Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
L'ONOSD
Opera Nazionale Orfani della Sinistra Deparesida
cosa ne pensa del ritorno del problema della droga tra i giovani dell'anno domini 2014???
Opera Nazionale Orfani della Sinistra Deparesida
cosa ne pensa del ritorno del problema della droga tra i giovani dell'anno domini 2014???
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Ottoemezzo con Andrea Scanzi e Fabrizio Barca
OTTOEMEZZO, IL RUOLO DEL PARTITO PALESTRA – Paolo Pagliaro nel suo punto parla del Partito Democratico voluto da Fabrizio Barca che nel corso della sfida interna al Pd non ha voluto prendere posizione rimanendo organico. E parlando della possibilità di mettere il nome Renzi nel simbolo, Barca auspica che questo non accada. Andrea Scanzi spiega che il Pd sta diventando sempre più personalistico avvicinandosi alle idee di una Forza Italia che deve candidare una figlia Berlusconi per avere quel cognome. A questo punto, conclude Scanzi, bisogna chiedersi cosa fanno Barca, Civati e Mineo all’interno di un Pd così personalistico. Barca spiega che la risposta la darà nel marzo 2015 spiegando che il Partito ha voglia di fare, quantificando quest’impegno in 150.000 persone che stanno addosso alle cose e combattono sul territorio. E si capisce che l’obiettivo è quello di correre per le primarie del Pd per trasformare il Partito in un organismo di lotta politica. Però non è quello che ha fatto il Pd in questi sette anni e non è questa l’idea del gruppo dirigente nazionale. E quando è stato toccato questo tema nessuno o quasi ha ascoltato. E per questo bisogna incentivare la lotta dei 150.000 volenterosi. Antonio Monda da esperto ed appassionato di boxe spiega che la scelta di non combattere con Renzi da parte di Barca è stata sbagliata. E per farlo cita la storia di Rudy Giuliani che volle aspettare per candidarsi alle primarie repubblicane perdendo il momento giusto per poi essere sconfitto con McCain. Quindi non bisogna aspettare ma Scanzi risponde che se avesse sfidato Renzi quest’anno avrebbe perso. Nel marzo 2015 invece uno come Barca ed uno come Civati potrebbero dire la loro anche in risposta ad un vuoto a sinistra non colmato dalla lista Tsipras. Barca spiega che a differenza dello scontro McCain-Giuliani oggi nel Pd si discute cos’è il partito che dall’idea di Veltroni è diventato un movimento privo di mobilitazione su ispirazione dei democratici americani. E per questo lui non può diventare segretario di un Partito che non è suo. Prima bisogna quindi cambiare il Pd o cambiare i militanti. E sopratutto se si fosse candidato contro Renzi sarebbe stato visto come il candidato della conservazione. Si chiude con una battuta su Moretti. Monda, il cui libro la casa sulla roccia è stato presentato in chiusura, e Barca condividono il giudizio dell’Ad di Ferrovie che ha minacciato di andarsene se gli tagliano lo stipendio perché, spiega il secondo, vengono dati in pasto alla gente soluzioni che non esistono perché il problema non sono i soldi ma le nomine studiate dalla politica. E chi lavora bene come Moretti ha diritto ad essere pagato per il suo impegno.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
DI LUCIO GIORDANO, 17 febbraio 2014
Avviso a Marcello Sorgi. Il partitino che vuole fare Civati, testuali parole del cronista de La stampa, non è un partitino ma finalmente un vero partito di sinistra ampio e con un fortissimo seguito. Per chiarezza: prima di parlare a sproposito, basterebbe girare per le sezioni del Pd consumando la suola delle scarpe, cosa che tra i cronisti non si usa più, e capire che la base è letteralmente inferocita. Una base che tra tessere stracciate e minacce concrete di non votare più pd, chiede una sola cosa: un vero partito vicino ai più deboli. Che dunque Sorgi lo sappia: c’è tanta voglia di giustizia sociale e solidarietà, in Italia. C’è tanta voglia di sinistra.
Avviso a Marcello Sorgi. Il partitino che vuole fare Civati, testuali parole del cronista de La stampa, non è un partitino ma finalmente un vero partito di sinistra ampio e con un fortissimo seguito. Per chiarezza: prima di parlare a sproposito, basterebbe girare per le sezioni del Pd consumando la suola delle scarpe, cosa che tra i cronisti non si usa più, e capire che la base è letteralmente inferocita. Una base che tra tessere stracciate e minacce concrete di non votare più pd, chiede una sola cosa: un vero partito vicino ai più deboli. Che dunque Sorgi lo sappia: c’è tanta voglia di giustizia sociale e solidarietà, in Italia. C’è tanta voglia di sinistra.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
QUESTO E' UNO DI SINISTRA E.....RIDE !!!
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Elezioni Firenze: la sinistra post-Renzi punta su Grassi, 28enne “guastafeste”
Il sindaco uscente e attuale premier ha fatto presa anche fuori dal Pd, e non solo al centro e a destra. Così Rifondazione e Sel, insieme a perUnaltracittà, Azione civile e Alba, provano a ricompattare il fronte più radicale intorno a un giovane. Che però si è già distinto in molte battaglie, dalla Tav alle privatizzazioni
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 22 aprile
Elezioni Firenze: la sinistra post-Renzi punta su Grassi, 28enne “guastafeste”
A loro Renzi proprio non va a genio. Men che meno Nardella, inviato speciale del premier alla corsa per il Comune di Firenze. E allora la sinistra nuda e pura, che da queste parti è tradizionalmente radicata, ha scelto il suo sfidante. Se fosse un calciatore sarebbe nel pieno della sua maturità. Invece è più giovane del Renzi che si candidò dieci anni fa alla presidenza della Provincia: risponde al nome di Tommaso Grassi e compirà 29 anni a settembre. Negli ultimi cinque anni da consigliere comunale si è contraddistinto per essersi messo di traverso alle politiche dell’amministrazione. Ha una tessera di Sinistra Ecologia e Libertà in tasca, ma nel partito non tutti lo vedono di buon occhio, specie quelli che provano a strizzare un occhio a Renzi. L’età fa clamore, certo, però l’accordo sul suo nome c’è stato perché ha lavorato senza risparmiarsi, scoperchiando molte delle anomalie emerse nel rapporto fra le cose pubbliche e quelle private, anche del sindaco rottamatore ora premier. Nel 2011 si è pure dovuto difendere in tribunale citato per danni da una società di costruzioni: aveva denunciato con alcune interrogazioni la mancanza di tutela ambientale e storico-culturale nella realizzazione di alcuni appartamenti. E ha vinto.
Grazie alla sua candidatura è riuscita così a lasciare Palazzo Vecchio un po’ più a cuor leggero Ornella De Zordo, fondatrice della lista di cittadinanza “perUnaltracittà”, che in dieci anni di Consiglio comunale ha fatto vedere i sorci verdi alla maggioranza, con una dura opposizione da sinistra all’ex sindaco Leonardo Domenici prima e a Renzi poi. Non si ricandida perché due mandati possono bastare: “Mi pare giusto un ricambio – spiega – la politica dev’essere un servizio e deve prevedere alternanza, non l’occupazione di un posto pubblico a vita. Con Tommaso abbiamo combattuto molte battaglie fianco a fianco e penso che sia la persona adatta a proseguire questo lavoro”.
La sinistra fiorentina prova così a riprendersi un’identità, in parte indebolita dalla forza di Renzi, che durante il periodo a Palazzo Vecchio è stato capace di affascinare molti. E non solo al centro o a destra. Come Valdo Spini: candidatosi cinque anni fa a sindaco contro l’ex rottamatore, oggi appoggia Nardella con la sua nuova lista “Sostieni Firenze”. Dinamiche che hanno di riflesso compattato il fronte dei più ostili a quelle che vengono definite le “politiche neoliberiste renziane”: dal progetto Tav alla privatizzazione dell’azienda di trasporto pubblico passando per le scelte su sociale e cultura. E che sono riuscite nell’impresa di riunire una sinistra tradizionalmente divisa e litigiosa, che oggi si presenta alle urne con un piglio determinato. Insomma: Renzi lo si ama, o lo si odia.
A puntare dritto su Grassi, dopo molti mesi di assemblee a cui hanno partecipato partiti e movimenti, è stata proprio la sinistra diffusa composta, oltre che da perUnaltracittà, anche da Alba, Azione Civile, sindacati di base e comitati. Soggetti che non saranno direttamente coinvolti nella partita elettorale perché l’accordo su una lista unitaria, una sorta di lista Tsipras in salsa fiorentina, non è riuscito. Così, sosterranno Grassi due partiti: Sel e Rifondazione Comunista. Ma anche una formazione civica che Grassi sta costruendo: “Ci saranno dentro molte anime della sinistra – spiega – amici ambientalisti, della società civile, persino ex militanti delusi dal Pd”. Tommaso ha iniziato a far politica nel 2004 con i Verdi quand’era ancora un ragazzino, dopo essere stato attivo nei comitati contro inceneritore e aeroporto. Per caso si candidò al Consiglio di Quartiere e fu eletto, beccandosi presto l’etichetta di “guastafeste” del centrosinistra. “Agli slogan noi vogliamo contrapporre la concretezza degli atti, alle promesse le soluzioni ai problemi della gente – dice – e poi candidiamo tutta gente di sinistra, non come Nardella che nella sua lista ha inserito l’ex olimpionica Fiona May, che è stata dichiaratamente berlusconiana”.
