articolo 18

E' il luogo della libera circolazione delle idee "a ruota libera"
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peanuts
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Re: articolo 18

Messaggio da peanuts »

cielo 70 ha scritto:
peanuts ha scritto:Beh, non sei obbligato infatti.
Ma personalmente IO la riforma fornero non me la merito e credo vada distrutta.
Al lavoro mi incazzo con chi non fa il suo dovere.
Cosa dovrei far, lasciare che questi (magari appoggiati da qualcuno in lato) continuino mentro io rischio?
No, non ci sto.
Quanto a questa gente poi mi regolo di conseguenza, non ci vado memmeno al bar per un caffè. Almeno sono coerente.
Io non credo che andare al bar per un po' (non per 40 minuti) equivalga a rubare lo stipendio. La Cassazione ha riconosciuto 15 minuti al giorno. E non credo neanche che sia utile spaccare il mondo del lavoro dipendente. Non se la passa quasi nessuno bene neanche nel pubblico impiego.
Non hai capito cosa intendevo dire.
Ci vado anche io al bar a prendere un caffè (e naturalmente non ci sto un quarto d'ora).
Intendevo dire che non ci vado con certi soggetti che rubano lo stipendio e sono protetti da qualche dirigente mentre io che metto i volentini per gli scioperi non sono protetto.
La spaccatura? Da noi la stiamo vivendo, impiegati da una parte (che volevano firmare il contratto) e noi (tecnici) dall'altra che ci siamo opposti perché non c'erano prospettive di crescita, rilancio e innovvazione. Ed è uno schifo che quegli altri (gli impiegati) ci siano cascati in pieno.
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
Amadeus

Re: articolo 18

Messaggio da Amadeus »

Schettino, il 15 vado in aula e metto la faccia
La Compagnia lo ha licenzialo. Lui fa causa
10 ottobre, 21:16
"Il 15 ottobre sarò in aula a Grosseto per l'incidente probatorio e ci metterò la faccia, la mia competenza quando si discuterà dei dati della 'scatola nera'". Lo ha detto all'ANSA il comandante della nave Costa Concordia Francesco Schettino confermando la sua presenza a Grosseto. "E' un mio diritto partecipare - ha aggiunto Schettino - Voglio dare supporto ai miei consulenti ed esser sicuro che i dati della 'scatola nera' siano interpretati bene e che si sviscerino tutte le problematiche".

Schettino ha anche detto che "interpretare bene i dati sarà un modo per omaggiare le vittime" poiché "tanti, tutti vogliamo sapere cosa accadde veramente" la sera del 13 gennaio, "tutti vogliamo la verità di quelle ore". Per Schettino, essere presente in aula sarà importante proprio "per supportare i miei esperti nel contradditorio con gli altri" periti e consulenti, e far emergere "l'interpretazione più reale possibile di quelle che furono le mie intenzioni". Schettino ha anche detto di voler "vedere in faccia le persone che dicono quelle cose che io avrei fatto, persone che fanno doverosamente il loro lavoro". "Sono state dette molte cose in questi nove mesi sul mio conto - ha ancora detto Schettino - perciò desidero che dall'incidente probatorio sulla scatola nera emerga la verità di quanto accadde quella sera".

Costa Crociere conferma di aver licenziato a fine luglio il comandante Francesco Schettino, che ha fatto causa alla Compagnia, come scrive oggi Repubblica.

"Costa Crociere - precisa la società - conferma di aver concluso il procedimento disciplinare iniziato nei confronti di Schettino, a seguito del naufragio di Costa Concordia, disponendone il licenziamento. La Compagnia ha ritenuto di applicare la sanzione del licenziamento in conformità con le norme di legge e contrattuali applicabili".


non lo so se vengo da Marte , se sono ubriaca, in preda a demenza o a qualche altra sindrome che mi impedisce di connettere ......ma se non è un licenziamento per giusta causa questo cosa doveva combinare di altro affinchè lo fosse? ne doveva avere sulla coscienza 3000?
camillobenso
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Re: articolo 18

Messaggio da camillobenso »

la ministra di Renzi per lo sviluppo economico, fiduciaria di Confindustria e Berlusconi
Repubblica 29.6.14
Guidi: “L’articolo 18? Lo Statuto dei lavoratori ormai è superato E aiuteremo l’export”
intervista di Roberto Mania

