Come se ne viene fuori ?

E' il luogo della libera circolazione delle idee "a ruota libera"
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camillobenso
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Sfascisti - 257

2014 a schede


Scheda – 27 – Il punto

27 – 11 – 9 marzo 2014




Mentre si celebra la “grande vittoria” del cinema italiano, che in realtà descrive l’Italia morente non solo la Roma decadente e godona. Mentre il presidente della Repubblica, il premier Pittibimbo, le presidenze di Camera e Senato, cercano di mettere il cappello su un successo che non gli appartiene, solo perché non sanno come fronteggiare il grande disastro italiano e di conseguenza si attaccano anche a questo solo per narcotizzare il merlame tricolore, la realtà italiana è questa:

A determinare il gesto sono state la solitudine per una separazione recente, le difficoltà economiche per mantenere tre bambine e la disperazione di fronte alla paura di non essere in grado di garantirle un futuro. “Ero sola, non potevano vivere in questa disperazione”, ha raccontato ai carabinieri. Così la decisione o il raptus: “Ho afferrato un coltello” e poi la sequenza di colpi che si ripete in diverse stanze, prima di rivolgere la lama contro se stessa e tentare il suicidio. La donna e le tre bambine, infatti, vivevano in condizioni di povertà e l’unico aiuto economico che ricevevano era il sussidio della Caritas locale.

Questa in realtà dal punto di vista giuridico si chiama “chiamata di correo”.

Noi tutti siamo responsabili, anche se indirettamente delle tre morti di ieri e di quelle spaventose di stamani, di tre bimbe che si affacciavano all’avventura della vita.

Mi sapete dire che differenza passa tra queste morti e quelle avvenute nei campi di sterminio nazista, quando anche i bambini venivano sacrificati alla follia umana???

La si può rammentare all’infinito la poesia di Martin Niemöller, il poeta antinazista dell’epoca, ma sembra che non serva a nessuno.

Quando i nazisti sono venuti a prendere gli zingari

ho taciuto
anzi, ero contento
perchè rubacchiavano
Quando sono venuti a prendere gli ebrei
ho taciuto
perchè non ero ebreo
e mi stavano anche antipatici
Quando sono venuti a prendere gli omosessuali
ho taciuto
e ne fui sollevato...
perchè mi erano fastidiosi
Quando sono venuti a prendere i comunisti
ho taciuto
non ero certo un comunista!
E quando sono venuti a prendere...
me
non c'era rimasto
nessuno
che potesse protestare...




Come non serve a nulla ricordare l’esperienza diretta di Primo Levi:

Chi dimentica la storia è costretto a riviverla.
camillobenso
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Sfascisti - 258

2014 a schede


Scheda – 27 – Il punto

27 – 12 – 9 marzo 2014





Zagrebelsky: ‘Renzismo? Maquillage della Casta. E il Colle favorisce la conservazione’
Intorno al neopremier "una girandola di parole a vuoto". E nell'attivismo di Napolitano "prevale la paura del nuovo". Intervistato dal Fatto, il costituzionalista svolge un'analisi impietosa del quadro politico in Italia. La nuova legge elettorale "dettata dall'arroganza e dagli interessi personali". Le larghe intese "la paralisi". E i Cinque Stelle?: "Tabula rasa non è un programma". Il Paese al bivio tra arroccamento del potere e apertura alla partecipazione, "per rianimare la politica"

di Silvia Truzzi | 9 marzo 2014Commenti (487)



Può succedere che, nella pausa di una lunga intervista, ti ritrovi in una cucina affacciata su un terrazzo precocemente fiorito, a far merenda con tè al gelsomino. E capita pure che l’intervistato t’interroghi all’improvviso sui romanzi dostoevskijani, l’Idiota in particolare. “A un certo punto, ricorderà, Ippolít dice a Myskin: ‘Principe, lei un giorno ha detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza’. In russo la parola mir vuol dire mondo e, allo stesso tempo, pace”. Per fortuna partecipa anche la figlia del professor Zagrebelsky, Giulia, studentessa di Lettere. “Abbiamo presente, per esempio, l’orrore in cui vivevano gl’immigrati di Rosarno? È pensabile che fossero in pace con i propri simili? Chi a Taranto è costretto tra le polveri dell’Ilva, non è nelle condizioni di spirito di chi respira aria di montagna.

Chiediamoci se viviamo in un mondo bello o sempre più brutto, in ambienti disumani, dominati dalla violenza, dalla sopraffazione, dallo sfruttamento.

Altro che bellezza!

Che salvi il mondo, questo nostro mondo, è una frase da cioccolatino.

Infatti, l’hanno ripetuta in molti, autocompiacendosi, in occasione dell’Oscar a La grande bellezza, come se fosse quella di Myskin.

Oggi si parla per non dire nulla.

E si è ascoltati proprio per questo.

Il vuoto non disturba e, se è detto in certo modo, è anche seducente.


In un “Miss Italia” di qualche anno fa, una ragazza, per presentarsi, ha pronunciato una frase memorabile: ‘Credo nei valori e mi sento vincente’. Una sintesi perfetta del grottesco che c’è nel tempo presente”.


Professore, che impressione le hanno fatto i discorsi del neo premier?
Mah! Non tutto piace a tutti allo stesso modo. In attesa di smentite, mi par di vedere, dietro una girandola di parole, il blocco d’una politica che gira a vuoto, funzionale al mantenimento dello status quo.

Una volta Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani definirono ‘razza padrona’ un certo equilibrio oligarchico del potere.

Oggi, piuttosto riduttivamente, la chiamiamo ‘casta’.

Un’interpretazione è che un sistema di potere incartapecorito e costretto sulla difensiva, avesse bisogno di rifarsi il maquillage.


Se questo è vero, è chiaro che occorrevano accessori, riverniciature: il renzismo mi pare un epifenomeno.

Vorrei dire agli uomini (e alle donne) nuovi del governo: attenzione, voi stessi, a non prendere troppo sul serio la vostra novità.

Il filo rosso di queste conversazioni è come sta l’Italia. Le risposte non sono quasi mai state incoraggianti: ci siamo chiesti quali responsabilità abbia la classe dirigente.
La classe dirigente – intendo coloro che stanno nelle istituzioni, a tutti i livelli – è decaduta a un livello culturale imbarazzante.

La ragione è semplice: di cultura politica, la gestione del potere per il potere non ha bisogno.

Sarebbe non solo superflua, ma addirittura incompatibile, contraddittoria.

Potremmo usare un’immagine: c’è una lastra di ghiaccio, sopra cui accadono le cose che contano, sulle quali però s’è persa la presa; cose rispetto a cui siamo variabili dipendenti: la concentrazione del potere economico e gli andamenti della finanza mondiale, l’impoverimento e il degrado del pianeta, le migrazioni di popolazioni, per esempio.

Ne subiamo le conseguenze, senza poter agire sulle cause.

Tutto ciò, sopra la lastra.


Sotto sta la nostra ‘classe dirigente’ che dirige un bel niente.

Non tenta di mettere la testa fuori.

Per far questo, occorrerebbe avere idee politiche e almeno tentare di metterle in pratica.


Che cosa resta sotto la crosta?
Resta il formicolio della lotta per occupare i posti migliori nella rete dei piccoli poteri oligarchici, un formicolio che interessa i pochi che sono in quella rete, che si rinnova per cooptazione, che allontana e disgusta la gran parte che ne è fuori.


La politica si riduce alla gestione dei problemi del giorno per giorno, a fini di autoconservazione del sistema di potere e dei suoi equilibri.


Pensiamo a chi erano gli uomini che hanno guidato la ricostruzione dell’Italia dopo la guerra: Parri, Nenni, De Gasperi, Einaudi, Togliatti, per esempio.

Se li mettiamo insieme, non è perché avessero le stesse idee ma perché ne avevano, e le idee davano un senso politico alla loro azione.

Le cose che, oggi, vengono dette e fatte sono pezze, sono rattoppi d’emergenza, necessari per resistere, non per esistere.

Non è politica.

Nella migliore delle ipotesi, se non è puro ‘potere per il potere’, è gestione tecnica. La tecnica guarda indietro; la politica dovrebbe guardare avanti.


Il governo Monti qualche disastro tecnico l’ha fatto.
La tecnica come surrogato della politica è un’illusione.

Se lei chiama un idraulico perché ha il lavandino otturato, si aspetta che, a lavoro ultimato, lo scarico del lavandino funzioni.

Non chiede all’idraulico di cambiarle la cucina.

Così, anche i tecnici in politica.

Gestiscono i guasti nei dettagli.


I governi tecnici per loro natura sono conservatori, devono mantenere l’esistente facendolo funzionare .

Dovrebbe essere la politica a immaginare la cucina nuova. E, fuor di metafora, dovrebbe avere di fronte a sé idee di società, programmi, proposte di vita collettiva e, soprattutto nei momenti di crisi come quello che attraversiamo, perfino modelli di società.


Giovani parlamentari e governanti dovrebbero avere un’idea del mondo.
Basta essere nuovi e giovani? No. Quello che conta è la struttura dei poteri cui si fa riferimento e di cui si è espressione.

