Come se ne viene fuori ?
Re: Come se ne viene fuori ?
ECONOMIA
25/04/2012 -
Crescita, contatti fra Roma e Berlino
Draghi: "Servono misure urgenti"
Il presidente della Bce: i governi devono essere più ambiziosi sulle riforme per favorire occupazione
Berlino cerca un asse con Roma sulla crescita. Il portavoce del governo tedesco Steffen Seibert ha reso noto a Berlino un incontro fra l’entourage della cancelliera Angela Merkel e quello di Mario Monti, avvenuto in settimana, per promuovere iniziative concrete per la crescita nel prossimo Consiglio europeo di giugno. «Il consulente europeo della cancelliera tedesca e il suo omologo italiano - ha detto Seibert in conferenza stampa a Berlino rispondendo a una domanda sulla crisi del debito - si sono incontrati questa settimana proprio per uno scambio su come utilizzare il prossimo Consiglio europeo di giugno, come quello di gennaio e di marzo, per la crescita».
Dopo il fiscal compact per la nuova governance sui conti pubblici, adesso è il momento che l'Europa si concentri sulla crescita dell'economia. E' quanto ha indicato il presidente della Bce, Mario Draghi, rispondendo alle domande degli europarlamentari. ''Dopo il fiscal compact - ha detto - dobbiamo avere un patto per la crescita''. L'Europa è ''sulla buona rotta'' ma ''forse nella fase più difficile. Il consolidamento dei conti pubblici e' stato avviato ma ancora non ne vediamo i benefici'' ha detto Draghi, ''siamo in mezzo al guado che stiamo attraversando''. ''La sola risposta'' per uscire dalla crisi ''è perseverare'', e per quanto riguarda la Bce significa ''creare un ambiente favorevole a questo processo''. Draghi ha inoltre ribadito l'importanza di procedere con le riforme strutturali che ''colpiscono lobby e interessi consolidati'' in quanto cambiano i meccanismi di funzionamento dell'economia. ''I governi europei devono essere più ambiziosi sulle riforme per favorire la crescita e l'occupazione'' ha rilevato Draghi precisando però che lo sviluppo non arriva solo dalle riforme, peraltro alcune hanno effetti nel breve termine ma altre nel medio e lungo periodo. La crescita è determinata anche dal livello dei tassi di interesse che è a livelli storicamente bassi e dalla domanda globale che rimane sostenuta. La Bce non può sostituire i governi nel favorire le politiche per la crescita.
Draghi poi ricorda che negli ultimi 10-15 paesi ( anni) alcuni paesi europei hanno visto una perdita di competitività e crescita bassa a prescindere dal livello del deficit pubblico e dal livello dei tassi di interesse. ''Dobbiamo dunque intervenire alla radice'' ha aggiunto Draghi che poi ha evidenziato che ''gran parte della crisi attuale'' è il risultato del ''forte aumento dell'avversione al rischio'' provocata dal crac del 2009. ''Dobbiamo creare un clima favorevole per il ritorno degli investimenti, assicurare certezza e credibilità nelle istituzioni che faccia tornare gli investitori''. Il presidente della Bce ha poi difeso le operazioni straordinarie con le aste di dicembre e febbraio con le quali la Bce ha concesso prestiti a lungo termine per mille miliardi alle banche. Draghi ha spiegato che le Ltro hanno permesso di riaprire i canali del credito. ''Dobbiamo pensare a cosa sarebbe accaduto senza le Ltro'' con 230 miliardi di bond bancari in scadenza negli ultimi tre mesi oltre ai titoli di Stato. ''Abbiamo guadagnato tempo - ha detto Draghi - e ora la palla è nel campo delle banche e dei governi che devono sfruttare questo tempo''.
25/04/2012 -
Crescita, contatti fra Roma e Berlino
Draghi: "Servono misure urgenti"
Il presidente della Bce: i governi devono essere più ambiziosi sulle riforme per favorire occupazione
Berlino cerca un asse con Roma sulla crescita. Il portavoce del governo tedesco Steffen Seibert ha reso noto a Berlino un incontro fra l’entourage della cancelliera Angela Merkel e quello di Mario Monti, avvenuto in settimana, per promuovere iniziative concrete per la crescita nel prossimo Consiglio europeo di giugno. «Il consulente europeo della cancelliera tedesca e il suo omologo italiano - ha detto Seibert in conferenza stampa a Berlino rispondendo a una domanda sulla crisi del debito - si sono incontrati questa settimana proprio per uno scambio su come utilizzare il prossimo Consiglio europeo di giugno, come quello di gennaio e di marzo, per la crescita».
