13 Senatori del PD si autosospendono
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Re: 13 Senatori del PD si autosospendono
CAOS PD, 14 SI AUTOSOSPENDONO
Renzi ai suoi: "Non lascio l'Italia a Mineo"
Il 41 per cento rischia di finire già in un baule polveroso. Dopo la sostituzione in commissione Affari costituzionali dei senatori Pd Mineo e Chiti in 13 si autosospendono dal gruppo: "E' stata un'epurazione ed è stato violato l'articolo 67 della Costituzione". I renziani di governo non mollano: "Il processo delle riforme non si ferma per dieci senatori" dice la Boschi. "Mineo ha tradito l’accordo con il gruppo" aggiunge Lotti. Sconvocata la riunione della commissione in attesa dell'incontro Renzi-Berlusconi
Riforme, sostituzione Mineo: è rivolta nel Pd. 13 senatori si autosospendono
Gruppo di parlamentari contro la sostituzione in commissione Affari costituzionali: tra loro anche Chiti, Mucchetti, Casson e Corsini. Il caso scoppia a pochi giorni dall'assemblea del partito. I renziani: "12 milioni di elettori con noi". Civati ricorda l'editto bulgaro: "A volte queste cose venivano dalla Bulgaria, ma evidentemente siamo ancora più esotici"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 12 giugno 2014
Il 41 per cento rischia di finire già in un baule polveroso. Renzi chiede strada, fa rimuovere dalla commissione Affari costituzionali del Senato i senatori che si volevano mettere di traverso (Mario Mauro, Corradino Mineo e Vannino Chiti) e il Pd diventa di nuovo una polveriera. Tredici senatori si sono autosospesi dal gruppo parlamentare. E’ stata “un’epurazione delle idee non ortodosse” ed è una “palese violazione della nostra Carta fondamentale – dice uno di loro, l’ex sindaco di Brescia Paolo Corsini – Chiediamo dunque alla presidenza gruppo parlamentare un chiarimento”. Ma il presidente del Consiglio non ci sta: “E’ stupefacente – dice ai suoi, di ritorno dalla missione in Oriente- che Mineo parli di epurazione”. E aggiunge che Il Pd è davanti a un bivio, “non ho preso il 41% per lasciare il futuro del Paese a Mineo”. Tra gli autosospesi ci sono oltre a Corsini, Massimo Mucchetti, Vannino Chiti, Felice Casson, Nerina Dirindin, Maria Chiara Gadda,Maria Grazia Gatti, Sergio Lo Giudice, Claudio Micheloni, lo stesso Mineo, Walter Tocci, Enrico D’Adda, Lucrezia Ricchiuti e Renato Turano. “La sospensione – ha spiegato tra l’altro Casson – è stata decisa in vista dell’assemblea del gruppo di martedì prossimo, dove discuteremo tutti insieme dell’accaduto”.
Pippo Civati paragona la rimozione di Mineo all’”editto bulgaro”. “E’ una decisione di Renzi – osserva – che Zanda ha immediatamente eseguito, perché oggi lo stesso premier l’ha rivendicata dalla Cina. A volte queste cose venivano dalla Bulgaria, ma evidentemente siamo ancora più esotici”. ”Chi non si adegua – prosegue il deputato – viene cacciato” e “questa è la linea dei gruppi parlamentari di maggioranza al Senato“. Poi avverte Renzi: “Se pensa di portare a Berlusconi lo scalpo di Mineo e di Chiti, fa un errore di valutazione: il testo Boschi passerebbe in commissione, ma non in aula, dove le perplessità riemergerebbero, a maggior ragione dopo l’umiliazione costituzionale di ieri”.
La replica dei renziani di governo è di chi ha il coltello dalla parte del manico. “Il processo delle riforme va avanti, non si può fermare per dieci senatori”, taglia corto il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi. La sostituzione di Mineo “è una decisione del gruppo – aggiunge – E’ da lì che, martedì in assemblea, arriveranno le spiegazioni”. “Nessuno ha chiesto loro di autosospendersi – conclude – Dovranno essere loro a decidere se far parte del processo di riforme o fare una scelta diversa”. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti aggiunge: “13 senatori non possono permettersi di mettere in discussione il volere di 12 milioni di elettori e non possono bloccare le riforme che hanno chiesto gli italiani. Ci aspettavamo 20 persone, sono solo 13. Mineo ha tradito l’accordo con il gruppo. Siamo un partito democratico, non anarchico“. Ma secondo il senatore autosospeso Mucchetti, “la riforma della Costituzione non va fatta a colpi di maggioranza”. Nel frattempo è stata annullata la riunione della commissione che si sarebbe dovuta tenere oggi, 12 giugno, anche in attesa che ci sia un nuovo incontro (il terzo) tra Renzi e Silvio Berlusconi.
Lo scontro è aperto. “Informiamo il ministro Boschi – replica Mineo parlando a Radio Radicale – che noi facciamo parte del processo di riforme e che è stata lei a privilegiare il suo orgoglio e la sua vanità, perché dopo 28 ore di dibattito in Senato, con la riforma a portata di mano, con le opposizioni che davano ragione a Matteo Renzi su questioni fondamentali come la fine del bicameralismo, la riduzione dei parlamentari e dei costi, la legge di bilancio solo alla Camera, invece di tener conto di questo e di far fare alla senatrice Anna Finocchiaro una relazione che partisse dal testo Boschi-Renzi migliorandolo in qualche punto, ha chiesto e ottenuto che si tornasse al testo-base”. A Radio Popolare, in precedenza, aveva detto di apprezzare il “Renzi politico” perché “penso sia una risorsa ma il renzismo-stalinismo è grave. Non era mai successo che si violasse così l’articolo 67 della Costituzione. Da parte mia nessun veto, la mia colpa è quella di aver detto che i colonnelli di Renzi, Boschi, Zanda e Finocchiaro hanno gravemente danneggiato il progetto di riforma del Senato voluto dallo stesso governo”. L’articolo 67 è composto di 16 parole: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. “Abbiamo perso le opposizioni – continua Mineo – abbiamo dato al senatore della Lega Roberto Calderoli la possibilità di rappresentare il dibattito parlamentare (e infatti la sua mozione è stata approvata con il concorso del senatore di Popolari per l’Italia Mario Mauro). E allora chiedo: chi è che paralizza le riforme? Le riforme vengono paralizzate dall’atteggiamento maldestro e dall’assenza di gioco di squadra di alcuni collaboratori del presidente del Consiglio Matteo Renzi. Non certo da me e da Vannino Chiti”.
Ora la frattura può avere effetti già sabato prossimo, 14 giugno, quando è in programma l’assemblea nazionale del partito. ”Sulla posizione assunta dai 13 colleghi, faremo esprimere l’Assemblea nazionale sabato ed i senatori martedì. In democrazia contano i numeri, non i veti – anticipa il renziano Andrea Marcucci - Abbiamo discusso per mesi. Il testo del governo non è stato blindato ma si è cercato un accordo ampio nel partito, nella maggioranza e tra le forze politiche dell’opposizione. Chiedo a Mineo, Chiti e agli altri di sottoporre la loro posizione ai militanti del Pd e poi la prossima settimana ai loro colleghi di gruppo, che sono 107. “Mi auguro che dopo queste votazioni, il loro dissenso possa rientrare. In caso contrario sono naturalmente liberi di decidere”. Ma per Stefano Fassina “è un errore politico che indebolisce il governo. In questo caso, di fronte all’atteggiamento contrario da parte di alcuni senatori si doveva, anche faticosamente, arrivare ad un chiarimento politico. Ora spero che questi tredici colleghi ottengano la chiarezza che chiedono la prossima settimana. Personalmente non sono d’accordo con tutte le posizioni che gli autosospesi portano avanti”, ma “non è questo il punto. Tanto più ora che il patto con Berlusconi sembra piuttosto evanescente”.
E quando meno te lo aspetti, il Pd incassa il sostegno di un deputato dei Cinque Stelle. “Non difendo Mineo e Chiti. Ma non accetto lezioni dal Pd” scrive a caratteri cubitali su twitter il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, difendendo di fatto la linea adottata dal Pd sull’allontamento dei due democratici dalle commissioni. “Sulla questione della sostituzione di Mineo e Chiti da parte del Pd nella commissione affari costituzionali del Senato, dobbiamo essere intellettualmente onesti – chiarisce – e analizzare i fatti per quello che sono: se in un partito o gruppo parlamentare la linea politica si decide a maggioranza e successivamente in parlamento un membro del gruppo vota in dissenso, addirittura rischiando con il suo voto di sabotare la linea decisa dalla maggioranza dei suoi colleghi, è giusto che vengano presi provvedimenti. Al di là del merito della votazione (in questo caso la riforma vergognosa della Costituzione)”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06 ... d/1024374/
Renzi ai suoi: "Non lascio l'Italia a Mineo"
Il 41 per cento rischia di finire già in un baule polveroso. Dopo la sostituzione in commissione Affari costituzionali dei senatori Pd Mineo e Chiti in 13 si autosospendono dal gruppo: "E' stata un'epurazione ed è stato violato l'articolo 67 della Costituzione". I renziani di governo non mollano: "Il processo delle riforme non si ferma per dieci senatori" dice la Boschi. "Mineo ha tradito l’accordo con il gruppo" aggiunge Lotti. Sconvocata la riunione della commissione in attesa dell'incontro Renzi-Berlusconi
Riforme, sostituzione Mineo: è rivolta nel Pd. 13 senatori si autosospendono
Gruppo di parlamentari contro la sostituzione in commissione Affari costituzionali: tra loro anche Chiti, Mucchetti, Casson e Corsini. Il caso scoppia a pochi giorni dall'assemblea del partito. I renziani: "12 milioni di elettori con noi". Civati ricorda l'editto bulgaro: "A volte queste cose venivano dalla Bulgaria, ma evidentemente siamo ancora più esotici"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 12 giugno 2014
Il 41 per cento rischia di finire già in un baule polveroso. Renzi chiede strada, fa rimuovere dalla commissione Affari costituzionali del Senato i senatori che si volevano mettere di traverso (Mario Mauro, Corradino Mineo e Vannino Chiti) e il Pd diventa di nuovo una polveriera. Tredici senatori si sono autosospesi dal gruppo parlamentare. E’ stata “un’epurazione delle idee non ortodosse” ed è una “palese violazione della nostra Carta fondamentale – dice uno di loro, l’ex sindaco di Brescia Paolo Corsini – Chiediamo dunque alla presidenza gruppo parlamentare un chiarimento”. Ma il presidente del Consiglio non ci sta: “E’ stupefacente – dice ai suoi, di ritorno dalla missione in Oriente- che Mineo parli di epurazione”. E aggiunge che Il Pd è davanti a un bivio, “non ho preso il 41% per lasciare il futuro del Paese a Mineo”. Tra gli autosospesi ci sono oltre a Corsini, Massimo Mucchetti, Vannino Chiti, Felice Casson, Nerina Dirindin, Maria Chiara Gadda,Maria Grazia Gatti, Sergio Lo Giudice, Claudio Micheloni, lo stesso Mineo, Walter Tocci, Enrico D’Adda, Lucrezia Ricchiuti e Renato Turano. “La sospensione – ha spiegato tra l’altro Casson – è stata decisa in vista dell’assemblea del gruppo di martedì prossimo, dove discuteremo tutti insieme dell’accaduto”.
Pippo Civati paragona la rimozione di Mineo all’”editto bulgaro”. “E’ una decisione di Renzi – osserva – che Zanda ha immediatamente eseguito, perché oggi lo stesso premier l’ha rivendicata dalla Cina. A volte queste cose venivano dalla Bulgaria, ma evidentemente siamo ancora più esotici”. ”Chi non si adegua – prosegue il deputato – viene cacciato” e “questa è la linea dei gruppi parlamentari di maggioranza al Senato“. Poi avverte Renzi: “Se pensa di portare a Berlusconi lo scalpo di Mineo e di Chiti, fa un errore di valutazione: il testo Boschi passerebbe in commissione, ma non in aula, dove le perplessità riemergerebbero, a maggior ragione dopo l’umiliazione costituzionale di ieri”.
La replica dei renziani di governo è di chi ha il coltello dalla parte del manico. “Il processo delle riforme va avanti, non si può fermare per dieci senatori”, taglia corto il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi. La sostituzione di Mineo “è una decisione del gruppo – aggiunge – E’ da lì che, martedì in assemblea, arriveranno le spiegazioni”. “Nessuno ha chiesto loro di autosospendersi – conclude – Dovranno essere loro a decidere se far parte del processo di riforme o fare una scelta diversa”. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti aggiunge: “13 senatori non possono permettersi di mettere in discussione il volere di 12 milioni di elettori e non possono bloccare le riforme che hanno chiesto gli italiani. Ci aspettavamo 20 persone, sono solo 13. Mineo ha tradito l’accordo con il gruppo. Siamo un partito democratico, non anarchico“. Ma secondo il senatore autosospeso Mucchetti, “la riforma della Costituzione non va fatta a colpi di maggioranza”. Nel frattempo è stata annullata la riunione della commissione che si sarebbe dovuta tenere oggi, 12 giugno, anche in attesa che ci sia un nuovo incontro (il terzo) tra Renzi e Silvio Berlusconi.
Lo scontro è aperto. “Informiamo il ministro Boschi – replica Mineo parlando a Radio Radicale – che noi facciamo parte del processo di riforme e che è stata lei a privilegiare il suo orgoglio e la sua vanità, perché dopo 28 ore di dibattito in Senato, con la riforma a portata di mano, con le opposizioni che davano ragione a Matteo Renzi su questioni fondamentali come la fine del bicameralismo, la riduzione dei parlamentari e dei costi, la legge di bilancio solo alla Camera, invece di tener conto di questo e di far fare alla senatrice Anna Finocchiaro una relazione che partisse dal testo Boschi-Renzi migliorandolo in qualche punto, ha chiesto e ottenuto che si tornasse al testo-base”. A Radio Popolare, in precedenza, aveva detto di apprezzare il “Renzi politico” perché “penso sia una risorsa ma il renzismo-stalinismo è grave. Non era mai successo che si violasse così l’articolo 67 della Costituzione. Da parte mia nessun veto, la mia colpa è quella di aver detto che i colonnelli di Renzi, Boschi, Zanda e Finocchiaro hanno gravemente danneggiato il progetto di riforma del Senato voluto dallo stesso governo”. L’articolo 67 è composto di 16 parole: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. “Abbiamo perso le opposizioni – continua Mineo – abbiamo dato al senatore della Lega Roberto Calderoli la possibilità di rappresentare il dibattito parlamentare (e infatti la sua mozione è stata approvata con il concorso del senatore di Popolari per l’Italia Mario Mauro). E allora chiedo: chi è che paralizza le riforme? Le riforme vengono paralizzate dall’atteggiamento maldestro e dall’assenza di gioco di squadra di alcuni collaboratori del presidente del Consiglio Matteo Renzi. Non certo da me e da Vannino Chiti”.
Ora la frattura può avere effetti già sabato prossimo, 14 giugno, quando è in programma l’assemblea nazionale del partito. ”Sulla posizione assunta dai 13 colleghi, faremo esprimere l’Assemblea nazionale sabato ed i senatori martedì. In democrazia contano i numeri, non i veti – anticipa il renziano Andrea Marcucci - Abbiamo discusso per mesi. Il testo del governo non è stato blindato ma si è cercato un accordo ampio nel partito, nella maggioranza e tra le forze politiche dell’opposizione. Chiedo a Mineo, Chiti e agli altri di sottoporre la loro posizione ai militanti del Pd e poi la prossima settimana ai loro colleghi di gruppo, che sono 107. “Mi auguro che dopo queste votazioni, il loro dissenso possa rientrare. In caso contrario sono naturalmente liberi di decidere”. Ma per Stefano Fassina “è un errore politico che indebolisce il governo. In questo caso, di fronte all’atteggiamento contrario da parte di alcuni senatori si doveva, anche faticosamente, arrivare ad un chiarimento politico. Ora spero che questi tredici colleghi ottengano la chiarezza che chiedono la prossima settimana. Personalmente non sono d’accordo con tutte le posizioni che gli autosospesi portano avanti”, ma “non è questo il punto. Tanto più ora che il patto con Berlusconi sembra piuttosto evanescente”.
E quando meno te lo aspetti, il Pd incassa il sostegno di un deputato dei Cinque Stelle. “Non difendo Mineo e Chiti. Ma non accetto lezioni dal Pd” scrive a caratteri cubitali su twitter il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, difendendo di fatto la linea adottata dal Pd sull’allontamento dei due democratici dalle commissioni. “Sulla questione della sostituzione di Mineo e Chiti da parte del Pd nella commissione affari costituzionali del Senato, dobbiamo essere intellettualmente onesti – chiarisce – e analizzare i fatti per quello che sono: se in un partito o gruppo parlamentare la linea politica si decide a maggioranza e successivamente in parlamento un membro del gruppo vota in dissenso, addirittura rischiando con il suo voto di sabotare la linea decisa dalla maggioranza dei suoi colleghi, è giusto che vengano presi provvedimenti. Al di là del merito della votazione (in questo caso la riforma vergognosa della Costituzione)”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06 ... d/1024374/
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Re: 13 Senatori del PD si autosospendono
Mineo, Bersani (Pd): ‘Si poteva evitare. Curioso si chieda fedeltà su testo che non c’è’
Video
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/06/ ... on/284314/
L’ex segretario del Pd, Pierluigi Bersani, ai microfoni del Fatto.it a piazza del Parlamento (Roma) interviene sul caso Mineo: “Ci vorrebbe più pazienza per risolvere i problemi da entrambe le parti e discutere di più”. “Le distanze non sono così rilevanti. Decidono i gruppi con le loro valutazioni, a partire dal merito credo che si poteva evitare. Di certo – afferma -, ognuno ha il diritto ad una sua posizione di coscienza sui temi costituzionali, tuttavia non c’è il diritto da parte di una persona sola, in una situazione particolare, di bloccare un processo” poi aggiunge il deputato “la cosa curiosa è che non c’è ancora il testo di quello su cui si chiede la fedeltà”
di Manolo Lanaro
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/06/ ... on/284314/
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L’ex segretario del Pd, Pierluigi Bersani, ai microfoni del Fatto.it a piazza del Parlamento (Roma) interviene sul caso Mineo: “Ci vorrebbe più pazienza per risolvere i problemi da entrambe le parti e discutere di più”. “Le distanze non sono così rilevanti. Decidono i gruppi con le loro valutazioni, a partire dal merito credo che si poteva evitare. Di certo – afferma -, ognuno ha il diritto ad una sua posizione di coscienza sui temi costituzionali, tuttavia non c’è il diritto da parte di una persona sola, in una situazione particolare, di bloccare un processo” poi aggiunge il deputato “la cosa curiosa è che non c’è ancora il testo di quello su cui si chiede la fedeltà”
di Manolo Lanaro
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Re: 13 Senatori del PD si autosospendono
Bufera Riforme: 13 senatori si autosospendono da gruppo Pd
Boschi: non ci fermiamo per dieci senatori. Processo va avanti. Infondato che Costituzione violata
Quattordici senatori del Pd si sono autosospesi dal gruppo parlamentare in seguito a quanto avvenuto sulle Riforme e sull'allontanamento di Corradino Mineo dalla commissione. Si tratta di Casson, Chiti, Corsini, Gadda, Dirindin, Gatti, Lo Giudice, Micheloni, Mineo, Mucchetti, Ricchiuti, Tocci, Turano e Giacobbe.