Una volta si parlava di blocco sociale, pensando alle ‘masse’ organizzate in partiti di appartenenza, in sindacati d’interessi consolidati.

Si pensava alle classi sociali.


Oggi, siamo lontani da tutto questo, in attesa della ricomposizione di qualche struttura sociale che possa esprimere esigenze, richieste e forze propriamente politiche.

In questo vuoto politico-sociale che cosa esiste e prospera?

La rete degli interessi più forti.

È questa rete che esprime i dirigenti attraverso cooptazioni.

La democrazia resiste come forma, ma svuotata di sostanza.


Se la si volesse rinvigorire, occorrerebbe una società capace di auto-organizzazione politica, ciò che una volta sapevano fare i partiti.

Oggi, invece, sono diventati per l’appunto, canali di cooptazione, per di più secondo logiche di clan e di spartizione dei posti.

Così, non si promuove il tanto necessario e sbandierato rinnovamento, ma si “allevano” giovani uguali ai vecchi.


Ecco la parola: il rinnovamento sembra molto spesso un ‘allevamento’.

Il resto è apparenza: velocità, fattività, decisionismo, giovanilismo, futurismo, creativismo ecc.

Tutte cose ben note e di spiegabile successo, soprattutto in rapporto con l’arteriosclerosi politica che dominava.


Ma, la novità di sostanza dov’è? La ‘rottamazione’ a che cosa si riduce? Tanto più che nelle posizioni-chiave del ‘nuovo’ troviamo continuità anche personali che provengono dal ‘vecchio’ e la soluzione di nodi che ci trasciniamo dal passato è continuamente accantonata, come il cosiddetto conflitto d’interessi.

L’impellente necessità di modificare l’assetto costituzionale è un refrain che abbiamo ascoltato da più parti, negli ultimi anni.
Sì. Le istituzioni possono sempre essere migliorate, rese più efficienti, eccetera.

Ma, a me pare che esse siano diventate il capro espiatorio di colpe che stanno altrove, precisamente nelle difficoltà che incontra un aggregato di potere che sempre più difficoltosamente riesce a mediare e tenere insieme il quadro delle compatibilità, in presenza di risorse pubbliche da distribuire sempre più scarse, e in presenza per di più d’una contestazione diffusa.

Anche in passato, al tempo di Berlusconi al governo, è accaduto qualcosa di simile, ma non di uguale.

L’insofferenza nei confronti della Costituzione a me pare derivasse allora dalle esigenze di un potere aggressivo.

Oggi, l’atteggiamento è piuttosto difensivo.

I fautori delle ‘ineludibili’ modifiche costituzionali dicono: c’è bisogno di cambiamenti per governare meglio, con più efficienza.

Ma lo scopo dominante sembra l’autodifesa. Si tratta di ‘blindarsi’, per usare una parola odiosa molto in voga.

Il terrore delle elezioni, la vanificazione dei risultati elettorali, i ‘congelamenti’ istituzionali in funzione di salvaguardia vanno nella stessa direzione.


“Vanificazione dei risultati elettorali”: una cosuccia non da poco in una democrazia.
La grande maggioranza degli elettori si è espressa a favore della fine del berlusconismo.

Invece è stato ricreato un assetto governativo-parlamentare nel quale un cemento tiene insieme tutto quel che avrebbe dovuto essere separato.

Il Parlamento attuale, sebbene non possa considerarsi decaduto per effetto della legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Consulta, dovrebbe considerarsi gravemente privato di legittimazione democratica .

Ma si fa ormai finta di niente.

Non bisognerebbe far di tutto per rimettere le cose a posto?


Larghe intese versus Grillo.
Le larghe intese sono la negazione della dimensione politica.

Sono il regime della paralisi, della stasi.

Platone paragona il buon politico al buon tessitore, al buon nocchiero, al buon medico.

Nei suoi dialoghi, non è mai detto che il politico è colui che s’immagina come debba essere la convivenza nella polis: non si aveva nell’antichità l’idea che la politica fosse fatta di contrapposizione di modelli.

L’idea della politica come scelta è una novità moderna.

Oggi sembra che si viva in un eterno presente, in cui una posta di natura politica non esiste.


Se non ci sono scelte, non c’è politica, e se non c’è politica non c’è democrazia, ma solo conflitti personali, di gruppo o di clan per posti, favori e, nel caso peggiore, garanzie d’immunità.

Quindi siamo senza futuro.
Finché la palude non viene smossa.

Perché i cittadini vanno sempre meno a votare?

Una volta si diceva ‘son tutti uguali’, intendendo ‘sono tutti corrotti’. Ma oggi è peggio, si pensa: ‘tanto non cambia nulla’. È un effetto della stasi politica.

Il Movimento 5 Stelle è nato col dichiarato intento di smuovere la palude, addirittura di investirla con una burrasca che rovesci tutto.

Una negazione, dunque.

Ma, la politica deve contenere anche un intento costruttivo. Questo, finora, non è visibile o, almeno, non è percepito.


Non che sia molto diverso, presso gli altri partiti, solo che questi sono già radicati e godono perciò del plusvalore che viene dall’insediamento istituzionale.

Per chi si affaccia, un’idea chiara e forte del ‘chi siamo’ e ‘per cosa ci siamo’ è indispensabile. La tabula rasa e la rete non sono programmi.

Non lo è nemmeno la lotta alla corruzione che, di per sé, rischia d’essere solo una competizione per la sostituzione d’una oligarchia nuova a una vecchia.

Oltretutto, la storia e la stessa ‘materia del potere’ mostrano che nella politica la lotta contro la corruzione è senza prospettiva.


Contro la corruzione devono valere le istituzioni di controllo e l’intransigenza dei cittadini.

La politica è intrinsecamente debole.

La ragione sta in quella che, all’inizio del secolo scorso, è stata definita la ‘ferrea legge delle oligarchie’, il che significa che i grandi numeri, per essere governati, hanno bisogno dei piccoli.

I piccoli – e l’osservazione vale per tutti, anche per i 5 Stelle – prima o poi si chiudono in se stessi e si alimentano con la corruzione, alimentandola a propria volta. In difetto di politica, alla corruzione non c’è limite perché essa, nei regimi autoreferenziali, non è la patologia, ma la fisiologia del potere. Se si vuole: è la fisiologia dentro una patologia.



Senza speranza, dunque?

Siamo di fronte a un bivio.

Da una parte c’è il progressivo arroccamento che, prima di implodere, passerebbe attraverso misure, dirette o indirette, contro la democrazia e la Costituzione.

Dall’altra, la rianimazione della politica e la riapertura dei canali della partecipazione, che dovrebbe portare al rafforzamento della democrazia e della Costituzione.

La prima strada è pericolosa anche per chi volesse percorrerla, perché l’inquietudine sociale, prima o poi, esploderebbe con esiti che non vorremmo nemmeno immaginare. La seconda è difficile perché la politica non s’inventa a tavolino scrivendo documenti, ma si costruisce quotidianamente nel rapporto con i bisogni, le aspirazioni, le difficoltà e i dolori dei cittadini.

Cosa pensa della decisione di non chiedere un passo indietro ai sottosegretari indagati?
La giovane ministra per i rapporti col Parlamento ha detto che non si chiede a qualcuno di dimettersi solo perché inquisito. Giusto. Altrimenti, la politica sarebbe in balia non solo, o non tanto, della discrezionalità dei giudici, ma soprattutto di denunce pretestuose o calunniose, alle quali il magistrato deve dare corso. La questione però sta in quel “solo”. Politica e giustizia hanno logiche diverse. Nulla vieta al governo di difendere – fino a un certo punto – i suoi inquisiti con le ragioni che gli sono proprie, cioè con ragioni politiche. Ma deve spiegare perché lo fa, pur in presenza di motivi di sospetto; deve assumersene la responsabilità; deve giustificare perché abbandona uno e protegge un altro. Non basta dire che si tratta ‘solo’ di procedimenti penali avviati e non conclusi (con una condanna). La presunzione d’innocenza non c’entra nulla con la dignità della politica.

Lei è mai stato tentato dalla politica?
Ciò cui mi sento più adatto è l’insegnamento. Per la politica, soprattutto per la politica, occorrerebbe una vera vocazione. Ricorda la conferenza di Max Weber intitolata, per l’appunto, la politica come professione-vocazione? Ecco: non sento la vocazione. C’è poi una considerazione che riguarda un potenziale conflitto d’interesse. Chi si occupa di attività intellettuali deve essere disinteressato personalmente. Ancora citando Weber: non deve cedere alla tentazione di mettere se stesso, e i suoi interessi, davanti all’oggetto dei suoi studi. Potrebbe esserci la tentazione di dire cose e sostenere tesi non per amore della verità (la piccola verità che si può andar cercando), ma per ingraziarsi questo o quel potente che ti può offrire, arruolandoti, una carriera politica.

Perché la politica non attrae più i migliori?
Una volta avere in famiglia un deputato o un senatore era come avere un cardinale. Oggi, talora, ci si vergogna perfino. Ha visto quanti ‘rifiuti eccellenti’, opposti alla seduzione di un posto al governo? Se la politica non ha prospettive ma è semplicemente un girone d’affari, non servono politici, servono affaristi.

