La televisione
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
La televisione
La Tv stà morendo?
27 SET 2014 19:12
1. CON IL TONFO DI SANTORO, IL TALK SHOW È DEFINITIVAMENTE MORTO. MA NON SEPOLTO, VISTO CHE COSTA TALMENTE POCO CHE LE RETI CONTINUERANNO A PROPORLI SENZA SOSTA -
2. CAIRO DA RIDERE: “NON SONO SCONTENTO DEI DATI, SI TRATTA DI VEDERE CHI VINCE I DUELLI. FLORIS? CI VUOLE TEMPO PERCHÉ DIVENTI UN VOLTO DELLA RETE. INTANTO È CRESCIUTO” -
3. FRECCERO: “SANTORO NON FA PIÙ EVENTO. ORMAI LA VITA SOCIALE NON CONTA PIÙ, CONTA MOLTO PIÙ QUELLA PRIVATA. L’UNICO TALK CHE VINCE SARÀ QUELLO DI MARIA DE FILIPPI” -
4. GRASSO: “SIAMO AL “COPIONE UNICO DELLE COSCIENZE”: UN PO’ DI SCAMPIA, I SOLDI CHE MANCANO, UNA BORDATA ALLA CASTA, LA NON RIPRESA ECONOMICA, MORALISMO E RETORICA, DRAMMA DELL’IMMIGRAZIONE, RAGAZZI ABBANDONATI DA SCUOLA-FAMIGLIA-SOCIETÀ, UNA SPRUZZATINA DI TRATTATO STATOMAFIA, MOLTO DISAGIO SOCIALE. SU TUTTO, LA NOIA” -
1. TALK , CROLLA ANCHE SANTORO - ASCOLTI DIMEZZATI, PERSO OLTRE UN MILIONE DI SPETTATORI. I CASI FLORIS, GIANNINI, PORRO
Renato Franco per il “Corriere della Sera”
La crisi di inizio stagione dei talk show è nei numeri e la caduta del maestro del genere, l’ultimo ad apparire in video, non fa che aggiungere la firma sul quadro. L’altra sera Michele Santoro con il suo 5,7% di share (1.203.000 spettatori) ha ottenuto un risultato che forse gli potrebbe far pensare che sarebbe stata questa la stagione giusta per dire basta al suo Servizio Pubblico e non la prossima come ha annunciato l’altro giorno.
Il dato è basso non solo rispetto all’esordio (dimezzato) della stagione scorsa (11,4% con 2.462.000 spettatori), ma in assoluto è il suo secondo peggior risultato Auditel di sempre (l’ultima puntata della scorso anno si fermò al 5,6% di share).
I marchi forti faticano. Dopo la buona partenza (11,8% alla prima puntata), dopata anche dalla presenza di Benigni, il nuovo Ballarò firmato da Giannini ha avuto un tracollo nella seconda, scendendo al 6,5%. La striscia giornaliera di Floris per ora è sospesa, ma galleggiava nelle paludi del 2%, il suo diMartedì ora è salito al 4,2%.
floris conduce tutto l aria che tira
Chi è in controtendenza è Luca Telese, che fa meglio dell’anno scorso: «Non penso a una crisi del talk — spiega il conduttore di Matrix —, ma alla crisi del modello bipolare che automaticamente veniva applicata al talk. Il vecchio format destra/sinistra più il fatto del giorno è ormai obsoleto, il trombone autorevole che parla con il voltaggio da vecchio circolo di partito ora fulminerebbe qualunque lampadina.
Però il talk è uno spazio metafisico immortale, la strada è quella di trovare una nuova polarità che sia in grado di animarlo. Io credo nella tv che racconta il meglio e il peggio di quello che ci circonda: la fotografia di quello che succede. La scontro tra berlusconismo e antiberlusconismo non c’è più, bisogna cercare una nuova formula che colga lo spirito del tempo».
Urbano Cairo, editore di La7, ha puntato tutto sul genere costruendo un palinsesto di prima serata dedicato all’approfondimento: «Avere un genere che totalizza il 10/11% di share non è affatto da buttar via». Il risultato — analizza — è la somma di Giannini e Floris, di Porro e Santoro.
«Non sono scontento dei dati, si tratta di vedere chi vince i duelli: Santoro l’anno scorso non aveva competitor, mentre ora ha Porro; Formigli sfida Del Debbio; Paragone se la deve vedere con le inchieste di Iacona. Quanto a Floris ci vuole tempo perché diventi un volto della rete. Intanto nella seconda puntata diMartedì è cresciuto del 30% rispetto alla prima, mentre Ballarò ha perso il 40%: i numeri dei due programmi ora sono vicini e io comunque ho raddoppiato lo share del martedì rispetto a un anno fa. Concordo con quello che ha detto Giuliano Ferrara: la parola non va mai in crisi, la parola è il sale della comunicazione».
Carlo Freccero, osservatore acuto e mai banale della tv di oggi, spiega così il calo di Santoro: «Non fa più evento. Lui è sempre stato in qualche modo visione, partito mediatico. In Rai il suo era l’unico programma di opposizione, era differenza e rottura. Ora si è omologato alla rete in cui si trova e il contesto determina anche il testo». Ragiona per immagini: «Il talk è un game travestito: o bianco o nero. Ma se manca il duello, non c’è gioco e il pubblico si astiene, come alle elezioni politiche. L’astensionismo dà la misura della crisi del talk. E poi la vita sociale non conta più, conta molto di più la vita privata: l’unico talk che vince sarà quello di Maria De Filippi».
2. VA IN ONDA IL COPIONE UNICO DELLE COSCIENZE
Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”
Il destino delle parole è che invecchiano e si usurano con gli uomini che le usano. Il talk show è in crisi: meno pubblico, temi ripetitivi, compagnia di giro che scorrazza da un salotto all’altro, clima da «patto del Nazareno» che ammoscia gli animi. Ma i motivi principali del peggioramento sono tre.
L’usura. L’altra sera, Santoro sembrava uno studente fuori corso: incazzato, demotivato, spaesato. Sarà anche stato il primo a introdurre certi temi, ma ormai ha perso smalto e voglia. Gli altri conduttori, pedagoghi indignati, sono quasi tutti sue imitazioni: già logorati dalla fatica di essere personaggi. Per durare nel tempo ci vuole involontaria lucidità.
La saturazione. Dal mattino alla sera ci sono talk: costano poco e possono contare sul narcisismo degli invitati. Una Moretti, un Gasparri li trovi sempre, a qualunque ora. Quest’anno, poi, si porta la tristezza, querula e gemebonda. E forse La7 ha fatto un errore a ingaggiare Floris: ha rotto gli equilibri della rete, non ha portato nulla di nuovo, si è dimostrato poco incisivo.
L’omologazione. Dal momento in cui è sparito l’uomo nero (Berlusconi), manca la rissa. Al Conduttore Unico delle Coscienze si è sostituito il Copione Unico delle Coscienze: un po’ di Scampia, i soldi che mancano per arrivare a fine mese, una bordata alla Casta, la non ripresa economica, moralismo e retorica, dramma dell’immigrazione, ragazzi abbandonati da scuola-famiglia-società, una spruzzatina di trattato statomafia, molto disagio sociale.