ROMA. Un piano per sostenere il Made in Italy, per internazionalizzare le piccole imprese e creare un sistema per la distribuzione nel mondo dei nostri prodotti. È questo un pezzo delle riforme per la crescita che ci permetteranno una maggiore flessibilità nell’applicazione dei trattati europei. Federica Guidi, ministro dello Sviluppo economico, ne parla in questa intervista in cui, seppur a titolo personale, dice anche: «Definire lo Statuto dei lavoratori come un documento datato mi pare un eufemismo. Il mondo cambia e non si commette peccato mortale se si sottopone a una manutenzione una legge del 1970».
Partiamo dall’Europa, ministro. L’accordo tra i capi di governo è che ci possa essere una maggiore flessibilità nell’applicazione dei vincoli del Patto di stabilità a fronte di riforme a sostegno della crescita economica. Lei è proprio il ministro dello Sviluppo. Dal suo dicastero dovrebbero uscire molte delle misure destinate a sostenere la ripresa. Quali?
«Da quando è in carica questo governo, cioè da quattro mesi, tutti gli interventi sono stati adottati in direzione delle riforme. Ab- biamo abbassato il livello di tassazione sul lavoro e sulle imprese, abbiamo definito un pacchetto di provvedimenti per dare slancio agli investimenti e rafforzare la patrimonializzazione delle imprese. C’è stato il decreto Poletti sui contratti a termine e ora è in discussione in Parlamento il Jobs Act. C’è stata la riforma della pubblica amministrazione. Ora stiamo lavorando, io e il viceministro Carlo Calenda, a un piano per il Made in Italy».
Un piano con quali contenuti?
«Il piano sarà definito nelle prossime settimane. L’obiettivo è quello di supportare l’internazionalizzazione delle nostre imprese facendo leva anche su una diversa organizzazione della distribuzione dei nostri prodotti all’estero e sul sistema fieristico. È una cosa che da noi non è mai stata fatta. E guardi che, anche con il mio stupore, quando vado all’estero continuo a constatare che c’è un grande interesse degli investitori verso l’Italia. Ciò che chiedono innanzitutto è meno burocrazia, più semplificazioni anche nell’avvio delle società. Sono riforme sostanzialmente a costo zero».
Lei annuncia un piano per il Made in Italy e vedremo come sarà nel dettaglio. Resta il fatto che spesso, molto spesso, i provvedimenti si annunciano e poi rimangono sulla carta perché ritardano i decreti attuativi. Il suo dicastero deve ancora approvare i decreti per misure adottate dai governi Monti e Letta. Quando preparerete leggi immediatamente applicabili?
«Guardi, le leggi autoapplicative sono uno degli obiettivi di questo governo. Certo non si può smantellare in quattro mesi un sistema che è costruito sui provvedimenti scritti, come si dice, “di concerto” tra ministri. Ci vuole tempo. Detto questo il mio ministero ha adottato tutti i decreti necessari per attuare le leggi dei precedenti governi. Non è ancora pienamente applicativa la norma sul credito di imposta sulla ricerca e l’innovazione perché manca la firma del ministro dell’Economia. Ma è questione di poco tempo».
Ma perché anziché incentivare sempre qualcosa non prende il “piano Giavazzi” che prevedeva un taglio di 10 miliardi l’anno di incentivi alle imprese in cambio di una riduzione dell’Irap? Non crede che anche le aziende ne sarebbero avvantaggiate?
«Non conosco nei dettagli il piano del professor Giavazzi, penso però che l’impatto sui conti pubblici di un’operazione di questo tipo non sia proprio neutro».
Con la politica degli incentivi qualche volta sbagliate anche obiettivo. La Cgia di Mestre sostiene che la tanto sbandierata riduzione del 10 per cento del costo dell’energia a favore delle imprese, in realtà lascia fuori l’85 per cento delle imprese, quelle di dimensioni più piccole, perché non raggiungono la soglia minima di 16,5 chilowatt di consumo. Un auto- gol?
«Noi abbiamo numeri diversi, altrimenti non avremmo adottato quel provvedimento. Non so come e sulla base di quali dati la Cgia di Mestre arrivi a quelle conclusioni. Noi siamo certi che il beneficio andrà a larghissima parte delle piccole e medie imprese e degli esercizi commerciali».
Anche Trenitalia e Ntv protestano: dicono che, con il taglio di alcuni incentivi, dovranno ridurre il servizio.
«Senta la norma che garantiva un trattamento di favore alle ferrovie risale al 1963, io sono nata nel 1969. Credo che da allora ad oggi molte cose siano cambiate».
La contestano anche i produttori di energie rinnovabili.
«Veramente protesta il 4 per cento delle imprese del fotovoltaico. Sono ottomila imprese su 200 mila del settore che però riceve il 60 per cento di tutti gli incentivi. Chi protesta difende posizioni di rendita. È un sacrificio modesto quello che abbiamo chiesto loro ».
Ma perché ha reintrodotto l’anatocismo, cioè il pagamento degli interessi sugli interessi, con il decreto sulla competitività?
«La genesi di quella parte del decreto sta al ministero dell’Economia. Comunque il Parlamento può migliorarla o modificarla».
Da leader dei Giovani industriali di Confindustria lei prese posizioni sempre molto nette contro l’articolo 18. Una parte della maggioranza, penso ai senatori Ichino e Sacconi, ora vuole cambiarlo. Qual è la sua posizione ora?
«Ero molto giovane e facevo anche un mestiere molto diverso. Penso che oggi sia una tragedia la disoccupazione giovanile al 46 per cento. Questa è la coda velenosa di una lunghissima crisi».
D’accordo, cosa pensa del superamento dello Statuto dei lavoratori?
«Non è la mia materia, dunque parlo a titolo personale. Penso che definire lo Statuto un documento datato sia un eufemismo. Non si commette peccato mortale se si pensa a un intervento di manutenzione. Il mondo evolve. C’è bisogno di maggiore flessibilità in uscita e in entrata nel mondo del lavoro, ovviamente con tutte le necessarie garanzie. In ogni caso non ritengo che oggi l’articolo 18 sia una questione strategica per le imprese come forse lo è stata dieci anni fa».
camillobenso
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Re: articolo 18

Messaggio da camillobenso »

Saldi di fine stagione. Non ci sono più i lavoratori e i sindacati di una volta


NB - Segnalo che il contenuto di questo post sarà replicato in altri 3D.



Alfano: “Patto con Renzi ma via l’art. 18”

Ebbravo Angelino senza quid!! Baratta l'art. 18 in cambio del sostegno al governo.

Tale e quale succedeva al Foro Boario di Ferrara.


********
Alfano: “Patto con Renzi ma via l’art. 18”
(FRANCESCO BEI).
14/07/2014 di triskel182




Alfano“Ma l’Italicum deve essere cambiato. Solo chi è in malafede non si accorge del nostro ruolo. Dialogo con Forza Italia? Vediamo come si comportano sulla legge elettorale”.