Dopo il fiscal compact per la nuova governance sui conti pubblici, adesso è il momento che l'Europa si concentri sulla crescita dell'economia. E' quanto ha indicato il presidente della Bce, Mario Draghi, rispondendo alle domande degli europarlamentari. ''Dopo il fiscal compact - ha detto - dobbiamo avere un patto per la crescita''. L'Europa è ''sulla buona rotta'' ma ''forse nella fase più difficile. Il consolidamento dei conti pubblici e' stato avviato ma ancora non ne vediamo i benefici'' ha detto Draghi, ''siamo in mezzo al guado che stiamo attraversando''. ''La sola risposta'' per uscire dalla crisi ''è perseverare'', e per quanto riguarda la Bce significa ''creare un ambiente favorevole a questo processo''. Draghi ha inoltre ribadito l'importanza di procedere con le riforme strutturali che ''colpiscono lobby e interessi consolidati'' in quanto cambiano i meccanismi di funzionamento dell'economia. ''I governi europei devono essere più ambiziosi sulle riforme per favorire la crescita e l'occupazione'' ha rilevato Draghi precisando però che lo sviluppo non arriva solo dalle riforme, peraltro alcune hanno effetti nel breve termine ma altre nel medio e lungo periodo. La crescita è determinata anche dal livello dei tassi di interesse che è a livelli storicamente bassi e dalla domanda globale che rimane sostenuta. La Bce non può sostituire i governi nel favorire le politiche per la crescita.
Draghi poi ricorda che negli ultimi 10-15 paesi ( anni) alcuni paesi europei hanno visto una perdita di competitività e crescita bassa a prescindere dal livello del deficit pubblico e dal livello dei tassi di interesse. ''Dobbiamo dunque intervenire alla radice'' ha aggiunto Draghi che poi ha evidenziato che ''gran parte della crisi attuale'' è il risultato del ''forte aumento dell'avversione al rischio'' provocata dal crac del 2009. ''Dobbiamo creare un clima favorevole per il ritorno degli investimenti, assicurare certezza e credibilità nelle istituzioni che faccia tornare gli investitori''. Il presidente della Bce ha poi difeso le operazioni straordinarie con le aste di dicembre e febbraio con le quali la Bce ha concesso prestiti a lungo termine per mille miliardi alle banche. Draghi ha spiegato che le Ltro hanno permesso di riaprire i canali del credito. ''Dobbiamo pensare a cosa sarebbe accaduto senza le Ltro'' con 230 miliardi di bond bancari in scadenza negli ultimi tre mesi oltre ai titoli di Stato. ''Abbiamo guadagnato tempo - ha detto Draghi - e ora la palla è nel campo delle banche e dei governi che devono sfruttare questo tempo''.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Napolitano: i partiti facciano le riforme.
...questi partiti?
Chi può ancora crederci???
...questi partiti?
Chi può ancora crederci???
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Re: Come se ne viene fuori ?
SPECIALE BAGAGLINO
Se non fosse tragica sarebbe….comica
Dopo un mese di ritiro “spirituale”, il cav burlesque è tornato a farsi sentire, …in tutta la sua comicità…
ROMA – Agita lo spauracchio del voto anticipato a ottobre, << bisogna tenersi pronti>>, ma dice che è il Pd a volerlo.
E’ da quando hanno dato vita all’ammucchiata che il cav tenta di uscire incolpando il Pd. Si aggiudica il premio Asilo Mariuccia della settimana.
I dati recenti del Prof. D’Alimonte sembrano i più realisti, perché prendono in considerazione il 40 % che ha dichiarato di non andare a votare e di conseguenza i restanti si dividono in :
Pd ….- 30,2 %
Pdl - 22,5 %
Idv - 9,5 %
Sel….-….7,8 %
Lega.-….7,4 %
Udc..-….8,5 %
Il cav burlesque sa di perdere e di conseguenza cerca di arrampicarsi sui vetri, tanto di merli fessi dalla sua parte ne trova fin che vuole.
Lancia l’appello ai moderati, ma ammette che al massimo si può scommettere su una confederazione di partiti centristi.
