Berlusconi è ancora armato e pericoloso
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Re: Berlusconi è ancora armato e pericoloso
Figurarsi se il_giornale o Libero pubblicheranno questa sentenza della Cassazione in forma completa.
Hanno voluto solo commentare che la Cass "Non ha confermato la condanna a Marcello dell'Utri", mentre i giudici cassazionisti hanno solo rinviato ad un nuovo processo per difetto formale della sentenza, mentre ora hanno confermato l'impianto accusatorio dei PM palermitani.
Ora occorra che si faccia subito nuovo processo a Dell'Utri prima che scadano i termini di prescrizione.
Augh
Hanno voluto solo commentare che la Cass "Non ha confermato la condanna a Marcello dell'Utri", mentre i giudici cassazionisti hanno solo rinviato ad un nuovo processo per difetto formale della sentenza, mentre ora hanno confermato l'impianto accusatorio dei PM palermitani.
Ora occorra che si faccia subito nuovo processo a Dell'Utri prima che scadano i termini di prescrizione.
Augh
Ultima modifica di Joblack il 24/04/2012, 22:17, modificato 1 volta in totale.
Toro Seduto (Ta-Tanka I-Yo-Tanka)
‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’. C.L. Montesquieu
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Re: Berlusconi è ancora armato e pericoloso
Il senatore Marcello Dell’Utri è stato il “mediatore” dell’accordo protettivo per il quale Berlusconi pagò alla mafia “cospicue somme” per la sua sicurezza e quella dei suoi familiari.
Sapremo mai la verità? ......Sono più di trent'anni che continuiamo a sentire che:
Berlusconi pagò alla mafia “cospicue somme” per la sua sicurezza e quella dei suoi familiari
La sicurezza da chi se il top della criminalità era proprio la mafia.
Sapremo mai la verità? ......Sono più di trent'anni che continuiamo a sentire che:
Berlusconi pagò alla mafia “cospicue somme” per la sua sicurezza e quella dei suoi familiari
La sicurezza da chi se il top della criminalità era proprio la mafia.
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Re: Berlusconi è ancora armato e pericoloso
Che c'entra ..... la mafia non è "criminalità comune" ma criminalità organizzata, che controlla il territorio, e quando il territorio viene marcato "nessun criminale comune" può farci furti o chiedere il pizzo!camillobenso ha scritto:Il senatore Marcello Dell’Utri è stato il “mediatore” dell’accordo protettivo per il quale Berlusconi pagò alla mafia “cospicue somme” per la sua sicurezza e quella dei suoi familiari.
Sapremo mai la verità? ......Sono più di trent'anni che continuiamo a sentire che:
Berlusconi pagò alla mafia “cospicue somme” per la sua sicurezza e quella dei suoi familiari
La sicurezza da chi se il top della criminalità era proprio la mafia.
Questi sono concetti basilari che Falcone ha insegnato all'Italia ma che tutti i siciliani sanno dalla nascita!
Berlusconi si appoggia alla mafia "pagando un pizzo" e mettendosi un "soldato della mafia" tal Mangano, in casa come "stalliere" si assicura che nessun comune criminale possa "rubare" o "estorcere" alcunché alla famiglia berlusconi.
Se vi ricordate circa 15 ..20 anni fa, un certo momento B. era proprietario dei magazzini STANDA uno dei quali fu fatto saltare in aria da una bomba a Catania. Era un tipico avvertimento mafioso, che B. stoppò proprio andando ad accordarsi con la mafia, e poi successivamente vendette il gruppo Standa.
Da buon uomo politico di Stato alias statista egli crede che lo Stato non possa far niente contro le criminalità organizzate con le quali è meglio scendere a patti .... e pagare.
Questo concetto fu ben enunciato da un ministro dei lavori pubblici del II governo B. quando disse: "con la mafia bisogna convivere", il ministro si chiamava ing. Lunardi.
Quando avremo servitori dello Stato che metteranno la Patria dei beni comuni al di sopra degli interessi personali, allora quel giorno avremo una speranza in + di sconfiggere le mafie
Augh
Ultima modifica di Joblack il 25/04/2012, 9:11, modificato 1 volta in totale.
Toro Seduto (Ta-Tanka I-Yo-Tanka)
‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’. C.L. Montesquieu
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Re: Berlusconi è ancora armato e pericoloso
Il mistero Berlusconi. La Banca Rasini
Un brano serio, di cui ringraziamo Michele R., che tratta di come Berlusconi ha iniziato a fare quattrini con la banca Rasini diretta da suo padre.
Curiosa l’origine del brano, tratto da
"LA PADANIA" 30 settembre 1998 articolo di MAX PARISI
http://www.lapadania.com/1998/settembre ... 8p10a2.htm
Alle volte solo i nemici conoscono bene le loro controparti.
Per di più la banca Rasini quando venne assorbita come istituto di credito indovinate presso che banca finì? La Banca Popolare di Lodi, che ora è in tutte le cronache. Curiose coincidenze.
"Dopo le Holding del mistero, "salta" un altro tappo: la Banca Rasini
L’istituto di "famiglia" passato al setaccio"
La nostra inchiesta sul mistero Berlusconi continua a procedere.
Innanzitutto una notizia scivolata via dalla grande stampa nazionale - e mi pare ovvio... - soltanto alcuni giorni fa: la Procura di Palermo ha ordinato il sequestro dell’intero archivio della Banca Rasini. Ah, Cavaliere, che dolori in arrivo... Come più volte abbiamo scritto, la sede principale dove vennero custoditi alcuni dei capitali all’origine dei "grandi affari" berlusconiani è proprio questo istituto di credito siculo-meneghino, fondato a metà dagli anni Cinquanta da una strano miscuglio di persone: esponenti della nobile famiglia milanese dei Rasini, ed esponenti della più disgraziata periferia palermitana ad altissimo tasso mafioso: gli Azzaretto di Misilmeri. Per quasi vent’anni, e per tutto il primo periodo d’attività di Silvio Berlusconi, la Rasini ha rappresentato un punto fermo, un faro imprescindibile per le avventure professionali del futuro Cavaliere. Alla Rasini, voluto sia dagli Azzaretto sia dai Rasini, ha lavorato fino alla pensione Luigi Berlusconi, padre di Silvio. E non ebbe un ruolo marginale, anzi. Fu procuratore con potere di firma di tutto questo clan di strani banchieri, questa confraternita tenebrosa di uomini e interessi la cui natura diventerà tragicamente chiara nel 1983, il 15 febbraio, il giorno dell’operazione "San Valentino", grande retata della polizia milanese contro le cosche di Cosa Nostra annidate in città. Diversi degli arrestati, Luigi Monti, Antonio Virgilio, Robertino Enea e per loro conto il clan Fidanzati, il clan Bono, Carmelo Gaeta e i relativi referenti palermitani, ovvero Pippo Calò, Totò Riina e Bernardo Provenzano, erano correntisti multimilardari della Banca Rasini.Non solo questa "clientela" affezionata al riciclaggio finì in galera, anche il direttore generale della Rasini, tal Vecchione, in seguito subirà una condanna a 4 anni di carcere. Naturalmente, ripensando a tali vicende, non può che sorgere un interrogativo presto risolto: chi volle che tutta questa marmaglia operasse nella banca di Piazza dei Mercanti numero 8?