“Shock fiscale via l’articolo 18 un patto con Matteo per i 1000 giorni”

ROMA - Un «patto per i mille giorni». Ecco quello che Angelino Alfano propone a Renzi. Un’agenda da condividere tra alleati, basata su tre pilastri: «uno shock fiscale» per ridurre le tasse, «una frustata antiburocratica » e «l’abolizione dell’articolo 18» per consentire alle imprese di far ripartire le assunzioni. Mille giorni «pieni di cose buone per l’Italia, per poi tornare ciascuno sulla propria strada». Destra contro sinistra, «come si fa in tutta Europa ». Mentre su nuovo Senato e Titolo V per Alfano «l’impianto può reggere alla prova dell’aula », sull’Italicum ci sarà da discutere molto. Anzi, proprio sulla legge elettorale Ncd misurerà la buona fede di Forza Italia e di Berlusconi, «ora che è fallito il loro tentativo di soffocarci nella culla ».


Ministro Alfano, Renzi ha già lanciato i suoi “1000 giorni” senza nemmeno farvi una telefonata. Siete figli di un dio minore?
«Questa è la rappresentazione giornalistica, anche perché i mille giorni erano già tutti nel patto che ha dato vita alla nascita di questo governo. In realtà siamo stati protagonisti nell’individuazione di queste scelte. C’è la nostra firma sulla riduzione delle tasse, sul superamento della legge Fornero, sulla riforma della P.A. e sulla giustizia. Anzi, proprio il piano giustizia sembra ricalcato su quello che proposi io quando ero Guardasigilli. Solo chi è in malafede non si accorge degli importanti contenuti di centrodestra che siamo riusciti a imporre e del fortissimo imprinting riformatore del governo».
Ora chiedete al premier l’apertura di un tavolo di trattativa?
«Non proponiamo cabine di regie o tavoli di trattativa, non siamo ragazzi-vintage. Mettiamo in chiaro i nostri obiettivi».
Con una battuta si potrebbe dire: siete riusciti talmente bene a ibridare il governo che forse è diventata inutile la vostra presenza. Basta Renzi…
«Senza di noi non ci sarebbe mai stato questo governo. Siamo decisivi per il sostegno parlamentare e saremo incisivi sui provvedimenti necessari a rilanciare il paese. Se non ci fosse l’Ncd Renzi dovrebbe fare i conti con una sinistra interna che raddoppierebbe la sua forza contrattuale. L’ancoraggio moderato assicurato da un partito come il nostro è garanzia di politiche che difendano gli imprenditori, gli artigiani, i commercianti, le partite Iva e le famiglie».
Mille giorni dice Renzi. Per fare cosa?
«La priorità resta l’uscita dalla crisi. Occorre passare a un fisco “family oriented”: per questo, dopo l’estate, la discussione sulla legge di stabilità deve concentrarsi sul sostegno alle famiglie con i figli».
Bello, ma i soldi? Non ci sono nemmeno le coperture per rendere stabile il bonus da 80 euro. Come farete?
«Ci sono ancora margini per tagliare la spesa pubblica e reinvestire i risparmi nel sostegno alla famiglia».
E nell’agenda dei mille giorni cosa volete mettere?
«Quello che chiediamo a Renzi è uno shock fiscale, una frustata antiburocratica e una svolta vera sull’articolo 18».
Lo sa che resta un terreno minato. Già il governo Monti l’ha depotenziato molto, voi cosa proponete?
«Dobbiamo superarlo del tutto. L’articolo 18 è un gioco di specchi: si teme la libertà di licenziare quando invece ci si dovrebbe concentrare sulla libertà di assumere. La nostra ricetta per la ripresa è meno fisco e meno regole per le imprese. Se riusciremo a farcela tra mille giorni potremo lasciarci e ognuno andrà per la propria strada: la nostra prospettiva resta la costruzione di un’area alternativa alla sinistra come accade in tutta Europa ».
Per costruire quest’area chiuderete Ncd e Udc?
«Per ricostruire il campo moderato faremo ciò che serve. È chiaro che la prima fase del progetto coinvolge quelli del cerchio più interno, ovvero le forze che stanno all’interno del Ppe, all’interno del governo e all’interno del processo di riforma. Poi sarà il tempo e i comportamenti di ciascuno a sciogliere alcuni nodi».
E con la Lega come la mettiamo? Salvini continua a bombardare il governo sull’immigrazione. Pensa di ricucire anche con il Carroccio?
«Tra noi e Salvini c’è una grande differenza. Noi vogliamo contrastare l’immigrazione clandestina, salvare la vita a chi fugge dalle persecuzioni e ottenere che l’Europa prenda in mano la vicenda. Salvini ha tutto l’interesse a non risolvere il problema per poterci lucrare sopra. Del resto lui sta costruendo una destra estrema, lepenista, anti-euro e razzista. Esattamente quella che il Ppe considera avversaria».
Giovanni Toti vi propone un patto di consultazione permanente. Accettate?
«Prima ci vorrebbe una moratoria degli insulti da parte dei giornali. Esiste un citofono che collega piazza San Lorenzo in Lucina con via Negri a Milano e con
Segrate?».
Intende dire che prima devono cessare gli attacchi di Giornale e di Panorama?
«Esatto, ma non basta. Per noi un elemento determinante sarà la posizione di Forza Italia sulla legge elettorale».
Chiedete l’abbandono dell’Italicum?
«Quella legge nasce in un periodo politicamente molto diverso, quando noi eravamo appena nati e c’era ancora il governo Letta. Fu chiaro il tentativo di Forza Italia di soffocarci in culla attraverso la legge elettorale. Spero che ora Forza Italia prenda atto che il tentato omicidio è fallito e si rassegni alla nostra presenza in campo e nel governo ».
Quindi devono cambiare le soglie di sbarramento?
«Sì, ma non solo. Noi porremo in maniera fortissima la questione delle preferenze. A questo punto sono essenziali».
E la riforma costituzionale?
«Se ci saranno dei dettagli da correggere siamo ancora in tempo, ma il compromesso raggiunto lo riteniamo già valido. Può reggere la prova dell’aula anche così com’è».

