Come se ne viene fuori ?

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camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Gli esondati - 1


Pd: caro Matteo, è il momento della svolta
di Antonio Padellaro | 15 dicembre 2013Commenti (599)


Caro Renzi, faccio parte di quel milione e 887.396 cittadini che domenica 8 dicembre alle primarie del Pd ti ha dato il voto e, nel complimentarmi per la trionfale elezione, vorrei dirti, per onestà, che non sono un tuo fan politico, ma che alla fine mi sono messo in fila al gazebo pensando (come immagino tanti): se non riesce lui a dare una scossa per farci uscire da questo casino, non ci riesce più nessuno. Non mi dilungherò sullo stato comatoso in cui versa l’Italia, ben rappresentato ultimamente dalla rivolta dei Forconi e dall’indice di gradimento dei politici italiani che, stando ai sondaggi, è oggi valutato al 2 per cento: più o meno quelli che dalla politica ricavano vitto, alloggio e auto blu. La parola scossa, mi rendo conto, fa parte di un linguaggio forse primitivo e poco raziocinante ma, cerca di capirmi, esaurita per sfinimento l’epoca dei Grandi Progetti Inutili, oggi il programma vincente consta di sole quattro parole: non ne possiamo più.

E allora scusaci, caro Matteo, ma la tua scossa quando arriva? Per tutta questa settimana ho sfogliato febbrilmente i giornali pronto a cogliere il segnale dell’ora X. Lunedì ho letto: “Cambio subito il Pd e il Paese” e ho pensato: ecco, ci siamo. Martedì l’annuncio: “Cambio io la legge elettorale” è stata un’altra iniezione di adrenalina. Mercoledì hai stoppato D’Alema alle Europee e mi è venuto un dubbio: povero Max, ma non l’avevi già rottamato? Giovedì, la riunione della segreteria alle 7 del mattino è stata, d’accordo, una scossa ai vecchi e sonnacchiosi riti di palazzo, ma non era ancora la Scossa. In un ordinario venerdì hai battagliato con Alfano sulla legge elettorale. Poi, sabato, sei scomparso dalle prime pagine, rioccupate da Letta e dalla finta abolizione dei soldi pubblici ai partiti. In vista dell’Assemblea Pd di oggi hai annunciato una “sorpresina” a Grillo. Un patto per abbattere sul serio i costi della politica e per votare una legge elettorale che garantisca il bipolarismo per evitare la trappola delle larghe intese.

Potrebbe essere la prima grande botta a un sistema di potere fondato sui privilegi e sull’inciucio. Speriamo. Siamo impazienti, perché temiamo che anche il tuo “cambiamento” possa finire soffocato dalla casta suprema, quella della conservazione permanente. Devi capire che, dopo un ventennio di parole inutili, questo è un Paese che non aspetta più.

PS. Io non ho votato alle primarie del Pd, ma questa lettera ne riassume molte giunte a questo giornale. Nel senso e nello spirito.

Il Fatto Quotidiano, 15 novembre 2013
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Gli esondati - 2


il Fatto 15.12.13
L’intervista Emanuele Severino
Ecco perché la giovane Italia sta andando in malora

Gianni Cuperlo mi ha mandato il suo programma
Gli ho scritto che mi sembrava interessante e poi ho aggiunto che era il modo migliore per preservare il sistema capitalistico
Non mi ha risposto ma vorrei dirgli che non ero per nulla ironico

di Silvia Truzzi


PENSATORE PRECOCE
A 18 anni il primo libro, a 22 la libera docenza
Nel 1970 gli Acta Apostolica sanciscono l’inconciliabilità del suo pensiero con la Chiesa e lui lascia la Cattolica

EMANUELE SEVERINO è nato a Brescia il 26 febbraio 1929. Alunno del Collegio Borromeo, si laurea a Pavia nel 1950, discutendo una tesi su Heidegger e la metafisica con il suo maestro, Gustavo Bontadini.

L’anno successivo, a 22 anni, ottiene la libera docenza in Filosofia teoretica. Dal 1954 al 1970 insegna Filosofia all’Università Cattolica di Milano (diventando ordinario nel ‘62).

Le pubblicazioni di quegli anni entrano in forte conflitto con la dottrina ufficiale della Chiesa, suscitando discussioni nel mondo cattolico e nell'ex Sant'Uffizio.

Nel 1970 la Chiesa proclama – negli Acta apostolica – l’insanabile opposizione tra il pensiero di Severino e il Cristianesimo.

Viene chiamato all’Università Ca’ Foscari di Venezia dove è tra i fondatori della Facoltà di Lettere e Filosofia e dove ha diretto l’Istituto di Filosofia fino al 1989. Ha insegnato anche Logica, Storia della filosofia moderna e contemporanea e Sociologia. Nel 2005 l’ateneo veneziano l’ha proclamato Professore emerito. Insegna Ontologia fondamentale presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.

È accademico dei Lincei e Cavaliere di Gran Croce. Da oltre trent’anni collabora con il Corriere della Sera.


L’umanità è molto vecchia, l’eredità, gli incroci hanno dato una forza insuperabile alle cattive abitudini, ai riflessi viziosi”, ammonisce Proust ne La prigioniera.

Il taxi attraversa Brescia, gelida. L'indicazione stradale è precisa e, nel finale, perfino letteraria: “La via è lunga, io abito in quel tratto di strada dove amava passeggiare Foscolo”. Giunti nei pressi dei luoghi cari al poeta – che a Brescia, oltre ad amare appassionatamente una gentildonna, diede alle stampe i Sepolcri- si apre la porta di casa di Emanuele Severino.

Entriamo non senza timori (ben riposti: il primo scivolone arriva al minuto tre, su un frammento de La gaia scienza di Nietzsche), in un soggiorno che ospita mille libri, un pianoforte a coda e un'imponente scultura del figlio Federico.

