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camillobenso
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Psichiatria - 1

Ha destato parecchia impressione da queste parti lo sterminio familiare di Motta Visconti.

Nessuno si raccapezza più.


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Da L'Espresso.it:


CRONACA
Femminicidio, le dimenticanze di Matteo Renzi
Manca la sua firma per sbloccare i fondi

La strage di Motta Visconti riporta l'attenzione sul tema della violenza di genere, un'emergenza spesso al centro del dibattito politico. Peccato che il "piano di azione straordinario" sia fermo al palo da mesi. Tutto perché manca l'ok del ministero delle pari opportunità, la cui delega è nelle mani dell'ex Rottamatore
DI CARMINE GAZZANNI
16 giugno 2014


Femminicidio, le dimenticanze di Matteo Renzi
Manca la sua firma per sbloccare i fondi


I dati restano preoccupanti e quanto accaduto sabato sera a Motta Visconti nel milanese ne è la conferma: ancora molto dev’essere fatto per combattere la violenza di genere e l’ondata di femminicidio. È stato, d’altronde, lo stesso Viminale a snocciolare i numeri, non a caso nel giorno delle festa della donna. Mentre calano gli omicidi di genere, non calano quelli che hanno avuto come vittime le donne: dai 528 omicidi del 2012 si è passati ai 501 del 2013, mentre per i femminicidi, all’opposto, dai 159 registrati due anni fa si è arrivati l’anno scorso a quota 177, quasi uno ogni tre giorni. Una tendenza che, purtroppo, pare trovare conferma nel rapporto sull'omicidio volontario pubblicato proprio oggi, realizzato dall’Eures in collaborazione con l’Ansa.

Dal dossier emerge come nel contesto familiare e affettivo la vittima sia principalmente donna (61,1%), di età compresa tra i 25 e i 54 anni. Mentre il killer in oltre 9 casi su 10 è un uomo. E, forse, non è un caso che gli omicidi tra compagni interessino quasi la metà (49,1%) delle vittime totali di uccisioni in famiglia. I dati, poi, raccontano anche di un impressionante trend decennale: dal 2003 al 2012 si sono contati ben 1.838 omicidi volontari consumati all’interno della sfera familiare o affettiva, con una media annua di 184 vittime, pari ad una vittima ogni 2 giorni.

Numeri, insomma, su cui bisognerebbe riflettere e non poco. Anche in ambito istituzionale.

Negli anni, è vero, tanto è stato fatto. Nel 1996 venne approvata la legge sulle “norme contro la violenza sessuale” e poi nel 2009 con il decreto (poi convertito in legge) recante “misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”. Due provvedimenti importanti che hanno dotato il nostro Paese di strumenti per il contrasto alla violenza di genere.

Affinché però ci possa essere una reale azione di tutela delle donne, si sa, sono necessari fondi di cui possano avvalersi centri e associazioni presenti sul territorio. Ce l’ha detto, d’altronde, anche l’Europa con la Convenzione del 7 aprile 2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata in Italia il 19 giugno scorso. Cristallino l’articolo 8: “Le Parti stanziano le risorse finanziarie e umane appropriate per un’adeguata attuazione di politiche integrate, di misure e di programmi destinati a prevenire e combattere ogni forma di violenza rientrante nel campo di applicazione della presente Convenzione”.

Ed ecco allora che - anche in funzione delle disposizioni comunitarie - nell’agosto del 2013 è stato approvato un altro decreto tramite cui si prevede anche un finanziamento “per la realizzazione di azioni a sostegno delle donne vittime di violenza”. Dieci milioni per il 2013. Ma non basta: governo e Parlamento sembravano voler fare realmente sul serio, e allora è stata inserita un’ulteriore norma nella legge di stabilità 2014, attraverso cui si è incrementato il fondo di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016. Un finanziamento significativo per far partire il “Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”.

Un impegno importante, anche perché, per l’anno in corso, risultano a disposizione non solo i 10 milioni previsti per il 2014 ma anche ulteriori 8 di risorse non utilizzate nell’anno precedente. Per un totale di 18 milioni di euro. E, in effetti, già si saprebbe come investirli. Basti prendere in mano il bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei ministri: 10 milioni di euro per il già menzionato “Piano d’azione”; 7 milioni per l’assistenza e sostegno territoriale a donne vittime di violenza e ai loro figli; 300.000 euro per la stipula di convenzioni o accordi finalizzati all’aggiornamento di statistiche sulla criminalità contro le donne e all’istituzione di una banca dati sui possibili servizi offerti; e infine 700.000 euro per la prosecuzione delle attività per il contrasto alla violenza di genere e allo stalking.

Tanti buoni propositi che, ad oggi, restano solo propositi visto che manca la firma. Come lamentano le tante associazioni di settore, i soldi sono fermi al palo poiché nessuno li ha ancora effettivamente stanziati. Il motivo? Bisogna che se ne occupi “il ministro delegato per le pari opportunità”. Questo prevede il decreto del 2013. Peccato però che, ad oggi e contrariamente ai suoi predecessori, Renzi abbia tenuto per sé la delega. E non abbia pensato ad assegnare nemmeno una piccola fetta dei 18 milioni. Insomma, non c’è nessun ministro, viceministro o sottosegretario che possa occuparsi della questione, semplicemente apponendo una firma a quanto già predisposto e previsto a bilancio.