Da La Repubblica del 14/07/2014.
camillobenso
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Re: articolo 18

Messaggio da camillobenso »

Articolo 18, l’Italia salvata da questi imprenditori e manager?
di Pierfranco Pellizzetti | 17 settembre 2014Commenti (26)



Se è possibile virare un post a grido di indignazione, oggi avrei proprio voglia di provare a farlo.

L’indignazione per l’imbroglio continuato che da anni stravolge il significato reale dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (disciplina del licenziamento illegittimo nelle unità produttive con più di quindici dipendenti), trasformandolo in dogmatismo da guerra di religione.

Come sempre, le normative in materia di relazioni industriali attengono direttamente a poste in gioco concrete e non sono mai neutrali. Stabiliscono vincitori e vinti. Nel caso in questione, su chi si intende puntare per uscire dalla crisi di un sistema produttivo ormai in deliquio; al tempo stesso, contro chi puntare il dito in quanto colpevole della situazione disastrosa.

La focalizzazione inquisitoria sul famigerato “diciotto” ha un solo significato, “politico”: colpevoli sono i lavoratori, cui sono stati concessi in passato (o meglio, che hanno estorto) troppi diritti e troppi soldi. Portandoci fuori mercato.


Difatti sono ormai decenni che si è scatenata questa caccia alle presunte stregonerie malefiche annidate nel mondo dei prestatori d’opera e delle loro rappresentanze; tanto che nulla serve, per diradare i fumi dei roghi allestiti dai grandi inquisitori (i veri stregoni all’opera in materia), tentare di ricordare che il costo del lavoro italiano è più basso di quello francese e tedesco.

Non serve a niente, perché qui non si parla di politiche industriali ma si attuano veri e propri esorcismi. Ingannevoli come sempre, quanto finalizzati a depistare la furia generale dai veri bersagli. Le responsabilità effettive.

Ad esempio, oscurare il fatto che il disastro di cui si parla risale agli anni Settanta, quando è stata avviata una vera e propria serrata degli investimenti; i cui effetti diretti sono il crollo della ricerca applicata. Tanto che il Made in Italy non riesce più a immettere sui mercati prodotti con un minimo di appeal (credo di averlo detto già altre volte: il nostro ultimo prodotto innovativo è quello scarpone con il gancio metallico che risale agli anni Settanta).

Ma ora il governo dichiara, baldanzoso e imperterrito, che provvederà a decretare la cancellazione della normativa di garanzia del rapporto di lavoro come una sorta di guerra di liberazione del lavoro da se stesso; così dimostrando di essere totalmente immerso nel cerchio stregato che distorce le questioni e produce visioni mistificatorie.

In effetti l’annuncio governativo ha un altro significato: dice chiaramente con chi sta.

Ossia, sta con i quei ceti manageriali/imprenditoriali che per tutti questi decenni non hanno saputo indicare – in materia di strategie competitive – altro che la ricetta da Terzo Mondo della mano libera per pagare sempre meno e tenere a bada sempre di più con la minaccia del licenziamento. Nonostante la montagne di chiacchiere da convegno e seminario di organizzazione su “il lavoro competente e motivato quale risorsa primaria dell’impresa” (quindi, detto in anglomanagerialese che fa fino: commitment, empowerment e altri tricchetracche).


Sicché continuiamo nell’antico imbroglio. Con buona pace di quelli che si sgolano a spiegare che con queste leadership d’impresa, cui si vorrebbe ulteriormente dare mano libera, non si va da nessuna parte.

Questi presunti “cavalieri della valle solitaria” rivelatisi alla prova dei fatti nient’altro che la reincarnazione dei robber barons (i baroni ladri del secolo scorso). In America i sedicenti grandi innovatori che hanno scippato le scoperte della ricerca finanziata dallo Stato (da Arpanet-Internet, creata dal sistema militare/universitario USA e poi tradotta in business miliardario dalle Microsoft, al touch-screen sviluppato dal centro di ricerca dell’Università del Delaware ma commercializzato con extra profitti dalle Apple); in Italia i presunti “capitani coraggiosi” che oligopolizzano la telefonia con le bollette più alte d’Europa e fanno incetta di servizi pubblici in svendita; dalla sanità alla mobilità.


Difatti il nostro premier sta dalla loro parte. Difatti anche in questo campo il presunto riformatore è garanzia di esiti controriformistici.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09 ... r/1124248/
camillobenso
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Re: articolo 18

Messaggio da camillobenso »

La vox populi:


ergio Martinez • 2 ore fa
I capponi di Lorenzo Tramaglino si azzuffavano tra loro mentre venivano portati al macello per Don Abbondio.
Con queste iniziative del governo, assolutamente inutili per rilanciare l'economia, si otterrà solo che gli italiani, come i capponi, useranno le loro energie per accappigliarsi tra loro mentre Renzo Truffaldino li porta al macello per Frau Merkel.
D'altra parta se votiamo certi partiti vuol dire che questo siamo, dei polli, e questa fine meritiamo

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Psicopompo • 2 ore fa
Sui motivi che scatenano periodicamente le crociate contro l'articolo 18, caro Pellizzetti, ha già detto tutto lei.
Posso solo aggiungere che il tambureggiamento ossessivo teso a sottolineare la perniciosità, per l'occupazione, della norma in questione, è stato praticato da giornalisti ed economisti o incompetenti o prezzolati. La conseguenza peggiore di quell'opera di disinformazione è, purtroppo, che molti lavoratori, od aspiranti tali, si sono lasciati convincere che la loro precarietà derivi prevalentemente dalla presenza di quella norma.
Una bugia sesquipedale!