Proprio Giuseppe e Dario Azzaretto, padre e figlio. Ora capite l’importanza del decreto di sequestro dell’archivio di questo istituto di credito presso la Banca Popolare di Lodi, che ha assorbito la Rasini qualche anno fa? È assolutamente basilare per poter ricostruire l’epopea di mister Forza Italia, ma anche altre vicende che apparentemente "sembrerebbero scollegate" dalla storia di Berlusconi. Infatti non finisce qui l’importanza della notizia dell’acquisizione di questa documentazione. La Rasini, dopo lo scandalo di mafia del 1983, venne ceduta dagli Azzaretto... indovinate a chi? L’avete già letto nella nostra inchiesta sull’Imi-Sir: a Nino Rovelli, il grande elemosiniere, colui che diede 2 miliardi a Giulio Andreotti, denaro di cui scrisse Mino Pecorelli (il famoso articolo: "Gli assegni del Presidente" che non venne mai pubblicato) costandogli la vita. Proprio un bell’ambientino, eh, quello della Rasini di berlusconiana memoria, non trovate? Tuttavia, per meglio capire fino a dove si spinse la ragnatela infame di questa banca, è necessario ricordare che Giuseppe Azzaretto sposò... la nipote di Papa Pacelli. Mancava giusto giusto questo tassello per completare il quadro. È fuori di dubbio che tale signora possedesse diverse e apprezzate qualità, non ultime le relazioni personali e perfino di parentela con importanti personaggi del Vaticano, ad iniziare dal Papa.
Certo che ne fece di "carriera" quell’uomo, Giuseppe Azzaretto, partito da una delle frazioni più povere e miserabili di Palermo, e ritrovatosi nel volgere di pochi anni al vertice di una banca a Milano - da lui fondata - e perfino maritato con una damigella la cui famiglia era tra le meglio introdotte nei gangli del potere millenario della Roma dei Papi. C’è ancora molto da scoprire, come si vede. Se la Banca Rasini venisse davvero scoperchiata fino in fondo, sono convinto che una parte della storia d’Italia andrebbe riscritta, e sarebbero le pagine peggiori. Della storia più recente della Rasini - il lettore ricorderà anche questo - abbiamo scritto anche altro. Ad esempio abbiamo raccolto la testimonianza della baronessa Maria Giuseppina Cordopatri, che fu correntista di questo istituto di credito. La baronessa ha reso noto che il vero dominus della banca non era il clan Azzaretto sic et simpliciter, bensì un certo Giulio Andreotti.
Non è notizia da poco, se si pensa che Nino Rovelli rileverà questa banca benché in vita sua non avesse mai operato nel settore. Per conto di chi Rovelli gestirà la Rasini fino all’arrivo della Banca Popolare di Lodi?
Bella domanda.In ogni caso, come si diceva all’inizio, la nostra inchiesta sta avanzando. Nei prossimi giorni saremo in grado di approfondire in maniera circostanziata il ruolo e l’azione delle due società fiduciarie della Banca Nazionale del Lavoro, Saf e Servizio Italia, che tanto hanno avuto a che fare con la costruzione del Gruppo Fininvest all’epoca in cui il vero "burattinaio" si chiamava Licio Gelli. Eh sì, proprio lui, che nell’anno 1978 - quando vennero fondate 32 delle 38 Holding Italiane - annotò fra gli iscritti alla sua loggia infame anche Silvio Berlusconi, il piduista n° 1816, entrato nel cerchio infernale gelliano... esattamente lo stesso anno in cui nascono dal nulla (con l’uso del solito schermo di prestanome) le holding casseforti del suo futuro impero. Accidenti, che coincidenza, anzi: che pista investigativa.Su un altro versante, saremo presto nelle condizioni di svelare i rapporti fra alcune di queste Holding Italiane "occulte" e inquietanti personaggi palermitani, così pure saremo in grado di disegnare la "mappa" di intrecci societari fra queste Holding segrete e altri rami della pianta berlusconiana, ad esempio Mediaset.
Mala tempora currunt, signor Berlusconi. Se n’è accorto?
Un brano serio, di cui ringraziamo Michele R., che tratta di come Berlusconi ha iniziato a fare quattrini con la banca Rasini diretta da suo padre.
Curiosa l’origine del brano, tratto da
"LA PADANIA" 30 settembre 1998 articolo di MAX PARISI
http://www.lapadania.com/1998/settembre ... 8p10a2.htm
Alle volte solo i nemici conoscono bene le loro controparti.
Per di più la banca Rasini quando venne assorbita come istituto di credito indovinate presso che banca finì? La Banca Popolare di Lodi, che ora è in tutte le cronache. Curiose coincidenze.
"Dopo le Holding del mistero, "salta" un altro tappo: la Banca Rasini
L’istituto di "famiglia" passato al setaccio"
La nostra inchiesta sul mistero Berlusconi continua a procedere.
Innanzitutto una notizia scivolata via dalla grande stampa nazionale - e mi pare ovvio... - soltanto alcuni giorni fa: la Procura di Palermo ha ordinato il sequestro dell’intero archivio della Banca Rasini. Ah, Cavaliere, che dolori in arrivo... Come più volte abbiamo scritto, la sede principale dove vennero custoditi alcuni dei capitali all’origine dei "grandi affari" berlusconiani è proprio questo istituto di credito siculo-meneghino, fondato a metà dagli anni Cinquanta da una strano miscuglio di persone: esponenti della nobile famiglia milanese dei Rasini, ed esponenti della più disgraziata periferia palermitana ad altissimo tasso mafioso: gli Azzaretto di Misilmeri. Per quasi vent’anni, e per tutto il primo periodo d’attività di Silvio Berlusconi, la Rasini ha rappresentato un punto fermo, un faro imprescindibile per le avventure professionali del futuro Cavaliere. Alla Rasini, voluto sia dagli Azzaretto sia dai Rasini, ha lavorato fino alla pensione Luigi Berlusconi, padre di Silvio. E non ebbe un ruolo marginale, anzi. Fu procuratore con potere di firma di tutto questo clan di strani banchieri, questa confraternita tenebrosa di uomini e interessi la cui natura diventerà tragicamente chiara nel 1983, il 15 febbraio, il giorno dell’operazione "San Valentino", grande retata della polizia milanese contro le cosche di Cosa Nostra annidate in città. Diversi degli arrestati, Luigi Monti, Antonio Virgilio, Robertino Enea e per loro conto il clan Fidanzati, il clan Bono, Carmelo Gaeta e i relativi referenti palermitani, ovvero Pippo Calò, Totò Riina e Bernardo Provenzano, erano correntisti multimilardari della Banca Rasini.Non solo questa "clientela" affezionata al riciclaggio finì in galera, anche il direttore generale della Rasini, tal Vecchione, in seguito subirà una condanna a 4 anni di carcere. Naturalmente, ripensando a tali vicende, non può che sorgere un interrogativo presto risolto: chi volle che tutta questa marmaglia operasse nella banca di Piazza dei Mercanti numero 8?
