Economia
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Economia
Non si discute per aver ragione, ma per capire!
Economia. Tema strettamente legato a: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?
Economia produttiva - 1
Gli effetti della presenza dell'esercito sfascista.
Italia sempre più a corto di grandi imprese
di Lavoce.info | 1 giugno 2014Commenti (55)
L’Italia ha poche grandi imprese. E due di queste stanno per diventare “straniere”. Per la crescita non bastano le vitalissime multinazionali tascabili, per avere un futuro nella competizione mondiale servono anche i grandi gruppi. Un problema di rilevanza strategica per il paese.
30.05.14, Salvatore Bragantini, lavoce.info
Due gruppi (non più) italiani
In Italia abbiamo poche grandi imprese, e due delle poche che abbiamo si apprestano a passare sotto il controllo di entità esterne al nostro paese. A causa della cessione a termine, a Rosneft, di una quota che le darà il controllo di fatto, fra qualche anno in Pirelli comanderà la finanza russa, che assume peso crescente in area energetica: si vedano gli accordi con Erg e Saras, rispettivamente di Lukoil e della stessa Rosneft. Vista l’aggressività della Russia di Putin e gli standard di comportamento dei suoi oligarchi, c’è di che preoccuparsi e molto. Per l’Italia erano meglio i liguri Malacalza, respinti da Marco Tronchetti Provera; questi ha però preferito accordarsi prima con Clessidra, poi con Rosneft, che gli garantisce, per qualche anno ancora, il ruolo di capo azienda. E meno male che Prysmian, una delle nostre poche public company, sfuggirà alle grinfie di Rosneft: Pirelli la cedette a un fondo di private equity nel 2005, con il brillante intento di rafforzare la propria presa su Telecom Italia.
L’altro grande gruppo che si appresta a cambiare bandiera è Exor/Fiat; lo spostamento della sede legale in Olanda è il naturale approdo di un percorso che fra l’altro moltiplica magicamente, grazie alle comodità della legge olandese, la percentuale di possesso della famiglia sabauda. I suoi esponenti han sempre guardato con alterigia l’Italia alle cui casse, checché ne dica il presidente John Elkann, hanno attinto spesso, in guerra e in pace. La nascita del gruppo Fca dà l’occasione giusta per de-italianizzarsi e prendere le distanze dai parenti poveri.
Sull’orlo dell’abisso, Fiat nel 2004 pescò dal mazzo come amministratore delegato Sergio Marchionne, abile a negoziare prima l’uscita dall’accordo con la General Motors, poi a cogliere l’occasione Chrysler; onore al suo fegato, che agli americani mancò. Oggi Fiat, come Fca, torna alla vita, ma dovrebbe pensare a cautelarsi nel caso che Marchionne voglia, o debba, lasciare prima della scadenza del 2018.
Potrebbero ballare tanti soldi, tanto più che il suo stile di gestione è molto personalizzato. Bianca Carretto scrive che Marchionne mette a punto i piani in solitudine, neanche i suoi manager sanno cosa presenterà agli analisti; non è lo stile di gestione di un grande gruppo globale. (1) Dal 2004, certo, è molto salito il corso dell’azione; lauta parte del beneficio è stata girata al manager che in dieci anni ha portato a casa 300 milioni. Solo il 25 per cento di questi compensi sono dovuti all’effettivo conseguimento dei risultati, sempre deludenti rispetto ai piani succedutisi nel tempo, come ricorda Andrea Malan. (2)
Non altrettanto bene va all’Italia, la cui industria automobilistica da anni sta evaporando. Nel 2003 Fiat costruiva qui più di un milione di auto, oggi sono 380 mila; il Regno Unito, che non ha “suoi” costruttori, ne produce un milione e mezzo. Come scrive (Nelmerito.com) Aldo Enrietti, in Italia si producono meno del 30 per cento delle auto vendute nel paese in un anno, contro il 220 per cento in Spagna, il 175 per cento in Germania e il 90 per cento in Francia. Se anziché in numero di auto si ragionasse in milioni di euro, sarebbe molto peggio.
Fiat è un’impresa privata, non le spetta sostenere l’occupazione in Italia. Il loquace vertice Fca dovrebbe però spiegare quale caratteristica nostra abbia tanto ostacolato costruire qui auto. Se la risposta chiama in causa i sindacati, Fiat ha i sindacati che ha meritato e lo sa. Come mai Volkswagen (che ha distribuito 3 miliardi in bonus di fine anno ai dipendenti) produce auto e moto in Italia, e produrrebbe qui l’Alfa se Fca la vendesse? Perché la meccanica italiana brilla nel mondo per tutto, tranne le auto? Speriamo che, per una volta, gli ambiziosi piani di spostamenti sull’alto di gamma, quelli not for the fainthearted, non per i deboli di cuore, diventino realtà. Solo in tal caso l’industria automobilistica tornerebbe in Italia. Peccato che i previsti 50 miliardi di investimenti in cinque anni si innestino su una situazione finanziaria già tesa, senza che sia previsto un aumento di capitale. La sola fonte finanziaria prevista è ilcash flow di Fca: come a dire che il piano diventerà realtà solo se nei primi anni il gruppo guadagnerà tanto da autofinanziarlo. Sarà molto difficile.
La fotografia del capitalismo italiano
I due casi inducono a scrutare il panorama dell’insieme dei nostri grandi gruppi. Se allarghiamo lo sguardo, non è esaltante il panorama del nostro capitalismo che esce dalle statistiche 2012 di R&S (società di studi del gruppo Mediobanca) sulle imprese manifatturiere e di servizi (escluse banche, assicurazioni e servizi finanziari). Solo ventisei gruppi operanti in Italia hanno un valore aggiunto (VA) superiore al miliardo, per un totale di 150 miliardi (il 10 per cento del Pil). Di questi, il 53 per cento, (80 miliardi) fa capo a otto gruppi a maggioranza pubblica, il 43 per cento a quattordici gruppi privati italiani (il dato di Luxottica, che non lo pubblica, è solo rozzamente stimato), mentre il 4 per cento è realizzato da quattro gruppi a controllo estero.
Rispetto al 2011 escono dal novero dei “grandi” due gruppi: Riva e Costa Crociere, a causa di due drammi nazionali (il disastro ambientale di Taranto e il naufragio di Costa Concordia) che non ci hanno coperto di gloria nel mondo. Mancano invece alcuni nomi che dovrebbero esserci, specie nella moda e nell’alimentare; forse emergono altrove, per quella riluttanza, non solo fiscale, a chiamarsi italiani propria di alcuni nostri industriali, convinti che il paese non li meriti. Il che è spesso vero, ma in senso opposto a quanto pensano.
Meno male che ci sono le vitalissime multinazionali tascabili, come ci ricorda R&S, molte delle quali hanno VA inferiore al miliardo. Solo certe dimensioni, tuttavia, consentono di varare programmi di ampio respiro e assumere rischi importanti, senza i quali non si cresce. Solo sopra date dimensioni servono management e servizi professionali di alto livello, i quali, a loro volta, portano sviluppo urbano di qualità e rendono più attraente venire da fuori a vivere qui. Un Paese le cui grandi città non ospitano il quartier generale di un elevato numero di grandi imprese private ha, nella competizione mondiale, meno futuro.
Un terzo di quel 43 per cento di VA generato dai privati italiani fa capo a due gruppi “figli del pubblico”, creati dalle privatizzazioni di Autostrade e Telecom Italia. Mentre la prima, nel gruppo Edizione, ha poi avuto sviluppi importanti, la seconda viene via via smontata per ridurre i debiti addossatigli da una serie di operazioni finanziarie di corto respiro.
Se questa è la fotografia dei numeri del 2012, in prospettiva l’incidenza delle nostre imprese private sul VA totale crollerà. Come abbiamo appena visto, due di quella sparuta pattuglia di quattordici gruppi privati potranno ancora definirsi a controllo italiano solo per poco. Se li consideriamo già a controllo estero, la relativa incidenza sale, mentre quella dei gruppi a controllo italiano precipita dal 43 al 25 per cento. Via Fiat e Pirelli, l’Italia avrà ancor meno grandi imprese; è un tema enorme, di cui bisogna farsi carico, ma che il paese non avverte nella sua importanza strategica.
R&S classifica 2012- VA> 1000 milioni
ENI 33557 SM
EXOR 23927 PV
ENEL 20330 SM
TELECOM IT 15541 PP
POSTE IT 7925 SM
FINMECC 6237 SM
FFSS ITAL 5598 SM
EDIZIONE 5536 PP
LUXOTTICA 40000 PV *
SNAM 3055 SM
WIND 2462 PE
FININVEST 2366 PV
PIRELLI 2235 PV
DEAGOSTINI 1908 PV
TERNA 1654 SM
PRYSMIAN 1605 PV
ITALMOBIL. 1598 PV
A2A 1594 SM
PRADA 1575 PV
SUPERMKTS IT 1305 PV
N PIGNONE 1254 PE
EDISON 1231 PE
BARILLA 1145 PV
PARMALAT 1112 PE
MENARINI 1078 PV
COFIDE 1077 PV
————-
Tot. 150905
=======
8 SM 79950 53,0
12 PV 43819 29,0
2 PP 21077 14,0
4 PE 6059 4,0
———–
Tot. 150905 100,0
====== ====
* dato solo stimato
SM – Statali/municipali
PV – Privati “veri”
PP – Privati ex pubblici
PE Privati esteri
(1) Corriere della Sera, 6 maggio 2014.
(2) Il Sole-24 Ore, 22 aprile 2014.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06 ... i/1009051/
Economia. Tema strettamente legato a: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?
Economia produttiva - 1
Gli effetti della presenza dell'esercito sfascista.
Italia sempre più a corto di grandi imprese
di Lavoce.info | 1 giugno 2014Commenti (55)
L’Italia ha poche grandi imprese. E due di queste stanno per diventare “straniere”. Per la crescita non bastano le vitalissime multinazionali tascabili, per avere un futuro nella competizione mondiale servono anche i grandi gruppi. Un problema di rilevanza strategica per il paese.
30.05.14, Salvatore Bragantini, lavoce.info
Due gruppi (non più) italiani
In Italia abbiamo poche grandi imprese, e due delle poche che abbiamo si apprestano a passare sotto il controllo di entità esterne al nostro paese. A causa della cessione a termine, a Rosneft, di una quota che le darà il controllo di fatto, fra qualche anno in Pirelli comanderà la finanza russa, che assume peso crescente in area energetica: si vedano gli accordi con Erg e Saras, rispettivamente di Lukoil e della stessa Rosneft. Vista l’aggressività della Russia di Putin e gli standard di comportamento dei suoi oligarchi, c’è di che preoccuparsi e molto. Per l’Italia erano meglio i liguri Malacalza, respinti da Marco Tronchetti Provera; questi ha però preferito accordarsi prima con Clessidra, poi con Rosneft, che gli garantisce, per qualche anno ancora, il ruolo di capo azienda. E meno male che Prysmian, una delle nostre poche public company, sfuggirà alle grinfie di Rosneft: Pirelli la cedette a un fondo di private equity nel 2005, con il brillante intento di rafforzare la propria presa su Telecom Italia.
