LA DEMOCRAZIA AUTORITARIA
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Re: LA DEMOCRAZIA AUTORITARIA
Luci & Ombre di Massimo Cacciari - 1
Massimo Cacciari
Parole nel vuoto
MA LA VERA RIFORMA NON È IL SENATO
(Massimo Cacciari)
5 luglio 2014
Tra le parole che in questi anni sono diventate spugne succhia-tutto svetta quella “riformismo”. Tutti per le riforme: necessarie, urgenti, ovunque e comunque, senza se e senza ma.
Una volta riformismo significava: l’analisi delle trasformazioni sociali e dei rapporti di produzione costringe al superamento di vecchi assetti politici e istituzionali, alla ricerca di forme di rappresentanza coerenti con i ceti, gli interessi e le culture emergenti.
Sotto il segno di questo riformismo hanno avuto luogo svolte e conflitti decisivi del “secolo breve”, grandi “battaglie culturali” all’interno del socialismo europeo.
Forse con qualche concessione all’ideologia “che-sa-dove-va-il-mondo”, ma certo non con retoriche delle quali non si capisce il destinatario e che non presentano alcuna relazione logica tra le loro diverse “grida”.
Mai si era visto discutere di riforma delle assemblee rappresentative in assenza di qualsiasi prospettiva in materia di esecutivo.
Mai il problema istituzionale era stato considerato, dai “riformisti”, a prescindere dagli interessi concreti che si riteneva di dover rappresentare.
Mai una riforma elettorale era stata affrontata per garantire la “governabilità” attraverso la medesima forma di governo che si predica di voler trasformare!
La confusione regna sovrana sotto il cielo, e ciò potrebbe, senza ironia, essere anche salutato come un buon segno.
Difficile nascere tutti armati come Minerva dal cervello di Giove.
Ma si mettesse finalmente mano a quelle riforme, che sono le sole a interessare davvero gli italiani! Possibile affrontare seriamente il capitolo “risorse umane” con insegnanti sottopagati, programmi arcaici, università pubbliche totalmente burocratizzate? A quando l’applicazione dei costi standard alla sanità? E per il lavoro? Probabilmente sono decine di migliaia i posti disponibili per giovani anche nel settore manifatturiero, ma per sbloccarli non basta qualche incentivo fiscale, occorrono solidi, credibili ammortizzatori e programmi di recupero per quei lavoratori che il salto tecnologico ha reso anzitempo “maturi”.
Bene gli 80 euro – e ora? (A proposito, grande scoperta che gli 80 euro non sono finiti nei supermercati. Sono finiti a pagare le maggiori tasse di ogni tipo, soprattutto a livello locale).
Un piccolo sospetto: perché tutto il dibattito incentrato su Senato, Titolo V e via dicendo, invece che su queste questioncelle? Forse si pensa (o si pensava) che su Senato, ecc., fosse più facile portare a casa la palma della vittoria… Berlusconi garante.
Perché sulle vere riforme, alla cui logica dovrebbe accordarsi quella istituzionale, latitano non solo le decisioni,ma anche la discussione? Questa domanda riguarda il cuore stesso della nostra Costituzione. Essa è progressiva poiché impegna esplicitamente a rimuovere tutti gli ostacoli che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, uguaglianza di condizioni nell’usufruire dei servizi fondamentali e nell’accesso al lavoro (articoli 3 e 4). La Costituzione intende la partecipazione dei cittadini alla vita politica in questo senso: come battaglia per la realizzazione di queste condizioni di reale uguaglianza. Ma chi avrebbe dovuto condurla? Nello spirito dei costituenti è del tutto evidente che avrebbero dovuto essere le forze politiche, i partiti in primis. Il venir meno della forza propulsiva della Carta coincide con il collasso del sistema dei partiti, con la loro impotenza a auto-riformarsi. La Carta pensava che attraverso la discussione e elaborazione strategica al loro interno sarebbero emersi i programmi concreti di riforma volti a “rimuovere gli ostacoli” che impediscono “il pieno sviluppo della persona umana”. Non certo da individualità carismatiche o da “grida” populistiche. Se non comprendiamo questo spirito della Costituzione, possiamo modificare altre mille volte il Titolo V, senza che i disoccupati diminuiscano di una unità o un giovane laureato in più cessi di dover “pregare” per un lavoro( e cioè di essere precarius).
L'espresso del 5 luglio 2014
Massimo Cacciari
Parole nel vuoto
MA LA VERA RIFORMA NON È IL SENATO
(Massimo Cacciari)
5 luglio 2014
Tra le parole che in questi anni sono diventate spugne succhia-tutto svetta quella “riformismo”. Tutti per le riforme: necessarie, urgenti, ovunque e comunque, senza se e senza ma.
Una volta riformismo significava: l’analisi delle trasformazioni sociali e dei rapporti di produzione costringe al superamento di vecchi assetti politici e istituzionali, alla ricerca di forme di rappresentanza coerenti con i ceti, gli interessi e le culture emergenti.
Sotto il segno di questo riformismo hanno avuto luogo svolte e conflitti decisivi del “secolo breve”, grandi “battaglie culturali” all’interno del socialismo europeo.
Forse con qualche concessione all’ideologia “che-sa-dove-va-il-mondo”, ma certo non con retoriche delle quali non si capisce il destinatario e che non presentano alcuna relazione logica tra le loro diverse “grida”.
Mai si era visto discutere di riforma delle assemblee rappresentative in assenza di qualsiasi prospettiva in materia di esecutivo.
Mai il problema istituzionale era stato considerato, dai “riformisti”, a prescindere dagli interessi concreti che si riteneva di dover rappresentare.
Mai una riforma elettorale era stata affrontata per garantire la “governabilità” attraverso la medesima forma di governo che si predica di voler trasformare!
La confusione regna sovrana sotto il cielo, e ciò potrebbe, senza ironia, essere anche salutato come un buon segno.
Difficile nascere tutti armati come Minerva dal cervello di Giove.
Ma si mettesse finalmente mano a quelle riforme, che sono le sole a interessare davvero gli italiani! Possibile affrontare seriamente il capitolo “risorse umane” con insegnanti sottopagati, programmi arcaici, università pubbliche totalmente burocratizzate? A quando l’applicazione dei costi standard alla sanità? E per il lavoro? Probabilmente sono decine di migliaia i posti disponibili per giovani anche nel settore manifatturiero, ma per sbloccarli non basta qualche incentivo fiscale, occorrono solidi, credibili ammortizzatori e programmi di recupero per quei lavoratori che il salto tecnologico ha reso anzitempo “maturi”.
Bene gli 80 euro – e ora? (A proposito, grande scoperta che gli 80 euro non sono finiti nei supermercati. Sono finiti a pagare le maggiori tasse di ogni tipo, soprattutto a livello locale).
Un piccolo sospetto: perché tutto il dibattito incentrato su Senato, Titolo V e via dicendo, invece che su queste questioncelle? Forse si pensa (o si pensava) che su Senato, ecc., fosse più facile portare a casa la palma della vittoria… Berlusconi garante.
Perché sulle vere riforme, alla cui logica dovrebbe accordarsi quella istituzionale, latitano non solo le decisioni,ma anche la discussione? Questa domanda riguarda il cuore stesso della nostra Costituzione. Essa è progressiva poiché impegna esplicitamente a rimuovere tutti gli ostacoli che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, uguaglianza di condizioni nell’usufruire dei servizi fondamentali e nell’accesso al lavoro (articoli 3 e 4). La Costituzione intende la partecipazione dei cittadini alla vita politica in questo senso: come battaglia per la realizzazione di queste condizioni di reale uguaglianza. Ma chi avrebbe dovuto condurla? Nello spirito dei costituenti è del tutto evidente che avrebbero dovuto essere le forze politiche, i partiti in primis. Il venir meno della forza propulsiva della Carta coincide con il collasso del sistema dei partiti, con la loro impotenza a auto-riformarsi. La Carta pensava che attraverso la discussione e elaborazione strategica al loro interno sarebbero emersi i programmi concreti di riforma volti a “rimuovere gli ostacoli” che impediscono “il pieno sviluppo della persona umana”. Non certo da individualità carismatiche o da “grida” populistiche. Se non comprendiamo questo spirito della Costituzione, possiamo modificare altre mille volte il Titolo V, senza che i disoccupati diminuiscano di una unità o un giovane laureato in più cessi di dover “pregare” per un lavoro( e cioè di essere precarius).
L'espresso del 5 luglio 2014
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Re: LA DEMOCRAZIA AUTORITARIA
Il modello Renzi rispedito al mittente.
10/07/2014 di triskel182
https://triskel182.files.wordpress.com/ ... =628&h=346
LA DEMOCRAZIA AUTORITARIA.
IL DISAPPUNTO DEI LETTORI: “MOBILITIAMOCI CON PROTESTE IN PIAZZA”; “QUESTA POLITICA HA DERISO E UCCISO GLI IDEALI”.
Sempre più lettere in redazione per condividere l’appello del “Fatto” – lanciato domenica scorsa – su come opporsi alla svolta autoritaria del premier Matteo Renzi con il sostegno di Silvio Berlusconi. Nell’articolo venivano ricordati i dieci punti attraverso i quali si intende imprimere la svolta: riguardano Camera, Senato, ruolo dell’opposizione, la scelta del Capo dello Stato, il controllo sulla Corte costituzionale, l’influenza su Csm e magistrati, il ruolo del procuratore capo “padre-padrone” dei pm, l’immunità per senatori e deputati, le mani sull’informazione (il governo domina la Rai e B. controlla Mediaset) e i cittadini che restano senza armi se non i referendum abrogativi e leggi d’iniziativa popolare (per proporle serviranno non più 50mila ma 250mila firme).
Matteo, il nuovo uomo della Provvidenza
Quando dopo lo sconquasso di Tangentopoli sulla scena politica comparve Berlusconi con la famosa discesa in campo (“l’Italia è il paese che amo”), egli si presentò come il nuovo che avanza, dispensatore di speranze e, soprattutto, di promesse mirabolanti, via le tasse, crescita vorticosa, le tre I (internet, inglese, impresa) e altre amenità da cabaret. Oggi Renzi, sfruttando la rovinosa caduta di credibilità di un sistema politico marcio fino alle fondamenta, prova a ripetere l’exploit. La gente, che ha la memoria corta, crede alle promesse e soprattutto adora la figura dell’uomo della Provvidenza, sia pure circondato da un esercito di politici compromessi in vario modo con gli scandali e in cerca di una nuova collocazione… La storia si ripete, la differenza fra Renzi e Berlusconi è solo anagrafica: a quale anestesia sono stati sottoposti gli italiani per non capire che Renzi sta spingendo il Paese verso una china pericolosissima?
Tiziana Gubbiotti
Vogliono tutto il potere concentrato in poche mani
Concordo pienamente con la vostra analisi su ciò che riserva il futuro alla democrazia nel nostro paese. Renzi e chi sta dietro di lui (quirinale, banche, confindustria, le grandi istituzioni…) avranno bisogno, entro l’autunno, che tutto il potere sia concentrato in pochissime mani per poter fronteggiare quella che si prefigura come una stagione difficilissima per il contenimento dell’ordine sociale. In Italia accadrà quanto si è già visto in Grecia e in parte anche in Spagna Anche da noi saranno il ceto medio e quelli più deboli a pagare un conto che già si prefigura salatissimo.