Il CUC2 crea spettatori della propria impotenza. Alla fine, resta solo un insieme di parole con su impresso il sigillo arcano della noia.
27 SET 2014 19:12
1. CON IL TONFO DI SANTORO, IL TALK SHOW È DEFINITIVAMENTE MORTO. MA NON SEPOLTO, VISTO CHE COSTA TALMENTE POCO CHE LE RETI CONTINUERANNO A PROPORLI SENZA SOSTA -
2. CAIRO DA RIDERE: “NON SONO SCONTENTO DEI DATI, SI TRATTA DI VEDERE CHI VINCE I DUELLI. FLORIS? CI VUOLE TEMPO PERCHÉ DIVENTI UN VOLTO DELLA RETE. INTANTO È CRESCIUTO” -
3. FRECCERO: “SANTORO NON FA PIÙ EVENTO. ORMAI LA VITA SOCIALE NON CONTA PIÙ, CONTA MOLTO PIÙ QUELLA PRIVATA. L’UNICO TALK CHE VINCE SARÀ QUELLO DI MARIA DE FILIPPI” -
4. GRASSO: “SIAMO AL “COPIONE UNICO DELLE COSCIENZE”: UN PO’ DI SCAMPIA, I SOLDI CHE MANCANO, UNA BORDATA ALLA CASTA, LA NON RIPRESA ECONOMICA, MORALISMO E RETORICA, DRAMMA DELL’IMMIGRAZIONE, RAGAZZI ABBANDONATI DA SCUOLA-FAMIGLIA-SOCIETÀ, UNA SPRUZZATINA DI TRATTATO STATOMAFIA, MOLTO DISAGIO SOCIALE. SU TUTTO, LA NOIA” -
1. TALK , CROLLA ANCHE SANTORO - ASCOLTI DIMEZZATI, PERSO OLTRE UN MILIONE DI SPETTATORI. I CASI FLORIS, GIANNINI, PORRO
Renato Franco per il “Corriere della Sera”
La crisi di inizio stagione dei talk show è nei numeri e la caduta del maestro del genere, l’ultimo ad apparire in video, non fa che aggiungere la firma sul quadro. L’altra sera Michele Santoro con il suo 5,7% di share (1.203.000 spettatori) ha ottenuto un risultato che forse gli potrebbe far pensare che sarebbe stata questa la stagione giusta per dire basta al suo Servizio Pubblico e non la prossima come ha annunciato l’altro giorno.
Il dato è basso non solo rispetto all’esordio (dimezzato) della stagione scorsa (11,4% con 2.462.000 spettatori), ma in assoluto è il suo secondo peggior risultato Auditel di sempre (l’ultima puntata della scorso anno si fermò al 5,6% di share).
I marchi forti faticano. Dopo la buona partenza (11,8% alla prima puntata), dopata anche dalla presenza di Benigni, il nuovo Ballarò firmato da Giannini ha avuto un tracollo nella seconda, scendendo al 6,5%. La striscia giornaliera di Floris per ora è sospesa, ma galleggiava nelle paludi del 2%, il suo diMartedì ora è salito al 4,2%.
floris conduce tutto l aria che tira
Chi è in controtendenza è Luca Telese, che fa meglio dell’anno scorso: «Non penso a una crisi del talk — spiega il conduttore di Matrix —, ma alla crisi del modello bipolare che automaticamente veniva applicata al talk. Il vecchio format destra/sinistra più il fatto del giorno è ormai obsoleto, il trombone autorevole che parla con il voltaggio da vecchio circolo di partito ora fulminerebbe qualunque lampadina.
Però il talk è uno spazio metafisico immortale, la strada è quella di trovare una nuova polarità che sia in grado di animarlo. Io credo nella tv che racconta il meglio e il peggio di quello che ci circonda: la fotografia di quello che succede. La scontro tra berlusconismo e antiberlusconismo non c’è più, bisogna cercare una nuova formula che colga lo spirito del tempo».
Urbano Cairo, editore di La7, ha puntato tutto sul genere costruendo un palinsesto di prima serata dedicato all’approfondimento: «Avere un genere che totalizza il 10/11% di share non è affatto da buttar via». Il risultato — analizza — è la somma di Giannini e Floris, di Porro e Santoro.
«Non sono scontento dei dati, si tratta di vedere chi vince i duelli: Santoro l’anno scorso non aveva competitor, mentre ora ha Porro; Formigli sfida Del Debbio; Paragone se la deve vedere con le inchieste di Iacona. Quanto a Floris ci vuole tempo perché diventi un volto della rete. Intanto nella seconda puntata diMartedì è cresciuto del 30% rispetto alla prima, mentre Ballarò ha perso il 40%: i numeri dei due programmi ora sono vicini e io comunque ho raddoppiato lo share del martedì rispetto a un anno fa. Concordo con quello che ha detto Giuliano Ferrara: la parola non va mai in crisi, la parola è il sale della comunicazione».
Carlo Freccero, osservatore acuto e mai banale della tv di oggi, spiega così il calo di Santoro: «Non fa più evento. Lui è sempre stato in qualche modo visione, partito mediatico. In Rai il suo era l’unico programma di opposizione, era differenza e rottura. Ora si è omologato alla rete in cui si trova e il contesto determina anche il testo». Ragiona per immagini: «Il talk è un game travestito: o bianco o nero. Ma se manca il duello, non c’è gioco e il pubblico si astiene, come alle elezioni politiche. L’astensionismo dà la misura della crisi del talk. E poi la vita sociale non conta più, conta molto di più la vita privata: l’unico talk che vince sarà quello di Maria De Filippi».
2. VA IN ONDA IL COPIONE UNICO DELLE COSCIENZE
Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”
Il destino delle parole è che invecchiano e si usurano con gli uomini che le usano. Il talk show è in crisi: meno pubblico, temi ripetitivi, compagnia di giro che scorrazza da un salotto all’altro, clima da «patto del Nazareno» che ammoscia gli animi. Ma i motivi principali del peggioramento sono tre.
L’usura. L’altra sera, Santoro sembrava uno studente fuori corso: incazzato, demotivato, spaesato. Sarà anche stato il primo a introdurre certi temi, ma ormai ha perso smalto e voglia. Gli altri conduttori, pedagoghi indignati, sono quasi tutti sue imitazioni: già logorati dalla fatica di essere personaggi. Per durare nel tempo ci vuole involontaria lucidità.
La saturazione. Dal mattino alla sera ci sono talk: costano poco e possono contare sul narcisismo degli invitati. Una Moretti, un Gasparri li trovi sempre, a qualunque ora. Quest’anno, poi, si porta la tristezza, querula e gemebonda. E forse La7 ha fatto un errore a ingaggiare Floris: ha rotto gli equilibri della rete, non ha portato nulla di nuovo, si è dimostrato poco incisivo.
L’omologazione. Dal momento in cui è sparito l’uomo nero (Berlusconi), manca la rissa. Al Conduttore Unico delle Coscienze si è sostituito il Copione Unico delle Coscienze: un po’ di Scampia, i soldi che mancano per arrivare a fine mese, una bordata alla Casta, la non ripresa economica, moralismo e retorica, dramma dell’immigrazione, ragazzi abbandonati da scuola-famiglia-società, una spruzzatina di trattato statomafia, molto disagio sociale.