L’altro grande gruppo che si appresta a cambiare bandiera è Exor/Fiat; lo spostamento della sede legale in Olanda è il naturale approdo di un percorso che fra l’altro moltiplica magicamente, grazie alle comodità della legge olandese, la percentuale di possesso della famiglia sabauda. I suoi esponenti han sempre guardato con alterigia l’Italia alle cui casse, checché ne dica il presidente John Elkann, hanno attinto spesso, in guerra e in pace. La nascita del gruppo Fca dà l’occasione giusta per de-italianizzarsi e prendere le distanze dai parenti poveri.
Sull’orlo dell’abisso, Fiat nel 2004 pescò dal mazzo come amministratore delegato Sergio Marchionne, abile a negoziare prima l’uscita dall’accordo con la General Motors, poi a cogliere l’occasione Chrysler; onore al suo fegato, che agli americani mancò. Oggi Fiat, come Fca, torna alla vita, ma dovrebbe pensare a cautelarsi nel caso che Marchionne voglia, o debba, lasciare prima della scadenza del 2018.
Potrebbero ballare tanti soldi, tanto più che il suo stile di gestione è molto personalizzato. Bianca Carretto scrive che Marchionne mette a punto i piani in solitudine, neanche i suoi manager sanno cosa presenterà agli analisti; non è lo stile di gestione di un grande gruppo globale. (1) Dal 2004, certo, è molto salito il corso dell’azione; lauta parte del beneficio è stata girata al manager che in dieci anni ha portato a casa 300 milioni. Solo il 25 per cento di questi compensi sono dovuti all’effettivo conseguimento dei risultati, sempre deludenti rispetto ai piani succedutisi nel tempo, come ricorda Andrea Malan. (2)
Non altrettanto bene va all’Italia, la cui industria automobilistica da anni sta evaporando. Nel 2003 Fiat costruiva qui più di un milione di auto, oggi sono 380 mila; il Regno Unito, che non ha “suoi” costruttori, ne produce un milione e mezzo. Come scrive (Nelmerito.com) Aldo Enrietti, in Italia si producono meno del 30 per cento delle auto vendute nel paese in un anno, contro il 220 per cento in Spagna, il 175 per cento in Germania e il 90 per cento in Francia. Se anziché in numero di auto si ragionasse in milioni di euro, sarebbe molto peggio.
Fiat è un’impresa privata, non le spetta sostenere l’occupazione in Italia. Il loquace vertice Fca dovrebbe però spiegare quale caratteristica nostra abbia tanto ostacolato costruire qui auto. Se la risposta chiama in causa i sindacati, Fiat ha i sindacati che ha meritato e lo sa. Come mai Volkswagen (che ha distribuito 3 miliardi in bonus di fine anno ai dipendenti) produce auto e moto in Italia, e produrrebbe qui l’Alfa se Fca la vendesse? Perché la meccanica italiana brilla nel mondo per tutto, tranne le auto? Speriamo che, per una volta, gli ambiziosi piani di spostamenti sull’alto di gamma, quelli not for the fainthearted, non per i deboli di cuore, diventino realtà. Solo in tal caso l’industria automobilistica tornerebbe in Italia. Peccato che i previsti 50 miliardi di investimenti in cinque anni si innestino su una situazione finanziaria già tesa, senza che sia previsto un aumento di capitale. La sola fonte finanziaria prevista è ilcash flow di Fca: come a dire che il piano diventerà realtà solo se nei primi anni il gruppo guadagnerà tanto da autofinanziarlo. Sarà molto difficile.
La fotografia del capitalismo italiano
I due casi inducono a scrutare il panorama dell’insieme dei nostri grandi gruppi. Se allarghiamo lo sguardo, non è esaltante il panorama del nostro capitalismo che esce dalle statistiche 2012 di R&S (società di studi del gruppo Mediobanca) sulle imprese manifatturiere e di servizi (escluse banche, assicurazioni e servizi finanziari). Solo ventisei gruppi operanti in Italia hanno un valore aggiunto (VA) superiore al miliardo, per un totale di 150 miliardi (il 10 per cento del Pil). Di questi, il 53 per cento, (80 miliardi) fa capo a otto gruppi a maggioranza pubblica, il 43 per cento a quattordici gruppi privati italiani (il dato di Luxottica, che non lo pubblica, è solo rozzamente stimato), mentre il 4 per cento è realizzato da quattro gruppi a controllo estero.
Rispetto al 2011 escono dal novero dei “grandi” due gruppi: Riva e Costa Crociere, a causa di due drammi nazionali (il disastro ambientale di Taranto e il naufragio di Costa Concordia) che non ci hanno coperto di gloria nel mondo. Mancano invece alcuni nomi che dovrebbero esserci, specie nella moda e nell’alimentare; forse emergono altrove, per quella riluttanza, non solo fiscale, a chiamarsi italiani propria di alcuni nostri industriali, convinti che il paese non li meriti. Il che è spesso vero, ma in senso opposto a quanto pensano.
Meno male che ci sono le vitalissime multinazionali tascabili, come ci ricorda R&S, molte delle quali hanno VA inferiore al miliardo. Solo certe dimensioni, tuttavia, consentono di varare programmi di ampio respiro e assumere rischi importanti, senza i quali non si cresce. Solo sopra date dimensioni servono management e servizi professionali di alto livello, i quali, a loro volta, portano sviluppo urbano di qualità e rendono più attraente venire da fuori a vivere qui. Un Paese le cui grandi città non ospitano il quartier generale di un elevato numero di grandi imprese private ha, nella competizione mondiale, meno futuro.
Un terzo di quel 43 per cento di VA generato dai privati italiani fa capo a due gruppi “figli del pubblico”, creati dalle privatizzazioni di Autostrade e Telecom Italia. Mentre la prima, nel gruppo Edizione, ha poi avuto sviluppi importanti, la seconda viene via via smontata per ridurre i debiti addossatigli da una serie di operazioni finanziarie di corto respiro.
Se questa è la fotografia dei numeri del 2012, in prospettiva l’incidenza delle nostre imprese private sul VA totale crollerà. Come abbiamo appena visto, due di quella sparuta pattuglia di quattordici gruppi privati potranno ancora definirsi a controllo italiano solo per poco. Se li consideriamo già a controllo estero, la relativa incidenza sale, mentre quella dei gruppi a controllo italiano precipita dal 43 al 25 per cento. Via Fiat e Pirelli, l’Italia avrà ancor meno grandi imprese; è un tema enorme, di cui bisogna farsi carico, ma che il paese non avverte nella sua importanza strategica.
R&S classifica 2012- VA> 1000 milioni
ENI 33557 SM
EXOR 23927 PV
ENEL 20330 SM
TELECOM IT 15541 PP
POSTE IT 7925 SM
FINMECC 6237 SM
FFSS ITAL 5598 SM
EDIZIONE 5536 PP
LUXOTTICA 40000 PV *
SNAM 3055 SM
WIND 2462 PE
FININVEST 2366 PV
PIRELLI 2235 PV
DEAGOSTINI 1908 PV
TERNA 1654 SM
PRYSMIAN 1605 PV
ITALMOBIL. 1598 PV
A2A 1594 SM
PRADA 1575 PV
SUPERMKTS IT 1305 PV
N PIGNONE 1254 PE
EDISON 1231 PE
BARILLA 1145 PV
PARMALAT 1112 PE
MENARINI 1078 PV
COFIDE 1077 PV
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Tot. 150905
=======
8 SM 79950 53,0
12 PV 43819 29,0
2 PP 21077 14,0
4 PE 6059 4,0
———–
Tot. 150905 100,0
====== ====
* dato solo stimato
SM – Statali/municipali
PV – Privati “veri”
PP – Privati ex pubblici
PE Privati esteri
(1) Corriere della Sera, 6 maggio 2014.
(2) Il Sole-24 Ore, 22 aprile 2014.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06 ... i/1009051/
Ultima modifica di camillobenso il 04/06/2014, 19:18, modificato 2 volte in totale.
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Re: Economia
TheBonf • 2 ore fa
E' colpa di Grillo.
E dell'alleanza con Farage.
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aldobaldoidd • 2 ore fa
la nostra forza non sono le grandi imprese, è così da sempre, hanno fatto apposta l'Euro che favorisce le grandi imprese e penalizza noi, che secondo me non possiamo nemmeno inventarle le grandi imprese, perché l'Italia è il posto in cui le cose troppo grandi diventano una mangeria e basta. Dobbiamo difendere le nostre caratteristiche buone, che hanno sempre vinto nei mercati mondiali, migliorare quelle, e smettere di associarci con altri che hanno altri interessi.
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tjttjmelanie • 2 ore fa
L'unica crescita che c'è, è l'aumento esponenziale delle imprese che delocalizzano, bella crescita.
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SempreNoTAV • 3 ore fa
Non ci sono grandi imprese perché mancano le infrastrutture e la energia. La soluzione è TAV, autostrade; aeroporti ed energia nucleare. Subito senza rinvii!!!
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tjttjmelanie SempreNoTAV • 2 ore fa
Mentalità retrograde, sempre a caccia di appalti. Ci vuole ricerca e innovazione mica cementificazione., altrimenti si foraggia sempre la criminalità. Mancano gli investimenti per la ricerca, basta dare i soldi alle banche, che speculano senza dare prestiti a quelle imprese in difficoltà.
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napoleon • 3 ore fa
con l'euro se le sono pigliate tutte la germania
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D_elt • 4 ore fa
La Fiat doveva chiudere decenni fa, è un'azienda che è sempre stata dopata da aiuti di Stato, non è economia reale!
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Nome Cognome • 4 ore fa
La voceinfo gli fa un baffo a boccia; quest'ultimo, da buon provinciale, vuole tassare le multinazionali che si posizionano le sedi fiscali in UE che chiedono una tassazione corretta. Non ci servono le grandi aziende nemmeno le piccole, c'è Boccia che lavora per noi
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Jacopo Piletti • 5 ore fa
passera disse questa cosa 2 anni, bisogna aiutare le aziende a diventare piu grandi; la francia tiene rispetto a noi anche per questo fatto.
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Califfone • 5 ore fa
Per creare gli stati uniti d'europa devono distruggere le nazioni e farle diventare province del sistema!
Una nazione è forte quando ha una propria moneta, produce e consuma del proprio pane, quando possiede risorse e know how, quando settori vitali come energia, trasporti, telecomunicazione e alimentazione sono di proprietà pubblica.
Una nazione è forte quando agricoltura e industria funzionano.
Invece l'italia è stata sistematicamente spogliata di tutto grazie alla connivenza di una trasversale casta di ladri di stato e traditori della patria!
Non abbiamo più niente!
