Il manifesto per una nuova politica
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Re: Il manifesto per una nuova politica
Beni comuni e democrazia
Stefano Rodotà
12.04.2012
Cari amici del manifesto, ho aderito al "Manifesto per un nuovo soggetto politico" con un messaggio nel quale, considerandolo un documento aperto, annunciavo alcune mie riserve e una vera e propria «opinione dissenziente». Vista la piega assunta dalla discussione, provo a rendere esplicita questa mia adesione in qualche modo "condizionata".
Tra il 2010 e il 2011, nel peggior tempo del berlusconismo e quando sembrava che tutto fosse ridotto a duello tra politica e antipolitica, ha preso corpo un insieme di iniziative che mostravano come un'altra politica fosse possibile, non in astratto, ma attraverso azioni comuni dei cittadini.
Ricordiamo tutti le molte, grandi manifestazioni delle donne, degli studenti, dei lavoratori; il successo grande e inatteso della raccolta delle firme e poi del voto referendario con il quale ventisette milioni di elettori hanno detto no alla privatizzazione dell'acqua, al nucleare, all'uso privato della legge; la campagna contro la "legge bavaglio", che ha contribuito in modo determinante a bloccare una aggressione alle libertà; il ritorno della Costituzione come riferimento forte e comune.
Tutti movimenti senza leader, senza i quali non sarebbero stati possibili i successi del centrosinistra alle elezioni amministrative (e, prima, l'affermazione nelle primarie dei candidati non di partito: una conferma è venuta dalle primarie di Genova).
E Ilvo Diamanti ha documentato come nelle campagne elettorali amministrative vi sia stata una partecipazione spontanea senza precedenti.
I partiti non hanno colto la novità, anzi hanno preso le distanze, sono tornati i vecchi inviti a non cedere al movimentismo. Bersani, sia pure all'ultimo momento, aveva compiuto un atto politico significativo, schierando ufficialmente il Pd a favore dei referendum. Ma poi tutto è finito lì, nessuna attenzione è stata prestata ai protagonisti di quella vicenda, anzi si è concretamente operato per cancellare il risultato del referendum sull'acqua, tentativo contro il quale si sta organizzando un movimento di "obbedienza civile". Il necessario riconoscimento dei partiti e del loro ruolo non può convertirsi in contemplazione passiva.
Il patrimonio accumulato in questi ultimi due anni non può essere disperso, e questo esige una iniziativa nuova, perché i movimenti sono sempre esposti al rischio del dissolversi, soprattutto quando si tratta di single issue mouvements, di movimenti con un unico e dichiarato obiettivo, raggiunto il quale sembra quasi che la loro esistenza non abbia più senso. Questo è vero, almeno in parte, quando il sistema politico è in buona salute.
Così non è nei tempi di crisi profonda quando, invece, è indispensabile valorizzare e mobilitare tutte le energie presenti nella società. Dai partiti non sono venuti segni significativi in questa direzione.
Si sono così creati due circuiti politici, tra i quali è indispensabile trovare una connessione, pena una generale perdita di senso e di capacità di cambiamento della politica.
E anche per evitare che un impegno politico significativo sia ricacciato nello scoramento, dell'abbandono, della rabbia.
E questo impone che non vi sia alcuna compiacenza verso le prassi degenerate dei partiti, alle loro derive oligarchiche, se si vuole ricondurli al modello costituzionale che li vede attori della determinazione dell'indirizzo politico con metodo democratico.
Il movimento dell'acqua
E' enfatico, e polemico, parlare di un "soggetto politico nuovo"? Ma questa non è una forzatura politica e linguistica. E' la registrazione di un dato di fatto, di un patrimonio che, nell'interesse comune, non può essere disperso.
Questa realtà molteplice deve trovare una propria forma di riconoscimento e organizzazione che, lo dico subito, non può essere finalizzata alla creazione di liste elettorali, per gli enormi rischi che ciò comporta, a cominciare dalla tentazione offerta a chi cerca un'occasione per riscattarsi da passati fallimenti, a chi è sempre alla ricerca di contenitori per realizzare ambizioni personali, non per ottenere risultati politici.
Per la sua origine, assai legata anche all'uso delle reti sociali, questo nuovo soggetto deve piuttosto muoversi verso una organizzane a rete, mettendo in particolare a frutto l'esperienza del movimento per l'acqua bene comune, che ha consentito a realtà diverse di collegarsi, dialogare, agire d'intesa.
Ma questo è l'opposto di leadership provvisorie, itineranti.
Queste parole sono comprensibili come reazione alla personalizzazione estrema della politica, alla chiusura oligarchica dei partiti.
E dunque sono benvenute quando sono il segno dell'apertura di cui parlavo all'inizio, come riconoscimento che in politica v'è posto per tutti, che la partecipazione non deve essere ridotta a subordinazione, ad una semplice affiliazione
Tuttavia l'indispensabile capacità di produrre direzione politica non può essere affidata unicamente ad una spontaneità colorata da passioni, da emozioni, che certamente hanno peso, ma non possono connotare interamente il campo del politico.
E' il problema delle nuove soggettività politiche, ineludibile nel tempo della crisi della rappresentanza (vale la pena di dare un'occhiata ai due numeri di "Filosofia politica" dedicati appunto al soggetto, in particolare a ciò che scrive Nello Preterossi in apertura del numero 3 del 2011).
Non mi preoccupa una certa nebulosità della proposta iniziale, comunque necessaria per non disperdere esperienze rilevanti e per contribuire ad un rinnovamento della politica di cui sarebbero gli stessi partiti a beneficiare.
Nel "Manifesto" è correttamente impostato il rapporto tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa, anche facendo riferimento alle nuove opportunità offerte dall'articolo 11 del Trattato di Lisbona. Meno limpido è il modo in cui viene delineato il rapporto tra il soggetto politico "vecchio", il partito, e quello "nuovo", perché per quest'ultimo è necessaria una elaborazione ulteriore, che dovrebbe consigliare analisi meno trionfalistiche sul nuovo e meno liquidatorie del vecchio.
E' comprensibile che ciò avvenga, poiché a questo spingono molte iniziative di questi mesi, il fascino del locale, di Cattaneo, della "democrazia di prossimità".
Ma i movimenti già ricordati andavano anche oltre il locale, ponevano l'ineludibile domanda di una nuova organizzatore dei poteri che non può germogliare solo dalla dimensione locale, anche se proprio qui può trovare nuovo impulso, cominciando a rimuovere le chiusure che hanno caratterizzato il potere centrale in tutte le sue diramazioni.
Non buttiamo il Novecento
E poi. Per radicare un nuovo soggetto politico davvero è necessaria quella tabula rasa che compare nel "Manifesto"?
Via il Novecento, via tutto il diritto borghese, via l'ingannevole Europa. Ricordiamo l' "Indirizzo" di Karl Marx ai critici del suo sostegno alla legge delle dieci ore: «per la prima volta, alla chiara luce del sole, l'economia politica del proletariato ha prevalso sull'economia politica del capitale».
Il Novecento non è stato soltanto il secolo breve, il secolo tragico del totalitarismo. E' stato il secolo in cui, nell'Europa continentale soprattutto, un nuovo soggetto politico, la classe operaia, è stata all'origine del nuovo costituzionalismo aperto a Weimar, con la prima delle "lunghe costituzioni" che avrebbero modificato profondamente un quadro istituzionale fino a quel momento dominato soprattutto dal prodotto di un altro soggetto politico, la borghesia con il suo il codice civile. Non buttiamo via il compromesso socialdemocratico e il Welfare State, che non sono riducibili ad una astuzia del capitalismo, ma sono il risultato del ruolo giocato dai partiti di massa. Non regaliamo ad interpretazioni regressive la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, di cui si indicano ombre, ma si trascurano del tutto le molte luci.
Certo, oggi il quadro è cambiato, drammaticamente. Ma proprio per questo è necessaria una nuova ricomposizione delle forze, non dirò un nuovo blocco sociale, alla quale un soggetto politico nuovo può dare un impulso finora mancato. E sono necessarie analisi politiche ed istituzionali non approssimative. Se si vuol difendere la democrazia parlamentare, non si può cadere in una tipica trappola berlusconiana sostenendo che il governo Monti non è legittimato perché non è passato da un voto popolare: questa è la logica populista e della democrazia d'investitura che ha devastato nei due decenni passati il nostro sistema politico. Né si può affermare che siamo di fronte ad una mortificazione del Parlamento. Abbiamo dimenticato la Camera chiusa per mancanza di lavoro e il voto a grande maggioranza su Ruby nipote di Mubarak? Per amor di polemica rischiamo di dimenticare altre questioni, davvero centrali come l'autoritario governar per decreti e il modo in cui si costruisce l'agenda politico-parlamentare.