Il CUC2 crea spettatori della propria impotenza. Alla fine, resta solo un insieme di parole con su impresso il sigillo arcano della noia.
-
- Messaggi: 1007
- Iscritto il: 21/02/2012, 22:08
Re: La televisione
Secondo me la TV è il più potente mezzo per la propoganda che parte dalle casalinghe fino ai ceti + alti che poi questi ultimi si stufano di menzonge ed attivano strumenti di conoscenza alternativi quali i social, i forum, ed internet in generale!!!
La stampa italiana non è libera ed è asservita al più potente che ti paga lo stipendio. Giornalisti servi e pronti a mentire sapendo di mentire perchè devono rappresentare una parte che necessariamente deve vedere distorta la realtà. Una realtà che, con la finzione filmica ora digitale, non ha niente a che fare con gli eventi mediatici mostrati ora tutti finti compresi i tagliatori di gola dell'ISIS.... ma a chi la danno a bere? Dopo il finto Osama il finto Mass Distruption Wepons di Saddam e tutte el altre minchiate ordine dagli anglo-americani continuiamo a credergli?
Cari amici apriamo gli occhi tutti e riprendiamoci il potere democratico ... dal basso senza falsi profeti messi li da potenti gruppi massonici internazionali ...
Buona notte!
La stampa italiana non è libera ed è asservita al più potente che ti paga lo stipendio. Giornalisti servi e pronti a mentire sapendo di mentire perchè devono rappresentare una parte che necessariamente deve vedere distorta la realtà. Una realtà che, con la finzione filmica ora digitale, non ha niente a che fare con gli eventi mediatici mostrati ora tutti finti compresi i tagliatori di gola dell'ISIS.... ma a chi la danno a bere? Dopo il finto Osama il finto Mass Distruption Wepons di Saddam e tutte el altre minchiate ordine dagli anglo-americani continuiamo a credergli?
Cari amici apriamo gli occhi tutti e riprendiamoci il potere democratico ... dal basso senza falsi profeti messi li da potenti gruppi massonici internazionali ...
Buona notte!
Toro Seduto (Ta-Tanka I-Yo-Tanka)
‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’. C.L. Montesquieu
‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’. C.L. Montesquieu
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: La televisione
29 SET 2014 17:38
SENZA IL “NEMICO” BERLUSCONI LA TV E’ LA FABBRICA DELLO SBADIGLIO - E I TALK, DEFUNTI DA UN PEZZO, SI APPOGGIANO ALLA “STAMPELLA COMICA” DEI CROZZA DI TURNO, CHE NON FANNO PIÙ RIDERE - DUE ORE DI CHIACCHIERE SI DIGERISCONO SE C’E’ IL BANANA O RENZI
Buttafuoco: “La stagione televisiva, ammorbata dall’apnea renziana, non ha saputo offrire brividi al pubblico di telespettatori. Maria Elena Boschi non ha l’appeal di Mara Carfagna. Ancora non c’è nessuno che possa reggere il confronto con Daniela Santanchè e già Laura Ravetto ha molte più carte di una qualunque Federica Mogherini”…
Pietrangelo Buttafuoco per “Il Foglio”
Avreste mai immaginato un giorno – voi tutti, politici, giornalisti e signora opinione pubblica – di farvi dettare l’agenda politica da Alighiero Noschese, da Loretta Goggi o da Oreste Lionello, dalla ribalta dunque de “Il Bagaglino”, con le orecchie posticce e la gobba di spugna di un Giulio Andreotti lanciato al culmine di un numero di avanspettacolo?
Eppure è così, questo è il fatto, Lucia Annunziata è riuscita a bruciare Michele Santoro portandosi in scena, ops, in puntata, Sabina Guzzanti. In “Mezz’ora” ha fatto meglio di “Servizio pubblico” e siccome il varietà è morto – deceduto nei teatri, a maggior ragione nella versione televisiva – non se la passa tanto bene il talk perché, alla fine, il cortocircuito tra parola e intrattenimento è arrivato al testacoda.
“Crozza”, dice Carlo Freccero, che di televisione se ne intende, “è solo la Littizzetto di Floris. Ha il compito di portare il brivido nella liturgia del politicamente corretto ma la tivù nulla può quando c’è già il net a fare i baffi alla Gioconda. Neppure Daniele Luttazzi potrebbe essere una novità in un talk di prima serata visto che le battute più esplosive sono belle che pronte in rete e nessuno più, avendo a disposizione il clic, aspetta di farsele raccontare dal comico.
La televisione non è più il luogo del torneo. Con questi talk, perfino con Michele Santoro, ormai uniformato, senza più un antagonista, senza più quel Berlusconi, la tivù è diventata il luogo dello sbadiglio”.
Senza più antagonisti, la tivù è ancora un agone. I cento minuti di pura parola li reggono solo due ospiti, Berlusconi naturalmente e Matteo Renzi. La trasmissioni, quando non sono cornici, devono sforzarsi nella frammentazione. “Matrix”, su Canale 5, si difende. Giovedì sera Telese (e senza avere Sabina Guzzanti ospite!, piuttosto con le incursioni di Giovanni Marinetti tra i Cinque stelle, la ruspante Taverna e il bad-boy Di Battista), ha superato la prova Santoro, lo ha doppiato in seconda serata. Ma la parte del leone, generalmente, la fa Bruno Vespa.
“Porta a porta”, ormai trasformato in una macchina di mobilitazione più ottomana che prussiana, non conosce tregua. In un solo pomeriggio, mercoledì di questa settimana, a partire dalle tre del pomeriggio Vespa ha macinato la puntata sui preti pedofili, quindi quella sui sindacati con la Camusso, poi quella con le gemelle Kessler, un’altra con Carlo Conti e la sera, poi, dopo essere andato a cena al ristorante La Pergola dell’Hilton (dove, sempre per lavoro, si fa per dire, ha dovuto assaggiare ben quattordici vini) è ritornato infine in Rai per la diretta delle 23 con le decapitazioni e Angelino Alfano ospite.
“Tutta flessibilità e tutto un lavoro di squadra”, così si legge nella lettera di ringraziamento allo staff vespiano. E si capisce che non c’è gara. Il povero Giovanni Floris che, da “Otto e mezzo”, chiude puntuale per non sforare se stesso, al confronto, sembra proprio un dilettante.
Il cimitero del varietà, dunque, e il camposanto della politica. Questo il tema, questa la situazione. Il microfono dei conduttori è, ormai, un idrante sfollagente. Il pubblico scappa e tutto quell’affanno a farsi contemporanei – lo spazio web, i social, la diretta nel bel mezzo del flusso – ripete nella metodologia ciò che la tivù ha da sempre fatto.
Sarà anche vero che nel frattempo la rete è diventata la fonte primaria dell’informazione ma l’Italia è un posto pieno di vecchi dove tutti guardano la tivù. Già le signorine che smistavano le telefonate sotto la guida sapiente di Renée Longarini, nel “Portobello” di Enzo Tortora (tra loro c’era Paola Ferrari), facevano la multimedialità in tempo reale e la televisione di oggi soccombe nel circoscritto ambito dei talk per mancanza di ciccia narrativa.