Giuseppe Petrolati
Appello agli astenuti: è una battaglia pure vostra
Eppure è così semplice! Ci sono milioni di persone che dissentono, che non credono più, che non si ritrovano in questa politica che ha deriso e ucciso ideali di qualsiasi colore. È l’enorme partito degli astenuti. Fate sentire la vostra voce, non votanti, questa è una battaglia anche vostra, per tornare a credere, a sperare di avere un futuro! In questo momento soprattutto a voi appartiene la Democrazia: a voi delusi dai partiti e da questa casta inetta che ci ha portati al massacro. Questa è una lotta per difendere la libertà, e il silenzio, oggi, è colpevole!
Francesca Cardoni
Una grande manifestazione da fare a settembre
Innanzi tutto grazie per la continua vostra opera di libera e critica informazione. Penso anch’io che la prima cosa da fare sia quella di aprire gli occhi alla gente, intontita da una informazione di regime, perciò mi pare giusta l’idea che si stenda un volantino chiaro per far capire che le scelte che stanno facendo procureranno un danno enorme non solo per la Democrazia con la D maiuscola, ma anche per la nostra vita quotidiana con i tagli allo stato sociale, l’aumento della disoccupazione, ecc… Tutto queste dovrebbe essere fatto in vista di una grande manifestazione a Roma a settembre. Il “Fatto” potrebbe fare un appello a tutti i vari movimenti più o meno strutturati (5 Stelle, Attac, Movimenti per l’acqua pubblica. ma anche comitati a carattere locale) perché si impegnino in una grande opera di volantinaggio e di organizzazione della manifestazione.
Alessandra Rocca
Spero che la legge elettorale non passi in questa forma
Lo scippo di democrazia che vogliono fare Renzi Berlusconi è immenso – anche solo limitandosi al primo dei punti da voi pubblicati – il rapporto tra soglie disbarramentoepremiodimaggioranza: un partito che corre da solo non passa se non supera l’8%, insomma viene negata rappresentanza a un 8% di elettori, mentre con il premio di maggioranza il primo anche con appena il 20% dei voti arriva al 55% dei seggi; insomma regalano a se stessi un premio di maggioranza del 35%. Vien da pensare che in questa ‘democrazia’ voluta da Renzi e Berlusconi alcuni sono – come disse Orwell – davvero più uguali di altri. Spero che la legge elettorale non passi in questa forma. Per me adesso è importante puntare ad allargare la vostra informazione.
Nadia Simonini
La Costituzione non si tocca
Mio padre ha subito dal regime fascista le persecuzioni (confino a Ponza, Lipari, radiazione dall’Albo degli avvocati). Ho conosciuto dai suoi racconti le sofferenze subite per anni. Dal primo momento ho avvertito nell’atteggiamento e nelle parole dell’attuale presidente del Consiglio, Renzi, un tono autoritario che non mi è piaciuto. La Costituzione non si tocca, è stata scritta con il sangue e le sofferenze di tanti giovani. Non ci limiteremo mai a mettere la croce su un nome imposto dalle segreterie dei partiti.
Da Il Fatto Quotidiano del 10/07/2014.
10/07/2014 di triskel182
https://triskel182.files.wordpress.com/ ... =628&h=346
LA DEMOCRAZIA AUTORITARIA.
IL DISAPPUNTO DEI LETTORI: “MOBILITIAMOCI CON PROTESTE IN PIAZZA”; “QUESTA POLITICA HA DERISO E UCCISO GLI IDEALI”.
Sempre più lettere in redazione per condividere l’appello del “Fatto” – lanciato domenica scorsa – su come opporsi alla svolta autoritaria del premier Matteo Renzi con il sostegno di Silvio Berlusconi. Nell’articolo venivano ricordati i dieci punti attraverso i quali si intende imprimere la svolta: riguardano Camera, Senato, ruolo dell’opposizione, la scelta del Capo dello Stato, il controllo sulla Corte costituzionale, l’influenza su Csm e magistrati, il ruolo del procuratore capo “padre-padrone” dei pm, l’immunità per senatori e deputati, le mani sull’informazione (il governo domina la Rai e B. controlla Mediaset) e i cittadini che restano senza armi se non i referendum abrogativi e leggi d’iniziativa popolare (per proporle serviranno non più 50mila ma 250mila firme).
Matteo, il nuovo uomo della Provvidenza
Quando dopo lo sconquasso di Tangentopoli sulla scena politica comparve Berlusconi con la famosa discesa in campo (“l’Italia è il paese che amo”), egli si presentò come il nuovo che avanza, dispensatore di speranze e, soprattutto, di promesse mirabolanti, via le tasse, crescita vorticosa, le tre I (internet, inglese, impresa) e altre amenità da cabaret. Oggi Renzi, sfruttando la rovinosa caduta di credibilità di un sistema politico marcio fino alle fondamenta, prova a ripetere l’exploit. La gente, che ha la memoria corta, crede alle promesse e soprattutto adora la figura dell’uomo della Provvidenza, sia pure circondato da un esercito di politici compromessi in vario modo con gli scandali e in cerca di una nuova collocazione… La storia si ripete, la differenza fra Renzi e Berlusconi è solo anagrafica: a quale anestesia sono stati sottoposti gli italiani per non capire che Renzi sta spingendo il Paese verso una china pericolosissima?
Tiziana Gubbiotti
Vogliono tutto il potere concentrato in poche mani
Concordo pienamente con la vostra analisi su ciò che riserva il futuro alla democrazia nel nostro paese. Renzi e chi sta dietro di lui (quirinale, banche, confindustria, le grandi istituzioni…) avranno bisogno, entro l’autunno, che tutto il potere sia concentrato in pochissime mani per poter fronteggiare quella che si prefigura come una stagione difficilissima per il contenimento dell’ordine sociale. In Italia accadrà quanto si è già visto in Grecia e in parte anche in Spagna Anche da noi saranno il ceto medio e quelli più deboli a pagare un conto che già si prefigura salatissimo.
Giuseppe Petrolati
Appello agli astenuti: è una battaglia pure vostra
Eppure è così semplice! Ci sono milioni di persone che dissentono, che non credono più, che non si ritrovano in questa politica che ha deriso e ucciso ideali di qualsiasi colore. È l’enorme partito degli astenuti. Fate sentire la vostra voce, non votanti, questa è una battaglia anche vostra, per tornare a credere, a sperare di avere un futuro! In questo momento soprattutto a voi appartiene la Democrazia: a voi delusi dai partiti e da questa casta inetta che ci ha portati al massacro. Questa è una lotta per difendere la libertà, e il silenzio, oggi, è colpevole!
Francesca Cardoni
Una grande manifestazione da fare a settembre
Innanzi tutto grazie per la continua vostra opera di libera e critica informazione. Penso anch’io che la prima cosa da fare sia quella di aprire gli occhi alla gente, intontita da una informazione di regime, perciò mi pare giusta l’idea che si stenda un volantino chiaro per far capire che le scelte che stanno facendo procureranno un danno enorme non solo per la Democrazia con la D maiuscola, ma anche per la nostra vita quotidiana con i tagli allo stato sociale, l’aumento della disoccupazione, ecc… Tutto queste dovrebbe essere fatto in vista di una grande manifestazione a Roma a settembre. Il “Fatto” potrebbe fare un appello a tutti i vari movimenti più o meno strutturati (5 Stelle, Attac, Movimenti per l’acqua pubblica. ma anche comitati a carattere locale) perché si impegnino in una grande opera di volantinaggio e di organizzazione della manifestazione.
Alessandra Rocca
Spero che la legge elettorale non passi in questa forma
Lo scippo di democrazia che vogliono fare Renzi Berlusconi è immenso – anche solo limitandosi al primo dei punti da voi pubblicati – il rapporto tra soglie disbarramentoepremiodimaggioranza: un partito che corre da solo non passa se non supera l’8%, insomma viene negata rappresentanza a un 8% di elettori, mentre con il premio di maggioranza il primo anche con appena il 20% dei voti arriva al 55% dei seggi; insomma regalano a se stessi un premio di maggioranza del 35%. Vien da pensare che in questa ‘democrazia’ voluta da Renzi e Berlusconi alcuni sono – come disse Orwell – davvero più uguali di altri. Spero che la legge elettorale non passi in questa forma. Per me adesso è importante puntare ad allargare la vostra informazione.
Nadia Simonini
La Costituzione non si tocca
Mio padre ha subito dal regime fascista le persecuzioni (confino a Ponza, Lipari, radiazione dall’Albo degli avvocati). Ho conosciuto dai suoi racconti le sofferenze subite per anni. Dal primo momento ho avvertito nell’atteggiamento e nelle parole dell’attuale presidente del Consiglio, Renzi, un tono autoritario che non mi è piaciuto. La Costituzione non si tocca, è stata scritta con il sangue e le sofferenze di tanti giovani. Non ci limiteremo mai a mettere la croce su un nome imposto dalle segreterie dei partiti.
Da Il Fatto Quotidiano del 10/07/2014.
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Re: LA DEMOCRAZIA AUTORITARIA
Cortei, appelli e tv: insieme per fermare Renzi.
11/07/2014 di triskel182
LE PROPOSTE DEI LETTORI PER CONTRASTARE IL DISEGNO USCITO DAL NAZARENO ”RIFORME SÌ, MA NON QUESTE. STOPPIAMO LA DEMOCRAZIA AUTORITARIA”.
Quattro punti per le riforme senza dimenticare i vitalizi.
Il consenso alle elezioni europee non equivale a consenso su queste riforme. Si potrebbe cominciare con una raccolta firme e una manifestazione già ai primi di settembre. La prima richiesta dovrebbe essere l’abolizione dello sbarramento perché porta al ricatto del voto utile. Il secondo punto è la libera scelta dei parlamentari: i cittadini devono poter decidere chi mandare alle Camere. Il terzo è una diversa riforma del Senato: la proposta uscita dal Nazareno è inaccettabile, ma la riduzione del numero dei suoi membri può essere accettata, l’importante è che rimanga elettivo e con le stesse funzioni. La quarta questione riguarda il premio di maggioranza: se un partito non riesce a convincere la maggioranza, per quale motivo deve essere premiato? Si resta in attesa anche di un provvedimento che riduca i compensi e dei vitalizi dei parlamentari.
Albarosa Raimondi
Scendiamo in piazza contro le istituzioni dei nominati
Con la proposta di riforma di Renzi, cinque o al massimo sei segretari di partito decideranno chi siederà alla Camera. Anche i consiglieri delle aree metropolitane verranno eletti con elezioni di secondo grado. Un partigiano cattolico più volte si chiedeva,e mi chiedeva, a cosa fosse valsa la lotta armata che aveva combattuto con l’intento di ristabilire la democrazia. La domanda è rimasta senza risposta. Propongo di fare il prossimo settembre una festa del quotidiano per chiedere di restituire ai cittadini la possibilità di votare i rappresentanti nelle istituzioni.
Sergio Gaiotti
Attenzione a Napolitano Interviene a gamba tesa
Ritengo che oltre alle petizioni e alle raccolte di firme su documenti redatti da giuristi e costituzionalisti, sia necessario portare avanti una campagna di informazione continua e capillare sulle poche televisioni libere e stilare un programma di manifestazioni popolari, non solo a Roma, ma anche in altre città. È necessario, altresì, continuare a martellare il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: ha giurato fedeltàallaCostituzione,mastra-volge spesso le sue prescrizioni entrando a gamba tesa sull’operato degli altri poteri. Infine, tutti i movimenti politici della sinistra italiana e le associazioni della società civile devono partecipare a questo processo, se non vogliono sparire, schiacciati dalle riforme di Renzi e Berlusconi.
Da Il Fatto Quotidiano del 11/07/2014.