Annuncia che cambierà il nome del Pdl, ma solo quello perché contenuti e dirigenti.
Formidabile questo vecchietto di 76 anni ancorato ai suoi principi di marketing.
Se il 2,5 % dell’elettorato ha fiducia della politica come può pensare che basta solo cambiare il nome del partito e non i contenuti e le facce di bronzo?
Ripete che il segretario Alfano il “quid” ce l’ha, ma si guarda bene dall’indicarlo quale candidato premier nel 2013.
E’ il solito cav, Angelino prima il “quid” non ce l’aveva adesso ha cambiato idea.
Il cav burlesque Più che provato, lo descrivono sconfortato per l’incalzare del processo Ruby, l’inchiesta Lavitola, e l’eco delle intercettazioni audio delle “Ogettine”.
Infatti, con il Celeste in questi giorni è il divertisment degli italiani.
Si fa invitare per la prima volta al ristorante della Camera da Lupi e si lascia andare a sfoghi personali.
<<Dobbiamo lavorare a una confederazione dei moderati, deve essere quella la nostra prospettiva>>…e ancora ..<<Solo se noi moderati ci presenteremo uniti alle elezioni potremmo vincere e evitare di consegnare il Paese alle sinistre>>.
Per questa gente non conta mai risolvere i problemi degli italiani, guardano solo ed esclusivamente a se stessi.
<<Pier Ferdinando cosa vuole di più? Continua a chiedermi un passo indietro, ma io di passi ne ho fatti due . Il primo dal governo, il secondo dal partito>>.
Patetico,….. come può pensare che sia Angelino il telecomandato a impartire ordini nel Pdl?
Pensare che prossimamente personaggi di questo calibro che hanno mandato in rovina il Paese potrebbero incidentalmente tornare è da brividi.
Se non fosse tragica sarebbe….comica
Dopo un mese di ritiro “spirituale”, il cav burlesque è tornato a farsi sentire, …in tutta la sua comicità…
ROMA – Agita lo spauracchio del voto anticipato a ottobre, << bisogna tenersi pronti>>, ma dice che è il Pd a volerlo.
E’ da quando hanno dato vita all’ammucchiata che il cav tenta di uscire incolpando il Pd. Si aggiudica il premio Asilo Mariuccia della settimana.
I dati recenti del Prof. D’Alimonte sembrano i più realisti, perché prendono in considerazione il 40 % che ha dichiarato di non andare a votare e di conseguenza i restanti si dividono in :
Pd ….- 30,2 %
Pdl - 22,5 %
Idv - 9,5 %
Sel….-….7,8 %
Lega.-….7,4 %
Udc..-….8,5 %
Il cav burlesque sa di perdere e di conseguenza cerca di arrampicarsi sui vetri, tanto di merli fessi dalla sua parte ne trova fin che vuole.
Lancia l’appello ai moderati, ma ammette che al massimo si può scommettere su una confederazione di partiti centristi.
Annuncia che cambierà il nome del Pdl, ma solo quello perché contenuti e dirigenti.
Formidabile questo vecchietto di 76 anni ancorato ai suoi principi di marketing.
Se il 2,5 % dell’elettorato ha fiducia della politica come può pensare che basta solo cambiare il nome del partito e non i contenuti e le facce di bronzo?
Ripete che il segretario Alfano il “quid” ce l’ha, ma si guarda bene dall’indicarlo quale candidato premier nel 2013.
E’ il solito cav, Angelino prima il “quid” non ce l’aveva adesso ha cambiato idea.
Il cav burlesque Più che provato, lo descrivono sconfortato per l’incalzare del processo Ruby, l’inchiesta Lavitola, e l’eco delle intercettazioni audio delle “Ogettine”.
Infatti, con il Celeste in questi giorni è il divertisment degli italiani.
Si fa invitare per la prima volta al ristorante della Camera da Lupi e si lascia andare a sfoghi personali.
<<Dobbiamo lavorare a una confederazione dei moderati, deve essere quella la nostra prospettiva>>…e ancora ..<<Solo se noi moderati ci presenteremo uniti alle elezioni potremmo vincere e evitare di consegnare il Paese alle sinistre>>.
Per questa gente non conta mai risolvere i problemi degli italiani, guardano solo ed esclusivamente a se stessi.
