta grandissime responsabilità nella distruzione parallela del sistema Italia.

La società italiana subisce una mutazione etico – morale di grande peso.

La crisi attuale non è quindi solo di tipo economico – finanziaria, produttiva ed occupazionale, ma anche etico – morale, oltre molto altro.

Sanare il tutto, quando i nodi vengono al pettine tutti contemporaneamente, equivale a sottoporsi alle 12 fatiche di Ercole.

Fatti come quelli di Lecce sarebbero risultati impensabili nella società degli anni ’50.

Però assieme a tanto altro il degrado arriva fino a questi punti.

Ovviamente i politici sono in tutt’altre faccende affaccendati e non sono atti a risolvere il degrado generale e il declino inarrestabile.

Neppure ovviamente Mosè che intende portare il suo popolo nella mitica terra del Mulino Bianco.

Due fatti di cronaca di ieri sono il termometro del profondo degrado italiano.

Il primo è quello di un ragazzo di 21 anni costretto a gettarsi all’undicesimo piano perché evidentemente non ha trovato l’ambiente adatto perché venisse accettata e tollerata la sua omosessualità.

Il secondo caso è più banale ma molto significativa per comprendere il degrado sociale a cui siamo arrivati.

*

Di questa mutazione del comportamento dei padri che seguono i figli nello sport, mi aveva messo al corrente questa estate lo speaker della S.S.D.Pro Sesto.

Anche in questo caso il cambio di passo nella cultura dei genitori non si ottiene tanto facilmente.


DENUNCIA DEI GENITORI A NARDO'
Torneo giovanile, schiaffi a un bimbo
«Non hai passato la palla a mio figlio»

Denunciati i genitori nel corso della «Junior Cup» estiva
Il ragazzino ripreso perché ha fatto perdere la squadra


NARDÒ - Il calcio giovanile spesso fa discutere soprattutto quando anche i genitori si impegnano a mostrare il lato peggiore della competitività. Così lo hanno «accusato» di non aver passato la palla al figlio, suo compagno di squadra, negli Esordienti (dai 10 ai 12 anni) e poi, dopo la sconfitta, dalle parole sono passati ai «fatti»: la mamma lo ha strattonato, il padre addirittura lo ha schiaffeggiato. L'episodio, accaduto la scorsa estate a Nardò, potrebbe finire in Tribunale dopo la denuncia formalizzata nei giorni scorsi dai genitori del bimbo schiaffeggiato.
IL TORNEO - La vicenda risale al 12 agosto scorso a Nardò, in occasione del torneo «Junior Cup», riservato alle categorie Primi Calci, Pulcini, Esordienti e Giovanissimi, cioè bambini e ragazzi dai 6 ai 14 anni. Quel giorno si fronteggiavano due compagini neretine con gli spalti gremiti di genitori, fin troppo «presi» dalla partita. Alla fine dell'incontro, valevole per la categoria Esordienti, mentre i ragazzi si stavano allontanando dal terreno di gioco, uno di loro era stato prima strattonato per il braccio da una donna e poi addirittura schiaffeggiato da un uomo.

IN COMMISSARIATO - I due sono stati identificati: sono i genitori di uno dei bambini in campo, lui 63enne di Milano, lei 50enne originaria di Nardò, arrivati in Salento per trascorrere le vacanze. Hanno aggredito il ragazzino perché «colpevole» di non aver passato la palla al figlio, nonché di aver con la sua «scarsa prestazione», contribuito alla sconfitta della squadra dove i due bambini giocavano. Il parapiglia, sedato dall'intervento della Polizia, è finito in Commissariato dove nei giorni scorsi è stata formalizzata dai genitori della vittima una querela per lesioni personali, refertata dai sanitari del pronto soccorso con una prognosi di due giorni.