Abbiamo giocato una partita a scacchi senza saperlo, facendoci togliere tutti i pezzi migliori sia nel pubblico che nel privato, adesso non possiamo fare altro che dipendere da una moneta privata e fasulla, terrorizzandoci davanti al televisore per lo spread che aumenta se non obbediamo agli ordini della massoneria internazionale!
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Guest • 5 ore fa
Grazie ad Ilfatto innanzitutto
Ma non capisco.
Vi ricordate quando si diceva 'Italiani mammoni' ecc ecc?
Era la poppa di MAMMA STATO
Invece di COMPETERE, soldi, sussidi e cassa per incapaci
Risultati? Sotto gli occhi di tutti.
Si salva Ferrari. Fiat ha amesso di fare auto nel. 1970.
iNCAPACi!
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tachione • 5 ore fa
Mi meraviglio che qualcuni si meravigli. Le imprese Italiane le abbiamo costrette a fuggire (quelle straniere se ne erano già andate da tempo). Col sistema penale e fiscale nonchè la "quasi libertà di movimento della Criminalità organizzata" è difficile trovare aspiranti al fallimento.
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Sergio Martinez • 6 ore fa
Articolo interessante, grazie per i dati
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E' colpa di Grillo.
E dell'alleanza con Farage.
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aldobaldoidd • 2 ore fa
la nostra forza non sono le grandi imprese, è così da sempre, hanno fatto apposta l'Euro che favorisce le grandi imprese e penalizza noi, che secondo me non possiamo nemmeno inventarle le grandi imprese, perché l'Italia è il posto in cui le cose troppo grandi diventano una mangeria e basta. Dobbiamo difendere le nostre caratteristiche buone, che hanno sempre vinto nei mercati mondiali, migliorare quelle, e smettere di associarci con altri che hanno altri interessi.
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tjttjmelanie • 2 ore fa
L'unica crescita che c'è, è l'aumento esponenziale delle imprese che delocalizzano, bella crescita.
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SempreNoTAV • 3 ore fa
Non ci sono grandi imprese perché mancano le infrastrutture e la energia. La soluzione è TAV, autostrade; aeroporti ed energia nucleare. Subito senza rinvii!!!
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tjttjmelanie SempreNoTAV • 2 ore fa
Mentalità retrograde, sempre a caccia di appalti. Ci vuole ricerca e innovazione mica cementificazione., altrimenti si foraggia sempre la criminalità. Mancano gli investimenti per la ricerca, basta dare i soldi alle banche, che speculano senza dare prestiti a quelle imprese in difficoltà.
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napoleon • 3 ore fa
con l'euro se le sono pigliate tutte la germania
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D_elt • 4 ore fa
La Fiat doveva chiudere decenni fa, è un'azienda che è sempre stata dopata da aiuti di Stato, non è economia reale!
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Nome Cognome • 4 ore fa
La voceinfo gli fa un baffo a boccia; quest'ultimo, da buon provinciale, vuole tassare le multinazionali che si posizionano le sedi fiscali in UE che chiedono una tassazione corretta. Non ci servono le grandi aziende nemmeno le piccole, c'è Boccia che lavora per noi
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Jacopo Piletti • 5 ore fa
passera disse questa cosa 2 anni, bisogna aiutare le aziende a diventare piu grandi; la francia tiene rispetto a noi anche per questo fatto.
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Califfone • 5 ore fa
Per creare gli stati uniti d'europa devono distruggere le nazioni e farle diventare province del sistema!
Una nazione è forte quando ha una propria moneta, produce e consuma del proprio pane, quando possiede risorse e know how, quando settori vitali come energia, trasporti, telecomunicazione e alimentazione sono di proprietà pubblica.
Una nazione è forte quando agricoltura e industria funzionano.
Invece l'italia è stata sistematicamente spogliata di tutto grazie alla connivenza di una trasversale casta di ladri di stato e traditori della patria!
Non abbiamo più niente!
Abbiamo giocato una partita a scacchi senza saperlo, facendoci togliere tutti i pezzi migliori sia nel pubblico che nel privato, adesso non possiamo fare altro che dipendere da una moneta privata e fasulla, terrorizzandoci davanti al televisore per lo spread che aumenta se non obbediamo agli ordini della massoneria internazionale!
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Guest • 5 ore fa
Grazie ad Ilfatto innanzitutto
Ma non capisco.
Vi ricordate quando si diceva 'Italiani mammoni' ecc ecc?
Era la poppa di MAMMA STATO
Invece di COMPETERE, soldi, sussidi e cassa per incapaci
Risultati? Sotto gli occhi di tutti.
Si salva Ferrari. Fiat ha amesso di fare auto nel. 1970.
iNCAPACi!
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tachione • 5 ore fa
Mi meraviglio che qualcuni si meravigli. Le imprese Italiane le abbiamo costrette a fuggire (quelle straniere se ne erano già andate da tempo). Col sistema penale e fiscale nonchè la "quasi libertà di movimento della Criminalità organizzata" è difficile trovare aspiranti al fallimento.
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Sergio Martinez • 6 ore fa
Articolo interessante, grazie per i dati
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- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: Economia
pz7 • 7 ore fa
Le grandi aziende vogliono persone positive ed affamate e sistemi prevedibili. L'Italia è fatta di lavativi rosiconi ed il sistema é del tutto imprevedibile. Fate voi
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SalvasElrond pz7 • 6 ore fa
eh si è questa la causa della crisi... PROPRIO QUESTA! sai che un mondo intero di economisti e premi nobel non ci avevano pensato? NO NO! non ci avevano proprio pensato... era piu semplice di quanto pensavano! meno male sei arrivato tu... a illuminarci! a che ci sei tira la catinella che c'e un tanfo di str..te che arriva fino a qui... pensa te!
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pz7 SalvasElrond • 6 ore fa
Esatto, parlavo proprio di persone e situazioni come queste.
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boubakar • 7 ore fa
Quando si cerca di vendere, in Italia, non si trova un acquirente che paga, sull'unghia, con moneta sonante. La finanza detiene la liquidità, l'investe nella finanza per il guadagno immediato, snobbando gli investimenti nell'economia reale che, oltre alla maturazione sul lungo termine, richiedono una rara capacità che è la differenza tra un imprenditore e un finanziere.
Questa scarsità di liquidita sul mercato è sintomo della prevalenza progressiva della speculazione finanziaria sul mercato e i pochi, in grado di accumulare danaro, sono i produttori di materie prime. Vedi gli acquisti ed investimenti, dei paesi mediorientali ai quattro angoli del pianeta.
NB: si può dire che la Fiat è ibrida. Dalle vendite delle auto passava alle sue finanziarie che facevano sparire il danaro. A corto, si chiedeva allo stato. Se ne sono approfittato sino all'ultimo.
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Massimo • 7 ore fa
a furia di difendere gli operai abbiamo ammazzato i capitalisti
solo che senza capitalisti siamo tutti disoccupati
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giuliog02 Massimo • 6 ore fa
I capitalisti sono spariti di propria iniziativa con i loro soldi portati all'estero.
Pensi che noi abbiamo distrutto la chimica, la chimicafarmaceutica. Che ne é della Galileo? Macchine fotogafiche, strumenti ottici, pellicole. Tutto in vacca.
I Finlandesi, oltre alle gomme da neve, hanno messo in piedi una importantissima azienda per i celulari. Noi siamo un paese con un'altissima densità di celulari per 100.000 abitanti e non produciamo telefonini. Non si venga a dire che gli allevatori di renne avevano le risorse tecnologiche e la manodopera specializzata, oltre ai tecnici per fare ciò meglio di noi!........ E non si dica che il lavoro costa meno che qui!.
E' il ceto degli imprenditori che é evaporato. E' il sistema Italia che non funziona.
Qui ci sono lavoratori, tecnici , quadri e progettis ti di primordine . Mancano gli imprenditori, manca la VISION.
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Massimo giuliog02 • 6 ore fa
veramente mi hai dato ragione
mancano gli imprenditori, per difendere diritti indifendibili e per correre verso il sol dell'avvenir ci siamo dimenticati delle aziende private e del mercato.
se moltiplichi le regole e i balzelli sopravvive solo chi non le rispetta cioè i banditi
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SalvasElrond Massimo • 6 ore fa
AH.. E voglio conoscere pure chi ti ha messo il like! un genio sicuramente di economia GENI.. ASSOLUTAMENTE GENI!!!
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aa SalvasElrond • 3 ore fa
dopo aver letto il suo commento (suo del sign. Salvas) gliene ho messo uno io
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Sergio Martinez Massimo • 7 ore fa
I capitalisti non mancano perchè si sono difesi gli operai. Basta confrontare cosa prende netto un operaio in italia e altrove, a partire dalla germania. E gli imprenditori ci sono, basta vedere il grande numero di piccole medie imprese. Il problema è che per crescere serve certezza del diritto, e non la rapacità dei politici, fisco e mafia, che fanno vincere gli "amici". Gli "amici" sono poi non competitivi a livello internazionale, mentre alle aziende sane manca un mercato nazionale che funga da trampolino di lancio.
A mio avviso la priorità è risistemare il sistema giudiziario, ci vuole certezza della pena e tempi veloci contro corruttori e chi esercita concussione.
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aa Sergio Martinez • 3 ore fa
si figuri, qui abbiamo mandato al governo la coop!
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giuliog02 Sergio Martinez • 6 ore fa
Lei ed io siamo due ingenui che pensiamo che le cose giuste farebbero rifiorire l'Italia.
Siamo riusciti a sgangherarla due volte. Fatta l'Italia, abbiamo optato per il fascismo ( l'uomo forte.... ) ; ricostruito il paese dopo la guerra e la caduta del fascismo, siamo riusciti a metterlo in mano prima a Craxi ( uomo forte.... ) e poi a Berlusconi ( l'apparenza personificata ). Confesso che mi dispiace di non essere emigrato quando mi offrirono un posto altrove, questo é un popolo in cui la maggioranza ama svisceratamente i cialtroni.
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Maty • 7 ore fa
Bah Grillo sono due anni che lo sento dire che stiamo svendendo non é che ci voleva chissà quale analisi...
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Thetic2 Maty • 2 ore fa
Craxi è dagli anni '90 che ci dice che siamo stati svenduti...
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Le grandi aziende vogliono persone positive ed affamate e sistemi prevedibili. L'Italia è fatta di lavativi rosiconi ed il sistema é del tutto imprevedibile. Fate voi
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SalvasElrond pz7 • 6 ore fa
eh si è questa la causa della crisi... PROPRIO QUESTA! sai che un mondo intero di economisti e premi nobel non ci avevano pensato? NO NO! non ci avevano proprio pensato... era piu semplice di quanto pensavano! meno male sei arrivato tu... a illuminarci! a che ci sei tira la catinella che c'e un tanfo di str..te che arriva fino a qui... pensa te!
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pz7 SalvasElrond • 6 ore fa
Esatto, parlavo proprio di persone e situazioni come queste.