Grassi si tuffa in una partita difficile, che a Firenze appare confusa come non mai. La parola d’ordine è frammentazione. Tre candidature fra destra e centrodestra: Marco Stella per Forza Italia (sostenuto anche dalla lista civica dall’ex candidato sindaco del Pdl che sfidò Renzi, Giovanni Galli), la presidente fiorentina di Confartigianato Gianna Scatizzi per il Nuovo Centrodestra e il deputato Achille Totaro per Fratelli d’Italia. Nel centrosinistra, oltre a Dario Nardella ci prova anche Cristina Scaletti, ex assessore regionale (in quota Idv prima e Centro Democratico poi) silurata da Enrico Rossi nel rimpasto studiato per inserire i renziani in giunta. Nessun simbolo di partito in appoggio alla sua candidatura, che mira soprattutto a catalizzare gli scontenti del Pd. Un ruolo da guastafeste prova a giocarlo anche a Firenze il Movimento 5 Stelle con Miriam Amato, che come Scaletti punta ad andare al ballottaggio. La partita per il secondo posto dietro Nardella, insomma, è tutt’altro che scontata. E se il candidato Pd non vincerà al primo turno la sfida potrebbe farsi sorprendentemente interessante.
di Duccio Tronci
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Elezioni Firenze: la sinistra post-Renzi punta su Grassi, 28enne “guastafeste”
Il sindaco uscente e attuale premier ha fatto presa anche fuori dal Pd, e non solo al centro e a destra. Così Rifondazione e Sel, insieme a perUnaltracittà, Azione civile e Alba, provano a ricompattare il fronte più radicale intorno a un giovane. Che però si è già distinto in molte battaglie, dalla Tav alle privatizzazioni
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 22 aprile
Elezioni Firenze: la sinistra post-Renzi punta su Grassi, 28enne “guastafeste”
A loro Renzi proprio non va a genio. Men che meno Nardella, inviato speciale del premier alla corsa per il Comune di Firenze. E allora la sinistra nuda e pura, che da queste parti è tradizionalmente radicata, ha scelto il suo sfidante. Se fosse un calciatore sarebbe nel pieno della sua maturità. Invece è più giovane del Renzi che si candidò dieci anni fa alla presidenza della Provincia: risponde al nome di Tommaso Grassi e compirà 29 anni a settembre. Negli ultimi cinque anni da consigliere comunale si è contraddistinto per essersi messo di traverso alle politiche dell’amministrazione. Ha una tessera di Sinistra Ecologia e Libertà in tasca, ma nel partito non tutti lo vedono di buon occhio, specie quelli che provano a strizzare un occhio a Renzi. L’età fa clamore, certo, però l’accordo sul suo nome c’è stato perché ha lavorato senza risparmiarsi, scoperchiando molte delle anomalie emerse nel rapporto fra le cose pubbliche e quelle private, anche del sindaco rottamatore ora premier. Nel 2011 si è pure dovuto difendere in tribunale citato per danni da una società di costruzioni: aveva denunciato con alcune interrogazioni la mancanza di tutela ambientale e storico-culturale nella realizzazione di alcuni appartamenti. E ha vinto.
Grazie alla sua candidatura è riuscita così a lasciare Palazzo Vecchio un po’ più a cuor leggero Ornella De Zordo, fondatrice della lista di cittadinanza “perUnaltracittà”, che in dieci anni di Consiglio comunale ha fatto vedere i sorci verdi alla maggioranza, con una dura opposizione da sinistra all’ex sindaco Leonardo Domenici prima e a Renzi poi. Non si ricandida perché due mandati possono bastare: “Mi pare giusto un ricambio – spiega – la politica dev’essere un servizio e deve prevedere alternanza, non l’occupazione di un posto pubblico a vita. Con Tommaso abbiamo combattuto molte battaglie fianco a fianco e penso che sia la persona adatta a proseguire questo lavoro”.
La sinistra fiorentina prova così a riprendersi un’identità, in parte indebolita dalla forza di Renzi, che durante il periodo a Palazzo Vecchio è stato capace di affascinare molti. E non solo al centro o a destra. Come Valdo Spini: candidatosi cinque anni fa a sindaco contro l’ex rottamatore, oggi appoggia Nardella con la sua nuova lista “Sostieni Firenze”. Dinamiche che hanno di riflesso compattato il fronte dei più ostili a quelle che vengono definite le “politiche neoliberiste renziane”: dal progetto Tav alla privatizzazione dell’azienda di trasporto pubblico passando per le scelte su sociale e cultura. E che sono riuscite nell’impresa di riunire una sinistra tradizionalmente divisa e litigiosa, che oggi si presenta alle urne con un piglio determinato. Insomma: Renzi lo si ama, o lo si odia.
A puntare dritto su Grassi, dopo molti mesi di assemblee a cui hanno partecipato partiti e movimenti, è stata proprio la sinistra diffusa composta, oltre che da perUnaltracittà, anche da Alba, Azione Civile, sindacati di base e comitati. Soggetti che non saranno direttamente coinvolti nella partita elettorale perché l’accordo su una lista unitaria, una sorta di lista Tsipras in salsa fiorentina, non è riuscito. Così, sosterranno Grassi due partiti: Sel e Rifondazione Comunista. Ma anche una formazione civica che Grassi sta costruendo: “Ci saranno dentro molte anime della sinistra – spiega – amici ambientalisti, della società civile, persino ex militanti delusi dal Pd”. Tommaso ha iniziato a far politica nel 2004 con i Verdi quand’era ancora un ragazzino, dopo essere stato attivo nei comitati contro inceneritore e aeroporto. Per caso si candidò al Consiglio di Quartiere e fu eletto, beccandosi presto l’etichetta di “guastafeste” del centrosinistra. “Agli slogan noi vogliamo contrapporre la concretezza degli atti, alle promesse le soluzioni ai problemi della gente – dice – e poi candidiamo tutta gente di sinistra, non come Nardella che nella sua lista ha inserito l’ex olimpionica Fiona May, che è stata dichiaratamente berlusconiana”.
Grassi si tuffa in una partita difficile, che a Firenze appare confusa come non mai. La parola d’ordine è frammentazione. Tre candidature fra destra e centrodestra: Marco Stella per Forza Italia (sostenuto anche dalla lista civica dall’ex candidato sindaco del Pdl che sfidò Renzi, Giovanni Galli), la presidente fiorentina di Confartigianato Gianna Scatizzi per il Nuovo Centrodestra e il deputato Achille Totaro per Fratelli d’Italia. Nel centrosinistra, oltre a Dario Nardella ci prova anche Cristina Scaletti, ex assessore regionale (in quota Idv prima e Centro Democratico poi) silurata da Enrico Rossi nel rimpasto studiato per inserire i renziani in giunta. Nessun simbolo di partito in appoggio alla sua candidatura, che mira soprattutto a catalizzare gli scontenti del Pd. Un ruolo da guastafeste prova a giocarlo anche a Firenze il Movimento 5 Stelle con Miriam Amato, che come Scaletti punta ad andare al ballottaggio. La partita per il secondo posto dietro Nardella, insomma, è tutt’altro che scontata. E se il candidato Pd non vincerà al primo turno la sfida potrebbe farsi sorprendentemente interessante.
di Duccio Tronci
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Il disegno di cancellazione totale della sinistra sta mettendo in atto le ultime mosse.
L'ultima tribù dei Mohicani di sinistra, il Sel, sta per essere spaccato dai tentativi di chi sta dietro Renzi, (chi lo finanzia e lo ha promosso a premier senza la benché minima esperienza parlamentare - Andreotti ha fatto la gavetta occupando prima la conduzione di 7 ministeri prima di fare il primo ministro).
Siamo nella fase storica dei ducetti geni.
Tutto è cominciato con Craxi. Nessun incarico ministeriale, e subito premier.
Poi è arrivato, Lui, il duce Benito Silvio Berlusconi. Nessuna esperienza parlamentare, nessuna evidente ministeriale, subito premier.
Ha raso al suolo l'Italia.
Adesso è il turno del ducetto dell'Arno, che sa incantare i merli e le merle.
E' diventato sindaco grazie ad un accordo con Verdini, che gli ha messo contro in campagna elettorale Galli, ex portiere della Fiorentina e del Milan.