28 ottobre 2013
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Redazione online
http://corrieredelmezzogiorno.corriere. ... 0132.shtml


*****

MERCOLEDÌ SIT-IN A ROMA CONTRO L’OMOFOBIA
Studente gay suicida, aperta un’inchiesta
«Omofobi, fate i conti con la coscienza»

Il giovane di 21 anni ha lasciato una lettera e poi si gettato dall’11 esimo piano dell’ex pastificio Pantanella, a Roma


La procura di Roma ha aperto un’inchiesta dopo il suicidio di uno studente gay di 21 anni che, nella notte tra sabato e domenica, si è tolto la vita gettandosi dall’11 esimo piano dell’ex pastificio Pantanella, sulla Casilina.«Sono gay. L’Italia è un Paese libero ma esiste l’omofobia e chi ha questi atteggiamenti deve fare i conti con la propria coscienza». Queste le parole che il giovane ha lasciato prima di gettarsi nel vuoto. Si tratta della terza tragedia, in dodici mesi, che vede come protagonista un giovane omosessuale nella Capitale. Duro il commento del sindaco Ignazio Marino: «Io non la chiamerei disgrazia ma frutto dell’arretratezza culturale del nostro Paese sul tema dei diritti», ha detto il primo cittadino. «Dobbiamo sradicare la violenza di chi colpevolmente diviene la matrice di questi terribili eventi. Sono ferite che Roma non può accettare».

"Italia faccia i conti con se stessa" : 21enne gay si butta da 11° piano
L'atto d'accusa del ragazzo morto a Roma - rcd

http://video.corriere.it/italia-faccia- ... 5d4e86bfe5


NUOVO CASO - A novembre scorso uno studente del liceo scientifico Cavour di 15 anni si era tolto la vita legandosi una sciarpa intorno al collo. Questa estate stessa tragedia in un palazzo in zona Torraccia: «Sono omosessuale, nessuno capisce il mio dramma» aveva scritto un quattordicenne prima gettarsi dal terrazzo di casa. A maggio, uno studente di 16 anni, di origini romene, si era gettato durante la ricreazione da una finestra del terzo piano dell’istituto tecnico che frequenta nella capitale, in zona Marconi. Fortunatamente una auto aveva attutito il colpo e il ragazzo si era fratturato solo le caviglie.

«DATO ALLARMANTE, CI PENSA UNO SU DIECI» - «Il suicidio del ragazzo di 21 anni a Roma è un altro fatto tragico», ha detto Fabrizio Marrazzo, portavoce di Gay Center. «Aspettiamo di avere maggiori informazioni, ma se come si apprende si tratta di un ragazzo gay, siamo di fronte ad un ennesimo caso. I suicidi o i tentativi di suicidio di giovani omosessuali sono un dato allarmante. Alla nostra linea verde Gay Help Line 800.713.713 riceviamo 20 mila contatti l’anno e dai dati in nostro possesso risulta che un omosessuale su dieci nella sua vita ha pensato al suicidio. È ora di dire basta. Le istituzioni - ha concluso Marrazzo - diano una risposta urgente nella lotta all’omofobia e nell’allargare la sfera dei diritti gay».

MERCOLEDÌ MANIFESTAZIONE A ROMA - Dopo il suicidio del 21enne, il mondo gay si mobilita e scende in piazza a Roma per sollecitare il Parlamento ad approvare una legge contro l’omofobia. Lo farà mercoledì 30 ottobre, dalle 22, riunendosi nella cosiddetta Gay Street di Roma, in via di San Giovanni in Laterano. «Dopo il terzo caso di questo tipo avvenuto a Roma negli ultimi mesi vogliamo richiamare l’attenzione delle istituzioni, della società, della scuola e del Parlamento che ancora non ha approvato una legge contro l’omofobia degna di questo nome. - conclude Fabrizio Marrazzo - Mercoledì 30 ottobre organizzeremo una mobilitazione come momento di raccoglimento e di riflessione proprio per dire basta all’omofobia e alla transfobia».