<<Pier Ferdinando cosa vuole di più? Continua a chiedermi un passo indietro, ma io di passi ne ho fatti due . Il primo dal governo, il secondo dal partito>>.
Patetico,….. come può pensare che sia Angelino il telecomandato a impartire ordini nel Pdl?
Pensare che prossimamente personaggi di questo calibro che hanno mandato in rovina il Paese potrebbero incidentalmente tornare è da brividi.
Ultima modifica di camillobenso il 25/04/2012, 23:01, modificato 2 volte in totale.
Re: Come se ne viene fuori ?
grazie a dio si ostina ad andare davanti alle telecamere in tribunale a spararle sempre più grosse.
malgrado la terra bruciata che si è fatto attorno, non possiamo sperare che si faccia definitivamente da parte perchè incapace di intendere e di volere , lo è già da un pezzo.
"incidentalmente " è già un livello che non ci possiamo permettere, già l'ansia ci corrode per ben altro.
per non nuocere si deve verificare un altro evento .
malgrado la terra bruciata che si è fatto attorno, non possiamo sperare che si faccia definitivamente da parte perchè incapace di intendere e di volere , lo è già da un pezzo.
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per non nuocere si deve verificare un altro evento .
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Re: Come se ne viene fuori ?
L’aspetto più sconcertante del governo Monti è il completo silenzio in questi cinque mesi circa il problema numero uno dell’Europa e dell’Italia, l’invasione cinese e la guerra commerciale in corso da più di quattordici anni con la Repubblica popolare cinese.
Se Napolitano avesse nominato premier il medico agopunturista Scilipoti, allora sarebbe tempo perso discutere della guerra commerciale con il Dragone, ma visto che ha scelto uno dei numero uno dei nostri economisti questo problema non può passare sotto silenzio.
Dai partiti non ci si può aspettare che il problema fosse affrontato negli anni passati,…loro sono interessati ai loro affari personali e non a quelli dell’Italia.
Noto però di non essere il solo a vedere il problema, Marco Bazzato di EU-CHINA ha pubblicato questo articolo.
Invasione cinese
Ormai è allarme sociale, l'Unione Europea ha deciso d'intraprendere misure d'emergenza per fermare l'egemonia Cinese, che sta invadendo non solo l'Italia con la produzione e vendita di prodotti specialmente il tessile a basso costo.
Il cappio si sta stringendo sugli imprenditori Italiani rimasti in patria, ma ancor di più sulle famiglie, che vedono nel Made in China l'ancora di salvezza a breve per contenere i bilanci famigliari sempre più esigui, e ma che creano una spirale degenerativa alla nostra produzione, che non sa reggere la concorrenza del basso costo della mano d'opera Cinese.
Stanno giungendo al pettine i nodi del liberismo economico che il Fondo Monetario Internazionale (FMI), l'Organizzazione Mondiale per il commercio (WTO) impone sempre di più agli Stati membri come l'inserimento del precariato costante, e l'abbassamento degli standard di sicurezza sociale atti a contenere i costi nelle Nazioni industrializzate, e dall'altra parte piange quando un Paese come la Cina, complice anche le nostre aziende nazionali desiderose di realizzare profitti sfruttano le condizioni sociali che da noi si vorrebbe far arretrare, c'invade.
Si chiede continuamente al cittadino Europeo nuovi sacrifici, e si delocalizza dall'altro capo del mondo (chiamandole Economie di Scala, Sinergie o Jont Venture) dove le rivendicazioni sindacali sono una mera chimera.
L'Italia stessa si è dimenticata il miracolo Italiano degli anni '60, quando vittime della povertà generata dalla seconda guerra mondale, il Paese è riuscito grazie anche ai prestiti internazionali e al basso costo della manodopera a risollevarsi dal sanguinoso conflitto che l'aveva devastato, facendo nascere nel decennio successivo le conflittualità che portarono ad un ridimensionamento degli orari di lavoro ed ad un lento ma progressivo innalzamento degli standard di sicurezza sul lavoro e di tutela del lavoro minorile.
Ora imputiamo alla Cina la forza del nostro stesso miracolo di quarant'anni fa, dove gli Italiani andavano fieri dei successi economici nazionali che contribuivano a creare un'immagine nuova della Nazione nel mondo.