Vota?
Ho sempre votato, malgrado tutto. C’è una pagina di ‘Non c’è futuro senza perdono’ del premio Nobel per la Pace e arcivescovo di Città del Capo, Desmond Tutu, in cui si descrive la coda al seggio dei neri del suo Paese che, acquistati i diritti politici dopo l’apartheid, per la prima volta vanno a votare, piangendo. Attenzione a dire che il voto è un orpello.

Cosa pensa dell’Italicum nato dall’accordo tra il Pd e Forza Italia?
Non so che cosa ne verrà fuori. Mi colpisce, comunque, che la legge elettorale sia decisa dagli accordi d’interesse di tre persone (Berlusconi, Renzi, Alfano), invece che dalle ragioni della democrazia, cioè dalle ragioni di tutti i cittadini elettori.

Mi colpisce tanta arroganza, mentre con un Parlamento delegittimato come l’attuale, si tratterebbe di fare la legge più neutrale possibile.

Mi colpisce che si pensi a una legge che, contro un’indicazione precisa della Corte costituzionale, creerebbe una profonda disomogeneità politica tra le due Camere.

Mi colpisce che si dica con tanta leggerezza che non importa, perché il Senato sarà abolito. Mi colpisce che nel frattempo, comunque, si sospenderà il diritto alle elezioni, perché la contraddizione tra le due Camere impedirà di scioglierle.

Mi colpisce che non ci siano reazioni adeguate a questa passeggiata sulle istituzioni.

E l’idea di “diminuire” il Senato?
Vedremo la proposta. Fin da ora, vorrei dire che piuttosto che un pasticcio – interessi frammentati di politici locali con una spruzzata di cultura –, piuttosto che una cosa indefinita, senza una funzione, una propria ragion d’essere stabile e continuativa, meglio l’abolizione radicale.

Meglio il nulla, piuttosto che l’umiliazione.

Esistono già commissioni paritetiche, per la bisogna.

Si cerchi di non trattare le istituzioni come merce vile che si vende al qualunquismo antiparlamentare al prezzo di qualche piccolo risparmio sul ‘costo della politica’.

I Senati, o ‘seconde Camere’, o ‘Camere alte’ hanno profonde ragioni d’esistenza.

Le loro funzioni, quali che esse specificamente siano, si giustificano con l’esigenza di introdurre nei tempi brevi della democrazia rappresentativa la considerazione d’interessi di più lunga durata, che riguardano – come si dice – le generazioni future.

Sono assemblee moderatrici rispetto all’incalzare del consenso elettorale che deve essere incassato a intervalli brevi dall’altra assemblea.

La prima Camera è necessariamente miope; la seconda Camera deve essere presbite.

Deve far valere le ragioni della durata su quelle dell’immediatezza.

La sua composizione e le sue funzioni dovrebbero tener conto di questa vocazione, essenziale affinché la democrazia rappresentativa non dilapidi in tempo breve le risorse di tutti, nell’interesse elettorale di qualcuno.

Mi pare che i discorsi dei nostri riformatori restino molto in superficie, rispetto alla profondità della questione.

Non è un bel momento, anche per le istituzioni di garanzia.
Le istituzioni di garanzia sono la magistratura, dunque anche la corte costituzionale, e il presidente della Repubblica. Poi c’è la libera stampa, che dovrebbe vigilare nell’esercizio della sua funzione al servizio della pubblica opinione. Siccome nelle oligarchie, come si è detto, le segrete cose – trattative, patti non dichiarati e dichiarabili, corruzione delle funzioni pubbliche – sono fisiologiche, le istituzioni di garanzia e libera stampa dovrebbero fare da contraltare quando occorre. In ogni caso, non mescolarsi e non omologarsi.

Il sistema italiano è perfettamente riassunto dal rapporto tra Rai e politica: è una commissione parlamentare che vigila sul servizio pubblico – e sull’informazione che produce – e non il contrario. Ben più che un paradosso.
È uno dei grandi rovesciamenti che ci tocca osservare in questi tempi. Non l’unico. Pensiamo ad esempio al sistema elettorale. Dovrebbe garantire che la base della vita politica stia presso i cittadini elettori. La logica della legge che abbiamo avuto fino a ora e, con ogni probabilità, di quella che avremo se la riforma andrà in porto, è invece quella della nomina dall’alto (delle segreterie dei partiti), con ratifica degli elettori. Uno dei principi del Fascismo era: ‘il potere procede dall’alto ed è acconsentito dal basso’.

Torniamo a Weber: cosa può indurre uno studioso a rinunciare a un bene sommo quale l’autonomia?
Le risposte più banali sono la seduzione del potere, la carriera. C’è però, credo, la tentazione dell’apprendista stregone o della ‘mosca cocchiera’: pensare di guidare la politica. Quando Carl Schmitt è stato processato a Norimberga, ha osato dire: ‘Non sono io a essere stato nazista, era il nazismo a essere schmittiano’.

Il pericolo non è essere costretti a sostenere certe tesi a tutti i costi?


Se si riferisce all’atteggiamento di molti costituzionalisti nei confronti dell’ultima fase della presidenza di Giorgio Napolitano, direi che è prevalsa l’idea che il presidente della Repubblica fosse l’ultimo baluardo, al di là del quale il caos, il disastro, il fallimento. Ciò ha portato a giustificare l’assunzione di compiti e il compimento di atti che nella storia costituzionale repubblicana, non si erano mai incontrati.

Al punto che si parla ormai come cosa ovvia, non problematica, d’una repubblica presidenziale che ha preso il posto del sistema parlamentare. Tutto ciò si è manifestato in un attivismo finora sconosciuto.

Ma è stato un attivismo orientato a quella che si dice essere la stabilità e la continuità, e che si traduce in conservazione. Mi pare che si possa dire che è prevalsa la paura del nuovo, il pessimismo politico. Solo apparentemente per paradosso, l’attivismo costituzionale è coinciso con il conservatorismo politico.

La Costituzione, prevedendo un ruolo neutrale e super partes, del presidente della Repubblica, dà, mi pare, un’indicazione opposta: l’imparzialità costituzionale per consentire le innovazioni politiche, il rinnovamento della vita politica. Ottimismo politico.

Da Il Fatto Quotidiano del 9 marzo 201
camillobenso
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Sfascisti - 259

2014 a schede


Scheda – 27 – Il punto

27 – 13 – 9 marzo 2014





MATTEO, CENTOMETRISTA DELLA MATTONELLA

(Furio Colombo).
09/03/2014 di triskel182

È possibile che duri ancora per un po’, il caso Renzi. È possibile che il risucchio del vuoto continui, come una tromba d’aria in fase ascendente.

È possibile che duri ancora per un po’, il caso Renzi.

È possibile che il risucchio del vuoto continui, come una tromba d’aria nella fase ascendente.

Porterà altro consenso stordito e privo di argomenti, solo una litania di “è bravo, è giovane, ha tanta energia, lasciatelo lavorare”.

Insomma un effetto Berlusconi junior che è accasato a sinistra, ma decisamente estraneo.

Qui però non conta giudicare Renzi dalla distanza verso la sinistra. La sinistra non c’è e dunque non ci offre riferimenti per giudicare.

Conta giudicare Renzi dalla distanza verso la realtà.


Aveva ragione Shakespeare.

O si è o non si è, è davvero questo il problema.

Proviamo a dire, con tutto il margine di errore possibile e i dubbi, sia a suo carico che a nostro carico, dato un tempo così breve: chi è Renzi?

Renzi è un leader? Certamente sì.

C’era un vuoto pauroso di leadership in una parte dello schieramento politico. Renzi è andato dritto a quel punto, come un missile aria-aria.

Ha centrato in pieno il Pd e lo ha conquistato in un attimo. Lo ha trovato vuoto. Persone vagavano nell’area senza meta, a tutti i livelli. Certo, alcuni avevano una stanza, una segreteria, un portavoce. Sembravano felici di privilegi così a lungo procrastinati, ma l’angoscia era la stessa degli iscritti e simpatizzanti sparsi in tutto il Paese: che fare? Con chi? Perché? Come mai non basta neppure accasarsi con tutto il Pdl (quando era intero) per vivere tranquilli e governare come Dio comanda?

QUI PASSA una linea di demarcazione che nessuno (tra coloro che al Pd avevano le stanze) sembra avere davvero notato. Il problema dei senza lavoro, passato o futuro, cominciava a dividere una parte (sempre più grande) degli italiani dagli altri, creando da un lato (i senza lavoro) rancore, solitudine e un “mai più” (mai più credere, mai più fidarsi) che ha creato una visione fatalmente offuscata e vendicativa contro i sindacati. E, dall’altra, gli scampati, almeno per il momento, che si sono adattati a uno strano mood di subordinazione che non esclude l’inganno (evasione, elusione, in nero), ma suggerisce accettazione di un governo (Monti), di un altro governo (Letta) e poi dell’irrompere del giovane Renzi, tanto più apprezzato quanto più deciso a occupare ruoli e spazi che nessuno vuole occupare.