Con quel favore, FI ha legato a sé Matteo Renzi, perché gli affaristi non regalano niente per niente.
Lettanipote, democristianamente poco brillante, è però riuscito a mettere all'angolo Berlusconi.
Renzi diventato segretario del Pd, ha dovuto ricambiare il favore di 5 anni prima, dell'elezione a sindaco, provvedendo all'ennesima resurrezione del Caimano.
Inutile lamentarsi ora delle sciagurate performance caimane che vanno ad irritare anche i tedeschi.
La polemica del patto del Nazareno, comprendeva anche tutto quello che sta accadendo. Ma non c'è niente da fare, gli italiani sono fatti così.
I grullini di sinistra, tra cui molti anziani dal percorso Pci, Pds, Ds, Pd, ancora ieri si comportavano come i berluscones. "E con chi doveva rivolgersi Renzi??? Se non Berlusconi???"
La poltrona prima di tutto. Anche Gennà si è convertito.
La sinistra è all'ultima polverizzazione?
Chi è andato alla manifestazione del 25 aprile a Milano, ha contato ben 7 partiti comunisti diversi.
Questa è la sinistra. Tantissimi con la voglia di comandare e contare. Rizzo ha fondato di recente il suo nuovo partitino comunista.
E' dura mettersi in testa, malgrado i dati storici pratici dell'ultimo secolo, che il comunismo è una forma sociale attuabile solo in una società ad altissimo livello culturale. Questa società attuale e quella che ci ha preceduto nel secolo precedente, è ancora una società primitiva culturalmente di basso livello.
Storicamente esempi di società comuniste dovrebbero essere le congregazioni di frati, ma anche li è difficile vivere.
il primo comunista in Italia è stato San Francesco. Ma nessuno vuole vivere come il frate di Assisi.
Come il primo socialista è stato Gesù Cristo.
Sabato scorso abbiamo visto a Otto e mezzo l'entusiasmo di un ateo anarchico come Dario Fo per Francesco.
Non deve stupire perché il mondo della sinistra attuale rivede in Francesco quanto gli era stato raccontato da piccoli sulla vita e l'impegno del Cristo.
Ergo, i riferimenti della sinistra italiana sono legati a due figure religiose del passato.
La destra avversa o mal tollera la figura di Francesco.
Non stupisce quindi che, da quando Enrico Berlinguer si è recato a Torino per difendere i diritti del mondo del lavoro, che aveva fatto dire all'avvocato nazionale che avrebbe lasciato il sistema produttivo in Italia, ma che sarebbe andato all'estero per continuare a produrre automobili, sia partita un grande controffensiva per annullare la sinistra.
Corrompendo la sua dirigenza alla fine la reazione è a un passo dall'obiettivo finale.
Adesso ci mancava solo Migliore e i suoi nuovi destrorsi, alla ricerca di poltrone e tutto il resto.
Scrivono Massari e Di Cesare sul Fatto Quotidiano: "Una ventina di deputati e tre senatori, guidati da Gennaro Migliore, sono pronti a entrare nel Pd e a sostenere il Governo".
Pubblicato il 30 aprile 2014 09:16 | Ultimo aggiornamento: 30 aprile 2014 09:16
di Redazione Blitz
ROMA – “Sel si spacca: mezzo partito in fuga da Vendola” scrivono Antonio Massari e Loredana Di Cesare del Fatto Quotidiano: “Una ventina di deputati e tre senatori, guidati da Gennaro Migliore, sono pronti a entrare nel Pd e a sostenere il Governo”.
L’articolo completo:
“Il dialogo con Matteo Renzi è stato già avviato”. Il primo tassello della diaspora, i dissidenti di Sel, sono pronti a metterlo tra pochi giorni. Non appena in Parlamento si discuterà del decreto sugli 80 euro in busta paga. Il provvedimento è approdato ieri in Senato. “Sarà guerra”, dice un parlamentare che preferisce mantenere l’anonimato, “perché la direzione di Sel non è ancora convinta se votare a favore. Noi invece – e siamo una ventina – vogliamo sostenere questo provvedimento con il nostro voto”. Non si tratta di una “semplice” spaccatura. È l’inizio di un esodo. E c’è chi azzarda l’ipotesi di una drammatica accelerazione. “Siamo pronti a passare nel Pd. Le trattative sono in corso. Anche prima delle elezioni europee, se necessario”. Di certo, l’argomento in questi giorni sta tenendo banco. E il riferimento alle elezioni europee del 25 maggio, ovviamente, non è un dettaglio. L’ala del partito legata a Gennaro Migliore – contrapposta ai fedelissimi di Nichi Vendola e Nicola Fratoianni – non ha mai gradito l’appoggio di Sel alla Lista di Alexis Tzipras, preferendo sostenere il tedesco Martin Schulz. Il motivo: da un lato l’allontanamento, in Europa, dal Pse; dall’altro il rischio di una sconfitta, poiché è difficile che la Lista Tsipras riesca a superare lo sbarramento del 4 per cento. E così una ventina di deputati e tre senatori sono già pronti all’ammutinamento: prima che Sel affondi in Europa, potrebbero abbandonare la barca, per creare la sinistra interna al Pd, alleandosi con Pippo Civati. Lo scenario della diaspora prima delle elezioni europee, comunque, è quello meno probabile: l’elezione per Bruxelles, infatti, resta l’occasione migliore per contarsi all’interno del partito – dal tesseramento ai voti ottenuti dai singoli candidati. I parlamentari malpancisti non sono d’accordo sulla direzione presa da Sel che, attestandosi sempre più in un ruolo di opposizione, si sta allontanando dall’originaria vocazione riformista. LE SPINTE E I MALUMORI arrivano anche dai territori: “La scelta – sostiene la nostra fonte – è dettata anche da pressioni della base del nostro elettorato: ci chiedono di essere una forza di governo e non più solo di opposizione”. Alla camera si contano circa la metà dei deputati pronti a passare nel Pd. Secondo le indiscrezioni tra i dissidenti figurano il capogruppo di Sel alla camera dei deputati, Gennaro Migliore, il tesoriere del partito Sergio Boccadutri, Claudio Fava, Nazzareno Pilozzi, Gianni Melilla, Martina Nardi, Ileana Piazzoni, Ferdinando Ajello. Nell’altro ramo del Parlamento, invece, sarebbero tre i senatori pronti a passare nel partito di Matteo Renzi: Massimo Cervellini, Peppe De Cristofaro e Luciano Uras. Forti segnali di rottura si sono registrati già durante il congresso di Sel – con la storica rivalità tra Fratoianni e Migliore che risale ai tempi di Rifondazione comunista – che ha rieletto Nichi Vendola segretario del partito. In quella sede Vendola chiuse a ogni possibile accordo con il governo. Il passaggio di un così cospicuo numero di parlamentari di Sinistra ecologia e libertà nel Pd rischierebbe di segnare la fine del partito nato nel 2008 dalla scissione con Rifondazione comunista.
http://www.blitzquotidiano.it/rassegna- ... o-1852169/
L'ultima tribù dei Mohicani di sinistra, il Sel, sta per essere spaccato dai tentativi di chi sta dietro Renzi, (chi lo finanzia e lo ha promosso a premier senza la benché minima esperienza parlamentare - Andreotti ha fatto la gavetta occupando prima la conduzione di 7 ministeri prima di fare il primo ministro).
Siamo nella fase storica dei ducetti geni.
Tutto è cominciato con Craxi. Nessun incarico ministeriale, e subito premier.
Poi è arrivato, Lui, il duce Benito Silvio Berlusconi. Nessuna esperienza parlamentare, nessuna evidente ministeriale, subito premier.
Ha raso al suolo l'Italia.
Adesso è il turno del ducetto dell'Arno, che sa incantare i merli e le merle.
E' diventato sindaco grazie ad un accordo con Verdini, che gli ha messo contro in campagna elettorale Galli, ex portiere della Fiorentina e del Milan.
Con quel favore, FI ha legato a sé Matteo Renzi, perché gli affaristi non regalano niente per niente.
Lettanipote, democristianamente poco brillante, è però riuscito a mettere all'angolo Berlusconi.
Renzi diventato segretario del Pd, ha dovuto ricambiare il favore di 5 anni prima, dell'elezione a sindaco, provvedendo all'ennesima resurrezione del Caimano.
Inutile lamentarsi ora delle sciagurate performance caimane che vanno ad irritare anche i tedeschi.
La polemica del patto del Nazareno, comprendeva anche tutto quello che sta accadendo. Ma non c'è niente da fare, gli italiani sono fatti così.
I grullini di sinistra, tra cui molti anziani dal percorso Pci, Pds, Ds, Pd, ancora ieri si comportavano come i berluscones. "E con chi doveva rivolgersi Renzi??? Se non Berlusconi???"
La poltrona prima di tutto. Anche Gennà si è convertito.