La questione proprietaria
Tocchiamo così i contenuti dell'azione politica, alla quale mi pare che il "Manifesto" dia un contributo significativo con la sottolineatura dell'importanza del riferimento ai beni comuni, come dato che caratterizza la fase attuale. Non è una bizzarria, né un tema marginale.
Con esso, finalmente, torna in tutta la sua rilevanza la questione proprietaria. E qui è indubbio il merito dell'altra politica, così come è indubbia la permanente insensibilità della politica ufficiale.
I partiti secondano l'offensiva contro i risultati del voto referendario, che hanno indicato nell'acqua un bene comune e hanno abrogato la norma che prevedeva che la sua gestione potesse essere oggetto di profitto.
Il Parlamento ignora le proposte di legge sui beni comuni e sull'acqua presentati da suoi componenti, da regioni o d'iniziativa popolare.
Qui la presenza organizzata dei cittadini può trasformarsi non solo in pressione significativa perché di quelle proposte di legge si discuta, ma può divenire richiesta di modifiche, anche costituzionali, perché le iniziative legislative popolari vengano prese in considerazione e ai loro promotori sia riconosciuto un potere di iniziativa ed una presenza nel corso della discussione nelle commissioni parlamentari.
Una connessione istituzionale importante. Certo, va evitata l'eccesso di riferimenti ai beni comini. L'inflazione non è un pericolo soltanto in economia. Si impone, quindi, un bisogno di distinzione e di chiarimento, proprio per impedire che un uso inflattivo dell'espressione la depotenzi. Se la categoria dei beni comuni rimane nebulosa, e in essa si include tutto e il contrario di tutto, se ad essa viene affidata una sorta di palingenesi sociale, allora può ben accadere che perda la capacità di individuare proprio le situazioni nelle quali la qualità "comune" di un bene può sprigionare tutta la sua forza.
E tuttavia è cosa buona che questo continuo germogliare di ipotesi mantenga viva l'attenzione per una questione alla quale è affidato un passaggio d'epoca.
Giustamente Roberto Esposito sottolinea come questa sia una via da percorrere per sottrarsi alla tirannia di quella che Walter Benjamin ha chiamato la «teologia economica».
Veniamo così agli strumenti da adoperare e progettare. Il "Manifesto" ne elenca molti: la Convenzione di Aarhus e l'esperienza di Porto Alegre, quella di Party, dell'Open Space Technology, dei Town Meetings. L'elenco può essere facilmente allungato, ma da esso escluderei i referendum on line, di cui non si sottolineerà mai abbastanza l'ambiguità, o la pericolosità, per l'ingannevole sensazione di passaggio di sovranità che può generare, mentre sono strumenti congeniali alla democrazia plebiscitaria, a alle manipolazioni, anche se proprio nella dimensione locale alcuni di questi rischi possono almeno essere ridotti. Di nuovo, comunque, siamo di fronte a un tema ineludibile, che è poi quello di come si governa la democrazia continua.
Beni comuni e democrazia continua sono indicazioni che impongono una rottura, ma sono soprattutto questioni ineludibili se si vogliono seriamente affrontare le questioni del mercato e della crisi delle procedure democratiche.
E' stata, ed è ancora, l'altra politica ad aver costruito questo pezzo di agenda, che può divenire un momento di connessione tra i due circuiti politici, se quello ufficiale, o almeno alcuni dei partiti che lo compongono, si renderanno conto che qui si gioca una partita decisiva. Che ci porta dritti alla Costituzione, al lavoro fondamento della Repubblica democratica, ai diritti come elemento costitutivo della democrazia.
Si può davvero parlare a questo punto di soggetto senza progetto, di neutralizzazione dei conflitti? O siamo proprio sul terreno dove il progetto può cominciare a prendere una nuova forma, e proprio per questo esige lavoro e contributi larghi?
E le questioni prospettate ci portano nel cuore dei conflitti di oggi, nella dimensione nazionale, sovranazionale, globale. Certo, il "Manifesto", oltre ad avere limiti, ha molte lacune. Ma apre una discussione vera, che spero possa proseguire.
Vedo tutti i rischi di una democrazia senza partiti. Vedo pure quelli di una democrazia progressivamente svuotata dal ridursi della sua capacità rappresentativa, svincolata da una cittadinanza forte.
http://www.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/7053/
Stefano Rodotà
12.04.2012
Cari amici del manifesto, ho aderito al "Manifesto per un nuovo soggetto politico" con un messaggio nel quale, considerandolo un documento aperto, annunciavo alcune mie riserve e una vera e propria «opinione dissenziente». Vista la piega assunta dalla discussione, provo a rendere esplicita questa mia adesione in qualche modo "condizionata".
Tra il 2010 e il 2011, nel peggior tempo del berlusconismo e quando sembrava che tutto fosse ridotto a duello tra politica e antipolitica, ha preso corpo un insieme di iniziative che mostravano come un'altra politica fosse possibile, non in astratto, ma attraverso azioni comuni dei cittadini.
Ricordiamo tutti le molte, grandi manifestazioni delle donne, degli studenti, dei lavoratori; il successo grande e inatteso della raccolta delle firme e poi del voto referendario con il quale ventisette milioni di elettori hanno detto no alla privatizzazione dell'acqua, al nucleare, all'uso privato della legge; la campagna contro la "legge bavaglio", che ha contribuito in modo determinante a bloccare una aggressione alle libertà; il ritorno della Costituzione come riferimento forte e comune.
Tutti movimenti senza leader, senza i quali non sarebbero stati possibili i successi del centrosinistra alle elezioni amministrative (e, prima, l'affermazione nelle primarie dei candidati non di partito: una conferma è venuta dalle primarie di Genova).
E Ilvo Diamanti ha documentato come nelle campagne elettorali amministrative vi sia stata una partecipazione spontanea senza precedenti.
I partiti non hanno colto la novità, anzi hanno preso le distanze, sono tornati i vecchi inviti a non cedere al movimentismo. Bersani, sia pure all'ultimo momento, aveva compiuto un atto politico significativo, schierando ufficialmente il Pd a favore dei referendum. Ma poi tutto è finito lì, nessuna attenzione è stata prestata ai protagonisti di quella vicenda, anzi si è concretamente operato per cancellare il risultato del referendum sull'acqua, tentativo contro il quale si sta organizzando un movimento di "obbedienza civile". Il necessario riconoscimento dei partiti e del loro ruolo non può convertirsi in contemplazione passiva.
Il patrimonio accumulato in questi ultimi due anni non può essere disperso, e questo esige una iniziativa nuova, perché i movimenti sono sempre esposti al rischio del dissolversi, soprattutto quando si tratta di single issue mouvements, di movimenti con un unico e dichiarato obiettivo, raggiunto il quale sembra quasi che la loro esistenza non abbia più senso. Questo è vero, almeno in parte, quando il sistema politico è in buona salute.
Così non è nei tempi di crisi profonda quando, invece, è indispensabile valorizzare e mobilitare tutte le energie presenti nella società. Dai partiti non sono venuti segni significativi in questa direzione.
Si sono così creati due circuiti politici, tra i quali è indispensabile trovare una connessione, pena una generale perdita di senso e di capacità di cambiamento della politica.
E anche per evitare che un impegno politico significativo sia ricacciato nello scoramento, dell'abbandono, della rabbia.
E questo impone che non vi sia alcuna compiacenza verso le prassi degenerate dei partiti, alle loro derive oligarchiche, se si vuole ricondurli al modello costituzionale che li vede attori della determinazione dell'indirizzo politico con metodo democratico.
Il movimento dell'acqua
E' enfatico, e polemico, parlare di un "soggetto politico nuovo"? Ma questa non è una forzatura politica e linguistica. E' la registrazione di un dato di fatto, di un patrimonio che, nell'interesse comune, non può essere disperso.
Questa realtà molteplice deve trovare una propria forma di riconoscimento e organizzazione che, lo dico subito, non può essere finalizzata alla creazione di liste elettorali, per gli enormi rischi che ciò comporta, a cominciare dalla tentazione offerta a chi cerca un'occasione per riscattarsi da passati fallimenti, a chi è sempre alla ricerca di contenitori per realizzare ambizioni personali, non per ottenere risultati politici.
Per la sua origine, assai legata anche all'uso delle reti sociali, questo nuovo soggetto deve piuttosto muoversi verso una organizzane a rete, mettendo in particolare a frutto l'esperienza del movimento per l'acqua bene comune, che ha consentito a realtà diverse di collegarsi, dialogare, agire d'intesa.
Ma questo è l'opposto di leadership provvisorie, itineranti.
Queste parole sono comprensibili come reazione alla personalizzazione estrema della politica, alla chiusura oligarchica dei partiti.
E dunque sono benvenute quando sono il segno dell'apertura di cui parlavo all'inizio, come riconoscimento che in politica v'è posto per tutti, che la partecipazione non deve essere ridotta a subordinazione, ad una semplice affiliazione
Tuttavia l'indispensabile capacità di produrre direzione politica non può essere affidata unicamente ad una spontaneità colorata da passioni, da emozioni, che certamente hanno peso, ma non possono connotare interamente il campo del politico.