È un Orfeo che ha perduto Euridice: “È così, testa a terra e piedi in aria”, spiega il professore, “e getta in faccia lo sconvolgimento del cuore”. Per capire qual è lo sguardo di un filosofo sull’Italia (e se Proust – di cui il professore si occupa ne La filosofia futura – aveva ragione), partiamo da Leopardi, perché al piano di sotto c’è uno studio “riservato” dove il professore ha scritto i due libri dedicati al poeta di Recanati.


Professore, quel “Piangi, che ben hai donde, Italia mia” è un grido di dolore sempre valido?
Sì, ma dobbiamo dire che le spiegazioni della crisi del nostro tempo rimangono molto in superficie anche quando vogliono andare in profondità. Il fenomeno di fondo, che non viene adeguatamente affrontato, è l’abbandono, nel mondo, dei valori della tradizione occidentale; e questo mentre le forme della modernità dell’Occidente si sono affermate dovunque. Un abbandono che si porta via ogni forma di assoluto – e innanzitutto Dio. Dio è morto...
... come la canzone...

Il professor Severino scoppia a ridere: Veramente come Nietzsche! Poi lui aggiunge: “E noi l’abbiamo ucciso”.

Muore, dicevo, ogni forma di assolutezza e di assolutismo, dunque anche quella forma di assoluto che è lo Stato moderno, che detiene – dice Weber – “il monopolio legittimo della violenza”. Questo grande turbine che si porta via tutte le forme della tradizione è guidato dalla tecnica moderna – ed è irresistibile nella misura in cui ascolta la voce che proviene dal sottosuolo del pensiero filosofico del nostro tempo. Il turbine travolge anche le strutture statuali. Investe innanzitutto le forme più deboli di Stato.


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Cosa pensa dei movimenti di piazza di queste settimane?
La trasformazione epocale di cui parlo non è indolore: il vecchio ordine non intende morire, ma è sempre più incapace di funzionare, soprattutto in Paesi come l’Italia. E il nuovo ordine non ha ancora preso le redini. È la fase più pericolosa (non solo per l’Italia).
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La disperazione sociale è evidente e molto preoccupante.
Per quel che prima ho detto, la vita sociale, anche in Italia, non è più adeguatamente garantita. La protesta è inevitabile e la situazione potrebbe peggiorare. La “politica” autentica del nostro tempo consiste nel capire la radicalità della trasformazione in atto sul Pianeta, cioè deve lasciare la guida alla razionalità scientifico-tecnologica, destinata a imporsi con la morte del vecchio mondo.


Tra le forme più deboli di Stato c’è l’Italia?
L’Italia è uno Stato acerbo. Ha 150 anni su per giù. Ma soprattutto ha alle proprie spalle una storia di frazionamento politico-economico-sociale, dove si sono imposte forze che hanno avuto nel mondo un peso ben maggiore di quello dell’Italia unita. Pensi, ad esempio, allo Stato pontificio. La sua storia attraversa l’intera storia europea: qualcosa di molto più consistente e visibile che non l’Italia. Non mi sembra un caso che Putin venendo in Italia vada prima dal Papa, nel centro mondiale della cattolicità, e solo dopo da tutti gli altri… Un secondo esempio? La Repubblica di Venezia. A suo tempo era l’equivalente dell’Inghilterra del XIX secolo. Potenze, dunque che non solo sono state al centro della vita mondiale, ma hanno organizzato la società in modo che lo Stato italiano sarebbe poi stato avvertito come un corpo estraneo da gran parte della popolazione della Penisola. Di qui il marcato individualismo degli Italiani.


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È questo il motivo per cui non abbiamo un senso dello Stato consolidato come in altri Paesi?
Sì, la “novità” del nostro Stato è tra i principali. Ma un secondo motivo – ce ne sono molti: parlo di quelli che qui mi vengono in mente – è che durante la Guerra fredda l’Italia ha avuto il più forte partito comunista dell’Occidente: il Pci è arrivato quasi al potere e in un modo democratico. Si verificarono due processi, diciamo concorrenti: il Pci andava progressivamente social-democratizzandosi e il consenso aumentava. Il problema era fare in modo che il primo processo fosse più veloce del secondo. Altrimenti sarebbero stati guai, nel senso di una reazione violenta del mondo occidentale che non avrebbe consentito all'Italia di entrare nella sfera di influenza sovietica. La marcia del comunismo verso la socialdemocrazia è uno degli esempi rilevanti di quello che chiamo “il tramonto degli immutabili” (cioè degli “dèi”). Il Pci era radicato nel marxismo, cioè, innanzitutto, in una filosofia. La cui crisi è iniziata quando la sinistra europea – si pensi ad esempio a Rudolf Hilferding – ha incominciato a spingere il comunismo da una gestione filosofica a una scientifica del movimento rivoluzionario, trasformandolo, appunto, in socialdemocrazia.
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Però lei ha scritto un libro intitolato Capitalismo senza futuro.
Anche il capitalismo, infatti, ha alle spalle una visione filosofica prevalentemente assolutistica, del mondo (individuo e proprietà come valori assoluti). Gli si fa torto quando lo si tratta come un semplice mezzo per aumentare il profitto. In Italia è più debole; ma la presenza dell’assolutismo cattolico e, fino a ieri, di quello comunista fa si che l’abbandono della tradizione abbia da noi un maggiore effetto traumatico rispetto ad altri Paesi. Ma poi – ritornando al tema della mancanza di senso dello Stato – essa porta con sé individualismo esasperato e corruzione. E, in proposito, sembra che la Guerra fredda sia stata già dimenticata. È finita da pochissimo. In Occidente il comunismo è finito, ma è come se avessimo davanti un gigante morto. È in putrefazione, ma dà luogo a forme biologiche diverse e ingombranti. La contrapposizione tra il blocco sovietico e quello occidentale è stata una situazione di mors tua, vita mea. Ognuno ha adottato qualsiasi mezzo per contrastare l’avversario...