La sinistra è all'ultima polverizzazione?
Chi è andato alla manifestazione del 25 aprile a Milano, ha contato ben 7 partiti comunisti diversi.
Questa è la sinistra. Tantissimi con la voglia di comandare e contare. Rizzo ha fondato di recente il suo nuovo partitino comunista.
E' dura mettersi in testa, malgrado i dati storici pratici dell'ultimo secolo, che il comunismo è una forma sociale attuabile solo in una società ad altissimo livello culturale. Questa società attuale e quella che ci ha preceduto nel secolo precedente, è ancora una società primitiva culturalmente di basso livello.
Storicamente esempi di società comuniste dovrebbero essere le congregazioni di frati, ma anche li è difficile vivere.
il primo comunista in Italia è stato San Francesco. Ma nessuno vuole vivere come il frate di Assisi.
Come il primo socialista è stato Gesù Cristo.
Sabato scorso abbiamo visto a Otto e mezzo l'entusiasmo di un ateo anarchico come Dario Fo per Francesco.
Non deve stupire perché il mondo della sinistra attuale rivede in Francesco quanto gli era stato raccontato da piccoli sulla vita e l'impegno del Cristo.
Ergo, i riferimenti della sinistra italiana sono legati a due figure religiose del passato.
La destra avversa o mal tollera la figura di Francesco.
Non stupisce quindi che, da quando Enrico Berlinguer si è recato a Torino per difendere i diritti del mondo del lavoro, che aveva fatto dire all'avvocato nazionale che avrebbe lasciato il sistema produttivo in Italia, ma che sarebbe andato all'estero per continuare a produrre automobili, sia partita un grande controffensiva per annullare la sinistra.
Corrompendo la sua dirigenza alla fine la reazione è a un passo dall'obiettivo finale.
Adesso ci mancava solo Migliore e i suoi nuovi destrorsi, alla ricerca di poltrone e tutto il resto.
Scrivono Massari e Di Cesare sul Fatto Quotidiano: "Una ventina di deputati e tre senatori, guidati da Gennaro Migliore, sono pronti a entrare nel Pd e a sostenere il Governo".
Pubblicato il 30 aprile 2014 09:16 | Ultimo aggiornamento: 30 aprile 2014 09:16
di Redazione Blitz
ROMA – “Sel si spacca: mezzo partito in fuga da Vendola” scrivono Antonio Massari e Loredana Di Cesare del Fatto Quotidiano: “Una ventina di deputati e tre senatori, guidati da Gennaro Migliore, sono pronti a entrare nel Pd e a sostenere il Governo”.
L’articolo completo:
“Il dialogo con Matteo Renzi è stato già avviato”. Il primo tassello della diaspora, i dissidenti di Sel, sono pronti a metterlo tra pochi giorni. Non appena in Parlamento si discuterà del decreto sugli 80 euro in busta paga. Il provvedimento è approdato ieri in Senato. “Sarà guerra”, dice un parlamentare che preferisce mantenere l’anonimato, “perché la direzione di Sel non è ancora convinta se votare a favore. Noi invece – e siamo una ventina – vogliamo sostenere questo provvedimento con il nostro voto”. Non si tratta di una “semplice” spaccatura. È l’inizio di un esodo. E c’è chi azzarda l’ipotesi di una drammatica accelerazione. “Siamo pronti a passare nel Pd. Le trattative sono in corso. Anche prima delle elezioni europee, se necessario”. Di certo, l’argomento in questi giorni sta tenendo banco. E il riferimento alle elezioni europee del 25 maggio, ovviamente, non è un dettaglio. L’ala del partito legata a Gennaro Migliore – contrapposta ai fedelissimi di Nichi Vendola e Nicola Fratoianni – non ha mai gradito l’appoggio di Sel alla Lista di Alexis Tzipras, preferendo sostenere il tedesco Martin Schulz. Il motivo: da un lato l’allontanamento, in Europa, dal Pse; dall’altro il rischio di una sconfitta, poiché è difficile che la Lista Tsipras riesca a superare lo sbarramento del 4 per cento. E così una ventina di deputati e tre senatori sono già pronti all’ammutinamento: prima che Sel affondi in Europa, potrebbero abbandonare la barca, per creare la sinistra interna al Pd, alleandosi con Pippo Civati. Lo scenario della diaspora prima delle elezioni europee, comunque, è quello meno probabile: l’elezione per Bruxelles, infatti, resta l’occasione migliore per contarsi all’interno del partito – dal tesseramento ai voti ottenuti dai singoli candidati. I parlamentari malpancisti non sono d’accordo sulla direzione presa da Sel che, attestandosi sempre più in un ruolo di opposizione, si sta allontanando dall’originaria vocazione riformista. LE SPINTE E I MALUMORI arrivano anche dai territori: “La scelta – sostiene la nostra fonte – è dettata anche da pressioni della base del nostro elettorato: ci chiedono di essere una forza di governo e non più solo di opposizione”. Alla camera si contano circa la metà dei deputati pronti a passare nel Pd. Secondo le indiscrezioni tra i dissidenti figurano il capogruppo di Sel alla camera dei deputati, Gennaro Migliore, il tesoriere del partito Sergio Boccadutri, Claudio Fava, Nazzareno Pilozzi, Gianni Melilla, Martina Nardi, Ileana Piazzoni, Ferdinando Ajello. Nell’altro ramo del Parlamento, invece, sarebbero tre i senatori pronti a passare nel partito di Matteo Renzi: Massimo Cervellini, Peppe De Cristofaro e Luciano Uras. Forti segnali di rottura si sono registrati già durante il congresso di Sel – con la storica rivalità tra Fratoianni e Migliore che risale ai tempi di Rifondazione comunista – che ha rieletto Nichi Vendola segretario del partito. In quella sede Vendola chiuse a ogni possibile accordo con il governo. Il passaggio di un così cospicuo numero di parlamentari di Sinistra ecologia e libertà nel Pd rischierebbe di segnare la fine del partito nato nel 2008 dalla scissione con Rifondazione comunista.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Inizia così il commento di Pierfanco Pellizzetti, sul suo nuovo libro "Una breve primavera”
Traditi e omologati: la triste fine dei ragazzi della Resistenza
Tra favola e mito, come un Saturno che mangia i suoi figli. Le giovani generazioni nell’Italia del dopoguerra nel nuovo libro di Pierfranco Pellizzetti.
La storia dell’Italia repubblicana può essere raccontata come una versione in costante aggiornamento del mito di Saturno; la divinità che procreava i figli per poi sbranarli. Ossia l’interminabile sequela di coorti generazionali prosciugate delle loro migliori energie intellettuali e invariabilmente mandate al macero.
In questi giorni provando a dialogare con la quarta generazione del '900 che oggi ha vent'anni, una parte della seconda e terza generazione, sempre del '900, ha comunicato a questi ragazzi che tocca a loro muoversi, darsi da fare per cercare il loro " posto al sole.
Non mi sono trovato molto d'accordo anche perché le responsabilità di questa disfatta compete alla seconda e terza generazione del '900.
Noi non siamo stati in grado di creare le condizione per progredire. Per lo più ci siamo mostrati indifferenti a quanto stava accadendo in questi anni.
Abbiamo creduto alla befana quando credevamo che bastasse la magistratura di Mani pulite per rimettere l'Italia in sella dopo la caduta della prima Repubblica.
Ventidue anni dopo ci accorgiamo che non era così.
Abbiamo subito l'accordi tra gli ex comunisti e Berlusconi, che con l'amico Dell'Utri hanno fondato Forza Italia.
Berlusconi, l'uomo legato alla mafie dei fratelli Graviano che ha fatto da testa di legno per la realizzazione di Milano 1 e 2.
Dell'Utri, oggi latitante per concorso esterno alla mafia.
La sinistra ex comunista dei D'Alema, dei Veltroni, dei Fassino, dei Violante, ha fatto un patto di non aggressione durato 20 anni.
L'Italia nel contempo è andata allo sfascio.
Rino Formica è tra i pochissimi a vedere che nello stesso tempo la P2 è già qua. Il programma di Gelli è stato quasi completato.
Manca l'ultima parte.
Questo ventennio è stato caratterizzato da un orgia unica. Tanto che anche gli altri Paesi europei hanno subito la nostra stessa crisi, ma la nostra si è sovrapposta a quella che viene da lontano, dalla presenza di Berlusconi e da quel malefico accordo.
Questa classe dirigente ha pensato a spartirsi tutto quanto era possibile.
Adesso di lavoro non c'è n'è più e gli italiani sono costretti ad emigrare. Altro che bamboccioni.
Quest'ultima generazione del '900 che oggi ha vent'anni è smarrita e rassegnata.
Da queste parti quella generazione per il 50% ha risolto i suoi problemi con la droga.
Dell'altra metà molti preferiscono ubriacarsi. Mentre tutti ritengono che debbano divertirsi.