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boubakar • 7 ore fa
Quando si cerca di vendere, in Italia, non si trova un acquirente che paga, sull'unghia, con moneta sonante. La finanza detiene la liquidità, l'investe nella finanza per il guadagno immediato, snobbando gli investimenti nell'economia reale che, oltre alla maturazione sul lungo termine, richiedono una rara capacità che è la differenza tra un imprenditore e un finanziere.
Questa scarsità di liquidita sul mercato è sintomo della prevalenza progressiva della speculazione finanziaria sul mercato e i pochi, in grado di accumulare danaro, sono i produttori di materie prime. Vedi gli acquisti ed investimenti, dei paesi mediorientali ai quattro angoli del pianeta.
NB: si può dire che la Fiat è ibrida. Dalle vendite delle auto passava alle sue finanziarie che facevano sparire il danaro. A corto, si chiedeva allo stato. Se ne sono approfittato sino all'ultimo.
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Massimo • 7 ore fa
a furia di difendere gli operai abbiamo ammazzato i capitalisti
solo che senza capitalisti siamo tutti disoccupati
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giuliog02 Massimo • 6 ore fa
I capitalisti sono spariti di propria iniziativa con i loro soldi portati all'estero.
Pensi che noi abbiamo distrutto la chimica, la chimicafarmaceutica. Che ne é della Galileo? Macchine fotogafiche, strumenti ottici, pellicole. Tutto in vacca.
I Finlandesi, oltre alle gomme da neve, hanno messo in piedi una importantissima azienda per i celulari. Noi siamo un paese con un'altissima densità di celulari per 100.000 abitanti e non produciamo telefonini. Non si venga a dire che gli allevatori di renne avevano le risorse tecnologiche e la manodopera specializzata, oltre ai tecnici per fare ciò meglio di noi!........ E non si dica che il lavoro costa meno che qui!.
E' il ceto degli imprenditori che é evaporato. E' il sistema Italia che non funziona.
Qui ci sono lavoratori, tecnici , quadri e progettis ti di primordine . Mancano gli imprenditori, manca la VISION.
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Massimo giuliog02 • 6 ore fa
veramente mi hai dato ragione
mancano gli imprenditori, per difendere diritti indifendibili e per correre verso il sol dell'avvenir ci siamo dimenticati delle aziende private e del mercato.
se moltiplichi le regole e i balzelli sopravvive solo chi non le rispetta cioè i banditi
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SalvasElrond Massimo • 6 ore fa
AH.. E voglio conoscere pure chi ti ha messo il like! un genio sicuramente di economia GENI.. ASSOLUTAMENTE GENI!!!
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aa SalvasElrond • 3 ore fa
dopo aver letto il suo commento (suo del sign. Salvas) gliene ho messo uno io
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Sergio Martinez Massimo • 7 ore fa
I capitalisti non mancano perchè si sono difesi gli operai. Basta confrontare cosa prende netto un operaio in italia e altrove, a partire dalla germania. E gli imprenditori ci sono, basta vedere il grande numero di piccole medie imprese. Il problema è che per crescere serve certezza del diritto, e non la rapacità dei politici, fisco e mafia, che fanno vincere gli "amici". Gli "amici" sono poi non competitivi a livello internazionale, mentre alle aziende sane manca un mercato nazionale che funga da trampolino di lancio.
A mio avviso la priorità è risistemare il sistema giudiziario, ci vuole certezza della pena e tempi veloci contro corruttori e chi esercita concussione.
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aa Sergio Martinez • 3 ore fa
si figuri, qui abbiamo mandato al governo la coop!
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giuliog02 Sergio Martinez • 6 ore fa
Lei ed io siamo due ingenui che pensiamo che le cose giuste farebbero rifiorire l'Italia.
Siamo riusciti a sgangherarla due volte. Fatta l'Italia, abbiamo optato per il fascismo ( l'uomo forte.... ) ; ricostruito il paese dopo la guerra e la caduta del fascismo, siamo riusciti a metterlo in mano prima a Craxi ( uomo forte.... ) e poi a Berlusconi ( l'apparenza personificata ). Confesso che mi dispiace di non essere emigrato quando mi offrirono un posto altrove, questo é un popolo in cui la maggioranza ama svisceratamente i cialtroni.
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Maty • 7 ore fa
Bah Grillo sono due anni che lo sento dire che stiamo svendendo non é che ci voleva chissà quale analisi...
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Thetic2 Maty • 2 ore fa
Craxi è dagli anni '90 che ci dice che siamo stati svenduti...
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- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: Economia
elicotteram • 8 ore fa
Basta togliere grandi .
D'ora in avanti ,viste le teorie di Padoan, i giovani imprenditori saranno quelli sopravvissuti con fascia di età tra i 60 e 70
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Quids1n • 8 ore fa
-
Non è più un paese per aziende il nostro,
bensì per pensionati e scrocconi statali!
Bye bye Italy e auguri di ... buon default.
Amen.
-
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SalvasElrond Quids1n • 6 ore fa
non e piu un paese per aziende.. MEDIO PICCOLE visto che sono state devastate e facevano dell italia il PAESE LEADER DELL area europea!UN PAESE FLORIDO nonostante i difetti che avevamo e abbiamo... ahhhh le grandi aziendi.. le grandi aziendi... CUI PRODEST? CAPRE!
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Massimo011 • 8 ore fa
Ricordo le parole dell'ex A.D. di Fiat Romiti,nell'intervista in cui,parlando dell'Olivetti(e di Adriano come Industriale e uomo 'anomalo' nel panorama italiano).il Cesare ebbe a dire(con sincerità,credo),pressappoco così a proposito degli industriali italiani:
"Gli 'olivettiani' (quelli che provenivano da Ivrea e cercavano un posto in Fiat) si consideravano 'superiori' a noi metalmeccanici che invece avevamo l'orgoglio della vera e schietta manovalanza-operaista che ha fatto grande l'industria italiana.A differenza del modello Olivetti,la Fiat non ha mai amato rischiare troppo in innovazioni e visioni futuribili,ma,come la maggior parte degli industriali italiani,faceva parte di quella schiera di 'attendisti',di quelli cioè che si muovono in base alle condizioni e alle opportunità del momento,senza rischiare troppo per un futuro troppo lontano e quindi molto incerto".
Credo che in queste poche parole si può riassumere un bel po' della visione di buona parte della grande industria italiana,spesso 'aiutata' dallo Stato(anche per motivi occupazionali-elettorali) e spesso affermatasi ,specie sul mercato interno, anche per il raggiro di norme e precauzioni sia sulle leggi comuni sia su quelle specifiche della tutela della salute e dell'ambiente.
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Alessandro Finocchiaro Massimo011 • 2 ore fa
bellissima analisi che fa capire una cosa, con questa classe imprenditoriale l'Italia non ha futuro.
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aa Massimo011 • 3 ore fa
infatti l'olivetti è stata un fallimento
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Alessandro Finocchiaro aa • 2 ore fa
si perché ci ha messo le mani DeBenedetti, un im-prenditore, ma la Olivetti è stata la PRIMA azienda a mettere in commercio il primo calcolatore per ufficio ancor prima della IBM, una visione che rende Steve Jobs un praticante
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Massimo011 aa • 3 ore fa
Se sapessi minimamente cos'è stata l'Olivetti....è stato il più bel 'fallimento' dell'industria italiana d'avanguardia.Il fallimento che ha aperto ad altri interi settori industriali ed economici(e il tentativo di coniugare territorio e industria in un progetto di scambio e rispetto verso la comunità che ne ospitava le strutture)..
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Farinata • 9 ore fa
pensare che questi imprenditori sono gli idoli di Renzi
e si capisce tutto
se tutto va bene, siamo rovinati
non fatevi risucchiare nella trappola del lavoro
in italia dove puoi lavorare ?
la stanno smantellando, aprite gli occhi
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libertariolaborioso • 9 ore fa
ho il vagosentore ..... che l'italia sembri a corto di ..... persone capaci !
ma essendo ciò ........ geneticamente impossibile,
la spiegazione più plausibile ..... potrebbe essere che
esiste un TAPPO politico/imprenditoriale/sociale ........ che blocca l'emergere
di persone oneste, leali e capaci !!!
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Nome Cognome libertariolaborioso • 5 ore fa
Era già noto da tempo: e le persone serie, che non raccontan storie, le han spedite in ferie [Celentano credo anni 70]
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pz7 libertariolaborioso • 6 ore fa
Esatto. Chi lo é soffre perché non esiste certezza ed uniformità nel diritto, quindi paga spesso essere parassiti, più che provare ad avere successo
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SalvasElrond libertariolaborioso • 6 ore fa
--> si chiama Euro ed Eurofollie... germanocentriche
studiare tanto... e seriamente per essere "LIBERI" di credere.. liberi non forzati...
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Callisto12 • 9 ore fa
Ma perché un'impresa deve pagare l'assurda pressione fiscale italiana?
Che vadano all'estero e gli italiani senza lavoro così possono riflettere su molte cose.
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cristina Callisto12 • 9 ore fa
Devo dire con profonda amarezza che hai ragione! Il M5S ha fatto approvare un emendamento con il quale le aziende che prendono soldi dallo stato italiano per gli investimenti produttivi e poi invece delocalizzano sono tenute a ridare indietro i soldi presi! Ma gli italioti hanno votato chi favorisce l'espatrio di queste aziende e insieme ad esse si volatilizzano anche i posti di lavoro!
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Sergio Martinez cristina • 7 ore fa
E per completare l'opera, ciliegina sulla torta, aumenta le tasse sui passaporti, come a voler simbolicamente spremere fino all'ultimo secondo chi decide di emigrare
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pz7 Sergio Martinez • 6 ore fa
Per quello basta prendere un aereo con scalo EU prima di uscire dall'unione
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Lonardo • 9 ore fa
mi viene sempre in mente un commento fattomi da un turista tedesco qualche anno fa :
" voi italiani siete bravi a fare i pizzaioli e i camerieri, ma le auto lasciatele fare a noi "
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Sergio Martinez Lonardo • 7 ore fa
Gli hai regalato un modellino di Ferrari?
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fepi Lonardo • 9 ore fa
ecco questo commento e la conferma e perche l'europa ci mangera vivi.. dimostrazione di ignoranza e autodio dell'italia. al signore tedesco poteva farle notare ferrari maserati alfaromeo e panda o vecchoa 500.. ma no , a noi piace beatificare l'estero anche quando mistifica venendo qui solo per rubare genrazioni di lavoro e conoscienza italiana. Il concetto di distruzione della concorrenza, ne ha mai sentito parlare?Vergogna la prossima volta risponda al tedesco non solo al riguardo della loro sofisticata cucina di crauti e wrustel ma anche del loro passato e come la loro unica maniera di aumentare il loro pil sia attraverso il mercantilismo sfrenato e violente occupazioni dei territori accanto , barando sulle regole .. ora su quelle UE.
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Meri Diano • 9 ore fa
Bel concetto di liberalismo. Quando nella concorrenza vincono gli altri, si chiama aggressività.