11/07/2014 di triskel182
LE PROPOSTE DEI LETTORI PER CONTRASTARE IL DISEGNO USCITO DAL NAZARENO ”RIFORME SÌ, MA NON QUESTE. STOPPIAMO LA DEMOCRAZIA AUTORITARIA”.
Quattro punti per le riforme senza dimenticare i vitalizi.
Il consenso alle elezioni europee non equivale a consenso su queste riforme. Si potrebbe cominciare con una raccolta firme e una manifestazione già ai primi di settembre. La prima richiesta dovrebbe essere l’abolizione dello sbarramento perché porta al ricatto del voto utile. Il secondo punto è la libera scelta dei parlamentari: i cittadini devono poter decidere chi mandare alle Camere. Il terzo è una diversa riforma del Senato: la proposta uscita dal Nazareno è inaccettabile, ma la riduzione del numero dei suoi membri può essere accettata, l’importante è che rimanga elettivo e con le stesse funzioni. La quarta questione riguarda il premio di maggioranza: se un partito non riesce a convincere la maggioranza, per quale motivo deve essere premiato? Si resta in attesa anche di un provvedimento che riduca i compensi e dei vitalizi dei parlamentari.
Albarosa Raimondi
Scendiamo in piazza contro le istituzioni dei nominati
Con la proposta di riforma di Renzi, cinque o al massimo sei segretari di partito decideranno chi siederà alla Camera. Anche i consiglieri delle aree metropolitane verranno eletti con elezioni di secondo grado. Un partigiano cattolico più volte si chiedeva,e mi chiedeva, a cosa fosse valsa la lotta armata che aveva combattuto con l’intento di ristabilire la democrazia. La domanda è rimasta senza risposta. Propongo di fare il prossimo settembre una festa del quotidiano per chiedere di restituire ai cittadini la possibilità di votare i rappresentanti nelle istituzioni.
Sergio Gaiotti
Attenzione a Napolitano Interviene a gamba tesa
Ritengo che oltre alle petizioni e alle raccolte di firme su documenti redatti da giuristi e costituzionalisti, sia necessario portare avanti una campagna di informazione continua e capillare sulle poche televisioni libere e stilare un programma di manifestazioni popolari, non solo a Roma, ma anche in altre città. È necessario, altresì, continuare a martellare il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: ha giurato fedeltàallaCostituzione,mastra-volge spesso le sue prescrizioni entrando a gamba tesa sull’operato degli altri poteri. Infine, tutti i movimenti politici della sinistra italiana e le associazioni della società civile devono partecipare a questo processo, se non vogliono sparire, schiacciati dalle riforme di Renzi e Berlusconi.
Da Il Fatto Quotidiano del 11/07/2014.
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Re: LA DEMOCRAZIA AUTORITARIA
Riforme, il premier Renzi liquida le critiche: “Svolta autoritaria? Sorrido”
Video
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/07/ ... do/288234/
“Quando sento che stiamo andando verso una deriva autoritaria, un sorriso mi si stampa sul volto tanta è l’assurdità di questa accusa”. Così in conferenza stampa il premier Matteo Renzi, dopo il Consiglio dei ministri, commenta le critiche rivolte al nuovo sistema di riforme portato avanti dal governo. Il premier nella “rivoluzione del buon senso”, come chiama il suo programma dei mille giorni, tira dritto e promette: “Se qualcuno tenterà di frenare le riforme…” evitando però di annunciare ritorsioni nel giorno in cui, tra trattative e minacce di rottura, la commissione approva la riforma del Senato, ora pronta per l’Aula. E’ un’altra la sfida a cui guarda: “Stiamo cambiando l’Italia, i tabù possono esser vinti da una classe politica che ha coraggio”, assicura, soprattutto all’Europa, fiducioso che l’Italia “potrà diventare locomotore“. Ma è soprattutto uno il diktat partito oggi dal capo del governo in Cdm: “è inutile fare le leggi se non si applicano”, affonda contro la mole “allucinante” di ben 752 leggi, dai tempi del governo Monti, che aspettano i decreti attuativi. Da oggi, mette in riga Renzi, si cambia: in avvio di ogni cdm il ministro Maria Elena Boschi farà la conta, ministero per ministero, dei decreti che mancano all’appello. “La macchina va oliata” ammette il premier che annuncia che fino a fine agosto starà molto a Palazzo Chigi per rodare i meccanismi amministrativi, tra i quali anche la nomina del suo capo di gabinetto di Manolo Lanaro
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/07/ ... do/288234/
Video
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“Quando sento che stiamo andando verso una deriva autoritaria, un sorriso mi si stampa sul volto tanta è l’assurdità di questa accusa”. Così in conferenza stampa il premier Matteo Renzi, dopo il Consiglio dei ministri, commenta le critiche rivolte al nuovo sistema di riforme portato avanti dal governo. Il premier nella “rivoluzione del buon senso”, come chiama il suo programma dei mille giorni, tira dritto e promette: “Se qualcuno tenterà di frenare le riforme…” evitando però di annunciare ritorsioni nel giorno in cui, tra trattative e minacce di rottura, la commissione approva la riforma del Senato, ora pronta per l’Aula. E’ un’altra la sfida a cui guarda: “Stiamo cambiando l’Italia, i tabù possono esser vinti da una classe politica che ha coraggio”, assicura, soprattutto all’Europa, fiducioso che l’Italia “potrà diventare locomotore“. Ma è soprattutto uno il diktat partito oggi dal capo del governo in Cdm: “è inutile fare le leggi se non si applicano”, affonda contro la mole “allucinante” di ben 752 leggi, dai tempi del governo Monti, che aspettano i decreti attuativi. Da oggi, mette in riga Renzi, si cambia: in avvio di ogni cdm il ministro Maria Elena Boschi farà la conta, ministero per ministero, dei decreti che mancano all’appello. “La macchina va oliata” ammette il premier che annuncia che fino a fine agosto starà molto a Palazzo Chigi per rodare i meccanismi amministrativi, tra i quali anche la nomina del suo capo di gabinetto di Manolo Lanaro
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Re: LA DEMOCRAZIA AUTORITARIA
SENATO: BUONI PROPOSITI, RIFORME INUTILI
(Gustavo Zagrebelsky).
12/07/2014 di triskel182
Zagrebelsky
PROMEMORIA PER I NUOVI COSTITUENTI
È COMPRENSIBILE VOLER ABOLIRE IL BICAMERALISMO, MA ATTENTI: COSÌ IL SENATO SARÀ NON ELETTIVO E LA CAMERA SOTTOMESSA AL GOVERNO.
Pubblichiamo la proposta scritta che il presidente emerito della Corte costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, ha inviato il 4 maggio al ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, che lo aveva invitato a un convegno di costituzionalisti, al quale non poté partecipare per precedenti impegni. Il ministro gli aveva promesso di distribuirlo agli altri relatori e ai parlamentari che si occupano della riforma costituzionale, ma poi – a quanto pare – non lo fece.
1. Bicameralismo
Il cosiddetto bicameralismo perfetto è certamente una duplicazione difficilmente giustificabile in quanto le medesime funzioni siano attribuite a due Camere che presentano la stessa sostanza politica,comeèoggi,inpresenzadianalogheleggielettorali, le cui marginali e irrazionali differenze circa l’attribuzione dei “premi di maggioranza” sono tali da aver creato una grave disarmonia nella formazione delle maggioranze nell’una e nell’altra, ma non tali da averne fatto due organi di natura diversa. L’incongruenza, di per sé, non deriva dalla partecipazione paritaria a procedimenti comuni.
Se le due Camere fossero espressione di “logiche e sostanze politiche” diverse, ma ugualmente apprezzabili e meritevoli di concorrere, ciascuna con il suo originale contributo, alla formazione delle decisioni politiche, non vi sarebbe ragione di scandalo. Anzi: la vita politica ne risulterebbe arricchita. Diverso, invece, il caso in cui le logiche e le sostanze politiche siano le stesse (e per di più organizzate in modo incoerente). In tal caso – che è quello che si è determinato nel nostro Paese – il “bicameralismo perfetto” (per identità di funzioni e di natura delle due Camere) è certamente un’incongruenza costituzionale. Ben vengano, dunque, le discussioni e le proposte per il suo superamento. In questo caso, ma solo in questo, vale l’osservazione (che mi pare risalga all’abate Sieyès) che, se le due Camere sono d’accordo, una delle due è inutile; e che, se non sono d’accordo, una delle due è un impiccio, un anacronismo.
2. Costi
Ugualmente comprensibile, anzi apprezzabile, è l’intento di alleggerire, di limitare i “posti della politica”, e con essi, i “costi della politica”, purché, naturalmente, ciò non si traduca, come effetto, in difetto di rappresentanza democratica, tanto più in presenza di forti correnti antipolitiche, per compiacere le quali esiste il rischio di cedimenti a soluzioni costituzionali antiparlamentari che possono condurre a governi forti, con contrappesi deboli.
3. Funzionalità
Altrettanto comprensibile è l’esigenza di funzionalità delle istituzioni parlamentari, funzionalità che è precondizione (insieme alla competenza, alla moralità e alla responsabilità verso i cittadini) per l’efficace difesa della democrazia rappresentativa. Sotto questo aspetto, l’opinione comune è che il bicameralismo, così come l’abbiamo, sia difettoso. È perfino un’ovvietà che, se una legge, per diventare tale, richiede il doppio passaggio in una Camera e nell’altra, i tempi si raddoppiano e, se modifiche sono apportate nella seconda (o terza, o quarta…) lettura, i tempi s’allungano ancora in questo andare e venire che potrebbe non concludersi mai, o concludersi non in tempo utile.
Sitrattaappuntodiun’ovvietà,maforseunpo’troppo ovvia. L’argomento del tempo raddoppiato sarebbe incontrovertibile se si trattasse dell’approvazione di una sola legge. Ma se le proposte di legge sono numerose e si accalcano contemporaneamente, creando ingorghi all’entrata del procedimento legislativo, disporre di due porte d’ingresso consente – per continuare nell’immagine – di smaltire il traffico con una velocità doppia. Mentre una Camera lavora su una proposta, l’altra lavora su un’altra. Vero è che al termine del primo round la legge deve passarne un secondo ma, se il quadro politico fosse solido e omogeneo nelle due Camere, si tratterebbe di una mera convalida. Se non lo è, la questione non è tanto costituzionale, quanto politica. Sembra, insomma, doversi temere l’intasamento del procedimento legislativo, per così dire, “a ingresso unicamerale”, cioè precisamente un effetto contrario alle intenzioni riformatrici. A meno che non si decida di sottoporlo a condizioni e termini iugulatori, come quelli indicati nell’art. 72 u.c. del progetto (60 giorni o anche meno, a discrezione del governo, secondo il Regolamento della Camera), termini che farebbero della Camera, nella realtà, un organo di ratifica delle decisioni del Governo, anche perché l’iniziativa legislativa parlamentare, già oggi sottorappresentata, sarebbe ancor più emarginata in un procedimento monocamerale.
Così, la questione della funzionalità delle procedure legislative – in particolare, sotto il profilo della loro messa in moto – si mostra per quella che effettivamente è: una questione che riguarda il posto della rappresentanza parlamentare nelle decisioni politiche, rispetto al governo.