E' il problema delle nuove soggettività politiche, ineludibile nel tempo della crisi della rappresentanza (vale la pena di dare un'occhiata ai due numeri di "Filosofia politica" dedicati appunto al soggetto, in particolare a ciò che scrive Nello Preterossi in apertura del numero 3 del 2011).
Non mi preoccupa una certa nebulosità della proposta iniziale, comunque necessaria per non disperdere esperienze rilevanti e per contribuire ad un rinnovamento della politica di cui sarebbero gli stessi partiti a beneficiare.
Nel "Manifesto" è correttamente impostato il rapporto tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa, anche facendo riferimento alle nuove opportunità offerte dall'articolo 11 del Trattato di Lisbona. Meno limpido è il modo in cui viene delineato il rapporto tra il soggetto politico "vecchio", il partito, e quello "nuovo", perché per quest'ultimo è necessaria una elaborazione ulteriore, che dovrebbe consigliare analisi meno trionfalistiche sul nuovo e meno liquidatorie del vecchio.
E' comprensibile che ciò avvenga, poiché a questo spingono molte iniziative di questi mesi, il fascino del locale, di Cattaneo, della "democrazia di prossimità".
Ma i movimenti già ricordati andavano anche oltre il locale, ponevano l'ineludibile domanda di una nuova organizzatore dei poteri che non può germogliare solo dalla dimensione locale, anche se proprio qui può trovare nuovo impulso, cominciando a rimuovere le chiusure che hanno caratterizzato il potere centrale in tutte le sue diramazioni.
Non buttiamo il Novecento
E poi. Per radicare un nuovo soggetto politico davvero è necessaria quella tabula rasa che compare nel "Manifesto"?
Via il Novecento, via tutto il diritto borghese, via l'ingannevole Europa. Ricordiamo l' "Indirizzo" di Karl Marx ai critici del suo sostegno alla legge delle dieci ore: «per la prima volta, alla chiara luce del sole, l'economia politica del proletariato ha prevalso sull'economia politica del capitale».
Il Novecento non è stato soltanto il secolo breve, il secolo tragico del totalitarismo. E' stato il secolo in cui, nell'Europa continentale soprattutto, un nuovo soggetto politico, la classe operaia, è stata all'origine del nuovo costituzionalismo aperto a Weimar, con la prima delle "lunghe costituzioni" che avrebbero modificato profondamente un quadro istituzionale fino a quel momento dominato soprattutto dal prodotto di un altro soggetto politico, la borghesia con il suo il codice civile. Non buttiamo via il compromesso socialdemocratico e il Welfare State, che non sono riducibili ad una astuzia del capitalismo, ma sono il risultato del ruolo giocato dai partiti di massa. Non regaliamo ad interpretazioni regressive la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, di cui si indicano ombre, ma si trascurano del tutto le molte luci.
Certo, oggi il quadro è cambiato, drammaticamente. Ma proprio per questo è necessaria una nuova ricomposizione delle forze, non dirò un nuovo blocco sociale, alla quale un soggetto politico nuovo può dare un impulso finora mancato. E sono necessarie analisi politiche ed istituzionali non approssimative. Se si vuol difendere la democrazia parlamentare, non si può cadere in una tipica trappola berlusconiana sostenendo che il governo Monti non è legittimato perché non è passato da un voto popolare: questa è la logica populista e della democrazia d'investitura che ha devastato nei due decenni passati il nostro sistema politico. Né si può affermare che siamo di fronte ad una mortificazione del Parlamento. Abbiamo dimenticato la Camera chiusa per mancanza di lavoro e il voto a grande maggioranza su Ruby nipote di Mubarak? Per amor di polemica rischiamo di dimenticare altre questioni, davvero centrali come l'autoritario governar per decreti e il modo in cui si costruisce l'agenda politico-parlamentare.
La questione proprietaria
Tocchiamo così i contenuti dell'azione politica, alla quale mi pare che il "Manifesto" dia un contributo significativo con la sottolineatura dell'importanza del riferimento ai beni comuni, come dato che caratterizza la fase attuale. Non è una bizzarria, né un tema marginale.
Con esso, finalmente, torna in tutta la sua rilevanza la questione proprietaria. E qui è indubbio il merito dell'altra politica, così come è indubbia la permanente insensibilità della politica ufficiale.
I partiti secondano l'offensiva contro i risultati del voto referendario, che hanno indicato nell'acqua un bene comune e hanno abrogato la norma che prevedeva che la sua gestione potesse essere oggetto di profitto.
Il Parlamento ignora le proposte di legge sui beni comuni e sull'acqua presentati da suoi componenti, da regioni o d'iniziativa popolare.
Qui la presenza organizzata dei cittadini può trasformarsi non solo in pressione significativa perché di quelle proposte di legge si discuta, ma può divenire richiesta di modifiche, anche costituzionali, perché le iniziative legislative popolari vengano prese in considerazione e ai loro promotori sia riconosciuto un potere di iniziativa ed una presenza nel corso della discussione nelle commissioni parlamentari.
Una connessione istituzionale importante. Certo, va evitata l'eccesso di riferimenti ai beni comini. L'inflazione non è un pericolo soltanto in economia. Si impone, quindi, un bisogno di distinzione e di chiarimento, proprio per impedire che un uso inflattivo dell'espressione la depotenzi. Se la categoria dei beni comuni rimane nebulosa, e in essa si include tutto e il contrario di tutto, se ad essa viene affidata una sorta di palingenesi sociale, allora può ben accadere che perda la capacità di individuare proprio le situazioni nelle quali la qualità "comune" di un bene può sprigionare tutta la sua forza.
E tuttavia è cosa buona che questo continuo germogliare di ipotesi mantenga viva l'attenzione per una questione alla quale è affidato un passaggio d'epoca.
Giustamente Roberto Esposito sottolinea come questa sia una via da percorrere per sottrarsi alla tirannia di quella che Walter Benjamin ha chiamato la «teologia economica».
Veniamo così agli strumenti da adoperare e progettare. Il "Manifesto" ne elenca molti: la Convenzione di Aarhus e l'esperienza di Porto Alegre, quella di Party, dell'Open Space Technology, dei Town Meetings. L'elenco può essere facilmente allungato, ma da esso escluderei i referendum on line, di cui non si sottolineerà mai abbastanza l'ambiguità, o la pericolosità, per l'ingannevole sensazione di passaggio di sovranità che può generare, mentre sono strumenti congeniali alla democrazia plebiscitaria, a alle manipolazioni, anche se proprio nella dimensione locale alcuni di questi rischi possono almeno essere ridotti. Di nuovo, comunque, siamo di fronte a un tema ineludibile, che è poi quello di come si governa la democrazia continua.
Beni comuni e democrazia continua sono indicazioni che impongono una rottura, ma sono soprattutto questioni ineludibili se si vogliono seriamente affrontare le questioni del mercato e della crisi delle procedure democratiche.
E' stata, ed è ancora, l'altra politica ad aver costruito questo pezzo di agenda, che può divenire un momento di connessione tra i due circuiti politici, se quello ufficiale, o almeno alcuni dei partiti che lo compongono, si renderanno conto che qui si gioca una partita decisiva. Che ci porta dritti alla Costituzione, al lavoro fondamento della Repubblica democratica, ai diritti come elemento costitutivo della democrazia.
Si può davvero parlare a questo punto di soggetto senza progetto, di neutralizzazione dei conflitti? O siamo proprio sul terreno dove il progetto può cominciare a prendere una nuova forma, e proprio per questo esige lavoro e contributi larghi?
E le questioni prospettate ci portano nel cuore dei conflitti di oggi, nella dimensione nazionale, sovranazionale, globale. Certo, il "Manifesto", oltre ad avere limiti, ha molte lacune. Ma apre una discussione vera, che spero possa proseguire.
Vedo tutti i rischi di una democrazia senza partiti. Vedo pure quelli di una democrazia progressivamente svuotata dal ridursi della sua capacità rappresentativa, svincolata da una cittadinanza forte.
http://www.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/7053/
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: Il manifesto per una nuova politica
Il referendun on line da escludere ?Veniamo così agli strumenti da adoperare e progettare. Il "Manifesto" ne elenca molti: la Convenzione di Aarhus e l'esperienza di Porto Alegre, quella di Party, dell'Open Space Technology, dei Town Meetings. L'elenco può essere facilmente allungato, ma da esso escluderei i referendum on line, di cui non si sottolineerà mai abbastanza l'ambiguità, o la pericolosità, per l'ingannevole sensazione di passaggio di sovranità che può generare, mentre sono strumenti congeniali alla democrazia plebiscitaria, a alle manipolazioni, anche se proprio nella dimensione locale alcuni di questi rischi possono almeno essere ridotti. Di nuovo, comunque, siamo di fronte a un tema ineludibile, che è poi quello di come si governa la democrazia continua.