Renzi ai suoi,Pd a un bivio,non lascio Paese a Mineo - Il Pd è davanti a un bivio, "non ho preso il 41% per lasciare il futuro del Paese a Mineo". Così Matteo Renzi, rientrando in Italia dalla missione in Asia, si prepara a dar battaglia all'assemblea del Pd che avrà come scenografia un enorme 40.8 come sfondo. E' stupefacente che Mineo parli di epurazione. Un partito non è un taxi che uno prende per farsi eleggere. Così Matteo Renzi, parlando con i suoi al ritorno della missione in oriente, sul caos scoppiato nel Pd dopo la sostituzione di Corradino Mineo come capogruppo in Commissione.
"Se non ci spiegano, la solidarietà è spezzata". Così, conversando con i cronisti a Montecitorio, il senatore Corradino Mineo sottolinea il senso dell'autosospensione proclamata oggi da 13 senatori Pd dopo la sua sostituzione in prima commissione al Senato. "Vogliono nascondere i disastri" fatti sulle riforme, aggiunge Mineo ribadendo che da lui non c'è mai stata volontà di porre veti ma che, allo stesso tempo, Renzi "non può governare fino al 2018 facendo accordi ora con Fi ora con Calderoli".
Mineo, correranno in soccorso orde di berlusconiani - "Al momento non c'è la maggioranza al Senato, è vero, ma tanto ci saranno orde di berlusconiani o di altri che correranno in soccorso": a dirlo è Corradino Mineo, senatore PD, oggi al programma di Rai Radio2 'Un Giorno da Pecora', dove ha parlato della sua sostituzione alla Commissione Affari Costituzionali. E' vero che ha posto un veto sulla riforma del Senato? "E' assolutamente falso, non ho mai posto un veto e non sono affatto il fuoco amico del PD". Qualcuno l'accusa di non esser in linea con la politica del premier. "Io sono più renziano della Boschi, perché la riforma era a portata di mano. Poi però la Boschi ha voluto imporre il suo testo..." Che appello farebbe a Matteo Renzi? "Renzi sta sbagliando, lui ha fatto un autogol e a pugnalare le sue riforme saranno suoi colonnelli". Non cambierebbe il suo giudizio sulla riforma del Senato neppure se le venisse offerta la presidenza del PD? "No, non ho bisogno di cariche", ha risposto Mineo.
"Il processo delle riforme va avanti, non si può fermare per dieci senatori". Lo afferma il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi commentando con i cronisti a Montecitorio il 'caso Mineo'. Caso che, precisa, "è una decisione del gruppo. E da lì che, martedì in assemblea, arriveranno le spiegazioni". "Nessuno ha chiesto loro di autosospendersi. Dovranno essere loro a decidere se far parte del processo di riforme o fare una scelta diversa", ha spiegato il ministro Boschi a chi le chiedeva se c'è una via di uscita allo scontro con i 13 senatori dissidenti sulle riforme.
Serracchiani,decisioni partito siano univoche - "Il partito è un luogo di confronto ma lì, dopo il confronto, si assumono decisioni nell'interesse del Paese e, sia pur nell'assenza del vincolo di mandato, nelle aule parlamentari ci si deve sforzare di esprimere una posizione univoca". Lo afferma Debora Serracchiani, vicesegretaria nazionale del Pd.
Civati, da Renzi "editto bulgaro" come Berlusconi - "E' una decisione di Renzi che Zanda ha immediatamente eseguito". Così Pippo Civati, del Pd, è intervenuto a Radio città futura in seguito alla decisione di sostituire Corradino Mineo in commissione Affari costituzionali al Senato e dopo l'autosospensione di 13 senatori del Pd. "E' una decisione di Renzi - ha proseguito Civati - perché oggi lo stesso premier l'ha rivendicata dalla Cina. A volte queste cose venivano dalla Bulgaria, ma evidentemente siamo ancora più esotici".
RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA
http://www.ansa.it/sito/notizie/politic ... ea339.html
Boschi: non ci fermiamo per dieci senatori. Processo va avanti. Infondato che Costituzione violata
Quattordici senatori del Pd si sono autosospesi dal gruppo parlamentare in seguito a quanto avvenuto sulle Riforme e sull'allontanamento di Corradino Mineo dalla commissione. Si tratta di Casson, Chiti, Corsini, Gadda, Dirindin, Gatti, Lo Giudice, Micheloni, Mineo, Mucchetti, Ricchiuti, Tocci, Turano e Giacobbe.
Renzi ai suoi,Pd a un bivio,non lascio Paese a Mineo - Il Pd è davanti a un bivio, "non ho preso il 41% per lasciare il futuro del Paese a Mineo". Così Matteo Renzi, rientrando in Italia dalla missione in Asia, si prepara a dar battaglia all'assemblea del Pd che avrà come scenografia un enorme 40.8 come sfondo. E' stupefacente che Mineo parli di epurazione. Un partito non è un taxi che uno prende per farsi eleggere. Così Matteo Renzi, parlando con i suoi al ritorno della missione in oriente, sul caos scoppiato nel Pd dopo la sostituzione di Corradino Mineo come capogruppo in Commissione.
"Se non ci spiegano, la solidarietà è spezzata". Così, conversando con i cronisti a Montecitorio, il senatore Corradino Mineo sottolinea il senso dell'autosospensione proclamata oggi da 13 senatori Pd dopo la sua sostituzione in prima commissione al Senato. "Vogliono nascondere i disastri" fatti sulle riforme, aggiunge Mineo ribadendo che da lui non c'è mai stata volontà di porre veti ma che, allo stesso tempo, Renzi "non può governare fino al 2018 facendo accordi ora con Fi ora con Calderoli".
Mineo, correranno in soccorso orde di berlusconiani - "Al momento non c'è la maggioranza al Senato, è vero, ma tanto ci saranno orde di berlusconiani o di altri che correranno in soccorso": a dirlo è Corradino Mineo, senatore PD, oggi al programma di Rai Radio2 'Un Giorno da Pecora', dove ha parlato della sua sostituzione alla Commissione Affari Costituzionali. E' vero che ha posto un veto sulla riforma del Senato? "E' assolutamente falso, non ho mai posto un veto e non sono affatto il fuoco amico del PD". Qualcuno l'accusa di non esser in linea con la politica del premier. "Io sono più renziano della Boschi, perché la riforma era a portata di mano. Poi però la Boschi ha voluto imporre il suo testo..." Che appello farebbe a Matteo Renzi? "Renzi sta sbagliando, lui ha fatto un autogol e a pugnalare le sue riforme saranno suoi colonnelli". Non cambierebbe il suo giudizio sulla riforma del Senato neppure se le venisse offerta la presidenza del PD? "No, non ho bisogno di cariche", ha risposto Mineo.
"Il processo delle riforme va avanti, non si può fermare per dieci senatori". Lo afferma il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi commentando con i cronisti a Montecitorio il 'caso Mineo'. Caso che, precisa, "è una decisione del gruppo. E da lì che, martedì in assemblea, arriveranno le spiegazioni". "Nessuno ha chiesto loro di autosospendersi. Dovranno essere loro a decidere se far parte del processo di riforme o fare una scelta diversa", ha spiegato il ministro Boschi a chi le chiedeva se c'è una via di uscita allo scontro con i 13 senatori dissidenti sulle riforme.
Serracchiani,decisioni partito siano univoche - "Il partito è un luogo di confronto ma lì, dopo il confronto, si assumono decisioni nell'interesse del Paese e, sia pur nell'assenza del vincolo di mandato, nelle aule parlamentari ci si deve sforzare di esprimere una posizione univoca". Lo afferma Debora Serracchiani, vicesegretaria nazionale del Pd.
Civati, da Renzi "editto bulgaro" come Berlusconi - "E' una decisione di Renzi che Zanda ha immediatamente eseguito". Così Pippo Civati, del Pd, è intervenuto a Radio città futura in seguito alla decisione di sostituire Corradino Mineo in commissione Affari costituzionali al Senato e dopo l'autosospensione di 13 senatori del Pd. "E' una decisione di Renzi - ha proseguito Civati - perché oggi lo stesso premier l'ha rivendicata dalla Cina. A volte queste cose venivano dalla Bulgaria, ma evidentemente siamo ancora più esotici".
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Re: 13 Senatori del PD si autosospendono
SCOSSONE PD
Civati e il caso Mineo: «Renzi prepotente, così vai a sbattere»
Il deputato democratico: «Il segretario nasconde le difficoltà di tenuta dell’accordo con Berlusconi. Nessun veto e non faccio il capocorrente dei senatori autosospesi»
di Nino Luca
Tutti lo cercano, tutti lo vogliono. Pippo Civati è ritenuto l’uomo che muove le fila del dissenso trai senatori del Pd. Lui nega e risponde serafico al telefono in un momento di pausa alla Camera dei Deputati.
Chiti e Mineo fuori dalla commissione Istituzionale. Come definirebbe questa operazione del Pd?
«Una decisione di Renzi, eseguita da Zanda, perché oggi lo stesso premier l’ha rivendicata dalla Cina. A volte queste cose venivano dalla Bulgaria, ma evidentemente siamo ancora più esotici. È una scelta molto grave dal punto di vista dei rapporti interni del partito e del gruppo. In secondo luogo è un errore politico perché la sostituzione dei due senatori non impedisce che le contraddizioni si manifestino poi in aula, cioè quando si andrà davvero a votare la riforma del Senato. Il testo Boschi passerebbe in commissione, ma non in aula, dove le perplessità riemergerebbero, a maggior ragione dopo l’umiliazione costituzionale di mercoledì. E allora la mia domanda è: “Non è che questa sostituzione di Mineo nasconda le difficoltà di tenuta dell’accordo con Berlusconi? Avrebbe una grande maggioranza con Forza Italia per votare le riforme, quindi perché tanta prepotenza?»
http://video.corriere.it/casson-pd-cont ... dc1b5aab8c
Tredici senatori vicini alle sue idee si sono autosospesi dal partito. L’onorevole Corsini ha definito la vicenda «un’epurazione». Casson parla di «metodi militari».Qualcun altro dice che questo è il «renzismo».
«Non userei questi toni. Semplicemente è un momento di superficialità e di prepotenza di chi interpreta questa nuova fase. Un atteggiamento molto grave nella consuetudine e nella conversazione democratica. Ricordo quando i dissidenti erano i renziani. Noi stavamo votando tra mille incertezze il presidente della Repubblica, loro addirittura votavano un loro candidato: Sergio Chiamparino. Martedì Giachetti, il furbo renziano, in aula ha dichiarato di votare con le destre sulla responsabilità civile dei magistrati. E fa il vicepresidente della Camera, non fa il dissidente per conto Pd. Mi sorprende che dal “dissenso strategico” che lo ha portato a scalzare un intero gruppo dirigente del Pd, ora Renzi sia passato ad una logica di ortodossia vecchio stile e molto pesante».
Di Maio dei Cinque Stelle invece approva. Per lui alle decisione prese a maggioranza ci si allinea.
«L’approvazione di Di Maio capita a fagiolo. Non mi fa piacere che certi metodi sono passati anche dalle nostre parti... ma ai Cinque Stelle contesto che dovrebbero cambiare loro, non essere felici se certi metodi passano agli altri».
Ma la logica della maggioranza in un partito ci deve essere.
«E infatti io sono il primo che non ha incarichi. Non ho sottosegretari. Mi sono ritagliato un ruolo critico fino in fondo. Anche doloroso. Ho accettato anche decisioni che non condividevo, tipo il decreto lavoro. Segnalo però che qui c’è un problema perché è la discussione riguarda la Costituzione».
Lei criticava i metodi di Grillo? «Nel Pd non ci sono», si vantava con Pizzarotti...
«Beh, diciamo che il “processo di massa” grillino è molto più avanzato. Il nostro è un episodio che non va bene».
La maggioranza ha bisogno di questi 13 senatori. Il governo rischia?
«Nooo..., la maggioranza dovrebbe essere larghissima. Renzi e Boschi continuano a dire che c’è Berlusconi. Addirittura c’è adesso un nuovo rapporto con la Lega. Se davvero stessero così le cose i tredici senatori sono ininfluenti. Non è un problema di veti ma di voti. I senatori autosospesi chiedono che i prossimi senatori passino dal voto. E non attraverso gli accordi dei politici tra loro».
A proposito, le leggo una frase del ministro Boschi: «Il processo delle riforme non si può fermare per dieci senatori».
«Stiano attenti a non andare a sbattere».
Lei cosa fa? Si autosospende per solidarietà o abbozza?
«No, io non abbozzo. Ho manifestato le mie idee con il mio progetto di legge. Seguo con solidarietà, non faccio quello che non c’entra. Ma non faccio nemmeno il capocorrente».
Si è sentito col segretario Renzi? Gli ha mandato qualche sms in Cina?
«No, ma so che lui ne ha mandati a Zanda però».
@Nino_Luca
12 giugno 2014 | 14:18
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/14_giug ... ab8c.shtml
Civati e il caso Mineo: «Renzi prepotente, così vai a sbattere»
Il deputato democratico: «Il segretario nasconde le difficoltà di tenuta dell’accordo con Berlusconi. Nessun veto e non faccio il capocorrente dei senatori autosospesi»
di Nino Luca
Tutti lo cercano, tutti lo vogliono. Pippo Civati è ritenuto l’uomo che muove le fila del dissenso trai senatori del Pd. Lui nega e risponde serafico al telefono in un momento di pausa alla Camera dei Deputati.
Chiti e Mineo fuori dalla commissione Istituzionale. Come definirebbe questa operazione del Pd?
«Una decisione di Renzi, eseguita da Zanda, perché oggi lo stesso premier l’ha rivendicata dalla Cina. A volte queste cose venivano dalla Bulgaria, ma evidentemente siamo ancora più esotici. È una scelta molto grave dal punto di vista dei rapporti interni del partito e del gruppo. In secondo luogo è un errore politico perché la sostituzione dei due senatori non impedisce che le contraddizioni si manifestino poi in aula, cioè quando si andrà davvero a votare la riforma del Senato. Il testo Boschi passerebbe in commissione, ma non in aula, dove le perplessità riemergerebbero, a maggior ragione dopo l’umiliazione costituzionale di mercoledì. E allora la mia domanda è: “Non è che questa sostituzione di Mineo nasconda le difficoltà di tenuta dell’accordo con Berlusconi? Avrebbe una grande maggioranza con Forza Italia per votare le riforme, quindi perché tanta prepotenza?»
http://video.corriere.it/casson-pd-cont ... dc1b5aab8c
Tredici senatori vicini alle sue idee si sono autosospesi dal partito. L’onorevole Corsini ha definito la vicenda «un’epurazione». Casson parla di «metodi militari».Qualcun altro dice che questo è il «renzismo».
«Non userei questi toni. Semplicemente è un momento di superficialità e di prepotenza di chi interpreta questa nuova fase. Un atteggiamento molto grave nella consuetudine e nella conversazione democratica. Ricordo quando i dissidenti erano i renziani. Noi stavamo votando tra mille incertezze il presidente della Repubblica, loro addirittura votavano un loro candidato: Sergio Chiamparino. Martedì Giachetti, il furbo renziano, in aula ha dichiarato di votare con le destre sulla responsabilità civile dei magistrati. E fa il vicepresidente della Camera, non fa il dissidente per conto Pd. Mi sorprende che dal “dissenso strategico” che lo ha portato a scalzare un intero gruppo dirigente del Pd, ora Renzi sia passato ad una logica di ortodossia vecchio stile e molto pesante».
Di Maio dei Cinque Stelle invece approva. Per lui alle decisione prese a maggioranza ci si allinea.
«L’approvazione di Di Maio capita a fagiolo. Non mi fa piacere che certi metodi sono passati anche dalle nostre parti... ma ai Cinque Stelle contesto che dovrebbero cambiare loro, non essere felici se certi metodi passano agli altri».
Ma la logica della maggioranza in un partito ci deve essere.
«E infatti io sono il primo che non ha incarichi. Non ho sottosegretari. Mi sono ritagliato un ruolo critico fino in fondo. Anche doloroso. Ho accettato anche decisioni che non condividevo, tipo il decreto lavoro. Segnalo però che qui c’è un problema perché è la discussione riguarda la Costituzione».
Lei criticava i metodi di Grillo? «Nel Pd non ci sono», si vantava con Pizzarotti...
«Beh, diciamo che il “processo di massa” grillino è molto più avanzato. Il nostro è un episodio che non va bene».
La maggioranza ha bisogno di questi 13 senatori. Il governo rischia?