4. Tempi
D’altra parte, pur senza disporre di numeri e statistiche, mi pare che la questione dell’allungamento dei tempi legislativi sia non di poco sopravvalutata. Quante sono le leggi che vanno e vengono? E, soprattutto, che genere di leggi sono? L’impressioneèchesitrattidelleleggidimaggiorrilievo,sulle quali esistono contrasti che la democrazia parlamentare dovrebbe non soffocare, ma consentire d’esprimersi in libere discussioni. Oppure, che si tratti di veri e propri errori, la cui correzione è nell’interesse stesso della maggioranza e del governo; oppure, ancora, di casi di alleggerimento della tensione politica, come quando si dice (e ancora recentissimamente s’è detto e non per poca cosa: la legge elettorale): per ora approviamo, poi ridiscuteremo. D’altra parte, quando il governo lo ritiene necessario, c’è (quasi) sempre a disposizione la questionedifiducia ,chetroncaladiscussioneefapiazza pulita degli emendamenti, ma sempre sotto il controllo del Parlamento, al quale spetta la parola finale. In mancanza della seconda lettura, che cosa accadrebbe in caso d’errore o di ripensamento? La legge da correggere sarebbe in vigore e occorrerebbe promuovere un nuovo procedimento legislativo per abrogarla o modificarla: sarebbe un’alternativa conveniente, dal punto di vista dell’efficienza? E dal punto di vista della certezza del diritto? Insomma: la seconda lettura non è sempre e solo una perdita di tempo: se fosse una possibilità, quando occorre, invececheunanecessità,anchequandononoccorre,il giudizio in proposito dovrebbe essere diverso da quello corrente.
5. Riforme
Fin qui, i miei preconcetti, giustificati o ingiustificatichesiano.Malaquestionedifondo,nelmettere mano alla riforma della seconda Camera, è quella della sua sostanza politico-costituzionale. In breve: per quale ragione la si vuole mantenere? E, volendola mantenere in qualche forma, quale funzione rappresentativa le si chiede di svolgere? Sche-matizzandoeguardandoallastoriaeagliesempiche ne vengono, i Senati esprimono o ragioni federative, nei confronti dello Stato centrale, o ragioni conservative, di fronte alla Camera elettiva e alle sue mutevoli e instabili maggioranze. Le ragioni federative possono eventualmente, di fatto, risolversi in conservazione e le ragioni conservative possono risolversi in federative. Ma quello che conta è l’accento, cioè la ragione principale e, da questo punto di vista, la distinzione tiene. Il Senato degli Stati Uniti e il Bundesrat tedesco appartengono alla prima categoria; il Senato del Consolato e dell’Impero in Francia (il Sénat detto, per l’appunto, conservateur il quale nel 1814 dispose la decadenza di Napoleone), i Senati delle Carte costituzionali della Restaurazione (dello Statuto Albertino, per esempio) e, per ragioni prevalenti, anche il Senato francese odierno (pur nella sua matrice municipalista) appartengono alla seconda categoria.
Da noi, il dibattito si è orientato pacificamente verso l’idea del Senato come organo rappresentativo delle istituzioni territoriali, cioè – non essendo l’Italia una federazione, se non nel linguaggio politico compiacente – della Repubblica autonomista: non più Senato della Repubblica, ma Senato delle Autonomie, secondo la nuova, rivoluzionaria, denominazione. Rivoluzionaria perché viene mantenuto il divieto di “vincolo di mandato” ma è eliminata (anche per i deputati alla Camera: nuovo art. 67) la “rappresentanza della Nazione”, onde c’è da chiedersi: svincolati in vista di che cosa? Per che cosa saranno eletti?Crediamochesitrattisolodiparole,enondietica pubblica?
A quanto sembra, l’orientamento anzidetto è dominante in assoluto. Perché ciò che bene funziona in America e in Germania non dovrebbe funzionare altrettanto bene in Italia? Non esistono forse buone ragioni di coordinamento tra enti territoriali anche da noi? E poi chi si arrischierebbe, oggi, a proporre qualcosa di “conservativo”?
6. Senato
Comprendo bene che le idee, per quanto possano apparire buone – e quella che vorrei proporre all’attenzione mi pare buona – devono tenere conto delle condizioni date. E le condizioni date sono dettate dall’opinione comunemente condivisa che si è appena detta: una concezione che definirei “amministrativistica” e non “costituzionalistica” del Senato prossimo futuro. Si abbia un poco di pazienza. La comparazione con gli Stati effettivamente federali – effettivamente significa non che hanno strutture giuridiche federali o simil-federali, ma che hanno radici in realtà così nettamente definite in senso storico-politico come sono gli Stati federati in Usa o i Länder in Germania – questa comparazione, dunque, mi pare porti a dire che la somiglianza con le nostre Regioni è solo esteriore. Le nostre Regioni sono grossi apparati politico-amministrativi che riproducono (salvi, forse, i casi della Valle d’Aosta e della provincia di Bolzano) vizi e virtù dell’amministrazione e della politica nazionale: sono, in altri termini, delle articolazioni più o meno felici di quest’ultima. Non è qui il caso di ragionare sulle cause ma, se ciò è vero, che senso ha un Senato delle Autonomie, se non quello di ricondurre e rispecchiare al centro ciò che già il centro ha trasmesso alla periferia? Che sostanza politica, nuova e diversa, quest’organo esprimerebbe? Nessuna, se non eventualmente maggioranze dissimili da quelle politiche che si formano alla Camera dei deputati. Personale politico di partiti si troverebbe a operare qui e là, e il Senato delle Autonomie si risolverebbe in un segmento secondario d’un sistema politico unico che ha da risolvere al suo interno questioni di natura essenzialmente amministrativa, questioni che, comunque, troverebbero sbocco finale nel contenzioso costituzionale, come già succede ora (con le complesse procedure previste, il rischio è di ulteriore confusione). Si tratterebbe d’un organo di contrattazione di risorse finanziarie e porzioni di funzioni pubbliche, in una sorta di do ut des che già oggi trova la sua sede nelle due “Conferenze” paritetiche Stato-RegionieStato-Autonomielocali.Colorocheragionano con tanta sicurezza di Senato delle Autonomie temo che assumano essere le “autonomie” qualcosa com’essi desidererebbero ch’esse fossero, ma che non sono. E, se sono quelle che sono, invece che quelle che si vorrebbe che fossero, il loro “senato” si riduce a ben poca e inutile cosa.
7. Costituzione
Se, invece, si volesse cogliere l’occasione della riforma del bicameralismo per un’innovazione che a me parrebbe davvero significativa dal punto di vista non “amministrativistico” ma “costituzionalistico”, tenendo conto di un’esigenza e di una lacuna profonda nell’organizzazione della democrazia, si potrebbe ragionare partendo in premessa dalla considerazione generale che segue.
Da Il Fatto Quotidiano del 12/07/2014.
(Gustavo Zagrebelsky).
12/07/2014 di triskel182
Zagrebelsky
PROMEMORIA PER I NUOVI COSTITUENTI
È COMPRENSIBILE VOLER ABOLIRE IL BICAMERALISMO, MA ATTENTI: COSÌ IL SENATO SARÀ NON ELETTIVO E LA CAMERA SOTTOMESSA AL GOVERNO.
Pubblichiamo la proposta scritta che il presidente emerito della Corte costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, ha inviato il 4 maggio al ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, che lo aveva invitato a un convegno di costituzionalisti, al quale non poté partecipare per precedenti impegni. Il ministro gli aveva promesso di distribuirlo agli altri relatori e ai parlamentari che si occupano della riforma costituzionale, ma poi – a quanto pare – non lo fece.
1. Bicameralismo
Il cosiddetto bicameralismo perfetto è certamente una duplicazione difficilmente giustificabile in quanto le medesime funzioni siano attribuite a due Camere che presentano la stessa sostanza politica,comeèoggi,inpresenzadianalogheleggielettorali, le cui marginali e irrazionali differenze circa l’attribuzione dei “premi di maggioranza” sono tali da aver creato una grave disarmonia nella formazione delle maggioranze nell’una e nell’altra, ma non tali da averne fatto due organi di natura diversa. L’incongruenza, di per sé, non deriva dalla partecipazione paritaria a procedimenti comuni.
Se le due Camere fossero espressione di “logiche e sostanze politiche” diverse, ma ugualmente apprezzabili e meritevoli di concorrere, ciascuna con il suo originale contributo, alla formazione delle decisioni politiche, non vi sarebbe ragione di scandalo. Anzi: la vita politica ne risulterebbe arricchita. Diverso, invece, il caso in cui le logiche e le sostanze politiche siano le stesse (e per di più organizzate in modo incoerente). In tal caso – che è quello che si è determinato nel nostro Paese – il “bicameralismo perfetto” (per identità di funzioni e di natura delle due Camere) è certamente un’incongruenza costituzionale. Ben vengano, dunque, le discussioni e le proposte per il suo superamento. In questo caso, ma solo in questo, vale l’osservazione (che mi pare risalga all’abate Sieyès) che, se le due Camere sono d’accordo, una delle due è inutile; e che, se non sono d’accordo, una delle due è un impiccio, un anacronismo.
2. Costi
Ugualmente comprensibile, anzi apprezzabile, è l’intento di alleggerire, di limitare i “posti della politica”, e con essi, i “costi della politica”, purché, naturalmente, ciò non si traduca, come effetto, in difetto di rappresentanza democratica, tanto più in presenza di forti correnti antipolitiche, per compiacere le quali esiste il rischio di cedimenti a soluzioni costituzionali antiparlamentari che possono condurre a governi forti, con contrappesi deboli.
3. Funzionalità
Altrettanto comprensibile è l’esigenza di funzionalità delle istituzioni parlamentari, funzionalità che è precondizione (insieme alla competenza, alla moralità e alla responsabilità verso i cittadini) per l’efficace difesa della democrazia rappresentativa. Sotto questo aspetto, l’opinione comune è che il bicameralismo, così come l’abbiamo, sia difettoso. È perfino un’ovvietà che, se una legge, per diventare tale, richiede il doppio passaggio in una Camera e nell’altra, i tempi si raddoppiano e, se modifiche sono apportate nella seconda (o terza, o quarta…) lettura, i tempi s’allungano ancora in questo andare e venire che potrebbe non concludersi mai, o concludersi non in tempo utile.
Sitrattaappuntodiun’ovvietà,maforseunpo’troppo ovvia. L’argomento del tempo raddoppiato sarebbe incontrovertibile se si trattasse dell’approvazione di una sola legge. Ma se le proposte di legge sono numerose e si accalcano contemporaneamente, creando ingorghi all’entrata del procedimento legislativo, disporre di due porte d’ingresso consente – per continuare nell’immagine – di smaltire il traffico con una velocità doppia. Mentre una Camera lavora su una proposta, l’altra lavora su un’altra. Vero è che al termine del primo round la legge deve passarne un secondo ma, se il quadro politico fosse solido e omogeneo nelle due Camere, si tratterebbe di una mera convalida. Se non lo è, la questione non è tanto costituzionale, quanto politica. Sembra, insomma, doversi temere l’intasamento del procedimento legislativo, per così dire, “a ingresso unicamerale”, cioè precisamente un effetto contrario alle intenzioni riformatrici. A meno che non si decida di sottoporlo a condizioni e termini iugulatori, come quelli indicati nell’art. 72 u.c. del progetto (60 giorni o anche meno, a discrezione del governo, secondo il Regolamento della Camera), termini che farebbero della Camera, nella realtà, un organo di ratifica delle decisioni del Governo, anche perché l’iniziativa legislativa parlamentare, già oggi sottorappresentata, sarebbe ancor più emarginata in un procedimento monocamerale.
Così, la questione della funzionalità delle procedure legislative – in particolare, sotto il profilo della loro messa in moto – si mostra per quella che effettivamente è: una questione che riguarda il posto della rappresentanza parlamentare nelle decisioni politiche, rispetto al governo.