Beni comuni e democrazia continua sono indicazioni che impongono una rottura, ma sono soprattutto questioni ineludibili se si vogliono seriamente affrontare le questioni del mercato e della crisi delle procedure democratiche.
di cui non si sottolineerà mai abbastanza l'ambiguità, o la pericolosità, per l'ingannevole sensazione di passaggio di sovranità che può generare, mentre sono strumenti congeniali alla democrazia plebiscitaria, a alle manipolazioni.
Credo che sarebbe opportuno chiarire questa pericolosità, e la differenza rispetto al referendum cartaceo.
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Re: Il manifesto per una nuova politica
Al 13 aprile le firme raccolte erano 3.448
chiaramente non ci sono problemi di autenticazioni, il sostegno di grandi firme aiuta molto,
e alla fine le risposte che ho avuto parlano un po' il politichese.
chiaramente non ci sono problemi di autenticazioni, il sostegno di grandi firme aiuta molto,
e alla fine le risposte che ho avuto parlano un po' il politichese.
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Re: Il manifesto per una nuova politica
Informazione / Energia e Ambiente
ELINOR OSTROM E LA RIVINCITA DELLE PROPRIETA' COMUNI
di Antonio Massarutto 13.10.2009
Il premio Nobel a Elinor Ostrom riconosce l'importanza di aver ipotizzato l'esistenza di una terza via tra Stato e mercato. Quella di Ostrom è una teoria complessiva che identifica le condizioni che devono valere affinché una gestione "comunitaria" possa rimanere sostenibile nel lungo termine. Una lezione di particolare importanza oggi a proposito dei beni collettivi globali, come l'atmosfera, il clima o gli oceani. Ma molto significativa anche per l'attuale crisi finanziaria, che si può leggere come il saccheggio di una proprietà comune: la fiducia degli investitori.
Elinor Ostrom (Courtesy of Indiana University)
Uno dei dogmi fondativi della moderna economia dell’ambiente è la cosiddetta “tragedy of the commons”, risalente a Garrett Hardin. Secondo questa impostazione, se un bene non appartiene a nessuno ma è liberamente accessibile, vi è una tendenza a sovrasfruttarlo. L’individuo che si appropria del bene comune, deteriorandolo, infatti, gode per intero del beneficio, mentre sostiene solo una piccola parte del costo (in quanto questo costo verrà socializzato). Poiché tutti ragionano nello stesso modo, il risultato è il saccheggio del bene. Analogamente, nessuno è incentivato a darsi da fare per migliorare il bene, poiché sosterrebbe un costo a fronte di un beneficio di cui non potrebbe appropriarsi che in parte.
UNA TERZA VIA TRA STATO E MERCATO
Il ragionamento di Hardin partiva dall’esempio delle enclosures inglesi, precondizione della Rivoluzione industriale. La recinzione delle terre comuni, in questa visione, costituiva il necessario presupposto di una gestione razionale ed efficiente: mentre in regime di libero accesso il pascolo indiscriminato stava portando alla rovina del territorio, il proprietario privato, in quanto detentore del surplus, aveva l’interesse a sfruttare il bene in modo ottimale e a investire per il suo miglioramento.
Quando non vi sono le condizioni per un’appropriazione privata, deve essere semmai lo Stato ad assumere la proprietà pubblica. Solo i beni così abbondanti da non avere valore economico possono essere lasciati al libero accesso; per tutti gli altri occorre definire un regime di diritto di proprietà privato o pubblico.
Il merito di Elinor Ostrom è stato quello di ipotizzare l’esistenza di una “terza via” tra Stato e mercato, analizzando le condizioni che devono verificarsi affinché le common properties non degenerino. Ostrom prende le mosse dal lavoro di uno di quei precursori-anticipatori, troppo eterodossi per essere apprezzati nell’epoca in cui scrivevano: lo svizzero tedesco, naturalizzato americano, Ciriacy-Wantrup, che ancora negli anni Cinquanta osservava che vi sono nel mondo molti esempi di proprietà comuni che sfuggono al destino preconizzato da Hardin, come ad esempio le foreste e i pascoli alpini.
Distingueva appunto le “common pool resources” (res communis omnium) dai “free goods” (res nullius): nel primo caso, pur in assenza di un’entità che possa vantare diritti di proprietà esclusivi, a fare la differenza è l’esistenza di una comunità, l’appartenenza alla quale impone agli individui certi diritti di sfruttamento del bene comune, ma anche determinati doveri di provvedere alla sua gestione, manutenzione e riproduzione, sanzionati dalla comunità stessa attraverso l’inclusione di chi ne rispetta le regole e l’esclusione di chi non le rispetta.
Su queste fondamenta poggia l’edificio concettuale della Ostrom, la cui opera più importante, Governing the Commons, sviluppa una teoria complessiva che identifica le condizioni che devono valere affinché una gestione “comunitaria” possa rimanere sostenibile nel lungo termine. Analisi che intreccia con grande profondità e intelligenza la teoria delle istituzioni, il diritto, la teoria dei giochi, per lambire quasi le scienze sociali e l’antropologia.
Il campo di applicazione delle ricerche sviluppate in questo filone può far storcere il naso: dalle risorse di caccia degli Indiani d’America alle comunità di pescatori africani, o alla condivisione delle acque sotterranee in qualche remoto sistema agro-silvo-pastorale nepalese. Ma come spesso succede, applicare il concetto di base a un oggetto semplice consente di mettere a fuoco concetti e teorie di portata molto più generale.
Non a caso, la lezione della Ostrom è di particolare importanza oggi, a proposito dei global commons, come l’atmosfera, il clima o gli oceani. Per applicare la ricetta di Hardin a questi beni, infatti, ci mancano sia un possibile proprietario privato, sia un soggetto statale in grado di affermare e difendere la proprietà pubblica. Il diritto internazionale, in questa prospettiva, altro non è che un sistema di governance applicato a un bene comune, e non vi è soluzione alternativa alla cooperazione tra i popoli della Terra per raggiungere un qualsiasi risultato in termini di lotta ai cambiamenti climatici.
Ma è importantissima anche in quei casi – si pensi alla falda acquifera sotterranea e più in generale alla regolamentazione delle fonti di impatto ambientale diffuse – in cui un principio di proprietà pubblica è in astratto possibile e nei fatti esistente, almeno sulla carta; ma la sua attuazione effettiva si scontra, da un lato, con l’enormità dei costi amministrativi (in Italia ci sono centinaia di migliaia di pozzi privati che bisognerebbe monitorare per applicare la norma), dall’altro con la difficoltà politica di vietare comportamenti che sono prassi consolidate percepite come diritti.
UNA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA
Il lavoro di Ostrom trova punti di contatto con la teoria dei giochi, in particolare con quei filoni di ricerca che attraverso il concetto di gioco ripetuto mostrano come gli esiti distruttivi e socialmente non ottimali (equilibri di Nash, di cui la stessa “tragedy of the commons” è in fondo un esempio) possano essere evitati se nella ripetizione del gioco gli attori “scoprono” il vantaggio di comportamenti cooperativi, che a quel punto possono essere codificati in vere e proprie istituzioni.
È interessante anche notare come il “comunitarismo” della Ostrom trovi qui un punto di contatto con “l’anarchismo” antistatale; ma Ostrom enfatizza piuttosto l’importanza della comunità, della democrazia partecipativa, della società civile organizzata, delle regole condivise e rispettate in quanto percepite come giuste e non per un calcolo di convenienza.
Non mi risulta che Ostrom si sia mai occupata di finanza, ma è quanto meno singolare la coincidenza del premio con la ri-scoperta dell’importanza del capitale sociale e delle regole condivise per il buon funzionamento dei mercati. Forse anche la crisi finanziaria che stiamo vivendo altro non è che un esempio di “saccheggio” di una “proprietà comune”, la fiducia degli investitori, per ricostruire la quale servirà qualcosa di più di una temporanea iniezione di capitale nel sistema bancario.
http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001332.html
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Ostrom:né pubblico né privato, ma “bene comune”
un salutone
ELINOR OSTROM E LA RIVINCITA DELLE PROPRIETA' COMUNI
di Antonio Massarutto 13.10.2009
Il premio Nobel a Elinor Ostrom riconosce l'importanza di aver ipotizzato l'esistenza di una terza via tra Stato e mercato. Quella di Ostrom è una teoria complessiva che identifica le condizioni che devono valere affinché una gestione "comunitaria" possa rimanere sostenibile nel lungo termine. Una lezione di particolare importanza oggi a proposito dei beni collettivi globali, come l'atmosfera, il clima o gli oceani. Ma molto significativa anche per l'attuale crisi finanziaria, che si può leggere come il saccheggio di una proprietà comune: la fiducia degli investitori.