In mezzo, tra il Renzi niente (anche se impaziente, rumorosa promessa) e il Renzi tutto (“il presidente del Consiglio rappresenta tutto il Paese” dice la preside dell’Istituto Raiti di Siracusa che non ha presente la Costituzione), c’è un trampolino. È la carica, guadagnata con una lotta breve e accanita, di segretario del Pd, qualcosa per cui il “vecchio” Bersani ha quasi dato la vita. Appena avuta quella carica, che voleva dire rifare una parte del Paese, della sua cultura, della sua organizzazione, della sua politica, Renzi non vi ha dedicato un pensiero, ha buttato via tutto ed è corso a Palazzo Chigi.

Inevitabile la seconda domanda. Renzi, che non vuole essere capo di partito, è un capo di governo? Noi sentiamo (a volte addirittura ammiriamo) gli spostamenti d’aria del suo continuo, velocissimo muoversi. Ma c’è altro? Vediamo.

Un capo di governo è sotto o sopra un partito (Fanfani o Andreotti erano sopra, tanto per dire, Rumor era sotto), però bene ancorato a quel partito, per farsi riconoscere. Renzi conta talmente su se stesso che non vuole altra identità che la sua. Verifichiamola. Programma: tutto, una riforma al mese, una riforma al giorno, dite voi, lui mantiene. Il problema non è il troppo ma l’altrove. I cittadini aspettano un cambiamento e lui fabbrica rapidissimamente oggetti in un’altra stanza, per committenti difficili che ancora non si sa ancora se compreranno. Ministri e sotto-ministri. Renzi ha scelto due strati. Di uno si doveva poter dire che sono nuovi (il più possibile giovani, tranne un ospite venuto dalla finanza internazionale, per mostrare il cambiamento). Degli altri (secondo strato) si deve esibire la spregiudicatezza del giovane e diverso primo ministro. Indagati? Io posso. Qui si colloca una strana imprudenza per uno che sembra attento a non perdere di vista il sentiero e a non lasciare scorie. Le scorie restano.

GLI INDAGATI al governo non saranno la banda dei Quattro, ma il loro peso negativo è destinato a durare,a crescere. Come fai a non   saperlo? Come puoi pensare che una simpatica ministra junior senza autorità e senza autorevolezza, possa annunciare in aula, senza ragioni o motivazioni, la nuova regola, mai prima enunciata o discussa, secondo cui l’avviso di garanzia non richiede il gesto rispettoso di dimettersi? Quella di Renzi è una linea a zig zag di cui non capiamo niente se non seguiamo lui. Lui fa il salto mortale e cade in piedi, e lì per lì sembra infrangibile.Poi va a Bruxelles e lo guardano poco. Forse si domandano: di questo leader, di questo segretario, di questo capo di governo così fortemente identificato quasi solo con se stesso, possiamo dire che ha un progetto, un piano? È interessante che gli europei (in particolare Olli Rehn) abbiano scelto proprio lui, il “migliore”, il più veloce, efficiente, carismatico, popolare in Italia, per un giudizio così negativo: “È un Paese squilibrato”. Certo lo è, se pensate allo strano destino (o percorso) della legge elettorale che se non c’è fa crollare tutto (fiducia, legislatura, speranza) e se c’è fa crollare tutto perché giuridicamente viola una regola base del diritto: nessuno è tenuto a una prestazione impossibile. Infatti la legge, se ci sarà, non riguarderà il Senato, che resta intatto, con una sua legge elettorale diversa. Le due leggi sconnesse impediscono di votare. Intanto Renzi continua a girare in fretta, credo perché non può fermarsi a lavorare a una sola cosa in solo luogo. In tanti ripetono ancora che è giovane, è veloce, e ha così tanta energia. Ma, come per Berlusconi, da lontano non si nota. E non si vedono cambiamenti. E nessuno comunica piani, dopo tanta attesa e tanta festa e tanti annunci. Forse per questo hanno detto, un po’ bruscamente, che siamo “un Paese squilibrato”.

Da Il Fatto Quotidiano del 09/03/2014.
erding
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Zagrebelsky: ‘Renzismo? Maquillage della Casta. E il Colle favorisce la conservazione’

Intorno al neopremier "una girandola di parole a vuoto". E nell'attivismo di Napolitano "prevale la paura del nuovo". Intervistato dal Fatto, il costituzionalista svolge un'analisi impietosa del quadro politico in Italia. La nuova legge elettorale "dettata dall'arroganza e dagli interessi personali". Le larghe intese "la paralisi". E i Cinque Stelle?: "Tabula rasa non è un programma". Il Paese al bivio tra arroccamento del potere e apertura alla partecipazione, "per rianimare la politica"

di Silvia Truzzi | 9 marzo 2014

Può succedere che, nella pausa di una lunga intervista, ti ritrovi in una cucina affacciata su un terrazzo precocemente fiorito, a far merenda con tè al gelsomino. E capita pure che l’intervistato t’interroghi all’improvviso sui romanzi dostoevskijani, l’Idiota in particolare. “A un certo punto, ricorderà, Ippolít dice a Myskin: ‘Principe, lei un giorno ha detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza’. In russo la parola mir vuol dire mondo e, allo stesso tempo, pace”. Per fortuna partecipa anche la figlia del professor Zagrebelsky, Giulia, studentessa di Lettere. “Abbiamo presente, per esempio, l’orrore in cui vivevano gl’immigrati di Rosarno? È pensabile che fossero in pace con i propri simili? Chi a Taranto è costretto tra le polveri dell’Ilva, non è nelle condizioni di spirito di chi respira aria di montagna. Chiediamoci se viviamo in un mondo bello o sempre più brutto, in ambienti disumani, dominati dalla violenza, dalla sopraffazione, dallo sfruttamento. Altro che bellezza! Che salvi il mondo, questo nostro mondo, è una frase da cioccolatino. Infatti, l’hanno ripetuta in molti, autocompiacendosi, in occasione dell’Oscar a La grande bellezza, come se fosse quella di Myskin. Oggi si parla per non dire nulla. E si è ascoltati proprio per questo. Il vuoto non disturba e, se è detto in certo modo, è anche seducente. In un “Miss Italia” di qualche anno fa, una ragazza, per presentarsi, ha pronunciato una frase memorabile: ‘Credo nei valori e mi sento vincente’. Una sintesi perfetta del grottesco che c’è nel tempo presente”.

Professore, che impressione le hanno fatto i discorsi del neo premier?

Mah! Non tutto piace a tutti allo stesso modo. In attesa di smentite, mi par di vedere, dietro una girandola di parole, il blocco d’una politica che gira a vuoto, funzionale al mantenimento dello status quo. Una volta Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani definirono ‘razza padrona’ un certo equilibrio oligarchico del potere. Oggi, piuttosto riduttivamente, la chiamiamo ‘casta’. Un’interpretazione è che un sistema di potere incartapecorito e costretto sulla difensiva, avesse bisogno di rifarsi il maquillage. Se questo è vero, è chiaro che occorrevano accessori, riverniciature: il renzismo mi pare un epifenomeno. Vorrei dire agli uomini (e alle donne) nuovi del governo: attenzione, voi stessi, a non prendere troppo sul serio la vostra novità.

Il filo rosso di queste conversazioni è come sta l’Italia. Le risposte non sono quasi mai state incoraggianti: ci siamo chiesti quali responsabilità abbia la classe dirigente.

La classe dirigente – intendo coloro che stanno nelle istituzioni, a tutti i livelli – è decaduta a un livello culturale imbarazzante. La ragione è semplice: di cultura politica, la gestione del potere per il potere non ha bisogno. Sarebbe non solo superflua, ma addirittura incompatibile, contraddittoria. Potremmo usare un’immagine: c’è una lastra di ghiaccio, sopra cui accadono le cose che contano, sulle quali però s’è persa la presa; cose rispetto a cui siamo variabili dipendenti: la concentrazione del potere economico e gli andamenti della finanza mondiale, l’impoverimento e il degrado del pianeta, le migrazioni di popolazioni, per esempio. Ne subiamo le conseguenze, senza poter agire sulle cause. Tutto ciò, sopra la lastra. Sotto sta la nostra ‘classe dirigente’ che dirige un bel niente. Non tenta di mettere la testa fuori. Per far questo, occorrerebbe avere idee politiche e almeno tentare di metterle in pratica. Che cosa resta sotto la crosta? Resta il formicolio della lotta per occupare i posti migliori nella rete dei piccoli poteri oligarchici, un formicolio che interessa i pochi che sono in quella rete, che si rinnova per cooptazione, che allontana e disgusta la gran parte che ne è fuori. La politica si riduce alla gestione dei problemi del giorno per giorno, a fini di autoconservazione del sistema di potere e dei suoi equilibri. Pensiamo a chi erano gli uomini che hanno guidato la ricostruzione dell’Italia dopo la guerra: Parri, Nenni, De Gasperi, Einaudi, Togliatti, per esempio. Se li mettiamo insieme, non è perché avessero le stesse idee ma perché ne avevano, e le idee davano un senso politico alla loro azione. Le cose che, oggi, vengono dette e fatte sono pezze, sono rattoppi d’emergenza, necessari per resistere, non per esistere. Non è politica. Nella migliore delle ipotesi, se non è puro ‘potere per il potere’, è gestione tecnica. La tecnica guarda indietro; la politica dovrebbe guardare avanti.