D’altronde anche la compagna di partito di Renzi ed ex viceministro proprio con delega alle pari opportunità, Maria Cecilia Guerra, aveva messo in guardia l’ex premier in un’intervista del 30 aprile scorso: fino ad ora, argomentava la Guerra, il governo Renzi non ha prestato la dovuta attenzione alla tematica, “prima con l’abolizione del Ministero e ora per via di questa delega ancora in capo al Presidente del Consiglio. Mi permetto di dubitare non certo delle buone intenzioni di Renzi nei confronti di questo problema, ma semplicemente del fatto che i compiti del suo ufficio gli lascino lo spazio per occuparsene. Per ora è tutto fermo”.

“Chi ha l’autorità politica per convocare i gruppi di lavoro del piano?”, si chiedeva ancora Guerra. “In teoria i gruppi li dovrebbe convocare Renzi stesso, ma faccio fatica a credere che, con il mestiere che fa, possa assumere un ruolo operativo nei confronti del piano”. Dubbi che, ancora oggi, sembrano fondati.

http://espresso.repubblica.it/attualita ... i-1.169606
camillobenso
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Re: Psicologia, Psichiatria, Sociologia, Costume & Società

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Psichiatria - 2


Padre: “Condannatemi all’ergastolo”

Forse Carlo Lissi non ha fatto bene i suoi calcoli. La giustizia potrebbe condannarlo all'ergastolo, la giustizia del carcere, a meno che non sia cambiata ora, invece non perdona. Gli omicidi dei bambini non vengono tollerati all'interno delle carceri italiane. Potrebbero adottare la giustizia carceraria.


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Omicidio Motta Visconti, madre e due figli uccisi. Padre: “Condannatemi all’ergastolo”

Ha sterminato la famiglia, poi è andato a vedere la partita in un pub. Un amico: "Non era nervoso, sorrideva e parlava di calcio". Carlo Lissi dopo un lungo interrogatorio ha confessato il triplice omicidio e ha fatto ritrovare in un tombino il coltello usato per il delitto. Il 31enne ha raccontato di amare un'altra donna. Ora si trova in carcere a Pavia

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 16 giugno 2014Commenti (1280)


“Voglio il massimo della pena”. Con queste parole Carlo Lissi ha confessato di aver ucciso la moglie Cristina Omes di 38 anni e i figli Giulia di 5 e il piccolo Gabriele di 20 mesi, nella villetta di Motta Visconti (Milano). Ai carabinieri del Comando provinciale di Milano e della compagnia di Abbiategrasso che lo hanno incalzato per tutta la domenica, Lissi ha raccontato di aver fatto l’amore con la moglie prima di sterminare l’intera famiglia e di essere poi andato a vedere la partita. Ha ricostruito con precisione la dinamica del massacro: ha colpito alle spalle Cristina che guardava la televisione e che ha gridato: “Carlo, Carlo perché mi fai questo?”.

Con lo stesso coltello ha ucciso Giulia nella sua cameretta, e il piccolo Gabriele, che si trovava nel lettone di mamma e papà. Il movente rimane ancora da definire, ma l’uomo avrebbe avuto una passione non corrisposta per una collega. Agli investigatori ha anche indicato il tombino dove ritrovare il coltello. Dopo la confessione, il commercialista 31enne è stato trasferito nel carcere di Pavia.

Lissi aveva raccontato ai carabinieri di aver trovato i cadaveri dei famigliari al suo rientro nell’abitazione intorno alle 2 di domenica, dopo aver guardato la partita dell’Italia a casa di amici. All’inizio gli uomini del Nucleo investigativo, guidati dal tenente colonnello Alessio Carparelli, non hanno escluso nessuna ipotesi: dalla rapina finita nel sangue all’omicidio-suicidio. Ma dopo aver sentito l’uomo più volte per tutta la domenica e confrontato il suo racconto con le dichiarazioni di amici e testimoni hanno cominciato a concentrarsi sulla pista famigliare.

A far crollare il racconto dell’uomo sono stati i riscontri scientifici e medico-legali emersi dalla scena del delitto, ma gli investigatori hanno avuto sentori anche di forti tensioni all’interno della coppia. Un particolare che ha confermato i sospetti sul commercialista. Tutti questi tasselli, raccolti e messi in fila con precisione dai carabinieri – coordinati dal procuratore capo di Pavia Gustavo Cioppa - hanno portato al fermo di Lissi dopo l’interrogatorio nella caserma dei carabinieri di Abbiategrasso.

Uno degli amici ha raccontato che Carlo non ha mostrato nessun segno che potesse far pensare a quello che era successo: “Non tremava, non era nervoso, sorrideva e parlava di calcio, come tutti”. “Ha anche esultato in occasione dei gol di Marchisio e Balotelli”, hanno precisato gli inquirenti. Il clima nel pub è festoso, con battute, urla, gli occhi incollati al maxischermo, rituali normali in occasione dei Mondiali. Ma l’uomo, dietro di sè, ha lasciato una scia di sangue, e mentre beve una birra e segue con trepidazione le azioni di gioco, a casa Cristina, Giulia e Gabriele giacciono morti da meno di mezz’ora.

“Abbiamo sentito un urlo poco prima delle 23. Io e mia moglie eravamo in casa – ha raccontato agli investigatori poco dopo il delitto Paolo Pettinelli, un vicino di casa -, abbiamo pensato fossero i ragazzi che di solito si trovano alla sera nel parco in fondo alla via a giocare. Abbiamo sentito anche un urlo ‘aiuto’ ma abbiamo pensato fossero sempre i ragazzi. Solo dopo abbiamo associato la voce a quella di Cristina. Le grida sono cessate di colpo poi c’e’ stato silenzio. Attorno alle due abbiamo sentito il grido d’aiuto di Carlo e siamo usciti. Io ero in taverna – continua il testimone – e mi ha chiamato mia moglie Anna. Carlo era vestito con maglietta e pantaloni, non abbiamo visto se corti o lunghi dal giardino. Urlava: “Hanno ammazzato tutti. Sono stati i ladri’. Poi ho chiamato il 112″. Intanto erano usciti anche gli altri vicini e qualcuno ha visto Carlo telefonare ai carabinieri”.