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nico211 • 10 ore fa
Belle mezze verità, in sole due righe ho trovato due dati oggetivamente non veri:
"Nel 2003 Fiat costruiva qui più di un milione di auto, oggi sono 380
mila; il Regno Unito, che non ha “suoi” costruttori, ne produce un
milione e mezzo. "
Se si cerca "annual car production by country" wikipedia mi illumina subito:
1. Jaguar e Rover per esempio non sono britannici?
2. Se è vero che l'Italia produce poche auto, nel 2013 ne ha prodotte 658 mila. Quasi il doppio sopra indicato.
Adesso non voglio andare a verificare il resto dell' articolo, ma un pochino di serità in piu non guasterebbe perchè il compito dei giornali sarebbe informare corettamente la gente non pubblicare articoli faziosi per fare cassa
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Lorenzo nico211 • 9 ore fa
Jaguar e rover non sono piu' britanniche (sorgente Wikipedia). Bisognerebbe fare un po di verifiche prima di postare
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nico211 Lorenzo • 7 ore fa
Su questo si puo discutere, appartiene si alla TATA motors, ma la sede rimane in UK. Al contrario della Fiat che tecnicamente ha comprato la Chrysler ma ha spostato la sede.
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Lorenzo nico211 • 7 ore fa
non si discute niente. Sono indiane. Se domani Tata vuole spostare tutto in India lo fa.
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gayboymilano • 10 ore fa
Renzi dovrebbe adottare un sano "protezionismo" delle aziende strategiche per il paese proibendo le delocalizzazioni della produzione e che vengano vendute o "svendute" a stranieri. Così fanno la Francia, la Germania, la Gran Bretagna e molti altri paesi, perchè noi no?
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Thetic2 gayboymilano • 2 ore fa
La gran bretagna sta' forse messa peggio di noi in quanto a svendite.
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koralloxxxx gayboymilano • 5 ore fa
cos'è che fanno germania e gran bretagna?
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Lorenzo gayboymilano • 9 ore fa
prossima tappa URSS?
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Meri Diano gayboymilano • 10 ore fa
Perchè da noi i politici hanno diritto alle loro sacrosante mazzette.
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Basta togliere grandi .
D'ora in avanti ,viste le teorie di Padoan, i giovani imprenditori saranno quelli sopravvissuti con fascia di età tra i 60 e 70
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Quids1n • 8 ore fa
-
Non è più un paese per aziende il nostro,
bensì per pensionati e scrocconi statali!
Bye bye Italy e auguri di ... buon default.
Amen.
-
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SalvasElrond Quids1n • 6 ore fa
non e piu un paese per aziende.. MEDIO PICCOLE visto che sono state devastate e facevano dell italia il PAESE LEADER DELL area europea!UN PAESE FLORIDO nonostante i difetti che avevamo e abbiamo... ahhhh le grandi aziendi.. le grandi aziendi... CUI PRODEST? CAPRE!
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Massimo011 • 8 ore fa
Ricordo le parole dell'ex A.D. di Fiat Romiti,nell'intervista in cui,parlando dell'Olivetti(e di Adriano come Industriale e uomo 'anomalo' nel panorama italiano).il Cesare ebbe a dire(con sincerità,credo),pressappoco così a proposito degli industriali italiani:
"Gli 'olivettiani' (quelli che provenivano da Ivrea e cercavano un posto in Fiat) si consideravano 'superiori' a noi metalmeccanici che invece avevamo l'orgoglio della vera e schietta manovalanza-operaista che ha fatto grande l'industria italiana.A differenza del modello Olivetti,la Fiat non ha mai amato rischiare troppo in innovazioni e visioni futuribili,ma,come la maggior parte degli industriali italiani,faceva parte di quella schiera di 'attendisti',di quelli cioè che si muovono in base alle condizioni e alle opportunità del momento,senza rischiare troppo per un futuro troppo lontano e quindi molto incerto".
Credo che in queste poche parole si può riassumere un bel po' della visione di buona parte della grande industria italiana,spesso 'aiutata' dallo Stato(anche per motivi occupazionali-elettorali) e spesso affermatasi ,specie sul mercato interno, anche per il raggiro di norme e precauzioni sia sulle leggi comuni sia su quelle specifiche della tutela della salute e dell'ambiente.
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Alessandro Finocchiaro Massimo011 • 2 ore fa
bellissima analisi che fa capire una cosa, con questa classe imprenditoriale l'Italia non ha futuro.
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aa Massimo011 • 3 ore fa
infatti l'olivetti è stata un fallimento
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Alessandro Finocchiaro aa • 2 ore fa
si perché ci ha messo le mani DeBenedetti, un im-prenditore, ma la Olivetti è stata la PRIMA azienda a mettere in commercio il primo calcolatore per ufficio ancor prima della IBM, una visione che rende Steve Jobs un praticante
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Massimo011 aa • 3 ore fa
Se sapessi minimamente cos'è stata l'Olivetti....è stato il più bel 'fallimento' dell'industria italiana d'avanguardia.Il fallimento che ha aperto ad altri interi settori industriali ed economici(e il tentativo di coniugare territorio e industria in un progetto di scambio e rispetto verso la comunità che ne ospitava le strutture)..
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Farinata • 9 ore fa
pensare che questi imprenditori sono gli idoli di Renzi
e si capisce tutto
se tutto va bene, siamo rovinati
non fatevi risucchiare nella trappola del lavoro
in italia dove puoi lavorare ?
la stanno smantellando, aprite gli occhi
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libertariolaborioso • 9 ore fa
ho il vagosentore ..... che l'italia sembri a corto di ..... persone capaci !
ma essendo ciò ........ geneticamente impossibile,
la spiegazione più plausibile ..... potrebbe essere che
esiste un TAPPO politico/imprenditoriale/sociale ........ che blocca l'emergere
di persone oneste, leali e capaci !!!
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Nome Cognome libertariolaborioso • 5 ore fa
Era già noto da tempo: e le persone serie, che non raccontan storie, le han spedite in ferie [Celentano credo anni 70]
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pz7 libertariolaborioso • 6 ore fa
Esatto. Chi lo é soffre perché non esiste certezza ed uniformità nel diritto, quindi paga spesso essere parassiti, più che provare ad avere successo
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SalvasElrond libertariolaborioso • 6 ore fa
--> si chiama Euro ed Eurofollie... germanocentriche
studiare tanto... e seriamente per essere "LIBERI" di credere.. liberi non forzati...
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Callisto12 • 9 ore fa
Ma perché un'impresa deve pagare l'assurda pressione fiscale italiana?
Che vadano all'estero e gli italiani senza lavoro così possono riflettere su molte cose.
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cristina Callisto12 • 9 ore fa
Devo dire con profonda amarezza che hai ragione! Il M5S ha fatto approvare un emendamento con il quale le aziende che prendono soldi dallo stato italiano per gli investimenti produttivi e poi invece delocalizzano sono tenute a ridare indietro i soldi presi! Ma gli italioti hanno votato chi favorisce l'espatrio di queste aziende e insieme ad esse si volatilizzano anche i posti di lavoro!
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Sergio Martinez cristina • 7 ore fa
E per completare l'opera, ciliegina sulla torta, aumenta le tasse sui passaporti, come a voler simbolicamente spremere fino all'ultimo secondo chi decide di emigrare
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pz7 Sergio Martinez • 6 ore fa
Per quello basta prendere un aereo con scalo EU prima di uscire dall'unione
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Lonardo • 9 ore fa
mi viene sempre in mente un commento fattomi da un turista tedesco qualche anno fa :
" voi italiani siete bravi a fare i pizzaioli e i camerieri, ma le auto lasciatele fare a noi "
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Sergio Martinez Lonardo • 7 ore fa
Gli hai regalato un modellino di Ferrari?
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fepi Lonardo • 9 ore fa
ecco questo commento e la conferma e perche l'europa ci mangera vivi.. dimostrazione di ignoranza e autodio dell'italia. al signore tedesco poteva farle notare ferrari maserati alfaromeo e panda o vecchoa 500.. ma no , a noi piace beatificare l'estero anche quando mistifica venendo qui solo per rubare genrazioni di lavoro e conoscienza italiana. Il concetto di distruzione della concorrenza, ne ha mai sentito parlare?Vergogna la prossima volta risponda al tedesco non solo al riguardo della loro sofisticata cucina di crauti e wrustel ma anche del loro passato e come la loro unica maniera di aumentare il loro pil sia attraverso il mercantilismo sfrenato e violente occupazioni dei territori accanto , barando sulle regole .. ora su quelle UE.
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Meri Diano • 9 ore fa
Bel concetto di liberalismo. Quando nella concorrenza vincono gli altri, si chiama aggressività.
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nico211 • 10 ore fa
Belle mezze verità, in sole due righe ho trovato due dati oggetivamente non veri:
"Nel 2003 Fiat costruiva qui più di un milione di auto, oggi sono 380
mila; il Regno Unito, che non ha “suoi” costruttori, ne produce un
milione e mezzo. "
Se si cerca "annual car production by country" wikipedia mi illumina subito:
1. Jaguar e Rover per esempio non sono britannici?
2. Se è vero che l'Italia produce poche auto, nel 2013 ne ha prodotte 658 mila. Quasi il doppio sopra indicato.
Adesso non voglio andare a verificare il resto dell' articolo, ma un pochino di serità in piu non guasterebbe perchè il compito dei giornali sarebbe informare corettamente la gente non pubblicare articoli faziosi per fare cassa
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Lorenzo nico211 • 9 ore fa
Jaguar e rover non sono piu' britanniche (sorgente Wikipedia). Bisognerebbe fare un po di verifiche prima di postare
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nico211 Lorenzo • 7 ore fa
Su questo si puo discutere, appartiene si alla TATA motors, ma la sede rimane in UK. Al contrario della Fiat che tecnicamente ha comprato la Chrysler ma ha spostato la sede.
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Lorenzo nico211 • 7 ore fa
non si discute niente. Sono indiane. Se domani Tata vuole spostare tutto in India lo fa.
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gayboymilano • 10 ore fa
Renzi dovrebbe adottare un sano "protezionismo" delle aziende strategiche per il paese proibendo le delocalizzazioni della produzione e che vengano vendute o "svendute" a stranieri. Così fanno la Francia, la Germania, la Gran Bretagna e molti altri paesi, perchè noi no?
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Thetic2 gayboymilano • 2 ore fa
La gran bretagna sta' forse messa peggio di noi in quanto a svendite.
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koralloxxxx gayboymilano • 5 ore fa
cos'è che fanno germania e gran bretagna?
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Lorenzo gayboymilano • 9 ore fa
prossima tappa URSS?
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Meri Diano gayboymilano • 10 ore fa
Perchè da noi i politici hanno diritto alle loro sacrosante mazzette.
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Re: Economia
Non si discute per aver ragione, ma per capire!
Economia. Tema strettamente legato a: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?