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Per esempio?
Penso alla sostanziale “alleanza” tra Stati Uniti e mafia: meglio stare con i delinquenti non comunisti che con i comunisti. Ora, il denaro americano arrivava soprattutto per aiutare i partiti anticomunisti; ma la gestione politica di questo denaro non poteva essere un fatto pubblico; inevitabile, allora, la collusione tra Stato e illegalità. Che è sopravvissuta anche dopo la fine dell’Urss. D’altra parte la magistratura è stata ingenua nel voler assumere un atteggiamento all’insegna del fiat iustitia et pereat mundo.
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Qual è stata l’ingenuità?
Pensare di poter spingere fino in fondo le indagini sulle responsabilità e illegalità prodottesi dalla inevitabile collusione tra Stato e criminalità .


Sta parlando di Tangentopoli?
Un esempio potrebbe essere questo. Ma vado anche più in là: mi riferisco al mondo capitalistico. La magistratura ha voluto fare qualcosa che non era accaduto nemmeno con la fine del fascismo. Togliatti non ha incriminato
correità. E nel nostro sistema l’azione penale è obbligatoria.
E questo produce un dramma! Non sto dicendo che si sarebbe potuto evitare. Il giudice è ovviamente obbligato a indagare e a dare sanzioni, ma è anche ovvio che il vincitore – il capitalismo – non accetta di essere punito per aver usato mezzi che gli hanno consentito di vincere il nemico mortale.
La lunga gestazione della decadenza di Berlusconi è la prova che non esiste una sanzione sociale per alcuni comportamenti. E questo determina che alla fine i giudici selezionano la classe politica, nel senso che se uno non è stato condannato può fare tutto quello che vuole. Se il presidente degli Stati Uniti dice una bugia si deve dimettere.
Ma certo! Aggiungo che 25 anni fa scrivevo, nel libro da lei richiamato, che era meglio che la Fininvest scendesse in campo politicamente, piuttosto che trattenere del tutto nell’ombra il proprio operare.



Lo sottoscrive?
Sì, meglio questo di una destra che agisce con lo stile della P2. Meglio, per l’Italia, che esprima pubblicamente i propri progetti, almeno in parte.


Anche se si fanno le leggi ad personam? Non è pericoloso dire certe cose in un Paese dove i magistrati vengono tacciati di essere un cancro?
Condivido il senso della domanda. Ma proprio perché ho scritto libri come Il declino del capitalismo e Capitalismo senza futuro, quanto le sto dicendo non può passare per un’apologia del capitalismo e delle sue degenerazioni. (Non è nemmeno un’apologia del marxismo). È la constatazione di alcuni dei fattori per i quali la destinazione della tecnica al dominio del mondo produce in Italia una crisi più grave che altrove. E non dimentichiamo le tragedie e gli scompensi determinati dalla dittatura fascista.


Che ricordi ha dell’Italia fascista?
Rispetto ai nostri temi sono irrilevanti. Il più terribile, per me, è un ricordo personale, legato alla morte di mio fratello Giuseppe nel 1942, ventunenne. Un giovane straordinario. Aveva otto anni più di me. Studente alla Normale di Pisa, era stato obbligato, per legge, a diventare volontario del Regio Esercito Italiano, nel Corpo degli Alpini, sul fronte francese: la sua morte mi ha segnato. Non posso dire di aver respirato, da ragazzino, l’esecrazione per quanto, in seguito, ho saputo e capito essere il fascismo. Ho studiato dai Gesuiti: ricordo il saluto fascista all’uscita della scuola. Lì ho incontrato padre Auer, che aveva conosciuto Hitler da vicino. Andavo a lezione da lui perché volevo imparare il tedesco. Era stato intimo del giovane Hitler e mi raccontava di un uomo assolutamente disturbato, che se le cose non andavano come lui voleva, aveva incredibili accessi d’ira, si rotolava per terra. Un matto. Nelle mie conversazioni con padre Auer, ripensandoci ora, davo per scontato che i nazisti fossero dei matti.


Si evoca, con una certa frequenza, un’incapacità dell’Italia di fare i conti con il passato. Cosa ne pensa?
Le rispondo parlando di un filosofo, Giovanni Gentile, che mio fratello ascoltava a Pisa, perché è stato la figura più profonda del fascismo. Amo dire che non era Gentile a essere fascista, ma il fascismo a tentar di essere gentiliano. Gentile è stato uno dei grandi gestori del “grande turbine” di cui parlavamo all’inizio: il suo pensiero è profondamente antiassolutista e antitotalitario, Mussolini non lo capiva. Da vecchio liberale aveva visto nel fascismo l’occasione per realizzare la sua riforma della scuola. Un’ottima riforma, per quell’Italia. Oggi – anche qui, per la debolezza delle nostre strutture statali – si fanno tra l’altro concorsi universitari dove si applicano retroattivamente disposizioni pateticamente dipendenti dalla cultura inglese e americana. Anche l’idea di studiare la filosofia da un punto di vista storico è sua: un’idea purtroppo rovinata dai manuali che non hanno capito che cosa sia un storia filosofica della filosofia. Comunque, gli scritti politici di Gentile considerano il fascismo come un “esperimento”, non certo come un assetto assoluto e immodificabile.