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Luca Palazzi • 2 ore fa
l'art. 18 è un falso problema..il contratto a tutele crescenti però ouò essere utile, bisognerebbe però essere onesti, il problema dell'italia dipende principalmente da due fattori:
- tasso di cambio sfavorevole (e favorevole alla Germania, che ne ha beneficiato in modo eccessivo)
- diminuzione del tasso di interesse che è stato usato non per investimenti ma per aumentare la spesa corrente.
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trafficointenso • 2 ore fa
E' ormai la parola d'ordine imperante: gli italiani hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità! Ergo devono ritornare nel letame da dove erano - solo temporaneamente - usciti.
Padroni e Casta, che non vogliono rinunciare ai loro privilegi storici, sono disposti a tutto: anche a pagare Renzi e PD per fare il lavoro sporco necessario per rimettere in riga chi si ribella alla "Nuova Italia".
Se Renzi fallisce rimane il solito colpo di Stato con i neofascisti

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Cesare Goffredo Granese • 2 ore fa
L'ultima cosa di sinistra in Italia ? lo statuto dei lavoratori, dopo di che le peggiori iniziative contro i lavoratori, che non sono riuscite a Berlusconi, le hanno prese e spesso realizzate i governi di pseudo sinistra. Quindi l' articolo 18 qualora si decidesse di sopprimerlo, il governo Renzi sarebbe adattissimo allo scopo.
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Bice Ulissi • 2 ore fa
E sono i lavoratori dipendente che hanno votato Pd,ai Tafazzi ben gli sta........
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mzf2 • 2 ore fa
non vedo imprenditori e manager.
vedo molti prenditori e molti manger

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arizona2 • 2 ore fa
ottimo....chapeau
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DoktorCyberstein • 2 ore fa
Buonasera dottor Pellizzetti,
Lei ha portato il bisturi nella parte purulenta della faccenda,
se mi consente una metafora professionale; da molto molto
tempo era chiaro che la normativa del lavoro era in realtà
campo di scontro di un cinico revanscismo ideologico padronale,
che mal ha sopportato in questi anni di avere le mani - giustamente -
legate riguardo i rapporti con la forza lavoro, e che era del tutto fuorviante
e mendacemente strumentale la diatriba sollevata dai pessimi governi finora
succedutisi sulla materia, non ultima quella del Giovine PdC di Rignano sull'Arno
che con astuta perfidia da ragazzo di sacrestia non ha trovato di meglio che approntare sulla scorta della crisi occupazionale un decreto "vaso di Pandora",
destinato a peggiorare le sorti lavorative delle nuove generazioni in base ad un
assurdo kafkiano tutelare tutti...tutelandoli in meno, praticamente visto che il paese
affonda come la Concordia invece che gettare tutti con il salvagente in mare, li si
lascia annaspare, per "ugualitarismo de sinistra" (sic). Cordiali saluti

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camillobenso
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Re: articolo 18

Messaggio da camillobenso »

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Luca Vacchi • 3 ore fa
Sig. Pellizzetti, concordo con lei, non c'é dubbio e ho provato anche a commentare, ma non mi uscivano le parole, si, non ne trovo piú.... solo un incredulo smarrito silenzio, davanti alle notizie di tutti i giorni. Una rabbia interna tenuta al guinzaglio. E una domanda, sempre la stessa......possibile, che nessun Premier abbia voglia di un paese migliore di questo?
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Xavier Plágaro Mussard Luca Vacchi • 2 ore fa
possibile, che nessun ITALIANO abbia voglia di un paese migliore di questo?
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roberto fantechi • 3 ore fa
Ci avere stufato con le critiche al massacro. Ma per ogni paragrafo di critica, una proposta alternativa, no? E non ci dite che non sta a voi, in qual caso a cosa giova? Al numero di click e di like? WOW!
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marino roberto fantechi • 2 ore fa
Bravo e invece di un'altra critica al massacro grazie per la tua proposta alternativa.
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pgi • 3 ore fa
E finchè continuano a votarli che possiamo farci? Quanto han preso alle europee combinati? 56% dei votanti più il 100% degli astenuti.
Ma votino il partito della bocciofila, i grigio verdi... ma chiunque. Pigliassero lo zero virgola forse (dico forse) capirebbero che il paese non è d'accordo.
Invece no. Io scommetto che alle prossime elezioni il PD prende minimo il 30% e ci sarà la solita valanga di astenuti che, vorrei ricordarlo, votano a tutti gli effetti per la maggioranza decisa dagli altri.
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pithard • 3 ore fa
Leggendo questo blog, il pensiero è andato ai bene-t-ton dei colori uniti.
Tutta la loro produzione fa "sopravivere" i lavoratori dei paesi emergenti prima affamati, e ha condannato alla disoccupazione i lavoratori italiani.
Ma i bene-t-ton non potevano non guadagnare dall'italia, perciò si sono buttati nelle rendite di posizione delle Autostrade. Tanto guadagno e poca spesa a danno degli automobilisti.
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Zaffir • 4 ore fa
Ma insomma, quando avanzava la globalizzazione ed il manifatturiero veniva strozzato dalle importazioni a basso costo, quando il WTO ammetteva la Cina e i suoi satelliti asiatici. quando c'è stato il boom dei TEU che faceva presagire il nuovo modo di intendere gli scambi commerciali, voi dove eravate?
Potevate dire: no! chiudiamoci a riccio in una splendida autarchia e resistiamo alla concorrenza del mercato globale.
Invece avete preferito andare inTailandia e godervi una vacanza a 5 stelle con mille euro volo A\R e pensione completa...
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Luke C. • 4 ore fa
Pellizzetti sei il più grande di tutti
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Paolo Tramannoni • 4 ore fa
Pur concordando con le tesi dell'aritcolo, c'è questo passo che mi lascia perplesso: "... il Made in Italy non riesce più a immettere sui mercati prodotti con un minimo di appeal (credo di averlo detto già altre volte: il nostro ultimo prodotto innovativo è quello scarpone con il gancio metallico che risale agli anni Settanta)."