Proprio Giuseppe e Dario Azzaretto, padre e figlio. Ora capite l’importanza del decreto di sequestro dell’archivio di questo istituto di credito presso la Banca Popolare di Lodi, che ha assorbito la Rasini qualche anno fa? È assolutamente basilare per poter ricostruire l’epopea di mister Forza Italia, ma anche altre vicende che apparentemente "sembrerebbero scollegate" dalla storia di Berlusconi. Infatti non finisce qui l’importanza della notizia dell’acquisizione di questa documentazione. La Rasini, dopo lo scandalo di mafia del 1983, venne ceduta dagli Azzaretto... indovinate a chi? L’avete già letto nella nostra inchiesta sull’Imi-Sir: a Nino Rovelli, il grande elemosiniere, colui che diede 2 miliardi a Giulio Andreotti, denaro di cui scrisse Mino Pecorelli (il famoso articolo: "Gli assegni del Presidente" che non venne mai pubblicato) costandogli la vita. Proprio un bell’ambientino, eh, quello della Rasini di berlusconiana memoria, non trovate? Tuttavia, per meglio capire fino a dove si spinse la ragnatela infame di questa banca, è necessario ricordare che Giuseppe Azzaretto sposò... la nipote di Papa Pacelli. Mancava giusto giusto questo tassello per completare il quadro. È fuori di dubbio che tale signora possedesse diverse e apprezzate qualità, non ultime le relazioni personali e perfino di parentela con importanti personaggi del Vaticano, ad iniziare dal Papa.
Certo che ne fece di "carriera" quell’uomo, Giuseppe Azzaretto, partito da una delle frazioni più povere e miserabili di Palermo, e ritrovatosi nel volgere di pochi anni al vertice di una banca a Milano - da lui fondata - e perfino maritato con una damigella la cui famiglia era tra le meglio introdotte nei gangli del potere millenario della Roma dei Papi. C’è ancora molto da scoprire, come si vede. Se la Banca Rasini venisse davvero scoperchiata fino in fondo, sono convinto che una parte della storia d’Italia andrebbe riscritta, e sarebbero le pagine peggiori. Della storia più recente della Rasini - il lettore ricorderà anche questo - abbiamo scritto anche altro. Ad esempio abbiamo raccolto la testimonianza della baronessa Maria Giuseppina Cordopatri, che fu correntista di questo istituto di credito. La baronessa ha reso noto che il vero dominus della banca non era il clan Azzaretto sic et simpliciter, bensì un certo Giulio Andreotti.
Non è notizia da poco, se si pensa che Nino Rovelli rileverà questa banca benché in vita sua non avesse mai operato nel settore. Per conto di chi Rovelli gestirà la Rasini fino all’arrivo della Banca Popolare di Lodi?
Bella domanda.In ogni caso, come si diceva all’inizio, la nostra inchiesta sta avanzando. Nei prossimi giorni saremo in grado di approfondire in maniera circostanziata il ruolo e l’azione delle due società fiduciarie della Banca Nazionale del Lavoro, Saf e Servizio Italia, che tanto hanno avuto a che fare con la costruzione del Gruppo Fininvest all’epoca in cui il vero "burattinaio" si chiamava Licio Gelli. Eh sì, proprio lui, che nell’anno 1978 - quando vennero fondate 32 delle 38 Holding Italiane - annotò fra gli iscritti alla sua loggia infame anche Silvio Berlusconi, il piduista n° 1816, entrato nel cerchio infernale gelliano... esattamente lo stesso anno in cui nascono dal nulla (con l’uso del solito schermo di prestanome) le holding casseforti del suo futuro impero. Accidenti, che coincidenza, anzi: che pista investigativa.Su un altro versante, saremo presto nelle condizioni di svelare i rapporti fra alcune di queste Holding Italiane "occulte" e inquietanti personaggi palermitani, così pure saremo in grado di disegnare la "mappa" di intrecci societari fra queste Holding segrete e altri rami della pianta berlusconiana, ad esempio Mediaset.
Mala tempora currunt, signor Berlusconi. Se n’è accorto?
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Re: Berlusconi è ancora armato e pericoloso
Banca Rasini
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La Banca Rasini era una piccola banca milanese, nata negli anni cinquanta ed inglobata nella Banca Popolare di Lodi nel 1992. Il motivo principale della sua fama è che tra i suoi clienti principali si annoveravano i criminali Pippo Calò, Totò Riina, Bernardo Provenzano (al tempo, uomini guida della Mafia) e l'imprenditore e uomo politico Silvio Berlusconi, il cui padre Luigi Berlusconi vi lavorava come funzionario. Le dichiarazioni di Michele Sindona sulla Banca Rasini la fanno citare più volte da Nick Tosches, un giornalista del The New York Times, nel suo libro I misteri di Sindona, e l'hanno resa nota tra gli studiosi internazionali che si occupano della storia della Mafia italiana.
Storia [modifica]
La "Banca Rasini Sas di Rasini, Ressi & C." viene fondata all'inizio degli anni cinquanta dai milanesi Carlo Rasini, Gian Angelo Rasini, Enrico Ressi, Giovanni Locatelli, Angela Maria Rivolta e Giuseppe Azzaretto. Il capitale iniziale è di 100 milioni di lire. Sin dalle sue origini la banca è un punto di incontro di capitali lombardi (principalmente quelli della nobile famiglia milanese dei Rasini, proprietaria del feudo di Buccinasco) e palermitani (quelli provenienti da Giuseppe Azzaretto, uomo di fiducia di Giulio Andreotti in Sicilia).[1]
Nel 1970 Dario Azzaretto, figlio di Giuseppe, diviene socio della banca. Sempre nel 1970, il procuratore della banca Luigi Berlusconi (padre di Silvio Berlusconi) ratifica un'operazione destinata ad avere un peso nella storia della Rasini: la banca acquisisce una quota della Brittener Anstalt, una società di Nassau legata alla Cisalpina Overseas Nassau Bank, nel cui consiglio d'amministrazione figurano nomi destinati a divenire famosi, come Roberto Calvi, Licio Gelli, Michele Sindona e monsignor Paul Marcinkus.