“E’ uno spettacolo di teatro tra attori consanguinei” per dirla con il massmediologo Nuccio Bovalino, un rimestare nel flusso interscambiabile tra rete e rete, tanto non si distinguono argomenti, ospiti, servizi e scalette. Con quelle facce da agenti immobiliari, poi, pure i conduttori si assomigliano. Tutto è sovrapponibile e non può più darsi tivù del talk senza quella che Fulvio Abbate chiama “la stampella comica” .
Si prescinde dal giornalismo, va da sé, più che a un capo redattore ci si rivolge a un impresario, tanto sono fondamentali i comici. Valga, su tutto, l’apparizione mesta di Roberto Benigni.
Fu l’asso tratto dalla manica di Massimo Giannini nella prima puntata di “Ballarò”. A proposito di “Portobello” è degna di nota la proposta di Fulvio Abbate: “A riprova dell’assoluta utilità” dice il marchese, “per sciogliere i nodi dialettici del dibattito mi propongo nel ruolo di Pappagallo e ripetere così, sollecitato dagli ospiti, le parole-chiave e verificare l’esatta comprensione delle stesse.
E dunque ecco che durante i titoli di coda di ‘Agorà’, Maria Elena Boschi mi fa ripetere la parola ‘riforma’, nel finale de ‘L’Aria che tira’ c’è Massimo Cacciari che mi scandisce nell’orecchio ‘ZeitGeist’, quindi Stefania Giannini, a ‘Omnibus’ mi aiuta a pronunciare distintamente ‘Review’ e ‘Spending’. Ebbene sì, voglio fare il succedaneo del pappagallo di ‘Portobello’”.
Il giornalismo ha trovato dunque un succedaneo, nella comicità laddove la comicità, quando non fa piangere, fa dormire. Per amor di patria qui si tace della penosa esibizione, sempre a “Ballarò”, di Paolo Rossi il cui effetto sfollagente ha sfregiato i dati d’ascolto, numeri delicatissimi specialmente adesso che Rai3, a differenza della scorsa stagione, quando c’era Floris al timone, non beneficia più di una programmazione più debole delle altri reti di Viale Mazzini. Anzi. La fiction infuria e l’ascolto manca.
Manca l’ascolto, latita il verbo. La distruzione del significato delle parole passa attraverso le forche caudine della qualità. E’ tutto un continuo ripetersi che costa poco. Su questo mantra Urbano Cairo ha preso la scoppola di questi giorni. Come il “Borghese gentiluomo” di Molière che presto impara a distinguere tra prosa e poesia, così Cairo, alla pagina dei conti a posto alterna i versi della sinistra a modino facendo viepiù de La7, più di quanto non lo fosse stata nel passato, la Cattedrale del politicamente corretto.
Tutto ciò per infestare di un unico monotono ronzio di talk politico il palinsesto per poi ricavare i resti di ciò che sfugge al microfono-sfollagente dei Floris, dannatamente costoso per di più, l’ex conduttore di “Ballarò” che riesce a essere di sollievo per il pubblico solo quando, dalla scrivania di “Otto e mezzo”, dice: “Adesso c’è il Punto di Paolo Pagliaro”. Si cambia registro ed è musica per le orecchie di chi non vede l’ora che torni Lilli Gruber.
Ciccia narrativa, allora. E qualità. Che manca. “Appunto”, dice Giovanni Minoli che con il “Faccia a faccia” ebbe a fabbricare il talk dei tempi d’oro, “tutto si risolve in una sorta di scambio tra chi porta la propria gratuità, l’ospite, e chi offre visibilità, e cioè la trasmissione.
Nel frattempo che gli altri generi – i games, le serie, la fiction – comunque funzionano, il talk langue. Se chi invita paga, chi è invitato, poi, una volta che è retribuito deve offrire una professionalità a garanzia di ascolti e qualità. Possono anche crearsi delle fasce sulla base dei risultati, com’è normale nelle regole del mercato e i politici, infine, potrebbero stornare il guadagno alle casse del partito. Sarebbe una cristallina e limpida forma di finanziamento della politica. Potrebbe essere un’idea, no?”.
Il talk è, effettivamente, il prodotto più economico. Con il microfono impugnato al modo di un lacrimogeno, tutta la spesa è risolta in quattro taxi per quattro cariatidi da portare in studio. Vista la qualità del dibattito – già l’idea di affrontare la discussione della minoranza Pd provoca narcolessia – e la malizia spilorcia di chi da padrone, o direttore di rete, costringe poi gli autori a dare fondo alla fantasia con il giornalismo del giorno dopo e le comparse reclutate nella stessa compagnia di giro, è fin troppo facile immaginarne gli esiti.
Ma è quel narrare che manca alla narrazione, insomma: l’agone del talk è il luogo dove più di ogni altro si sente l’assenza di Silvio Berlusconi nella scena politica e senza più l’antagonista, l’ospite che spolvera la sedia nell’apoteosi del teatro comico, nessuno riesce più a essere protagonista. Più che un all news, La7, diventata un all talk risulta all’ascolto come quelle radio su cui si sintonizzano perennemente i tassinari di Roma: come quelli ruminano perennemente Totti, Totti e Totti, così questa – su un piano nobile, per carità – mastica eternamente politica, politica e politica.
Se però i tassinari hanno Totti, agli spettatori – pur viziosi di parola – dal mattino alla sera, dal lunedì alla domenica, tocca di sorbirsi la Serracchiani. Tutto questo succede un po’ in tutte le trasmissioni di tutte le reti, generaliste e no, e una menzione la meritano i malcapitati ospiti del fine settimana radunati tra le tarde quindicine di tempi un dì gloriosi o tra le schiere di sconfortati semi-vip desiderosi d’ascensore sociale, quello – va da sé – della visibilità.
La stagione televisiva, totalmente ammorbata dall’apnea renziana, non ha saputo offrire brividi al pubblico di telespettatori. Maria Elena Boschi, suvvia, non ha l’appeal di Mara Carfagna. Ancora non c’è nessuno che possa reggere il confronto con Daniela Santanchè e già Laura Ravetto ha molte più carte di una qualunque Federica Mogherini, fosse pure in un dibattito tutto in lingua inglese.
L’ombra di nessun Cesare Previti si disegna alle spalle di Matteo Renzi, figurarsi quella di un Marcello Dell’Utri ed è così che, definitivamente privati di sangue e arena per come ci si ritrova nei palinsesti, sempre più a modino, l’unica vera notizia di “Servizio pubblico”, nella sua prima puntata, diventa un’assenza.
Tutto è in apnea e giusto nel giorno in cui Giorgio Napolitano veniva chiamato a testimoniare in merito alla “Trattativa”, giusto dunque nel momento più gustoso del canovaccio, a marcare visita da Santoro era giusto Luigi De Magistris. Il magistrato, sindaco di Napoli, campione ormai capovolto dell’altro cortocircuito, quello del giustizialismo che sopravvive solo per tramite di colpi mediatici, pur annunciato, non si presentava. E spegneva così il climax.