28 ottobre 2013 (modifica il 28 ottobre 2013)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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http://www.corriere.it/cronache/13_otto ... 7cda.shtml
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Rimini Rimini

http://www.youtube.com/watch?v=Z9cfq_GdWFU
http://www.youtube.com/watch?v=5nrn7J-3y7E

Rimini, spiagge in vendita e discoteche a luci spente – Videoinchiesta
In edicola su Il Fatto Quotidiano del lunedì il racconto della situazione della Riviera adriatica al tempo della crisi economica. Gli stabilimenti erano imprese storiche e familiari,ma la direttiva Bolkestein è pronta a cambiare tutto: saranno aperte aste europee

di Martina Castigliani e Giulia Zaccariello | Rimini | 28 ottobre 2013Commenti (104)



Non regalate terre promesse a chi non le mantiene, cantava la Teresa di Fabrizio De André cercando l’orizzonte al largo di Rimini. Seduta a un Harry’s bar mai esistito guardava verso il mare. Lei figlia di droghieri, era stata sedotta da una città che di ombrelloni e speranze per il futuro aveva fatto un mestiere. Il sogno di una Rimini di mezza estate ha retto il colpo per generazioni. Non c’era mare brutto o clima afoso a fermare le ondate di turisti provenienti da tutto il mondo. Ora invece arranca sotto il peso della crisi economica e di un modello di divertimento che non è più competitivo. Battono Rimini il Salento, ma anche le Marche e i voli low cost per Barcellona. Vincono la Grecia e le isole Baleari, ma anche la Toscana e la Sicilia. La città di Fellini resiste aggrappata al turismo russo, che costringe i piadinari a cimentarsi con menù in cirillico, e che oggi rimane l’unico in grado di portare boccate d’ossigeno all’economia. Il solo che, con quasi 900 mila presenze in 9 mesi, porta conforto in statistiche costellate di numeri in perdita (3,3% di arrivi in meno da gennaio a settembre).

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10 ... ta/758603/


E allora chiedetelo agli anziani, ai vec’ seduti sul lungomare di ottobre cos’era la Rimini del Dopoguerra. Vi racconteranno di un Eldorado. Vi parleranno delle biancone, le ragazze che arrivavano dal nord Europa, e dei loro amori poco cerebrali e molto temerari con i bagnini romagnoli perditempo.

Ed erano soldi che arrivavano. E stabilimenti che si allargavano. Anno dopo anno sono diventati vere e proprie miniere d’oro, accessoriate di tutto, dalla palestra ai campi bocce.

Marchi di fabbrica della Riviera, sono passati di padre in figlio, sempre in mano alle stesse famiglie, grazie a un meccanismo di rinnovi automatici delle concessioni, di sei anni in sei anni. Le stesse famiglie che ora sono in guerra per difendere i propri fortini del turismo, da un nemico comune: Bolkestein.

È il nome di una direttiva del 2006, che porta la firma dell’ex commissario europeo per il mercato interno, l’olandese Frits Bolkestein appunto, e che impone di mettere all’asta gli arenili entro il 2015.

Con il risultato di aprire il settore alla concorrenza e levare gli stabilimenti ai proprietari storici, 30 mila in tutt’Italia.

In altre parole, l’Europa punta a scrivere la parola fine a un sistema imprenditoriale chiuso e circolare, che in Romagna ha trovato il suo terreno più fertile: solo nei 40 chilometri di costa riminese, da Bellaria a Cattolica, ci sono oltre 600 strutture, esclusi bar e chioschi.