Nel 1973 la Banca Rasini diviene una S.p.a., ed il controllo passa dai Rasini agli Azzaretto. Il Consiglio di Amministrazione della Banca Rasini S.p.a. è costituito da Dario e Giuseppe Azzaretto, Mario Ungaro (avvocato romano e noto amico di Michele Sindona e Giulio Andreotti), Rosolino Baldani e Carlo Rasini.[1]
Ma nel 1974, nonostante l'ottima situazione finanziaria della Banca Rasini (che nell'ultimo anno aveva guadagnato oltre un quarto del suo capitale), Carlo Rasini lascia la banca fondata dalla sua famiglia, dimettendosi anche dal ruolo di consigliere. Secondo gli analisti, le ragioni delle dimissioni di Carlo Rasini sono da cercarsi nella sua mancanza di fiducia verso il resto del Consiglio di Amministrazione, e degli Azzaretto in particolare.
Sempre nel 1974, Antonio Vecchione diviene Direttore Generale, ed in soli dieci anni il valore della banca esplode, passando dal miliardo di lire nel 1974 al valore stimato di circa 40 miliardi di lire nel 1984.
Il 15 febbraio 1983 la Banca Rasini sale agli onori della cronaca, per via dell'"Operazione San Valentino". La polizia milanese effettua una retata contro gli esponenti di Cosa Nostra a Milano, e tra gli arrestati figurano numerosi clienti della Banca Rasini, tra cui Luigi Monti, Antonio Virgilio e Robertino Enea. Si scopre che tra i correntisti miliardari della Rasini vi sono Totò Riina e Bernardo Provenzano. Anche il direttore Vecchione e parte dei vertici della banca vengono processati e condannati, in quanto emerge il ruolo della Banca Rasini come strumento per il riciclaggio dei soldi della criminalità organizzata.
Dopo il 1983, Giuseppe Azzaretto cede la banca a Nino Rovelli. Nino Rovelli è un imprenditore (noto soprattutto per la vicenda Imi-Sir) e non ha esperienza nel settore bancario. Nelle inchieste tuttora in corso sulla Banca Rasini, Nino Rovelli è spesso considerato un uomo che ha coperto la vera dirigenza della banca fino al 1992. Tuttavia, non esistono evidenze al riguardo, né ipotesi sui nomi dei veri amministratori della Banca.
Nel 1992 la Banca Rasini viene inglobata nella Banca Popolare di Lodi, ma è solo nel 1998 che la Procura di Palermo mette sotto sequestro tutti gli archivi della banca. I giudici di Palermo, anche a seguito delle rivelazioni di Michele Sindona (intervista del 1985 ad un giornalista americano, Nick Tosches) e di altri "pentiti", indicano la stessa banca Rasini come coinvolta nel riciclaggio di denaro di provenienza mafiosa. Tra i correntisti della banca figurava anche Vittorio Mangano, il mafioso che lavorò nella villa di Silvio Berlusconi dal 1973 al 1975.
Legami con la mafia [modifica]
La Banca Rasini deve la sua fama tra gli studiosi della storia d'Italia, soprattutto alle dichiarazioni di Michele Sindona del 1984. Quando il giornalista del New York Times, Nick Tosches, chiese a Sindona (poco prima della misteriosa morte di quest'ultimo): «Quali sono le banche usate dalla mafia?». Sindona rispose: «In Sicilia il Banco di Sicilia, a volte. A Milano una piccola banca in Piazza dei Mercanti». In effetti, le indagini successive alla retata dell'Operazione San Valentino dimostrarono ampiamente il ruolo della Banca Rasini nel riciclaggio dei soldi della mafia, ed i contatti dell'istituto coi più alti vertici mafiosi. Il Commissario di Polizia Calogero Germanà ha ipotizzato che l'istituto, al pari della Banca Sicula di Trapani, fosse uno dei centri per il riciclaggio del denaro sporco di Cosa Nostra. [2]
Legami con la famiglia Berlusconi [modifica]
Tra i personaggi famosi con cui la Banca Rasini ebbe dei legami va citato l'imprenditore e uomo politico Silvio Berlusconi. Il padre di Silvio Berlusconi, Luigi Berlusconi fu prima un impiegato alla Rasini, quindi procuratore con diritto di firma, ed infine assunse un ruolo direttivo all'interno della stessa[3]. La Banca Rasini, e Carlo Rasini in particolare, furono i primi finanziatori di Silvio Berlusconi all'inizio della sua carriera imprenditoriale. Silvio e suo fratello Paolo Berlusconi avevano un conto corrente alla Rasini, così come numerose società svizzere che possedevano parte della Edilnord, la prima compagnia edile con cui Silvio Berlusconi iniziò a costruire la sua fortuna.
La Banca Rasini risulta anche nella lista di banche ed istituti di credito che gestirono il passaggio dei finanziamenti di 113 miliardi di lire (equivalenti ad oltre 300 milioni di euro nel 2006) che ricevette la Fininvest, il gruppo finanziario e televisivo di Berlusconi, tra il 1978 ed il 1983.
Il giornale inglese The Economist cita ripetutamente la Banca Rasini nel suo noto reportage su Silvio Berlusconi[4], sottolineando che Berlusconi ha effettuato transazioni illecite per mezzo della banca. È stato infatti accertato che Silvio Berlusconi ha registrato presso la banca ventitré holding come negozi di parrucchiere ed estetista. Anche per fare chiarezza su questi fatti nel 1998 l'archivio della banca è stato messo sotto sequestro.
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La Banca Rasini era una piccola banca milanese, nata negli anni cinquanta ed inglobata nella Banca Popolare di Lodi nel 1992. Il motivo principale della sua fama è che tra i suoi clienti principali si annoveravano i criminali Pippo Calò, Totò Riina, Bernardo Provenzano (al tempo, uomini guida della Mafia) e l'imprenditore e uomo politico Silvio Berlusconi, il cui padre Luigi Berlusconi vi lavorava come funzionario. Le dichiarazioni di Michele Sindona sulla Banca Rasini la fanno citare più volte da Nick Tosches, un giornalista del The New York Times, nel suo libro I misteri di Sindona, e l'hanno resa nota tra gli studiosi internazionali che si occupano della storia della Mafia italiana.