C’era però Sabina Guzzanti ed è stato allora che il comicismo politicista (e qui, giuro, non c’è giudizio politico, bensì di pura scienza teatrale), ha incontrato il requiem. Facendo altresì sfollare la gente già paga peraltro di dose umoristica avendo apprezzato – ed era da apprezzare assai – lo stesso Santoro impegnato, a inizio puntata, in un numero di parodia di Renzi alla prova della lingua inglese.
Uno sketch messo in scena con sapienza e maschera. Come mai la signora Guzzanti, pur “lavoratrice dello spettacolo”, avrebbe saputo fare. Fiasco dopo fiasco la signora – si sa – è ormai nel solco di Roberto Benigni. La schiera dei fiati s’affolla. Trombe e tromboni degenerano.
E il canone comico, immerso nella marmellata dell’ideologicamente corretto dove l’ammicco non produce il cacchino plautino (dove solo Ficarra & Picone fanno da cassazione), bensì lo sbadiglio del dibattese, il gramelot recitativo il cui apice guasto è una fissazione: il sospetto come anticamera della verità, nientemeno. In eterna replica. E con i telecomandi in fuga.
Bravo, bravissimo Santoro, nel momento in cui levano le tende quelli di #teatrovalleoccupato, proprio adesso che l’Opera di Roma va in pezzi, salta la stagione a Parma e non c’è più pace in tutta Italia per il Carro di Tespi, almeno lui – figlio della tradizione degli Scarpetta, dei De Filippo, Titina e Peppino a essere più precisi – sa far teatro. In un pezzo unico, quello del mr. Renzi alle prese con la lingua inglese, ha fatto crollare la scena per quanto ne ha chiamati di applausi.
Un gran bel pezzo dove però si pativa l’assenza della spalla. Non proprio Vauro ma ancora una volta quel Berlusconi che, con Santoro, seppe costruire una scena che già tra cinque anni, non di più, arriverà a rallegrare “Techetechetè”, la fortunatissima striscia di collage tivù in onda su Rai1 quando la stagione dei talk finisce e, finalmente, in estate, si vedono le cose belle. E importanti. Degne del varietà.
SENZA IL “NEMICO” BERLUSCONI LA TV E’ LA FABBRICA DELLO SBADIGLIO - E I TALK, DEFUNTI DA UN PEZZO, SI APPOGGIANO ALLA “STAMPELLA COMICA” DEI CROZZA DI TURNO, CHE NON FANNO PIÙ RIDERE - DUE ORE DI CHIACCHIERE SI DIGERISCONO SE C’E’ IL BANANA O RENZI
Buttafuoco: “La stagione televisiva, ammorbata dall’apnea renziana, non ha saputo offrire brividi al pubblico di telespettatori. Maria Elena Boschi non ha l’appeal di Mara Carfagna. Ancora non c’è nessuno che possa reggere il confronto con Daniela Santanchè e già Laura Ravetto ha molte più carte di una qualunque Federica Mogherini”…
Pietrangelo Buttafuoco per “Il Foglio”
Avreste mai immaginato un giorno – voi tutti, politici, giornalisti e signora opinione pubblica – di farvi dettare l’agenda politica da Alighiero Noschese, da Loretta Goggi o da Oreste Lionello, dalla ribalta dunque de “Il Bagaglino”, con le orecchie posticce e la gobba di spugna di un Giulio Andreotti lanciato al culmine di un numero di avanspettacolo?
Eppure è così, questo è il fatto, Lucia Annunziata è riuscita a bruciare Michele Santoro portandosi in scena, ops, in puntata, Sabina Guzzanti. In “Mezz’ora” ha fatto meglio di “Servizio pubblico” e siccome il varietà è morto – deceduto nei teatri, a maggior ragione nella versione televisiva – non se la passa tanto bene il talk perché, alla fine, il cortocircuito tra parola e intrattenimento è arrivato al testacoda.
“Crozza”, dice Carlo Freccero, che di televisione se ne intende, “è solo la Littizzetto di Floris. Ha il compito di portare il brivido nella liturgia del politicamente corretto ma la tivù nulla può quando c’è già il net a fare i baffi alla Gioconda. Neppure Daniele Luttazzi potrebbe essere una novità in un talk di prima serata visto che le battute più esplosive sono belle che pronte in rete e nessuno più, avendo a disposizione il clic, aspetta di farsele raccontare dal comico.
La televisione non è più il luogo del torneo. Con questi talk, perfino con Michele Santoro, ormai uniformato, senza più un antagonista, senza più quel Berlusconi, la tivù è diventata il luogo dello sbadiglio”.
Senza più antagonisti, la tivù è ancora un agone. I cento minuti di pura parola li reggono solo due ospiti, Berlusconi naturalmente e Matteo Renzi. La trasmissioni, quando non sono cornici, devono sforzarsi nella frammentazione. “Matrix”, su Canale 5, si difende. Giovedì sera Telese (e senza avere Sabina Guzzanti ospite!, piuttosto con le incursioni di Giovanni Marinetti tra i Cinque stelle, la ruspante Taverna e il bad-boy Di Battista), ha superato la prova Santoro, lo ha doppiato in seconda serata. Ma la parte del leone, generalmente, la fa Bruno Vespa.
“Porta a porta”, ormai trasformato in una macchina di mobilitazione più ottomana che prussiana, non conosce tregua. In un solo pomeriggio, mercoledì di questa settimana, a partire dalle tre del pomeriggio Vespa ha macinato la puntata sui preti pedofili, quindi quella sui sindacati con la Camusso, poi quella con le gemelle Kessler, un’altra con Carlo Conti e la sera, poi, dopo essere andato a cena al ristorante La Pergola dell’Hilton (dove, sempre per lavoro, si fa per dire, ha dovuto assaggiare ben quattordici vini) è ritornato infine in Rai per la diretta delle 23 con le decapitazioni e Angelino Alfano ospite.
“Tutta flessibilità e tutto un lavoro di squadra”, così si legge nella lettera di ringraziamento allo staff vespiano. E si capisce che non c’è gara. Il povero Giovanni Floris che, da “Otto e mezzo”, chiude puntuale per non sforare se stesso, al confronto, sembra proprio un dilettante.
Il cimitero del varietà, dunque, e il camposanto della politica. Questo il tema, questa la situazione. Il microfono dei conduttori è, ormai, un idrante sfollagente. Il pubblico scappa e tutto quell’affanno a farsi contemporanei – lo spazio web, i social, la diretta nel bel mezzo del flusso – ripete nella metodologia ciò che la tivù ha da sempre fatto.
Sarà anche vero che nel frattempo la rete è diventata la fonte primaria dell’informazione ma l’Italia è un posto pieno di vecchi dove tutti guardano la tivù. Già le signorine che smistavano le telefonate sotto la guida sapiente di Renée Longarini, nel “Portobello” di Enzo Tortora (tra loro c’era Paola Ferrari), facevano la multimedialità in tempo reale e la televisione di oggi soccombe nel circoscritto ambito dei talk per mancanza di ciccia narrativa.