«Nooo..., la maggioranza dovrebbe essere larghissima. Renzi e Boschi continuano a dire che c’è Berlusconi. Addirittura c’è adesso un nuovo rapporto con la Lega. Se davvero stessero così le cose i tredici senatori sono ininfluenti. Non è un problema di veti ma di voti. I senatori autosospesi chiedono che i prossimi senatori passino dal voto. E non attraverso gli accordi dei politici tra loro».
A proposito, le leggo una frase del ministro Boschi: «Il processo delle riforme non si può fermare per dieci senatori».
«Stiano attenti a non andare a sbattere».
Lei cosa fa? Si autosospende per solidarietà o abbozza?
«No, io non abbozzo. Ho manifestato le mie idee con il mio progetto di legge. Seguo con solidarietà, non faccio quello che non c’entra. Ma non faccio nemmeno il capocorrente».
Si è sentito col segretario Renzi? Gli ha mandato qualche sms in Cina?
«No, ma so che lui ne ha mandati a Zanda però».
@Nino_Luca
12 giugno 2014 | 14:18
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Re: 13 Senatori del PD si autosospendono
Vox populi:
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Lettore_98064812 giugno 2014 | 20:36
Ho sempre votato PD, ma Renzi è invotabile secondo me
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Lettore_98064812 giugno 2014 | 20:33
Solo se comprerà voti, ma stavolta dovrà dare 500 euro al mese, beninteso sempre coi soldi degli ItalianiVOTA RISPONDIRisposta a: Giusal Vedi la discussione >
Lettore_98064812 giugno 2014 | 20:30
La riresa economica te la stai sognando, tu, Renzi e Padoan
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Agnello5812 giugno 2014 | 20:28
Credo che in questo momento sia necessario il male minore , in altre parole, le riforme vanno fatte, anche se non le migliori possibili. Abbiamo perso troppo tempo e il segnale deve essere chiaro e forte: chi si mette di traverso sta fermo un giro; negli ultimi 20 anni a forza di veti (vi ricordate l'includente Bertinotti e la caduta del governo Prodi per l'articolo 18 ! ) siamo finiti dentro ad un declino economico e di valori. Occorre ricostruire un paese intero, anche a costo di qualche riforma non proprio azzeccata. Con il tempo aggiusteremo il tiro. angelo
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micge12 giugno 2014 | 20:26
E' sempre piu' evidente, finalmente, come in Italia ci sia un forte schieramento trasversale , politico, sindacale, della societa' civile, che si oppone sempre e comunque al cambiamento ...Di Mineo, di sinistra e di destra, ce ne abbiamo troppi...Spero che Renzi riesca a coagulare tutte le forze realmente progressiste ( a prescindere dalla loro appartenenza politica ) e che questa palude che ci perseguita da anni venga bonificata ( almeno un poco )...
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1
Lettore_362303812 giugno 2014 | 20:10
ti ho votato alle primarie, non lo farei piu'
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Andrea_0312 giugno 2014 | 20:09
ricordo che voi governate grazie ad alfano,persona che si è presa decine di seggi grazie a Berlusconi candidato. giusto per fare mente locale della situazione vigente quando dite "fatevi un partito e vediamo" state attenti che questo discorso vale pure per nuovo centro destra che vi regge il moccolo.
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Passodiqui12 giugno 2014 | 20:06
Il colpo di coda dei comunisti, andatevene a casa senatori..dimettetevi invece di sospendervi. La linea la detta Renzi e il suo 40%, voi non siete nessuno. (Fiat dux - ndt)
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RISPONDI3
attilio3212 giugno 2014 | 20:03
Se Mineo, in Commissione, vuole esprimere il SUO VOTO PERSONALE, si faccia eleggere con un SUO PARTITO, e poi potrà esprimersi come vuole. FINCHE' STA' IN UNA COMMISSIONE COME RAPPRESENTANTE DI UN PARTITO, DEVE SEGUIRE LE ISTRUZIONI DEL PARTITO CHE RAPPRESENTA. Quindi, volendo Mineo fare quello che il suo "credo" gli suggerisce e non avendo il diritto di farlo, BENE HAN FATTO A SOSTITUIRLO. Il signor Mineo (con Civati e Co. ) non gradiscono, liberi di farlo................ ma altrove. Se ne vanno: le regole vanno rispettate ANCHE DA LORO. Minoranza non è maggioranza; e a voi "protestatari" penso che anche il corpo elettorale abbia dato una buona lezione. Cercate di capirla una volta tanto. (Prove di fascismo mascherato - nedt)
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Andrea_0312 giugno 2014 | 19:57
e renzi la minoranza quando l'ha fatta da sconfitto ? da quando ha perso le primarie a quando si è dimesso bersani non è passata neanche una stagione intera,poi è arrivato epifani cooptato per mesi senza nessun mandato dalla base e letta al governo. lo sapevano anche i procioni che avrebbe vinto,a meno che non avessero mandato qualche pezzo proprio grosso tipo prodi o persone del genere. cuperlo,pittella,civati LOL barca ancora ancora,non si è candidato perché appena arrivato poveretto sarebbe stato troppo azzardato. nel frattempo beato a fare il sindaco a distanza di km tra congressi a destra e sinistra,a dire parole banali "via cancellieri" "via alfano" "brava bonino" "ottimo ius soli" mitico renzi,che apporto costruittivo e può dar davvero lezioni a tutti.
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Fiorenzo5012 giugno 2014 | 19:50
Andate a sbattere voi e da brutto, come credete di giustificare l'interruzione di una possibile ripresa economica?
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gifilu12 giugno 2014 | 19:48
Cosa RENZI pensa di fare se non parla col suo partito ? Presto andrà a sbattere se imporrà dictat autoritari.
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vitvin12 giugno 2014 | 19:44
Approvo,mai un post così di buonsenso.
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vitvin12 giugno 2014 | 19:43
Civati,non ha ancora digerito di essere un perdente e vive di rancore,non l'ho sentito una volta ,dico una ,approvare ciò che fa il segretario di partito e approfitta di tutte le difficoltà per rendere difficile il cammino delle riforme ma manca di totale coerenza perchè col suo disaccordo dovrebbe dimettersi,ma si sa ,tengo famiglia.
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12 giugno 2014 | 19:28
FORZA RENZI! iN DEMOCRAZIA DOPO IL DIBATTITO SU UN PROBLEMA tutti insieme si vota a favore del provvedimento voluto dalla maggioranza. Cara minoranza è la regola democratica, cercate di diventare democraticamente maggioranza per votare le vostre proposte
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Lettore_98064812 giugno 2014 | 20:36
Ho sempre votato PD, ma Renzi è invotabile secondo me
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Lettore_98064812 giugno 2014 | 20:33
Solo se comprerà voti, ma stavolta dovrà dare 500 euro al mese, beninteso sempre coi soldi degli ItalianiVOTA RISPONDIRisposta a: Giusal Vedi la discussione >
Lettore_98064812 giugno 2014 | 20:30
La riresa economica te la stai sognando, tu, Renzi e Padoan
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Agnello5812 giugno 2014 | 20:28
Credo che in questo momento sia necessario il male minore , in altre parole, le riforme vanno fatte, anche se non le migliori possibili. Abbiamo perso troppo tempo e il segnale deve essere chiaro e forte: chi si mette di traverso sta fermo un giro; negli ultimi 20 anni a forza di veti (vi ricordate l'includente Bertinotti e la caduta del governo Prodi per l'articolo 18 ! ) siamo finiti dentro ad un declino economico e di valori. Occorre ricostruire un paese intero, anche a costo di qualche riforma non proprio azzeccata. Con il tempo aggiusteremo il tiro. angelo
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micge12 giugno 2014 | 20:26
E' sempre piu' evidente, finalmente, come in Italia ci sia un forte schieramento trasversale , politico, sindacale, della societa' civile, che si oppone sempre e comunque al cambiamento ...Di Mineo, di sinistra e di destra, ce ne abbiamo troppi...Spero che Renzi riesca a coagulare tutte le forze realmente progressiste ( a prescindere dalla loro appartenenza politica ) e che questa palude che ci perseguita da anni venga bonificata ( almeno un poco )...
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Lettore_362303812 giugno 2014 | 20:10
ti ho votato alle primarie, non lo farei piu'
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Andrea_0312 giugno 2014 | 20:09
ricordo che voi governate grazie ad alfano,persona che si è presa decine di seggi grazie a Berlusconi candidato. giusto per fare mente locale della situazione vigente quando dite "fatevi un partito e vediamo" state attenti che questo discorso vale pure per nuovo centro destra che vi regge il moccolo.
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Passodiqui12 giugno 2014 | 20:06
Il colpo di coda dei comunisti, andatevene a casa senatori..dimettetevi invece di sospendervi. La linea la detta Renzi e il suo 40%, voi non siete nessuno. (Fiat dux - ndt)
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attilio3212 giugno 2014 | 20:03
Se Mineo, in Commissione, vuole esprimere il SUO VOTO PERSONALE, si faccia eleggere con un SUO PARTITO, e poi potrà esprimersi come vuole. FINCHE' STA' IN UNA COMMISSIONE COME RAPPRESENTANTE DI UN PARTITO, DEVE SEGUIRE LE ISTRUZIONI DEL PARTITO CHE RAPPRESENTA. Quindi, volendo Mineo fare quello che il suo "credo" gli suggerisce e non avendo il diritto di farlo, BENE HAN FATTO A SOSTITUIRLO. Il signor Mineo (con Civati e Co. ) non gradiscono, liberi di farlo................ ma altrove. Se ne vanno: le regole vanno rispettate ANCHE DA LORO. Minoranza non è maggioranza; e a voi "protestatari" penso che anche il corpo elettorale abbia dato una buona lezione. Cercate di capirla una volta tanto. (Prove di fascismo mascherato - nedt)
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Andrea_0312 giugno 2014 | 19:57
e renzi la minoranza quando l'ha fatta da sconfitto ? da quando ha perso le primarie a quando si è dimesso bersani non è passata neanche una stagione intera,poi è arrivato epifani cooptato per mesi senza nessun mandato dalla base e letta al governo. lo sapevano anche i procioni che avrebbe vinto,a meno che non avessero mandato qualche pezzo proprio grosso tipo prodi o persone del genere. cuperlo,pittella,civati LOL barca ancora ancora,non si è candidato perché appena arrivato poveretto sarebbe stato troppo azzardato. nel frattempo beato a fare il sindaco a distanza di km tra congressi a destra e sinistra,a dire parole banali "via cancellieri" "via alfano" "brava bonino" "ottimo ius soli" mitico renzi,che apporto costruittivo e può dar davvero lezioni a tutti.
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Fiorenzo5012 giugno 2014 | 19:50
Andate a sbattere voi e da brutto, come credete di giustificare l'interruzione di una possibile ripresa economica?
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gifilu12 giugno 2014 | 19:48
Cosa RENZI pensa di fare se non parla col suo partito ? Presto andrà a sbattere se imporrà dictat autoritari.
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vitvin12 giugno 2014 | 19:44
Approvo,mai un post così di buonsenso.
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vitvin12 giugno 2014 | 19:43
Civati,non ha ancora digerito di essere un perdente e vive di rancore,non l'ho sentito una volta ,dico una ,approvare ciò che fa il segretario di partito e approfitta di tutte le difficoltà per rendere difficile il cammino delle riforme ma manca di totale coerenza perchè col suo disaccordo dovrebbe dimettersi,ma si sa ,tengo famiglia.
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12 giugno 2014 | 19:28
FORZA RENZI! iN DEMOCRAZIA DOPO IL DIBATTITO SU UN PROBLEMA tutti insieme si vota a favore del provvedimento voluto dalla maggioranza. Cara minoranza è la regola democratica, cercate di diventare democraticamente maggioranza per votare le vostre proposte
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Re: 13 Senatori del PD si autosospendono
Riforme, sostituzione Mineo: è rivolta nel Pd. 14 senatori si autosospendono
Gruppo di parlamentari contro la sostituzione in commissione Affari costituzionali: tra loro anche Chiti, Mucchetti, Casson e Corsini. Il caso scoppia a pochi giorni dall'assemblea del partito. I renziani: "12 milioni di elettori con noi". Civati ricorda l'editto bulgaro: "A volte queste cose venivano dalla Bulgaria, ma evidentemente siamo ancora più esotici"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 12 giugno 2014 Commenti (3511)
Il 41 per cento rischia di finire già in un baule polveroso. Renzi chiede strada, fa rimuovere dalla commissione Affari costituzionali del Senato i senatori che si volevano mettere di traverso (Mario Mauro, Corradino Mineo e Vannino Chiti) e il Pd diventa di nuovo una polveriera. Quattordici senatori si sono autosospesi dal gruppo parlamentare. E’ stata “un’epurazione delle idee non ortodosse” ed è una “palese violazione della nostra Carta fondamentale – dice uno di loro, l’ex sindaco di Brescia Paolo Corsini – Chiediamo dunque alla presidenza gruppo parlamentare un chiarimento”. Ma il presidente del Consiglio Matteo Renzi non ci sta: “E’ stupefacente – dice ai suoi, di ritorno dalla missione in Oriente – che Mineo parli di epurazione”. E aggiunge che il Pd è davanti a un bivio, “non ho preso il 41% per lasciare il futuro del Paese a Mineo”. Tra gli autosospesi ci sono oltre a Corsini, Massimo Mucchetti, Vannino Chiti, Felice Casson, Nerina Dirindin, Erica D’Adda, Maria Grazia Gatti, Sergio Lo Giudice, Claudio Micheloni, lo stesso Mineo, Walter Tocci, Lucrezia Ricchiuti e Renato Turano. A loro, poche ore più tardi, si è aggiunto anche Francesco Giacobbe. “La sospensione – ha spiegato tra l’altro Casson – è stata decisa in vista dell’assemblea del gruppo di martedì prossimo, dove discuteremo tutti insieme dell’accaduto”. In tutto i senatori del Pd sono 108. Il capogruppo Luigi Zanda ha chiamato Chiti per organizzare un incontro con gli “autosospesi” che verosimilmente sarà programmato tra lunedì e martedì prossimi.
Pippo Civati paragona la rimozione di Mineo all’”editto bulgaro”. “E’ una decisione di Renzi – osserva – che Zanda ha immediatamente eseguito, perché oggi lo stesso premier l’ha rivendicata dalla Cina. A volte queste cose venivano dalla Bulgaria, ma evidentemente siamo ancora più esotici”. ”Chi non si adegua – prosegue il deputato – viene cacciato” e “questa è la linea dei gruppi parlamentari di maggioranza al Senato“. Poi avverte Renzi: “Se pensa di portare a Berlusconi lo scalpo di Mineo e di Chiti, fa un errore di valutazione: il testo Boschi passerebbe in commissione, ma non in aula, dove le perplessità riemergerebbero, a maggior ragione dopo l’umiliazione costituzionale di ieri”.
Lotti: “Siamo democratici, non anarchici” – La replica dei renziani di governo è di chi ha il coltello dalla parte del manico. “Il processo delle riforme va avanti, non si può fermare per dieci senatori”, taglia corto il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi. La sostituzione di Mineo “è una decisione del gruppo – aggiunge – E’ da lì che, martedì in assemblea, arriveranno le spiegazioni”. “Nessuno ha chiesto loro di autosospendersi – conclude – Dovranno essere loro a decidere se far parte del processo di riforme o fare una scelta diversa”. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti aggiunge: “13 senatori non possono permettersi di mettere in discussione il volere di 12 milioni di elettori e non possono bloccare le riforme che hanno chiesto gli italiani. Ci aspettavamo 20 persone, sono solo 13. Mineo ha tradito l’accordo con il gruppo. Siamo un partito democratico, non anarchico“. Ma Massimo Mucchetti non ci sta: “Il ministro Boschi e il sottosegretario Lotti schierano 12 milioni di voti come se fossero 12 milioni di baionette (riferimento a un noto discorso di Mussolini, ndr) contro i 13 senatori dissidenti del Pd. Non viene loro il dubbio di sparare con il cannone contro le rondini? La sproporzione della reazione nasconde la povertà degli argomenti“. L’ex vicedirettore del Corriere della Sera è il più duro: “Che noia sentir ripetere sempre gli stessi ritornelli, mandati a memoria. Renzi, che si riserva il gusto della battuta, si propone come l’uomo dei voti contro i veti. Peccato che non voglia far votare ai cittadini il nuovo Senato, ma riservarne la composizione alle burocrazie dei partiti. Il generale Boschi e il colonnello Lotti, poi – prosegue – non si rendono conto che l’epurazione dei senatori Chiti e Mineo dalla Commissione Affari Costituzionali contrasta con lo spirito del regolamento del gruppo Pd e con la logica”. Nel frattempo è stata annullata la riunione della commissione che si sarebbe dovuta tenere oggi, 12 giugno, anche in attesa che ci sia un nuovo incontro (il terzo) tra Renzi e Silvio Berlusconi.
Lo stesso Chiti però parla così: “Mi sento in un momento imbarazzante, non è normale quello che avviene nel partito. Il confronto su temi importanti non può avvenire mettendo sotto i piedi l’articolo 67 della Costituzione – afferma in un intervista a Effetto Giorno, su Radio24 – Nel partito mi ci sento bene. Da qui se vogliono mi cacciano. Ho contribuito a realizzarlo, certo lo sognavo in un modo un po’ diverso, penso che dovrebbe migliorare, ha una grande potenzialità come dimostra il 40%, ma non può essere un partito plebiscitario-autoritario. Vede quando Lotti parla dei 12 milioni di cittadini, i 12 milioni hanno votato per le Europee. Se si dà un colpo alla rappresentanza e al ruolo dei gruppi parlamentari e si ritenesse che contano solo da una parte le primarie, dall’altra una sorta di centralismo autoritario allora vedo il rischio di una deriva plebiscitaria”.