Per questo i bagnini romagnoli si sono uniti ai colleghi fuori regione e hanno costituito movimenti di protesta, al grido di “no alle aste”. E a Roma, nonostante una procedura d’infrazione aperta dall’Ue nel 2009, sembrano a volerli ascoltare. Pd e Pdl si stanno muovendo per aggirare le indicazioni di Bruxelles e continuare a garantire i lidi ai soliti noti. Tra le ipotesi sul tavolo c’è la cessione del tratto di spiaggia che comprende cabine e ombrelloni a prezzi contenuti, pensati su misura per chi le concessioni ce le ha già. Scrivi vendita e leggi svendita. Altro piano prevede invece delle gare, con criteri tali da avvantaggiare gli attuali proprietari delle strutture. Intanto, i balneari aspettano il 31 dicembre 2015 come l’apocalisse, pronta a rivoluzionare un sistema consolidato in nome del liberismo. Anche l’altra faccia del turismo romagnolo, quella che si mostra al calare del sole tra spritz e cuba libre, ha i suoi segni di cedimento. Delle notti brave e di quello che rimane sa qualcosa Ennio Sanese. È uno dei gestori storici del Carnaby, discoteca che quest’anno ha festeggiato il suo 45esimo compleanno. “Noi resistiamo grazie ai ragazzi stranieri, giovanissimi dai 16 ai 25 anni. Ma i numeri sono in calo anno dopo anno e se non si impara a differenziare l’offerta si muore”.

Per le strade di Rimini i pr distribuiscono volantini, cercano di attrarre clienti per serate a base di house music. Hanno a malapena 30 anni ma rimpiangono passati durati troppo poco, e che hanno lasciato qualche chiusura anticipata di troppo. Eppure per le scorse generazioni la via Emilia del sabato sera finiva a Rimini. Tacchi infilati in borsoni dopo il venerdì di lavoro, code in autostrada e weekend del divertimento. Raccontano di autobus stracolmi da Bologna, Reggio Emilia e Parma. Treni provenienti da Milano, Roma e Napoli. Luci colorate e cocktail, deejay da ogni angolo di mondo.

Poi però l’incantesimo si è rotto. Ci ha pensato la crisi economica e un errore tutto romagnolo: non sapersi rinnovare, convinti che in quell’occasione giocata anni prima ci fosse ogni soluzione. E gli ingressi dai 20 ai 50 euro, i drink non compresi nel prezzo e notti in albergo sempre più care. Ad aggravare la situazione ci si sono messi i continui cambi di gestione dei locali sparpagliati tra Rimini e provincia e problemi al limite della legalità. I nomi sono noti ai fan della vita notturna: il Peter Pan (chiuso nel 2006 e riaperto nel 2008) e il Paradiso (aperto al ritmo di nuove gestione prima nel 2007 e poi nel 2010). Seguono il Pascià, con due diversi proprietari tra il 2010 e il 2011, e il Prince, fallito nel 1998 e poi passato di mano in mano nel 2000, nel 2005 e nel 2011. I due locali storici potrebbero riaprire come nightclub con spettacoli di lap dance.

Il 2013 è stato l’anno nero di uno dei templi della vita notturna romagnola: il Cocoricò. La discoteca è stata sospesa dal 25 agosto al 15 settembre a causa di “episodi reiterati di microcriminalità e spaccio di droga”. Scena simile al 2011, quando furono messi i sigilli, dopo che un ragazzo diciottenne era andato in coma per aver assunto mdma. Orgoglio ferito di una vita notturna che arranca, resta il Pepenero di Riccione, storico nightclub famoso in tutta Italia. Chiuso dal 6 agosto per bancarotta fraudolenta, è finito all’asta. Entro il 20 di novembre si saprà chi saranno i nuovi proprietari. Base di partenza: 280 mila euro. Ma non basta la liquidità per ottenere il locale. Bisogna avere un certificato antimafia e poter garantire di non avere contatti con i vecchi proprietari, legati a loro volta al pregiudicato napoletano

da il Fatto Quotidiano di lunedì 28 ottobre 2013
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Sofferenze bancarie? Sono causate dai prestiti facili ad “amici e furbetti”
Il peso dei finanziamenti ai soggetti insolventi è al massimo dal 1999. E la colpa, secondo uno studio della Fiba, è del denaro concesso troppo facilmente dai vertici degli istituti di credito a personaggi come Danilo Coppola, Romain Zaleski e Ligresti

di Matteo Cavallito | 28 ottobre 2013Commenti (82)