4. Tempi
D’altra parte, pur senza disporre di numeri e statistiche, mi pare che la questione dell’allungamento dei tempi legislativi sia non di poco sopravvalutata. Quante sono le leggi che vanno e vengono? E, soprattutto, che genere di leggi sono? L’impressioneèchesitrattidelleleggidimaggiorrilievo,sulle quali esistono contrasti che la democrazia parlamentare dovrebbe non soffocare, ma consentire d’esprimersi in libere discussioni. Oppure, che si tratti di veri e propri errori, la cui correzione è nell’interesse stesso della maggioranza e del governo; oppure, ancora, di casi di alleggerimento della tensione politica, come quando si dice (e ancora recentissimamente s’è detto e non per poca cosa: la legge elettorale): per ora approviamo, poi ridiscuteremo. D’altra parte, quando il governo lo ritiene necessario, c’è (quasi) sempre a disposizione la questionedifiducia ,chetroncaladiscussioneefapiazza pulita degli emendamenti, ma sempre sotto il controllo del Parlamento, al quale spetta la parola finale. In mancanza della seconda lettura, che cosa accadrebbe in caso d’errore o di ripensamento? La legge da correggere sarebbe in vigore e occorrerebbe promuovere un nuovo procedimento legislativo per abrogarla o modificarla: sarebbe un’alternativa conveniente, dal punto di vista dell’efficienza? E dal punto di vista della certezza del diritto? Insomma: la seconda lettura non è sempre e solo una perdita di tempo: se fosse una possibilità, quando occorre, invececheunanecessità,anchequandononoccorre,il giudizio in proposito dovrebbe essere diverso da quello corrente.
5. Riforme
Fin qui, i miei preconcetti, giustificati o ingiustificatichesiano.Malaquestionedifondo,nelmettere mano alla riforma della seconda Camera, è quella della sua sostanza politico-costituzionale. In breve: per quale ragione la si vuole mantenere? E, volendola mantenere in qualche forma, quale funzione rappresentativa le si chiede di svolgere? Sche-matizzandoeguardandoallastoriaeagliesempiche ne vengono, i Senati esprimono o ragioni federative, nei confronti dello Stato centrale, o ragioni conservative, di fronte alla Camera elettiva e alle sue mutevoli e instabili maggioranze. Le ragioni federative possono eventualmente, di fatto, risolversi in conservazione e le ragioni conservative possono risolversi in federative. Ma quello che conta è l’accento, cioè la ragione principale e, da questo punto di vista, la distinzione tiene. Il Senato degli Stati Uniti e il Bundesrat tedesco appartengono alla prima categoria; il Senato del Consolato e dell’Impero in Francia (il Sénat detto, per l’appunto, conservateur il quale nel 1814 dispose la decadenza di Napoleone), i Senati delle Carte costituzionali della Restaurazione (dello Statuto Albertino, per esempio) e, per ragioni prevalenti, anche il Senato francese odierno (pur nella sua matrice municipalista) appartengono alla seconda categoria.
Da noi, il dibattito si è orientato pacificamente verso l’idea del Senato come organo rappresentativo delle istituzioni territoriali, cioè – non essendo l’Italia una federazione, se non nel linguaggio politico compiacente – della Repubblica autonomista: non più Senato della Repubblica, ma Senato delle Autonomie, secondo la nuova, rivoluzionaria, denominazione. Rivoluzionaria perché viene mantenuto il divieto di “vincolo di mandato” ma è eliminata (anche per i deputati alla Camera: nuovo art. 67) la “rappresentanza della Nazione”, onde c’è da chiedersi: svincolati in vista di che cosa? Per che cosa saranno eletti?Crediamochesitrattisolodiparole,enondietica pubblica?
A quanto sembra, l’orientamento anzidetto è dominante in assoluto. Perché ciò che bene funziona in America e in Germania non dovrebbe funzionare altrettanto bene in Italia? Non esistono forse buone ragioni di coordinamento tra enti territoriali anche da noi? E poi chi si arrischierebbe, oggi, a proporre qualcosa di “conservativo”?
6. Senato
Comprendo bene che le idee, per quanto possano apparire buone – e quella che vorrei proporre all’attenzione mi pare buona – devono tenere conto delle condizioni date. E le condizioni date sono dettate dall’opinione comunemente condivisa che si è appena detta: una concezione che definirei “amministrativistica” e non “costituzionalistica” del Senato prossimo futuro. Si abbia un poco di pazienza. La comparazione con gli Stati effettivamente federali – effettivamente significa non che hanno strutture giuridiche federali o simil-federali, ma che hanno radici in realtà così nettamente definite in senso storico-politico come sono gli Stati federati in Usa o i Länder in Germania – questa comparazione, dunque, mi pare porti a dire che la somiglianza con le nostre Regioni è solo esteriore. Le nostre Regioni sono grossi apparati politico-amministrativi che riproducono (salvi, forse, i casi della Valle d’Aosta e della provincia di Bolzano) vizi e virtù dell’amministrazione e della politica nazionale: sono, in altri termini, delle articolazioni più o meno felici di quest’ultima. Non è qui il caso di ragionare sulle cause ma, se ciò è vero, che senso ha un Senato delle Autonomie, se non quello di ricondurre e rispecchiare al centro ciò che già il centro ha trasmesso alla periferia? Che sostanza politica, nuova e diversa, quest’organo esprimerebbe? Nessuna, se non eventualmente maggioranze dissimili da quelle politiche che si formano alla Camera dei deputati. Personale politico di partiti si troverebbe a operare qui e là, e il Senato delle Autonomie si risolverebbe in un segmento secondario d’un sistema politico unico che ha da risolvere al suo interno questioni di natura essenzialmente amministrativa, questioni che, comunque, troverebbero sbocco finale nel contenzioso costituzionale, come già succede ora (con le complesse procedure previste, il rischio è di ulteriore confusione). Si tratterebbe d’un organo di contrattazione di risorse finanziarie e porzioni di funzioni pubbliche, in una sorta di do ut des che già oggi trova la sua sede nelle due “Conferenze” paritetiche Stato-RegionieStato-Autonomielocali.Colorocheragionano con tanta sicurezza di Senato delle Autonomie temo che assumano essere le “autonomie” qualcosa com’essi desidererebbero ch’esse fossero, ma che non sono. E, se sono quelle che sono, invece che quelle che si vorrebbe che fossero, il loro “senato” si riduce a ben poca e inutile cosa.
7. Costituzione
Se, invece, si volesse cogliere l’occasione della riforma del bicameralismo per un’innovazione che a me parrebbe davvero significativa dal punto di vista non “amministrativistico” ma “costituzionalistico”, tenendo conto di un’esigenza e di una lacuna profonda nell’organizzazione della democrazia, si potrebbe ragionare partendo in premessa dalla considerazione generale che segue.
Da Il Fatto Quotidiano del 12/07/2014.
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Re: LA DEMOCRAZIA AUTORITARIA
RENZI, BOSCHI E LE RIFORME AUTORITARIE
(Gustavo Zagrebelsky).
13/07/2014 di triskel182
La visione d’insieme è quella d’un sistema politico che vuole chiudersi su se stesso, contro la concezione pluralistica e partecipativa della democrazia, che è quella della Carta.
PROMEMORIA PER I NUOVI COSTITUENTI.
“Gentile Boschi, le vostre riforme sono autoritarie”
LA SINTESI TRA SENATO NON ELETTIVO E ITALICUM PRODUCE UNA POLITICA CHIUSA ALLA PARTECIPAZIONE, CHE VIOLA LO SPIRITO DELLA COSTITUZIONE.
Prosegue con la seconda e ultima puntata la pubblicazione, iniziata ieri, della proposta scritta che il presidente emerito della Corte costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, ha inviato il 4 maggio al ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, che lo aveva invitato a un convegno di costituzionalisti, al quale non poté partecipare per precedenti impegni. Il ministro gli promise di distribuire il testo agli altri relatori e ai parlamentari che si occupano di riforme costituzionali, ma poi – a quanto pare – non lo ha fatto.
7. Futuro
Le democrazie rappresentative tendono alla dissipazione di risorse pubbliche, materiali e immateriali. Sono regimi dai tempi brevi, segnati dalle scadenze elettorali, durante i quali gli eletti, per la natura delle cose umane, cercano la rielezione, cioè il consenso necessario per ottenerlo. Non conosciamo noi, forse, questa realtà? Debito pubblico accumulato da politiche di spesa facile nel cosiddetto ciclo elettorale; sfruttamento delle risorse naturali; devastazione del territorio; attentati alla salute pubblica; abuso dei beni comuni nell’interesse privato immediato; applicazioni a fattori vitali di tecnologie dalle conseguenze irreversibili, ecc. Chi se ne preoccupa, quando premono le esigenze elettorali?
Qui emergono le “ragioni conservative” della seconda Camera: non conservative rispetto al passato, come è stato nel caso dei Senati al tempo delle Monarchie rappresentative, quando si pose la questione del bilanciamento delle tendenze dissipatrici della Camera elettiva e questa, secondo lo schema del “governo misto” fu affiancata dai Senati di nomina regia. Allora, i Senati erano ciò che restava dell’Antico Regime, della tradizione e dei suoi privilegi. Ciò che si voleva conservare era il retaggio del passato. Oggi, si tratta dell’opposto, cioè di ragioni conservative di opportunità per il futuro. Chi è, dunque, più conservatore? Chi, per mantenere o migliorare le proprie posizioni nel mercato elettorale, è disposto a usare tutte le risorse disponibili per ottenere il consenso immediato degli elettori, o chi, invece, si preoccupa, più che non delle sue proprie immediate fortune elettorali, dell’avvenire e di chi verrà dopo di lui?
8. Proposta
Su questa linea di pensiero, la composizione del nuovo Senato risulta incompatibile con l’idea di membri tratti dalle amministrazioni regionali e locali o eletti in secondo grado dagli organi di queste, la cui durata in carica coincida con quella delle amministrazioni regionali e locali di provenienza. Questa è la prospettiva “amministrativistica”. Nella prospettiva “costituzionalistica” la provvista dei membri del Senato dovrebbe avvenire in modo diverso. Nei Senati storici, a questa esigenza corrispondeva la nomina regia e la durata vitalizia della carica: due soluzioni oggi, evidentemente, improponibili ma facilmente sostituibili con l’elezione per una durata adeguata, superiore a quella ordinaria della Camera dei deputati, e con la regola della non rieleggibilità. A ciò si dovrebbero accompagnare requisiti d’esperienza, competenza e moralità particolarmente rigorosi, contenute in regole d’incompatibilità e ineleggibilità misurate sulla natura dei compiti assegnati agli eletti.