I 25 ‘facilitatori’ Pd: “Autosospensione, scelta sbagliata” – “Sul caso intervengono anche Camilla Fabbri, Francesco Russo, Massimo Caleo, Stefano Vaccari, Rosanna Filippin e Stefano Esposito, alcuni dei 25 senatori ‘facilitatori’ che nelle scorse settimane erano intervenuti per chiedere al governo profondi cambiamenti nella bozza di legge costituzionale. “La scelta dell’autosospensione da parte dei nostri colleghi – dicono – ci stupisce: è un gesto che manda un segnale sbagliato, non aiuta le riforme e mette a rischio il lavoro di mediazione e di miglioramento del testo base da cui si è partiti in commissione. Nessuno in questi mesi ha mai impedito il confronto e la critica – sottolineano – chi dice il contrario è smentito dai verbali delle nostre assemblee e da decine di pagine di giornali e di interviste televisive”. Poi si rivolgono “ai tredici senatori, ma soprattutto a Corradino Mineo” per ricordare loro “che in una comunità si accettano le decisioni della maggioranza e con senso della responsabilità si prende atto che tenere in scacco una riforma significa rischiare di tenere in scacco l’intero paese solo perché si crede pregiudizialmente di avere ragione”.
Mineo: “Renzismo-leninismo è grave” – Lo scontro è aperto. “Informiamo il ministro Boschi – replica Mineo parlando a Radio Radicale – che noi facciamo parte del processo di riforme e che è stata lei a privilegiare il suo orgoglio e la sua vanità, perché dopo 28 ore di dibattito in Senato, con la riforma a portata di mano, con le opposizioni che davano ragione a Matteo Renzi su questioni fondamentali come la fine del bicameralismo, la riduzione dei parlamentari e dei costi, la legge di bilancio solo alla Camera, invece di tener conto di questo e di far fare alla senatrice Anna Finocchiaro una relazione che partisse dal testo Boschi-Renzi migliorandolo in qualche punto, ha chiesto e ottenuto che si tornasse al testo-base”. A Radio Popolare, in precedenza, aveva detto di apprezzare il “Renzi politico” perché “penso sia una risorsa ma il renzismo-stalinismo è grave. Non era mai successo che si violasse così l’articolo 67 della Costituzione. Da parte mia nessun veto, la mia colpa è quella di aver detto che i colonnelli di Renzi, Boschi, Zanda e Finocchiaro hanno gravemente danneggiato il progetto di riforma del Senato voluto dallo stesso governo”. L’articolo 67 è composto di 16 parole: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. “Abbiamo perso le opposizioni – continua Mineo – abbiamo dato al senatore della Lega Roberto Calderoli la possibilità di rappresentare il dibattito parlamentare (e infatti la sua mozione è stata approvata con il concorso del senatore di Popolari per l’Italia Mario Mauro). E allora chiedo: chi è che paralizza le riforme? Le riforme vengono paralizzate dall’atteggiamento maldestro e dall’assenza di gioco di squadra di alcuni collaboratori del presidente del Consiglio Matteo Renzi. Non certo da me e da Vannino Chiti”.
Il dibattito nel Pd – Ora la frattura può avere effetti già sabato prossimo, 14 giugno, quando è in programma l’assemblea nazionale del partito. ”Sulla posizione assunta dai 13 colleghi, faremo esprimere l’Assemblea nazionale sabato ed i senatori martedì. In democrazia contano i numeri, non i veti – anticipa il renziano Andrea Marcucci - Abbiamo discusso per mesi. Il testo del governo non è stato blindato ma si è cercato un accordo ampio nel partito, nella maggioranza e tra le forze politiche dell’opposizione. Chiedo a Mineo, Chiti e agli altri di sottoporre la loro posizione ai militanti del Pd e poi la prossima settimana ai loro colleghi di gruppo, che sono 107. “Mi auguro che dopo queste votazioni, il loro dissenso possa rientrare. In caso contrario sono naturalmente liberi di decidere”. Ma per Stefano Fassina “è un errore politico che indebolisce il governo. In questo caso, di fronte all’atteggiamento contrario da parte di alcuni senatori si doveva, anche faticosamente, arrivare ad un chiarimento politico. Ora spero che questi tredici colleghi ottengano la chiarezza che chiedono la prossima settimana. Personalmente non sono d’accordo con tutte le posizioni che gli autosospesi portano avanti”, ma “non è questo il punto. Tanto più ora che il patto con Berlusconi sembra piuttosto evanescente”. A replicare è la vicesegretaria Debora Serracchiani: “Il partito – dice – è un luogo di confronto ma lì, dopo il confronto, si assumono decisioni nell’interesse del Paese e, sia pur nell’assenza del vincolo di mandato, nelle aule parlamentari ci si deve sforzare di esprimere una posizione univoca”.
M5s, Di Maio dopo la sostituzione di Mineo: “Non accetto lezioni dal Pd” – E quando meno te lo aspetti, il Pd incassa il sostegno di un deputato dei Cinque Stelle. “Non difendo Mineo e Chiti. Ma non accetto lezioni dal Pd” scrive a caratteri cubitali su twitter il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, difendendo di fatto la linea adottata dal Pd sull’allontamento dei due democratici dalle commissioni. “Sulla questione della sostituzione di Mineo e Chiti da parte del Pd nella commissione affari costituzionali del Senato, dobbiamo essere intellettualmente onesti – chiarisce – e analizzare i fatti per quello che sono: se in un partito o gruppo parlamentare la linea politica si decide a maggioranza e successivamente in parlamento un membro del gruppo vota in dissenso, addirittura rischiando con il suo voto di sabotare la linea decisa dalla maggioranza dei suoi colleghi, è giusto che vengano presi provvedimenti. Al di là del merito della votazione (in questo caso la riforma vergognosa della Costituzione)”.
Aggiornato da Redazione web alle 13 del 13 giugno 2014
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06 ... o/1024374/
Gruppo di parlamentari contro la sostituzione in commissione Affari costituzionali: tra loro anche Chiti, Mucchetti, Casson e Corsini. Il caso scoppia a pochi giorni dall'assemblea del partito. I renziani: "12 milioni di elettori con noi". Civati ricorda l'editto bulgaro: "A volte queste cose venivano dalla Bulgaria, ma evidentemente siamo ancora più esotici"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 12 giugno 2014 Commenti (3511)
Il 41 per cento rischia di finire già in un baule polveroso. Renzi chiede strada, fa rimuovere dalla commissione Affari costituzionali del Senato i senatori che si volevano mettere di traverso (Mario Mauro, Corradino Mineo e Vannino Chiti) e il Pd diventa di nuovo una polveriera. Quattordici senatori si sono autosospesi dal gruppo parlamentare. E’ stata “un’epurazione delle idee non ortodosse” ed è una “palese violazione della nostra Carta fondamentale – dice uno di loro, l’ex sindaco di Brescia Paolo Corsini – Chiediamo dunque alla presidenza gruppo parlamentare un chiarimento”. Ma il presidente del Consiglio Matteo Renzi non ci sta: “E’ stupefacente – dice ai suoi, di ritorno dalla missione in Oriente – che Mineo parli di epurazione”. E aggiunge che il Pd è davanti a un bivio, “non ho preso il 41% per lasciare il futuro del Paese a Mineo”. Tra gli autosospesi ci sono oltre a Corsini, Massimo Mucchetti, Vannino Chiti, Felice Casson, Nerina Dirindin, Erica D’Adda, Maria Grazia Gatti, Sergio Lo Giudice, Claudio Micheloni, lo stesso Mineo, Walter Tocci, Lucrezia Ricchiuti e Renato Turano. A loro, poche ore più tardi, si è aggiunto anche Francesco Giacobbe. “La sospensione – ha spiegato tra l’altro Casson – è stata decisa in vista dell’assemblea del gruppo di martedì prossimo, dove discuteremo tutti insieme dell’accaduto”. In tutto i senatori del Pd sono 108. Il capogruppo Luigi Zanda ha chiamato Chiti per organizzare un incontro con gli “autosospesi” che verosimilmente sarà programmato tra lunedì e martedì prossimi.
Pippo Civati paragona la rimozione di Mineo all’”editto bulgaro”. “E’ una decisione di Renzi – osserva – che Zanda ha immediatamente eseguito, perché oggi lo stesso premier l’ha rivendicata dalla Cina. A volte queste cose venivano dalla Bulgaria, ma evidentemente siamo ancora più esotici”. ”Chi non si adegua – prosegue il deputato – viene cacciato” e “questa è la linea dei gruppi parlamentari di maggioranza al Senato“. Poi avverte Renzi: “Se pensa di portare a Berlusconi lo scalpo di Mineo e di Chiti, fa un errore di valutazione: il testo Boschi passerebbe in commissione, ma non in aula, dove le perplessità riemergerebbero, a maggior ragione dopo l’umiliazione costituzionale di ieri”.
Lotti: “Siamo democratici, non anarchici” – La replica dei renziani di governo è di chi ha il coltello dalla parte del manico. “Il processo delle riforme va avanti, non si può fermare per dieci senatori”, taglia corto il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi. La sostituzione di Mineo “è una decisione del gruppo – aggiunge – E’ da lì che, martedì in assemblea, arriveranno le spiegazioni”. “Nessuno ha chiesto loro di autosospendersi – conclude – Dovranno essere loro a decidere se far parte del processo di riforme o fare una scelta diversa”. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti aggiunge: “13 senatori non possono permettersi di mettere in discussione il volere di 12 milioni di elettori e non possono bloccare le riforme che hanno chiesto gli italiani. Ci aspettavamo 20 persone, sono solo 13. Mineo ha tradito l’accordo con il gruppo. Siamo un partito democratico, non anarchico“. Ma Massimo Mucchetti non ci sta: “Il ministro Boschi e il sottosegretario Lotti schierano 12 milioni di voti come se fossero 12 milioni di baionette (riferimento a un noto discorso di Mussolini, ndr) contro i 13 senatori dissidenti del Pd. Non viene loro il dubbio di sparare con il cannone contro le rondini? La sproporzione della reazione nasconde la povertà degli argomenti“. L’ex vicedirettore del Corriere della Sera è il più duro: “Che noia sentir ripetere sempre gli stessi ritornelli, mandati a memoria. Renzi, che si riserva il gusto della battuta, si propone come l’uomo dei voti contro i veti. Peccato che non voglia far votare ai cittadini il nuovo Senato, ma riservarne la composizione alle burocrazie dei partiti. Il generale Boschi e il colonnello Lotti, poi – prosegue – non si rendono conto che l’epurazione dei senatori Chiti e Mineo dalla Commissione Affari Costituzionali contrasta con lo spirito del regolamento del gruppo Pd e con la logica”. Nel frattempo è stata annullata la riunione della commissione che si sarebbe dovuta tenere oggi, 12 giugno, anche in attesa che ci sia un nuovo incontro (il terzo) tra Renzi e Silvio Berlusconi.
Lo stesso Chiti però parla così: “Mi sento in un momento imbarazzante, non è normale quello che avviene nel partito. Il confronto su temi importanti non può avvenire mettendo sotto i piedi l’articolo 67 della Costituzione – afferma in un intervista a Effetto Giorno, su Radio24 – Nel partito mi ci sento bene. Da qui se vogliono mi cacciano. Ho contribuito a realizzarlo, certo lo sognavo in un modo un po’ diverso, penso che dovrebbe migliorare, ha una grande potenzialità come dimostra il 40%, ma non può essere un partito plebiscitario-autoritario. Vede quando Lotti parla dei 12 milioni di cittadini, i 12 milioni hanno votato per le Europee. Se si dà un colpo alla rappresentanza e al ruolo dei gruppi parlamentari e si ritenesse che contano solo da una parte le primarie, dall’altra una sorta di centralismo autoritario allora vedo il rischio di una deriva plebiscitaria”.
I 25 ‘facilitatori’ Pd: “Autosospensione, scelta sbagliata” – “Sul caso intervengono anche Camilla Fabbri, Francesco Russo, Massimo Caleo, Stefano Vaccari, Rosanna Filippin e Stefano Esposito, alcuni dei 25 senatori ‘facilitatori’ che nelle scorse settimane erano intervenuti per chiedere al governo profondi cambiamenti nella bozza di legge costituzionale. “La scelta dell’autosospensione da parte dei nostri colleghi – dicono – ci stupisce: è un gesto che manda un segnale sbagliato, non aiuta le riforme e mette a rischio il lavoro di mediazione e di miglioramento del testo base da cui si è partiti in commissione. Nessuno in questi mesi ha mai impedito il confronto e la critica – sottolineano – chi dice il contrario è smentito dai verbali delle nostre assemblee e da decine di pagine di giornali e di interviste televisive”. Poi si rivolgono “ai tredici senatori, ma soprattutto a Corradino Mineo” per ricordare loro “che in una comunità si accettano le decisioni della maggioranza e con senso della responsabilità si prende atto che tenere in scacco una riforma significa rischiare di tenere in scacco l’intero paese solo perché si crede pregiudizialmente di avere ragione”.
Mineo: “Renzismo-leninismo è grave” – Lo scontro è aperto. “Informiamo il ministro Boschi – replica Mineo parlando a Radio Radicale – che noi facciamo parte del processo di riforme e che è stata lei a privilegiare il suo orgoglio e la sua vanità, perché dopo 28 ore di dibattito in Senato, con la riforma a portata di mano, con le opposizioni che davano ragione a Matteo Renzi su questioni fondamentali come la fine del bicameralismo, la riduzione dei parlamentari e dei costi, la legge di bilancio solo alla Camera, invece di tener conto di questo e di far fare alla senatrice Anna Finocchiaro una relazione che partisse dal testo Boschi-Renzi migliorandolo in qualche punto, ha chiesto e ottenuto che si tornasse al testo-base”. A Radio Popolare, in precedenza, aveva detto di apprezzare il “Renzi politico” perché “penso sia una risorsa ma il renzismo-stalinismo è grave. Non era mai successo che si violasse così l’articolo 67 della Costituzione. Da parte mia nessun veto, la mia colpa è quella di aver detto che i colonnelli di Renzi, Boschi, Zanda e Finocchiaro hanno gravemente danneggiato il progetto di riforma del Senato voluto dallo stesso governo”. L’articolo 67 è composto di 16 parole: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. “Abbiamo perso le opposizioni – continua Mineo – abbiamo dato al senatore della Lega Roberto Calderoli la possibilità di rappresentare il dibattito parlamentare (e infatti la sua mozione è stata approvata con il concorso del senatore di Popolari per l’Italia Mario Mauro). E allora chiedo: chi è che paralizza le riforme? Le riforme vengono paralizzate dall’atteggiamento maldestro e dall’assenza di gioco di squadra di alcuni collaboratori del presidente del Consiglio Matteo Renzi. Non certo da me e da Vannino Chiti”.
Il dibattito nel Pd – Ora la frattura può avere effetti già sabato prossimo, 14 giugno, quando è in programma l’assemblea nazionale del partito. ”Sulla posizione assunta dai 13 colleghi, faremo esprimere l’Assemblea nazionale sabato ed i senatori martedì. In democrazia contano i numeri, non i veti – anticipa il renziano Andrea Marcucci - Abbiamo discusso per mesi. Il testo del governo non è stato blindato ma si è cercato un accordo ampio nel partito, nella maggioranza e tra le forze politiche dell’opposizione. Chiedo a Mineo, Chiti e agli altri di sottoporre la loro posizione ai militanti del Pd e poi la prossima settimana ai loro colleghi di gruppo, che sono 107. “Mi auguro che dopo queste votazioni, il loro dissenso possa rientrare. In caso contrario sono naturalmente liberi di decidere”. Ma per Stefano Fassina “è un errore politico che indebolisce il governo. In questo caso, di fronte all’atteggiamento contrario da parte di alcuni senatori si doveva, anche faticosamente, arrivare ad un chiarimento politico. Ora spero che questi tredici colleghi ottengano la chiarezza che chiedono la prossima settimana. Personalmente non sono d’accordo con tutte le posizioni che gli autosospesi portano avanti”, ma “non è questo il punto. Tanto più ora che il patto con Berlusconi sembra piuttosto evanescente”. A replicare è la vicesegretaria Debora Serracchiani: “Il partito – dice – è un luogo di confronto ma lì, dopo il confronto, si assumono decisioni nell’interesse del Paese e, sia pur nell’assenza del vincolo di mandato, nelle aule parlamentari ci si deve sforzare di esprimere una posizione univoca”.
M5s, Di Maio dopo la sostituzione di Mineo: “Non accetto lezioni dal Pd” – E quando meno te lo aspetti, il Pd incassa il sostegno di un deputato dei Cinque Stelle. “Non difendo Mineo e Chiti. Ma non accetto lezioni dal Pd” scrive a caratteri cubitali su twitter il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, difendendo di fatto la linea adottata dal Pd sull’allontamento dei due democratici dalle commissioni. “Sulla questione della sostituzione di Mineo e Chiti da parte del Pd nella commissione affari costituzionali del Senato, dobbiamo essere intellettualmente onesti – chiarisce – e analizzare i fatti per quello che sono: se in un partito o gruppo parlamentare la linea politica si decide a maggioranza e successivamente in parlamento un membro del gruppo vota in dissenso, addirittura rischiando con il suo voto di sabotare la linea decisa dalla maggioranza dei suoi colleghi, è giusto che vengano presi provvedimenti. Al di là del merito della votazione (in questo caso la riforma vergognosa della Costituzione)”.
Aggiornato da Redazione web alle 13 del 13 giugno 2014
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Re: 13 Senatori del PD si autosospendono
Io però una cosa non la capisco proprio, ma da un sacco di tempo
Ci sono esponenti pd che non condividono mezza parola di renzi, ok
Perché cavolo non se ne vanno ed escono dalla maggioranza? Non capisco. Pensano di cambiare le cose da dentro quando renzi ha piazzato tutti i suoi yuppies del cavolo nei posti strategici?
Che aspettano ad andarsene?
Ci sono esponenti pd che non condividono mezza parola di renzi, ok
Perché cavolo non se ne vanno ed escono dalla maggioranza? Non capisco. Pensano di cambiare le cose da dentro quando renzi ha piazzato tutti i suoi yuppies del cavolo nei posti strategici?
Che aspettano ad andarsene?