Storia [modifica]
La "Banca Rasini Sas di Rasini, Ressi & C." viene fondata all'inizio degli anni cinquanta dai milanesi Carlo Rasini, Gian Angelo Rasini, Enrico Ressi, Giovanni Locatelli, Angela Maria Rivolta e Giuseppe Azzaretto. Il capitale iniziale è di 100 milioni di lire. Sin dalle sue origini la banca è un punto di incontro di capitali lombardi (principalmente quelli della nobile famiglia milanese dei Rasini, proprietaria del feudo di Buccinasco) e palermitani (quelli provenienti da Giuseppe Azzaretto, uomo di fiducia di Giulio Andreotti in Sicilia).[1]
Nel 1970 Dario Azzaretto, figlio di Giuseppe, diviene socio della banca. Sempre nel 1970, il procuratore della banca Luigi Berlusconi (padre di Silvio Berlusconi) ratifica un'operazione destinata ad avere un peso nella storia della Rasini: la banca acquisisce una quota della Brittener Anstalt, una società di Nassau legata alla Cisalpina Overseas Nassau Bank, nel cui consiglio d'amministrazione figurano nomi destinati a divenire famosi, come Roberto Calvi, Licio Gelli, Michele Sindona e monsignor Paul Marcinkus.
Nel 1973 la Banca Rasini diviene una S.p.a., ed il controllo passa dai Rasini agli Azzaretto. Il Consiglio di Amministrazione della Banca Rasini S.p.a. è costituito da Dario e Giuseppe Azzaretto, Mario Ungaro (avvocato romano e noto amico di Michele Sindona e Giulio Andreotti), Rosolino Baldani e Carlo Rasini.[1]
Ma nel 1974, nonostante l'ottima situazione finanziaria della Banca Rasini (che nell'ultimo anno aveva guadagnato oltre un quarto del suo capitale), Carlo Rasini lascia la banca fondata dalla sua famiglia, dimettendosi anche dal ruolo di consigliere. Secondo gli analisti, le ragioni delle dimissioni di Carlo Rasini sono da cercarsi nella sua mancanza di fiducia verso il resto del Consiglio di Amministrazione, e degli Azzaretto in particolare.
Sempre nel 1974, Antonio Vecchione diviene Direttore Generale, ed in soli dieci anni il valore della banca esplode, passando dal miliardo di lire nel 1974 al valore stimato di circa 40 miliardi di lire nel 1984.
Il 15 febbraio 1983 la Banca Rasini sale agli onori della cronaca, per via dell'"Operazione San Valentino". La polizia milanese effettua una retata contro gli esponenti di Cosa Nostra a Milano, e tra gli arrestati figurano numerosi clienti della Banca Rasini, tra cui Luigi Monti, Antonio Virgilio e Robertino Enea. Si scopre che tra i correntisti miliardari della Rasini vi sono Totò Riina e Bernardo Provenzano. Anche il direttore Vecchione e parte dei vertici della banca vengono processati e condannati, in quanto emerge il ruolo della Banca Rasini come strumento per il riciclaggio dei soldi della criminalità organizzata.
Dopo il 1983, Giuseppe Azzaretto cede la banca a Nino Rovelli. Nino Rovelli è un imprenditore (noto soprattutto per la vicenda Imi-Sir) e non ha esperienza nel settore bancario. Nelle inchieste tuttora in corso sulla Banca Rasini, Nino Rovelli è spesso considerato un uomo che ha coperto la vera dirigenza della banca fino al 1992. Tuttavia, non esistono evidenze al riguardo, né ipotesi sui nomi dei veri amministratori della Banca.
Nel 1992 la Banca Rasini viene inglobata nella Banca Popolare di Lodi, ma è solo nel 1998 che la Procura di Palermo mette sotto sequestro tutti gli archivi della banca. I giudici di Palermo, anche a seguito delle rivelazioni di Michele Sindona (intervista del 1985 ad un giornalista americano, Nick Tosches) e di altri "pentiti", indicano la stessa banca Rasini come coinvolta nel riciclaggio di denaro di provenienza mafiosa. Tra i correntisti della banca figurava anche Vittorio Mangano, il mafioso che lavorò nella villa di Silvio Berlusconi dal 1973 al 1975.
Legami con la mafia [modifica]
La Banca Rasini deve la sua fama tra gli studiosi della storia d'Italia, soprattutto alle dichiarazioni di Michele Sindona del 1984. Quando il giornalista del New York Times, Nick Tosches, chiese a Sindona (poco prima della misteriosa morte di quest'ultimo): «Quali sono le banche usate dalla mafia?». Sindona rispose: «In Sicilia il Banco di Sicilia, a volte. A Milano una piccola banca in Piazza dei Mercanti». In effetti, le indagini successive alla retata dell'Operazione San Valentino dimostrarono ampiamente il ruolo della Banca Rasini nel riciclaggio dei soldi della mafia, ed i contatti dell'istituto coi più alti vertici mafiosi. Il Commissario di Polizia Calogero Germanà ha ipotizzato che l'istituto, al pari della Banca Sicula di Trapani, fosse uno dei centri per il riciclaggio del denaro sporco di Cosa Nostra. [2]
Legami con la famiglia Berlusconi [modifica]
Tra i personaggi famosi con cui la Banca Rasini ebbe dei legami va citato l'imprenditore e uomo politico Silvio Berlusconi. Il padre di Silvio Berlusconi, Luigi Berlusconi fu prima un impiegato alla Rasini, quindi procuratore con diritto di firma, ed infine assunse un ruolo direttivo all'interno della stessa[3]. La Banca Rasini, e Carlo Rasini in particolare, furono i primi finanziatori di Silvio Berlusconi all'inizio della sua carriera imprenditoriale. Silvio e suo fratello Paolo Berlusconi avevano un conto corrente alla Rasini, così come numerose società svizzere che possedevano parte della Edilnord, la prima compagnia edile con cui Silvio Berlusconi iniziò a costruire la sua fortuna.
La Banca Rasini risulta anche nella lista di banche ed istituti di credito che gestirono il passaggio dei finanziamenti di 113 miliardi di lire (equivalenti ad oltre 300 milioni di euro nel 2006) che ricevette la Fininvest, il gruppo finanziario e televisivo di Berlusconi, tra il 1978 ed il 1983.
Il giornale inglese The Economist cita ripetutamente la Banca Rasini nel suo noto reportage su Silvio Berlusconi[4], sottolineando che Berlusconi ha effettuato transazioni illecite per mezzo della banca. È stato infatti accertato che Silvio Berlusconi ha registrato presso la banca ventitré holding come negozi di parrucchiere ed estetista. Anche per fare chiarezza su questi fatti nel 1998 l'archivio della banca è stato messo sotto sequestro.
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e
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Re: Berlusconi è ancora armato e pericoloso
A queste notizie "ufficiali" occorre aggiungere la parte mancante di come B. ha iniziato i contatti con la mafia. E' il padre ad introdurlo nel giro, quando la mafia della Rasini deve costruire a Milano e Luigi Berlusconi propone il figlio come prestanome sicuro.