I carabinieri che hanno risolto il triplice omicidio in meno di 48 ore hanno sottolineato che “qualche autorità locale di Motta Visconti poteva attendere la fine delle indagini prima di avvalorare una tesi rispetto a un’altra”. Il riferimento è alle dichiarazioni del sindaco eletto, in carica da pochi mesi, Primo De Giuli che a caldo aveva associato il delitto all’escalation di furti in abitazione che a suo dire si sono registrati in paese nell’ultimo periodo. “Non c’è stato un raptus o un elemento scatenante - hanno aggiunto gli inquirenti – come una lite, o una brutta notizia: Lissi ha agito in modo lucido, nonostante il folle gesto”. E mai l’uomo aveva dato adito a violenze in famiglia o a liti particolari con i conoscenti.

Ha collaborato Andrea Ballone


http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06 ... o/1028828/
Ultima modifica di camillobenso il 16/06/2014, 19:01, modificato 1 volta in totale.
camillobenso
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Re: Psicologia, Psichiatria, Sociologia, Costume & Società

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La vox populi:


In questo caso più che mai diventa interessante capire il pensiero tricolore.


Ultimo commento dei 1287 pervenuti.


Mariolino • 26 minuti fa
Sono pronto a scommettere che la mamma di Carlo Lissi dirà che il figlio è un bravo ragazzo e che i bravi concittadini diranno che a scatenare la follia sarà stata l'eccessiva presenza di extracomunitari.
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Per dirla alla Di Pietro : <<Che c'azzecca???>>
aaaa42
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Re: Psicologia, Psichiatria, Sociologia, Costume & Società

Messaggio da aaaa42 »

Povero Telemaco
3 luglio 2014 alle ore 13.10

Come ormai tutti sanno, il Presidente del Consiglio ha citato il Telemaco del libro dello psicanalista lacaniano Massimo Recalcati, molto noto in Italia sia come studioso e terapaeuta sia come personaggio pubblico chiamato a commentare le vicende politiche e i costumi della società italiana.

Chi, come il sottoscritto, conosce il lavoro di Recalcati e Lacan, nonché lo stesso libro citato da Renzi, non ha potuto che fare un piccolo balzo sulla sedia nel sentire quella citazione. Non è stato un balzo di approvazione né di ammirato stupore per la colta citazione. È stata la reazione di chi ancora non si rassegna alla modalità tutta postmoderna di citare “alla caXXo” (e mi perdonerete la lingua d’oltralpe) libri e concetti alla moda.

Insomma, non è possibile che chi ha fatto della rivolta contro i padri, della cosiddetta rottamazione, del conflitto fra generazioni i suoi cavalli di battaglia si trovi a citare un libro che sta in una costellazione culturale che invece tende a riaffermare il ruolo del padre e in generale dell’autorità generatrice di progetti di vita contro il narcisismo e il godimento sfrenato che rifiutano qualsiasi tipo di autorità. Infatti, il culto del nuovismo autoreferenziale segnala sempre il persistere di una fantasia onnipotente caratterizzata dal narcisismo infantile.

La legge della castrazione ci dice che l'essere umano non può appropriarsi direttamente della cosa materna. Dovrà aprirsi al desiderio, alla possibilità cioè di creare arte, istituzioni, oggetti sociali per riavvicinarsi alle cose, provare ad attenuare la distanza, quella distanza che la legge della castrazione impone, che è, sì, un dolore ma, allo stesso tempo, significa la libertà, l'umanità che ci distingue dagli animali. L'essere umano rinuncia a una quota di vitalità, ma allo stesso tempo si immerge nella cultura, nella libertà. Senza la mediazione, senza la parola la vita sarebbe puramente animale, godimento immediato, dissoluzione nichilistica nella volontà di potenza. Siamo qui all'origine del patto sociale, di qualsiasi forma di società. Rinuncio a godere del tutto e del corpo della madre per differire il godimento, creare una famiglia ed ereditare un nome – per dirla in termini lacaniani –, e inscrivermi così nel corpo sociale, riconosciuto come portatore di un differimento, soggetto adeguato al patto che tiene assieme gli uomini e le donne in società, quindi potenzialmente atto a costruire oggetti sociali, artistici e religiosi.

Il capitalismo dell'ipermodernità consumista è diventato egemonico nella vita di milioni di persone e si è imposto sulle grandi narrazioni che compenetravano filosofia e vita grazie alla lotta politica e al conflitto sociale. Ha messo infatti in campo la produzione inesauribile di oggetti ed esperienze in grado di suscitare emozioni e godimenti intensi, a loro volta resi possibili da soluzioni tecniche di grande efficacia comunicativa. Gli oggetti, le cose, il mondo sono così a portata di mano e identici gli uni con gli altri nel loro essere produttori di godimento fuori da qualsiasi cornice valoriale. Il mondo non ha bisogno di essere interpretato e non necessita del lavoro come medium tra soggetto e oggetto. Essi sono infatti unificati nel godimento continuo e la realtà come mistero da interpretare nella sua non coincidenza col soggetto viene rimossa.