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
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Re: 13 Senatori del PD si autosospendono
il Fatto 5.9.14
Renzi, gufi di casa sua Ribelli dem in trincea
La minoranza rumoreggia per il partito senza guida e chiede una nuova segreteria
D’Alema: reazioni violente e volgari contro di me
di Wanda Marra
Sono rimasto piuttosto colpito dalla violenza, in qualche caso perfino dalla volgarità delle repliche dei dirigenti del Pd alle mie affermazioni sul governo”. Non a caso si chiama Lìder Maximo, Massimo D’Alema. Non a caso: si è messo l’elmetto e continua a prendere a testate Renzi e l’establishment renziano. Che si compatta e si dilunga in interviste per definire “ingenerose, affrettate e superficiali” le sue affermazioni (Lorenzo Guerini) o per “chiedergli di andare in pensione” (Debora Serracchiani). Pier Luigi Bersani a Roma ieri ha ripetuto che il premier non dovrebbe fare anche il segretario. Ma per carità, lui vuole dare una mano. Cosa che spesso significa cuocere i leader a fuoco lento, riempirgli la strada di ostacoli, metterli in difficoltà, per strappargli brandelli di vittoria politica. Se D’Alema e Bersani hanno iniziato la campagna d’autunno, l’altro padre nobil, Enrico Letta sta saldamente lontano da tutto e da tutti. Fa lezioni di politica in giro per l’Europa, si è rifiutato – seppure invitato – di andare alla Festa nazionale. Tra i suoi ex collaboratori c’è chi è pronto a giurare che non voterà più Pd e la corrente in Parlamento si divide tra truppe d’ausilio ai renziani e dissidenza. L’autunno è caldo.
IN SENATO le riforme costituzionali sono state tutte in salita, per il governo. Che ha proceduto a testate, per portare a casa il risultato contro la dissidenza interna in primo luogo. Adesso tocca all’Italicum. Parla Miguel Gotor, capofila dei bersaniani: “Così non passa. Non si può avere una sola Camera e per di più di nominati”. Erano 16 gli irriducibili contro le riforme costituzionali. Tra bersaniani e lettiani, il dissenso sulla legge elettorale promette di essere molto più ampio. Ma, per carità, “vogliamo dare una mano” (ancora Gotor). A voler “dare un contributo” sui singoli temi sono pure i deputati bersanian-dalemiani a Montecitorio. Fassina ha aperto la partita per la cancellazione del pareggio di bilancio in Costituzione (peraltro votata dal Pd quando lui era responsabile economico). Ed è apparsa un’altra mozione firmata da lui, Cuperlo, D’Attorre insieme ad altri 20 deputati bersaniani per chiedere di reinvestire gli introiti delle privatizzazioni e non destinarli a diminuire il debito. D’Attorre spiega: “Dobbiamo lavorare su delle questioni specifiche”. Poi lo dice: “D’Alema certo non si consulta con nessuno prima di parlare. Però, ci vorrebbe più moderazione nelle risposte”. Una difesa. Certo non enfatica. Perché poi nessuno si dice pronto a rompere con Renzi tra i più giovani e meno nobili tra le correnti di minoranza. Dei gruppi parlamentari originariamente antirenziani quanti lo sono rimasti? Dentro Area Riformista ci sono la De Micheli e Stumpo, Leva e Manciulli. Però, il leader riconosciuto è Roberto Speranza, capogruppo a Montecitorio. Che con Renzi ha costruito un rapporto di ferro.
I GIOVANI aspettano, cercano di capire come va il vento, fino a che punto possono contare con il leader che c’è. I Giovani Turchi sono saldamente alla presidenza del Pd, con Matteo Orfini. Altro quarantenne, che anche ieri a Bologna ha preso le distanze dal suo padre politico, D’Alema, difendendo l’azione del governo. Poi certo, Civati è sempre sulle barricate. E Cuperlo ha fondato Sinistra Dem, una componente che però non si capisce bene da chi sia composta. Le minoranze per ora marciano saldamente divise. Per ora. Perché poi una consapevolezza unisce tutti: “Il partito non esiste, non è gestito, a Renzi non interessa”: lontano dai microfoni lo ammettono tutti e di tutte le correnti. E non a caso la segreteria che doveva essere rifatta a febbraio, viene rimandata di mese in mese. Renzi non ci mette la testa, gli altri si dividono tra loro e fanno richieste più o meno non considerate accettabili. E poi, si parla di gestione unitaria, ma la gestione unitaria con Bersani e D’Alema che sparano così il segretario-premier non la concede. E allora si aspetta: veniva dato per certo che sarebbe stata annunciata domenica alla chiusura della Festa, invece adesso si parla della settimana prossima. Forse. E poi, aleggia una domanda: che senso ha una segreteria con un leader che si rivolge direttamente al “popolo” e – organismi effettivi o no – decide quasi tutto in proprio?
Corriere 5.9.14
Nel Pd la tregua è finita: la sfida dei dissidenti parte dal no all’austerity
Per Bersani: «Avere un segretario-premier è un problema». Parte intanto la raccolta firme per il referendum contro il Fiscal compact. Fassina: «Sarà durissima»
di Monica Guerzoni
Pier Luigi Bersani (Ansa/Benvenuti) Pier Luigi Bersani (Ansa/Benvenuti) shadow
«Abbattere l’austerity» è l’obbiettivo dichiarato. Ma il referendum contro il Fiscal compact rischia di assestare altri energici colpi alla «pax renziana» del Pd, già provata dagli affondi di D’Alema e Bersani, che chiedono al premier più coraggio al governo e maggiore pluralismo nel partito. I 54 parlamentari della sinistra che sostengono l’iniziativa - tra i quali diversi «dissidenti» del Senato, come Tocci, Mineo e Mucchetti - si stanno mobilitando per raccogliere le firme. Stefano Fassina, tra i più impegnati nella mission anti-rigorista, parla da Padova, dove ha presentato la campagna Stop Austerità: «Stanno spuntando i primi banchetti, abbiamo tempo fino al 30 settembre... Sarà dura raccogliere 500 mila firme, speriamo di farcela».
La battaglia è in salita, visto che i vertici del Pd non sostengono il referendum. «Eppure - assicura candidamente Fassina - se passasse renderebbe possibile fare gli investimenti in deficit, come Renzi chiede». L’ex viceministro è convinto che se il premier proverà a perseguire gli obbiettivi che ha indicato «avrà enormi difficoltà» e lui, giura, vorrebbe evitarlo: «I tagli annunciati sono irrealizzabili e se il governo proverà a farli ci saranno conseguenze pesanti». I renziani ironizzano sul fatto che il primo firmatario della legge per introdurre in Costituzione il pareggio di bilancio sia stato proprio Bersani e chiedono polemicamente a Fassina, autore con D’Attorre e Lauricella di un emendamento al ddl Boschi per cancellare il pareggio di bilancio dall’articolo 81, perché allora non si dimise da responsabile economico. «Argomento risibile - ribatte Alfredo D’Attorre -. Errare è umano, perseverare è diabolico. L’agenda Monti ci ha fatto perdere le politiche e chi parla tanto di rottamazione dovrebbe capire che questa iniziativa prende le distanze dalle scelte che il Pd ha fatto in passato». E non è tutto, perché i non allineati, tra cui Cuperlo e altri venti, hanno pronta una mozione per chiedere al governo di reinvestire gli introiti delle privatizzazioni invece di destinarli a diminuire il debito.
Per Bersani «il cuore del problema» è il doppio incarico di Renzi, perché «quando il tuo segretario è capo del governo la discussione è un pochino inibita». L’ex segretario lancia l’idea di un evento entro fine anno per risolverlo, possibilmente «senza conte». Ma il premier si terrà stretta la segreteria, assicura il vice Lorenzo Guerini: «La coincidenza tra premier e segretario è nel nostro Statuto». E il direttore di Europa Stefano Menichini ricorda come De Mita, dopo aver perso la guida della Dc, perse anche il governo: un modo per avvertire Renzi che gli ex ds puntano a sfilargli il Pd. La pace apparente è incrinata, con possibili ripercussioni sulla nuova segreteria unitaria alla quale Renzi sta lavorando. La formazione potrebbe essere pronta già domenica, giorno in cui il premier parlerà dal palco di Bologna. Ma le tensioni stanno creando qualche incertezza di percorso e i suoi si aspettano «sorprese». L’ala sinistra è furiosa perché anche Cuperlo, dopo Civati, sarebbe stato escluso dalla Festa dell’Unità. Intanto D’Alema mena altri fendenti su Renzi. Guerini e Serracchiani sono stati durissimi e ieri, da Ravenna, l’ex premier si è detto «piuttosto colpito dalla violenza e perfino dalla volgarità delle repliche». Aveva affermato che non si vede una via d’uscita dalla crisi e lo conferma: «Non sono i giudizi di D’Alema, ma i dati dell’Istat e non mi si può rispondere che voglio le poltrone. Sono cose umilianti, che danno la sensazione di un fastidio verso il dibattito democratico». La rissa verbale continua. Ernesto Carbone rispolvera una battutaccia dalemiana del 2008 ai danni di Brunetta: «Saremo anche energumeni, ma non tascabili. Quindi occhio Massimo».
5 settembre 2014 | 08:17
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Corriere 5.9.14
La partita per la segreteria e quell’invito «in ritardo» per Cuperlo alla festa dem
di M. Gu.
ROMA — Il «giallo» del mancato invito di Gianni Cuperlo alla Festa nazionale del Pd di Bologna rischia di cambiare in corsa il profilo della segreteria, che Renzi sperava unitaria. L’ala sinistra dei «dem» era pronta a deporre le armi per condividere oneri e onori della guida del Nazareno, ma ora minaccia di ripensarci. «Gianni è arrivato secondo alle primarie con mezzo milione di voti — attacca Stefano Fassina —. E a Pippo Civati l’invito è arrivato in ritardo. Una scelta politica precisa e gravissima, un segnale molto preoccupante di arroccamento della segreteria». E se i renziani sottovoce fanno notare che l’ex viceministro è «un caso a sé» e che nessuno ha mai fatto il suo nome per la segreteria, la sua voce non è un assolo. «Ci sto a fatica in un partito a senso unico — protesta Ileana Argentin —. Trovo folle che la politica sia diventata una mera espressione di numeri». Dal Nazareno, in via ufficiosa, fanno sapere che l’invito a Cuperlo è partito a festa iniziata per un disguido e che non c’è, nei confronti dell’ex presidente, nessuna volontà di esclusione. Ma la polemica è ormai innescata e i renziani sospettano che i bersaniani abbiano voglia
di soffiare sul fuoco. Alfredo D’Attorre smentisce strumentalizzazioni e prova
a entrare nel merito: «Il problema non è ottenere due posti per fare tappezzeria, il punto è cosa vogliamo fare. Prima di capire se la gestione sia unitaria o meno, si tratta di capire se c’è la gestione». I contatti con l’area riformista guidata da Roberto Speranza non sono interrotti e i renziani pensano che la minoranza non abbia in realtà interesse a rompere. E che alla fine «si accoderanno», a dispetto dei toni aspri di Fassina. Il quale retoricamente domanda a chi interessi «uno strapuntino» in segreteria: «Non vedo il clima per una gestione unitaria e non mi pare che da parte di Renzi ci sia una disponibilità vera. Si sono arroccati e cercano qualche soprammobile per dire che il partito è plurale». Lettura che il vicesegretario Lorenzo Guerini smentisce, assicurando che l’intenzione di aprire le porte alla minoranza non è mutata: «Si va avanti come si era deciso. Alcuni componenti della minoranza avevano manifestato interesse a entrare e noi andiamo avanti in quella direzione, che le polemiche non mettono in discussione». Girano i nomi di Leva, Amendola, Laforgia e Micaela Campana e il presidente Matteo Orfini spera nell’accordo: «Gestione unitaria non vuol dire diventare tutti renziani, cosa di cui io non sarei capace».
Repubblica 5.9.14
Lavoro, tagli e Italicum sfida della minoranza Pd “Renzi dovrà ascoltarci”
Bersani: discutere nel partito anche se governiamo No al superamento dell’articolo 18: “Roba di destra”
di Annalisa Cuzzocrea
ROMA I venti miliardi di tagli alla spesa pubblica sono «irrealizzabili e dannosi», il superamento dell’articolo 18 è una «ricetta di destra», il nuovo Statuto dei lavoratori «non può essere scritto con una delega in bianco al governo», sulla legge elettorale ci sono tre nodi tutti da sciogliere: premio di maggioranza, quorum per i piccoli partiti e preferenze. La minoranza pd si ricompatta e si riorganizza sui tre fronti che scalderanno i prossimi mesi in Parlamento.
Così, ieri, mentre Pier Luigi Bersani incontrava l’unico dei suoi al governo, il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina, al caffè Illy vicino a Montecitorio, gli esponenti di Area riformista (da Roberto Speranza a Stefano Fassina, da Nico Stumpo ad Alfredo D’Attorre) mettevano a punto la strategia delle prossime settimane. Chiedono autonomia e promettono lealtà. Stanno preparando un secondo incontro nazionale per fine mese, dopo quello di inizio estate a Massa Marittima. Vogliono tre o quattro posti nella nuova segreteria (probabile che arrivi per loro Enzo Amendola come responsabile Esteri), ma non perché servano loro degli strapuntini: se si vuole l’impegno di tutti in questa fase nuova - è il ragionamento - noi si siamo, chiediamo però di essere ascoltati.
«La sinistra deve saper discutere, la sinistra è fatta così, in un altro modo rispetto a quel ‘padrone’ che c’è di là» ha detto ieri Pier Luigi Bersani a una festa del Pd alludendo a Berlusconi. «La sinistra non esisterebbe senza discutere, poi sa essere anche leale». L’ex segretario è tornato all’attacco sul doppio ruolo di Renzi: «È un fatto strutturale, quando il tuo segretario è capo del governo devi stare attento a quel che dici. La discussione è un pochino inibita». Questo, secondo Bersani, è «il cuore del problema» per il quale è necessario aprire «una riflessione larga entro fine anno ». Non perdonano, i bersaniani, l’esclusione dalla festa nazionale di Bologna di Gianni Cuperlo e Pippo Civati: «Una scelta politica precisa - dice Fassina - e lo dico con cognizione di causa».
Altrettanto dure, da Ravenna, le parole di Massimo D’Alema: «Sono rimasto colpito dalla violenza, in qualche caso perfino dalla volgarità delle repliche », ha detto riferendosi alle interviste dei vicesegretari Debora Serracchiani e Lorenzo Guerini che criticavano le sue prese di posizione sul governo in difficoltà. Risposte che - ha aggiunto - «confermano le mie preoccupazioni. Perché se uno dice che è preoccupato perché c’è la disoccupazione, non gli si può rispondere che vuole le poltrone».
Secondo i bersaniani, il ritardo nella formazione della nuova segreteria (che ha perso molte pedine tra ministri e incarichi in Europa) non è dovuto alla riottosità della minoranza sulle riforme, ma a una nuova debolezza della dirigenza: «I rapporti tra Graziano Delrio e Luca Lotti nel governo non sono idilliaci, così come sono esplosi quelli tra Lotti e Guerini nel partito - racconta un deputato -. Ne è la prova il pasticcio delle primarie in Emilia Romagna, dove finiranno per scontrarsi due renziani».
I fedelissimi del premier fanno spallucce. «Fassina ha con sé 50 di noi? - chiede ironico Ernesto Carbone a chi gli ricorda che ci sono 54 democratici a sostegno del referendum anti-fiscal compact -. Io finora ne ho visti solo tre». Ma l’ex viceministro all’Economia non si scompone: «Se per la legge di stabilità i provvedimenti sono quelli annunciati, se si pensa davvero di poter far sopportare a questo Paese altri 20 miliardi di tagli alla spesa pubblica, sono certo che saremo di più».
il Sole 5.9.14
Dem. Da 20 deputati mozione per reinvestire gli introiti delle privatizzazioni
La minoranza Pd attacca il premier Bersani: no a segretario-capo governo
ROMA Dopo Massimo D'Alema ecco Pier Luigi Bersani. Il bersaglio è sempre lo stesso: Matteo Renzi, il premier-segretario. «È un fatto strutturale, quando il tuo segretario è capo del governo la discussione è un pochino inibita», insiste Bersani secondo cui la doppia carica è «cuore del problema» sul quale va fatta «una larga riflessione entro l'anno». Ma le critiche sono anche per il Renzi-premier al quale si chiede «più coraggio» in politica economica mentre in Parlamento la minoranza (Fassina, Cuperlo, D'Attorre ed altri 20 deputati) presenta una mozione in cui si chiede di reinvestire gli introiti delle privatizzazioni e non destinarli a diminuire il debito.
Le frecciate arrivano a pochi giorni dalla scelta della nuova segreteria di Largo del Nazareno. L'ipotesi di allargarla alla minoranza è sempre in piedi anche se non è da escludere che l'acuirsi e il ripetersi degli attacchi possa rimettere in discussione la decisione. In ogni caso sembra escluso che l'annuncio arrivi domenica, in occasione dell'intervento di Renzi alla Festa nazionale dell'Unità di Bologna. Anche perché con l'invito ai leader socialisti europei, il segretario ha dato un'altra proiezione all'evento.
Anche D'Alema torna per il terzo giorno a ribadire le sue critiche e a lamentare la durezza delle reazioni dei renziani. «Sono rimasto piuttosto colpito dalla violenza, in qualche caso perfino dalla volgarità delle repliche», dice l'ex premier dal palco di Ravenna che ribadisce le sue perplessità sugli 80 euro. «C'è bisogno di una svolta più coraggiosa sia a livello italiano che europeo», sostiene D'Alema secondo cui, dopo la partita delle nomine stravinta dal Ppe, è «arduo il cammino per il cambiamento». Critiche che i renziani bollano come una reazione alla mancata nomina di D'Alema a Bruxelles. «I tempi lo farebbero pensare, ma voglio credere di no», dice la vicesegretaria Debora Serracchiani. Mentre l'altro vicesegretario, Lorenzo Guerini, definisce «ingenerose, superficiali e affrettate» le critiche al governo.