Elinor Ostrom (Courtesy of Indiana University)
Uno dei dogmi fondativi della moderna economia dell’ambiente è la cosiddetta “tragedy of the commons”, risalente a Garrett Hardin. Secondo questa impostazione, se un bene non appartiene a nessuno ma è liberamente accessibile, vi è una tendenza a sovrasfruttarlo. L’individuo che si appropria del bene comune, deteriorandolo, infatti, gode per intero del beneficio, mentre sostiene solo una piccola parte del costo (in quanto questo costo verrà socializzato). Poiché tutti ragionano nello stesso modo, il risultato è il saccheggio del bene. Analogamente, nessuno è incentivato a darsi da fare per migliorare il bene, poiché sosterrebbe un costo a fronte di un beneficio di cui non potrebbe appropriarsi che in parte.
UNA TERZA VIA TRA STATO E MERCATO
Il ragionamento di Hardin partiva dall’esempio delle enclosures inglesi, precondizione della Rivoluzione industriale. La recinzione delle terre comuni, in questa visione, costituiva il necessario presupposto di una gestione razionale ed efficiente: mentre in regime di libero accesso il pascolo indiscriminato stava portando alla rovina del territorio, il proprietario privato, in quanto detentore del surplus, aveva l’interesse a sfruttare il bene in modo ottimale e a investire per il suo miglioramento.
Quando non vi sono le condizioni per un’appropriazione privata, deve essere semmai lo Stato ad assumere la proprietà pubblica. Solo i beni così abbondanti da non avere valore economico possono essere lasciati al libero accesso; per tutti gli altri occorre definire un regime di diritto di proprietà privato o pubblico.
Il merito di Elinor Ostrom è stato quello di ipotizzare l’esistenza di una “terza via” tra Stato e mercato, analizzando le condizioni che devono verificarsi affinché le common properties non degenerino. Ostrom prende le mosse dal lavoro di uno di quei precursori-anticipatori, troppo eterodossi per essere apprezzati nell’epoca in cui scrivevano: lo svizzero tedesco, naturalizzato americano, Ciriacy-Wantrup, che ancora negli anni Cinquanta osservava che vi sono nel mondo molti esempi di proprietà comuni che sfuggono al destino preconizzato da Hardin, come ad esempio le foreste e i pascoli alpini.
Distingueva appunto le “common pool resources” (res communis omnium) dai “free goods” (res nullius): nel primo caso, pur in assenza di un’entità che possa vantare diritti di proprietà esclusivi, a fare la differenza è l’esistenza di una comunità, l’appartenenza alla quale impone agli individui certi diritti di sfruttamento del bene comune, ma anche determinati doveri di provvedere alla sua gestione, manutenzione e riproduzione, sanzionati dalla comunità stessa attraverso l’inclusione di chi ne rispetta le regole e l’esclusione di chi non le rispetta.
Su queste fondamenta poggia l’edificio concettuale della Ostrom, la cui opera più importante, Governing the Commons, sviluppa una teoria complessiva che identifica le condizioni che devono valere affinché una gestione “comunitaria” possa rimanere sostenibile nel lungo termine. Analisi che intreccia con grande profondità e intelligenza la teoria delle istituzioni, il diritto, la teoria dei giochi, per lambire quasi le scienze sociali e l’antropologia.
Il campo di applicazione delle ricerche sviluppate in questo filone può far storcere il naso: dalle risorse di caccia degli Indiani d’America alle comunità di pescatori africani, o alla condivisione delle acque sotterranee in qualche remoto sistema agro-silvo-pastorale nepalese. Ma come spesso succede, applicare il concetto di base a un oggetto semplice consente di mettere a fuoco concetti e teorie di portata molto più generale.
Non a caso, la lezione della Ostrom è di particolare importanza oggi, a proposito dei global commons, come l’atmosfera, il clima o gli oceani. Per applicare la ricetta di Hardin a questi beni, infatti, ci mancano sia un possibile proprietario privato, sia un soggetto statale in grado di affermare e difendere la proprietà pubblica. Il diritto internazionale, in questa prospettiva, altro non è che un sistema di governance applicato a un bene comune, e non vi è soluzione alternativa alla cooperazione tra i popoli della Terra per raggiungere un qualsiasi risultato in termini di lotta ai cambiamenti climatici.
Ma è importantissima anche in quei casi – si pensi alla falda acquifera sotterranea e più in generale alla regolamentazione delle fonti di impatto ambientale diffuse – in cui un principio di proprietà pubblica è in astratto possibile e nei fatti esistente, almeno sulla carta; ma la sua attuazione effettiva si scontra, da un lato, con l’enormità dei costi amministrativi (in Italia ci sono centinaia di migliaia di pozzi privati che bisognerebbe monitorare per applicare la norma), dall’altro con la difficoltà politica di vietare comportamenti che sono prassi consolidate percepite come diritti.
UNA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA
Il lavoro di Ostrom trova punti di contatto con la teoria dei giochi, in particolare con quei filoni di ricerca che attraverso il concetto di gioco ripetuto mostrano come gli esiti distruttivi e socialmente non ottimali (equilibri di Nash, di cui la stessa “tragedy of the commons” è in fondo un esempio) possano essere evitati se nella ripetizione del gioco gli attori “scoprono” il vantaggio di comportamenti cooperativi, che a quel punto possono essere codificati in vere e proprie istituzioni.
È interessante anche notare come il “comunitarismo” della Ostrom trovi qui un punto di contatto con “l’anarchismo” antistatale; ma Ostrom enfatizza piuttosto l’importanza della comunità, della democrazia partecipativa, della società civile organizzata, delle regole condivise e rispettate in quanto percepite come giuste e non per un calcolo di convenienza.
Non mi risulta che Ostrom si sia mai occupata di finanza, ma è quanto meno singolare la coincidenza del premio con la ri-scoperta dell’importanza del capitale sociale e delle regole condivise per il buon funzionamento dei mercati. Forse anche la crisi finanziaria che stiamo vivendo altro non è che un esempio di “saccheggio” di una “proprietà comune”, la fiducia degli investitori, per ricostruire la quale servirà qualcosa di più di una temporanea iniezione di capitale nel sistema bancario.
http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001332.html
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Ostrom:né pubblico né privato, ma “bene comune”
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Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: Il manifesto per una nuova politica
" L’antipolitica si combatte e si vince con la politica:
se prevale la prima vuol dire che la seconda è debole.
È su questo che bisogna ragionare."
Emanuele Macaluso.
interessante articolo al link:
http://www.unita.it/italia/caro-reichli ... i-1.401798
se prevale la prima vuol dire che la seconda è debole.
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Re: Il manifesto per una nuova politica
Sergio Landi
“I Partiti maggiori, visti i sondaggi sulla fiducia nella politica, cominciano ad essere allarmati per l' antipolitica. E se se ne fossero accorti quando è tardi ? Sono anni che la sfiducia verso i partiti e alcune istituzioni (il Parlamento) sta crescendo senza che nessuno faccia niente di serio e concreto per frenare la deriva. Quando Bersani dice che Grillo è “un fenomeno di populismo che non ha le caratteristiche per offrire una prospettiva al nostro paese” dice la verità. Ma il guaio è che i cittadini non vedono nei partiti caratteristiche e politiche altrettanto in grado di offrire una prospettiva. Così è accaduto che dopo la teocrazia delle leadership insindacabili si sia scivolati, almeno, nelle competenze e nel pragmatismo della tecnocrazia. Ma si rendono conto dello sgretolamento di immagine di compostezza, serietà, etica che ogni giorno travolge i partiti e con loro talune istituzioni rappresentative ? Cosa c'è di democratico nella occupazione dello stato da parte dei partiti, nel peso esorbitante assunto in pubbliche amministrazioni costose ed ineffcienti, poco efficaci e fonte di spreco ? Ci vorrebbe che qualcuno cominciasse, con serietà ed umiltà, a declinare non nuove poetiche della politica, ma nuove pratiche. Insomma la politica vista da un altro verso. Il verso dell'interesse pubblico e non di quello di carriere private; una politica che si autofinanzia e che non tocca i soldi dello stato salvo che per lo stretto necessario a rimborsi elettorali effettivamente documentati; una politica che stabilisce per Costituzione il ricambio delle elites dopo due mandati; una politica che riconosce ai cittadini elettori ed iscritti Statuti di diritti e doveri legalmente garantiti. Non è più possibile che insindacabili funzioni pubbliche (il veicolo della sovranità popolare) siano svolte da associazioni private che operano in un regime di anarchia regolamentare o se preferite di liberismo selvaggio.
Il momento è grave e potrebbe essere di non ritorno. Il paradosso è che mentre in condizioni normali una intesa tra le forze politiche per riformare il sistema (elettorale, istuituzionale,politico) dovrebbe essere visto con favore, oggi la percezione comune è che sia una nuova manovra della Casta per salvare se stessa e che solo una tabula rasa possa essere fonte generatrice di un nuovo clima “democratico”. A tanto si è giunti. Il tempo è poco se ce ne è ancora.”