Evasione fiscale e corruzione: sono una nostra “tara genetica”?
Una tara storica, come prima le dicevo. L’evasione fiscale è un furto ai danni di tutti. Se c’è da costruire una strada io devo metterci anche la parte degli evasori. Certo, molti artigiani e piccoli imprenditori, se non evadessero, fallirebbero. Tutti sanno queste cose. Però conosco anche tanti cattolici ai quali molti uomini di Chiesa facevano capire che se non avessero ritenuto “giusto” pagare le tasse dello Stato, avrebbero fatto bene a non pagarle. Questo Papa, da buon pastore, sta cercando di cambiare le cose. Ma non vorrei che si perdesse di vista che la “corruzione” di fondo è l’“evasione” del mondo dal passato dell’Occidente. Vorrei dire che il processo in cui le strutture del passato stanno andando in malora è come la febbre: se non la si avesse non si potrebbe guarire. Stiamo andando verso un mondo gestito dalla razionalità tecnologica; ed è probabile che l’Italia, proprio perché ha avuto gli inconvenienti di cui abbiamo parlato, anticipi i tempi rispetto agli altri popoli meno febbricitanti. (Mi lasci dire anche, molto sottovoce, che nonostante la sua destinazione al dominio del mondo, la civiltà della tecnica è ciò che chiamo “la forma più rigorosa della Follia estrema”. Ancora più sottovoce: la Follia estrema è credere nel carattere effimero, temporale, contingente, casuale, dell’uomo e della realtà: è la convinzione che ogni cosa venga dal nulla e vi ritorni. Però la difesa suprema dall'angoscia suscitata da questa convinzione – la difesa che nella tradizione è costituita, in ultimo, da Dio – è diventata la tecnica. Ovunque, la tecnica sta diventando la forma più radicale di salvezza, che oggi ha soppiantato qualsiasi altra forma di rimedio contro la morte. Mi affretto a lasciare questo tema, tanto più importante quanto più a sottovoce ne parliamo).


Anche in politica ci si affida alla tecnica come extrema ratio. Si è trattato, nel caso del governo Monti, del disvelamento di una bugia?
Rispondo ad alta voce. Una quindicina d’anni fa avevo criticato sia Monti sia Abete quando promuovevano l’unione di “solidarietà” ed “efficienza” (capitalistica). Abete, allora presidente di Confindustria, declinava tale unione, mi sembra, sul piano di una solidarietà più laica che cattolica; Monti la intendeva come solidarietà cattolica. Ma l’“efficienza” capitalistica è incompatibile con la “solidarietà” in senso cristiano. Quando Monti divenne premier, scrissi un articolo sul Corriere della Sera in cui dicevo che l’affacciarsi del suo governo “tecnico” aveva ben poco a che vedere con la destinazione della tecnica al dominio, quale viene intesa nei miei scritti. Proprio perché Monti dichiarava di voler coniugare l’efficienza capitalistica con la solidarietà in senso cattolico, quel governo “tecnico” – era prettamente politico, un po’ mascherato. Ancora, l’economia comanda la politica e quindi un economista può essere più politicizzato (cioè “ideologizzato”) di un politico. Data la tendenza di fondo del corso storico ritengo tuttavia che ci si debbano aspettare governi che, sempre più, guidino le società sulla base dell'efficienza tecno-scientifica piuttosto che di quella capitalistica, e che a questa forma di efficienza resti sempre più subordinata l’istanza solidaristica.


Le ideologie sono morte ma forse sono scomparse anche le idee. Destra e sinistra esistono ancora?
In ogni gruppo sociale ci sono quelli soddisfatti del proprio tenore di vita e tendono alla conservazione – la “destra” – e quelli che invece soddisfatti non sono e tendono al cambiamento – la “sinistra”.


Qual è la visione del mondo dello schieramento “progressista”?
Guardi: l’onorevole Gianni Cuperlo mi ha mandato un’email con il suo programma, chiedendomi cosa ne pensassi. Gli ho risposto che era un programma interessante, anche per il suo intento di collegarsi alla sinistra europea. Poi ho aggiunto che il suo progetto era il modo migliore per salvaguardare il capitalismo. Non mi ha più risposto. Ma vorrei dirgli che in quella mia aggiunta non c’era ombra di ironia.


Perché il modo migliore per salvaguardare il capitalismo?
Ormai la sinistra, non solo italiana, non è più nemmeno socialdemocrazia, che mirava all’abolizione delle classi e del capitalismo per via democratica. Ormai anche il Pd è lontanissimo da queste aspirazioni, immerso com’è nella fede, peraltro diffusissima, della validità dell’organizzazione capitalista della società.


Curiosità mondana: guarda la televisione?
Quando c’è un buon film e, quasi sempre, il telegiornale.


E i talk show?

All’inizio i litigi dei politici erano abbastanza divertenti; adesso annoiano. Ma se vogliamo parlare di televisione non possiamo lasciar da parte Internet. C’è contesa per la “conquista dello spazio”; nemmeno il “cyberspazio” ha un unico padrone e i grandi gruppi economici se lo contendono. Chi vuole imporsi sul mercato, deve utilizzare televisione e Internet e tutti i mezzi telematici. Lo strumento (il mezzo) però è destinato a prevalere sugli scopi economico-ideologici. Anche perché ciò che più colpisce lo spettatore non è tanto il messaggio quanto piuttosto la capacità di Internet e televisione di comunicare qualsiasi messaggio. (Un esempio, questo – e torno a parlare sottovoce – del processo, inevitabile, nel quale la tecnica è destinata al dominio, cioè a servirsi, essa, delle grandi forze che ancora s’illudono di poter continuare, loro, a servirsi di essa. Ma nemmeno la tecnica ha l’ultima parola).