Il governo Monti qualche disastro tecnico l’ha fatto.


La tecnica come surrogato della politica è un’illusione. Se lei chiama un idraulico perché ha il lavandino otturato, si aspetta che, a lavoro ultimato, lo scarico del lavandino funzioni. Non chiede all’idraulico di cambiarle la cucina. Così, anche i tecnici in politica. Gestiscono i guasti nei dettagli. I governi tecnici per loro natura sono conservatori, devono mantenere l’esistente facendolo funzionare . Dovrebbe essere la politica a immaginare la cucina nuova. E, fuor di metafora, dovrebbe avere di fronte a sé idee di società, programmi, proposte di vita collettiva e, soprattutto nei momenti di crisi come quello che attraversiamo, perfino modelli di società.

Giovani parlamentari e governanti dovrebbero avere un’idea del mondo.


Basta essere nuovi e giovani? No. Quello che conta è la struttura dei poteri cui si fa riferimento e di cui si è espressione. Una volta si parlava di blocco sociale, pensando alle ‘masse’ organizzate in partiti di appartenenza, in sindacati d’interessi consolidati. Si pensava alle classi sociali. Oggi, siamo lontani da tutto questo, in attesa della ricomposizione di qualche struttura sociale che possa esprimere esigenze, richieste e forze propriamente politiche. In questo vuoto politico-sociale che cosa esiste e prospera? La rete degli interessi più forti. È questa rete che esprime i dirigenti attraverso cooptazioni. La democrazia resiste come forma, ma svuotata di sostanza. Se la si volesse rinvigorire, occorrerebbe una società capace di auto-organizzazione politica, ciò che una volta sapevano fare i partiti. Oggi, invece, sono diventati per l’appunto, canali di cooptazione, per di più secondo logiche di clan e di spartizione dei posti. Così, non si promuove il tanto necessario e sbandierato rinnovamento, ma si “allevano” giovani uguali ai vecchi. Ecco la parola: il rinnovamento sembra molto spesso un ‘allevamento’. Il resto è apparenza: velocità, fattività, decisionismo, giovanilismo, futurismo, creativismo ecc. Tutte cose ben note e di spiegabile successo, soprattutto in rapporto con l’arteriosclerosi politica che dominava. Ma, la novità di sostanza dov’è? La ‘rottamazione’ a che cosa si riduce? Tanto più che nelle posizioni-chiave del ‘nuovo’ troviamo continuità anche personali che provengono dal ‘vecchio’ e la soluzione di nodi che ci trasciniamo dal passato è continuamente accantonata, come il cosiddetto conflitto d’interessi.

L’impellente necessità di modificare l’assetto costituzionale è un refrain che abbiamo ascoltato da più parti, negli ultimi anni.

Sì. Le istituzioni possono sempre essere migliorate, rese più efficienti, eccetera. Ma, a me pare che esse siano diventate il capro espiatorio di colpe che stanno altrove, precisamente nelle difficoltà che incontra un aggregato di potere che sempre più difficoltosamente riesce a mediare e tenere insieme il quadro delle compatibilità, in presenza di risorse pubbliche da distribuire sempre più scarse, e in presenza per di più d’una contestazione diffusa. Anche in passato, al tempo di Berlusconi al governo, è accaduto qualcosa di simile, ma non di uguale. L’insofferenza nei confronti della Costituzione a me pare derivasse allora dalle esigenze di un potere aggressivo. Oggi, l’atteggiamento è piuttosto difensivo. I fautori delle ‘ineludibili’ modifiche costituzionali dicono: c’è bisogno di cambiamenti per governare meglio, con più efficienza. Ma lo scopo dominante sembra l’autodifesa. Si tratta di ‘blindarsi’, per usare una parola odiosa molto in voga. Il terrore delle elezioni, la vanificazione dei risultati elettorali, i ‘congelamenti’ istituzionali in funzione di salvaguardia vanno nella stessa direzione.

“Vanificazione dei risultati elettorali”: una cosuccia non da poco in una democrazia.

La grande maggioranza degli elettori si è espressa a favore della fine del berlusconismo. Invece è stato ricreato un assetto governativo-parlamentare nel quale un cemento tiene insieme tutto quel che avrebbe dovuto essere separato. Il Parlamento attuale, sebbene non possa considerarsi decaduto per effetto della legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Consulta, dovrebbe considerarsi gravemente privato di legittimazione democratica . Ma si fa ormai finta di niente. Non bisognerebbe far di tutto per rimettere le cose a posto?

Larghe intese versus Grillo.

Le larghe intese sono la negazione della dimensione politica. Sono il regime della paralisi, della stasi. Platone paragona il buon politico al buon tessitore, al buon nocchiero, al buon medico. Nei suoi dialoghi, non è mai detto che il politico è colui che s’immagina come debba essere la convivenza nella polis: non si aveva nell’antichità l’idea che la politica fosse fatta di contrapposizione di modelli. L’idea della politica come scelta è una novità moderna. Oggi sembra che si viva in un eterno presente, in cui una posta di natura politica non esiste. Se non ci sono scelte, non c’è politica, e se non c’è politica non c’è democrazia, ma solo conflitti personali, di gruppo o di clan per posti, favori e, nel caso peggiore, garanzie d’immunità.

Quindi siamo senza futuro.

Finché la palude non viene smossa. Perché i cittadini vanno sempre meno a votare? Una volta si diceva ‘son tutti uguali’, intendendo ‘sono tutti corrotti’. Ma oggi è peggio, si pensa: ‘tanto non cambia nulla’. È un effetto della stasi politica. Il Movimento 5 Stelle è nato col dichiarato intento di smuovere la palude, addirittura di investirla con una burrasca che rovesci tutto. Una negazione, dunque. Ma, la politica deve contenere anche un intento costruttivo. Questo, finora, non è visibile o, almeno, non è percepito. Non che sia molto diverso, presso gli altri partiti, solo che questi sono già radicati e godono perciò del plusvalore che viene dall’insediamento istituzionale. Per chi si affaccia, un’idea chiara e forte del ‘chi siamo’ e ‘per cosa ci siamo’ è indispensabile. La tabula rasa e la rete non sono programmi. Non lo è nemmeno la lotta alla corruzione che, di per sé, rischia d’essere solo una competizione per la sostituzione d’una oligarchia nuova a una vecchia. Oltretutto, la storia e la stessa ‘materia del potere’ mostrano che nella politica la lotta contro la corruzione è senza prospettiva. Contro la corruzione devono valere le istituzioni di controllo e l’intransigenza dei cittadini. La politica è intrinsecamente debole. La ragione sta in quella che, all’inizio del secolo scorso, è stata definita la ‘ferrea legge delle oligarchie’, il che significa che i grandi numeri, per essere governati, hanno bisogno dei piccoli. I piccoli – e l’osservazione vale per tutti, anche per i 5 Stelle – prima o poi si chiudono in se stessi e si alimentano con la corruzione, alimentandola a propria volta. In difetto di politica, alla corruzione non c’è limite perché essa, nei regimi autoreferenziali, non è la patologia, ma la fisiologia del potere. Se si vuole: è la fisiologia dentro una patologia.

Senza speranza, dunque?

Siamo di fronte a un bivio. Da una parte c’è il progressivo arroccamento che, prima di implodere, passerebbe attraverso misure, dirette o indirette, contro la democrazia e la Costituzione. Dall’altra, la rianimazione della politica e la riapertura dei canali della partecipazione, che dovrebbe portare al rafforzamento della democrazia e della Costituzione. La prima strada è pericolosa anche per chi volesse percorrerla, perché l’inquietudine sociale, prima o poi, esploderebbe con esiti che non vorremmo nemmeno immaginare. La seconda è difficile perché la politica non s’inventa a tavolino scrivendo documenti, ma si costruisce quotidianamente nel rapporto con i bisogni, le aspirazioni, le difficoltà e i dolori dei cittadini.
Cosa pensa della decisione di non chiedere un passo indietro ai sottosegretari indagati?
La giovane ministra per i rapporti col Parlamento ha detto che non si chiede a qualcuno di dimettersi solo perché inquisito. Giusto. Altrimenti, la politica sarebbe in balia non solo, o non tanto, della discrezionalità dei giudici, ma soprattutto di denunce pretestuose o calunniose, alle quali il magistrato deve dare corso. La questione però sta in quel “solo”. Politica e giustizia hanno logiche diverse. Nulla vieta al governo di difendere – fino a un certo punto – i suoi inquisiti con le ragioni che gli sono proprie, cioè con ragioni politiche. Ma deve spiegare perché lo fa, pur in presenza di motivi di sospetto; deve assumersene la responsabilità; deve giustificare perché abbandona uno e protegge un altro. Non basta dire che si tratta ‘solo’ di procedimenti penali avviati e non conclusi (con una condanna). La presunzione d’innocenza non c’entra nulla con la dignità della politica.

Lei è mai stato tentato dalla politica?