La politica ha cominciato a entrare in crisi come campo privilegiato della mediazione e con essa il partito, soggetto principe proprio della mediazione, intesa non tanto e non solo come compromesso, ma soprattutto come sforzo di elaborazione simbolica volta alla compenetrazione tra soggetto e oggetto. Infatti, se gli esseri umani non sentono più la distanza dalle cose, se l'alienazione è finalmente risolta da consumo e divertimento, perché affidare alla politica e ai partiti la costruzione della propria autonomia culturale e della propria libertà?

Appare dunque ben strano che chi ha cavalcato fino a oggi il disprezzo contro la mediazione, i partiti e l’eredità dei padri si trovi a citare uno psicanalista lacaniano che vede proprio nell’evaporazione del padre e dell’autorità il problema principale delle società occidentali. Infatti, l’identità sessuale, assieme ai doveri a essa connessi – a partire dalla legge di castrazione –, perde sempre più di importanza. Il pensiero stesso si inaridisce, nel momento in cui soggetto e oggetto vengono a coincidere, così come il finito con l’infinito, senza che l’esistenza umana avverta più la necessità di misurarsi con la storia – con le sue difficoltà e i suoi dolori psichici e materiali –, diluita nell’eterno presente del godimento immediato, dell’accesso diretto agli oggetti e agli altri soggetti, ormai trattati alla stregua di meri oggetti sessuali non problematici.

Si intravvedono dunque quali siano i problemi che emergono per la democrazia e la convivenza sociale nella nostra contemporaneità. Nel momento in cui l’esistenza non è più problematica, cioè caratterizzata dalla divisione, il soggetto che si sente ormai indiviso, fa valere la propria indiscutibile e compatta particolarità smarcandosi dal generale. Se la mediazione tra psiche e società – che richiede l'elemento terzo dell'elaborazione culturale – non ha ragione di essere, tutti sono chiamati a rivendicare il proprio oggetto del godimento senza dover sposare il punto di vista del generale. Ai politici spetta il compito di gestire la miriade di rivendicazioni che giungono nell’arena decisionale senza mediazioni. La classe politica si trova quindi sempre più in difficoltà a rispondere alle più disparate rivendicazioni. I politici, risultando incapaci di decidere fra più istanze – spesso in contraddizione tra loro e non connotate dal segno dell’universale che si acquisiva grazie al filtro dei partiti e dei vari corpi intermedi – perdono consenso e autorevolezza ma, allo stesso tempo, sono sempre e comunque sollecitati alla risoluzione dei problemi, cosa che innesca un circolo vizioso di risentimento antipolitico che ben conosciamo in Italia come nel resto d’Europa.

Che c’entra dunque il Telemaco di Recalcati? Proviamo a leggere un passo dal libro in oggetto: «Non esiste esistenza che non sia un ens causa sui. Noi non siamo padroni in casa nostra, ripete Freud. Come dobbiamo intendere allora questa espropriazione originaria del nostro fondamento? Come dobbiamo intendere questa assenza di autosufficienza che il fantasma ipermoderno della libertà vorrebbe invece poter annullare? Il riconoscimento della dipendenza della vita dall’Altro – del nostro debito simbolico – è la prima condizione perché vi sia eredità. Lacan parla di “dipendenza costituente” per segnalare il debito simbolico della vita verso l’Altro. Le dipendenze patologiche sono invece animate dall’illusione narcisistica del farsi da solo, del farsi senza Altro. È una delle espressioni più gravi del disagio attuale della giovinezza. È un tentativo disperato di cancellare la dimensione costituente della dipendenza».

Il testo di Recalcati è molto chiaro. Ci si può chiedere dunque se per caso Renzi non abbia cambiato idea sulla “rottamazione” e il conflitto generazionale, sul disprezzo per la mediazione e i corpi intermedi. Ne saremmo certamente contenti. Inoltre, a quel punto, potremmo sperare in un recupero di quella cultura cattolica – in cui è cresciuto il giovane scout Matteo – che ritiene l’autorità non oppressiva e illiberale, ma generatrice di libertà. Nella sua esperienza scoutistica il giovane Renzi avrà certamente imparato dai suoi educatori che l’essere umano è animale simbolico per cui è infondata la pretesa di accedere direttamente al mondo, a sé e agli altri senza bisogno di mediazione culturale e affettiva. Non può esistere un rapporto neutro e oggettivo con il mondo come vorrebbe la tecnoscienza, perché noi umani nasciamo già socializzati da un immaginario che ci precede e perché la vita, e con essa la libertà, sono un dono, qualcosa che non abbiamo scelto. Certamente, l’essere umano dovrà appropriarsi criticamente della tradizione, delle sedimentazioni culturali che eredita, ma allo stesso tempo sa che quel limite – il nascere all’interno di una cultura e di una tradizione – è anche ciò che lo rende libero, poiché la libertà sta nella capacità di elaborare culturalmente il mondo, senza essere schiacciati da un’oggettività indiscutibile. Da quei maestri cattolici lo scout Matteo avrà sicuramente imparato che si diventa soggetti liberi e autonomi, si ha accesso alla realtà autentica, si costruisce una comunità politica proprio grazie a quel limite, proprio grazie all’autorità dei padri, alla consapevolezza di aver ricevuto un dono, di non disporre dell’origine (non abbiamo infatti deciso di nascere), di essere mediati dal linguaggio e dalla cultura in cui nasciamo.