Economia produttiva - 2
Confindustria: Italia arretra ancora, sorpasso Brasile
Il nostro Paese scivola dal settimo all'ottavo posto nella graduatoria dei produttori elaborata dal Centro Studi di viale Astronomia che parla anche di "demeriti domestici". Perse 100mila imprese e un milione di posti di lavoro. Squinzi: "Dati tragici, ma si può svoltare"
MILANO - Il Brasile supera l'Italia. Preoccupante in vista dei mondiali di calcio al via la prossima settimana, ma ancora di più sul fronte industriale: la Penisola rischia infatti di uscire dal G8 dei produttori manifatturieri dopo essere scivolata all'ultimo posto, superata proprio dai carioca.
L'allarme arriva da Confindustria che ha eleborato - attraverso il suo centro studi - la graduatoria dei Paesi produttori.
Viale dell'Astronomia parla anche di "demeriti domestici", ma preoccupa il trend: mentre i volumi mondiali sono cresciuti del 36% tra il 2000 e il 2013, l'Italia è "in netta controtendenza" con un -25,5%. "Fa peggio proprio dove gli altri vanno meglio", si legge nello studio.
Una fotografia che per Squinzi rappresenta "dati tragici", con il lavoro che diventa "la priorità assoluta". Per il leader degli industriali, però, "non siamo vittime di un destino crudele e ineluttabile, siamo noi che possiamo e dobbiamo costruire il nostro futuro", avverte Giorgio Squinzi. Ma serve "un salto di mentalità, una svolta chiara e decisa. E mi pare - dice - che si stanno creando le condizioni per tale svolta. Sono sicuro che ce la possiamo fare: ce la dobbiamo fare".
Drammatiche le conseguenza della "massiccia erosione della base produttiva" che ha portato alla chiusura di oltre 100mila fabbriche con la distruzione quasi un milione di posti di lavoro tra il 2001 e il 2011, "proseguita nel biennio successivo: altri 160mila occupati e 20mila imprese perduti". In sei anni, quindi, l'Italia è passata dal quinto all'ottavo posto nella graduatoria internazionale dei maggiori Paesi produttori elaborata annualmente dal CsC. Resta in generale "un ottimo piazzamento", ma pesano "demeriti domestici" che hanno accentuato l'arretramento: "Nel 2007-2013 la produzione è scesa del 5% medio annuo, una contrazione che non ha riscontro negli altri più grandi Paesi manifatturieri".
L'industria manifatturiera italiana soffre per fattori che "si intrecciano e accavallano", come "il calo della domanda interna, l'asfissia del credito, l'aumento del costo del lavoro slegato dalla produttività, la redditività che ha toccato nuovi minimi". Pesano anche "i condizionamenti europei" che "certo non aiutano": tutta l'Europa arretra ad eccezione di Germania e Polonia ("ma per quanto a lungo? si domandano gli economisti di Confindustria) per le "politiche fiscali restrittive" e "il paradosso di un euro che si apprezza, specialmente nei confronti delle valute di molte economie emergenti, e frena così il driver delle esportazioni".
In un quadro della produzione manifatturiera mondiale che "ha ripreso a crescere", rilevano ancora gli economisti di Confindustria nel tradizionale rapporto di giugno sugli scenari industriali, "arranca l'Europa, fiaccata da politiche di bilancio, dal credit crunch e da un euro forte che rallenta le esportazioni". L'Italia "tra tutte le grandi economie industriali appare il Paese più in difficoltà, scontando gli effetti congiunti del crollo della domanda interna e di un costo del lavoro alto". Anche se resta "una forte capacità di competere" e "ci sono segnali di cambiamento delle strategie delle imprese" per reagire al credit crunch senza ridurre gli investimenti.
Quanto alla "classifica" dei maggiori Paesi produttori, con l'ultimo aggiornamento del Csc, nel 2013 si conferma in vetta la terna Cina, Stati Uniti, Giappone; la Germania è ancora quarta, seguita come l'anno prima da Corea del Sud e India. Al settimo posto il Brasile che sorpassa l'Italia, che scende quindi dal settimo all'ottavo posto.
(04 giugno 2014) © RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.repubblica.it/economia/2014/ ... ef=HREC1-5
Economia. Tema strettamente legato a: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?
Economia produttiva - 2
Confindustria: Italia arretra ancora, sorpasso Brasile
Il nostro Paese scivola dal settimo all'ottavo posto nella graduatoria dei produttori elaborata dal Centro Studi di viale Astronomia che parla anche di "demeriti domestici". Perse 100mila imprese e un milione di posti di lavoro. Squinzi: "Dati tragici, ma si può svoltare"
MILANO - Il Brasile supera l'Italia. Preoccupante in vista dei mondiali di calcio al via la prossima settimana, ma ancora di più sul fronte industriale: la Penisola rischia infatti di uscire dal G8 dei produttori manifatturieri dopo essere scivolata all'ultimo posto, superata proprio dai carioca.
L'allarme arriva da Confindustria che ha eleborato - attraverso il suo centro studi - la graduatoria dei Paesi produttori.
Viale dell'Astronomia parla anche di "demeriti domestici", ma preoccupa il trend: mentre i volumi mondiali sono cresciuti del 36% tra il 2000 e il 2013, l'Italia è "in netta controtendenza" con un -25,5%. "Fa peggio proprio dove gli altri vanno meglio", si legge nello studio.
Una fotografia che per Squinzi rappresenta "dati tragici", con il lavoro che diventa "la priorità assoluta". Per il leader degli industriali, però, "non siamo vittime di un destino crudele e ineluttabile, siamo noi che possiamo e dobbiamo costruire il nostro futuro", avverte Giorgio Squinzi. Ma serve "un salto di mentalità, una svolta chiara e decisa. E mi pare - dice - che si stanno creando le condizioni per tale svolta. Sono sicuro che ce la possiamo fare: ce la dobbiamo fare".
Drammatiche le conseguenza della "massiccia erosione della base produttiva" che ha portato alla chiusura di oltre 100mila fabbriche con la distruzione quasi un milione di posti di lavoro tra il 2001 e il 2011, "proseguita nel biennio successivo: altri 160mila occupati e 20mila imprese perduti". In sei anni, quindi, l'Italia è passata dal quinto all'ottavo posto nella graduatoria internazionale dei maggiori Paesi produttori elaborata annualmente dal CsC. Resta in generale "un ottimo piazzamento", ma pesano "demeriti domestici" che hanno accentuato l'arretramento: "Nel 2007-2013 la produzione è scesa del 5% medio annuo, una contrazione che non ha riscontro negli altri più grandi Paesi manifatturieri".
L'industria manifatturiera italiana soffre per fattori che "si intrecciano e accavallano", come "il calo della domanda interna, l'asfissia del credito, l'aumento del costo del lavoro slegato dalla produttività, la redditività che ha toccato nuovi minimi". Pesano anche "i condizionamenti europei" che "certo non aiutano": tutta l'Europa arretra ad eccezione di Germania e Polonia ("ma per quanto a lungo? si domandano gli economisti di Confindustria) per le "politiche fiscali restrittive" e "il paradosso di un euro che si apprezza, specialmente nei confronti delle valute di molte economie emergenti, e frena così il driver delle esportazioni".
In un quadro della produzione manifatturiera mondiale che "ha ripreso a crescere", rilevano ancora gli economisti di Confindustria nel tradizionale rapporto di giugno sugli scenari industriali, "arranca l'Europa, fiaccata da politiche di bilancio, dal credit crunch e da un euro forte che rallenta le esportazioni". L'Italia "tra tutte le grandi economie industriali appare il Paese più in difficoltà, scontando gli effetti congiunti del crollo della domanda interna e di un costo del lavoro alto". Anche se resta "una forte capacità di competere" e "ci sono segnali di cambiamento delle strategie delle imprese" per reagire al credit crunch senza ridurre gli investimenti.
Quanto alla "classifica" dei maggiori Paesi produttori, con l'ultimo aggiornamento del Csc, nel 2013 si conferma in vetta la terna Cina, Stati Uniti, Giappone; la Germania è ancora quarta, seguita come l'anno prima da Corea del Sud e India. Al settimo posto il Brasile che sorpassa l'Italia, che scende quindi dal settimo all'ottavo posto.
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Re: Economia
Micciché (Fi): "Non si può vivere bene con quattromila euro al mese"
L'ex ministro: "Con tre figli, di cui due da far studiare lontano da casa, non è facile"
Pubblicato il 04/06/14 da Affaritaliani.it in Politica|TAGS: miccichè, stipendio, video
Una confessione che certamente susciterà molte polemiche quella di Gianfranco Micciché. L'ex ministro e recente capolista per Forza Italia in Sicilia (non eletto), in un'intervista a Repubblica Tv, spiega che "con la sola pensione di parlamentare da 4 mila euro al mese non si può vivere bene". E rivela di essersi candidato alla Europee anche per problemi economici: "Con tre figli, di cui due da far studiare lontano da casa, non è facile...".
La trombatura di Gianfranco Micchiche', non eletto benche' fosse il capolista di Forza Italia nella circoscrizione isole e benche' il partito di Berlusconi in Sicilia abbia superato il 21% dei voti, scatena malumori interni nei confronti del coordinatore regionale azzurro, il senatore Vincenzo Gibiino.
A dar voce alle critiche e' la deputata regionale di Grande Sud Pid verso Forza Italia Bernadette Grasso, che in una nota esprime "disappunto per la gestione del coordinatore regionale del partito, Vincenzo Gibiino, che ha portato alla mancata elezione dello stesso Micciche' al Parlamento Europeo per circa 500 voti". Grasso chiede le dimissioni di Gibiino perche' la sfiorata elezioni del capolista Gianfranco Micciche' non puo' passare senza osservare che il coordinamento regionale ha gravi responsabilita' delle quali deve rispondere dinnanzi all'intera Forza Italia di Sicilia".
http://notizie.virgilio.it/politica/mic ... -mese.html
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Paolo11
L'ex ministro: "Con tre figli, di cui due da far studiare lontano da casa, non è facile"
Pubblicato il 04/06/14 da Affaritaliani.it in Politica|TAGS: miccichè, stipendio, video
Una confessione che certamente susciterà molte polemiche quella di Gianfranco Micciché. L'ex ministro e recente capolista per Forza Italia in Sicilia (non eletto), in un'intervista a Repubblica Tv, spiega che "con la sola pensione di parlamentare da 4 mila euro al mese non si può vivere bene". E rivela di essersi candidato alla Europee anche per problemi economici: "Con tre figli, di cui due da far studiare lontano da casa, non è facile...".
La trombatura di Gianfranco Micchiche', non eletto benche' fosse il capolista di Forza Italia nella circoscrizione isole e benche' il partito di Berlusconi in Sicilia abbia superato il 21% dei voti, scatena malumori interni nei confronti del coordinatore regionale azzurro, il senatore Vincenzo Gibiino.