Ciò cui mi sento più adatto è l’insegnamento. Per la politica, soprattutto per la politica, occorrerebbe una vera vocazione. Ricorda la conferenza di Max Weber intitolata, per l’appunto, la politica come professione-vocazione? Ecco: non sento la vocazione. C’è poi una considerazione che riguarda un potenziale conflitto d’interesse. Chi si occupa di attività intellettuali deve essere disinteressato personalmente. Ancora citando Weber: non deve cedere alla tentazione di mettere se stesso, e i suoi interessi, davanti all’oggetto dei suoi studi. Potrebbe esserci la tentazione di dire cose e sostenere tesi non per amore della verità (la piccola verità che si può andar cercando), ma per ingraziarsi questo o quel potente che ti può offrire, arruolandoti, una carriera politica.

Perché la politica non attrae più i migliori?

Una volta avere in famiglia un deputato o un senatore era come avere un cardinale. Oggi, talora, ci si vergogna perfino. Ha visto quanti ‘rifiuti eccellenti’, opposti alla seduzione di un posto al governo? Se la politica non ha prospettive ma è semplicemente un girone d’affari, non servono politici, servono affaristi.

Vota?

Ho sempre votato, malgrado tutto. C’è una pagina di ‘Non c’è futuro senza perdono’ del premio Nobel per la Pace e arcivescovo di Città del Capo, Desmond Tutu, in cui si descrive la coda al seggio dei neri del suo Paese che, acquistati i diritti politici dopo l’apartheid, per la prima volta vanno a votare, piangendo. Attenzione a dire che il voto è un orpello.

Cosa pensa dell’Italicum nato dall’accordo tra il Pd e Forza Italia?

Non so che cosa ne verrà fuori. Mi colpisce, comunque, che la legge elettorale sia decisa dagli accordi d’interesse di tre persone (Berlusconi, Renzi, Alfano), invece che dalle ragioni della democrazia, cioè dalle ragioni di tutti i cittadini elettori. Mi colpisce tanta arroganza, mentre con un Parlamento delegittimato come l’attuale, si tratterebbe di fare la legge più neutrale possibile. Mi colpisce che si pensi a una legge che, contro un’indicazione precisa della Corte costituzionale, creerebbe una profonda disomogeneità politica tra le due Camere. Mi colpisce che si dica con tanta leggerezza che non importa, perché il Senato sarà abolito. Mi colpisce che nel frattempo, comunque, si sospenderà il diritto alle elezioni, perché la contraddizione tra le due Camere impedirà di scioglierle. Mi colpisce che non ci siano reazioni adeguate a questa passeggiata sulle istituzioni.

E l’idea di “diminuire” il Senato?

Vedremo la proposta. Fin da ora, vorrei dire che piuttosto che un pasticcio – interessi frammentati di politici locali con una spruzzata di cultura –, piuttosto che una cosa indefinita, senza una funzione, una propria ragion d’essere stabile e continuativa, meglio l’abolizione radicale. Meglio il nulla, piuttosto che l’umiliazione. Esistono già commissioni paritetiche, per la bisogna. Si cerchi di non trattare le istituzioni come merce vile che si vende al qualunquismo antiparlamentare al prezzo di qualche piccolo risparmio sul ‘costo della politica’. I Senati, o ‘seconde Camere’, o ‘Camere alte’ hanno profonde ragioni d’esistenza. Le loro funzioni, quali che esse specificamente siano, si giustificano con l’esigenza di introdurre nei tempi brevi della democrazia rappresentativa la considerazione d’interessi di più lunga durata, che riguardano – come si dice – le generazioni future. Sono assemblee moderatrici rispetto all’incalzare del consenso elettorale che deve essere incassato a intervalli brevi dall’altra assemblea. La prima Camera è necessariamente miope; la seconda Camera deve essere presbite. Deve far valere le ragioni della durata su quelle dell’immediatezza. La sua composizione e le sue funzioni dovrebbero tener conto di questa vocazione, essenziale affinché la democrazia rappresentativa non dilapidi in tempo breve le risorse di tutti, nell’interesse elettorale di qualcuno. Mi pare che i discorsi dei nostri riformatori restino molto in superficie, rispetto alla profondità della questione.

Non è un bel momento, anche per le istituzioni di garanzia.

Le istituzioni di garanzia sono la magistratura, dunque anche la corte costituzionale, e il presidente della Repubblica. Poi c’è la libera stampa, che dovrebbe vigilare nell’esercizio della sua funzione al servizio della pubblica opinione. Siccome nelle oligarchie, come si è detto, le segrete cose – trattative, patti non dichiarati e dichiarabili, corruzione delle funzioni pubbliche – sono fisiologiche, le istituzioni di garanzia e libera stampa dovrebbero fare da contraltare quando occorre. In ogni caso, non mescolarsi e non omologarsi.

Il sistema italiano è perfettamente riassunto dal rapporto tra Rai e politica: è una commissione parlamentare che vigila sul servizio pubblico – e sull’informazione che produce – e non il contrario. Ben più che un paradosso.

È uno dei grandi rovesciamenti che ci tocca osservare in questi tempi. Non l’unico. Pensiamo ad esempio al sistema elettorale. Dovrebbe garantire che la base della vita politica stia presso i cittadini elettori. La logica della legge che abbiamo avuto fino a ora e, con ogni probabilità, di quella che avremo se la riforma andrà in porto, è invece quella della nomina dall’alto (delle segreterie dei partiti), con ratifica degli elettori. Uno dei principi del Fascismo era: ‘il potere procede dall’alto ed è acconsentito dal basso’.

Torniamo a Weber: cosa può indurre uno studioso a rinunciare a un bene sommo quale l’autonomia?

Le risposte più banali sono la seduzione del potere, la carriera. C’è però, credo, la tentazione dell’apprendista stregone o della ‘mosca cocchiera’: pensare di guidare la politica. Quando Carl Schmitt è stato processato a Norimberga, ha osato dire: ‘Non sono io a essere stato nazista, era il nazismo a essere schmittiano’.

Il pericolo non è essere costretti a sostenere certe tesi a tutti i costi?

Se si riferisce all’atteggiamento di molti costituzionalisti nei confronti dell’ultima fase della presidenza di Giorgio Napolitano, direi che è prevalsa l’idea che il presidente della Repubblica fosse l’ultimo baluardo, al di là del quale il caos, il disastro, il fallimento. Ciò ha portato a giustificare l’assunzione di compiti e il compimento di atti che nella storia costituzionale repubblicana, non si erano mai incontrati. Al punto che si parla ormai come cosa ovvia, non problematica, d’una repubblica presidenziale che ha preso il posto del sistema parlamentare. Tutto ciò si è manifestato in un attivismo finora sconosciuto. Ma è stato un attivismo orientato a quella che si dice essere la stabilità e la continuità, e che si traduce in conservazione. Mi pare che si possa dire che è prevalsa la paura del nuovo, il pessimismo politico. Solo apparentemente per paradosso, l’attivismo costituzionale è coinciso con il conservatorismo politico. La Costituzione, prevedendo un ruolo neutrale e super partes, del presidente della Repubblica, dà, mi pare, un’indicazione opposta: l’imparzialità costituzionale per consentire le innovazioni politiche, il rinnovamento della vita politica. Ottimismo politico.
Da Il Fatto Quotidiano del 9 marzo 2014
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

Sfascisti - 260

2014 a schede


Scheda – 27 – Il punto

27 – 14 – 10 marzo 2014




Nelle complicazioni di questa settimana c’è il mercoledì “da leoni” come sta pompando il mondo dei media.

Sulla hp di Dagospia possiamo leggere in questo momento:

1. SARA’ UN MERCOLEDI’ DA LEONE (O DA FANFARONE?) PER IL BULLETTO DI PONTASSIEVE

2. QUESTA, IN OGNI CASO, SARÀ LA SETTIMANA DEL CUNEO FISCALE E DEL POMPOSO “JOBS ACT”. E NON LA SETTIMANA DELL’ITALICUM, DI CUI NON FREGA PIÙ NIENTE A NESSUNO

3. SARÀ LA SETTIMANA IN CUI IL ROTTAM’ATTORE DOVREBBE AGGIUNGERE PER LA PRIMA VOLTA DEI FATTI ALLE TANTE CHIACCHIERE E AL DISTINTIVO BRUTALMENTE STRAPPATO A LETTA-NIPOTE: UN TAGLIO FISCALE “DI SINISTRA” E UNA RIFORMA DEL LAVORO “DI DESTRA”



Il governo Pittibimbo, più che i governi Monti e Letta, sono governi interamente mediatici.

Bisognerà tenere duro a questo tipo di assalto nei prossimi mesi.

In attesa di conoscere i contenuti del Piano di Pittibimbo, si sono scatenate le parti sociali.

E’ deprimente accertare il basso livello generale in cui ci troviamo.

1) Il cuneo fiscale vale trecento miliardi ma Matteuccio ne mette a disposizione solo 10.

2) La CGIL insiste perché vengano dati interamente alle fasce più basse, perché, come ha indicato Pittibimbo da Fazio (fonte la Gabbia), gli economisti ritengono che fanno ripartire i consumi.