“E’ uno spettacolo di teatro tra attori consanguinei” per dirla con il massmediologo Nuccio Bovalino, un rimestare nel flusso interscambiabile tra rete e rete, tanto non si distinguono argomenti, ospiti, servizi e scalette. Con quelle facce da agenti immobiliari, poi, pure i conduttori si assomigliano. Tutto è sovrapponibile e non può più darsi tivù del talk senza quella che Fulvio Abbate chiama “la stampella comica” .
Si prescinde dal giornalismo, va da sé, più che a un capo redattore ci si rivolge a un impresario, tanto sono fondamentali i comici. Valga, su tutto, l’apparizione mesta di Roberto Benigni.
Fu l’asso tratto dalla manica di Massimo Giannini nella prima puntata di “Ballarò”. A proposito di “Portobello” è degna di nota la proposta di Fulvio Abbate: “A riprova dell’assoluta utilità” dice il marchese, “per sciogliere i nodi dialettici del dibattito mi propongo nel ruolo di Pappagallo e ripetere così, sollecitato dagli ospiti, le parole-chiave e verificare l’esatta comprensione delle stesse.
E dunque ecco che durante i titoli di coda di ‘Agorà’, Maria Elena Boschi mi fa ripetere la parola ‘riforma’, nel finale de ‘L’Aria che tira’ c’è Massimo Cacciari che mi scandisce nell’orecchio ‘ZeitGeist’, quindi Stefania Giannini, a ‘Omnibus’ mi aiuta a pronunciare distintamente ‘Review’ e ‘Spending’. Ebbene sì, voglio fare il succedaneo del pappagallo di ‘Portobello’”.
Il giornalismo ha trovato dunque un succedaneo, nella comicità laddove la comicità, quando non fa piangere, fa dormire. Per amor di patria qui si tace della penosa esibizione, sempre a “Ballarò”, di Paolo Rossi il cui effetto sfollagente ha sfregiato i dati d’ascolto, numeri delicatissimi specialmente adesso che Rai3, a differenza della scorsa stagione, quando c’era Floris al timone, non beneficia più di una programmazione più debole delle altri reti di Viale Mazzini. Anzi. La fiction infuria e l’ascolto manca.
Manca l’ascolto, latita il verbo. La distruzione del significato delle parole passa attraverso le forche caudine della qualità. E’ tutto un continuo ripetersi che costa poco. Su questo mantra Urbano Cairo ha preso la scoppola di questi giorni. Come il “Borghese gentiluomo” di Molière che presto impara a distinguere tra prosa e poesia, così Cairo, alla pagina dei conti a posto alterna i versi della sinistra a modino facendo viepiù de La7, più di quanto non lo fosse stata nel passato, la Cattedrale del politicamente corretto.
Tutto ciò per infestare di un unico monotono ronzio di talk politico il palinsesto per poi ricavare i resti di ciò che sfugge al microfono-sfollagente dei Floris, dannatamente costoso per di più, l’ex conduttore di “Ballarò” che riesce a essere di sollievo per il pubblico solo quando, dalla scrivania di “Otto e mezzo”, dice: “Adesso c’è il Punto di Paolo Pagliaro”. Si cambia registro ed è musica per le orecchie di chi non vede l’ora che torni Lilli Gruber.
Ciccia narrativa, allora. E qualità. Che manca. “Appunto”, dice Giovanni Minoli che con il “Faccia a faccia” ebbe a fabbricare il talk dei tempi d’oro, “tutto si risolve in una sorta di scambio tra chi porta la propria gratuità, l’ospite, e chi offre visibilità, e cioè la trasmissione.
Nel frattempo che gli altri generi – i games, le serie, la fiction – comunque funzionano, il talk langue. Se chi invita paga, chi è invitato, poi, una volta che è retribuito deve offrire una professionalità a garanzia di ascolti e qualità. Possono anche crearsi delle fasce sulla base dei risultati, com’è normale nelle regole del mercato e i politici, infine, potrebbero stornare il guadagno alle casse del partito. Sarebbe una cristallina e limpida forma di finanziamento della politica. Potrebbe essere un’idea, no?”.
Il talk è, effettivamente, il prodotto più economico. Con il microfono impugnato al modo di un lacrimogeno, tutta la spesa è risolta in quattro taxi per quattro cariatidi da portare in studio. Vista la qualità del dibattito – già l’idea di affrontare la discussione della minoranza Pd provoca narcolessia – e la malizia spilorcia di chi da padrone, o direttore di rete, costringe poi gli autori a dare fondo alla fantasia con il giornalismo del giorno dopo e le comparse reclutate nella stessa compagnia di giro, è fin troppo facile immaginarne gli esiti.
Ma è quel narrare che manca alla narrazione, insomma: l’agone del talk è il luogo dove più di ogni altro si sente l’assenza di Silvio Berlusconi nella scena politica e senza più l’antagonista, l’ospite che spolvera la sedia nell’apoteosi del teatro comico, nessuno riesce più a essere protagonista. Più che un all news, La7, diventata un all talk risulta all’ascolto come quelle radio su cui si sintonizzano perennemente i tassinari di Roma: come quelli ruminano perennemente Totti, Totti e Totti, così questa – su un piano nobile, per carità – mastica eternamente politica, politica e politica.
Se però i tassinari hanno Totti, agli spettatori – pur viziosi di parola – dal mattino alla sera, dal lunedì alla domenica, tocca di sorbirsi la Serracchiani. Tutto questo succede un po’ in tutte le trasmissioni di tutte le reti, generaliste e no, e una menzione la meritano i malcapitati ospiti del fine settimana radunati tra le tarde quindicine di tempi un dì gloriosi o tra le schiere di sconfortati semi-vip desiderosi d’ascensore sociale, quello – va da sé – della visibilità.
La stagione televisiva, totalmente ammorbata dall’apnea renziana, non ha saputo offrire brividi al pubblico di telespettatori. Maria Elena Boschi, suvvia, non ha l’appeal di Mara Carfagna. Ancora non c’è nessuno che possa reggere il confronto con Daniela Santanchè e già Laura Ravetto ha molte più carte di una qualunque Federica Mogherini, fosse pure in un dibattito tutto in lingua inglese.
L’ombra di nessun Cesare Previti si disegna alle spalle di Matteo Renzi, figurarsi quella di un Marcello Dell’Utri ed è così che, definitivamente privati di sangue e arena per come ci si ritrova nei palinsesti, sempre più a modino, l’unica vera notizia di “Servizio pubblico”, nella sua prima puntata, diventa un’assenza.
Tutto è in apnea e giusto nel giorno in cui Giorgio Napolitano veniva chiamato a testimoniare in merito alla “Trattativa”, giusto dunque nel momento più gustoso del canovaccio, a marcare visita da Santoro era giusto Luigi De Magistris. Il magistrato, sindaco di Napoli, campione ormai capovolto dell’altro cortocircuito, quello del giustizialismo che sopravvive solo per tramite di colpi mediatici, pur annunciato, non si presentava. E spegneva così il climax.