L'Italia registra ogni anno alcune migliaia di brevetti nell'elettronica, le telecomunicazioni, i semiconduttori, i nuovi materiali. È nona nel mondo in brevetti. Cosa vuol dire che non innova più dagli anni Sessanta?
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Pierfranco Pellizzetti Paolo Tramannoni • 4 ore fa
La prego, Signor Tramannoni, mi smentisca: ne sarei patriotticamente felice: dove vede un prodotto attualmente trainante nella gamma merceologica italiana (come lo furono la 600, Divisumma, Moplen, Vespa Piaggio)? Confronti per favore il rapporto italiano R&S/PIL con quello degli altri Paesi OCSE.
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pithard Pierfranco Pellizzetti • 4 ore fa
Pur essendo d'accordo con lei su tutto il resto dell'articolo prof. pellizzetti
.. le ricordo nel campo dell'elettronica "Arduino".
Lo digiti su google. Anche nel campo delle stampanti 3D .
Naturalmente poi manca una politica industriale.........si rischia il destino della Olivettiana perottina. (e per questo le do ragione su tutto il resto)
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bat21 Paolo Tramannoni • 4 ore fa
Nessuno discute che le idee buone gli italiani le abbiano, e ancora. Ma oggi, un processo produttivo vale tanto quanto il prodotto stesso. E in Italia sono i processi produttivi ad essere in blocco, o quanto meno indietro.
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camillobenso
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Re: articolo 18

Messaggio da camillobenso »

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nicolodonelli • 4 ore fa
Caro Pellizzetti, concordo pienamente con quanto afferma nel suo post e con i toni indignati che usa. È vero: la odierna classe imprenditoriale italiana è forse una delle peggiori del mondo. Quello di cui ci sarebbe bisogno è proprio ricreare dalle fondamenta una nuova classe imprenditoriale, non collusa con questi politicanti da strapazzo, fatta di persone nuove, non tanto anagraficamente (anche quello, certo), quanto con idee innovative, capaci di rilanciare un sistema morto come il nostro. La mia domanda è: in Italia è possibile una vera palingenesi imprenditoriale? O dovremo sempre avere come "capitani coraggiosi" persone della stessa pasta di questi incapaci?
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Kolka • 4 ore fa
Non so se ha presente quel film "Scuola di Ladri".....
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Kiril • 4 ore fa
D'accordo in generale, ma l'esempio di internet sviluppato dal sistema universitario e trasformato in bussiness miliardario da microsoft e' proprio falso.
Non me ne voglia Pellizzetti: lo sa quanto sono affezionato al suo blog.
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Ste Kiril • 3 ore fa
Non è falso, internet è stata davvero sviluppata in ambito universitario e militare (con copiosi finanziamenti pubblici perché era un progetto strategico per la difesa). Ciò che non è del tutto vero, credo, è che sia stata trasformata in business da microsoft.
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Pierfranco Pellizzetti Kiril • 4 ore fa
Con amicizia, Kiril: Internet non è lo sviluppo di Arpanet, creata per ragioni strategico militari con fondi pubblici (in America e poi con decisivi contributi del Cern di Ginevra)?
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camillobenso
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Re: articolo 18

Messaggio da camillobenso »

Repubblica 19.9.14
Se l’Unione europea allontana persone e diritti
di Stefano Rodotà