Non mi trovo per niente d’accordo, perché almeno due miliardi devono darli alle piccole imprese. Ma anche qui il discorso è complesso. Se non esiste un progetto di base per la ripresa non si va da nessuna parte. E questo progetto Pittibimbo non sa neppure di cosa si tratta.

Continua
paolo11
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da paolo11 »

Il leader 5 Stelle lancia di fatto la campagna per le Europee e attacca il patto finanziario che "consegnerebbe l'Italia alla miseria con tagli neppure immaginabili alla spesa sociale, dalla scuola alla sanità, e ucciderebbe ogni possibilità di ripresa"



“Il Fiscal Compact lo ha firmato il signor Rigor Montis e lo ha ratificato il parlamento delle larghe intese. Lo paghino Berlusconi, il pdexmenoelle, Napolitano e Monti se vogliono. Il M5S lo cancellerà”. Beppe Grillo sul suo blog lancia di fatto la campagna elettorale del Movimento 5 Stelle per le Europee, e ricorda che l’Italia si trova con un “debito in salita verticale, discesa del Pil e aumento costante degli interessi sul debito”.

In questa situazione, prosegue, “il fiscal compact, che taglierebbe la spesa pubblica dai 40 ai 50 miliardi all’anno per vent’anni in mancanza di una fortissima crescita, del tutto impossibile, è irrealistico”. Inoltre, “consegnerebbe l’Italia alla miseria con tagli neppure immaginabili alla spesa sociale, dalla scuola alla sanità, e ucciderebbe ogni possibilità di ripresa“. Sabato Grillo era intervenuto sul suo blog con con un post relativo all’urgenza della suddivisione dell’Italia in macroregioni. Parole che avevano suscitato la reazione del segretario del Carroccio Matteo Salvini. “Non vorrei che inseguisse la Lega – ha detto – ma se da lui non ci saranno solo parole sarà una battaglia comune”.
http://info5stelle.blogspot.it/2014/03/ ... ndata.html

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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da Insicurocronico »

semplice non se ne viene fuori escluso:

scissione regionale e distacco dallo stato centrale
fallimento dello stato centrale
rivoluzione civile e presa del parlamento

Non molto edificanti questi scenari, vero?
paolo11
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da paolo11 »

Vediamo la meteora Renzi questa settimana.
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camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

paolo11 ha scritto:Il leader 5 Stelle lancia di fatto la campagna per le Europee e attacca il patto finanziario che "consegnerebbe l'Italia alla miseria con tagli neppure immaginabili alla spesa sociale, dalla scuola alla sanità, e ucciderebbe ogni possibilità di ripresa"



“Il Fiscal Compact lo ha firmato il signor Rigor Montis e lo ha ratificato il parlamento delle larghe intese. Lo paghino Berlusconi, il pdexmenoelle, Napolitano e Monti se vogliono. Il M5S lo cancellerà”. Beppe Grillo sul suo blog lancia di fatto la campagna elettorale del Movimento 5 Stelle per le Europee, e ricorda che l’Italia si trova con un “debito in salita verticale, discesa del Pil e aumento costante degli interessi sul debito”.

In questa situazione, prosegue, “il fiscal compact, che taglierebbe la spesa pubblica dai 40 ai 50 miliardi all’anno per vent’anni in mancanza di una fortissima crescita, del tutto impossibile, è irrealistico”. Inoltre, “consegnerebbe l’Italia alla miseria con tagli neppure immaginabili alla spesa sociale, dalla scuola alla sanità, e ucciderebbe ogni possibilità di ripresa“. Sabato Grillo era intervenuto sul suo blog con con un post relativo all’urgenza della suddivisione dell’Italia in macroregioni. Parole che avevano suscitato la reazione del segretario del Carroccio Matteo Salvini. “Non vorrei che inseguisse la Lega – ha detto – ma se da lui non ci saranno solo parole sarà una battaglia comune”.
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Che la campagna elettorale per le europee è iniziata alla grande ce ne siamo accorti tutti.

Da noi la campagna elettorale corrisponde ad un Carnevale prolungato che dura più di 60 giorni.

Come a Carnevale “ogni scherzo vale”, e quindi i nostri politici si sfogano alla grande. Fanno a gara a chi la spara più grossa.

Pittibimbo, invece di andare alla sua prima uscita in compagnia del ministro degli Esteri e del ministro dell’Economia a Lugano per riportare a casa i capitali esportati a suo tempo, ha preferito fare come Mussolini.
Esibirsi davanti ai figli della Lupa.

In via subordinata poteva recarsi ad incontrare i dipendenti della Elettrolux, o altri loro colleghi nelle loro stesse condizioni.

Una cosa però è certa. Che non gli avrebbero cantato la canzoncina “Clap e Jump”.

Lo spin doctor di Renzi è soddisfatto perché quelle manifestazioni mussoliniane hanno portato consenso.

Non si potevano di certo permettere un filmato che sarebbe passato su tutti i telegiornali del pianeta, con Pittibimbo che se la dava a gambe levate inseguito dai precari o dai licenziandi.

Formigon de Formigoni, stamani ad Agorà ha sparato la sua. (Eppoi pretende che Crozza non ci imbastisca la satira).

Il Celeste, ha rigettato i dati dei sondaggi di Weber, sostenendo che quelli che hanno in mano i celesti di NCD, valgono il doppio. Sono tra il 6 e il 7 %.

Certo che di fessi nello stivalone ce ne sono tantissimi.

Poi ha solennemente annunciato che se non superano la soglia minima a maggio cade il governo.

Chissà come sarà contento Pittibimbo, ed anche Angelino, che sembra lanciatissimo nella vendita delle super bufale.

Questo è un momento fatto così, dove i comici fanno i politici e i politici fanno i comici.

Anche il guru genovese, quindi non si tira indietro.

“Il Fiscal Compact lo ha firmato il signor Rigor Montis e lo ha ratificato il parlamento delle larghe intese. Lo paghino Berlusconi, il pdexmenoelle, Napolitano e Monti se vogliono. Il M5S lo cancellerà”. Beppe Grillo sul suo blog lancia di fatto la campagna elettorale del Movimento 5 Stelle per le Europee, e ricorda che l’Italia si trova con un “debito in salita verticale, discesa del Pil e aumento costante degli interessi sul debito

Che il Fiscal Compact lo paghino Berlusconi e compagni è una battutona. Non sta in piedi.

Che l’Ue gli permetta di non onorare il Fiscal Compact, non regge. A meno che riesca a realizzare il piano che ho appena spiegato a Loretta Napoleoni come commento al suo articolo.
Gentile Loretta Napoleoni,
sono completamente d’accordo con Lei in merito all’applicazione della tassa patrimoniale, ma…….
Bisogna osservare il problema nel suo insieme. Un problema di una complessità eccezionale che come Stato italiano non siamo mai stati costretti a risolvere prima.
Io dispongo dei dati di: “Supplementi al Bollettino Statistico, Indicatori monetari e finanziari, La ricchezza delle famiglie italiane, N° 65 del 13 dicembre2013”, pubblicato dalla Banca d’Italia.
Dove si evince che la ricchezza netta delle famiglie italiane, data dalla somma del Totale delle attività reali e del totale delle attività finanziarie, diminuita del Totale delle passività finanziarie, ammonta a euro 8.619,3.
Ora, come dicono dalle mie parti, un prelievo “una tantum” di 400 miliardi di euro a quel 10 % di super ricchi che detiene il 47% del totale delle ricchezze private delle famiglie italiane, “gli fa Rosina”, che corrisponde all’italianissimo, “gli fa il solletico”.
Non che non provino fastidio anche i super ricchi a cedere una quota del loro patrimonio conquistato con il sudore della fronte, ma esiste una precondizione che deve essere obbligatoriamente soddisfatta. Sapere che quel prelievo forzoso vada a buon fine. E’ il minimo. E dato che noi non viviamo all’interno del “Paese delle Meraviglie”, sappiamo tutti quanti che quella mole di denaro farebbe gola alla Banda Bassotti.
Ergo, ci troviamo nella condizione di far riparare il fondo del secchio (che oggi non esiste perché da tempo immemore sfondato a regola d’arte), in cui verranno versati tutti quei miliardi.
Infine, questo mi sembra evidente, chiedere alla Banda Bassotti della sezione Italia di ritornare temporaneamente a Paperopoli per non essere indotti in tentazione. E questi provvedimenti possono bastare? Direi di no. Perché occorre cambiare completamente registro per il futuro. Nello stesso tempo in cui si chiedono quei sacrifici ai super ricchi, o per dirla con la Walt Disney Co, “ai riccastri”, occorre che siano approvate le seguenti leggi:
1) Per l’azzeramento della Corruzione, che secondo i dati forniti in questi anni dal Dottor Giampaolino, presidente della Corte dei Conti, ammontano a 60 miliardi di euro anno,
2) Per l’azzeramento delle Compartecipate, che ci costano 30 miliardi anno,
3) Per l’azzeramento degli Enti inutili, che ci costano 11 miliardi anno.
4) Per cessare la distribuzione a pioggia agli amici degli amici che gestiscono un’impresa, che secondo Marco Cobianchi ammontano a 30 miliardi di euro /anno, come documentato nel libro Mani Bucate, edito nel lontano 2007. (http://www.chiarelettere.it/libro/princ ... bucate.php)
5) Per far cessare la concorrenza alla Banda Bassotti, da parte della Gdf, della Benemerita, della Polizia di Stato, dell’Esercito, e senz’altro anche di Marina ed Aeronautica.
6) Oltre a molto altro che appartiene alla categoria “Sprechi” dello Stato italiano.
Come vede, gentile Napoleoni, la precondizione è ultra onerosa sul piano degli interessi della casta. Ma con un piano di rientro di questo genere, effettuato con rigidità teutonica, anche Berlino e il Kaiser Merkel, potrebbero annullare il Fiscal compact.
Alla commentatrice che ha segnalato che Lei ha in odio Renzi, scrivendo quest’articolo, rendo noto che le aspettative create dall’ex sindaco fiorentino, sono tali da assommare le caratteristiche di Superman, di Goldrake, Dell’Uomo Ragno, Batman, sono tali che per Renzie, risolvere in una volta sola tutte queste problematiche è sostanzialmente una bazecola.
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

paolo11 ha scritto:Il leader 5 Stelle lancia di fatto la campagna per le Europee e attacca il patto finanziario che "consegnerebbe l'Italia alla miseria con tagli neppure immaginabili alla spesa sociale, dalla scuola alla sanità, e ucciderebbe ogni possibilità di ripresa"