Voci autorevoli si sono levate in questo senso, in evidente contrasto con la concezione del Senato come proiezione delle amministrazioni regionali e locali. Anche l’idea (per quanto forse già tacitamente accantonata) dei 21 senatori che il Presidente della Repubblica “può” nominare (art. 57, comma 5: dunque la composizione del Senato è a numero variabile e il Presidente può riservarsene una quota per eventuali “infornate”?) tra persone particolarmente qualificate corrisponde all’esigenza qui sottolineata. Si tratta d’una proposta, dal punto di vista democratico, insostenibile per una molteplicità di ragioni che i commentatori hanno già messo in luce e, dal punto di vista funzionale, del tutto irragionevole perché mescola elementi eterogenei. Non c’è bisogno di citare letteratura, infatti, per comprendere che un organo che delibera deve essere omogeneo e che, se non è omogeneo, può formulare pareri (potenzialmente diversi) ma non esprimere una (sola) volontà. Ma l’esigenza di cui i 21 sono espressione è valida e può essere soddisfatta anche per via di elezione, purché secondo i criteri sopra detti. Ai quali se ne dovrebbe aggiungere un altro: il numero limitato dei senatori. Negli Stati Uniti sono due per ogni Stato federato. Perché non anche da noi: due senatori per Regione, eletti dagli elettori delle Regioni stesse? Dunque, senza liste, listoni o “listini” che farebbero ancora una volta del Senato una propaggine del sistema dei partiti, con i condizionamenti e gli snaturamenti della loro funzione che ne deriverebbero. Questa, sì, sarebbe una novità, perfettamente democratica e tale da inserire nel circuito politico energie, competenze, responsabilità nuove. Questo, sì, sarebbe un Senato attrattivo per le forze migliori del nostro Paese che il reclutamento partitico della classe politica oggi tiene ai margini.
9. Pasticcio
Uno dei punti critici del Progetto riguarda la determinazione dei poteri e la definizione del rapporto tra le due Camere nel bicameralismo non paritario, cioè in tutti i casi di legislazione non costituzionale. Secondo il nuovo articolo 70, le leggi ordinarie sono approvate dalla Camera dei deputati, tuttavia ogni disegno di legge approvato (e non promulgato) è trasmesso immediatamente al Senato il quale, entro 10 giorni, su richiesta di 1/3 dei componenti può disporre di esaminarlo e, nei 30 giorni successivi, può deliberare proposte di modifica, sulle quali la Camera, negli ulteriori 20 giorni, si pronuncia in via definitiva. La legge è promulgata se il Senato non dispone di procedere all’esame del testo deliberato dalla Camera, se è decorso il termine per deliberare o se la Camera si è pronunciata definitivamente. In una serie di casi determinati per materie (art. 70, comma 4) la Camera deve conformarsi alla deliberazione del Senato, a meno che non si pronunci in senso diverso a maggioranza assoluta. In materia di bilanci, la Camera non può discostarsi se non a maggioranza assoluta, solo se il Senato si è pronunciato a sua volta a maggioranza assoluta. Non è qui possibile discutere la ragionevolezza di questo labirinto di regole e della bilancia che può pendere ora a favore di una Camera, ora dell’altra, a seconda delle maggioranze, e a seconda delle materie. Questo giuridicismo, applicato a organi politici, è sensato? Può funzionare? Soprattutto, non c’è il rischio di conflitti?
In tema di revisione del titolo V, il Progetto si è orientato al superamento del criterio delle competenze per materia, che l’esperienza ha dimostrato essere fonte di possibili frequenti contrasti. Qui, invece, le materie ricompaiono. Ma, soprattutto, che senso ha la “supervisione” del Senato quando già è nota l’esistenza d’una maggioranza alla Camera, in grado comunque d’imporre la propria scelta? Un lamento, una protesta fine a se stessa, tanto più in quanto la legge elettorale sia tale (ma sarà tale?) da costruire più o meno artificialmente vaste maggioranze legislative alla Camera dei deputati. Se esistono obiezioni, sarà la Camera stessa a prenderne cognizione. Non è che i pro e i contra sono sconosciuti, fino a quando non “scende in campo” un organo abilitato a manifestarli. La procedura davanti al Senato sarà presumibilmente destinata alla sterilità. La controprova della sua futilità è l’assenza della questione di fiducia in questa procedura: il Governo non ne ha bisogno, perché ciò che solo conta è quanto accade alla Camera dei deputati.
Nella prospettiva del superamento “costituzionalistico” del bicameralismo paritario, i problemi di convivenza delle due Camere si potrebbero risolvere così. Alla Camera dei deputati, depositaria dell’indirizzo politico, sarebbe riservato il voto di fiducia (e di sfiducia). Le leggi sarebbero approvate normalmente in una procedura monocamerale. Il Senato, nei casi – si presume di numero assai limitato, ma non elencabili a priori – in cui ritenga essere a rischio i valori permanenti la cui tutela è sua responsabilità primaria, potrebbe chiedere l’attivazione della procedura bicamerale paritaria. Qui ci sarebbe la funzione di garanzia come “camera di ripensamento”, insieme allo snellimento delle procedure in tutti i casi in cui il doppio esame non appare necessario. A sua volta, potrebbe essere proprio la Camera, per semplificare e ridurre i tempi, a chiedere eventualmente che sia il Senato a pronunciarsi per primo.
10. Autoritarismo
Un’ultima osservazione. Un certo numero di costituzionalisti, nei giorni trascorsi, ha denunciato con toni d’allarme il pericolo d’involuzione autoritaria, anzi padronale, del nostro sistema politico. Volendovederesoloeisolatamentelaquestionedella riforma del bicameralismo, la denuncia è apparsa eccessiva, allarmistica. Tuttavia, si parlava in quella circostanza della riforma del Senato non in sé stessa, ma come elemento d’un quadro costituzionale, formale e materiale, assai più complesso. Il quadro è composto, sì, dalla marginalizzazione della seconda Camera, ma anche dalle prospettive in cui si annuncia la riforma della legge elettorale, in vista di soluzioni fortemente maggioritarie e debolmente rappresentative, tali da configurare una “democrazia d’investitura” dell’uomo solo al comando, tanto più in quanto i partiti, da associazioni di partecipazione politica, secondo l’art. 49 della Costituzione, si sono trasformati, o si stanno trasformando in appendici di vertici personalistici, e in quanto i parlamentari, dalcantoloro,hannoscarsepossibilitàd’autonomia, di fronte alla minaccia di scioglimento anticipato e al rischiodinontrovarepiùposto,opostoadeguato,in quelle liste bloccate che la riforma elettorale non sembra orientata a superare. La denuncia dunque veniva, e ancora viene, da quello che i giuristi chiamano un “combinato disposto”. La visione d’insieme è quella d’un sistema politico che vuole chiudersi difensivamente su se stesso, contro la concezione pluralistica e partecipativa della democrazia, che è la concezione della Costituzione del 1948. La posta in gioco è alta. Per questo è giusto lanciare l’allarme. Queste, gentile Ministro Boschi, sono in sintesi (una sintesi assai poco sintetica!) le osservazioni che forse avrei potuto sviluppare nell’incontro di lunedì. Della mia assenza ancora mi rammarico e mi scuso. Immagino che i tempi non saranno così stretti da impedire ulteriori confronti, a partecipare ai quali, fin da ora, se i termini degli accordi politici già presi non saranno preclusivi di discussioni costruttive, le comunico la mia disponibilità.
Da Il Fatto Quotidiano del 13/07/2014.
(Gustavo Zagrebelsky).
13/07/2014 di triskel182
La visione d’insieme è quella d’un sistema politico che vuole chiudersi su se stesso, contro la concezione pluralistica e partecipativa della democrazia, che è quella della Carta.
PROMEMORIA PER I NUOVI COSTITUENTI.
“Gentile Boschi, le vostre riforme sono autoritarie”
LA SINTESI TRA SENATO NON ELETTIVO E ITALICUM PRODUCE UNA POLITICA CHIUSA ALLA PARTECIPAZIONE, CHE VIOLA LO SPIRITO DELLA COSTITUZIONE.
Prosegue con la seconda e ultima puntata la pubblicazione, iniziata ieri, della proposta scritta che il presidente emerito della Corte costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, ha inviato il 4 maggio al ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, che lo aveva invitato a un convegno di costituzionalisti, al quale non poté partecipare per precedenti impegni. Il ministro gli promise di distribuire il testo agli altri relatori e ai parlamentari che si occupano di riforme costituzionali, ma poi – a quanto pare – non lo ha fatto.
7. Futuro
Le democrazie rappresentative tendono alla dissipazione di risorse pubbliche, materiali e immateriali. Sono regimi dai tempi brevi, segnati dalle scadenze elettorali, durante i quali gli eletti, per la natura delle cose umane, cercano la rielezione, cioè il consenso necessario per ottenerlo. Non conosciamo noi, forse, questa realtà? Debito pubblico accumulato da politiche di spesa facile nel cosiddetto ciclo elettorale; sfruttamento delle risorse naturali; devastazione del territorio; attentati alla salute pubblica; abuso dei beni comuni nell’interesse privato immediato; applicazioni a fattori vitali di tecnologie dalle conseguenze irreversibili, ecc. Chi se ne preoccupa, quando premono le esigenze elettorali?
Qui emergono le “ragioni conservative” della seconda Camera: non conservative rispetto al passato, come è stato nel caso dei Senati al tempo delle Monarchie rappresentative, quando si pose la questione del bilanciamento delle tendenze dissipatrici della Camera elettiva e questa, secondo lo schema del “governo misto” fu affiancata dai Senati di nomina regia. Allora, i Senati erano ciò che restava dell’Antico Regime, della tradizione e dei suoi privilegi. Ciò che si voleva conservare era il retaggio del passato. Oggi, si tratta dell’opposto, cioè di ragioni conservative di opportunità per il futuro. Chi è, dunque, più conservatore? Chi, per mantenere o migliorare le proprie posizioni nel mercato elettorale, è disposto a usare tutte le risorse disponibili per ottenere il consenso immediato degli elettori, o chi, invece, si preoccupa, più che non delle sue proprie immediate fortune elettorali, dell’avvenire e di chi verrà dopo di lui?
8. Proposta
Su questa linea di pensiero, la composizione del nuovo Senato risulta incompatibile con l’idea di membri tratti dalle amministrazioni regionali e locali o eletti in secondo grado dagli organi di queste, la cui durata in carica coincida con quella delle amministrazioni regionali e locali di provenienza. Questa è la prospettiva “amministrativistica”. Nella prospettiva “costituzionalistica” la provvista dei membri del Senato dovrebbe avvenire in modo diverso. Nei Senati storici, a questa esigenza corrispondeva la nomina regia e la durata vitalizia della carica: due soluzioni oggi, evidentemente, improponibili ma facilmente sostituibili con l’elezione per una durata adeguata, superiore a quella ordinaria della Camera dei deputati, e con la regola della non rieleggibilità. A ciò si dovrebbero accompagnare requisiti d’esperienza, competenza e moralità particolarmente rigorosi, contenute in regole d’incompatibilità e ineleggibilità misurate sulla natura dei compiti assegnati agli eletti.
Voci autorevoli si sono levate in questo senso, in evidente contrasto con la concezione del Senato come proiezione delle amministrazioni regionali e locali. Anche l’idea (per quanto forse già tacitamente accantonata) dei 21 senatori che il Presidente della Repubblica “può” nominare (art. 57, comma 5: dunque la composizione del Senato è a numero variabile e il Presidente può riservarsene una quota per eventuali “infornate”?) tra persone particolarmente qualificate corrisponde all’esigenza qui sottolineata. Si tratta d’una proposta, dal punto di vista democratico, insostenibile per una molteplicità di ragioni che i commentatori hanno già messo in luce e, dal punto di vista funzionale, del tutto irragionevole perché mescola elementi eterogenei. Non c’è bisogno di citare letteratura, infatti, per comprendere che un organo che delibera deve essere omogeneo e che, se non è omogeneo, può formulare pareri (potenzialmente diversi) ma non esprimere una (sola) volontà. Ma l’esigenza di cui i 21 sono espressione è valida e può essere soddisfatta anche per via di elezione, purché secondo i criteri sopra detti. Ai quali se ne dovrebbe aggiungere un altro: il numero limitato dei senatori. Negli Stati Uniti sono due per ogni Stato federato. Perché non anche da noi: due senatori per Regione, eletti dagli elettori delle Regioni stesse? Dunque, senza liste, listoni o “listini” che farebbero ancora una volta del Senato una propaggine del sistema dei partiti, con i condizionamenti e gli snaturamenti della loro funzione che ne deriverebbero. Questa, sì, sarebbe una novità, perfettamente democratica e tale da inserire nel circuito politico energie, competenze, responsabilità nuove. Questo, sì, sarebbe un Senato attrattivo per le forze migliori del nostro Paese che il reclutamento partitico della classe politica oggi tiene ai margini.