NEL Preambolo alla Carta dei diritti fondamentali si afferma che l’Unione europea «pone la persona al centro della sua azione». Parlando di “persona”, non si è evocata una astrazione. Al contrario. Con quella parola ci si voleva allontanare proprio dalle astrazioni, consegnate a termini come soggetto o individuo, e si intendeva dare rilievo alla vita materiale, alle condizioni concrete dell’esistere, ad un “costituzionalismo dei bisogni” fondato sull’inviolabile dignità di tutti e ciascuno.
Ma nel Mediterraneo ormai quasi ogni giorno muoiono centinaia di persone che all’Europa guardano con speranza, fuggendo dalla guerra, dalle persecuzioni, dalla miseria. I numeri impressionano, ma non sollecitano l’adempimento della promessa scritta nel Preambolo della Carta dei diritti, della quale Juncker ha parlato come di un riferimento obbligato per l’attività dell’Unione europea. Questa disattenzione fa sì che l’Unione stia diventando complice di un “omicidio di massa”, come giustamente l’Onu ha definito questa terribile e infinita vicenda. Siamo di fronte ad uno degli effetti, niente affatto “collaterali”, della riduzione della politica a calcolo economico e finanziario, alimentando gli egoismi nazionali e spegnendo ogni spirito di solidarietà. Le parole contano, dovrebbero risuonare con forza, per dare senso ad una Europa che si sta spegnendo proprio perché rinnega se stessa, il suo essere storicamente terra di diritti. Dalla Presidenza italiana dell’Unione europea, anche per la responsabilità assunta in politica estera all’interno della Commissione (sia pure non ancora formalizzata), dovremmo allora attenderci parole forti, liberate da ogni convenienza, pronunciate dallo stesso presidente Renzi che oggi può e deve parlare a nome dell’Europa. Non è tempo di attese, e anche le mosse simboliche contano, soprattutto se poi riescono ad essere accompagnate da proposte concrete. Ve ne sono già molte, e la politica ufficiale dovrebbe prenderle in considerazione, riflettendo sui visti umanitari, sullo status di rifugiato comunitario, facendo un “investimento di cittadinanza”, ricorrendo a “bond” europei per la cittadinanza (ne ha parlato Mauro Magatti).
L’Europa non impallidisce soltanto in questa dimensione che ha davvero assunto il carattere della tragedia. Vi sono le infinite tragedie della vita quotidiana, moltiplicate in questi anni di crisi e che sono espresse da parole divenute terribilmente familiari: disoccupazione, perdita dei diritti sociali, diseguaglianza. Di nuovo l’Unione europea allontana da sé la persona con i suoi diritti, contraddice le parole che aprono la Carta — «la dignità umana è inviolabile » — perché si nega quel diritto a «un’esistenza dignitosa » di cui parla l’articolo 34 della stessa Carta. A quell’abbozzo di costituzione europea affidato al Trattato di Lisbona e alla Carta dei diritti fondamentali è stata in questi anni contrapposta una sorta di “controcostituzione”, che ha il suo cuore nel “fiscal compact” e che ha portato ad una indebita amputazione dell’ordine giuridico europeo proprio attraverso la sostanziale cancellazione della Carta dei diritti, che pure ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Nel momento in cui giustamente si contesta la pericolosa riduzione dell’Unione ad una pura logica contabile, proprio la rivendicazione dell’importanza dei diritti è essenziale per muoversi in un orizzonte più largo. Cominciamo a sfruttare i segnali che vengono dalla stessa Unione, dalla sua Corte di giustizia, ad esempio, che con una sentenza del 13 maggio ha affermato che i diritti fondamentali, in via di principio, prevalgono sul mero interesse economico.
La ricostruzione di una cultura europea di nuovo sensibile ai diritti permetterebbe di uscire dalla spersonalizzazione e dalla assuefazione indotte dalle cifre. Registriamo le centinaia di morti in mare, e le spostiamo nelle pagine interne dei giornali o le facciamo scendere nell’ordine delle notizie televisive. Registriamo i dati statistici sulla disoccupazione crescente, sulla povertà assoluta e relativa, come se fossero l’effetto di uno tsunami al quale non ci si può opporre. Una attenzione vera per i diritti ci obbligherebbe ad arrivare alle persone che stanno dietro quei numeri, a svegliarci da un inquietante e ormai protratto sonno della ragione. Ipnotizzati dalle cifre, corriamo il maggiore dei pericoli: il ritorno all’astrazione dalle concrete condizioni del vivere, che ci spinge verso la progressiva riduzione delle persone ad oggetti del caluna colo economico, dunque “non persone”. E come si può parlare di democrazia quando l’azione politica si separa dalle persone e dai loro diritti?
Acuta in Europa, la questione si fa acutissima in Italia. Ancora ieri il rapporto Bertelsmann ha impietosamente confermato il nostro continuo precipitare nell’ingiustizia sociale, con processi di esclusione che mettono concretamente a rischio la coesione sociale. Si può davvero ritenere che una ulteriore riduzione dei diritti sociali, che troppi insistentemente continuano ad invocare, sia la via d’uscita dalle difficoltà che stiamo vivendo? O dobbiamo prendere le mosse proprio dal riferimento alla Repubblica «fondata sul lavoro», e da ciò che questo significa oggi in termini di diritti?
Bisogna aggiungere che, da decenni ormai, l’intera cultura dei diritti ha conosciuto in Italia inquietante eclisse. Nella deprecata e presunta inefficiente prima Repubblica, gli anni Settanta furono una straordinaria stagione dei diritti, che mutarono nel profondo la società italiana e l’organizzazione istituzionale. Divorzio e aborto, statuto dei lavoratori e riforma del diritto di famiglia, processo del lavoro e riforma carceraria, attuazione delle regioni a statuto ordinario e introduzione del referendum, nuove norme sulla carcerazione preventiva e abolizione dei manicomi sono lì a testimoniare che una politica dei diritti è possibile nella linea segnata dalla Costituzione. Questa non è una rievocazione nostalgica, ma un invito a riflettere su quali siano state le spinte propulsive che resero possibile tutto questo. Sicuramente il riferimento ai principi e ai diritti costituzionali. Sicuramente la capacità delle forze politiche di guardare alle dinamiche sociali senza pretese di subordinarle a convenienze e strumentalizzazioni (divorzio e aborto furono approvati in anni di forte potere della Dc). Sicuramente l’esistenza di canali di comunicazione tra cultura e politica, che si alimentarono reciprocamente, produssero innovazione non di facciata, ma veri strumenti istituzionali di cambiamento.
Negli ultimi decenni chiusure ideologiche e regressione culturale hanno determinato un divorzio tra politica e società proprio sul terreno dei diritti. Ne vediamo i segni ancora in questi giorni. Dopo che le regioni avevano concordato alcune linee guida sulla fecondazione eterologa, coerentemente con quanto stabilito dalla Corte costituzionale cancellando un altro pezzo illegittimo della straideologica legge in materia, ecco la Regione Lombardia legare l’accesso a questa tecnica di fecondazione a costi che negano l’eguaglianza tra le persone, richiamata proprio dalla Corte costituzionale. Riprenderà il “turismo procreativo”, questa volta da regione a regione?
Questo caso ci ricorda come in questi anni difficili, e di silenzio della politica, i giudici siano stati i veri “custodi dei diritti”, non assumendo un ruolo di supplenza, ma di attuazione della legalità costituzionale, com’è loro dovere, tenendoci anche al riparo da prevaricazioni politiche (pochi giorni fa il Consiglio di Stato ha definitivamente accertato l’illegittimità dell’intervento ministeriale che tentò di impedire il trasferimento in una clinica di Eluana Englaro).
Oggi sarebbe il tempo del ritorno della buona politica, che guardi alla società senza filtri ideologici e convenienze di maggioranza, e così dia segnali chiari contro l’omofobia; riconosca senza alcun pregiudizio le unioni tra le persone dello stesso sesso, che i comuni stanno affrontando con la trascrizione dei matrimoni contratti all’estero; riconosca il diritto di decidere sul morire. Sono questi i modi in cui la società interroga la politica e, poiché troppe volte sentiamo dire “ce lo chiede l’Europa”, proprio dall’Europa e dal mondo ci vengono segnali sempre più univoci che, in materia di diritti, dovremmo cominciare a seguire, riconoscendo in essi anche quello che, con lungimiranza, aveva già indicato la Costituzione.
camillobenso
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Re: articolo 18