Severino ha scritto una sessantina di libri, da “La struttura originaria” a “Essenza del nichilismo”, da “Il destino della necessità” a “La gloria”, dai saggi dedicati a Eschilo a quelli che riguardano Leopardi e Nietzsche. I suoi editori sono Rizzoli – che nel 2011 ha pubblicato un volume autobiografico, “Il mio ricordo degli eterni” – e Adelphi, che dedica una collana agli scritti del filosofo. In basso da sinistra, Mario Monti, Silvio Berlusconi e Gianni Cuperlo Fotogramma / Dlm

L’Italia è storicamente allergica alle epurazioni?
Intendo dire che il capitalismo ha vinto la Guerra fredda; ed è ingenuo credere di poter trattare dal puro punto di vista giudiziario un fenomeno storico di questa portata.
camillobenso
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Miggliu cummannari ca futtiri



Sfascisti – 127

Le anime morte - 5


Ghe pensi mi 2.0 sta superando Ghe pensi mi 1.0. E' la speranza di tanti vecchietti che provengono dal Pci.

Finalmente anche loro hanno il loro berluscone vincente. Perché i vecchietti vogliono VINCERE.

La domanda a questo punto sorge spontanea:

Tra il '43 e il '44, ragazze, donne, ragazzi, uomini, sono stati appesi con un gancio da macellaio lungo i viali alberati dell'Italia del Nord per si sono ribellati al nazifascismo.

Altri sono morti/e sotto tortura. Altri ancora nei conflitti a fuoco sempre contro i nazifascisti.

E il tutto per arrivare a questo e ad altro????



il Fatto 14.12.13
Pubbliche virtù e vizi privati del mattatore Renzi
Arriva in macchina ma si mostra in bicicletta
Fa finta di essere a Firenze e invece è ad Arcore da B.
“Oggi sono il Comune” E invece è a sciare
In libreria un nuovo libro su Matteo Renzi scritto da Alberto Ferrarese e Silvia Ognibene, due giornalisti che seguono il rottamatore da anni rispettivamente per Asca e Reuters. E lavorare per le agenzie di stampa significa seguire un politico e scoprirne anche il lato più personale, quello che raramente viene mostrato. Da questo lavoro nasce “Matteo il Conquistatore”, la vera storia di un'ascesa politica del quale pubblichiamo alcuni stralci.



Arriva in bicicletta, ma svoltato l’angolo prende la macchina.

Sfoggia grandi sorrisi in pubblico e riserva tremendi cazziatoni ai suoi collaboratori.

Dice che va a sciare, mentre in realtà è a prendere il sole alle Maldive.

Questo è Matteo Renzi.

A una pubblica virtù spesso corrisponde un vizio privato.


La passione di farsi vedere in sella alle due ruote

A partire dalla amata bicicletta. A Renzi piace tanto mostrarsi in bicicletta.

Alle conferenze arriva quasi sempre su due ruote, da buon sindaco di una smartcity.

Ma a volte, si legge nel libro, a favore di operatori e fotografi il rottamatore non disdegna un trucco: la macchina (elettrica) parcheggiata dietro l’angolo.

Il cambio è rapido: scende dall’auto prende le due ruote e si mostra a telecamere e fotografi. Poi oplà, di nuovo in bici. Destinazione?

L’auto dietro l’angolo dove affida le due ruote superceologiche a un assistente che riporta il mezzo in Palazzo Vecchio, mentre Renzi sale in macchina.
Anche quando gira l’Italia per gli appuntamenti politici, evita il più possibile di arrivare davanti alla fila di telecamere in auto, men che meno seguito da quello che lui definisce “il codazzo”, ovvero il gruppetto di fedelissimi e assistenti che lo accompagnano.

Accade spesso che auto e codazzo si fermino poco prima, il sindaco giunga da solo al luogo del comizio, giacca sulla spalla e sorriso smagliante.

Il codazzo si disperde e i componenti arrivano alla spicciolata, evitando di dare nell’occhio.

Un ragazzo normale che però è abilissimo nel dettare i tempi alle agenzie di stampa, a farsi rincorrere dai fotografi, a rilasciare dichiarazioni in favore di Tg.
“Oggi sono il Comune” E invece è a sciare


Di tanto in tanto, Renzi non disdegna neppure una bugia: la più famosa è legata alla B di Berlusconi. Il 6 dicembre 2010 l’ufficio stampa invia (in buona fede, non lo sapeva) il consueto sms ai cronisti:

‘Oggi Renzi non ha impegni particolari in agenda’. Era invece ad Arcore a pranzo con il leader del Pdl e quando la notizia uscì seguirono furiose polemiche.

Altra bugia non da poco è quella con cui fu nascosto il viaggio a Berlino dell’11 luglio 2013 per incontrare la cancelliera Angela Merkel.

L’ufficio stampa, questa volta consapevolmente, comunicò soltanto il saluto di Renzi a un evento della Scuola di Scienze Aziendali, glissando sugli impegni del sindaco nel resto della giornata.

Un’altra bugia ha avuto meno conseguenze politiche: un giorno Renzi era ufficialmente al lavoro in Palazzo Vecchio, ma in realtà passò la giornata a sciare all’Abetone con la famiglia.

Una sostenitrice lo smascherò: appena avvistato sulle piste pubblicò su facebook la notizia.

A sciare, invece, disse di andare nel marzo 2009, quando in realtà era in viaggio alle Maldive con la famiglia.

Grandi sorrisi agli estranei grandi sfuriate allo staff


Alla voce C dell'alfabeto di Renzi ci sono i cazziatoni. A dispetto dei grandi sorrisi che sfoggia in pubblico, di Renzi si dice che a volte perde le staffe con i suoi collaboratori.

Succede che, quando qualcosa non va, chiami al telefono il responsabile, o si presenti improvvisamente nel suo ufficio, e giù sfuriate memorabili.

Non è concesso diritto di replica”.

Ironia della sorte, Renzi aveva affibbiato al suo predecessore l'appellativo che gli autori hanno poi scelto per lui: William: così con i suoi, in privato, Renzi ha definito il segretario provvisorio del Pd Guglielmo Epifani, qualche volta aggiungendo anche un appellativo: “il Conquistatore”.