“Il Fiscal Compact lo ha firmato il signor Rigor Montis e lo ha ratificato il parlamento delle larghe intese. Lo paghino Berlusconi, il pdexmenoelle, Napolitano e Monti se vogliono. Il M5S lo cancellerà”. Beppe Grillo sul suo blog lancia di fatto la campagna elettorale del Movimento 5 Stelle per le Europee, e ricorda che l’Italia si trova con un “debito in salita verticale, discesa del Pil e aumento costante degli interessi sul debito”.

In questa situazione, prosegue, “il fiscal compact, che taglierebbe la spesa pubblica dai 40 ai 50 miliardi all’anno per vent’anni in mancanza di una fortissima crescita, del tutto impossibile, è irrealistico”. Inoltre, “consegnerebbe l’Italia alla miseria con tagli neppure immaginabili alla spesa sociale, dalla scuola alla sanità, e ucciderebbe ogni possibilità di ripresa“. Sabato Grillo era intervenuto sul suo blog con con un post relativo all’urgenza della suddivisione dell’Italia in macroregioni. Parole che avevano suscitato la reazione del segretario del Carroccio Matteo Salvini. “Non vorrei che inseguisse la Lega – ha detto – ma se da lui non ci saranno solo parole sarà una battaglia comune”.
http://info5stelle.blogspot.it/2014/03/ ... ndata.html

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Ciao
Paolo11

Che la campagna elettorale per le europee è iniziata alla grande ce ne siamo accorti tutti.

Da noi la campagna elettorale corrisponde ad un Carnevale prolungato che dura più di 60 giorni.

Come a Carnevale “ogni scherzo vale”, e quindi i nostri politici si sfogano alla grande. Fanno a gara a chi la spara più grossa.

Pittibimbo, invece di andare alla sua prima uscita in compagnia del ministro degli Esteri e del ministro dell’Economia a Lugano per riportare a casa i capitali esportati a suo tempo, ha preferito fare come Mussolini.
Esibirsi davanti ai figli della Lupa.

In via subordinata poteva recarsi ad incontrare i dipendenti della Elettrolux, o altri loro colleghi nelle loro stesse condizioni.

Una cosa però è certa. Che non gli avrebbero cantato la canzoncina “Clap e Jump”.

Lo spin doctor di Renzi è soddisfatto perché quelle manifestazioni mussoliniane hanno portato consenso.

Non si potevano di certo permettere un filmato che sarebbe passato su tutti i telegiornali del pianeta, con Pittibimbo che se la dava a gambe levate inseguito dai precari o dai licenziandi.

Formigon de Formigoni, stamani ad Agorà ha sparato la sua. (Eppoi pretende che Crozza non ci imbastisca la satira).

Il Celeste, ha rigettato i dati dei sondaggi di Weber, sostenendo che quelli che hanno in mano i celesti di NCD, valgono il doppio. Sono tra il 6 e il 7 %.

Certo che di fessi nello stivalone ce ne sono tantissimi.

Poi ha solennemente annunciato che se non superano la soglia minima a maggio cade il governo.

Chissà come sarà contento Pittibimbo, ed anche Angelino, che sembra lanciatissimo nella vendita delle super bufale.

Questo è un momento fatto così, dove i comici fanno i politici e i politici fanno i comici.

Anche il guru genovese, quindi non si tira indietro.

“Il Fiscal Compact lo ha firmato il signor Rigor Montis e lo ha ratificato il parlamento delle larghe intese. Lo paghino Berlusconi, il pdexmenoelle, Napolitano e Monti se vogliono. Il M5S lo cancellerà”. Beppe Grillo sul suo blog lancia di fatto la campagna elettorale del Movimento 5 Stelle per le Europee, e ricorda che l’Italia si trova con un “debito in salita verticale, discesa del Pil e aumento costante degli interessi sul debito

Che il Fiscal Compact lo paghino Berlusconi e compagni è una battutona. Non sta in piedi.

Che l’Ue gli permetta di non onorare il Fiscal Compact, non regge. A meno che riesca a realizzare il piano che ho appena spiegato a Loretta Napoleoni come commento al suo articolo.
Gentile Loretta Napoleoni,
sono completamente d’accordo con Lei in merito all’applicazione della tassa patrimoniale, ma…….
Bisogna osservare il problema nel suo insieme. Un problema di una complessità eccezionale che come Stato italiano non siamo mai stati costretti a risolvere prima.
Io dispongo dei dati di: “Supplementi al Bollettino Statistico, Indicatori monetari e finanziari, La ricchezza delle famiglie italiane, N° 65 del 13 dicembre2013”, pubblicato dalla Banca d’Italia.
Dove si evince che la ricchezza netta delle famiglie italiane, data dalla somma del Totale delle attività reali e del totale delle attività finanziarie, diminuita del Totale delle passività finanziarie, ammonta a euro 8.619,3.
Ora, come dicono dalle mie parti, un prelievo “una tantum” di 400 miliardi di euro a quel 10 % di super ricchi che detiene il 47% del totale delle ricchezze private delle famiglie italiane, “gli fa Rosina”, che corrisponde all’italianissimo, “gli fa il solletico”.
Non che non provino fastidio anche i super ricchi a cedere una quota del loro patrimonio conquistato con il sudore della fronte, ma esiste una precondizione che deve essere obbligatoriamente soddisfatta. Sapere che quel prelievo forzoso vada a buon fine. E’ il minimo. E dato che noi non viviamo all’interno del “Paese delle Meraviglie”, sappiamo tutti quanti che quella mole di denaro farebbe gola alla Banda Bassotti.
Ergo, ci troviamo nella condizione di far riparare il fondo del secchio (che oggi non esiste perché da tempo immemore sfondato a regola d’arte), in cui verranno versati tutti quei miliardi.
Infine, questo mi sembra evidente, chiedere alla Banda Bassotti della sezione Italia di ritornare temporaneamente a Paperopoli per non essere indotti in tentazione. E questi provvedimenti possono bastare? Direi di no. Perché occorre cambiare completamente registro per il futuro. Nello stesso tempo in cui si chiedono quei sacrifici ai super ricchi, o per dirla con la Walt Disney Co, “ai riccastri”, occorre che siano approvate le seguenti leggi:
1) Per l’azzeramento della Corruzione, che secondo i dati forniti in questi anni dal Dottor Giampaolino, presidente della Corte dei Conti, ammontano a 60 miliardi di euro anno,
2) Per l’azzeramento delle Compartecipate, che ci costano 30 miliardi anno,
3) Per l’azzeramento degli Enti inutili, che ci costano 11 miliardi anno.
4) Per cessare la distribuzione a pioggia agli amici degli amici che gestiscono un’impresa, che secondo Marco Cobianchi ammontano a 30 miliardi di euro /anno, come documentato nel libro Mani Bucate, edito nel lontano 2007. (http://www.chiarelettere.it/libro/princ ... bucate.php)
5) Per far cessare la concorrenza alla Banda Bassotti, da parte della Gdf, della Benemerita, della Polizia di Stato, dell’Esercito, e senz’altro anche di Marina ed Aeronautica.
6) Oltre a molto altro che appartiene alla categoria “Sprechi” dello Stato italiano.
Come vede, gentile Napoleoni, la precondizione è ultra onerosa sul piano degli interessi della casta. Ma con un piano di rientro di questo genere, effettuato con rigidità teutonica, anche Berlino e il Kaiser Merkel, potrebbero annullare il Fiscal compact.
Alla commentatrice che ha segnalato che Lei ha in odio Renzi, scrivendo quest’articolo, rendo noto che le aspettative create dall’ex sindaco fiorentino, sono tali da assommare le caratteristiche di Superman, di Goldrake, Dell’Uomo Ragno, Batman, sono tali che per Renzie, risolvere in una volta sola tutte queste problematiche è sostanzialmente una bazecola.
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