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La Stampa 19.9.14
Articolo 18, nel Pd la rivolta di un mondo: “Buttiamo via i nostri valori”
Cofferati: “In cambio di che?”. Lo scontro tra premier e vecchi
La sfida sull’identità del partito

di Federico Geremicca


ROMA
Non è una guerra senza quartiere perchè il quartiere c’è, ed è il Pd. E non è nemmeno di quelle che scoppiano così, quasi per caso, perchè ci si preparava da tempo, e la posta in palio è tanto chiara che di più non si può: innovazione contro tradizione.


E’ una sorta di guerra civile, quella che squassa il Pd, quasi uno scontro di religioni, e non è un caso che la miccia siano - a dirla in sintesi - il lavoro e il destino dell’articolo 18. Qualcuno dovrà vincere e qualcun altro perdere, di qui non si scappa: e chi prevarrà potrà ridisegnare oppure restaurare profilo, valori e identità del sempre inquieto Pd.

Vincesse Renzi, quella sorta di mutazione genetica avviata con il suo avvento alla segreteria e poi al governo (41% tre mesi dopo) produrrebbe una nuova e forse decisiva trasformazione del partito: visto che la questione mette in discussione la sua stessa ragione sociale.

Vincessero gli altri - la “vecchia guardia”, se vogliamo dir così - gli esiti potrebbero essere imprevedibili: e nemmeno il precipitare verso elezioni in primavera, sarebbe più da escludere.


La “vecchia guardia”, dicevamo. In certi casi vecchissima e ancora amatissima tra i soggetti - i lavoratori dipendenti, per semplificare - in nome dei quali divampa la guerra civile. Sergio Cofferati, animatore di manifestazioni oceaniche in difesa dell’articolo 18, quasi non ci crede: «Si punta alla cancellazione di diritti elementari che la sinistra, prima, e il Pd, poi, hanno sempre difeso. Buttiamo via i nostri valori in cambio di che?».

In cambio dell’ennesima legittimazione a governare, si risponde da solo: e sempre più spesso il destino di chi governa si decide in Europa. «Se il Pd si spacca, se la tensione cresce, se i sindacati proclamano uno sciopero - annota Cofferati - Renzi pensa di poter poi andare in Europa e dire: “Avete visto che casino? Eppure la riforma io l’ho fatta”... Desolante. La sensazione è sempre più quella di una caduta verticale di professionalità, di capacità di governare».

Molte cose sono già andate di traverso alla “vecchia guardia” (a “quelli di prima”, per dirla con Renzi): il patto con Berlusconi, una legge elettorale contestata, una riforma del Senato imposta a colpi di diktat e metodi di direzione (del partito e del governo) mai davvero digeriti.

Il Pd trasformato in un qualunque “partito del leader”. Passo dopo passo, verrebbe da dire, la mutazione continua: ma il passo che il governo intende fare sul lavoro, stavolta, è di quelli capaci di richiamare alle armi anche chi - contro il proprio stesso temperamento - s’era messo mestamente d’un canto.

“Se Renzi va avanti, troverà dei giapponesi pronti a combattere - annuncia Rosy Bindi -. Si comporta come se stesse in un altro partito: non ha mica vinto le primarie promettendo la cancellazione dell’articolo 18! Comunque, se il presidente del Consiglio è tranquillo perchè è certo di avere i voti di Berlusconi, bene: vuol dire che saranno sostitutivi di alcuni dei nostri. Io ho partecipato e sostenuto le manifestazioni di Cofferati - conclude - e pensavo di aver fondato, col Pd, un partito di sinistra: se lo si vuol trasformare in qualche altra cosa, ci sarà tanta gente pronta ad opporsi».

Un partito di sinistra, o di sinistra-centro: che non deve cambiare né collocazione né ragione sociale. «Se gli innovatori sono la destra, che pensa di uscire dalla crisi riducendo i diritti e la dignità di chi lavora - conferma Gianni Cuperlo - io penso per noi sia giusto stare dall’altra parte». Un partito di sinistra, o di sinistra-centro, che non può trasformare la sua segreteria «in un completamento dello staff di Renzi» (Fassina).

Un partito di sinistra, o di sinistra-centro - però - che prima perdeva e adesso vince: allargando, appunto, i propri consensi non solo al centro ma, talvolta, perfino a destra. E questo è un fatto - frutto della mutazione - con cui si dovrà pur fare i conti.

Dice Pier Luigi Bersani - ultimo segretario “tradizionale” del Partito democratico - che quel che pare voglia proporre il governo gli sembra “surreale”. E rincara: «Si descrive l’Italia come vista da Marte». Vien da chiedersi come descriverebbe il Pd qualcuno che lo osservasse da Marte. Un partito in trasformazione? In disfacimento? Un partito moderno, tanto moderno da sembrare americano? Difficile dirlo.

Visto dalla terra, invece, comincia a ricordare - dopo qualche mese di calma piatta - certi attualissimi e terribili scenari medio-orientali: califfi, ribelli, annunci di vendette e guerre sante di cui pochissimi avvertivano la mancanza.

Non potrà durare a lungo, così. «E infatti Renzi è lì che osserva e decide il da fare - conclude Rosy Bindi -. Con la pistola delle elezioni sempre lì, sul tavolo, pronta a sparare...».
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