Copiato da Facebbok
“I Partiti maggiori, visti i sondaggi sulla fiducia nella politica, cominciano ad essere allarmati per l' antipolitica. E se se ne fossero accorti quando è tardi ? Sono anni che la sfiducia verso i partiti e alcune istituzioni (il Parlamento) sta crescendo senza che nessuno faccia niente di serio e concreto per frenare la deriva. Quando Bersani dice che Grillo è “un fenomeno di populismo che non ha le caratteristiche per offrire una prospettiva al nostro paese” dice la verità. Ma il guaio è che i cittadini non vedono nei partiti caratteristiche e politiche altrettanto in grado di offrire una prospettiva. Così è accaduto che dopo la teocrazia delle leadership insindacabili si sia scivolati, almeno, nelle competenze e nel pragmatismo della tecnocrazia. Ma si rendono conto dello sgretolamento di immagine di compostezza, serietà, etica che ogni giorno travolge i partiti e con loro talune istituzioni rappresentative ? Cosa c'è di democratico nella occupazione dello stato da parte dei partiti, nel peso esorbitante assunto in pubbliche amministrazioni costose ed ineffcienti, poco efficaci e fonte di spreco ? Ci vorrebbe che qualcuno cominciasse, con serietà ed umiltà, a declinare non nuove poetiche della politica, ma nuove pratiche. Insomma la politica vista da un altro verso. Il verso dell'interesse pubblico e non di quello di carriere private; una politica che si autofinanzia e che non tocca i soldi dello stato salvo che per lo stretto necessario a rimborsi elettorali effettivamente documentati; una politica che stabilisce per Costituzione il ricambio delle elites dopo due mandati; una politica che riconosce ai cittadini elettori ed iscritti Statuti di diritti e doveri legalmente garantiti. Non è più possibile che insindacabili funzioni pubbliche (il veicolo della sovranità popolare) siano svolte da associazioni private che operano in un regime di anarchia regolamentare o se preferite di liberismo selvaggio.
Il momento è grave e potrebbe essere di non ritorno. Il paradosso è che mentre in condizioni normali una intesa tra le forze politiche per riformare il sistema (elettorale, istuituzionale,politico) dovrebbe essere visto con favore, oggi la percezione comune è che sia una nuova manovra della Casta per salvare se stessa e che solo una tabula rasa possa essere fonte generatrice di un nuovo clima “democratico”. A tanto si è giunti. Il tempo è poco se ce ne è ancora.”
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Re: Il manifesto per una nuova politica
Leggendo i contributi vari per nel Manifesto per un soggetto politico nuovo e ricordando
che Marchionne ha detto che lavora 20 ore al giorno, mi sono chiesto quante ore Marchionne lavorerebbe se facesse anche 8 ore alla catena di montaggio ?
Questo per dire che la maggior parte dei cittadini impegnati nel lavoro, nella famiglia e nelle altre occupazioni indispensabili difficilmente hanno il tempo e la voglia di partecipare attivamente alla vita politica, riescono con difficoltà ad aggiornarsi sulle vicende quotidiane del condominio, della città in cui vivono, della politica Della REGIONE e della nazione.
Premesso questo credo che siano comunque informati sulle grandi questioni, sui temi che più interessano la vita del Paese, e quando si tratta di fare delle scelte, cercano di avere delle informazioni il più possibile veritiere e fondate, ma se sullo stesso tema anche i premi Nobel la pensano diversamente, alla fine fanno una scelta che più li soddisfa.
Quindi ritornando al soggetto politico nuovo credo che sia molto importante la più diffusa partecipazione a tutti i livelli della politica, ma alla fine credo sia democraticamente giusto che tutti, anche quelli che non riescono partecipare, abbiano il potere di decidere sempre e in ogni luogo sulle scelte più importanti e che toccano la vita di tutti .
Per questo motivo gli strumenti della democrazia diretta , quelli già previsti e quelli non ancora previsti dalla Coztituzione, sono fondamentali per una vera democrazia di tutti e non solo di quelli che hanno il tempo di parteciparvi.
che Marchionne ha detto che lavora 20 ore al giorno, mi sono chiesto quante ore Marchionne lavorerebbe se facesse anche 8 ore alla catena di montaggio ?
Questo per dire che la maggior parte dei cittadini impegnati nel lavoro, nella famiglia e nelle altre occupazioni indispensabili difficilmente hanno il tempo e la voglia di partecipare attivamente alla vita politica, riescono con difficoltà ad aggiornarsi sulle vicende quotidiane del condominio, della città in cui vivono, della politica Della REGIONE e della nazione.
Premesso questo credo che siano comunque informati sulle grandi questioni, sui temi che più interessano la vita del Paese, e quando si tratta di fare delle scelte, cercano di avere delle informazioni il più possibile veritiere e fondate, ma se sullo stesso tema anche i premi Nobel la pensano diversamente, alla fine fanno una scelta che più li soddisfa.
Quindi ritornando al soggetto politico nuovo credo che sia molto importante la più diffusa partecipazione a tutti i livelli della politica, ma alla fine credo sia democraticamente giusto che tutti, anche quelli che non riescono partecipare, abbiano il potere di decidere sempre e in ogni luogo sulle scelte più importanti e che toccano la vita di tutti .
Per questo motivo gli strumenti della democrazia diretta , quelli già previsti e quelli non ancora previsti dalla Coztituzione, sono fondamentali per una vera democrazia di tutti e non solo di quelli che hanno il tempo di parteciparvi.
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Re: Il manifesto per una nuova politica
- Il manifesto per una nuova politica ha sorpassato le 3.500 firme in circa 3 settimane, semplici firme senza la complicazione dell'autentica.
- per avere un certo successo si reputa sia necessario arrivare almeno a 100mila firme nell'arco di tre mesi
- Ricordo che nessun referendum ( 500mila firme autenticate) o proposta di legge popolare ( 50mila firme autenticate) è riuscito a raccogliere le firme necessarie senza il sostegno organizzativo finanziario-mediatico di qualche partito.
A questo punto stiamo a vedere quali saranno i passi successivi al 28 aprile, data della riunione nazionale a Firenze
- per avere un certo successo si reputa sia necessario arrivare almeno a 100mila firme nell'arco di tre mesi
- Ricordo che nessun referendum ( 500mila firme autenticate) o proposta di legge popolare ( 50mila firme autenticate) è riuscito a raccogliere le firme necessarie senza il sostegno organizzativo finanziario-mediatico di qualche partito.
A questo punto stiamo a vedere quali saranno i passi successivi al 28 aprile, data della riunione nazionale a Firenze
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Re: Il manifesto per una nuova politica
NELL' INTERVISTA A
Zagrebelsky: "I partiti sono essenziali
ma se non cambiano vincerà la demagogia"
Il presidente emerito della Corte costituzionale: "I tagli servono ma, se si limiteranno a ridurre i fondi, i politici sembreranno approfittatori colti con le mani nel sacco. Serve un rinnovamento della democrazia interna, della gestione dei soldi e delle candidature. E la critica non è delegittimazione"
AD UN CERTO PUNTO SCRIVE
C'è chi pensa a una democrazia senza partiti, per esempio alla cosiddetta democrazia telematica, che a me pare un'illusione. Il web ha due difetti: è atomistico e mobilitante. Può accendere gli animi, che poi si spengono. Può convocare le piazze - il che, qualche volta è un bene - ma non costruire politiche (vedi le rivolte in nord-Africa). La democrazia, diciamo così, è invece un fuoco lento ma costante che si alimenta di socialità e partecipazione.
C'è però la via di mezzo, cioé affiancare alla democrazia rappresentata dai partiti la democrazia diretta dei cittadini, i quali con gli strumenti previsti ( referendum abrogativi, confermativi, alternativi senza quorum, iniziativa legislativa popolare con obbligo di essere messa all'ordine del giorno entro tempi ben definiti, revoca del mandato a parlamentari indegni, snellimento delle procedure per la raccolta firme) possono controllare gli eletti e quello che fanno.
Zagrebelsky: "I partiti sono essenziali
ma se non cambiano vincerà la demagogia"
Il presidente emerito della Corte costituzionale: "I tagli servono ma, se si limiteranno a ridurre i fondi, i politici sembreranno approfittatori colti con le mani nel sacco. Serve un rinnovamento della democrazia interna, della gestione dei soldi e delle candidature. E la critica non è delegittimazione"
AD UN CERTO PUNTO SCRIVE
C'è chi pensa a una democrazia senza partiti, per esempio alla cosiddetta democrazia telematica, che a me pare un'illusione. Il web ha due difetti: è atomistico e mobilitante. Può accendere gli animi, che poi si spengono. Può convocare le piazze - il che, qualche volta è un bene - ma non costruire politiche (vedi le rivolte in nord-Africa). La democrazia, diciamo così, è invece un fuoco lento ma costante che si alimenta di socialità e partecipazione.