9. Pasticcio
Uno dei punti critici del Progetto riguarda la determinazione dei poteri e la definizione del rapporto tra le due Camere nel bicameralismo non paritario, cioè in tutti i casi di legislazione non costituzionale. Secondo il nuovo articolo 70, le leggi ordinarie sono approvate dalla Camera dei deputati, tuttavia ogni disegno di legge approvato (e non promulgato) è trasmesso immediatamente al Senato il quale, entro 10 giorni, su richiesta di 1/3 dei componenti può disporre di esaminarlo e, nei 30 giorni successivi, può deliberare proposte di modifica, sulle quali la Camera, negli ulteriori 20 giorni, si pronuncia in via definitiva. La legge è promulgata se il Senato non dispone di procedere all’esame del testo deliberato dalla Camera, se è decorso il termine per deliberare o se la Camera si è pronunciata definitivamente. In una serie di casi determinati per materie (art. 70, comma 4) la Camera deve conformarsi alla deliberazione del Senato, a meno che non si pronunci in senso diverso a maggioranza assoluta. In materia di bilanci, la Camera non può discostarsi se non a maggioranza assoluta, solo se il Senato si è pronunciato a sua volta a maggioranza assoluta. Non è qui possibile discutere la ragionevolezza di questo labirinto di regole e della bilancia che può pendere ora a favore di una Camera, ora dell’altra, a seconda delle maggioranze, e a seconda delle materie. Questo giuridicismo, applicato a organi politici, è sensato? Può funzionare? Soprattutto, non c’è il rischio di conflitti?
In tema di revisione del titolo V, il Progetto si è orientato al superamento del criterio delle competenze per materia, che l’esperienza ha dimostrato essere fonte di possibili frequenti contrasti. Qui, invece, le materie ricompaiono. Ma, soprattutto, che senso ha la “supervisione” del Senato quando già è nota l’esistenza d’una maggioranza alla Camera, in grado comunque d’imporre la propria scelta? Un lamento, una protesta fine a se stessa, tanto più in quanto la legge elettorale sia tale (ma sarà tale?) da costruire più o meno artificialmente vaste maggioranze legislative alla Camera dei deputati. Se esistono obiezioni, sarà la Camera stessa a prenderne cognizione. Non è che i pro e i contra sono sconosciuti, fino a quando non “scende in campo” un organo abilitato a manifestarli. La procedura davanti al Senato sarà presumibilmente destinata alla sterilità. La controprova della sua futilità è l’assenza della questione di fiducia in questa procedura: il Governo non ne ha bisogno, perché ciò che solo conta è quanto accade alla Camera dei deputati.
Nella prospettiva del superamento “costituzionalistico” del bicameralismo paritario, i problemi di convivenza delle due Camere si potrebbero risolvere così. Alla Camera dei deputati, depositaria dell’indirizzo politico, sarebbe riservato il voto di fiducia (e di sfiducia). Le leggi sarebbero approvate normalmente in una procedura monocamerale. Il Senato, nei casi – si presume di numero assai limitato, ma non elencabili a priori – in cui ritenga essere a rischio i valori permanenti la cui tutela è sua responsabilità primaria, potrebbe chiedere l’attivazione della procedura bicamerale paritaria. Qui ci sarebbe la funzione di garanzia come “camera di ripensamento”, insieme allo snellimento delle procedure in tutti i casi in cui il doppio esame non appare necessario. A sua volta, potrebbe essere proprio la Camera, per semplificare e ridurre i tempi, a chiedere eventualmente che sia il Senato a pronunciarsi per primo.
10. Autoritarismo
Un’ultima osservazione. Un certo numero di costituzionalisti, nei giorni trascorsi, ha denunciato con toni d’allarme il pericolo d’involuzione autoritaria, anzi padronale, del nostro sistema politico. Volendovederesoloeisolatamentelaquestionedella riforma del bicameralismo, la denuncia è apparsa eccessiva, allarmistica. Tuttavia, si parlava in quella circostanza della riforma del Senato non in sé stessa, ma come elemento d’un quadro costituzionale, formale e materiale, assai più complesso. Il quadro è composto, sì, dalla marginalizzazione della seconda Camera, ma anche dalle prospettive in cui si annuncia la riforma della legge elettorale, in vista di soluzioni fortemente maggioritarie e debolmente rappresentative, tali da configurare una “democrazia d’investitura” dell’uomo solo al comando, tanto più in quanto i partiti, da associazioni di partecipazione politica, secondo l’art. 49 della Costituzione, si sono trasformati, o si stanno trasformando in appendici di vertici personalistici, e in quanto i parlamentari, dalcantoloro,hannoscarsepossibilitàd’autonomia, di fronte alla minaccia di scioglimento anticipato e al rischiodinontrovarepiùposto,opostoadeguato,in quelle liste bloccate che la riforma elettorale non sembra orientata a superare. La denuncia dunque veniva, e ancora viene, da quello che i giuristi chiamano un “combinato disposto”. La visione d’insieme è quella d’un sistema politico che vuole chiudersi difensivamente su se stesso, contro la concezione pluralistica e partecipativa della democrazia, che è la concezione della Costituzione del 1948. La posta in gioco è alta. Per questo è giusto lanciare l’allarme. Queste, gentile Ministro Boschi, sono in sintesi (una sintesi assai poco sintetica!) le osservazioni che forse avrei potuto sviluppare nell’incontro di lunedì. Della mia assenza ancora mi rammarico e mi scuso. Immagino che i tempi non saranno così stretti da impedire ulteriori confronti, a partecipare ai quali, fin da ora, se i termini degli accordi politici già presi non saranno preclusivi di discussioni costruttive, le comunico la mia disponibilità.
Da Il Fatto Quotidiano del 13/07/2014.
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Re: LA DEMOCRAZIA AUTORITARIA
Corsi e ricorsi della storia
http://www.youtube.com/watch?v=4P_pq04YtwE&hd=1#!
Questo testo sembra adatto al battaglion toscano dei giorni nostri
O battaglion toscano
il bello tu... sei tu
di tutta la Repubblica
la meglio gioventù.
Qualcuno arriccia il naso
vorrebbe biasimar
ma noi non si fa caso
si tira a camminar.
E con in testa il nostro comandante
lo seguiremo lungo il suo cammin,
Riforme, c’è il rischio di una svolta autoritaria? Vox e sondaggio di Ricca
Video
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/07/ ... ca/288366/
Legge elettorale e riforma istituzionale occupano le cronache parlamentari di inizio estate. Ma il percorso iniziato con il famoso “patto del Nazareno” non sembra privo di ostacoli. In attesa che il quadro si chiarisca siamo tornati in strada a discutere con i cittadini dei possibili effetti di queste riforme. Il tema non è di semplice lettura, ma due opinioni emergono sulle altre. Da una parte ci sono coloro che vedono di buon occhio una riforma all’insegna di liste bloccate, premio di maggioranza e conversione del Senato in camera non elettiva, in nome della governabilità. Dall’altra, coloro che temono una involuzione autoritaria, con la concentrazione del potere e la riduzione della rappresentatività (leggi l’articolo di Marco Travaglio). E voi cosa ne pensate? Dite la vostra nei commenti e votando la risposta che vi convince di più
di Piero Ricca, riprese Pietro Menditto
^^^^^^^^^^^^
Senato dei nominati e riforma elettorale: dopo il patto del Nazareno, c'è il rischio di una 'democrazia autoritaria'?
Sì, ogni riforma va proposta, discussa e modificata in parlamento 90.25% (3,537 voti)
No, una leadership decisionista è l'unico modo per cambiare le cose 9.75% (382 voti)
http://www.youtube.com/watch?v=4P_pq04YtwE&hd=1#!
Questo testo sembra adatto al battaglion toscano dei giorni nostri
O battaglion toscano
il bello tu... sei tu
di tutta la Repubblica
la meglio gioventù.
Qualcuno arriccia il naso
vorrebbe biasimar
ma noi non si fa caso
si tira a camminar.
E con in testa il nostro comandante
lo seguiremo lungo il suo cammin,
Riforme, c’è il rischio di una svolta autoritaria? Vox e sondaggio di Ricca
Video
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/07/ ... ca/288366/
Legge elettorale e riforma istituzionale occupano le cronache parlamentari di inizio estate. Ma il percorso iniziato con il famoso “patto del Nazareno” non sembra privo di ostacoli. In attesa che il quadro si chiarisca siamo tornati in strada a discutere con i cittadini dei possibili effetti di queste riforme. Il tema non è di semplice lettura, ma due opinioni emergono sulle altre. Da una parte ci sono coloro che vedono di buon occhio una riforma all’insegna di liste bloccate, premio di maggioranza e conversione del Senato in camera non elettiva, in nome della governabilità. Dall’altra, coloro che temono una involuzione autoritaria, con la concentrazione del potere e la riduzione della rappresentatività (leggi l’articolo di Marco Travaglio). E voi cosa ne pensate? Dite la vostra nei commenti e votando la risposta che vi convince di più
di Piero Ricca, riprese Pietro Menditto
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Senato dei nominati e riforma elettorale: dopo il patto del Nazareno, c'è il rischio di una 'democrazia autoritaria'?
Sì, ogni riforma va proposta, discussa e modificata in parlamento 90.25% (3,537 voti)
No, una leadership decisionista è l'unico modo per cambiare le cose 9.75% (382 voti)
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Re: LA DEMOCRAZIA AUTORITARIA
RODOTÀ:“NON VOGLIONO CONTROLLI”
(Silvia Truzzi).
15/07/2014 di triskel182
Il Professore Stefano Rodotà
“Avremo un governo padrone del sistema costituzionale”.
Mentre al Senato comincia il dibattito sulle controriforme, Stefano Rodotà, già professorone, risponde così al telefono: “Il mio stato d’animo è terribilmente malinconico. Poteva finire in modo molto migliore di come si avvia a concludersi”.
Siamo un Paese alla rovescia: chi insinua dubbi sulla legittimazione degli oppositori o è membro di un’alleanza di governo che nessun cittadino ha votato o di un Parlamento fortemente sospettato di legittimità dalla sentenza della Consulta sul Porcellum.
È una vecchia tecnica: invece di discutere le tesi dell’interlocutore, lo si delegittima. Mi spiace perché la famosa lettera dei professoroni aveva messo in modo un meccanismo virtuoso, di iniziative parlamentari che andavano verso un processo riformatore, che non era in contrasto con la democrazia. Invece chi sostiene un’idea di riforma non brutale e semplificata, viene apostrofato come gufo o rosicone. Alla peggio lo si accusa di voler salvare lo stipendio.
Al Corriere della Sera, domenica il premier ha anche dichiarato “Mi piacerebbe discutere sulle grandi questioni del disegno di legge costituzionale”.
Ma chi gliel’ha impedito? Ha avuto sul suo tavolo una tale ricchezza di proposte che certamente questa auspicata discussione avrebbe potuto aver luogo! Solo che si è preferito andare avanti senza confronti. La domanda che dobbiamo porci è: Renzi e il suo gruppo dirigente hanno la cultura costituzionale adeguata per caricarsi il peso di questo cambiamento radicale?