A dar voce alle critiche e' la deputata regionale di Grande Sud Pid verso Forza Italia Bernadette Grasso, che in una nota esprime "disappunto per la gestione del coordinatore regionale del partito, Vincenzo Gibiino, che ha portato alla mancata elezione dello stesso Micciche' al Parlamento Europeo per circa 500 voti". Grasso chiede le dimissioni di Gibiino perche' la sfiorata elezioni del capolista Gianfranco Micciche' non puo' passare senza osservare che il coordinamento regionale ha gravi responsabilita' delle quali deve rispondere dinnanzi all'intera Forza Italia di Sicilia".
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Re: Economia
Il commercio - 1
Confcommercio: “Servono 11 anni per tornare ai livelli pre-crisi”
Secondo quanto emerge dall'ultimo rapporto presentato, sono 12.000 le imprese in meno rispetto ai primi tre mesi del 2014. Si amplia il divario tra nord e sud: nel meridione, infatti, i consumi toccheranno livelli più bassi di 20 anni fa. "Gli investimenti mostrano un'economia reale drammaticamente ferma", si legge nella nota
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 5 giugno 2014Commenti (7)
Undici anni per tornare ai livelli pre-crisi.
E’ questo il dato più forte che emerge dal rapporto ‘Le economie regionali’ presentato dall’ufficio studi Confcommercio in occasione dell’assemblea annuale.
Resta critico anche lo stato di salute delle attività commerciali e dei servizi, con oltre 12.000 imprese in meno nei primi tre mesi del 2014.
L’80% di queste riguardano settori non alimentari e in particolare l’abbigliamento. Si amplia ancora il divario economico-sociale tra il Nord e Sud del paese; nel 2015, infatti, i consumi nel meridione toccheranno livelli più bassi di vent’anni fa. “Nel 2015, al Sud, si raggiungeranno 12.160 euro pro capite, un livello addirittura inferiore a quelli di vent’anni fa (12.195 euro, ndr)”, si legge nel rapporto.
Consumi ancora fermi nel mese di aprile 2014 - Secondo Confcommercio l’indicatore dei consumi registra una flessione dello 0,3% rispetto a marzo, con un aumento dello 0,2% su base annua. Con un Pil a +0,5% e i consumi fermi a +0,1% nel 2014, la ripresa si allontana e si conferma più debole del previsto. La stima di Confcommercio, prevede “un leggero recupero nel 2015 con Pil a +0,9% e consumi a +0,7%”. Ma anche se “la fiducia cresce, i consumi e gli investimenti mostrano l’altra faccia del Paese, quella di un’economia reale drammaticamente ferma al palo”. Tra il 2007 e il 2013 il prodotto procapite si è ridotto di oltre 3.100 euro e fino al 2015 non è atteso nessun significativo recupero.
Italia esporta quasi la metà della Germania – Dati allarmanti anche per quanto riguarda l’export di beni; l’Italia con una quota del 25%, esporta quasi la metà rispetto alla Germania (44%) e quasi un terzo rispetto all’Olanda(70%). A livello regionale, solo il Veneto, l’Emilia Romagna e la Lombardia si avvicinano alla media della zona euro (35%). Molto inferiore la percentuale del Mezzogiorno (13%), a testimonianza della mancanza di politiche adeguate a sostenere il turismo, fonte di export fondamentale per il meridione.
Occupazione: dal ’95 il Sud a -5,2%. Ci si sposta al Nord o in Europa – Anche le dinamiche occupazionali confermano il distacco del Sud dal resto del Paese: mentre il numero di occupati in Italia dal 1995 al 2013 cresce del 3,6%, al Sud cala del 5,2%. Per cercare nuove opportunità di lavoro, ci si sposta dal Sud al Nord e dal Nord Italia verso l’Europa; dal 2007 si fanno meno figli e oggi il tasso di natalità è il più basso dell’ultimo decennio (9 per mille nel 2012, 9,4 per mille nel 2002).
Sud si spopola, cresce popolazione nel nord-est – L’Italia negli ultimi anni cambia anche dal punto di vista demografico: cresce la popolazione del Nord-Est (+11,3% dal 1995), mentre scende al Sud (-0,2%).
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06 ... i/1014125/
Confcommercio: “Servono 11 anni per tornare ai livelli pre-crisi”
Secondo quanto emerge dall'ultimo rapporto presentato, sono 12.000 le imprese in meno rispetto ai primi tre mesi del 2014. Si amplia il divario tra nord e sud: nel meridione, infatti, i consumi toccheranno livelli più bassi di 20 anni fa. "Gli investimenti mostrano un'economia reale drammaticamente ferma", si legge nella nota
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 5 giugno 2014Commenti (7)
Undici anni per tornare ai livelli pre-crisi.
E’ questo il dato più forte che emerge dal rapporto ‘Le economie regionali’ presentato dall’ufficio studi Confcommercio in occasione dell’assemblea annuale.
Resta critico anche lo stato di salute delle attività commerciali e dei servizi, con oltre 12.000 imprese in meno nei primi tre mesi del 2014.
L’80% di queste riguardano settori non alimentari e in particolare l’abbigliamento. Si amplia ancora il divario economico-sociale tra il Nord e Sud del paese; nel 2015, infatti, i consumi nel meridione toccheranno livelli più bassi di vent’anni fa. “Nel 2015, al Sud, si raggiungeranno 12.160 euro pro capite, un livello addirittura inferiore a quelli di vent’anni fa (12.195 euro, ndr)”, si legge nel rapporto.
Consumi ancora fermi nel mese di aprile 2014 - Secondo Confcommercio l’indicatore dei consumi registra una flessione dello 0,3% rispetto a marzo, con un aumento dello 0,2% su base annua. Con un Pil a +0,5% e i consumi fermi a +0,1% nel 2014, la ripresa si allontana e si conferma più debole del previsto. La stima di Confcommercio, prevede “un leggero recupero nel 2015 con Pil a +0,9% e consumi a +0,7%”. Ma anche se “la fiducia cresce, i consumi e gli investimenti mostrano l’altra faccia del Paese, quella di un’economia reale drammaticamente ferma al palo”. Tra il 2007 e il 2013 il prodotto procapite si è ridotto di oltre 3.100 euro e fino al 2015 non è atteso nessun significativo recupero.
Italia esporta quasi la metà della Germania – Dati allarmanti anche per quanto riguarda l’export di beni; l’Italia con una quota del 25%, esporta quasi la metà rispetto alla Germania (44%) e quasi un terzo rispetto all’Olanda(70%). A livello regionale, solo il Veneto, l’Emilia Romagna e la Lombardia si avvicinano alla media della zona euro (35%). Molto inferiore la percentuale del Mezzogiorno (13%), a testimonianza della mancanza di politiche adeguate a sostenere il turismo, fonte di export fondamentale per il meridione.
Occupazione: dal ’95 il Sud a -5,2%. Ci si sposta al Nord o in Europa – Anche le dinamiche occupazionali confermano il distacco del Sud dal resto del Paese: mentre il numero di occupati in Italia dal 1995 al 2013 cresce del 3,6%, al Sud cala del 5,2%. Per cercare nuove opportunità di lavoro, ci si sposta dal Sud al Nord e dal Nord Italia verso l’Europa; dal 2007 si fanno meno figli e oggi il tasso di natalità è il più basso dell’ultimo decennio (9 per mille nel 2012, 9,4 per mille nel 2002).
Sud si spopola, cresce popolazione nel nord-est – L’Italia negli ultimi anni cambia anche dal punto di vista demografico: cresce la popolazione del Nord-Est (+11,3% dal 1995), mentre scende al Sud (-0,2%).
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Re: Economia
Il Pil - 1
Crisi, Istat: “Nuovo crollo del Pil al Sud: -4%. A livello nazione -1,9%”
Dai dati emerge un Paese spaccato a metà. Anche per quanto riguarda l'occupazione nel Mezzogiorno il calo è stato del 4,5%, più contenuto rispetto al resto del Paese
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 6 giugno 2014Commenti (51)
Il 2013 è stato un altro anno drammatico per l’economia del Mezzogiorno. Il Pil è sceso del 4%, più del doppio della contrazione nazionale che è dell’1,9%. La conferma delle diseguaglianze territoriali per quanto riguarda gli effetti della crisi arriva dai dati appena diffusi dall’Istat che segnalano “una dinamica piuttosto diversificata, con una riduzione decisamente meno marcata rispetto a quella media nazionale nel Nord-ovest (-0,6%), poco meno intensa nel Nord-est (-1,5%), in linea con il dato nazionale nel Centro (-1,8%) e molto più accentuata nel Mezzogiorno (-4%)”.
Qui si assiste a una caduta verticale dell’industria (-8,3%) mentre solo l’agricoltura riesce a tenere (-0,3%). Nel Nord-ovest – spiega l’istituto – le forti diminuzioni del valore aggiunto registrate nel settore primario (-3,1%) e nell’industria (-3,3%) sono state in buona parte controbilanciate dall’aumento dell’1,1% nei servizi. Nel Nord-est la contrazione dell’attività economica è decisamente più accentuata nel settore dell’industria (-3,4%), meno marcata in quello terziario (-0,4%). L’agricoltura, in controtendenza, ha registrato un aumento del 4,7%. Nel Centro la diminuzione del valore aggiunto ha avuto intensità simili nei tre settori: -1,2% nel settore primario, -1,4% nell’industria e -1,5% nel terziario. Nel Mezzogiorno si registrano dati negativi sia per l’industria che per i servizi, con cadute del valore aggiunto rispettivamente dell’8,3% e del 3,1%. L’agricoltura ha segnato un calo moderato, pari allo 0,3%.
Brutte notizie anche per quanto riguarda l’occupazione che ha registrato, nel 2013, una diminuzione dell’1,9%. Nel Mezzogiorno il calo è più marcato (-4,5%), mentre nel Nord-ovest più contenuto (- 0,3%). Nord-est e Centro mostrano cali, rispettivamente, dell’1,6% e dell’1,2%.
Ma è soprattutto sul fronte industriale che si registrano le maggiori disparità territoriali.
Il calo, osserva l’Istat, è particolarmente pronunciato nel Mezzogiorno (-7,7%) e più contenuto nelle regioni del Centro (-0,7%). Nelle regioni del Nord la riduzione di occupazione nell’industria è pari a -3,5% nel Nord-est e a -2,9% nel Nord-ovest.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06 ... 9/1015780/
Crisi, Istat: “Nuovo crollo del Pil al Sud: -4%. A livello nazione -1,9%”
Dai dati emerge un Paese spaccato a metà. Anche per quanto riguarda l'occupazione nel Mezzogiorno il calo è stato del 4,5%, più contenuto rispetto al resto del Paese
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 6 giugno 2014Commenti (51)
Il 2013 è stato un altro anno drammatico per l’economia del Mezzogiorno. Il Pil è sceso del 4%, più del doppio della contrazione nazionale che è dell’1,9%. La conferma delle diseguaglianze territoriali per quanto riguarda gli effetti della crisi arriva dai dati appena diffusi dall’Istat che segnalano “una dinamica piuttosto diversificata, con una riduzione decisamente meno marcata rispetto a quella media nazionale nel Nord-ovest (-0,6%), poco meno intensa nel Nord-est (-1,5%), in linea con il dato nazionale nel Centro (-1,8%) e molto più accentuata nel Mezzogiorno (-4%)”.