C'è però la via di mezzo, cioé affiancare alla democrazia rappresentata dai partiti la democrazia diretta dei cittadini, i quali con gli strumenti previsti ( referendum abrogativi, confermativi, alternativi senza quorum, iniziativa legislativa popolare con obbligo di essere messa all'ordine del giorno entro tempi ben definiti, revoca del mandato a parlamentari indegni, snellimento delle procedure per la raccolta firme) possono controllare gli eletti e quello che fanno.
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Re: Il manifesto per una nuova politica
Come firmatario del manifesto mi hanno invitato alla prima convention che si terrà a Firenze il 28 Aprile 2012, ovviamente aperta a TUTTI.
Allego la email:
A tutte e tutti noi
che abbiamo sottoscritto il Manifesto per un soggetto politico nuovo in segno non solo di adesione ideale, ma di concreta disponibilità alla partecipazione e all’impegno quotidiano.
Sabato 28 aprile 2012 ci incontreremo a Firenze, come già annunciato, per un appuntamento che non vuole né può essere semplicemente formale. Che intende essere e sarà di lavoro. Non un Convegno, né una conferenza, ma un’Assemblea Aperta di confronto e di organizzazione.
Nel nostro Manifesto per un soggetto politico nuovo, l’aggettivo nuovo sta dopo il sostantivo soggetto, non prima, a sottolineare che non intendiamo dar vita semplicemente a un’altra entità politica (una tra le altre – un altro protagonista marginale di una vita pubblica logorata) ma a qualcosa di effettivamente nuovo, che rompa con la pratica prevalente e instauri uno stile di relazione e di azione questo sì DIVERSO. Per questo il modo con cui si svolgeranno i lavori nel nostro incontro è decisivo: dovremo sperimentare un metodo per lavorare insieme democratico, partecipativo e fattivo nello stesso tempo.
Vediamo ogni giorno di più quanto la crisi dell’attuale sistema dei partiti vada precipitando. L’ultimo sondaggio realizzato da Mannheimer per il “Corriere della sera” ci dice che la fiducia dei cittadini nei confronti dei partiti è scesa al minimo storico del 2 per cento. Quella nel Parlamento all’11 per cento (solo un cittadino su dieci si fida del nostro massimo organo di rappresentanza politica). E siamo una REPUBBLICA PARLAMENTARE! Ciò significa che la separazione tra le attuali forme organizzate della politica e i cittadini sta tirando giù la nostra democrazia. La crisi dei partiti si sta trasformando in crisi di legittimazione del modello democratico.
Di questo a Firenze soprattutto discuteremo: della crisi della nostra democrazia, dentro la quale ci sono, in primo luogo, la crisi dei diritti sociali, la crisi del lavoro (su cui, art. 1, si regge la Repubblica), la crisi del Welfare, l’incessante distruzione ambientale come sacrificio all’altare della crescita, le minacce costanti alla salute pubblica, la crescita smisurata delle diseguaglianze e delle ingiustizie sociali, l’insostenibilità della situazione economica, unificati, tuttavia, dal tema prioritario del “Che fare” qui e ora. Di come spezzare la spirale della sfiducia e dell’inazione, e di come segnare un punto di rimbalzo. Una linea di resistenza.
Questa passa - l’abbiamo affermato a chiare lettere – attraverso il rifiuto della delega della politica e della rappresentanza agli attuali partiti. E, quindi, attraverso la costruzione di uno strumento costituzionale di partecipazione della cittadinanza alla vita democratica del paese, che intende essere protagonista non marginale né minoritario della lotta politica. Uno strumento che – primo nel suo genere - non è esclusivo (non chiede ai suoi aderenti il monopolio dell’appartenenza, ammette appartenenze politiche plurime, polimorfe e molteplici, ma un’adesione di fondo a un comune stile di comportamento politico, alla comune costruzione di un'alternativa secondo le forme e i riferimenti valoriali indicati nel Manifesto). Ed è democratico nei suoi assetti interni, orientati al rigoroso principio di legalità e a un’assoluta trasparenza e condivisione dei processi decisionali.La forma del nostro lavorare insieme sarà il nostro banco di prova, l'Assemblea aperta di Firenze sarà solo il primo momento, necessariamente imperfetto e parziale, di un percorso che dovrà vedere una progressione di partecipazione.
Dovremo uscire da quella giornata con delle decisioni precise:
1 Dovremo decidere in primo luogo il nome che ci daremo. E farlo attraverso un lavoro collettivo e partecipato: per questo ve ne proporremo alcuni, altri vi preghiamo di farceli pervenire via mail (nome@soggettopoliticonuovo.it), senza timidezza, lasciandovi un po’ andare, poi ne faremo un elenco e li porteremo in votazione nel corso dell’Assemblea.
2 Dovremo valutare come (il perché lo sappiamo già benissimo) stare dentro la battaglia in corso per i diritti del lavoro, e in particolare il tentativo di liquidare, o di limitare, le garanzia dell’art.18. Con quali iniziative, con quali strumenti, in modo da garantire le più ampie alleanze sociali e culturali possibile a chi, come la FIOM, si batte in prima linea.
3 Dovremo affrontare il tema ispido delle elezioni e della rappresentanza (non si può evitare, come è ben chiaro a chi va al voto a queste amministrative). Naturalmente non abbiamo per nulla deciso se ci candideremo alle politiche e con chi, perché, appunto, potremo deciderlo solo col metodo democratico che ci stiamo dando, quando la questione sarà matura. Ma di certo non potremo ignorare quella scadenza, per tante ragioni. In primo luogo perché quanto avverrà in Italia nel 2013 avrà un effetto decisivo sul destino della nostra democrazia e perché un’iniziativa come la nostra, che si propone di mettere in campo una nuova soggettività e ambisce a cambiare la politica nel nostro Paese, deve necessariamente confrontarsi con la questione delle prossime elezioni politiche.
4 Dovremo iniziare a individuare insieme- a partire dagli incontri territoriali che si svolgono in questi giorni- quadri di senso programmatici, per l’altra Italia e l’altra Europa che vogliamo: su quali temi prioritari impegnarci nell’elaborazione e nell’azione. Ponendo così le basi per un lavoro sui contenuti che avrà come primo sbocco una due giorni da tenere a giugno, in modalità partecipative ben articolate.
5 Dovremo strutturare la nostra presenza a rete nei territori, e trovare una forma di coordinamento e di organizzazione, dando vita ad una struttura non centralistica, ma neppure acefala. Cosa bella a dirsi, difficile a farsi.
Naturalmente sono invitati/e a partecipare all’Assemblea Aperta di Firenze – oltre a quanti hanno già sottoscritto il Manifesto e ne condividono l’impegno – tutti coloro che sono interessati alle posizioni e ai valori in esso contenuti, anche con legittimi dubbi, perplessità o critiche da muovere su specifici passaggi o all’intero impianto. Firenze vuole essere, per tutti/e costoro, uno “spazio pubblico aperto”, di confronto, chiarimento e comune elaborazione.
In moltissimi/e hanno scritto, in questi giorni, ponendo un’enorme quantità di domande (segno non solo dell’interesse ma della voglia di protagonismo critico) sul “soggetto politico nuovo” che è stato proposto nel Manifesto. Stiamo elaborando una prima lista di sintetiche possibili risposte (di FAQ, per dirla in linguaggio telematico, di Frequently Asked Questions) consultabile on line sul sito (http://www.soggettopoliticonuovo.it ): dovrebbe servire per chiarire preliminarmente, nel percorso verso Firenze, le questioni più semplici. Per tutto quanto – e sarà tanto – resta da precisare, sarà la discussione pubblica in Assemblea lo strumento naturale di elaborazione del discorso collettivo.
Per questa ragione si cercherà di favorire la partecipazione più ampia possibile al dibattito, stabilendo un tempo breve (non più di 7 minuti) pertutti gli interventi, senza eccezioni.
Arrivederci dunque a Firenze. E buon lavoro a tutte e tutti.
MANIFESTO PER UN SOGGETTO POLITICO NUOVO
http://www.soggettopoliticonuovo.it
ABBIAMO NECESSITA’ DI FINANZIARCI.
Da qui al 28 aprile ti invitiamo a contribuire tramite il sito internet o tramite bonifico.
Utilizzeremo il conto corrente dell’Associazione
PER UNA SINISTRA UNITA E PLURALE RETE A SINISTRA
che si è assunta la responsabilità delle spese dell’incontro.
Il 28 dovremmo costituire, scelto il nome, un’ASSOCIAZIONE di scopo che possa gestire i nostri magrissimi conti.
TRASPARENZA: Sul sito pubblicheremo i contributi ricevuti e copie dell’estratto conto.