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Con 141,8 miliardi di fardello su base lorda, il totale dei crediti in sofferenza del sistema bancario italiano (ovvero quelli la cui riscossione è a rischio poiché i debitori si trovano in stato d’insolvenza) ha registrato nel mese di agosto l’ennesima preoccupante impennata.
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Un dato, quello riferito nelle ultime settimane dall’Associazione bancaria italiana (Abi), che dipinge il quadro peggiore degli ultimi 14 anni – il rapporto tra prestiti a soggetti insolventi e finanziamenti concessi alla clientela ordinaria viaggia al 7,32%, il valore più alto dal 1999 – ed evidenzia, va da sé, l’ennesimo effetto della crisi.

Ma ad incidere su questa massa di credito destinata alla svalutazione ci sono anche un paio di fattori nascosti: i maxi prestiti alla clientela top e la predominante responsabilità dei massimi livelli dirigenziali. Lo rivela uno studio riservato della Fiba, il sindacato del settore bancario e assicurativo della Cisl, che punta implicitamente il dito contro una nota questione irrisolta: quella, per dirla con un eufemismo, dei “grandi debitori”.

“Una parte significativa delle sofferenze è legata ai crediti erogati a grandi personaggi, amici e ‘furbetti’ vari”, dichiara il segretario generale di Fiba Cisl, Giulio Romani. “L’Abi ha disdettato il contratto nazionale dei bancari: non riconoscere l’adeguamento inflazionistico consentirebbe alle banche di risparmiare 1,7 miliardi. Ma parliamo pur sempre delle stesse banche che hanno erogato miliardi a Romain Zaleski, a Ligresti e a Danilo Coppola o concesso liquidazioni milionarie a Vigni, Bianconi, Cucchiani, Profumo e Geronzi. Con i soli soldi che si perdono attualmente su Zaleski si potrebbe coprire la copertura inflattiva a regime di un intero contratto per tutti i dipendenti bancari…”.

Alcuni dati forniti da Bankitalia, ricorda Romani, “ci dicono due cose importanti: i singoli importi delle sofferenze divisi per scaglioni e l’indice di autonomia di erogazioni dei capi filiale da cui è possibile ricostruire quello della filiera da direttore generale in su”. Sono gli elementi all’origine dell’analisi. Partiamo dalle sofferenze divise per categorie. Nei dati analizzati dalla Fiba, le sofferenze sui prestiti di importo compreso tra i 250 e i 30 mila euro, ammontano a circa 6,2 miliardi di euro. Quelle sui prestiti da 250mila a mezzo milione di euro a quasi 11 miliardi.

Nello scaglione 5-25 milioni si sale a 25 miliardi contro i 13,8 dei prestiti di importo singolo superiore. Tra il 2009 e il 2012 le sofferenze sui prestiti di importo più basso (primo scaglione) sono aumentate del 187%, mentre quelle sui prestiti dello scaglione più elevato sono cresciute del 362 per cento. Passiamo all’autonomia. A decidere sulle richieste di prestito sono diversi soggetti, dal direttore di filiale fino al Consiglio d’amministrazione, e a fare la differenza sono le autonomie sugli importi: per i prestiti di importo inferiore a 125mila euro decide il titolare di filiale, mentre per quelli compresi tra i 125 mila e 2,5 milioni deve attivarsi la “filiera” superiore fino al direttore generale. Per i prestiti più onerosi la palla passa infine al management più elevato fino al Consiglio d’amministrazione.

Ed è qui che incrociando i dati emerge un quadro impressionante. Su un totale di circa 126 miliardi rilevato a fine 2012, il 16% delle sofferenze totali (circa 20 miliardi) sono imputabili a decisioni del titolare della filiare. Il 43% (54 miliardi circa) coinvolge il resto della filiera fino al direttore generale compreso. I restanti 52 (il 41% del totale) sono ascrivibili a scelte compiute a livelli superiori fino al Consiglio di amministrazione. “Incrociando ulteriormente i dati – dichiara Romani – potremmo ipotizzare che oltre la metà delle sofferenze bancarie sia imputabile a delibere emesse dal direttore generale in su. Come dire che un centinaio di persone è causa della maggioranza delle sofferenze mentre le responsabilità di 300mila impiegati e quadri si riducono a meno del 50% del totale”. I dati dovranno essere ulteriormente aggiornati, ma il trend è chiaro.