Corriere 5.9.14
I vincoli della spesa cominciano a sfidare il premier «popolare»
di Massimo Franco
Più elementi contribuiscono a rendere preoccupante l’annuncio dello sciopero dei sindacati delle forze dell’ordine contro il blocco del tetto degli stipendi deciso dal governo. Il primo, e più vistoso, è che per la prima volta gli uomini e le donne in divisa deciderebbero di incrociare le braccia contro una decisione dell’esecutivo. Sarebbe una scelta grave che però allunga un’ombra sui provvedimenti annunciati nei giorni scorsi: tanto più se fosse vero che a luglio Palazzo Chigi aveva dato assicurazioni opposte ai vertici di polizia e carabinieri. Il secondo aspetto è che non si tratta di un attacco proveniente dalle organizzazioni tradizionali, Cgil in testa, ma da un mondo considerato moderato e percepito come tale.
La somma di questi due aspetti porta a una riflessione più politica: nel senso che Matteo Renzi si trova a fronteggiare la prima protesta «popolare», e tendenzialmente «impopolare» per lui, da quando siede alla presidenza del Consiglio; per di più, da parte di corpi dello Stato per antonomasia. Il paradosso è che appena due giorni fa, dalle colonne del Sole 24 Ore il premier aveva teorizzato una sorta di strategia basata sulla capacità di decidere riscuotendo consensi più che resistenze. «Non credo che chi governa debba necessariamente scontentare», aveva detto. Per questo è legittimo chiedersi se la reazione annunciata dai sindacati «entro settembre», e accompagnata da una «capillare attività di sensibilizzazione» dell’opinione pubblica, fosse stata prevista; o se confermi un errore di giudizio.
Anche perché qui si va oltre lo scontento. Quando in un documento sottoscritto dai rappresentanti di tutti i corpi delegati alla sicurezza dello Stato si chiedono anche le dimissioni dei ministri, magari gli stessi che vengono scortati quotidianamente, si sfiora una rottura pericolosa. Viene messo in mora un rapporto fiduciario che evidentemente è stato dato per acquisito mentre non lo è. Renzi fa sapere che riceverà «volentieri gli agenti di polizia ma non accetterò ricatti»: anche perché «il blocco degli stipendi degli statali era già previsto nel Documento economico-finanziario». La vicenda, però, sta diventando l’emblema di un esecutivo costretto a muoversi in spazi strettissimi.
Deve rispettare il patto di Stabilità europeo ma è ossessionato dall’esigenza di non rompere la luna di miele con l’elettorato. E si trova a compiere scelte non solo dolorose ma dagli effetti imprevisti. Sono le spine della crisi economica. Ieri il presidente della Bce, Mario Draghi, abbassando i tassi di interesse ha avvertito che «non c’è stimolo monetario o di bilancio in grado di rilanciare la crescita senza riforme strutturali ambiziose e forti»: un ammonimento che può offrire appigli a un Renzi determinato ad andare avanti «senza guardare in faccia nessuno». E lo spread , la differenza tra gli interessi pagati per i titoli di Stato italiani rispetto a quelli tedeschi, è sceso a 138 punti: il livello al quale era prima della crisi. I margini rimangono risicati, comunque. E l’idea di tagliare 20 miliardi di euro continua ad apparire molto ambiziosa.
La protesta seguita ieri all’annuncio del ministro alla Pubblica amministrazione, Marianna Madia, sul blocco dei «tetti» delle retribuzioni, è indicativa, sebbene Palazzo Chigi possa contare tuttora su consensi solidi. Non ha, nonostante i malumori che serpeggiano, una vera opposizione dentro il Pd; e tra gli alleati di governo nessuno è in grado di insidiarlo. Le sue difficoltà, tuttavia, sono evidenti e crescenti. L’asse con Silvio Berlusconi si consolida, sulle riforme istituzionali e sulla politica estera. Ma i ruoli sono più equilibrati di prima, se non invertiti. In precedenza, l’ex premier appariva del tutto subalterno al Pd renziano, e costretto ad assecondarne l’agenda. Ora, sembra sia Berlusconi ad allungare un’ipoteca sull’esecutivo, e a condizionarne l’esistenza. L’impressione è che la userà non per fare cadere Renzi ma per farlo durare il più a lungo possibile. Magari con la segreta speranza che si logori rapidamente.
Renzi, gufi di casa sua Ribelli dem in trincea
La minoranza rumoreggia per il partito senza guida e chiede una nuova segreteria
D’Alema: reazioni violente e volgari contro di me
di Wanda Marra
Sono rimasto piuttosto colpito dalla violenza, in qualche caso perfino dalla volgarità delle repliche dei dirigenti del Pd alle mie affermazioni sul governo”. Non a caso si chiama Lìder Maximo, Massimo D’Alema. Non a caso: si è messo l’elmetto e continua a prendere a testate Renzi e l’establishment renziano. Che si compatta e si dilunga in interviste per definire “ingenerose, affrettate e superficiali” le sue affermazioni (Lorenzo Guerini) o per “chiedergli di andare in pensione” (Debora Serracchiani). Pier Luigi Bersani a Roma ieri ha ripetuto che il premier non dovrebbe fare anche il segretario. Ma per carità, lui vuole dare una mano. Cosa che spesso significa cuocere i leader a fuoco lento, riempirgli la strada di ostacoli, metterli in difficoltà, per strappargli brandelli di vittoria politica. Se D’Alema e Bersani hanno iniziato la campagna d’autunno, l’altro padre nobil, Enrico Letta sta saldamente lontano da tutto e da tutti. Fa lezioni di politica in giro per l’Europa, si è rifiutato – seppure invitato – di andare alla Festa nazionale. Tra i suoi ex collaboratori c’è chi è pronto a giurare che non voterà più Pd e la corrente in Parlamento si divide tra truppe d’ausilio ai renziani e dissidenza. L’autunno è caldo.
IN SENATO le riforme costituzionali sono state tutte in salita, per il governo. Che ha proceduto a testate, per portare a casa il risultato contro la dissidenza interna in primo luogo. Adesso tocca all’Italicum. Parla Miguel Gotor, capofila dei bersaniani: “Così non passa. Non si può avere una sola Camera e per di più di nominati”. Erano 16 gli irriducibili contro le riforme costituzionali. Tra bersaniani e lettiani, il dissenso sulla legge elettorale promette di essere molto più ampio. Ma, per carità, “vogliamo dare una mano” (ancora Gotor). A voler “dare un contributo” sui singoli temi sono pure i deputati bersanian-dalemiani a Montecitorio. Fassina ha aperto la partita per la cancellazione del pareggio di bilancio in Costituzione (peraltro votata dal Pd quando lui era responsabile economico). Ed è apparsa un’altra mozione firmata da lui, Cuperlo, D’Attorre insieme ad altri 20 deputati bersaniani per chiedere di reinvestire gli introiti delle privatizzazioni e non destinarli a diminuire il debito. D’Attorre spiega: “Dobbiamo lavorare su delle questioni specifiche”. Poi lo dice: “D’Alema certo non si consulta con nessuno prima di parlare. Però, ci vorrebbe più moderazione nelle risposte”. Una difesa. Certo non enfatica. Perché poi nessuno si dice pronto a rompere con Renzi tra i più giovani e meno nobili tra le correnti di minoranza. Dei gruppi parlamentari originariamente antirenziani quanti lo sono rimasti? Dentro Area Riformista ci sono la De Micheli e Stumpo, Leva e Manciulli. Però, il leader riconosciuto è Roberto Speranza, capogruppo a Montecitorio. Che con Renzi ha costruito un rapporto di ferro.
I GIOVANI aspettano, cercano di capire come va il vento, fino a che punto possono contare con il leader che c’è. I Giovani Turchi sono saldamente alla presidenza del Pd, con Matteo Orfini. Altro quarantenne, che anche ieri a Bologna ha preso le distanze dal suo padre politico, D’Alema, difendendo l’azione del governo. Poi certo, Civati è sempre sulle barricate. E Cuperlo ha fondato Sinistra Dem, una componente che però non si capisce bene da chi sia composta. Le minoranze per ora marciano saldamente divise. Per ora. Perché poi una consapevolezza unisce tutti: “Il partito non esiste, non è gestito, a Renzi non interessa”: lontano dai microfoni lo ammettono tutti e di tutte le correnti. E non a caso la segreteria che doveva essere rifatta a febbraio, viene rimandata di mese in mese. Renzi non ci mette la testa, gli altri si dividono tra loro e fanno richieste più o meno non considerate accettabili. E poi, si parla di gestione unitaria, ma la gestione unitaria con Bersani e D’Alema che sparano così il segretario-premier non la concede. E allora si aspetta: veniva dato per certo che sarebbe stata annunciata domenica alla chiusura della Festa, invece adesso si parla della settimana prossima. Forse. E poi, aleggia una domanda: che senso ha una segreteria con un leader che si rivolge direttamente al “popolo” e – organismi effettivi o no – decide quasi tutto in proprio?
Corriere 5.9.14
Nel Pd la tregua è finita: la sfida dei dissidenti parte dal no all’austerity
Per Bersani: «Avere un segretario-premier è un problema». Parte intanto la raccolta firme per il referendum contro il Fiscal compact. Fassina: «Sarà durissima»
di Monica Guerzoni
Pier Luigi Bersani (Ansa/Benvenuti) Pier Luigi Bersani (Ansa/Benvenuti) shadow
«Abbattere l’austerity» è l’obbiettivo dichiarato. Ma il referendum contro il Fiscal compact rischia di assestare altri energici colpi alla «pax renziana» del Pd, già provata dagli affondi di D’Alema e Bersani, che chiedono al premier più coraggio al governo e maggiore pluralismo nel partito. I 54 parlamentari della sinistra che sostengono l’iniziativa - tra i quali diversi «dissidenti» del Senato, come Tocci, Mineo e Mucchetti - si stanno mobilitando per raccogliere le firme. Stefano Fassina, tra i più impegnati nella mission anti-rigorista, parla da Padova, dove ha presentato la campagna Stop Austerità: «Stanno spuntando i primi banchetti, abbiamo tempo fino al 30 settembre... Sarà dura raccogliere 500 mila firme, speriamo di farcela».
La battaglia è in salita, visto che i vertici del Pd non sostengono il referendum. «Eppure - assicura candidamente Fassina - se passasse renderebbe possibile fare gli investimenti in deficit, come Renzi chiede». L’ex viceministro è convinto che se il premier proverà a perseguire gli obbiettivi che ha indicato «avrà enormi difficoltà» e lui, giura, vorrebbe evitarlo: «I tagli annunciati sono irrealizzabili e se il governo proverà a farli ci saranno conseguenze pesanti». I renziani ironizzano sul fatto che il primo firmatario della legge per introdurre in Costituzione il pareggio di bilancio sia stato proprio Bersani e chiedono polemicamente a Fassina, autore con D’Attorre e Lauricella di un emendamento al ddl Boschi per cancellare il pareggio di bilancio dall’articolo 81, perché allora non si dimise da responsabile economico. «Argomento risibile - ribatte Alfredo D’Attorre -. Errare è umano, perseverare è diabolico. L’agenda Monti ci ha fatto perdere le politiche e chi parla tanto di rottamazione dovrebbe capire che questa iniziativa prende le distanze dalle scelte che il Pd ha fatto in passato». E non è tutto, perché i non allineati, tra cui Cuperlo e altri venti, hanno pronta una mozione per chiedere al governo di reinvestire gli introiti delle privatizzazioni invece di destinarli a diminuire il debito.
Per Bersani «il cuore del problema» è il doppio incarico di Renzi, perché «quando il tuo segretario è capo del governo la discussione è un pochino inibita». L’ex segretario lancia l’idea di un evento entro fine anno per risolverlo, possibilmente «senza conte». Ma il premier si terrà stretta la segreteria, assicura il vice Lorenzo Guerini: «La coincidenza tra premier e segretario è nel nostro Statuto». E il direttore di Europa Stefano Menichini ricorda come De Mita, dopo aver perso la guida della Dc, perse anche il governo: un modo per avvertire Renzi che gli ex ds puntano a sfilargli il Pd. La pace apparente è incrinata, con possibili ripercussioni sulla nuova segreteria unitaria alla quale Renzi sta lavorando. La formazione potrebbe essere pronta già domenica, giorno in cui il premier parlerà dal palco di Bologna. Ma le tensioni stanno creando qualche incertezza di percorso e i suoi si aspettano «sorprese». L’ala sinistra è furiosa perché anche Cuperlo, dopo Civati, sarebbe stato escluso dalla Festa dell’Unità. Intanto D’Alema mena altri fendenti su Renzi. Guerini e Serracchiani sono stati durissimi e ieri, da Ravenna, l’ex premier si è detto «piuttosto colpito dalla violenza e perfino dalla volgarità delle repliche». Aveva affermato che non si vede una via d’uscita dalla crisi e lo conferma: «Non sono i giudizi di D’Alema, ma i dati dell’Istat e non mi si può rispondere che voglio le poltrone. Sono cose umilianti, che danno la sensazione di un fastidio verso il dibattito democratico». La rissa verbale continua. Ernesto Carbone rispolvera una battutaccia dalemiana del 2008 ai danni di Brunetta: «Saremo anche energumeni, ma non tascabili. Quindi occhio Massimo».
5 settembre 2014 | 08:17
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Corriere 5.9.14
La partita per la segreteria e quell’invito «in ritardo» per Cuperlo alla festa dem
di M. Gu.
ROMA — Il «giallo» del mancato invito di Gianni Cuperlo alla Festa nazionale del Pd di Bologna rischia di cambiare in corsa il profilo della segreteria, che Renzi sperava unitaria. L’ala sinistra dei «dem» era pronta a deporre le armi per condividere oneri e onori della guida del Nazareno, ma ora minaccia di ripensarci. «Gianni è arrivato secondo alle primarie con mezzo milione di voti — attacca Stefano Fassina —. E a Pippo Civati l’invito è arrivato in ritardo. Una scelta politica precisa e gravissima, un segnale molto preoccupante di arroccamento della segreteria». E se i renziani sottovoce fanno notare che l’ex viceministro è «un caso a sé» e che nessuno ha mai fatto il suo nome per la segreteria, la sua voce non è un assolo. «Ci sto a fatica in un partito a senso unico — protesta Ileana Argentin —. Trovo folle che la politica sia diventata una mera espressione di numeri». Dal Nazareno, in via ufficiosa, fanno sapere che l’invito a Cuperlo è partito a festa iniziata per un disguido e che non c’è, nei confronti dell’ex presidente, nessuna volontà di esclusione. Ma la polemica è ormai innescata e i renziani sospettano che i bersaniani abbiano voglia
di soffiare sul fuoco. Alfredo D’Attorre smentisce strumentalizzazioni e prova
a entrare nel merito: «Il problema non è ottenere due posti per fare tappezzeria, il punto è cosa vogliamo fare. Prima di capire se la gestione sia unitaria o meno, si tratta di capire se c’è la gestione». I contatti con l’area riformista guidata da Roberto Speranza non sono interrotti e i renziani pensano che la minoranza non abbia in realtà interesse a rompere. E che alla fine «si accoderanno», a dispetto dei toni aspri di Fassina. Il quale retoricamente domanda a chi interessi «uno strapuntino» in segreteria: «Non vedo il clima per una gestione unitaria e non mi pare che da parte di Renzi ci sia una disponibilità vera. Si sono arroccati e cercano qualche soprammobile per dire che il partito è plurale». Lettura che il vicesegretario Lorenzo Guerini smentisce, assicurando che l’intenzione di aprire le porte alla minoranza non è mutata: «Si va avanti come si era deciso. Alcuni componenti della minoranza avevano manifestato interesse a entrare e noi andiamo avanti in quella direzione, che le polemiche non mettono in discussione». Girano i nomi di Leva, Amendola, Laforgia e Micaela Campana e il presidente Matteo Orfini spera nell’accordo: «Gestione unitaria non vuol dire diventare tutti renziani, cosa di cui io non sarei capace».
Repubblica 5.9.14
Lavoro, tagli e Italicum sfida della minoranza Pd “Renzi dovrà ascoltarci”
Bersani: discutere nel partito anche se governiamo No al superamento dell’articolo 18: “Roba di destra”
di Annalisa Cuzzocrea
ROMA I venti miliardi di tagli alla spesa pubblica sono «irrealizzabili e dannosi», il superamento dell’articolo 18 è una «ricetta di destra», il nuovo Statuto dei lavoratori «non può essere scritto con una delega in bianco al governo», sulla legge elettorale ci sono tre nodi tutti da sciogliere: premio di maggioranza, quorum per i piccoli partiti e preferenze. La minoranza pd si ricompatta e si riorganizza sui tre fronti che scalderanno i prossimi mesi in Parlamento.
Così, ieri, mentre Pier Luigi Bersani incontrava l’unico dei suoi al governo, il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina, al caffè Illy vicino a Montecitorio, gli esponenti di Area riformista (da Roberto Speranza a Stefano Fassina, da Nico Stumpo ad Alfredo D’Attorre) mettevano a punto la strategia delle prossime settimane. Chiedono autonomia e promettono lealtà. Stanno preparando un secondo incontro nazionale per fine mese, dopo quello di inizio estate a Massa Marittima. Vogliono tre o quattro posti nella nuova segreteria (probabile che arrivi per loro Enzo Amendola come responsabile Esteri), ma non perché servano loro degli strapuntini: se si vuole l’impegno di tutti in questa fase nuova - è il ragionamento - noi si siamo, chiediamo però di essere ascoltati.
«La sinistra deve saper discutere, la sinistra è fatta così, in un altro modo rispetto a quel ‘padrone’ che c’è di là» ha detto ieri Pier Luigi Bersani a una festa del Pd alludendo a Berlusconi. «La sinistra non esisterebbe senza discutere, poi sa essere anche leale». L’ex segretario è tornato all’attacco sul doppio ruolo di Renzi: «È un fatto strutturale, quando il tuo segretario è capo del governo devi stare attento a quel che dici. La discussione è un pochino inibita». Questo, secondo Bersani, è «il cuore del problema» per il quale è necessario aprire «una riflessione larga entro fine anno ». Non perdonano, i bersaniani, l’esclusione dalla festa nazionale di Bologna di Gianni Cuperlo e Pippo Civati: «Una scelta politica precisa - dice Fassina - e lo dico con cognizione di causa».