Vizi privati, pubbliche virtù del neosegretario del Partito Democratico, ex rottamatore oggi mattatore.
Ultima modifica di camillobenso il 17/12/2013, 1:03, modificato 1 volta in totale.
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Miggliu cummannari ca futtiri



Sfascisti – 128


Uomini contro - 19


RISPOSTA A SCALFARI

(Barbara Spinelli).
16/12/2013 di triskel182


Sono stupita dalle parole che Eugenio Scalfari dedica non tanto e non solo alle mie idee sulla crisi italiana ma, direttamente, con una violenza di cui non lo credevo capace, alla mia persona.

Violento è infatti l’uso che fa di Altiero Spinelli, del quale nessuno di noi può appropriarsi: chi può dire come reagirebbe oggi, di fronte alle rovine d’Italia e dell’Europa da lui pensata nel carcere dove il fascismo l’aveva rinchiuso, e difesa sino all’ultimo nel Parlamento europeo?

Non ne sono eredi né Scalfari, né il Presidente della Repubblica, e neppure io.

Il miglior modo di rispettare i morti è non divorarli, il che vuol dire: non adoperarli per propri scopi politici o personali. Mi dispiace che Scalfari abbia derogato a questa regola aurea.

Quanto al Movimento 5 Stelle, io dico che va ascoltato: non è solo l’Italia peggiore che ha votato per lui a febbraio.

Senza la sua scossa il discorso pubblico continuerebbe a ignorare la crisi dei partiti, i modi del loro finanziamento, l’abisso che li separa dalla loro base.

Mettere M5S sullo stesso piano di Marine Le Pen o di Alba Dorata più che un errore è una controverità.

È anche un gesto di intolleranza verso chi la pensa diversamente. In proposito vorrei dire un’ultima cosa: è inutile e quantomeno scorretto accusare Grillo di condannare alla gogna i giornalisti, quando all’interno d’una stessa testata appaiono attacchi di questo tipo ai colleghi.


Cara Barbara, come ti avevo promesso ieri, io ho già dimenticato le cose per me sgradevoli che ho ascoltato nella trasmissione di Travaglio e quelle che tu hai scritto su Grillo sul nostro giornale. L’unica cosa che non dimentico è il mio antico affetto nei tuoi confronti.
Eugenio Scalfari

Da La Repubblica del 16/12/2013.
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Sfascisti – 129


Uomini contro - 20




CHI STRUMENTALIZZA IL VERO DISAGIO
La geografia del malessere


Tutti abbiamo incontrato, negli ultimi giorni, persone preoccupate e deluse. Lavorano negli ospedali, sui treni, nelle scuole, negli uffici, nelle fabbriche e nelle caserme. La sera tornano in appartamenti di periferia, salgono per scale bisognose di manutenzione, parcheggiano davanti a una villetta a schiera. Di loro non ha parlato nessuno.
Abbiamo parlato tutti, invece, dei Forconi. Un nome bucolico e minaccioso, una miscela di frustrazione e prepotenza, la capacità di sfruttare l’ansia iconografica dei media. Non sono molti, qualche migliaio. Ma uno scontro di piazza produce immagini più interessanti di una riunione intorno al tavolo della cucina, cercando di far quadrare i conti.


Se l’Italia non esplode è per merito di milioni d’italiani seduti intorno a milioni di tavoli in milioni di cucine: ma non bisogna abusare della loro pazienza. Finché la protesta rimane in certe mani, ed esce da certe bocche, resta confinata al folklore: le divisioni grottesche intorno alla «marcia su Roma» lo dimostrano. I partiti politici non credano, tuttavia, di liquidare l’accaduto come uno sfogo. Indulgenti verso i Forconi, o mescolati tra loro, ci sono italiani normali: umiliati dalle autorizzazioni, assillati dai pagamenti, asfissiati dalle imposte.


Sono passati dieci mesi dal trionfo elettorale del Movimento 5 Stelle, e qualcuno sembra aver dimenticato la lezione. Esiste un’Italia che non ce la fa più: economicamente, fiscalmente, psicologicamente. Appena trova un megafono per gridare «Basta!» lo afferra. È una fortuna che, negli ultimi vent’anni, siano stati megafoni e non manganelli: dal referendum di Segni alla Lega di Bossi, dalle promesse di Berlusconi ai vaffa di Grillo.


Nessuno di questi, per motivi diversi, ha saputo diventare un partito: con le sue regole, i suoi ricambi, i suoi recuperi. Eppure tocca proprio a loro - ai partiti - creare il ponte tra le cose chieste e le cose fatte. Accade dovunque. Quando le democrazie hanno cercato alternative, hanno trovato guai. Come minimo, hanno perso tempo. La protervia, la pigrizia e l’egoismo famelico dei partiti italiani non costituiscono un’attenuante: non provino a tirarsi indietro. Matteo Renzi non ha solo il diritto di guidare il Partito democratico: ne ha il dovere. A Milano, ieri, non è stato «incoronato», come s’è letto. La corona spetta ai re; ai servitori toccano secchio e straccio, perché c’è molto da pulire e riordinare. Cambierà anche a destra e al centro? Si spera. Perché se i partiti non fanno il lavoro, ci penserà qualcun altro. E potrebbe risultare meno innocuo dei Forconi, meno velleitario di Beppe Grillo.


In una delle sue poesie più belle, The Second Coming , W.B. Yeats scrive: «I migliori mancano di ogni convinzione, mentre i peggiori sono pieni di intensità appassionata». In democrazia i migliori sono - dovrebbero essere - coloro che sono stati eletti per scavare nella complessità e uscirne con qualche soluzione. I peggiori non sono necessariamente cattivi, ma non hanno la preparazione, la disciplina e i mezzi per risolvere i problemi che si accumulano. Hanno invece passione, rabbia, energia. In mancanza di meglio, qualcuno potrebbe accontentarsi. Sarebbe un errore. Chi pensa che i problemi d’Italia si risolvano con sputi, vaffa e forconi, prenda un libro di storia, e capirà come può andare a finire. Male. Molto male.