Del loro futuro poco gli importa.
E qui insorgono la seconda e terza generazione. Tocca voi a ribellarvi.
Ma ribellarsi da che?
Molti dei rivoluzionari del '68 sono ben piazzati all'interno di quel mondo che combattevano.
Capanna scrive per Il Giornale, Liguori è con Berlusconi assieme ad altri.
L'ex segretario del Pci di Torino, che aveva partecipato alla battaglia di Valle Giulia, dopo essere stato un fedele di Craxi, da anni è un fedele di Berlusconi e fa il direttore de Il Foglio.
Ma vogliamo ricordarci di quei ragazzi di vent'anni che hanno sacrificato la loro vita per un'Italia diversa tra l'8 settembre del '43 e il 25 aprile del '45???
Perché dovremmo mandarli allo sbaraglio quando le nostre generazioni hanno combinato ben poco???
Siamo sempre quelli di sempre??? ARMIAMOCI E PARTITE????
Mentre scrivo passano in Tv le immagini del capogruppo del Pd, Speranza che sul caso Genovese spara megacazzate da prima Repubblica.
L'unico sistema per piazzarsi per i giovani è fare la comparsa politica. Ma non c'è posto per tutti.
Avanzano solo i camerieri.
******
il Fatto 15.5.14
Il libro “Una breve primavera”
Traditi e omologati: la triste fine dei ragazzi della Resistenza
di Pierfranco Pellizzetti
Tra favola e mito, come un Saturno che mangia i suoi figli. Le giovani generazioni nell’Italia del dopoguerra nel nuovo libro di Pierfranco Pellizzetti.
La storia dell’Italia repubblicana può essere raccontata come una versione in costante aggiornamento del mito di Saturno; la divinità che procreava i figli per poi sbranarli. Ossia l’interminabile sequela di coorti generazionali prosciugate delle loro migliori energie intellettuali e invariabilmente mandate al macero.
Si cominciò [...] con i ragazzi che per due inverni di ferro e di fuoco - tra il 1943 e il 1945 - si illusero (vennero illusi) di essere destinati a canalizzare le esperienze formative e fondative della lotta partigiana nello spirito fecondatore di una classe dirigente rinnovata; profondamente diversa per passione e civismo da quelle che l’avevano preceduta, durante il Ventennio e prima ancora, nell’Italietta dei re sciaboletta, dei notabili e delle burocrazie borboniche di ritorno. Tra “il fascismo come autobiografia di una nazione”, come scrisse Piero Gobetti, e il “quest’Italia non ci piace” di Giovanni Amendola.
Difatti i ventenni del 1945 vennero rapidamente normalizzati da uomini intimamente vecchi, nella mentalità del troncare e sopire prima ancora che anagraficamente, presidiatori dei varchi d’accesso al potere in una logica di puro controllo. Residui delle nomenclature compromesse con i tanti passati, talebani ante litteram del pensiero dominante o - piuttosto - funzionari dei ritrovati partiti di massa, marchiati nell’essenza più profonda dalla “legge ferrea delle oligarchie”. E fu una facile mattanza di energie nuove. Soprattutto in quanto altamente vulnerabili nella loro inesperienza, nella loro ingenuità. Solo quelli che - sottomettendosi con una rapida abiura omologante all’ordine in consolidamento - accettarono di adattarsi alle nuove situazioni, vennero salvati dal destino della messa ai margini attraverso processi di cooptazione individuale. Operazione che modificava immediatamente il Dna intellettuale dei cooptati, desertificandone i valori civili e trasformandoli in pallidi cloni dei loro stessi cooptatori; perfino invecchiandone precocemente le fattezze. [...]
UN PARADIGMA dominante, quello delle priorità indotte dai manovratori, di derivazione diretta dalla vocazione oligarchica insita nel sistema politico (la cui priorità costante era ed è quella di tenere a bada la società), su cui all’epoca andavano innestandosi le blindature d’acciaio e veleno della Guerra fredda. La prova generale di una rappresentazione della realtà all’insegna della paura quale strumento per deviare l’attenzione dalle condizioni concrete, intese come rapporti di forza e poste in gioco, allo scopo di tutelare gli equilibri sociali e politici egemoni. Mimetizzandoli. Una storia lunga mezzo secolo (la Prima Repubblica ), che si intreccia con la cronaca della divisione del lavoro tra le organizzazioni cardine di quegli equilibri: la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, con le loro formazioni satellite. Poi ribadita al ribasso nella Seconda, di Repubblica; quella della collusività e dell’affarismo senza neppure più la giustificazione di un mondo diviso in blocchi. Vent’anni dopo la fine degli anni Quaranta e per poco più di un altro biennio, la generazione successiva a quella resistenziale sembrò in procinto di forare la cappa gommosa che avvolgeva l’intera società, imprigionandola nelle sue appiccicose pareti flessibili e mobili. E fu il Sessantotto.
Presto ci si rese conto che quanto veniva rappresentato come un’insorgenza politica era - in effetti - una rivoluzione nei costumi; ciò che si sarebbe potuto definire nel lessico di allora “una perturbazione nella sovrastruttura”, presto riassorbita. Del resto senza troppi costi per i soliti normalizzatori. E ancora una volta tra quegli irriducibili contestatori dei padri, scopertisi libertari al tepore di un Joli Mai, ci furono i lesti a riciclarsi quali quadri e uomini di mano della restaurazione immediatamente successiva.
Traditi e omologati: la triste fine dei ragazzi della Resistenza
Tra favola e mito, come un Saturno che mangia i suoi figli. Le giovani generazioni nell’Italia del dopoguerra nel nuovo libro di Pierfranco Pellizzetti.
La storia dell’Italia repubblicana può essere raccontata come una versione in costante aggiornamento del mito di Saturno; la divinità che procreava i figli per poi sbranarli. Ossia l’interminabile sequela di coorti generazionali prosciugate delle loro migliori energie intellettuali e invariabilmente mandate al macero.
In questi giorni provando a dialogare con la quarta generazione del '900 che oggi ha vent'anni, una parte della seconda e terza generazione, sempre del '900, ha comunicato a questi ragazzi che tocca a loro muoversi, darsi da fare per cercare il loro " posto al sole.
Non mi sono trovato molto d'accordo anche perché le responsabilità di questa disfatta compete alla seconda e terza generazione del '900.
Noi non siamo stati in grado di creare le condizione per progredire. Per lo più ci siamo mostrati indifferenti a quanto stava accadendo in questi anni.
Abbiamo creduto alla befana quando credevamo che bastasse la magistratura di Mani pulite per rimettere l'Italia in sella dopo la caduta della prima Repubblica.
Ventidue anni dopo ci accorgiamo che non era così.
Abbiamo subito l'accordi tra gli ex comunisti e Berlusconi, che con l'amico Dell'Utri hanno fondato Forza Italia.
Berlusconi, l'uomo legato alla mafie dei fratelli Graviano che ha fatto da testa di legno per la realizzazione di Milano 1 e 2.
Dell'Utri, oggi latitante per concorso esterno alla mafia.
La sinistra ex comunista dei D'Alema, dei Veltroni, dei Fassino, dei Violante, ha fatto un patto di non aggressione durato 20 anni.
L'Italia nel contempo è andata allo sfascio.
Rino Formica è tra i pochissimi a vedere che nello stesso tempo la P2 è già qua. Il programma di Gelli è stato quasi completato.
Manca l'ultima parte.
Questo ventennio è stato caratterizzato da un orgia unica. Tanto che anche gli altri Paesi europei hanno subito la nostra stessa crisi, ma la nostra si è sovrapposta a quella che viene da lontano, dalla presenza di Berlusconi e da quel malefico accordo.
Questa classe dirigente ha pensato a spartirsi tutto quanto era possibile.
Adesso di lavoro non c'è n'è più e gli italiani sono costretti ad emigrare. Altro che bamboccioni.
Quest'ultima generazione del '900 che oggi ha vent'anni è smarrita e rassegnata.
Da queste parti quella generazione per il 50% ha risolto i suoi problemi con la droga.
Dell'altra metà molti preferiscono ubriacarsi. Mentre tutti ritengono che debbano divertirsi.
Del loro futuro poco gli importa.
E qui insorgono la seconda e terza generazione. Tocca voi a ribellarvi.
Ma ribellarsi da che?
Molti dei rivoluzionari del '68 sono ben piazzati all'interno di quel mondo che combattevano.
Capanna scrive per Il Giornale, Liguori è con Berlusconi assieme ad altri.
L'ex segretario del Pci di Torino, che aveva partecipato alla battaglia di Valle Giulia, dopo essere stato un fedele di Craxi, da anni è un fedele di Berlusconi e fa il direttore de Il Foglio.
Ma vogliamo ricordarci di quei ragazzi di vent'anni che hanno sacrificato la loro vita per un'Italia diversa tra l'8 settembre del '43 e il 25 aprile del '45???