Primo perché come si diceva ad aumentare sono soprattutto le sofferenze sui prestiti più elevati, secondo perché le sofferenze nel loro complesso continuano a salire e terzo perché il credito tende a concentrarsi presso la clientela più facoltosa che chiede prestiti di importo maggiore e ha a che fare con il management più elevato. Ad oggi, rileva lo studio della Fiba, lo 0,5% dei clienti ha ottenuto il 56% del credito erogato contro il 51% di tre anni fa. A conti fatti, meno di 17.500 persone si trovano a utilizzare oltre 720 miliardi di euro. I restanti 570 miliardi sono utilizzati da quasi 3,5 milioni di persone.

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Banche, “boom crediti dubbi: +251% dall’inizio della crisi economica”
Sofferenze e incagli, secondo uno studio di Mediobanca, rappresentavano il 2,7% del totale nel 2007, mentre quest'anno sono arrivati al 9,5 per cento. E il trend non sembra fermarsi. Tra gli istituti più a rischio Mps (12,2%) e Unicredit (8,1%)

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 26 ottobre 2013


Crescono i crediti dubbi (sofferenze, incagli, ristrutturati e scaduti) delle banche italiane: a fine 2007 erano il 2,7% dei crediti totali, mentre quest’anno sono arrivati al 9,5%, segnando un aumento del 251% dall’inizio della crisi. Il fenomeno, secondo i dati dell’Ufficio studi Mediobanca, è particolarmente marcato negli ultimi mesi: i crediti dubbi erano il 7% del totale a fine 2011, l’8% a metà dell’anno scorso, l’8,6% a fine 2012, il 9,1% tre mesi dopo, fino al 9,5% di fine giugno.

Il trend non sembra quindi fermarsi. E il fenomeno è evidente anche al contrario. I crediti “in bonis”, cioè quelli verso soggetti che non appaiono a rischio insolvenza, stanno segnando una crescita inferiore rispetto a quelli complessivi (+3% medio annuo dal 2005 contro un aumento del totale dei crediti concessi dalla banche alla clientela del 3,7 per cento). Ma l’incremento secondo Mediobanca sta nettamente frenando negli ultimi anni: nel 2011 il credito complessivo erogato è aumentato di soli 4 miliardi (+0,2%) mentre nel 2012 è stato tagliato di 36 miliardi (-1,8%), con le le grandi banche commerciali che mostrano un calo del flusso dei crediti concessi superiore a quello del sistema nel suo complesso.

La ricerca dell’Ufficio studi di Mediobanca individua in Mps un rapporto crediti dubbi/crediti totali del 12,2%, quindi nettamente superiore alla media, per Unicredit (8,1%) e Intesa (7,6%) leggermente inferiore. L’analisi si estende anche alle attività ponderate per il rischio (Rwa) sulle quali si potrebbe concentrare il prossimo esame della Bce: il loro rapporto con il totale degli attivi è per i principali gruppi italiani molto più alto di quasi tutti i concorrenti europei: a fine 2012 era al 46% per Unicredit, al 44% per Intesa e al 42% per Mps. Con il rischio che l’Europa possa richiedere un aumento del capitale complessivo.