Altrettanto dure, da Ravenna, le parole di Massimo D’Alema: «Sono rimasto colpito dalla violenza, in qualche caso perfino dalla volgarità delle repliche », ha detto riferendosi alle interviste dei vicesegretari Debora Serracchiani e Lorenzo Guerini che criticavano le sue prese di posizione sul governo in difficoltà. Risposte che - ha aggiunto - «confermano le mie preoccupazioni. Perché se uno dice che è preoccupato perché c’è la disoccupazione, non gli si può rispondere che vuole le poltrone».
Secondo i bersaniani, il ritardo nella formazione della nuova segreteria (che ha perso molte pedine tra ministri e incarichi in Europa) non è dovuto alla riottosità della minoranza sulle riforme, ma a una nuova debolezza della dirigenza: «I rapporti tra Graziano Delrio e Luca Lotti nel governo non sono idilliaci, così come sono esplosi quelli tra Lotti e Guerini nel partito - racconta un deputato -. Ne è la prova il pasticcio delle primarie in Emilia Romagna, dove finiranno per scontrarsi due renziani».
I fedelissimi del premier fanno spallucce. «Fassina ha con sé 50 di noi? - chiede ironico Ernesto Carbone a chi gli ricorda che ci sono 54 democratici a sostegno del referendum anti-fiscal compact -. Io finora ne ho visti solo tre». Ma l’ex viceministro all’Economia non si scompone: «Se per la legge di stabilità i provvedimenti sono quelli annunciati, se si pensa davvero di poter far sopportare a questo Paese altri 20 miliardi di tagli alla spesa pubblica, sono certo che saremo di più».
il Sole 5.9.14
Dem. Da 20 deputati mozione per reinvestire gli introiti delle privatizzazioni
La minoranza Pd attacca il premier Bersani: no a segretario-capo governo
ROMA Dopo Massimo D'Alema ecco Pier Luigi Bersani. Il bersaglio è sempre lo stesso: Matteo Renzi, il premier-segretario. «È un fatto strutturale, quando il tuo segretario è capo del governo la discussione è un pochino inibita», insiste Bersani secondo cui la doppia carica è «cuore del problema» sul quale va fatta «una larga riflessione entro l'anno». Ma le critiche sono anche per il Renzi-premier al quale si chiede «più coraggio» in politica economica mentre in Parlamento la minoranza (Fassina, Cuperlo, D'Attorre ed altri 20 deputati) presenta una mozione in cui si chiede di reinvestire gli introiti delle privatizzazioni e non destinarli a diminuire il debito.
Le frecciate arrivano a pochi giorni dalla scelta della nuova segreteria di Largo del Nazareno. L'ipotesi di allargarla alla minoranza è sempre in piedi anche se non è da escludere che l'acuirsi e il ripetersi degli attacchi possa rimettere in discussione la decisione. In ogni caso sembra escluso che l'annuncio arrivi domenica, in occasione dell'intervento di Renzi alla Festa nazionale dell'Unità di Bologna. Anche perché con l'invito ai leader socialisti europei, il segretario ha dato un'altra proiezione all'evento.
Anche D'Alema torna per il terzo giorno a ribadire le sue critiche e a lamentare la durezza delle reazioni dei renziani. «Sono rimasto piuttosto colpito dalla violenza, in qualche caso perfino dalla volgarità delle repliche», dice l'ex premier dal palco di Ravenna che ribadisce le sue perplessità sugli 80 euro. «C'è bisogno di una svolta più coraggiosa sia a livello italiano che europeo», sostiene D'Alema secondo cui, dopo la partita delle nomine stravinta dal Ppe, è «arduo il cammino per il cambiamento». Critiche che i renziani bollano come una reazione alla mancata nomina di D'Alema a Bruxelles. «I tempi lo farebbero pensare, ma voglio credere di no», dice la vicesegretaria Debora Serracchiani. Mentre l'altro vicesegretario, Lorenzo Guerini, definisce «ingenerose, superficiali e affrettate» le critiche al governo.
Corriere 5.9.14
I vincoli della spesa cominciano a sfidare il premier «popolare»
di Massimo Franco
Più elementi contribuiscono a rendere preoccupante l’annuncio dello sciopero dei sindacati delle forze dell’ordine contro il blocco del tetto degli stipendi deciso dal governo. Il primo, e più vistoso, è che per la prima volta gli uomini e le donne in divisa deciderebbero di incrociare le braccia contro una decisione dell’esecutivo. Sarebbe una scelta grave che però allunga un’ombra sui provvedimenti annunciati nei giorni scorsi: tanto più se fosse vero che a luglio Palazzo Chigi aveva dato assicurazioni opposte ai vertici di polizia e carabinieri. Il secondo aspetto è che non si tratta di un attacco proveniente dalle organizzazioni tradizionali, Cgil in testa, ma da un mondo considerato moderato e percepito come tale.
La somma di questi due aspetti porta a una riflessione più politica: nel senso che Matteo Renzi si trova a fronteggiare la prima protesta «popolare», e tendenzialmente «impopolare» per lui, da quando siede alla presidenza del Consiglio; per di più, da parte di corpi dello Stato per antonomasia. Il paradosso è che appena due giorni fa, dalle colonne del Sole 24 Ore il premier aveva teorizzato una sorta di strategia basata sulla capacità di decidere riscuotendo consensi più che resistenze. «Non credo che chi governa debba necessariamente scontentare», aveva detto. Per questo è legittimo chiedersi se la reazione annunciata dai sindacati «entro settembre», e accompagnata da una «capillare attività di sensibilizzazione» dell’opinione pubblica, fosse stata prevista; o se confermi un errore di giudizio.
Anche perché qui si va oltre lo scontento. Quando in un documento sottoscritto dai rappresentanti di tutti i corpi delegati alla sicurezza dello Stato si chiedono anche le dimissioni dei ministri, magari gli stessi che vengono scortati quotidianamente, si sfiora una rottura pericolosa. Viene messo in mora un rapporto fiduciario che evidentemente è stato dato per acquisito mentre non lo è. Renzi fa sapere che riceverà «volentieri gli agenti di polizia ma non accetterò ricatti»: anche perché «il blocco degli stipendi degli statali era già previsto nel Documento economico-finanziario». La vicenda, però, sta diventando l’emblema di un esecutivo costretto a muoversi in spazi strettissimi.
Deve rispettare il patto di Stabilità europeo ma è ossessionato dall’esigenza di non rompere la luna di miele con l’elettorato. E si trova a compiere scelte non solo dolorose ma dagli effetti imprevisti. Sono le spine della crisi economica. Ieri il presidente della Bce, Mario Draghi, abbassando i tassi di interesse ha avvertito che «non c’è stimolo monetario o di bilancio in grado di rilanciare la crescita senza riforme strutturali ambiziose e forti»: un ammonimento che può offrire appigli a un Renzi determinato ad andare avanti «senza guardare in faccia nessuno». E lo spread , la differenza tra gli interessi pagati per i titoli di Stato italiani rispetto a quelli tedeschi, è sceso a 138 punti: il livello al quale era prima della crisi. I margini rimangono risicati, comunque. E l’idea di tagliare 20 miliardi di euro continua ad apparire molto ambiziosa.
La protesta seguita ieri all’annuncio del ministro alla Pubblica amministrazione, Marianna Madia, sul blocco dei «tetti» delle retribuzioni, è indicativa, sebbene Palazzo Chigi possa contare tuttora su consensi solidi. Non ha, nonostante i malumori che serpeggiano, una vera opposizione dentro il Pd; e tra gli alleati di governo nessuno è in grado di insidiarlo. Le sue difficoltà, tuttavia, sono evidenti e crescenti. L’asse con Silvio Berlusconi si consolida, sulle riforme istituzionali e sulla politica estera. Ma i ruoli sono più equilibrati di prima, se non invertiti. In precedenza, l’ex premier appariva del tutto subalterno al Pd renziano, e costretto ad assecondarne l’agenda. Ora, sembra sia Berlusconi ad allungare un’ipoteca sull’esecutivo, e a condizionarne l’esistenza. L’impressione è che la userà non per fare cadere Renzi ma per farlo durare il più a lungo possibile. Magari con la segreta speranza che si logori rapidamente.
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Re: 13 Senatori del PD si autosospendono
il Fatto 12.9.14
Gianfranco Pasquino Il politologo
“Il Pd in Emilia va azzerato il vertice ignora gli iscritti”
di Emiliano Liuzzi
Più che i capelli bianchi, ha un passato di insegnante ad Harvard e alla School of Advanced International Studies di Washington. Se non bastasse ha diretto anche il Mulino, la voce critica di una sinistra d’altri tempi, ed è stato senatore indipendente. Oltre a qualcosa come un centinaio di pubblicazioni. Uno degli ultimi politologi che hanno attraversato almeno tre Repubbliche, sempre che tante siano state. L’intervista con Gianfranco Pasquino, inizia con lui che fa una domanda: “Si è ritirato dalla corsa alle primarie Stefano Bonaccini? ”.
No, professore. Al momento non lo ha fatto. Lei se lo aspetta?
Sarebbe un dovere, in questo momento. Non è possibile assistere a tale deriva. Non importa se siano briciole o meno, non importa se Bonaccini avrà modo di difendersi. Sono solo espedienti per sfuggire al problema.
Cioè?
Bonaccini faceva parte di un consiglio regionale dove la metà dei consiglieri sono indagati e lui, oltre a essere in quel consiglio, era anche segretario del partito. Se questi non sono motivi per lasciare, non saprei cos’altro debba accadere. Ma poi c’è una cosa che tutti fanno finta di dimenticare .
Quale professore?
Nessuno ha ricordato l’affare Flavio Delbono. Era assessore alle Finanze della giunta regionale precedente (sempre presieduta da Vasco Errani) e del partito del quale Bonaccini era dirigente, se non sbaglio. Con i soldi della Regione, Delbono andava in vacanza con la sua fidanzata, o presunta tale. Vicenda per la quale è stato condannato e costretto a dimettersi da sindaco di Bologna Dovrebbe bastare. Altrimenti ne possiamo anche aggiungere.
Ce ne sono ancora?
Il presidente di quella giunta, Vasco Errani, è stato condannato e si è dimesso. Conosco l’uomo, l’ultimo con il quale vorrei prendermela in questo momento, ma è accaduto. Chiamiamola leggerezza, ma in maniera responsabile si è dimesso. Credo che con la stessa responsabilità Bonaccini, se ne ha, dovrebbe a questo punto fare un passo indietro. Non è più accettabile.
A beneficio di chi? Non ci sono candidati.
Non è vero. C’è un signore che si chiama Roberto Balzani e che ha fatto il sindaco di Forlì che con la storia di questi non ha niente a che vedere. Non ha scheletri nell’armadio, è una persona retta ed è l'unico in questo momento che può affrontare una candidatura. Capisco che sarebbe la rottura con questa classe dirigente, ma c'è un momento in cui bisognamettere da parte l’ambizione personale e privilegiare quella politica.
Secondo lei Bonaccini non è più credibile?
No, non lo è. E non lo è più neppure l’altro, Matteo Richetti. Ripeto, non è un problema di quanto, è il problema di una stagione intera che non è stata promossa.
Ma com’è che l’Emilia Romagna, terra di grandi virtù per il Partito comunista e dopo, almeno in parte, anche per il Pds, è finita in questa melma? C’è un momento in cui qualcosa si è inceppato?
È stato un processo molto lento, ma quando gli iscritti hanno perso il controllo della classe dirigente questo è accaduto. In altre epoche o stagioni non sarebbe stato così, ma perché c’era una base alla quale dar conto del proprio lavoro. Quando questi meccanismi si sono persi, si è perso per strada anche ogni pudore. Quello che è accaduto a Bologna e dintorni, lo ripeto, è inaccettabile.
Propone un azzeramento di questa classe dirigente?
Non è possibile, ma sarebbe una strada. Ormai sono all’interno dei meccanismi di potere che in Emilia Romagna non sono solo il partito, ma anche quello sociale e produttivo. Non ci sarà nessun azzeramento. Ma Balzani sarebbe un buon punto di partenza.
Diciamoci la verità: il Pd in Emilia Romagna vincerebbe anche con un Bonaccini qualsiasi.
Certo. Anche perché non esistono alternative. Il centrodestra si è completamente disfatto, il Movimento 5 Stelle non ha più la carica iniziale, il rischio di perdere la Regione non si profila. Ma sarebbe il culmine di una fase che prima o poi il centrosinistra si troverà a scontare.
L'ipotesi che circola è che Bonaccini resti. Si presenterebbe con un programma più simile a un’arringa difensiva che non una strategia politica, e chi si è visto si è visto.
Mi auguro che non accada.
Si appella alla responsabilità dei singoli?
Non mi pare che abbiano dimostrato grandi doti sotto questo profilo. Spero che la base riprenda il suo vecchio ruolo.
Corriere 12.9.14
Bersani sfida il premier: io avrei lasciato subito la guida dei democratici
«La segreteria? Discutiamo, poi i nomi»
di Monica Guerzoni
ROMA — Con il Pd immerso nel caos emiliano, il controcanto di Bersani non cala nemmeno di un decibel. «Dieci o cento teste ragionano meglio di una» è il nuovo motto con cui l’ex leader chiede al segretario-premier «uno sforzo collegiale» e una decisione in tempi rapidi per uscire dal pantano bolognese. Renzi, è il consiglio del già «governatore», si guardi bene dal calare «briscoloni» dall’alto di Palazzo Chigi, eviti i diktat e metta l’orecchio a terra prima di fare una scelta. Ma in fretta, perché il partito non può attendere: «Bisogna che da Roma si ascoltino le opinioni del partito in Emilia Romagna e si decida. Insieme». Quanto alla nuova segreteria, Bersani assicura di non avere «preclusioni», ma fa capire che non rinuncerà a dire la sua: «Non si parli di gestione unitaria se non c’è prima una discussione su cosa è il partito in questo momento». Renzi deve lasciare il doppio incarico? «Io non gli ho mai chiesto di dimettersi da segretario, ma se fossi diventato premier avrei lasciato la guida del Pd dopo un nanosecondo».
Dopo settimane di tentennamenti e dubbi, la minoranza sembra pronta a varcare la soglia del Nazareno e la scelta non è stata indolore, viste le forti perplessità dei «duri» come Fassina, D’Attorre e Gotor. Bersaniani, dalemiani e i pochi lettiani che si riconoscono nell’Area riformista di Speranza si sono visti mercoledì sera nella sede del Nens, il centro studi di Visco e Bersani, e — dopo animata discussione — si apprestano ad accettare l’invito di Renzi. Sanno che non concederà posti di rilievo nel suo team, ma non vogliono restare lontani dalla cabina di regia e cercano un compromesso. La soluzione, un po’ barocca, passa attraverso un’invenzione lessicale: non parlare di gestione unitaria, ma di segreteria «plurale». Il malessere resta forte, come conferma lo stallo su Consulta e Csm. Bersani ribadisce il suo monito: «Una gestione unitaria si può cominciare solo se c’è una riflessione comune su come ci si organizza nel momento in cui il Pd è al governo». Se la minoranza entrerà, lo farà dunque con un piede soltanto. Se poi Renzi manterrà la promessa di un documento comune sul modello di partito e accoglierà le istanze della sinistra su Italicum ed emergenza economica, in autunno la segreteria «plurale» potrà diventare «unitaria». Un’impostazione che Renzi potrebbe non gradire. «Non ci sono primi o secondi tempi» è l’avvertimento che filtra, informalmente.
D’Attorre era contrario a fare da «carta da parati» ai muri del Nazareno e adesso, che ha prevalso l’ala morbida, la mette così: «Sarebbe sbagliato sottrarsi rispetto a una richiesta di collaborazione, ma è difficile che il chiarimento politico avvenga con la questione dell’Emilia aperta». Resterete sull’uscio? «Entriamo, chiarendo però che per noi si tratta di un esecutivo che si rinnova e non di una segreteria con una caratura politica. Il vero banco di prova di una gestione condivisa ha due cardini, la conferenza sul partito e una riflessione comune su lavoro, legge elettorale e legge di Stabilità». E qui i numeri li sciorina Bersani: «Quando sul Def si parla di cifre intorno ai 16-20 miliardi bisogna vedere se è sostenibile, non sono mica noccioline...». Per l’Area riformista ci sono tre posti e quattro aspiranti: favoriti Amendola e Campana, duello tra Giorgis e Leva. Cuperlo è cauto eppure ha dato il via libera a uno dei suoi, da scegliere tra De Maria e Laforgia. Si parla del senatore lettiano Russo, mentre Civati ribadisce il suo «no» e Fioroni chiarisce, polemico: «Ci siamo tirati fuori dal coro. Non serve l’applauso di centro oltre a quello di sinistra».
Repubblica 12.9.14
Ma Bersani attacca “Vicenda gestita male decidano gli emiliani”
di Carmelo Lo Papa
Non ho dubbi sull’onestà di Richetti e Bonaccini. Auspico che dalla Procura venga una parola di chiarezza
Un partito serio deve gestire questa situazione. Va lì, dal candidato rimasto in competizione, lo coinvolge, chiarisce
ROMA «Una vicenda gestita male fin dall’inizio », col passare delle ore Pier Luigi Bersani ne è sempre più convinto, la testa dell’ex segretario è alla “sua” Emilia. Quanta amarezza. Ha poca voglia di parlarne, ma un paio di concetti ben chiari tiene a piazzarli, un po’ coi colleghi che gli chiedono, un po’ coi giornalisti che lo incalzano in Transatlantico.