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Re: Berlusconi è ancora armato e pericoloso
Vittorio Mangano
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vittorio Mangano (Palermo, 18 agosto 1940 – Palermo, 23 luglio 2000) è stato un criminale italiano pluriomicida legato a Cosa Nostra conosciuto - attraverso le cronache giornalistiche che hanno seguito le vicende processuali che lo hanno visto coinvolto - con il soprannome de "lo stalliere di Arcore", data l'attività che svolgeva presso la villa brianzola di Silvio Berlusconi. Fu definito da Paolo Borsellino una delle "teste di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord Italia"
Biografia [modifica]
Nel 1957 abbandonò gli studi al terzo anno di istituto tecnico industriale; nel 1964 si sposò ed ebbe la prima figlia (la seconda nel 1967). Dal 1965 in poi entrò nelle cronache giudiziarie. Cinque anni prima di trasferirsi a Milano subì tre arresti e vari procedimenti penali per truffa, emissione di assegni a vuoto, ricettazione, lesioni volontarie, tentata estorsione; subisce le prime condanne[3]: per assegni a vuoto dalla Pretura di Milano (15 giorni di reclusione), per truffa dalla Corte d'appello di Palermo (1 anno e 4 mesi; pena condonata).[4]
Nel 1973 tramite Marcello Dell'Utri che l'aveva conosciuto anni prima venne assunto come "stalliere", con funzioni di amministratore, nella villa di Arcore di Silvio Berlusconi, nella quale visse e lavorò fino al 1975. La Procura della Repubblica di Palermo sostiene che Dell'Utri era a conoscenza dei precedenti penali di Mangano. Al tempo in cui Dell'Utri, infatti, lasciò l'impiego in banca per diventare collaboratore di Berlusconi, e successivamente chiamò Mangano ad Arcore, la locale stazione dei Carabinieri ricevette un'informativa dai carabinieri palermitani che segnalava Mangano quale persona con precedenti giudiziari e Dell'Utri quale persona che ne era informata.[5]
Secondo Marco Travaglio, Mangano lasciò la villa di Arcore nel 1976 (a dire di Mangano di propria iniziativa), mentre Berlusconi con la famiglia si trasferì prima in Svizzera e poi in Spagna[6]. Lo stesso Berlusconi, in un'intervista al Corriere della Sera rilasciata nel 1994, dirà che "rapporti con la mafia ne ho avuti una volta soltanto, vent'anni fa, quando tentarono di rapire mio figlio Piersilvio, che allora aveva 5 anni: portai la mia famiglia in Spagna, e vissero lì molti mesi" e, in riferimento specifico a Mangano, aggiunse che "è lo stesso uomo che licenziammo non appena scoprimmo che si stava adoperando per organizzare il rapimento di un mio ospite, il principe di Santagata. E fu poco dopo che venne scoperto anche il tentativo di rapire mio figlio"[7].
Il 28 novembre 1986 una bomba esplose nella villa di Berlusconi in via Rovani a Milano, provocando pochi danni con lo sfondamento del cancello esterno. Berlusconi parlando al telefono con Dell'Utri accusò Mangano,[8][9] il quale in realtà si trovava in carcere in Sicilia a scontare una condanna (l'attentato è ascrivibile altresì alla mafia catanese, come risulta dalle dichiarazioni del pentito Antonino Galliano, un affiliato del clan della Noce).[10]
Tommaso Buscetta e Totò Contorno, durante il maxiprocesso di Palermo (1986-1987), lo indicarono come "uomo d'onore" appartenente a Cosa Nostra, nella "famiglia" di Pippo Calò, il capo della "famiglia" di Porta Nuova (della quale aveva fatto parte lo stesso Buscetta). Il mafioso Gaspare Spatuzza, ascoltato il 4 dicembre 2009 come testimone nel processo d'appello a Dell'Utri, descrive Mangano come vero e proprio capo mandamento di Porta Nuova durante gli anni delle stragi del 1992 e 1993.
Il nome di Mangano viene citato per la prima volta dal Procuratore della Repubblica Paolo Borsellino in una intervista rilasciata il 19 maggio 1992[11] (due mesi prima di essere ucciso nell'attentato di via d'Amelio), riguardante i rapporti tra mafia, affari e politica. Borsellino affermò che Mangano era "uno di quei personaggi che erano i ponti, le teste di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord Italia".[1] [2] Il 19 luglio 2000 Mangano fu condannato in primo grado dalla Corte di Assise di Palermo all'ergastolo per il duplice omicidio di Giuseppe Pecoraro e Giovambattista Romano, quest'ultimo vittima della "lupara bianca" nel gennaio del 1995. Di questo secondo omicidio Mangano sarebbe stato l'esecutore materiale.[12]
Mangano, malato di tumore, morì pochi giorni dopo la sentenza, il 23 luglio 2000, in casa, agli arresti domiciliari, che gli erano stati concessi per motivi di salute, lasciando il carcere, dove già da cinque anni stava scontando la pena a cui era stato precedentemente condannato (traffico di stupefacenti, estorsione).[13][14] Verrà inoltre sospettato di aver rapito il sedicente principe Luigi D'Angerio dopo una cena alla villa di Silvio Berlusconi, il 7 dicembre 1974. I pentiti Salvatore Cancemi e Calogero Ganci dichiararono che la compagnia Fininvest di Berlusconi, attraverso Marcello Dell'Utri e Mangano, pagò a Cosa Nostra 200 milioni di lire (circa 100.000 €) annualmente[15].
L'8 aprile 2008 Marcello Dell'Utri durante un’intervista ha suscitato molte polemiche definendo Mangano un uomo che fu "a suo modo un eroe" perché, a suo dire, pur malato terminale di tumore si rifiutò di inventare dichiarazioni contro Berlusconi o lo stesso Dell'Utri nonostante i benefici che ciò avrebbe potuto portargli.[16] Vittorio Mangano è sepolto nel cimitero dell'Abbazia dei Benedettini di San Martino delle Scale e sulla sua tomba è incisa la frase evangelica "Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il Regno dei Cieli".