C’era però Sabina Guzzanti ed è stato allora che il comicismo politicista (e qui, giuro, non c’è giudizio politico, bensì di pura scienza teatrale), ha incontrato il requiem. Facendo altresì sfollare la gente già paga peraltro di dose umoristica avendo apprezzato – ed era da apprezzare assai – lo stesso Santoro impegnato, a inizio puntata, in un numero di parodia di Renzi alla prova della lingua inglese.
Uno sketch messo in scena con sapienza e maschera. Come mai la signora Guzzanti, pur “lavoratrice dello spettacolo”, avrebbe saputo fare. Fiasco dopo fiasco la signora – si sa – è ormai nel solco di Roberto Benigni. La schiera dei fiati s’affolla. Trombe e tromboni degenerano.
E il canone comico, immerso nella marmellata dell’ideologicamente corretto dove l’ammicco non produce il cacchino plautino (dove solo Ficarra & Picone fanno da cassazione), bensì lo sbadiglio del dibattese, il gramelot recitativo il cui apice guasto è una fissazione: il sospetto come anticamera della verità, nientemeno. In eterna replica. E con i telecomandi in fuga.
Bravo, bravissimo Santoro, nel momento in cui levano le tende quelli di #teatrovalleoccupato, proprio adesso che l’Opera di Roma va in pezzi, salta la stagione a Parma e non c’è più pace in tutta Italia per il Carro di Tespi, almeno lui – figlio della tradizione degli Scarpetta, dei De Filippo, Titina e Peppino a essere più precisi – sa far teatro. In un pezzo unico, quello del mr. Renzi alle prese con la lingua inglese, ha fatto crollare la scena per quanto ne ha chiamati di applausi.
Un gran bel pezzo dove però si pativa l’assenza della spalla. Non proprio Vauro ma ancora una volta quel Berlusconi che, con Santoro, seppe costruire una scena che già tra cinque anni, non di più, arriverà a rallegrare “Techetechetè”, la fortunatissima striscia di collage tivù in onda su Rai1 quando la stagione dei talk finisce e, finalmente, in estate, si vedono le cose belle. E importanti. Degne del varietà.
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: La televisione
Genova, Burlando e Servizio Pubblico: io confesso
di Marco Travaglio | 18 ottobre 2014Commenti (1946)
Mi scuso. Mi scuso anzitutto con il supremo governatore Claudio Burlando per aver proditoriamente insinuato che il politico più potente di Genova e della Liguria da 30 anni sia lui, mentre tutti sanno che sono io.
Mi scuso per aver affermato che è stato, nell’ordine: assessore, vicesindaco e sindaco di Genova, poi ministro dei Trasporti, infine governatore della Liguria, mentre avrei dovuto ammettere che tutte quelle cariche le ho ricoperte io.
Mi scuso per avergli attribuito ingiustamente la cementificazione della sua città e della sua regione, il piano casa tutto cemento, l’imboscamento di 8 dei 10 milioni stanziati dallo Stato per l’alluvione del 2010, la piastra di cemento per parcheggi costruita a monte del torrente Fereggiano, il mega-centro commerciale per 5 mila persone in una zona definita dal suo stesso assessore “a rischio di alluvioni” dopo la tragedia del 2011, i porticcioli turistici per impreziosire la costa in tandem col grande Scajola, il blocco dei lavori sul torrente Bisagno non per colpa dell’ex sindaco Sansa né del Tar, ma dalla Regione che non ha fatto nulla dal 2012, mentre è universalmente noto che tutte quelle brutte cose le ho fatte tutte io. Mi scuso per non aver saputo rispondere in merito all’eventuale deviazione del Fereggiano, come sarebbe stato mio dovere in qualità di ex assessore, ex sindaco, ex ministro, ora governatore. Mi scuso per aver difeso il buon governo del territorio dell’ex sindaco Adriano Sansa, che anzi deve vergognarsi per aver investito decine di miliardi di lire nel piano di bacino per fiumi e torrenti, per aver risparmiato alla sua città alluvioni per ben 17 anni e soprattutto per non aver ricevuto avvisi di garanzia né mandati di cattura per sé e per la sua giunta.
Pubblicità
Mi scuso per aver detto che i due vicepresidenti e l’assessore all’Urbanistica della giunta Burlando, tutti arrestati, li ha scelti Burlando, mentre è arcinoto che li ho nominati io.
Mi scuso per aver rifiutato di prendere lezioni da un così insigne statista: soprattutto di scuola guida (chi mi conosce sa che ne avrei bisogno, essendo io solito imboccare autostrade e superstrade in contromano e poi esibire alla polizia il tesserino parlamentare, peraltro scaduto).
Mi scuso con uno degli angeli del fango in studio per aver io tentato di negare l’evidenza: cioè che a governare Genova e la Liguria sono io, talvolta spalleggiato occultamente dall’altro colpevole: Grillo. Ma mi han subito sgamato, così non mi voteranno più e potranno alfine riporre le pale. Mi scuso, sempre con il nostro caro angelo, per aver negato di aver detto ciò che non avevo detto: e cioè che per evitare le alluvioni basti ripulire un torrente dai rami e dai detriti.
Mi scuso, ancora con i nostri cari angeli, per aver interrotto il loro idillio con l’incolpevole Burlando che annuiva ed elogiava il loro buonsenso, ampiamente ricambiato, in un commovente minuetto contro il responsabile di tutte le cementificazioni e le alluvioni dagli anni 30 a oggi: il sottoscritto, con la partecipazione straordinaria di Mussolini e dell’architetto Piacentini.
Mi scuso, con un altro angelo del fango, per non aver capito in che senso chi fa opposizione in Comune, in Regione e in Parlamento e non ha mai governato né a Genova, né in Liguria, né in Italia, avrebbe le stesse responsabilità di chi governa da sempre a Genova, in Liguria e in Italia.
Mi scuso, stavolta con la Nazione intera, per non aver colto il nesso inscindibile fra lo spalare fango e lo sparare nel mucchio.
Mi scuso, con la Democrazia tutta, per aver colto la differenza tra l’insulto e la critica, tra il lasciar parlare e il lasciar mentire.
Mi scuso, con chicche e ssia, per non esser nato foca ammaestrata che canta o tace al fischio del domatore.
Mi scuso, con tutti, per aver abbandonato lo studio di Servizio Pubblico proprio quando stavano per convincermi: ancora dieci secondi, e avrei confessato che l’alluvione l’ho fatta io. Il fango c’est moi.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10 ... o/1159892/
di Marco Travaglio | 18 ottobre 2014Commenti (1946)
Mi scuso. Mi scuso anzitutto con il supremo governatore Claudio Burlando per aver proditoriamente insinuato che il politico più potente di Genova e della Liguria da 30 anni sia lui, mentre tutti sanno che sono io.
Mi scuso per aver affermato che è stato, nell’ordine: assessore, vicesindaco e sindaco di Genova, poi ministro dei Trasporti, infine governatore della Liguria, mentre avrei dovuto ammettere che tutte quelle cariche le ho ricoperte io.