«Non ho dubbio alcuno sull’onestà di Richetti e Bonaccini» è la premessa del deputato semplice Bersani, ragionando sulla faccenda dei rimborsi che ha portato al ritiro della candidatura del primo e all’azzoppamento del secondo. «Ma si può sempre auspicare che, in un contesto così complicato, dalla Procura venga una parola di chiarezza». E in tempi rapidi, magari. Un modo per lasciare intendere come il male minore, a questo punto, se proprio si dovrà rinunciare alle primarie, sarebbe salvare la candidatura forte di Stefano Bonaccini, deciso a restare in corsa. Anche se la linea (non dichiarata) del segretario Renzi su questa storia non convince del tutto Bersani. Lo spiega mentre compulsa il telefonino cercando di capire dagli sms del gruppo se potrà o meno raggiungere in serata la festa del partito a Isernia, se le votazioni su giudici costituzionali e Csm slitteranno a lunedì (come poi sarà): «Se ora si vuole rinunciare alle primarie del Pd in Regione, allora bisogna alla ricordarsi che c’è un candidato che rimane in competizione», dice. E il riferimento è a Roberto Balzani, ex sindaco di Forlì, pronto a fare fuoco e fiamme se dall’alto di via del Nazareno sarà calato un nome, cancellando la consultazione della base. L’ex segretario ne fa un ragionamento politico: «Un partito serio deve gestire questa situazione. Va lì, dal candidato rimasto in competizione, lo coinvolge, chiarisce. Ecco, per fare tutto questo non basta solo Guerini», taglia corto citando il braccio destro di Renzi e vice segretario del Pd. Perché quella che si è creata in Emilia Romagna «è una situazione difficile e complicata. Ma non è la prima volta che ci si trova in situazioni poi rivelatesi infondate — continua — come se ne è usciti? Col collettivo. Con il territorio e il partito centrale che ci mettevano la faccia. Io sono ancora di questa opinione, quindi nelle prossime 48 ore Roma e Bologna dovranno essere in grado di prendere una decisione davanti ad una situazione complicata. Se me lo chiedono, dico la mia, se facciamo così non dobbiamo avere paura di niente. Però bisogna reagire».
Sullo sfondo, la politica di Renzi. «È sempre convincente — sostiene Bersani dopo aver rivisto e riascoltato il segretario dal vivo alla chiusura della festa di Bologna — ma privilegia l’elemento comunicativo a quello riflessivo». Leader che nei giorni scorsi ha raccontato di non aver pensato nemmeno per un nanosecondo a fare un passo indietro dalla segreteria. «Io non ho mai chiesto a Renzi di fare un passo indietro dalla carica di segretario, anche se io non ci avrei pensato un momento a farlo, quel passo indietro» è la stoccata di Bersani conversando con i cronisti in Transatlantico. Pur precisando subito: «Sia chiaro, non sto chiedendo le dimissioni di Renzi: il partito ha deciso e va bene così». Sul partito poi si apre un’altra questione. La direzione è slittata a martedì prossimo. Ma «è ora di fare il punto sul Pd», anche lì, puntando sulla collegialità perché «dieci o cento teste ragionano meglio di una» è la filosofia dell’ex ministro. Altrimenti, «è inutile parlare di gestione unitaria del partito: la puoi pronunciare solo se c’è una riflessione comune». Allargare o no la segretaria alla minoranza? Il punto non è quello, spazza via sbrigativo Bersani: «Il segretario si fa la sua segreteria, punto. E non ci saranno preclusioni da parte mia o di altri affinché siano utilizzate le migliori energie, comunque la pensino ». La sua richiesta è piuttosto quella di «una riflessione senza magliette, con un documento aperto su cui discutere nei territori e poi in un appuntamento nazionale, su come dare forza al partito nel momento in cui è al governo e non c’è il finanziamento pubblico». Un documento che, precisa, «tocca al segretario» predisporre e sul quale la minoranza «è pienamente disponibile a discutere e contribuire ». Il ragionamento lo completerà a tutto tondo in serata, quando poi raggiungerà Isernia. «Bisogna che il Pd si consolidi come grande collettivo, che sopravviva a Bersani, a Renzi e a quello che sarà dopo Renzi». L’invito dell’ex segretario ai militanti è ad andare oltre le leadership perché «in Italia c’è bisogno di partiti capaci di sopravvivere ai loro leader: i vent’anni che abbiamo alle spalle ci dicono altro. Il Pd ha questa sfida davanti, che non è cosa da poco. Ecco, io voglio dare una mano su questo».
Gianfranco Pasquino Il politologo
“Il Pd in Emilia va azzerato il vertice ignora gli iscritti”
di Emiliano Liuzzi
Più che i capelli bianchi, ha un passato di insegnante ad Harvard e alla School of Advanced International Studies di Washington. Se non bastasse ha diretto anche il Mulino, la voce critica di una sinistra d’altri tempi, ed è stato senatore indipendente. Oltre a qualcosa come un centinaio di pubblicazioni. Uno degli ultimi politologi che hanno attraversato almeno tre Repubbliche, sempre che tante siano state. L’intervista con Gianfranco Pasquino, inizia con lui che fa una domanda: “Si è ritirato dalla corsa alle primarie Stefano Bonaccini? ”.
No, professore. Al momento non lo ha fatto. Lei se lo aspetta?
Sarebbe un dovere, in questo momento. Non è possibile assistere a tale deriva. Non importa se siano briciole o meno, non importa se Bonaccini avrà modo di difendersi. Sono solo espedienti per sfuggire al problema.
Cioè?
Bonaccini faceva parte di un consiglio regionale dove la metà dei consiglieri sono indagati e lui, oltre a essere in quel consiglio, era anche segretario del partito. Se questi non sono motivi per lasciare, non saprei cos’altro debba accadere. Ma poi c’è una cosa che tutti fanno finta di dimenticare .
Quale professore?
Nessuno ha ricordato l’affare Flavio Delbono. Era assessore alle Finanze della giunta regionale precedente (sempre presieduta da Vasco Errani) e del partito del quale Bonaccini era dirigente, se non sbaglio. Con i soldi della Regione, Delbono andava in vacanza con la sua fidanzata, o presunta tale. Vicenda per la quale è stato condannato e costretto a dimettersi da sindaco di Bologna Dovrebbe bastare. Altrimenti ne possiamo anche aggiungere.
Ce ne sono ancora?
Il presidente di quella giunta, Vasco Errani, è stato condannato e si è dimesso. Conosco l’uomo, l’ultimo con il quale vorrei prendermela in questo momento, ma è accaduto. Chiamiamola leggerezza, ma in maniera responsabile si è dimesso. Credo che con la stessa responsabilità Bonaccini, se ne ha, dovrebbe a questo punto fare un passo indietro. Non è più accettabile.
A beneficio di chi? Non ci sono candidati.
Non è vero. C’è un signore che si chiama Roberto Balzani e che ha fatto il sindaco di Forlì che con la storia di questi non ha niente a che vedere. Non ha scheletri nell’armadio, è una persona retta ed è l'unico in questo momento che può affrontare una candidatura. Capisco che sarebbe la rottura con questa classe dirigente, ma c'è un momento in cui bisognamettere da parte l’ambizione personale e privilegiare quella politica.
Secondo lei Bonaccini non è più credibile?
No, non lo è. E non lo è più neppure l’altro, Matteo Richetti. Ripeto, non è un problema di quanto, è il problema di una stagione intera che non è stata promossa.
Ma com’è che l’Emilia Romagna, terra di grandi virtù per il Partito comunista e dopo, almeno in parte, anche per il Pds, è finita in questa melma? C’è un momento in cui qualcosa si è inceppato?
È stato un processo molto lento, ma quando gli iscritti hanno perso il controllo della classe dirigente questo è accaduto. In altre epoche o stagioni non sarebbe stato così, ma perché c’era una base alla quale dar conto del proprio lavoro. Quando questi meccanismi si sono persi, si è perso per strada anche ogni pudore. Quello che è accaduto a Bologna e dintorni, lo ripeto, è inaccettabile.
Propone un azzeramento di questa classe dirigente?
Non è possibile, ma sarebbe una strada. Ormai sono all’interno dei meccanismi di potere che in Emilia Romagna non sono solo il partito, ma anche quello sociale e produttivo. Non ci sarà nessun azzeramento. Ma Balzani sarebbe un buon punto di partenza.
Diciamoci la verità: il Pd in Emilia Romagna vincerebbe anche con un Bonaccini qualsiasi.
Certo. Anche perché non esistono alternative. Il centrodestra si è completamente disfatto, il Movimento 5 Stelle non ha più la carica iniziale, il rischio di perdere la Regione non si profila. Ma sarebbe il culmine di una fase che prima o poi il centrosinistra si troverà a scontare.
L'ipotesi che circola è che Bonaccini resti. Si presenterebbe con un programma più simile a un’arringa difensiva che non una strategia politica, e chi si è visto si è visto.
Mi auguro che non accada.
Si appella alla responsabilità dei singoli?
Non mi pare che abbiano dimostrato grandi doti sotto questo profilo. Spero che la base riprenda il suo vecchio ruolo.
Corriere 12.9.14
Bersani sfida il premier: io avrei lasciato subito la guida dei democratici
«La segreteria? Discutiamo, poi i nomi»
di Monica Guerzoni
ROMA — Con il Pd immerso nel caos emiliano, il controcanto di Bersani non cala nemmeno di un decibel. «Dieci o cento teste ragionano meglio di una» è il nuovo motto con cui l’ex leader chiede al segretario-premier «uno sforzo collegiale» e una decisione in tempi rapidi per uscire dal pantano bolognese. Renzi, è il consiglio del già «governatore», si guardi bene dal calare «briscoloni» dall’alto di Palazzo Chigi, eviti i diktat e metta l’orecchio a terra prima di fare una scelta. Ma in fretta, perché il partito non può attendere: «Bisogna che da Roma si ascoltino le opinioni del partito in Emilia Romagna e si decida. Insieme». Quanto alla nuova segreteria, Bersani assicura di non avere «preclusioni», ma fa capire che non rinuncerà a dire la sua: «Non si parli di gestione unitaria se non c’è prima una discussione su cosa è il partito in questo momento». Renzi deve lasciare il doppio incarico? «Io non gli ho mai chiesto di dimettersi da segretario, ma se fossi diventato premier avrei lasciato la guida del Pd dopo un nanosecondo».
Dopo settimane di tentennamenti e dubbi, la minoranza sembra pronta a varcare la soglia del Nazareno e la scelta non è stata indolore, viste le forti perplessità dei «duri» come Fassina, D’Attorre e Gotor. Bersaniani, dalemiani e i pochi lettiani che si riconoscono nell’Area riformista di Speranza si sono visti mercoledì sera nella sede del Nens, il centro studi di Visco e Bersani, e — dopo animata discussione — si apprestano ad accettare l’invito di Renzi. Sanno che non concederà posti di rilievo nel suo team, ma non vogliono restare lontani dalla cabina di regia e cercano un compromesso. La soluzione, un po’ barocca, passa attraverso un’invenzione lessicale: non parlare di gestione unitaria, ma di segreteria «plurale». Il malessere resta forte, come conferma lo stallo su Consulta e Csm. Bersani ribadisce il suo monito: «Una gestione unitaria si può cominciare solo se c’è una riflessione comune su come ci si organizza nel momento in cui il Pd è al governo». Se la minoranza entrerà, lo farà dunque con un piede soltanto. Se poi Renzi manterrà la promessa di un documento comune sul modello di partito e accoglierà le istanze della sinistra su Italicum ed emergenza economica, in autunno la segreteria «plurale» potrà diventare «unitaria». Un’impostazione che Renzi potrebbe non gradire. «Non ci sono primi o secondi tempi» è l’avvertimento che filtra, informalmente.
D’Attorre era contrario a fare da «carta da parati» ai muri del Nazareno e adesso, che ha prevalso l’ala morbida, la mette così: «Sarebbe sbagliato sottrarsi rispetto a una richiesta di collaborazione, ma è difficile che il chiarimento politico avvenga con la questione dell’Emilia aperta». Resterete sull’uscio? «Entriamo, chiarendo però che per noi si tratta di un esecutivo che si rinnova e non di una segreteria con una caratura politica. Il vero banco di prova di una gestione condivisa ha due cardini, la conferenza sul partito e una riflessione comune su lavoro, legge elettorale e legge di Stabilità». E qui i numeri li sciorina Bersani: «Quando sul Def si parla di cifre intorno ai 16-20 miliardi bisogna vedere se è sostenibile, non sono mica noccioline...». Per l’Area riformista ci sono tre posti e quattro aspiranti: favoriti Amendola e Campana, duello tra Giorgis e Leva. Cuperlo è cauto eppure ha dato il via libera a uno dei suoi, da scegliere tra De Maria e Laforgia. Si parla del senatore lettiano Russo, mentre Civati ribadisce il suo «no» e Fioroni chiarisce, polemico: «Ci siamo tirati fuori dal coro. Non serve l’applauso di centro oltre a quello di sinistra».
Repubblica 12.9.14
Ma Bersani attacca “Vicenda gestita male decidano gli emiliani”
di Carmelo Lo Papa
Non ho dubbi sull’onestà di Richetti e Bonaccini. Auspico che dalla Procura venga una parola di chiarezza
Un partito serio deve gestire questa situazione. Va lì, dal candidato rimasto in competizione, lo coinvolge, chiarisce
ROMA «Una vicenda gestita male fin dall’inizio », col passare delle ore Pier Luigi Bersani ne è sempre più convinto, la testa dell’ex segretario è alla “sua” Emilia. Quanta amarezza. Ha poca voglia di parlarne, ma un paio di concetti ben chiari tiene a piazzarli, un po’ coi colleghi che gli chiedono, un po’ coi giornalisti che lo incalzano in Transatlantico.
«Non ho dubbio alcuno sull’onestà di Richetti e Bonaccini» è la premessa del deputato semplice Bersani, ragionando sulla faccenda dei rimborsi che ha portato al ritiro della candidatura del primo e all’azzoppamento del secondo. «Ma si può sempre auspicare che, in un contesto così complicato, dalla Procura venga una parola di chiarezza». E in tempi rapidi, magari. Un modo per lasciare intendere come il male minore, a questo punto, se proprio si dovrà rinunciare alle primarie, sarebbe salvare la candidatura forte di Stefano Bonaccini, deciso a restare in corsa. Anche se la linea (non dichiarata) del segretario Renzi su questa storia non convince del tutto Bersani. Lo spiega mentre compulsa il telefonino cercando di capire dagli sms del gruppo se potrà o meno raggiungere in serata la festa del partito a Isernia, se le votazioni su giudici costituzionali e Csm slitteranno a lunedì (come poi sarà): «Se ora si vuole rinunciare alle primarie del Pd in Regione, allora bisogna alla ricordarsi che c’è un candidato che rimane in competizione», dice. E il riferimento è a Roberto Balzani, ex sindaco di Forlì, pronto a fare fuoco e fiamme se dall’alto di via del Nazareno sarà calato un nome, cancellando la consultazione della base. L’ex segretario ne fa un ragionamento politico: «Un partito serio deve gestire questa situazione. Va lì, dal candidato rimasto in competizione, lo coinvolge, chiarisce. Ecco, per fare tutto questo non basta solo Guerini», taglia corto citando il braccio destro di Renzi e vice segretario del Pd. Perché quella che si è creata in Emilia Romagna «è una situazione difficile e complicata. Ma non è la prima volta che ci si trova in situazioni poi rivelatesi infondate — continua — come se ne è usciti? Col collettivo. Con il territorio e il partito centrale che ci mettevano la faccia. Io sono ancora di questa opinione, quindi nelle prossime 48 ore Roma e Bologna dovranno essere in grado di prendere una decisione davanti ad una situazione complicata. Se me lo chiedono, dico la mia, se facciamo così non dobbiamo avere paura di niente. Però bisogna reagire».
Sullo sfondo, la politica di Renzi. «È sempre convincente — sostiene Bersani dopo aver rivisto e riascoltato il segretario dal vivo alla chiusura della festa di Bologna — ma privilegia l’elemento comunicativo a quello riflessivo». Leader che nei giorni scorsi ha raccontato di non aver pensato nemmeno per un nanosecondo a fare un passo indietro dalla segreteria. «Io non ho mai chiesto a Renzi di fare un passo indietro dalla carica di segretario, anche se io non ci avrei pensato un momento a farlo, quel passo indietro» è la stoccata di Bersani conversando con i cronisti in Transatlantico. Pur precisando subito: «Sia chiaro, non sto chiedendo le dimissioni di Renzi: il partito ha deciso e va bene così». Sul partito poi si apre un’altra questione. La direzione è slittata a martedì prossimo. Ma «è ora di fare il punto sul Pd», anche lì, puntando sulla collegialità perché «dieci o cento teste ragionano meglio di una» è la filosofia dell’ex ministro. Altrimenti, «è inutile parlare di gestione unitaria del partito: la puoi pronunciare solo se c’è una riflessione comune». Allargare o no la segretaria alla minoranza? Il punto non è quello, spazza via sbrigativo Bersani: «Il segretario si fa la sua segreteria, punto. E non ci saranno preclusioni da parte mia o di altri affinché siano utilizzate le migliori energie, comunque la pensino ». La sua richiesta è piuttosto quella di «una riflessione senza magliette, con un documento aperto su cui discutere nei territori e poi in un appuntamento nazionale, su come dare forza al partito nel momento in cui è al governo e non c’è il finanziamento pubblico». Un documento che, precisa, «tocca al segretario» predisporre e sul quale la minoranza «è pienamente disponibile a discutere e contribuire ». Il ragionamento lo completerà a tutto tondo in serata, quando poi raggiungerà Isernia. «Bisogna che il Pd si consolidi come grande collettivo, che sopravviva a Bersani, a Renzi e a quello che sarà dopo Renzi». L’invito dell’ex segretario ai militanti è ad andare oltre le leadership perché «in Italia c’è bisogno di partiti capaci di sopravvivere ai loro leader: i vent’anni che abbiamo alle spalle ci dicono altro. Il Pd ha questa sfida davanti, che non è cosa da poco. Ecco, io voglio dare una mano su questo».
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