Il giorno dopo (9 aprile) lo stesso Berlusconi durante la trasmissione televisiva Omnibus su La7 sostiene questa tesi commentando: "Su Vittorio Mangano ha detto bene Dell'Utri: quando era in carcere ed era malato, i pm gli dicevano che se avesse detto qualcosa su Berlusconi sarebbe andato a casa e lui eroicamente non inventò mai nulla su di me, i pm lo lasciarono andare a casa solo il giorno prima della sua morte. Mangano era una persona che con noi si è comportata benissimo, stava con noi e accompagnava anche i miei figli a scuola. Poi ha avuto delle disavventure che lo hanno portato nelle mani di una organizzazione criminale, ma non mi risulta che ci siano sentenze definitive nei suoi confronti. Poi quando era in carcere fu aggredito da un male che lo fece gonfiare in maniera spropositata. Quindi bene dice Dell'Utri nel considerare eroico un comportamento di questo genere", posizione ribadita poi intervenendo a 28 minuti, trasmissione di RadioDue dello stesso giorno. [17] La stessa posizione è stata ribadita il 29 novembre 2009 da Dell'Utri stesso nella trasmissione In mezz'ora condotto dalla giornalista Lucia Annunziata [18] e il 29 giugno 2010, commentando la propria condanna in appello per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.[19]
****
Il problema è che Berlusconi non ha mai raccontato la verità in vita sua.
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Vittorio Mangano (Palermo, 18 agosto 1940 – Palermo, 23 luglio 2000) è stato un criminale italiano pluriomicida legato a Cosa Nostra conosciuto - attraverso le cronache giornalistiche che hanno seguito le vicende processuali che lo hanno visto coinvolto - con il soprannome de "lo stalliere di Arcore", data l'attività che svolgeva presso la villa brianzola di Silvio Berlusconi. Fu definito da Paolo Borsellino una delle "teste di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord Italia"
Biografia [modifica]
Nel 1957 abbandonò gli studi al terzo anno di istituto tecnico industriale; nel 1964 si sposò ed ebbe la prima figlia (la seconda nel 1967). Dal 1965 in poi entrò nelle cronache giudiziarie. Cinque anni prima di trasferirsi a Milano subì tre arresti e vari procedimenti penali per truffa, emissione di assegni a vuoto, ricettazione, lesioni volontarie, tentata estorsione; subisce le prime condanne[3]: per assegni a vuoto dalla Pretura di Milano (15 giorni di reclusione), per truffa dalla Corte d'appello di Palermo (1 anno e 4 mesi; pena condonata).[4]
Nel 1973 tramite Marcello Dell'Utri che l'aveva conosciuto anni prima venne assunto come "stalliere", con funzioni di amministratore, nella villa di Arcore di Silvio Berlusconi, nella quale visse e lavorò fino al 1975. La Procura della Repubblica di Palermo sostiene che Dell'Utri era a conoscenza dei precedenti penali di Mangano. Al tempo in cui Dell'Utri, infatti, lasciò l'impiego in banca per diventare collaboratore di Berlusconi, e successivamente chiamò Mangano ad Arcore, la locale stazione dei Carabinieri ricevette un'informativa dai carabinieri palermitani che segnalava Mangano quale persona con precedenti giudiziari e Dell'Utri quale persona che ne era informata.[5]
Secondo Marco Travaglio, Mangano lasciò la villa di Arcore nel 1976 (a dire di Mangano di propria iniziativa), mentre Berlusconi con la famiglia si trasferì prima in Svizzera e poi in Spagna[6]. Lo stesso Berlusconi, in un'intervista al Corriere della Sera rilasciata nel 1994, dirà che "rapporti con la mafia ne ho avuti una volta soltanto, vent'anni fa, quando tentarono di rapire mio figlio Piersilvio, che allora aveva 5 anni: portai la mia famiglia in Spagna, e vissero lì molti mesi" e, in riferimento specifico a Mangano, aggiunse che "è lo stesso uomo che licenziammo non appena scoprimmo che si stava adoperando per organizzare il rapimento di un mio ospite, il principe di Santagata. E fu poco dopo che venne scoperto anche il tentativo di rapire mio figlio"[7].
Il 28 novembre 1986 una bomba esplose nella villa di Berlusconi in via Rovani a Milano, provocando pochi danni con lo sfondamento del cancello esterno. Berlusconi parlando al telefono con Dell'Utri accusò Mangano,[8][9] il quale in realtà si trovava in carcere in Sicilia a scontare una condanna (l'attentato è ascrivibile altresì alla mafia catanese, come risulta dalle dichiarazioni del pentito Antonino Galliano, un affiliato del clan della Noce).[10]
Tommaso Buscetta e Totò Contorno, durante il maxiprocesso di Palermo (1986-1987), lo indicarono come "uomo d'onore" appartenente a Cosa Nostra, nella "famiglia" di Pippo Calò, il capo della "famiglia" di Porta Nuova (della quale aveva fatto parte lo stesso Buscetta). Il mafioso Gaspare Spatuzza, ascoltato il 4 dicembre 2009 come testimone nel processo d'appello a Dell'Utri, descrive Mangano come vero e proprio capo mandamento di Porta Nuova durante gli anni delle stragi del 1992 e 1993.
Il nome di Mangano viene citato per la prima volta dal Procuratore della Repubblica Paolo Borsellino in una intervista rilasciata il 19 maggio 1992[11] (due mesi prima di essere ucciso nell'attentato di via d'Amelio), riguardante i rapporti tra mafia, affari e politica. Borsellino affermò che Mangano era "uno di quei personaggi che erano i ponti, le teste di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord Italia".[1] [2] Il 19 luglio 2000 Mangano fu condannato in primo grado dalla Corte di Assise di Palermo all'ergastolo per il duplice omicidio di Giuseppe Pecoraro e Giovambattista Romano, quest'ultimo vittima della "lupara bianca" nel gennaio del 1995. Di questo secondo omicidio Mangano sarebbe stato l'esecutore materiale.[12]
Mangano, malato di tumore, morì pochi giorni dopo la sentenza, il 23 luglio 2000, in casa, agli arresti domiciliari, che gli erano stati concessi per motivi di salute, lasciando il carcere, dove già da cinque anni stava scontando la pena a cui era stato precedentemente condannato (traffico di stupefacenti, estorsione).[13][14] Verrà inoltre sospettato di aver rapito il sedicente principe Luigi D'Angerio dopo una cena alla villa di Silvio Berlusconi, il 7 dicembre 1974. I pentiti Salvatore Cancemi e Calogero Ganci dichiararono che la compagnia Fininvest di Berlusconi, attraverso Marcello Dell'Utri e Mangano, pagò a Cosa Nostra 200 milioni di lire (circa 100.000 €) annualmente[15].
L'8 aprile 2008 Marcello Dell'Utri durante un’intervista ha suscitato molte polemiche definendo Mangano un uomo che fu "a suo modo un eroe" perché, a suo dire, pur malato terminale di tumore si rifiutò di inventare dichiarazioni contro Berlusconi o lo stesso Dell'Utri nonostante i benefici che ciò avrebbe potuto portargli.[16] Vittorio Mangano è sepolto nel cimitero dell'Abbazia dei Benedettini di San Martino delle Scale e sulla sua tomba è incisa la frase evangelica "Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il Regno dei Cieli".