Perché dovremmo mandarli allo sbaraglio quando le nostre generazioni hanno combinato ben poco???
Siamo sempre quelli di sempre??? ARMIAMOCI E PARTITE????
Mentre scrivo passano in Tv le immagini del capogruppo del Pd, Speranza che sul caso Genovese spara megacazzate da prima Repubblica.
L'unico sistema per piazzarsi per i giovani è fare la comparsa politica. Ma non c'è posto per tutti.
Avanzano solo i camerieri.
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il Fatto 15.5.14
Il libro “Una breve primavera”
Traditi e omologati: la triste fine dei ragazzi della Resistenza
di Pierfranco Pellizzetti
Tra favola e mito, come un Saturno che mangia i suoi figli. Le giovani generazioni nell’Italia del dopoguerra nel nuovo libro di Pierfranco Pellizzetti.
La storia dell’Italia repubblicana può essere raccontata come una versione in costante aggiornamento del mito di Saturno; la divinità che procreava i figli per poi sbranarli. Ossia l’interminabile sequela di coorti generazionali prosciugate delle loro migliori energie intellettuali e invariabilmente mandate al macero.
Si cominciò [...] con i ragazzi che per due inverni di ferro e di fuoco - tra il 1943 e il 1945 - si illusero (vennero illusi) di essere destinati a canalizzare le esperienze formative e fondative della lotta partigiana nello spirito fecondatore di una classe dirigente rinnovata; profondamente diversa per passione e civismo da quelle che l’avevano preceduta, durante il Ventennio e prima ancora, nell’Italietta dei re sciaboletta, dei notabili e delle burocrazie borboniche di ritorno. Tra “il fascismo come autobiografia di una nazione”, come scrisse Piero Gobetti, e il “quest’Italia non ci piace” di Giovanni Amendola.
Difatti i ventenni del 1945 vennero rapidamente normalizzati da uomini intimamente vecchi, nella mentalità del troncare e sopire prima ancora che anagraficamente, presidiatori dei varchi d’accesso al potere in una logica di puro controllo. Residui delle nomenclature compromesse con i tanti passati, talebani ante litteram del pensiero dominante o - piuttosto - funzionari dei ritrovati partiti di massa, marchiati nell’essenza più profonda dalla “legge ferrea delle oligarchie”. E fu una facile mattanza di energie nuove. Soprattutto in quanto altamente vulnerabili nella loro inesperienza, nella loro ingenuità. Solo quelli che - sottomettendosi con una rapida abiura omologante all’ordine in consolidamento - accettarono di adattarsi alle nuove situazioni, vennero salvati dal destino della messa ai margini attraverso processi di cooptazione individuale. Operazione che modificava immediatamente il Dna intellettuale dei cooptati, desertificandone i valori civili e trasformandoli in pallidi cloni dei loro stessi cooptatori; perfino invecchiandone precocemente le fattezze. [...]
UN PARADIGMA dominante, quello delle priorità indotte dai manovratori, di derivazione diretta dalla vocazione oligarchica insita nel sistema politico (la cui priorità costante era ed è quella di tenere a bada la società), su cui all’epoca andavano innestandosi le blindature d’acciaio e veleno della Guerra fredda. La prova generale di una rappresentazione della realtà all’insegna della paura quale strumento per deviare l’attenzione dalle condizioni concrete, intese come rapporti di forza e poste in gioco, allo scopo di tutelare gli equilibri sociali e politici egemoni. Mimetizzandoli. Una storia lunga mezzo secolo (la Prima Repubblica ), che si intreccia con la cronaca della divisione del lavoro tra le organizzazioni cardine di quegli equilibri: la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, con le loro formazioni satellite. Poi ribadita al ribasso nella Seconda, di Repubblica; quella della collusività e dell’affarismo senza neppure più la giustificazione di un mondo diviso in blocchi. Vent’anni dopo la fine degli anni Quaranta e per poco più di un altro biennio, la generazione successiva a quella resistenziale sembrò in procinto di forare la cappa gommosa che avvolgeva l’intera società, imprigionandola nelle sue appiccicose pareti flessibili e mobili. E fu il Sessantotto.
Presto ci si rese conto che quanto veniva rappresentato come un’insorgenza politica era - in effetti - una rivoluzione nei costumi; ciò che si sarebbe potuto definire nel lessico di allora “una perturbazione nella sovrastruttura”, presto riassorbita. Del resto senza troppi costi per i soliti normalizzatori. E ancora una volta tra quegli irriducibili contestatori dei padri, scopertisi libertari al tepore di un Joli Mai, ci furono i lesti a riciclarsi quali quadri e uomini di mano della restaurazione immediatamente successiva.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
PITTIBIMBO VENDE I GIOIELLI ITALIANI
ecco cosa fa la Francia .
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Francia, l’Eliseo protegge le imprese strategiche da investimenti stranieri
All'acquirente potranno essere imposte specifiche condizioni come il mantenimento dei livelli occupazionali e produttivi. Il ministro dell'Economia: “Abbiamo scelto il patriottismo economico. I poteri pubblici devono poter dire la loro". Oltralpe non la pensavano così quando, nel 2001, il governo Amato congelò al 2% i diritti di voto di Electicité de France, controllata da Parigi, nel capitale di Edison
di Fiorina Capozzi | 15 maggio 2014
La Francia inaugura una nuova stagione di “patriottismo economico” in nome della difesa dei “settori strategici” per l’economia nazionale. E così, mentre a Roma la mozione Mucchetti-Matteoli per rendere più difficili le scalate alle aziende quotate resta lettera morta, a Parigi il governo decide che d’ora in poi gli investimenti stranieri in settori di forte rilevanza per il Paese dovranno ottenere il via libera dell’Eliseo. E’ la fine “du laisser-faire”, spiega il quotidiano Le Monde aggiungendo che l’operazione consentirà “allo Stato di opporsi al passaggio di mano di un gran numero di società francesi”. Soprattutto in settori come energia, reti, telecomunicazioni, finanza, difesa, tecnologia, trasporti, gestione dell’acqua e sanità. Comparto quest’ultimo in cui è in atto una trattativa fra Antonino Ligresti, Mediobanca e Dea Capital con l’australiana Ramsay per la cessione della Générale de Santé, primo gruppo delle cliniche di Francia. Il decreto, fortemente voluto dal presidente Francois Hollande, fa un passo in avanti rispetto alle misure adottate nel 2005 dall’allora premier Dominique de Villepin in seguito alla tentata scalata della Pepsi alla Danone. E di fatto permette al governo di giocare in prima persona nella trattativa con il potenziale acquirente, cui potranno essere poste specifiche condizioni come il mantenimento dei livelli occupazionali e produttivi all’interno del Paese.
“La scelta che abbiamo fatto con il primo ministro è di patriottismo economico– ha spiegato il ministro dell’Economia, Arnaud Montebourg, a Le Monde – Queste misure di protezione degli interessi strategici della Francia sono una riconquista della nostra potenza. Possiamo ormai bloccare cessioni, esigere contropartite. E’ un riarmo fondamentale della potenza pubblica. La Francia non può accontentarsi dei discorsi mentre gli altri Stati agiscono”. Per Hollande la nuova rete di protezione costruita attorno alle aziende francesi strategiche non è una novità in Europa. Esiste già in Germania, Spagna, Italia e anche negli Stati Uniti.
“Ovviamente la Francia resta aperta agli investimenti esteri, ma nei casi sensibili i poteri pubblici devono poter dire la loro”, hanno precisato dal gabinetto del primo ministro. “Il caso Alstom (preda di un’Opa lanciata dalla statunitense General Electric, ndr) ci ha fatto capire che c’era bisogno di un dispositivo di questo tipo”. Oltralpe, però, non la pensavano così quando, nel 2001, il governo Amato congelò al 2% i diritti di voto di Electicité de France, azienda francese controllata da Parigi, nel capitale di Edison, di cui poi dieci anni dopo hanno acquistato il controllo. Ma da allora i tempi sono cambiati e Hollande teme oggi tensioni sociali dovute all’incremento della disoccupazione e alla debolezza dell’economia che nel primo trimestre è ferma al palo (+0,1%) segnalando una flessione di consumi e investimenti.
( il fatto quotidiano )
ecco cosa fa la Francia .