16 dicembre 2013
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Beppe Severgnini

http://www.corriere.it/editoriali/13_di ... 95d8.shtml
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Miggliu cummannari ca futtiri



Sfascisti – 130

Il muro di gomma - 1



il Fatto 17.12.13
La casta governante è sempre inesorabile con i deboli
Non è più tempo di risate
di Marco Politi

Vile con i potenti, la casta governante è sempre inesorabile con i deboli. E più deboli sono – i precari, i malati, i pensionati – e più vengono pestati.
Ora tocca ai precari della scuola. Gli tagliano la monetizzazione delle ferie non usufruite. A Natale non avranno quel migliaio di euro che serviva per ripagare la loro perenne instabilità e l’impossibilità sistemica di godere di ferie e tredicesime alla stregua di chi è di ruolo.
È la spending review, bellezza! Ma non avevamo sentito poche ore fa i voli retorici di Matteo Renzi? “La parola scuola e la parola cultura non sono dei costi, sono degli investimenti “. Camomilla frizzante. In Toscana troverebbero espressioni anche più colorite. Alla vigilia delle primarie Matteo-sotto-la-lingua-niente era stato ancora più tosto: “Tutti hanno provato a riformare la scuola, nessuno l’ha mai fatto ascoltando chi nella scuola ci vive ogni giorno. Lo faremo noi”.
Gli umoristi hanno il dono di riassumere ciò che il popolo, trattato da bue, intuisce al volo. Sul Corriere della Sera Giannelli ha già ritratto il nuovo segretario Pd da Babbo Natale imbonitore.
Purtroppo non è più tempo di risate. Gli italiani, che stanno ai remi, stanno cercando da tempo di avvertire la casta ignorante che non è possibile pestare ancora di più chi lavora e sta in basso e paga le tasse. C’è chi ha ingrossato il serbatoio dell’astensione, chi ha creduto (invano) in Grillo, chi si butta in manifestazioni, chi si accoda ingenuamente agli impresentabili Forconi... Tanti segnali per avvertire i sedicenti timonieri che bisogna cambiare sul serio. A partire dal riscatto di chi è sfruttato dal precariato pubblico e privato.
Ma lassù sono sordi. E più sordo di tutti sembra l’“innovatore” Matteo. Intanto mettiamo agli atti che i furbetti del vecchio condono non hanno pagato, chi fa affari con le spiagge riceve incredibili favori fiscali, i padroni delle slot machine se ne infischiano di pagare il dovuto allo Stato. Mentre il segretario uptodate del Pd spiega che la Web Tax sui guadagni miliardari delle compagnie digitali è tanto, ma tanto retrograda. Qualcuno lo avverta che non siamo a Downton Abbey.
iospero
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da iospero »

Ora tocca ai precari della scuola. Gli tagliano la monetizzazione delle ferie non usufruite. A Natale non avranno quel migliaio di euro che serviva per ripagare la loro perenne instabilità e l’impossibilità sistemica di godere di ferie e tredicesime alla stregua di chi è di ruolo.

Non dimentichiamo che gli oltre 182.000 precari sono precari da oltre 10 anni e tanti vanno in pensione senza essere entrati in ruolo.

Per Renzi questo non è un buon inizio.
Ultima modifica di iospero il 18/12/2013, 12:54, modificato 1 volta in totale.
iospero
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da iospero »

Da un sondaggio Mtv :

"solo il 2% dei giovani è coinvolto attivamente dalla politica, mentre il 23% non si interessa ai temi politici e il 51% se ne informa ma non li ritiene prioritari. Il 74% crede che il binomio politica-corruzione sia praticamente indissolubile, il 67% è disgustato dallo scenario politico e il 57% è quantomeno arrabbiato. Sensazioni importanti, che porteranno al voto per le politiche solo sei giovani su dieci"

se questo è lo scenario la politica per farsi notare deve fare un gran botto.
1)Dimezzare subito gli emolumenti ai parlamentari e a tutto l'apparato delle istituzioini ;
2) dimezzare il costo della politica in generale a tutti i livelli.
La politica ci costa più di 23miliaredi, se si dimezzano i costi almeno 11miliardi potrebbero essere sufficienti per fare un bel botto a favore del costo del lavoro. Se non è possibile fare subito l'abolizione del Senato perchè le riforme costituzionali esigono tempi lunghi, si dimezzino gli emolumenti di tutti i parlamentari.
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Sfascisti – 131


I Rivoluzionari nel Paese dei gattopardi - 1


La prima “Rivoluzione” inizia nel 1994. A capo ci si mette Silvio Berlusconi. La chiama “La Rivoluzione liberale”.

Sono in molti ad abboccare tra cui un futuro premier, Mario Monti. Supermario per i fans.

Funziona così in questo Paese dai tratti latini.

Basta saper raccontare palle, basta saper parlare nel modo giusto alla pancia della gente e il gioco è fatto.

Non c’è bisogno di andare alla Bocconi, alla Cattolica, alla Sapienza o alla Normale di Pisa.

Ce lo siamo tenuti per un ventennio il rivoluzionario liberale. La Rivoluzione liberale non c’entrava assolutamente niente. Doveva salvare solo se stesso e le sue aziende dalla magistratura.

Prima di lui avevamo avuto Bettino che molti di noi chiamavano il figlio di Benito.

Non si è trattato di una vera rivoluzione, ma la presa del potere di un bel gruppo di forchettoni che ci ricordavano i loro nonni in camicia nera.