Qui si assiste a una caduta verticale dell’industria (-8,3%) mentre solo l’agricoltura riesce a tenere (-0,3%). Nel Nord-ovest – spiega l’istituto – le forti diminuzioni del valore aggiunto registrate nel settore primario (-3,1%) e nell’industria (-3,3%) sono state in buona parte controbilanciate dall’aumento dell’1,1% nei servizi. Nel Nord-est la contrazione dell’attività economica è decisamente più accentuata nel settore dell’industria (-3,4%), meno marcata in quello terziario (-0,4%). L’agricoltura, in controtendenza, ha registrato un aumento del 4,7%. Nel Centro la diminuzione del valore aggiunto ha avuto intensità simili nei tre settori: -1,2% nel settore primario, -1,4% nell’industria e -1,5% nel terziario. Nel Mezzogiorno si registrano dati negativi sia per l’industria che per i servizi, con cadute del valore aggiunto rispettivamente dell’8,3% e del 3,1%. L’agricoltura ha segnato un calo moderato, pari allo 0,3%.
Brutte notizie anche per quanto riguarda l’occupazione che ha registrato, nel 2013, una diminuzione dell’1,9%. Nel Mezzogiorno il calo è più marcato (-4,5%), mentre nel Nord-ovest più contenuto (- 0,3%). Nord-est e Centro mostrano cali, rispettivamente, dell’1,6% e dell’1,2%.
Ma è soprattutto sul fronte industriale che si registrano le maggiori disparità territoriali.
Il calo, osserva l’Istat, è particolarmente pronunciato nel Mezzogiorno (-7,7%) e più contenuto nelle regioni del Centro (-0,7%). Nelle regioni del Nord la riduzione di occupazione nell’industria è pari a -3,5% nel Nord-est e a -2,9% nel Nord-ovest.
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Re: Economia
https://www.youtube.com/watch?v=-u5-jsR ... ploademail
Cioffi (M5S): "La fitta rete del Gas in Eurasia, ecco cosa c'è dietro"
Ciao
Paolo11
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Re: Economia
Gli investimenti esteri - 1
«DIARIO DELLA TRANSIZIONE» DEL CENSIS
Crollano gli investimenti esteri: -58%
Nel 2013 sono stati pari a 12,4 miliardi di euro. «L’Italia ha un deficit reputazionale accumulato negli anni a causa di corruzione, scandali, criminalità, inefficienza»
di Redazione Online
Crollano gli investimenti esteri in Italia. In cinque anni, dal 2007 al 2013, il calo è stato drammatico: -58%. A dirlo è il Censis, nel 6° numero del «Diario della transizione».
«Gli investimenti diretti esteri nel nostro Paese sono stati pari a 12,4 miliardi di euro nel 2013 - si legge nel report -. I momenti peggiori sono stati il 2008, l’anno della fuga dei capitali, e il 2012, l’anno della crisi del debito pubblico». E, viene sottolineato, si tratta di investimenti «che potrebbero rilanciare la crescita e favorire l’occupazione».
Deficit di reputazione
«La crisi ha colpito tutti i Paesi a economia avanzata - spiega il Censis -, ma l’Italia si distingue per la perdita di attrattività verso i capitali stranieri. Nonostante sia ancora oggi la seconda potenza manifatturiera d’Europa e la quinta nel mondo, il nostro Paese detiene solo l’1,6% dello stock mondiale di investimenti esteri, contro il 2,8% della Spagna, il 3,1% della Germania, il 4,8% della Francia, il 5,8% del Regno Unito». I motivi di questo gap? «La reputazione è un fattore decisivo per favorire la competitività di un Paese. Ma l’Italia ha un deficit reputazionale accumulato negli anni a causa di corruzione diffusa, scandali politici, pervasività della criminalità organizzata, lentezza della giustizia civile, farraginosità di leggi e regolamenti, inefficienza della pubblica amministrazione, infrastrutture carenti».
Tempi troppo lunghi
«L’Italia occupa il 65° posto nella graduatoria mondiale dei fattori determinanti la capacità attrattiva di capitali per un Paese - si legge ancora -, considerando le procedure, i tempi e i costi necessari per avviare un’impresa, ottenere permessi edilizi, allacciare un’utenza elettrica business o risolvere una controversia giudiziaria su un contratto. Siamo ben lontani dalle prime posizioni di Singapore, Hong Kong e Stati Uniti, ma anche da Regno Unito e Germania, posizionati rispettivamente al 10° e al 21° posto. In tutta l’Europa solo Grecia, Romania e Repubblica Ceca presentano condizioni per fare impresa più sfavorevoli delle nostre. Per ottenere tutti i permessi, le licenze e le concessioni di costruzione, in Italia occorrono mediamente 233 giorni, 97 in Germania. Per allacciarsi alla rete elettrica servono 124 giorni in Italia, 17 in Germania. Per risolvere una disputa relativa a un contratto commerciale il sistema giudiziario italiano impiega in media 1.185 giorni, quello tedesco 394».
Punti di forza e di debolezza
Per il Censis abbiamo comunque molti punti di forza: l’Italia è l’11esimo esportatore al mondo, con una quota del 2,7% dell’export mondiale. E siamo un Paese che attrae persone: l’Italia è ancora la quinta destinazione turistica al mondo (dopo Francia, Usa, Cina e Spagna), con più di 77 milioni di stranieri che varcano ogni anno le nostre frontiere (+4,1% tra il 2010 e il 2013). Siamo anche un Paese molto presente nel resto del mondo: si stimano in circa 60 milioni le persone di origine italiana residenti all’estero (15 milioni solo negli Usa) e sono più di 20mila le imprese a controllo nazionale localizzate oltre confine, mentre sono 4,3 milioni gli italiani residenti all’estero e il loro numero cresce rapidamente (+132mila nell’ultimo anno). Al contrario, uno dei più gravi punti di debolezza resta il sistema dell’istruzione: i laureati italiani fra 30 e 34 anni sono il 22,4%, un dato lontanissimo da quello di Gran Bretagna (48%), Francia (44%) e Germania (33%). Performance negative anche nelle competenze degli adulti di età compresa tra i 16 e i 65 anni: l’Italia è ultima per competenze «alfabetiche» (linguistiche ed espressive), rispetto a tutti gli altri 24 Paesi considerati dall’Ocse.
7 giugno 2014 | 12:36
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/economia/14_giug ... 56ac.shtml
«DIARIO DELLA TRANSIZIONE» DEL CENSIS
Crollano gli investimenti esteri: -58%
Nel 2013 sono stati pari a 12,4 miliardi di euro. «L’Italia ha un deficit reputazionale accumulato negli anni a causa di corruzione, scandali, criminalità, inefficienza»
di Redazione Online
Crollano gli investimenti esteri in Italia. In cinque anni, dal 2007 al 2013, il calo è stato drammatico: -58%. A dirlo è il Censis, nel 6° numero del «Diario della transizione».
«Gli investimenti diretti esteri nel nostro Paese sono stati pari a 12,4 miliardi di euro nel 2013 - si legge nel report -. I momenti peggiori sono stati il 2008, l’anno della fuga dei capitali, e il 2012, l’anno della crisi del debito pubblico». E, viene sottolineato, si tratta di investimenti «che potrebbero rilanciare la crescita e favorire l’occupazione».
Deficit di reputazione
«La crisi ha colpito tutti i Paesi a economia avanzata - spiega il Censis -, ma l’Italia si distingue per la perdita di attrattività verso i capitali stranieri. Nonostante sia ancora oggi la seconda potenza manifatturiera d’Europa e la quinta nel mondo, il nostro Paese detiene solo l’1,6% dello stock mondiale di investimenti esteri, contro il 2,8% della Spagna, il 3,1% della Germania, il 4,8% della Francia, il 5,8% del Regno Unito». I motivi di questo gap? «La reputazione è un fattore decisivo per favorire la competitività di un Paese. Ma l’Italia ha un deficit reputazionale accumulato negli anni a causa di corruzione diffusa, scandali politici, pervasività della criminalità organizzata, lentezza della giustizia civile, farraginosità di leggi e regolamenti, inefficienza della pubblica amministrazione, infrastrutture carenti».
Tempi troppo lunghi
«L’Italia occupa il 65° posto nella graduatoria mondiale dei fattori determinanti la capacità attrattiva di capitali per un Paese - si legge ancora -, considerando le procedure, i tempi e i costi necessari per avviare un’impresa, ottenere permessi edilizi, allacciare un’utenza elettrica business o risolvere una controversia giudiziaria su un contratto. Siamo ben lontani dalle prime posizioni di Singapore, Hong Kong e Stati Uniti, ma anche da Regno Unito e Germania, posizionati rispettivamente al 10° e al 21° posto. In tutta l’Europa solo Grecia, Romania e Repubblica Ceca presentano condizioni per fare impresa più sfavorevoli delle nostre. Per ottenere tutti i permessi, le licenze e le concessioni di costruzione, in Italia occorrono mediamente 233 giorni, 97 in Germania. Per allacciarsi alla rete elettrica servono 124 giorni in Italia, 17 in Germania. Per risolvere una disputa relativa a un contratto commerciale il sistema giudiziario italiano impiega in media 1.185 giorni, quello tedesco 394».
Punti di forza e di debolezza
Per il Censis abbiamo comunque molti punti di forza: l’Italia è l’11esimo esportatore al mondo, con una quota del 2,7% dell’export mondiale. E siamo un Paese che attrae persone: l’Italia è ancora la quinta destinazione turistica al mondo (dopo Francia, Usa, Cina e Spagna), con più di 77 milioni di stranieri che varcano ogni anno le nostre frontiere (+4,1% tra il 2010 e il 2013). Siamo anche un Paese molto presente nel resto del mondo: si stimano in circa 60 milioni le persone di origine italiana residenti all’estero (15 milioni solo negli Usa) e sono più di 20mila le imprese a controllo nazionale localizzate oltre confine, mentre sono 4,3 milioni gli italiani residenti all’estero e il loro numero cresce rapidamente (+132mila nell’ultimo anno). Al contrario, uno dei più gravi punti di debolezza resta il sistema dell’istruzione: i laureati italiani fra 30 e 34 anni sono il 22,4%, un dato lontanissimo da quello di Gran Bretagna (48%), Francia (44%) e Germania (33%). Performance negative anche nelle competenze degli adulti di età compresa tra i 16 e i 65 anni: l’Italia è ultima per competenze «alfabetiche» (linguistiche ed espressive), rispetto a tutti gli altri 24 Paesi considerati dall’Ocse.
7 giugno 2014 | 12:36
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http://www.corriere.it/economia/14_giug ... 56ac.shtml
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