Ecco, se Matteo si ricordasse della cultura di provenienza, potrebbe dare un grande contributo anche alla sinistra italiana che ha dimenticato – nel suo incosciente libertarismo – che se l’autorità della parola non può più legittimare la differenza di posto tra l’autorità dell’insegnante e quella dell’allievo, e in generale qualsiasi gerarchia nella società, la società non avrà più anticorpi per frenare il godimento mortifero dell'individuo al fine di rendere possibile il patto sociale. Sembra un paradosso, e sicuramente per molta sinistra lo è, ma l’autorità, e con essa il ruolo della parola, garantiscono la possibilità del “no!”, della trasformazione dello stato di cose esistente. La crisi dell’autorità è crisi del conflitto e della mediazione e, quindi, crisi della politica.

Ieri, al Parlamento europeo, Matteo Renzi ha parlato al cospetto di decine di deputati eletti in liste fasciste, razziste e populiste. La crisi dell’autorità porta alla nascita di autorità non autorevoli che, sfruttando il bisogno umano di simbolizzare la realtà, producono comunque una narrazione in cui si assolutizza ciò che è relativo (la nazione, il colore della pelle, la lingua, la religione…) e che non apre quindi alla libertà, ma offre dominio e pretende sottomissione.

Speriamo allora che Matteo Renzi voglia davvero essere erede dei propri padri e della sua cultura di provenienza e che Massimo Recalcati smetta di incensarlo sui giornali smentendo ciò che lui stesso scrive (provando quindi a insegnargli il vero senso del suo lavoro).


Claudio Bazzocchi
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Re: Psicologia, Psichiatria, Sociologia, Costume & Società

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Costume & Società - 1
Gli effetti indotti della crisi - 1




UNA POLITICA PER I POVERI
(Chiara Saraceno).
12/07/2014 di triskel182


NEGLI anni della crisi il numero di coloro che si trovano in condizione di povertà assoluta, cioè impossibilitati a sostenere le spese necessarie alla sussistenza materiale, è raddoppiato, passando da 2,4 milioni di persone nel 2007 a 4,8 milioni nel 2012 (e non ci sono indicazioni tali da far ritenere che nel 2013 le cose siano andate meglio). Benché le differenze territoriali si siano ulteriormente allargate, con il Mezzogiorno sempre più impoverito, la povertà morde anche nel Centro-Nord.


L’aumento si è concentrato soprattutto tra minori e giovani, e tra le famiglie più giovani e con due o più figli.

A differenza degli anni passati, infatti, anche un secondo (e non solo un terzo) figlio fa aumentare di molto il rischio di povertà, stante l’erosione, quando non la perdita tout court, dei redditi da lavoro di molti genitori.

Viceversa, nonostante vi sia stato un aumento di povertà anche tra i più anziani, esso è stato contenuto, segnalando l’effetto protettivo della pensione (più sicura di un reddito da lavoro) e l’efficacia del mantenimento dell’indicizzazione per le pensioni più basse — di fatto l’unica politica di contrasto alla povertà effettuata in modo sistematico in questi anni.


Le altre sono state e sono invece occasionali, frammentate, rivolte a piccoli gruppi, mal disegnate e perciò inefficaci: dalla social card di 40 euro mensili destinata agli anziani sopra i sessantacinque anni e ai bambini sotto i tre, introdotta dall’ultimo governo Berlusconi, alla nuova social card di importo più consistente — dedicata alle famiglie con figli minori con stringenti requisiti sia di reddito sia di status occupazionale — destinata dapprima (con il governo Monti) alla sperimentazione in 12 città, allargata poi con gli stessi criteri, con i fondi europei, a tutti i Comuni del mezzogiorno e successivamente, con gli scarsi fondi messi a disposizione dal Governo Letta, a tutti gli ambiti territoriali. Un allargamento, per altro, che è stato bloccato dal cambio di governo. Quanto al bonus di 80 euro introdotto dal governo Renzi, il suo disegno esclude i poveri assoluti, dato che è destinato ai lavoratori a basso reddito, senza tener conto né del reddito, né dei carichi famigliari e senza affrontare la questione dell’incapienza.

Se questa tortuosa vicenda testimonia che la questione della povertà per lo meno è entrata nell’agenda politica dopo anni di assenza, accompagnata da un crescente impegno di spesa, ne testimonia anche la persistente marginalità. Con il risultato, documentato dal Rapporto sulle politiche contro la povertà in Italia negli anni della crisi, curato dalla Caritas insieme a diverse associazioni e presentato ieri, che tutte queste misure hanno scalfito poco o nulla l’iceberg della povertà assoluta, tanto più che contestualmente sono diminuite le risorse per le politiche locali.

Le informazioni necessarie per mettere a punto una buona politica di contrasto alla povertà assoluta sono ampiamente disponibili. A mancare non sono tanto le risorse economiche, pur notevoli, quanto la volontà politica di fare del sostegno a chi si trova in povertà una priorità dell’agenda politica. Lo insegna la vicenda del Sostegno di Inclusione Attiva, una misura non categoriale né sperimentale di reddito minimo integrato da servizi rivolta a tutti i poveri, fortemente sostenuta dal ministro Giovannini e dalla sottosegretaria Guerra nel governo Letta, bocciata da quello stesso governo che pure aveva approvato la più costosa cancellazione dell’Imu per un anno. Anche la Caritas e le associazioni che hanno collaborato al

Rapporto sostengono la necessità di introdurre finalmente in Italia (l’unico paese della Ue, insieme alla Grecia, a non averla) una misura di questo genere al posto di misure frammentate e casuali.
È una questione di equità, di solidarietà sociale, ma anche di lungimiranza, per contrastare i processi in atto di marginalizzazione e la loro riproduzione da una generazione all’altra. Per altro, ce lo chiede anche l’Unione Europea, nelle sue

Raccomandazioni del giugno scorso a margine al Piano nazionale di riforma. Insieme agli estensori del Rapporto anch’io mi chiedo se il contrasto alla povertà assoluta faccia parte dell’agenda del governo Renzi, in parallelo alla crescita dell’occupazione. Quando, e se, questa avverrà, infatti, è difficile che i primi a beneficiarne saranno i più vulnerabili e più poveri. Tanto più che molti tra loro hanno sì un lavoro, ma il reddito che ne traggono non è sufficiente a far fronte ai bisogni delle loro famiglie, neppure se ricevessero gli 80 euro.