Prima ancora di Bettino ci aveva tentato un altro strano socialista, il Cavaliere emerito buonanima, Amilcare, Andrea, Benito Mussolini.

A lui la Rivoluzione è riuscita (unico), la Rivoluzione fasista.

http://www.youtube.com/watch?v=KuF0kWOWT_Q
http://www.youtube.com/watch?v=Zd2hyly9Skw
http://www.youtube.com/watch?v=tlMQGvpW_6I


Poi nel terzo millennio è iniziata la Rivoluzione democratica di Grillo e Casaleggio. Una cosa del tutto nuova.

I parlamentari che avevano portato allo sfascio il Paese se ne devono andare a casa secondo il rivoluzionario geneovese.

Già, ma l’arcano sta in : Poi non chi li sostituisci?

Nei nominativi da spedire al Parlamento alle ultime elezioni non ci stavano nomi in cui potevano dare una garanzia di saper governare qualora avessero vinto. Si trattava solo di gente del popolo inesperta, in prevalenza giovani.

Non basta per governare e saper trattare con le altre nazioni della Ue e non solo.

Fare una rivoluzione senza spargimenti di sangue, come ci riporta la storia, era una novità assoluta.

Per fare una cosa del genere ci vuole dietro decisamente un genio. Cambiare una classe politica senza spargimenti di sangue. Non era mai successo prima.

Non è andata così perché anche da quella parte supergeni della politica non se ne vedono ai vertici.

Se questa rivoluzione avesse fallito, anche in parte, poteva aprirsi una nuova fase pericolosa.

In questi ultimi otto mesi, risulta che la casta dominante è ancora tutta lì insieme schierata a difesa della conservazione dell’esistente.

Non essendoci personaggi di qualità, ma un’insieme di personaggi scadenti da fine regime, sono passati inutilmente otto mesi senza aggredire la crisi, perennemente in lotta tra di loro per rimanere in sella su di un cavallo morente.

Era evidente, che per varie ragioni, dopo aver portato alla povertà almeno un terzo degli italiani, a distrutto la classe media, la rivolta sarebbe comparsa nelle piazze d’Italia.

Quel furbacchione di Gerardo Greco, conduttore di Agorà, stamani dopo aver ascoltato i manifestanti dei Forconi e di altre formazioni ha tentato di carpire l’area di provenienza chiedendo loro chi avevano votato ultimamente.

Nessuno di loro aveva votato negli ultimi 5 o 10 anni ad eccezione di uno che aveva votato Berlusconi.

Grillo non è un punto di riferimento per i nuovi rivoluzionari in quanto viene considerato alla stregua dei vecchi partiti.

Le rivolte popolari cominciano così, quando si mette alla fame una parte consistente del corpo popolare, e si insiste tignosamente come ha fatto Letta nell’intervista al Tg3 delle 19,00, facendo credere che tutto si risolverà con la sua legge di stabilità.

Letta assomiglia tanto in questa fase a Maria Antonietta. Non si rende conto di cosa sta accadendo. E’ convinto che con le sue brioche il popolo si possa sfamare.

I Forconi oggi a Roma, hanno annunciato di ridurre la pressione in occasione delle festività, tenendo aperti i presidi. Con l’anno nuovo se non ci saranno novità riprenderanno con la minaccia di una nuova fase più determinante.

I Forconi si sono già divisi, tra chi intende premere l’acceleratore e chi pensa ad una forma più “moderata” per aggregare altri scontenti.

Quest’ala può contare su di un bel serbatoio se intende premere sulla rivolta.

«Quasi 4 milioni di under 35non studia né lavora»
Corriere della Sera ‎- 3 giorni fa
Oltre il 27% dei giovani tra i 15 e i 34 anni non studia, non lavora e non è in ... or Training», in Italia anche né-né, cioè quei giovani chenon non

Senza poi contare su disoccupati, cassintegrati ed esodati.

Lunedì sera, Formigli ha mandato in onda un servizio sulla prostituzione frontaliera italiana che esercita in Svizzera.

Si tratta di parecchie donne giovani ma anche di madri di famiglia.

Non scandalizza se una donna decide di scegliere il mestiere più vecchio del mondo. Da via del suo. E’ una scelta sua fatta in piena autonomia.

Comincia a lasciare qualche perplessità quando le madri di famiglia colpite dalla crisi, anche se non rientrano affatto nella sfera di povertà, non intendendo rinunciare al livello di vita precedente.

O non volendo sfigurare con le amiche perché certe cose non se le possono più permettere devono, tra l’altro, reimbiancare tutte le settimane il soffitto del corridoio dell’ingresso di casa perché le corna del marito, che aumentano di settimana in settimana rovinano la precedente imbiancatura a causa della nuova attività occasionale necessaria a recuperare il denaro necessario per mantenere lo stile di vita precedente.

Le ragazzine di buona famiglia di Milano che la davano via per le ricariche dei telefonini, si possono paragonare alle ragazze di una quarantina di anni fa che si davano alla nobile professione per procurarsi la dose quotidiana.

Questo tipo di droga del primo e secondo tipo è meno accettabile perché è una forzatura della società.

Quello che invece non è accettabile affatto, è quando la società, causa crisi economica, spinge madri di famiglia ad un’attività forzosa che richiede pelo sullo stomaco per svolgerla, perché i clienti non sono tutti, Alain Delon, Brad Pitt o Paul Newman.
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

Sfascisti – 132

Il muro di gomma - 2



L’Espresso domani pubblica un’articolo su un bando di concorso per 210 auto blu blindate.

Benzina sul fuoco per la rivolta.

Fonte : La Gabbia.

E’ chiaro adesso perché non c’è più niente da fare.

La casta sta vivendo in questi anni nello stesso identico modo della Corte di Versailles.

Non ha alcuna intenzione di cambiare.
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