Parliamo del merito. La questione centrale è analizzare la riforma del Senato insieme alla nuova legge elettorale che dovrebbe sanare l’illegittimità del Porcellum alla Camera.
E quindi torniamo al patto del Nazareno. Quante volte abbiamo chiesto di conoscere i punti di questa intesa e quante volte siamo stati liquidati con un “ma cosa volete”? Siamo costretti a dar ragione a Fitto – a Fitto! – che chiede chiarezza all’interno di Forza Italia! Non vogliamo chiamare il combinato disposto del nuovo Senato più Italicum “svolta autoritaria”? Diciamo allora che assisteremmo a un enorme accentramento di potere nelle mani dell’esecutivo e del premier. Alla diminuzione, e in qualche caso alla scomparsa, di controllo e contrappesi. Se questi poteri e contropoteri sono esclusi dal procedimento democratico – governo e attività legislativa – allora la funzione di controllo viene spostata all’esterno. Cioè sulla Consulta che viene caricata di un compito politicamente molto delicato. Ed è ciò che ha costituito l’oggetto della critica degli ultimi vent’anni, troppo potere alla magistratura. Ma se le forme di controllo all’interno del processo politico vengono eliminate, è ovvio che si spostano all’esterno. Non ci sono più gli equilibri costituzionali.
A cosa porta tutto questo?
La maggioranza viene costruita attraverso una legge maggioritaria e un premio molto alto: quindi nelle sue mani finiscono tutti i diritti fondamentali. Aggiungo: nessuno può essere preso in giro a proposito dell’elezione del presidente della Repubblica, che sarebbe maggiormente garantita con lo slittamento al nono scrutinio dell’abbassamento della soglia di maggioranza. La storia di questi anni – in alcuni si è arrivati anche al 22esimo scrutinio – racconta che basta aspettare. Rinviare nel tempo la necessità della maggioranza non qualificata non garantisce proprio nulla.
Chi va al governo con l’Italicum controllerà direttamente o indirettamente 10 dei 15 giudici costituzionali (5 nominati dal Parlamento e i 5 scelti dal Quirinale).
La maggioranza può impadronirsi del presidente della Repubblica e dei giudici costituzionali. Mi spingo più in là: avremo un premier e un esecutivo che si impadroniscono del sistema costituzionale, senza forme efficaci di controllo. Ora si devono eleggere due membri della Corte che sono in scadenza: siamo alla sesta votazione perché si aspetta un accordo tutto politico. Scadendo il presidente, la Corte deve immediatamente provvedere, ma lo farà con un organico che non è pieno, 13 giudici su
15. Anche l’ultimo presidente è stato eletto con un solo voto di scarto: tutto questo incide, pesantemente, sulla sostanza degli equilibri costituzionali. Invece di preoccuparsi di mettere la Consulta nella situazione formalmente giusta per eleggere il presidente, si discute dei nomi di politici. Un fatto gravissimo che dimostra lo spirito che accompagna la fase che stiamo vivendo.
Cosa pensa della ghigliottina in Costituzione, con la limitazione di emendamenti e ostruzionismo?
Il voto bloccato altera il processo legislativo. La velocità di cui si parla, finisce per travolgere la discussione: l’unico interesse è eliminare i punti di vista critici e arrivare al risultato . Una volta costruita la famosa maggioranza blindata, in teoria non ci sarebbe bisogno della ghigliottina. Invece oltre alla legge maggioritaria, s’introduce anche la ghigliottina: un’altra riduzione di spazi democratici.
Dicono: chi si oppone è contrario all’innovazione.
Le soglie dell’8 e 12 per cento previste dall’Italicum chiudono completamente gli spazi a nuove aggregazioni politiche. Questi numeri vogliono dire: non entra più nessuno. Trovo in questa riforma uno spirito di conservazione, di garanzia delle posizioni acquisite. I cittadini, più si va verso un parlamento non rappresentativo, più ritengono di avere diritto a strumenti di partecipazione importanti. Portare a 800mila le firme per un referendum, addirittura a 250 mila le firme per un disegno di legge popolare, è esattamente il contrario di ciò che si chiede. Il referendum in Italia ha avuto un ruolo fondamentale : nel 1974, sul divorzio, ha sbloccato il sistema politico. È sconvolgente la volontà di andare in così palese controtendenza: si fanno diventare impraticabili gli strumenti di partecipazione. L’idea è non disturbare il manovratore: non si vuole che i cittadini non dico interferiscano, ma che intervengano. Invece sarebbe stato necessario introdurre il referendum propositivo e aumentare le forme di controllo diffuso.
Da Il Fatto Quotidiano del 15/07/2014.
(Silvia Truzzi).
15/07/2014 di triskel182
Il Professore Stefano Rodotà
“Avremo un governo padrone del sistema costituzionale”.
Mentre al Senato comincia il dibattito sulle controriforme, Stefano Rodotà, già professorone, risponde così al telefono: “Il mio stato d’animo è terribilmente malinconico. Poteva finire in modo molto migliore di come si avvia a concludersi”.
Siamo un Paese alla rovescia: chi insinua dubbi sulla legittimazione degli oppositori o è membro di un’alleanza di governo che nessun cittadino ha votato o di un Parlamento fortemente sospettato di legittimità dalla sentenza della Consulta sul Porcellum.
È una vecchia tecnica: invece di discutere le tesi dell’interlocutore, lo si delegittima. Mi spiace perché la famosa lettera dei professoroni aveva messo in modo un meccanismo virtuoso, di iniziative parlamentari che andavano verso un processo riformatore, che non era in contrasto con la democrazia. Invece chi sostiene un’idea di riforma non brutale e semplificata, viene apostrofato come gufo o rosicone. Alla peggio lo si accusa di voler salvare lo stipendio.
Al Corriere della Sera, domenica il premier ha anche dichiarato “Mi piacerebbe discutere sulle grandi questioni del disegno di legge costituzionale”.
Ma chi gliel’ha impedito? Ha avuto sul suo tavolo una tale ricchezza di proposte che certamente questa auspicata discussione avrebbe potuto aver luogo! Solo che si è preferito andare avanti senza confronti. La domanda che dobbiamo porci è: Renzi e il suo gruppo dirigente hanno la cultura costituzionale adeguata per caricarsi il peso di questo cambiamento radicale?
Parliamo del merito. La questione centrale è analizzare la riforma del Senato insieme alla nuova legge elettorale che dovrebbe sanare l’illegittimità del Porcellum alla Camera.
E quindi torniamo al patto del Nazareno. Quante volte abbiamo chiesto di conoscere i punti di questa intesa e quante volte siamo stati liquidati con un “ma cosa volete”? Siamo costretti a dar ragione a Fitto – a Fitto! – che chiede chiarezza all’interno di Forza Italia! Non vogliamo chiamare il combinato disposto del nuovo Senato più Italicum “svolta autoritaria”? Diciamo allora che assisteremmo a un enorme accentramento di potere nelle mani dell’esecutivo e del premier. Alla diminuzione, e in qualche caso alla scomparsa, di controllo e contrappesi. Se questi poteri e contropoteri sono esclusi dal procedimento democratico – governo e attività legislativa – allora la funzione di controllo viene spostata all’esterno. Cioè sulla Consulta che viene caricata di un compito politicamente molto delicato. Ed è ciò che ha costituito l’oggetto della critica degli ultimi vent’anni, troppo potere alla magistratura. Ma se le forme di controllo all’interno del processo politico vengono eliminate, è ovvio che si spostano all’esterno. Non ci sono più gli equilibri costituzionali.
A cosa porta tutto questo?
La maggioranza viene costruita attraverso una legge maggioritaria e un premio molto alto: quindi nelle sue mani finiscono tutti i diritti fondamentali. Aggiungo: nessuno può essere preso in giro a proposito dell’elezione del presidente della Repubblica, che sarebbe maggiormente garantita con lo slittamento al nono scrutinio dell’abbassamento della soglia di maggioranza. La storia di questi anni – in alcuni si è arrivati anche al 22esimo scrutinio – racconta che basta aspettare. Rinviare nel tempo la necessità della maggioranza non qualificata non garantisce proprio nulla.
Chi va al governo con l’Italicum controllerà direttamente o indirettamente 10 dei 15 giudici costituzionali (5 nominati dal Parlamento e i 5 scelti dal Quirinale).
La maggioranza può impadronirsi del presidente della Repubblica e dei giudici costituzionali. Mi spingo più in là: avremo un premier e un esecutivo che si impadroniscono del sistema costituzionale, senza forme efficaci di controllo. Ora si devono eleggere due membri della Corte che sono in scadenza: siamo alla sesta votazione perché si aspetta un accordo tutto politico. Scadendo il presidente, la Corte deve immediatamente provvedere, ma lo farà con un organico che non è pieno, 13 giudici su
15. Anche l’ultimo presidente è stato eletto con un solo voto di scarto: tutto questo incide, pesantemente, sulla sostanza degli equilibri costituzionali. Invece di preoccuparsi di mettere la Consulta nella situazione formalmente giusta per eleggere il presidente, si discute dei nomi di politici. Un fatto gravissimo che dimostra lo spirito che accompagna la fase che stiamo vivendo.
Cosa pensa della ghigliottina in Costituzione, con la limitazione di emendamenti e ostruzionismo?
Il voto bloccato altera il processo legislativo. La velocità di cui si parla, finisce per travolgere la discussione: l’unico interesse è eliminare i punti di vista critici e arrivare al risultato . Una volta costruita la famosa maggioranza blindata, in teoria non ci sarebbe bisogno della ghigliottina. Invece oltre alla legge maggioritaria, s’introduce anche la ghigliottina: un’altra riduzione di spazi democratici.
Dicono: chi si oppone è contrario all’innovazione.
Le soglie dell’8 e 12 per cento previste dall’Italicum chiudono completamente gli spazi a nuove aggregazioni politiche. Questi numeri vogliono dire: non entra più nessuno. Trovo in questa riforma uno spirito di conservazione, di garanzia delle posizioni acquisite. I cittadini, più si va verso un parlamento non rappresentativo, più ritengono di avere diritto a strumenti di partecipazione importanti. Portare a 800mila le firme per un referendum, addirittura a 250 mila le firme per un disegno di legge popolare, è esattamente il contrario di ciò che si chiede. Il referendum in Italia ha avuto un ruolo fondamentale : nel 1974, sul divorzio, ha sbloccato il sistema politico. È sconvolgente la volontà di andare in così palese controtendenza: si fanno diventare impraticabili gli strumenti di partecipazione. L’idea è non disturbare il manovratore: non si vuole che i cittadini non dico interferiscano, ma che intervengano. Invece sarebbe stato necessario introdurre il referendum propositivo e aumentare le forme di controllo diffuso.
Da Il Fatto Quotidiano del 15/07/2014.
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Re: LA DEMOCRAZIA AUTORITARIA
FIRMIAMO L'APPELLO DEL FATTO QUOTIDIANO
Dite no al Parlamento dei nominati e alle riforme che limitano i referendum e uccidono la democrazia partecipata
Diretta a Napolitano, Renzi, Grasso e Boldrini 2
Dite no al Parlamento dei nominati e alle riforme che limitano i referendum e uccidono la democrazia partecipata
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Re: LA DEMOCRAZIA AUTORITARIA
iospero ha scritto:FIRMIAMO L'APPELLO DEL FATTO QUOTIDIANO
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