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Crisi, compra una pagina del Corriere: “Vessato dal fisco, appello a Letta”
Caravati, patron della Virca (che vende articoli di cancelleria), punta il dito contro l'Agenzia delle Entrate: "Azione persecutoria". Poi l'appello a Letta e Napolitano anche con qualche metafora spericolata: "Gli ebrei si salvarono perché fuggirono, ma io non vado in Svizzera per i troppi sensi di colpa nei confronti dei dipendenti"

di Alessandro Madron | 28 ottobre 2013Commenti (53)



Abbandonato dalle istituzioni e “vessato” dall’Agenzia delle Entrate: l’imprenditore varesino Flavio Caravati ha comprato una pagina del Corriere della Sera per far pubblicare una lettera aperta al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al presidente del Consiglio Enrico Letta. Il patron della Virca (azienda attiva nel commercio all’ingrosso di articoli di carto-cancelleria, gadget, articoli da regalo) già lo scorso anno aveva sollevato la questione scrivendo alle più alte cariche dello Stato per puntare il dito contro l’Agenzia delle entrate e i suoi funzionari, rei di aver attuato nei suoi confronti un’azione “persecutoria”. Dopo quella presa di posizione venne invitato a rivolgersi alla magistratura: “Mi sarei atteso un’attenzione maggiore – scrive oggi Caravati – quanto meno al fine di verificare, per il tramite del dicastero dell’Economia, la fondatezza delle mie lagnanze e se il mio fosse un caso isolato o se, invece, rappresentasse uno dei tantissimi episodi in cui il cittadino non trova nello Stato un interlocutore, ma un avversario, se non addirittura un nemico”.

Per avere ragione delle proprie posizioni nel marzo scorso Caravati si era rivolto al tribunale di Varese e un mese più tardi al Garante del Contributore. Dal primo non ha ricevuto risposta, il secondo ha archiviato la pratica. Pur con gli opportuni distinguo l’imprenditore varesino è arrivato a paragonare la situazione in cui si trovano oggi le imprese italiane al dramma della Shoah patito dagli ebrei, costretti a rifugiarsi all’estero per evitare la morte. Di fronte alla possibilità di trovare riparo oltre confine, Caravati dice di aver scelto di rimanere in Italia, perché non avrebbe sopportato il senso di colpa “verso i dipendenti, verso gli addetti dell’indotto, verso gli altri imprenditori e verso tutti gli altri cittadini italiani onesti”. Secondo l’imprenditore, oggi come nell’epoca nazifascista, il male sta avendo il sopravvento sul bene: “Il degrado culturale e morale delle istituzioni accelera ed aumenta d’intensità senza che la collettività e lo Stato mostrino sussulti o scatti d’orgoglio”. Parla della rassegnazione che affligge tutti i cittadini e in particolare gli imprenditori, costretti a vivere in una “dittatura della burocrazia pubblica”, poi chiede nuovamente a Letta e Napolitano di intervenire al fine di controllare l’operato dell’Agenzia delle Entrate ed evitare così che vengano messi in atto dei soprusi.

Poi Caravati parte con un’invettiva contro i dipendenti pubblici che “non soffrono minimamente la crisi” e che “non conoscono le difficoltà della disoccupazione”, accusandoli di esercitare un potere fuori dalle regole con arroganza e disprezzo verso chi, per sfortuna, si trova ad incappare nelle maglie della burocrazia: “non è accettabile che un cittadino contribuente debba essere perseguitato da azioni insensate e prive di fondamento logico giuridico, senza nemmeno ottenere uno straccio di spiegazione in merito al perché delle iniziative intraprese contro di lui ed il suo modo onesto di fare impresa in Italia”.

Caravati conclude la sua lettera proponendo una riflessione a Napolitano e Letta: “Ditemi chi è il soggetto italiano o straniero che, secondo voi, possa sentirsi incentivato ad investire oggi in Italia e in che campo mai potrebbe operare per sentirsi garantito e supportato dall’impianto pubblico”. E, ancora: “se voi aveste un milione di euro da investire lo fareste in un’azienda italiana oggi? In un paese dove la sola cosa che conta è la spartizione di potere e dove la Pubblica amministrazione non ha nessun interesse e non fa niente per sostenere un’impresa e un imprenditore che voglia provare a realizzare un prodotto di qualità!”.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10 ... ta/758727/
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