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Francia, l’Eliseo protegge le imprese strategiche da investimenti stranieri
All'acquirente potranno essere imposte specifiche condizioni come il mantenimento dei livelli occupazionali e produttivi. Il ministro dell'Economia: “Abbiamo scelto il patriottismo economico. I poteri pubblici devono poter dire la loro". Oltralpe non la pensavano così quando, nel 2001, il governo Amato congelò al 2% i diritti di voto di Electicité de France, controllata da Parigi, nel capitale di Edison
di Fiorina Capozzi | 15 maggio 2014
La Francia inaugura una nuova stagione di “patriottismo economico” in nome della difesa dei “settori strategici” per l’economia nazionale. E così, mentre a Roma la mozione Mucchetti-Matteoli per rendere più difficili le scalate alle aziende quotate resta lettera morta, a Parigi il governo decide che d’ora in poi gli investimenti stranieri in settori di forte rilevanza per il Paese dovranno ottenere il via libera dell’Eliseo. E’ la fine “du laisser-faire”, spiega il quotidiano Le Monde aggiungendo che l’operazione consentirà “allo Stato di opporsi al passaggio di mano di un gran numero di società francesi”. Soprattutto in settori come energia, reti, telecomunicazioni, finanza, difesa, tecnologia, trasporti, gestione dell’acqua e sanità. Comparto quest’ultimo in cui è in atto una trattativa fra Antonino Ligresti, Mediobanca e Dea Capital con l’australiana Ramsay per la cessione della Générale de Santé, primo gruppo delle cliniche di Francia. Il decreto, fortemente voluto dal presidente Francois Hollande, fa un passo in avanti rispetto alle misure adottate nel 2005 dall’allora premier Dominique de Villepin in seguito alla tentata scalata della Pepsi alla Danone. E di fatto permette al governo di giocare in prima persona nella trattativa con il potenziale acquirente, cui potranno essere poste specifiche condizioni come il mantenimento dei livelli occupazionali e produttivi all’interno del Paese.
“La scelta che abbiamo fatto con il primo ministro è di patriottismo economico– ha spiegato il ministro dell’Economia, Arnaud Montebourg, a Le Monde – Queste misure di protezione degli interessi strategici della Francia sono una riconquista della nostra potenza. Possiamo ormai bloccare cessioni, esigere contropartite. E’ un riarmo fondamentale della potenza pubblica. La Francia non può accontentarsi dei discorsi mentre gli altri Stati agiscono”. Per Hollande la nuova rete di protezione costruita attorno alle aziende francesi strategiche non è una novità in Europa. Esiste già in Germania, Spagna, Italia e anche negli Stati Uniti.
“Ovviamente la Francia resta aperta agli investimenti esteri, ma nei casi sensibili i poteri pubblici devono poter dire la loro”, hanno precisato dal gabinetto del primo ministro. “Il caso Alstom (preda di un’Opa lanciata dalla statunitense General Electric, ndr) ci ha fatto capire che c’era bisogno di un dispositivo di questo tipo”. Oltralpe, però, non la pensavano così quando, nel 2001, il governo Amato congelò al 2% i diritti di voto di Electicité de France, azienda francese controllata da Parigi, nel capitale di Edison, di cui poi dieci anni dopo hanno acquistato il controllo. Ma da allora i tempi sono cambiati e Hollande teme oggi tensioni sociali dovute all’incremento della disoccupazione e alla debolezza dell’economia che nel primo trimestre è ferma al palo (+0,1%) segnalando una flessione di consumi e investimenti.
( il fatto quotidiano )
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Le Coop, più potenti dei partiti
Fanno quello che vogliono ed inseguono solo il profitto
di Giovanni Bucchi
Non ha più il controllo sociale di un tempo. É diventata una semplice associazione di categoria come tante altre, scavalcata nei rapporti politici dalle stesse cooperative che rappresenta, diventate talmente grandi che la loro tendenza cesaristica è ormai inarrestabile. Lanfranco Turci, uomo di sinistra che però non ha mai aderito al Pd, ex presidente della giunta regionale dell'Emilia-Romagna, più volte deputato e sottosegretario nel secondo Governo D'Alema, analizza come sia cambiato oggi il ruolo di Legacoop, l'organizzazione di riferimento delle cooperative rosse, alcune delle quali sono finite nell'inchiesta sugli appalti all'Expo di Milano. Settant'anni e coordinatore del Network per il socialismo europeo, Turci, di origini modenesi, è stato presidente di Legacoop nazionale dal 1987 al 1992.
Domanda. Presidente Turci, che effetto le fa vedere importanti coop rosse finite nei faldoni dell'inchiesta della Procura di Milano sull'Expo con importanti dirigenti indagati?
Risposta. Nella misura in cui i grandi affari continuano ad avere mediazioni improprie, è inevitabile che in questo contesto si possano trovare insieme sia imprese private che imprese cooperative. Se per giocare in quel mercato c'è la possibilità di giocare con regole di favore, chiunque vi si trovi all'interno può usufruirne, cooperative comprese. Onestamente, non sono stupito di tutto questo, ma non sto parlando in termini morali.
D. Dunque, è inevitabile che anche le coop siano accusate di pagare tangenti?
R. Il termine inevitabile è una modalità di assoluzione che non mi sentirei di esprimere, ma purtroppo quel meccanismo c'è. La vera novità credo consista nel fatto che, negli anni più lontani, c'era un rapporto più diretto delle coop con la politica e con i partiti, mentre oggi l'impressione è che si tratti di meccanismi molto più indiretti e che nascono da aggregazioni di personaggi con particolari capacità che, quando occorre, si agganciano alla politica. Da quel che si capisce, alcuni mercati continuano ad essere mediati da lobby che stanno tra la politica, la burocrazia e i mediatori di affari.
D. Come è cambiata la Legacoop rispetto a quando lei è stato presidente fino all'inizio degli anni '90?
R. Già all'epoca avevo avanzato la mia critica a una tendenza cesaristica delle grandi cooperative, soprattutto quelle nel campo dell'edilizia, delle infrastrutture e del consumo. Si vedeva già nettamente una tendenza alla concentrazione del potere in capo ai singoli manager di una singola cooperativa, con uno svuotamento progressivo delle forme di democrazia interna. Sia chiaro, noi adesso parliamo dei grossi colossi con migliaia di soci, ma non dimentichiamoci che ci sono tante piccole cooperative che funzionano normalmente. Prima ancora del mio arrivo in Lega, c'era comunque un rapporto con la politica, e in particolare con il partito di riferimento della sinistra quale era il Pci, in cui lo stesso partito garantiva una sorta di controllo sociale sulla cooperazione. Intendo dire che un presidente o un dirigente di una coop rossa o un manager non poteva, ad esempio, assumere forme di potere o redditi eccessivi, vista la cultura di riferimento della sinistra. Lo stesso discorso del cesarismo delle varie coop era meno marcato. Il rapporto tra Lega e partito però si è allentato nei decenni, a scapito del potere manageriale che è sempre più aumentato.
D. Adesso quindi è il partito, in questo caso il Pd, che ha bisogno delle grandi coop e non più il contrario? E la Legacoop viene tagliata fuori?
R. In certi mercati in qualche modo protetti o comunque infiltrati da gruppi di potere, un qualche rapporto con la politica è sempre necessario. Il mondo cooperativo della Lega nasce dalle formazioni politiche legate alla sinistra, con il primo socialismo dei tempi giolittiani per riprendere poi dopo la caduta del fascismo. Ma, in quegli anni, non c'era questa corruzione, il vincolo era il rapporto di solidarietà, che si è diluito per i cambiamenti enormi che ci sono stati, a partire dalla minore presa ideologica dei partiti. Così anche la presa dell'organizzazione Legacoop sulle varie cooperative è diminuita. La Lega era l'interlocutore nei confronti dei partiti della sinistra, negli anni invece il rapporto è diventato più diretto tra singola cooperativa e partito, o tra singola cooperativa e pezzi di un partito.
D. Qual è quindi il ruolo oggi di un'organizzazione come la Legacoop?
R. Si è progressivamente trasformata in un luogo classico di rappresentanza sindacale e istituzionale su temi come legislazione e fisco, mentre nelle operazioni di mercato il peso dell'associazione è diminuito progressivamente. Adesso è prima di tutto un'associazione di interessi di imprese cooperative, come tante altre. Questo ha diminuito il controllo sociale del partito sulla Lega, e della Lega sulle singole cooperative, e ha diminuito anche l'autorevolezza politica dell'organizzazione nei confronti delle sue associate e del partito, autorevolezza che è via via scemata. La 'moral suasion' che l'associazione un tempo poteva fare verso le imprese cooperative, oggi non c'è più.
D. Però il premier Matteo Renzi ha scelto l'ex presidente di Legacoop Giuliano Poletti come ministro del Lavoro, in un Governo che riceve molte critiche da sinistra
R. Ma anche le coop cosiddette rosse oggi con la sinistra non hanno più elementi di identità molto stretti. La dirigenza delle coop non ha più un rapporto sistematico con il partito di sinistra.
D. Presidente, cosa voterà alle elezioni europee?
R. Non voterò il Pd, prima di tutto perché credo che la segreteria di Renzi sia un modo ulteriore per spostare il partito al centro e contemporaneamente uno smottamento delle istanze del partito come comunità e collettivo. Voterò la lista per Tsipras, anche se per me l'ideale sarebbe stato votare Sel con Schulz come candidato alla presidenza della Commissione euro .