Da La Repubblica del 12/07/2014.
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Re: Psicologia, Psichiatria, Sociologia, Costume & Società

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Costume & Società - 2
Gli effetti indotti della crisi - 2




LA MOGLIE DELL’INPRENDITORE GRIDAVA: «COME HAI POTUTO FARLO....»
Imprenditore spara a due operai
e li uccide: volevano farsi pagare

E’ successo a Fermo, nell’Ascolano. Le vittime sono due slavi che, armati di piccone, avevano chiesto il saldo di un lavoro svolto. L’uomo, un costruttore, dai carabinieri
di Alessandro Fulloni: twitter @alefulloni


L’abitazione del costruttore, a Fermo. L’uomo, Gianluca Ciferri, ha sparato cinque colpi, uccidendo i due suoi ex dipendenti che, stando a una prima ricostruzione, gli avevano chiesto il saldo di un lavoro svolto (foto Iacopo Luzi) L’abitazione del costruttore, a Fermo. L’uomo, Gianluca Ciferri, ha sparato cinque colpi, uccidendo i due suoi ex dipendenti che, stando a una prima ricostruzione, gli avevano chiesto il saldo di un lavoro svolto (foto Iacopo Luzi) shadow
Chiedono il pagamento di un lavoro svolto presentandosi con un piccone. Il costruttore prende una pistola e li ammazza. È successo nella mattinata di lunedì a Fermo, nelle Marche. Due i morti, uno slavo e un kossovaro di 38 e 26 anni. Dopo il duplice delitto a casa dell’imprenditore è giunta la moglie. Sotto choc, sconvolto.

Quando i carabinieri sono arrivati l’hanno trovata in lacrime. Al marito gridava: «Come hai potuto...». Al di fuori della villa c’era un’altra donna, la compagna di uno dei due operai. Li aveva accompagnati lei sin lì. E pur avendo sentito i colpi di arma da fuoco non si era resa conto che il marito fosse stato ucciso. Glielo hanno detto i carabinieri.

Le vittime sono due extracomunitari
A sparare agli operai, Mustafa Neomedim, 38 anni, slavo, e Avdyli Valdet, 26 anni, kosovaro, è a stato il loro ex datore di lavoro, Gianluca Ciferri, titolare di un’impresa edile a Fermo. I due lo avevano affrontato armati di piccone per farsi consegnare del denaro. Ciferri si trova ora nella caserma dei carabinieri. Sembra sia stato lui a chiamare il 112.
La prima ricostruzione del fatto
Ci sono alcune prestazioni lavorative non pagate, diverse mensilità che le due vittime rivendicavano da tempo, dietro la sparatoria. Una vicenda di cui era informata anche la Camera del Lavoro territoriale di Fermo. Secondo una prima ricostruzione, i due operai avrebbero raggiunto la villetta con giardino dove Ciferri vive con la moglie e tre figli armati di piccozza. Avrebbero chiesto soldi per l’ennesima volta, e presto i tre sarebbero venuti alle mani. Una colluttazione violenta, al culmine della quale Ciferri avrebbe preso la pistola che teneva regolarmente in casa, assieme ad altre armi da caccia, e avrebbe fatto fuoco ad altezza d’uomo: uno dei due operai è morto subito, l’altro ha tentato di mettersi in salvo, prima cercando riparo sotto un tavolo e poi fuggendo al di fuori dell’abitazione. I soccorritori l’hanno ritrovato agonizzante in un campo di girasoli: poco dopo il ricovero, il decesso.
La richiesta di denaro per un lavoro svolto

Si chiamavano Mustafa Neomedim, 38 anni, e Avdyli Valdet, 26 anni, kosovaro, i due operai uccisi dal costruttore che ai carabinieri ha detto di essersi dovuto difendere da un’aggressione. Sembra che l’uomo, sposato, tre figli, abbia esploso due colpi, andati entrambi a segno. Gli operai erano andati da lui, stando alle prime notizie, per riscuotere il denaro per un lavoro svolto.

15 settembre 2014 | 13:42
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http://www.corriere.it/cronache/14_sett ... 54b6.shtml
camillobenso
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Re: Psicologia, Psichiatria, Sociologia, Costume & Società

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Sociologia - 1


In edicola sul Fatto del Lunedì i detenuti per crimini sessuali: “Dentro di noi il male”

Il racconto senza reticenze di chi è in carcere per femminicidi e violenze: "Abbiamo sbagliato, non ci sono scuse. E dobbiamo pagare. Ogni giorno pensiamo alle vittime. Dentro di noi c'è del male, ma, se potete, non riduceteci solo al reato che abbiamo commesso"

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 29 settembre 2014Commenti (25)
Il Fatto del lunedì - Prima pagina



“Io sono un mostro?”, ti chiedono guardandoti in faccia e lasciandoti muto. E tu non hai risposta. Siamo nel carcere di Bollate, struttura modello alle porte di Milano: VII reparto, l’ultimo, quello in fondo, diviso da tutti gli altri. Sì, perché qui sono detenuti i condannati per reati sessuali: violenze, molestie, pedofilia e omicidi. Trecento persone circa, su un totale di 1.300.