Il giorno dopo (9 aprile) lo stesso Berlusconi durante la trasmissione televisiva Omnibus su La7 sostiene questa tesi commentando: "Su Vittorio Mangano ha detto bene Dell'Utri: quando era in carcere ed era malato, i pm gli dicevano che se avesse detto qualcosa su Berlusconi sarebbe andato a casa e lui eroicamente non inventò mai nulla su di me, i pm lo lasciarono andare a casa solo il giorno prima della sua morte. Mangano era una persona che con noi si è comportata benissimo, stava con noi e accompagnava anche i miei figli a scuola. Poi ha avuto delle disavventure che lo hanno portato nelle mani di una organizzazione criminale, ma non mi risulta che ci siano sentenze definitive nei suoi confronti. Poi quando era in carcere fu aggredito da un male che lo fece gonfiare in maniera spropositata. Quindi bene dice Dell'Utri nel considerare eroico un comportamento di questo genere", posizione ribadita poi intervenendo a 28 minuti, trasmissione di RadioDue dello stesso giorno. [17] La stessa posizione è stata ribadita il 29 novembre 2009 da Dell'Utri stesso nella trasmissione In mezz'ora condotto dalla giornalista Lucia Annunziata [18] e il 29 giugno 2010, commentando la propria condanna in appello per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.[19]
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Il problema è che Berlusconi non ha mai raccontato la verità in vita sua.
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Re: Berlusconi è ancora armato e pericoloso
Camillobenso:
Il problema è che Berlusconi non ha mai raccontato la verità in vita sua.
Non solo la "verità" non è congeniale con un nano,piduista, puttaniere e principe di Hardcore ma questo modo sfacciato e prepotente di dire il falso ha fatto proseliti con Formigoni, formighini.
Augh
Toro Seduto (Ta-Tanka I-Yo-Tanka)
‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’. C.L. Montesquieu
‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’. C.L. Montesquieu
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Re: Berlusconi è ancora armato e pericoloso
Processo per Tarantini e Began
Escort per Silvio e no della Arcuri
Otto imputati e una trentina di ragazze indotte a prostituirsi con Silvio Berlusconi, tra cui la soubrette Manuela Arcuri.
All'attrice fu offerta la conduzione del Festival di Sanremo se avesse trascorso una notte con il Cavaliere che se ne era invaghito.
Ma la bella Manuela declinò l'invito due volte.
omissis...
Danno una mano ad 'arruolarè le ragazze che vengono selezionate personalmente da Tarantini in base alla loro "giovane età e alla corporatura esile".
È Gianpi a sostenere le spese di viaggio e di soggiorno delle giovani.
E se una festa organizzata a Roma veniva spostata ad Arcore per impegni del Cavaliere, la carovana delle Gianpi-girl si spostava subito in Lombardia sull'aereo presidenziale, come accadde il 26 novembre 2008.
Con il passare del tempo, mano a mano che il rapporto con Berlusconi diventa cameratesco,
Gianpi tenta il colpaccio.
Sa che il sogno proibito del presidente è di passare la notte con Manuela Arcuri e vuole realizzarlo.
Cerca di far prostituire "in coppia" Manuela Arcuri e l'amica Francesca Lana,
ma il suo tentativo è destinato ad non realizzarsi.
Il 28 gennaio è la stessa Arcuri a confessare a Gianpi che
- sintetizza la Guardia di finanza -
"se il presidente le avesse fatto il favore richiesto (di far entrare il fratello Sergio in una fiction, ndr) sarebbe stato da lei ben ricompensato"
alludendo - annotano gli investigatori - "alla prestazione sessuale richiesta".
omissis...
Ma il sogno di Gianpi di far felice il premier tramonta definitivamente il 18 febbraio 2009 quando Berlusconi confida all'imprenditore barese di
"essere rimasto molto indignato per la volgarità espressa da Manuela Arcuri nel corso di un'intervista rilasciata al programma televisivo 'Le Ienè, ritenendola non più gradita.
Dice Tarantini:
"pensa che quella si era.. si era.. voleva sta lì quella sera".
Berlusconi:
"Meno male che non è stata qui, perché sennò... mi sarei sentito imbarazzato di essere andato con una t... così.
Vabbè cancellata".
E Tarantini ripete: "E vabbè".
------------------------------------------------
per la serie "Statisti"
abbiamo trasmesso:
"se questo è il primo ministro...figurarsi il resto"
Escort per Silvio e no della Arcuri
Otto imputati e una trentina di ragazze indotte a prostituirsi con Silvio Berlusconi, tra cui la soubrette Manuela Arcuri.
All'attrice fu offerta la conduzione del Festival di Sanremo se avesse trascorso una notte con il Cavaliere che se ne era invaghito.
Ma la bella Manuela declinò l'invito due volte.
omissis...
Danno una mano ad 'arruolarè le ragazze che vengono selezionate personalmente da Tarantini in base alla loro "giovane età e alla corporatura esile".
È Gianpi a sostenere le spese di viaggio e di soggiorno delle giovani.
E se una festa organizzata a Roma veniva spostata ad Arcore per impegni del Cavaliere, la carovana delle Gianpi-girl si spostava subito in Lombardia sull'aereo presidenziale, come accadde il 26 novembre 2008.
Con il passare del tempo, mano a mano che il rapporto con Berlusconi diventa cameratesco,
Gianpi tenta il colpaccio.
Sa che il sogno proibito del presidente è di passare la notte con Manuela Arcuri e vuole realizzarlo.
Cerca di far prostituire "in coppia" Manuela Arcuri e l'amica Francesca Lana,
ma il suo tentativo è destinato ad non realizzarsi.
Il 28 gennaio è la stessa Arcuri a confessare a Gianpi che
- sintetizza la Guardia di finanza -
"se il presidente le avesse fatto il favore richiesto (di far entrare il fratello Sergio in una fiction, ndr) sarebbe stato da lei ben ricompensato"
alludendo - annotano gli investigatori - "alla prestazione sessuale richiesta".
omissis...
Ma il sogno di Gianpi di far felice il premier tramonta definitivamente il 18 febbraio 2009 quando Berlusconi confida all'imprenditore barese di
"essere rimasto molto indignato per la volgarità espressa da Manuela Arcuri nel corso di un'intervista rilasciata al programma televisivo 'Le Ienè, ritenendola non più gradita.
Dice Tarantini:
"pensa che quella si era.. si era.. voleva sta lì quella sera".
Berlusconi:
"Meno male che non è stata qui, perché sennò... mi sarei sentito imbarazzato di essere andato con una t... così.
Vabbè cancellata".
E Tarantini ripete: "E vabbè".
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