( Italia Oggi)
Fanno quello che vogliono ed inseguono solo il profitto
di Giovanni Bucchi
Non ha più il controllo sociale di un tempo. É diventata una semplice associazione di categoria come tante altre, scavalcata nei rapporti politici dalle stesse cooperative che rappresenta, diventate talmente grandi che la loro tendenza cesaristica è ormai inarrestabile. Lanfranco Turci, uomo di sinistra che però non ha mai aderito al Pd, ex presidente della giunta regionale dell'Emilia-Romagna, più volte deputato e sottosegretario nel secondo Governo D'Alema, analizza come sia cambiato oggi il ruolo di Legacoop, l'organizzazione di riferimento delle cooperative rosse, alcune delle quali sono finite nell'inchiesta sugli appalti all'Expo di Milano. Settant'anni e coordinatore del Network per il socialismo europeo, Turci, di origini modenesi, è stato presidente di Legacoop nazionale dal 1987 al 1992.
Domanda. Presidente Turci, che effetto le fa vedere importanti coop rosse finite nei faldoni dell'inchiesta della Procura di Milano sull'Expo con importanti dirigenti indagati?
Risposta. Nella misura in cui i grandi affari continuano ad avere mediazioni improprie, è inevitabile che in questo contesto si possano trovare insieme sia imprese private che imprese cooperative. Se per giocare in quel mercato c'è la possibilità di giocare con regole di favore, chiunque vi si trovi all'interno può usufruirne, cooperative comprese. Onestamente, non sono stupito di tutto questo, ma non sto parlando in termini morali.
D. Dunque, è inevitabile che anche le coop siano accusate di pagare tangenti?
R. Il termine inevitabile è una modalità di assoluzione che non mi sentirei di esprimere, ma purtroppo quel meccanismo c'è. La vera novità credo consista nel fatto che, negli anni più lontani, c'era un rapporto più diretto delle coop con la politica e con i partiti, mentre oggi l'impressione è che si tratti di meccanismi molto più indiretti e che nascono da aggregazioni di personaggi con particolari capacità che, quando occorre, si agganciano alla politica. Da quel che si capisce, alcuni mercati continuano ad essere mediati da lobby che stanno tra la politica, la burocrazia e i mediatori di affari.
D. Come è cambiata la Legacoop rispetto a quando lei è stato presidente fino all'inizio degli anni '90?
R. Già all'epoca avevo avanzato la mia critica a una tendenza cesaristica delle grandi cooperative, soprattutto quelle nel campo dell'edilizia, delle infrastrutture e del consumo. Si vedeva già nettamente una tendenza alla concentrazione del potere in capo ai singoli manager di una singola cooperativa, con uno svuotamento progressivo delle forme di democrazia interna. Sia chiaro, noi adesso parliamo dei grossi colossi con migliaia di soci, ma non dimentichiamoci che ci sono tante piccole cooperative che funzionano normalmente. Prima ancora del mio arrivo in Lega, c'era comunque un rapporto con la politica, e in particolare con il partito di riferimento della sinistra quale era il Pci, in cui lo stesso partito garantiva una sorta di controllo sociale sulla cooperazione. Intendo dire che un presidente o un dirigente di una coop rossa o un manager non poteva, ad esempio, assumere forme di potere o redditi eccessivi, vista la cultura di riferimento della sinistra. Lo stesso discorso del cesarismo delle varie coop era meno marcato. Il rapporto tra Lega e partito però si è allentato nei decenni, a scapito del potere manageriale che è sempre più aumentato.
D. Adesso quindi è il partito, in questo caso il Pd, che ha bisogno delle grandi coop e non più il contrario? E la Legacoop viene tagliata fuori?
R. In certi mercati in qualche modo protetti o comunque infiltrati da gruppi di potere, un qualche rapporto con la politica è sempre necessario. Il mondo cooperativo della Lega nasce dalle formazioni politiche legate alla sinistra, con il primo socialismo dei tempi giolittiani per riprendere poi dopo la caduta del fascismo. Ma, in quegli anni, non c'era questa corruzione, il vincolo era il rapporto di solidarietà, che si è diluito per i cambiamenti enormi che ci sono stati, a partire dalla minore presa ideologica dei partiti. Così anche la presa dell'organizzazione Legacoop sulle varie cooperative è diminuita. La Lega era l'interlocutore nei confronti dei partiti della sinistra, negli anni invece il rapporto è diventato più diretto tra singola cooperativa e partito, o tra singola cooperativa e pezzi di un partito.
D. Qual è quindi il ruolo oggi di un'organizzazione come la Legacoop?
R. Si è progressivamente trasformata in un luogo classico di rappresentanza sindacale e istituzionale su temi come legislazione e fisco, mentre nelle operazioni di mercato il peso dell'associazione è diminuito progressivamente. Adesso è prima di tutto un'associazione di interessi di imprese cooperative, come tante altre. Questo ha diminuito il controllo sociale del partito sulla Lega, e della Lega sulle singole cooperative, e ha diminuito anche l'autorevolezza politica dell'organizzazione nei confronti delle sue associate e del partito, autorevolezza che è via via scemata. La 'moral suasion' che l'associazione un tempo poteva fare verso le imprese cooperative, oggi non c'è più.
D. Però il premier Matteo Renzi ha scelto l'ex presidente di Legacoop Giuliano Poletti come ministro del Lavoro, in un Governo che riceve molte critiche da sinistra
R. Ma anche le coop cosiddette rosse oggi con la sinistra non hanno più elementi di identità molto stretti. La dirigenza delle coop non ha più un rapporto sistematico con il partito di sinistra.
D. Presidente, cosa voterà alle elezioni europee?
R. Non voterò il Pd, prima di tutto perché credo che la segreteria di Renzi sia un modo ulteriore per spostare il partito al centro e contemporaneamente uno smottamento delle istanze del partito come comunità e collettivo. Voterò la lista per Tsipras, anche se per me l'ideale sarebbe stato votare Sel con Schulz come candidato alla presidenza della Commissione euro .
( Italia Oggi)
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Ma come si fa a far nascere un partito della sinistra se in questa società primitiva si accetta, come ha comunicato la presidentessa di "Save the children", che un milione di bambini italiani vive in assoluta povertà, che molti si vergognano di entrare in classe perché non hanno a disposizione gli strumenti ordinari per la scuola, mentre gli adulti sprecano risorse e ricercano in continuazione le mazzette???
Questo sentito ad Omnibus stamani.
Oltre al fatto che impropriamente i politici, i giornalisti, ed alcuni elettori di una certa età, autentici "cavrones" provenienti dal mondo della sinistra, osano chiamare il Pd un partito della sinistra, quando il Prof. Sapelli spiega che il Pd rappresenta le classi medie e medio alte, e che le masse disperate non hanno più rappresentanza??????
Il Partito Socialista nel 1982 nasce per rappresentare queste masse. Lo ha fatto il Pci nel 1946.
Anche la Dc era considerata un partito di massa.
Tutto finito.
Fatti fuori da Berlusconi come sostiene qualcuno, oppure imborghesimento dei vari Violante, D'Alema, Veltroni, Fassino, Bersani, Finocchiaro, Napolitano, che hanno usato la sinistra come un taxi per i loro interessi di carriera??????
Non male poi l'idea che Alfano prossimamente graviterà intorno alla nuova formazione di Renzi e non si alleerà con Berlusconi.
Alleanza rifiutata categoricamente anche ieri.
Alfano si sposta verso sinistra di una cosa che per il momento è informe e non si capisce cosa sia che ha il Duce in Renzi.
Mentre Renzi si sposta continuamente verso destra.
Questo sentito ad Omnibus stamani.
Oltre al fatto che impropriamente i politici, i giornalisti, ed alcuni elettori di una certa età, autentici "cavrones" provenienti dal mondo della sinistra, osano chiamare il Pd un partito della sinistra, quando il Prof. Sapelli spiega che il Pd rappresenta le classi medie e medio alte, e che le masse disperate non hanno più rappresentanza??????
Il Partito Socialista nel 1982 nasce per rappresentare queste masse. Lo ha fatto il Pci nel 1946.
Anche la Dc era considerata un partito di massa.
Tutto finito.
Fatti fuori da Berlusconi come sostiene qualcuno, oppure imborghesimento dei vari Violante, D'Alema, Veltroni, Fassino, Bersani, Finocchiaro, Napolitano, che hanno usato la sinistra come un taxi per i loro interessi di carriera??????
Non male poi l'idea che Alfano prossimamente graviterà intorno alla nuova formazione di Renzi e non si alleerà con Berlusconi.
Alleanza rifiutata categoricamente anche ieri.
Alfano si sposta verso sinistra di una cosa che per il momento è informe e non si capisce cosa sia che ha il Duce in Renzi.
Mentre Renzi si sposta continuamente verso destra.
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