I sette uomini che siedono davanti a te intorno al tavolo hanno scelto di affrontare un percorso di recupero insieme con una delle psicanaliste più note e capaci, Marina Valcarenghi (collaboratrice e blogger del Fatto). E oggi con il cronista hanno deciso di raccontare la loro vita. Senza reticenze, (quasi) senza autoassoluzioni. Perfino di provare a ricostruire, spiegare ai lettori – e a se stessi – che cosa è successo nei momenti terribili. È la violenza raccontata da chi l’ha commessa (non dimenticando mai le vittime, le loro famiglie).

A cominciare dal tentativo di capire, di accettare le responsabilità. “Lo so, ho sbagliato, non cerco giustificazioni”, esordisce Giancarlo e i suoi compagni, quasi senza accorgersene, fanno tutti cenno di sì con la testa. Giancarlo è il primo a parlare. Ha quasi settant’anni e sulle spalle una condanna pesante, quasi interamente scontata. Aveva una vita più che normale: un lavoro da manager affermato, una famiglia, dei figli. Poi, apparentemente senza preavviso, quel folle salto, le manette, la sua vita sulla cronaca nera dei giornali: “Mi sono innamorato di una minorenne. Ho commesso una cosa grave. È stato giusto pagare. Il carcere ti fa riflettere per il solo fatto che ci stai dentro. Tolti gli impegni quotidiani, qui hai abbondanza soltanto di una cosa: il tempo. Allora pensi, ripensi migliaia di volte a quello che è successo per capire chi sei, perché ti sei comportato così”. Quasi nessuno si ribella al carcere. Una cosa, però, i detenuti del VII reparto la chiedono: “Dentro di noi c’è del male. Ma non riduceteci al nostro reato, non siamo soltanto quello”.

Che cosa è accaduto in quei momenti? Parla Alberto, una condanna a 29 anni più lunga della sua intera vita di ventottenne: “È come un buco nero”, poi si ferma un attimo come a voler capire se sei pronto ad ascoltare il suo racconto: “L’ho strozzata. Era una mia amica. Mi ha dato una coltellata nel braccio come per difendersi. Appena ho visto quel sangue ho perso la testa. E… le ho stretto intorno al collo il cinturino della borsetta. Posso avercela solo con me stesso. Ogni giorno rivedo quella donna; lei e sua figlia alla quale ho tolto una madre. A volte penso che quel gesto non mi riflette, ma l’ho fatto e lei non c’è più”. Non sembra fingere Alberto, né avrebbe senso. Ormai è stato condannato.

Ma alla fine prima di salutarti ritorna quella domanda: “Sono un mostro?”.
camillobenso
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Re: Psicologia, Psichiatria, Sociologia, Costume & Società

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Psichiatria - 3

Chiedo a quelli della mia generazione se ricordano una scemenza psichiatrica di questo livello, presente nel nostro passato.


9 OTT 2014 18:06
“SEI GRASSO, ORA TI GONFIO DI PIÙ”: ECCO COSA HA DETTO IL 24ENNE (ARRESTATO) PRIMA DI INFILARE IL TUBO DELL’ARIA COMPRESSA NELL’ANO DEL 14ENNE, LACERANDOGLI L’INTESTINO

- RISSA TRA I PARENTI DELLA VITTIMA E DEL BULLO, CHE LO DIFENDONO: “NON SAPEVA LE CONSEGUENZE”


Il ragazzo che ha seviziato il giovane napoletano è stato fermato dai Carabinieri per tentato omicidio, gli altri due coetanei sono denunciati a piede libero - La zia della vittima: “Serve una punizione esemplare”. Ma i parenti dell’aggressore: “E’ un bravo ragazzo”... -


Da www.ansa.it


In tre, tutti giovani, lo hanno preso in giro perché era grasso. Poi, uno di loro lo ha bloccato, gli ha abbassato i pantaloni e soffiando con una pistola ad aria compressa gli ha provocato lacerazioni nell'intestino. La vittima è un quattordicenne ora gravissimo in ospedale a Napoli.


Un giovane di 24 anni, V.I., è stato fermato dai Carabinieri per tentativo di omicidio: ha seviziato la vittima con una pistola d'aria compressa in un autolavaggio, nel quartiere di Pianura a Napoli. Altri due giovani che si trovavano con lui, A.D., e V.E., anche loro di 24 anni, dopo aver preso in giro con il loro amico il quattordicenne perché grasso, non avrebbero partecipato alla violenza. Sono stati denunciati a piede libero per concorso in tentativo di omicidio.

La vittima è ricoverata in condizioni gravissime e versa in pericolo di vita per aver perso molto sangue. I carabinieri della stazione di Bagnoli, a Napoli, sono stati allertati dopo che ieri pomeriggio hanno avuto notizia di un ragazzino ricoverato all'ospedale San Paolo e sottoposto a un delicato intervento chirurgico per perforazioni multiple al colon. Hanno iniziato le indagini sul fatto - di cui riferisce oggi il Mattino - ascoltando i familiari.

Secondo quanto emerso dalle poche parole che è riuscito a pronunciare il ragazzo e dalle indagini svolte dai carabinieri, tre persone che si trovavano nell'autolavaggio hanno iniziato a prenderlo in giro perché era grasso. Poi, uno di loro ha abbassato i pantaloni del ragazzo, preso un tubo d'aria compressa e soffiato in maniera così forte da provocare lacerazioni gravissime all'intestino.