Mi scuso per avergli attribuito ingiustamente la cementificazione della sua città e della sua regione, il piano casa tutto cemento, l’imboscamento di 8 dei 10 milioni stanziati dallo Stato per l’alluvione del 2010, la piastra di cemento per parcheggi costruita a monte del torrente Fereggiano, il mega-centro commerciale per 5 mila persone in una zona definita dal suo stesso assessore “a rischio di alluvioni” dopo la tragedia del 2011, i porticcioli turistici per impreziosire la costa in tandem col grande Scajola, il blocco dei lavori sul torrente Bisagno non per colpa dell’ex sindaco Sansa né del Tar, ma dalla Regione che non ha fatto nulla dal 2012, mentre è universalmente noto che tutte quelle brutte cose le ho fatte tutte io. Mi scuso per non aver saputo rispondere in merito all’eventuale deviazione del Fereggiano, come sarebbe stato mio dovere in qualità di ex assessore, ex sindaco, ex ministro, ora governatore. Mi scuso per aver difeso il buon governo del territorio dell’ex sindaco Adriano Sansa, che anzi deve vergognarsi per aver investito decine di miliardi di lire nel piano di bacino per fiumi e torrenti, per aver risparmiato alla sua città alluvioni per ben 17 anni e soprattutto per non aver ricevuto avvisi di garanzia né mandati di cattura per sé e per la sua giunta.
Pubblicità
Mi scuso per aver detto che i due vicepresidenti e l’assessore all’Urbanistica della giunta Burlando, tutti arrestati, li ha scelti Burlando, mentre è arcinoto che li ho nominati io.
Mi scuso per aver rifiutato di prendere lezioni da un così insigne statista: soprattutto di scuola guida (chi mi conosce sa che ne avrei bisogno, essendo io solito imboccare autostrade e superstrade in contromano e poi esibire alla polizia il tesserino parlamentare, peraltro scaduto).
Mi scuso con uno degli angeli del fango in studio per aver io tentato di negare l’evidenza: cioè che a governare Genova e la Liguria sono io, talvolta spalleggiato occultamente dall’altro colpevole: Grillo. Ma mi han subito sgamato, così non mi voteranno più e potranno alfine riporre le pale. Mi scuso, sempre con il nostro caro angelo, per aver negato di aver detto ciò che non avevo detto: e cioè che per evitare le alluvioni basti ripulire un torrente dai rami e dai detriti.
Mi scuso, ancora con i nostri cari angeli, per aver interrotto il loro idillio con l’incolpevole Burlando che annuiva ed elogiava il loro buonsenso, ampiamente ricambiato, in un commovente minuetto contro il responsabile di tutte le cementificazioni e le alluvioni dagli anni 30 a oggi: il sottoscritto, con la partecipazione straordinaria di Mussolini e dell’architetto Piacentini.
Mi scuso, con un altro angelo del fango, per non aver capito in che senso chi fa opposizione in Comune, in Regione e in Parlamento e non ha mai governato né a Genova, né in Liguria, né in Italia, avrebbe le stesse responsabilità di chi governa da sempre a Genova, in Liguria e in Italia.
Mi scuso, stavolta con la Nazione intera, per non aver colto il nesso inscindibile fra lo spalare fango e lo sparare nel mucchio.
Mi scuso, con la Democrazia tutta, per aver colto la differenza tra l’insulto e la critica, tra il lasciar parlare e il lasciar mentire.
Mi scuso, con chicche e ssia, per non esser nato foca ammaestrata che canta o tace al fischio del domatore.
Mi scuso, con tutti, per aver abbandonato lo studio di Servizio Pubblico proprio quando stavano per convincermi: ancora dieci secondi, e avrei confessato che l’alluvione l’ho fatta io. Il fango c’est moi.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10 ... o/1159892/
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: La televisione
TV
Massimo Cacciari, sbuffatore da talk show
L'ex sindaco di Venezia è spesso ospite dei progammi politici. Dove, quasi quotidianamente, finisce per sbottare contro qualche politico, di destra o di sinistra
DI GUIDO QUARANTA
13 gennaio 2015
Qualche tempo fa, appena l’onorevole Marianna Madia (Pd),ospite di un talk show televisivo, ha magnificato come una «grande iniziativa politica» del suo partito la raccolta di firme per introdurre il reddito di cittadinanza in Italia, un altro ospite della trasmissione, il filosofo Massimo Cacciari (70 anni, veneziano) ha cominciato a dimenarsi sulla sedia, si è messo vistosamente a sbuffare, ha alzato implorante gli occhi al cielo, si è sbracciato, ha scosso adirato la testa e, poi, è esploso: «Una proposta concreta?», ha urlato. «Ma è una colossale puttanata! Tutte balle, solo chiacchiere!».
Sempre di recente, quando l’onorevole Pina Picierno (Pd), ospite di un altro dibattito, ha decantato come «riforme epocali» gli annunci programmatici del premier, il filosofo ha avuto la stessa reazione: «Per favore, lasciamo stare le svolte epocali: retorica pura», ha strillato.
E non diversamente ha trattato l’onorevole Daniela Santanchè (Forza Italia) che, in un altro talk show, ha accusato il presidente della Repubblica di non aver rispettato la Costituzione: «Ma cosa sta dicendo?», ha gridato. «La signora la conosce la Costituzione? L’ha mai letta? Se discutiamo di queste fesserie, io vi saluto e vado via». Cacciari ha un caratteraccio: s’innervosisce facilmente. Ma, come si dice a Roma, quanno ce vò, ce vò.
13 gennaio 2015
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... w-1.194554
Massimo Cacciari, sbuffatore da talk show
L'ex sindaco di Venezia è spesso ospite dei progammi politici. Dove, quasi quotidianamente, finisce per sbottare contro qualche politico, di destra o di sinistra
DI GUIDO QUARANTA
13 gennaio 2015
Qualche tempo fa, appena l’onorevole Marianna Madia (Pd),ospite di un talk show televisivo, ha magnificato come una «grande iniziativa politica» del suo partito la raccolta di firme per introdurre il reddito di cittadinanza in Italia, un altro ospite della trasmissione, il filosofo Massimo Cacciari (70 anni, veneziano) ha cominciato a dimenarsi sulla sedia, si è messo vistosamente a sbuffare, ha alzato implorante gli occhi al cielo, si è sbracciato, ha scosso adirato la testa e, poi, è esploso: «Una proposta concreta?», ha urlato. «Ma è una colossale puttanata! Tutte balle, solo chiacchiere!».
Sempre di recente, quando l’onorevole Pina Picierno (Pd), ospite di un altro dibattito, ha decantato come «riforme epocali» gli annunci programmatici del premier, il filosofo ha avuto la stessa reazione: «Per favore, lasciamo stare le svolte epocali: retorica pura», ha strillato.
E non diversamente ha trattato l’onorevole Daniela Santanchè (Forza Italia) che, in un altro talk show, ha accusato il presidente della Repubblica di non aver rispettato la Costituzione: «Ma cosa sta dicendo?», ha gridato. «La signora la conosce la Costituzione? L’ha mai letta? Se discutiamo di queste fesserie, io vi saluto e vado via». Cacciari ha un caratteraccio: s’innervosisce facilmente. Ma, come si dice a Roma, quanno ce vò, ce vò.
13 gennaio 2015
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... w-1.194554
Chi c’è in linea
Visitano il forum: Google [Bot] e 2 ospiti