Per i bonifici: IBAN: IT52P0760102800000005426265
Denominazione/Ragione Sociale (intestazione): Per Una Sinistra Unita E Plurale Rete A Sinistra
Causale: SOGGETTO POLITICO NUOVO
Ovviamente ho già aderito al finanziamento di questa iniziativa politica inviando una piccola somma.
un saluto
Allego la email:
A tutte e tutti noi
che abbiamo sottoscritto il Manifesto per un soggetto politico nuovo in segno non solo di adesione ideale, ma di concreta disponibilità alla partecipazione e all’impegno quotidiano.
Sabato 28 aprile 2012 ci incontreremo a Firenze, come già annunciato, per un appuntamento che non vuole né può essere semplicemente formale. Che intende essere e sarà di lavoro. Non un Convegno, né una conferenza, ma un’Assemblea Aperta di confronto e di organizzazione.
Nel nostro Manifesto per un soggetto politico nuovo, l’aggettivo nuovo sta dopo il sostantivo soggetto, non prima, a sottolineare che non intendiamo dar vita semplicemente a un’altra entità politica (una tra le altre – un altro protagonista marginale di una vita pubblica logorata) ma a qualcosa di effettivamente nuovo, che rompa con la pratica prevalente e instauri uno stile di relazione e di azione questo sì DIVERSO. Per questo il modo con cui si svolgeranno i lavori nel nostro incontro è decisivo: dovremo sperimentare un metodo per lavorare insieme democratico, partecipativo e fattivo nello stesso tempo.
Vediamo ogni giorno di più quanto la crisi dell’attuale sistema dei partiti vada precipitando. L’ultimo sondaggio realizzato da Mannheimer per il “Corriere della sera” ci dice che la fiducia dei cittadini nei confronti dei partiti è scesa al minimo storico del 2 per cento. Quella nel Parlamento all’11 per cento (solo un cittadino su dieci si fida del nostro massimo organo di rappresentanza politica). E siamo una REPUBBLICA PARLAMENTARE! Ciò significa che la separazione tra le attuali forme organizzate della politica e i cittadini sta tirando giù la nostra democrazia. La crisi dei partiti si sta trasformando in crisi di legittimazione del modello democratico.
Di questo a Firenze soprattutto discuteremo: della crisi della nostra democrazia, dentro la quale ci sono, in primo luogo, la crisi dei diritti sociali, la crisi del lavoro (su cui, art. 1, si regge la Repubblica), la crisi del Welfare, l’incessante distruzione ambientale come sacrificio all’altare della crescita, le minacce costanti alla salute pubblica, la crescita smisurata delle diseguaglianze e delle ingiustizie sociali, l’insostenibilità della situazione economica, unificati, tuttavia, dal tema prioritario del “Che fare” qui e ora. Di come spezzare la spirale della sfiducia e dell’inazione, e di come segnare un punto di rimbalzo. Una linea di resistenza.
Questa passa - l’abbiamo affermato a chiare lettere – attraverso il rifiuto della delega della politica e della rappresentanza agli attuali partiti. E, quindi, attraverso la costruzione di uno strumento costituzionale di partecipazione della cittadinanza alla vita democratica del paese, che intende essere protagonista non marginale né minoritario della lotta politica. Uno strumento che – primo nel suo genere - non è esclusivo (non chiede ai suoi aderenti il monopolio dell’appartenenza, ammette appartenenze politiche plurime, polimorfe e molteplici, ma un’adesione di fondo a un comune stile di comportamento politico, alla comune costruzione di un'alternativa secondo le forme e i riferimenti valoriali indicati nel Manifesto). Ed è democratico nei suoi assetti interni, orientati al rigoroso principio di legalità e a un’assoluta trasparenza e condivisione dei processi decisionali.La forma del nostro lavorare insieme sarà il nostro banco di prova, l'Assemblea aperta di Firenze sarà solo il primo momento, necessariamente imperfetto e parziale, di un percorso che dovrà vedere una progressione di partecipazione.
Dovremo uscire da quella giornata con delle decisioni precise:
1 Dovremo decidere in primo luogo il nome che ci daremo. E farlo attraverso un lavoro collettivo e partecipato: per questo ve ne proporremo alcuni, altri vi preghiamo di farceli pervenire via mail (nome@soggettopoliticonuovo.it), senza timidezza, lasciandovi un po’ andare, poi ne faremo un elenco e li porteremo in votazione nel corso dell’Assemblea.
2 Dovremo valutare come (il perché lo sappiamo già benissimo) stare dentro la battaglia in corso per i diritti del lavoro, e in particolare il tentativo di liquidare, o di limitare, le garanzia dell’art.18. Con quali iniziative, con quali strumenti, in modo da garantire le più ampie alleanze sociali e culturali possibile a chi, come la FIOM, si batte in prima linea.
3 Dovremo affrontare il tema ispido delle elezioni e della rappresentanza (non si può evitare, come è ben chiaro a chi va al voto a queste amministrative). Naturalmente non abbiamo per nulla deciso se ci candideremo alle politiche e con chi, perché, appunto, potremo deciderlo solo col metodo democratico che ci stiamo dando, quando la questione sarà matura. Ma di certo non potremo ignorare quella scadenza, per tante ragioni. In primo luogo perché quanto avverrà in Italia nel 2013 avrà un effetto decisivo sul destino della nostra democrazia e perché un’iniziativa come la nostra, che si propone di mettere in campo una nuova soggettività e ambisce a cambiare la politica nel nostro Paese, deve necessariamente confrontarsi con la questione delle prossime elezioni politiche.
4 Dovremo iniziare a individuare insieme- a partire dagli incontri territoriali che si svolgono in questi giorni- quadri di senso programmatici, per l’altra Italia e l’altra Europa che vogliamo: su quali temi prioritari impegnarci nell’elaborazione e nell’azione. Ponendo così le basi per un lavoro sui contenuti che avrà come primo sbocco una due giorni da tenere a giugno, in modalità partecipative ben articolate.
5 Dovremo strutturare la nostra presenza a rete nei territori, e trovare una forma di coordinamento e di organizzazione, dando vita ad una struttura non centralistica, ma neppure acefala. Cosa bella a dirsi, difficile a farsi.
Naturalmente sono invitati/e a partecipare all’Assemblea Aperta di Firenze – oltre a quanti hanno già sottoscritto il Manifesto e ne condividono l’impegno – tutti coloro che sono interessati alle posizioni e ai valori in esso contenuti, anche con legittimi dubbi, perplessità o critiche da muovere su specifici passaggi o all’intero impianto. Firenze vuole essere, per tutti/e costoro, uno “spazio pubblico aperto”, di confronto, chiarimento e comune elaborazione.
In moltissimi/e hanno scritto, in questi giorni, ponendo un’enorme quantità di domande (segno non solo dell’interesse ma della voglia di protagonismo critico) sul “soggetto politico nuovo” che è stato proposto nel Manifesto. Stiamo elaborando una prima lista di sintetiche possibili risposte (di FAQ, per dirla in linguaggio telematico, di Frequently Asked Questions) consultabile on line sul sito (http://www.soggettopoliticonuovo.it ): dovrebbe servire per chiarire preliminarmente, nel percorso verso Firenze, le questioni più semplici. Per tutto quanto – e sarà tanto – resta da precisare, sarà la discussione pubblica in Assemblea lo strumento naturale di elaborazione del discorso collettivo.
Per questa ragione si cercherà di favorire la partecipazione più ampia possibile al dibattito, stabilendo un tempo breve (non più di 7 minuti) pertutti gli interventi, senza eccezioni.
Arrivederci dunque a Firenze. E buon lavoro a tutte e tutti.
MANIFESTO PER UN SOGGETTO POLITICO NUOVO
http://www.soggettopoliticonuovo.it
ABBIAMO NECESSITA’ DI FINANZIARCI.
Da qui al 28 aprile ti invitiamo a contribuire tramite il sito internet o tramite bonifico.
Utilizzeremo il conto corrente dell’Associazione
PER UNA SINISTRA UNITA E PLURALE RETE A SINISTRA
che si è assunta la responsabilità delle spese dell’incontro.
Il 28 dovremmo costituire, scelto il nome, un’ASSOCIAZIONE di scopo che possa gestire i nostri magrissimi conti.
TRASPARENZA: Sul sito pubblicheremo i contributi ricevuti e copie dell’estratto conto.
Per i bonifici: IBAN: IT52P0760102800000005426265
Denominazione/Ragione Sociale (intestazione): Per Una Sinistra Unita E Plurale Rete A Sinistra
Causale: SOGGETTO POLITICO NUOVO
Ovviamente ho già aderito al finanziamento di questa iniziativa politica inviando una piccola somma.
un saluto
Toro Seduto (Ta-Tanka I-Yo-Tanka)
‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’. C.L. Montesquieu
‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’. C.L. Montesquieu
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