La zia: l'autore sia punito in modo esemplare - "Siamo furibondi, speriamo che venga punito in modo esemplare". E' una zia del ragazzo seviziato e gravemente ferito a Napoli a chiedere giustizia, all'esterno della Rianimazione dell'ospedale San Paolo. ''Spero - aggiunge - che quei giovani non si siano resi conto di quello che stavano facendo''.

I familiari del fermato: non voleva fare del male - "È giusto che lui stia in carcere, perché ha fatto una cosa grave. Ma perché gli altri due sono in libertà?". Se lo chiedono i familiari di V.I., il ventiquattrenne fermato per tentativo di omicidio nell'ambito dell'inchiesta sulle sevizie compiute ai danni di un ragazzo di 14 anni in un autolavaggio a Napoli. "Non voleva fare del male, non si è reso conto della gravità del gesto", aggiungono i parenti del giovane.
camillobenso
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Re: Psicologia, Psichiatria, Sociologia, Costume & Società

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Psichiatria - 4


Parecchie vicende borderline sono accadute l'anno scorso. Il tempo è tiranno e non si può commentare tutto sul forum.

Questa del nuovo anno però non può passare sotto silenzio.

^^

La Stampa 2.1.15
Prende a martellate la figlia di 3 anni

“Me lo dicevano le voci”


«Le voci mi hanno imposto di farlo, così l’avrei liberata dal suo male». Nessuno aveva mai sospettato che Marchel K, 36 anni, avesse delle turbe psichiche. Non c’erano mai stati sintomi, anche se la moglie, interrogata dagli investigatori, ha raccontato che negli ultimi giorni il marito sembrava sofferente e taciturno. Titolari insieme di una ditta di pulizie e in Italia da svariati anni, la coppia ha una figlia di 3 anni. La figlia che Marchel, nella notte di Capodanno, ha colpito con una martellata alla testa senza un apparente motivo.
Era stato lo stesso Marchel ad avvertire la moglie che la notte di Capodanno sarebbero arrivati degli amici a casa per il Veglione. Ma alle 23 nessuno si era ancora presentato alla porta. Così la donna aveva preso la figlioletta di 3 anni e l’aveva portato a letto. Pochi minuti dopo, nella stanza, è entrato Marchel armato di martello e senza dire nulla ha colpito la piccola alla testa. La moglie è riuscito a prendere la bambina e fuggire dai vicini, da dove poi ha chiamato i carabinieri.
I militari di Vimercati, quando sono arrivati nella casa, hanno trovato il 36enne ancora nella camera da letto della bambina. Aveva ancora il martello in mano. Lo hanno subito arrestato, e lui non ha opposto resistenza. Ha giustificato il suo gesto solo in quel modo: delle voci nella testa gli avrebbero imposto di aggredire la piccola.
La bambina è ora ricoverata in prognosi riservata all’ospedale di Bergamo. Non è in pericolo di vita, sebbene dovrà essere sottoposta a un intervento chirurgico per ridurre l’ematoma cerebrale provocato dalla martellata del padre. Nella stessa giornata è purtroppo arrivata la notizia del bambino di 9 anni del Veronese colpito l’antivigilia di Natale a martellate dal padre poi suicida.
«Le voci mi hanno imposto di farlo, così l’avrei liberata dal suo male». Nessuno aveva mai sospettato che Marchel K, 36 anni, avesse delle turbe psichiche. Non c’erano mai stati sintomi, anche se la moglie, interrogata dagli investigatori, ha raccontato che negli ultimi giorni il marito sembrava sofferente e taciturno. Titolari insieme di una ditta di pulizie e in Italia da svariati anni, la coppia ha una figlia di 3 anni. La figlia che Marchel, nella notte di Capodanno, ha colpito con una martellata alla testa senza un apparente motivo.
Era stato lo stesso Marchel ad avvertire la moglie che la notte di Capodanno sarebbero arrivati degli amici a casa per il Veglione. Ma alle 23 nessuno si era ancora presentato alla porta. Così la donna aveva preso la figlioletta di 3 anni e l’aveva portato a letto. Pochi minuti dopo, nella stanza, è entrato Marchel armato di martello e senza dire nulla ha colpito la piccola alla testa. La moglie è riuscito a prendere la bambina e fuggire dai vicini, da dove poi ha chiamato i carabinieri.
I militari di Vimercati, quando sono arrivati nella casa, hanno trovato il 36enne ancora nella camera da letto della bambina. Aveva ancora il martello in mano. Lo hanno subito arrestato, e lui non ha opposto resistenza. Ha giustificato il suo gesto solo in quel modo: delle voci nella testa gli avrebbero imposto di aggredire la piccola.
La bambina è ora ricoverata in prognosi riservata all’ospedale di Bergamo. Non è in pericolo di vita, sebbene dovrà essere sottoposta a un intervento chirurgico per ridurre l’ematoma cerebrale provocato dalla martellata del padre. Nella stessa giornata è purtroppo arrivata la notizia del bambino di 9 anni del Veronese colpito l’antivigilia di Natale a martellate dal padre poi suicida.
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Re: Psicologia, Psichiatria, Sociologia, Costume & Società

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Sociologia - 2


2001 Odissea nello spazio.

Marzo 2015. Siamo ancora alle prese con questi problemi ottocenteschi.


DATAJOURNALISM


Nascere e crescere dietro le sbarre
Quei bimbi e ragazzi in carcere

Sono i figli neonati delle detenute o i minori (spesso stranieri) che non accedono alle misure alternative. E gestirli è sempre più difficile a causa della crisi. Ecco quanti sono, dove e perché sono stati reclusi
di Cristina Da Rold


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