L'Europa come da qualche anno gli Stati Uniti sono diventanti i maggiori consumatori di prodotti Made in China, avendo iniziato per primi il processo di delocalizzazione in aree a tasso quasi nullo di sindacalizzazione, spingendo l'Europa ed Italia a seguire lo stesso esempio, smantellando quasi de facto lo stato sociale che ha portato all'impoverimento generalizzato, complice anche l'11 settembre 2001 che ha arrestato la spirale di crescita, scaricando sui cittadini il costo finale dell'ingordigia economica.
Arrestare l'invasione Cinese, produrrebbe una serie di conseguenze a cascata di difficile controllo; forse vedrebbero le nostre industrie tornare ad investire i loro capitali all'interno dell'Unione contribuendo a livellare gli di standard di vita presenti nei diversi Stati, facendo crescere i paesi appena entrati e quelli che si apprestano nel 2007 a divenire membri a tutti gli effetti.
L'Unione, dovrebbe rendere difficoltose le importazioni alle industrie Europee che delocalizzano produzione o l'appaltano a terzisti, portando dalla fonte della catena produttiva a rispettare gli standard Comunitari e favorire la crescita all'interno degli stati membri e ai candidati dell'Unione.
Si corre ai ripari quando i buoi sono scappati e si sono replicati avendo superato in pochi anni il gap tecnologico ed industriale che aveva gravato sulla società Cinese, volendo sacrificare i vitelli che cercano di stillare le ultime gocce dalle tasche vuote, nel frattempo creare poli industriali e di brand dedicati all'alto lusso e all'alta industrializzazione tecnologica rendendo questi prodotto accessibili solo a fasce ristrette della popolazione che possono permettersi il griffato, aumentando ancor di più il divario fra ricchi e poveri, che vedrebbero innalzati anche i prezzi dei prodotti provenienti dalla Cina in caso d'imposizione di dazi o dell'inasprimento delle barriere doganali, perdendo di convenienza e contribuendo ad aumentare le fasce di povertà.
L'unione Europea sta mostrando in questo frangente i limiti di cui è pregna, avendo per decenni proclamato come imperativo solo il benessere dettato dalla presunta economia di mercato, ma ora mostra che essa non è sufficiente al benessere e alla stabilità dell'Europa, se assieme alla costruzione della casa comune, non si costruisce l'etica dell'imprenditoria Europea, che mostra paura e affanno quando l'espansione del mercato è altrui e arriva a casa propria a dettare regole le sue, ed ecco che diventano un pericolo che mina la stabilità stessa.
Nell'immediato fermare la Cina è un palliativo da dare in all'opinione pubblica, dovuto alla debolezza ormai strutturale dell'industria Occidentale che molto difficilmente riuscirà fermare ai confini una crescita più che quadrupla del Pil Europeo che potrebbe far diventare in pochi anni l'Europa stessa preda dell'espansionismo dal capitalismo socialista, fagocitando con acquisizioni i grandi marchi occidentali, come fece il Giappone degli anni 80 negli Stati Uniti, e diventare la futura potenza egemone del XXI° secolo senza la necessità dell'imperialismo militare, se riuscirà nei prossimi anni a fermare sul nascere ogni eventuale forma di sindacalizazione in quanto nemica del socialismo e ritenuto pericoloso per il benessere e la stabilità della Cina stessa.
È necessaria una riforma radicale del concetto d'Economia di mercato, non influenzata all'acquisizione della ricchezza in una moltitudine ristretta di popolazione, ma un equa distribuzione del benessere sociale, affinché Europa sappia farsi carico delle classi più disagiate ma volenterose che desiderano evolversi verso un benessere economicamente etico, non di predazione del ricco sul povero, solo allora l'Unione Europea potrà dire d'aver intrapreso la strada della comunanza di valori sociali e culturali, spesso messi in secondo piano a favore del liberismo sfrenato che ora bussa ai nostri confini e che ci trova ingordamente impreparati all'etica del consumo di un economia solidale che accolga le sfide all'interno dell'Unione, perché il primo mercato sia nella produzione e nel consumo nei confini sempre più ampi di un Europa che si sposta ad Est, futuro centro e ponte tra oriente ed Occidente che deve essere la nuova beneficiaria del bisogno di crescita e stabilità dei confini che volgono all'Asia.
Se Napolitano avesse nominato premier il medico agopunturista Scilipoti, allora sarebbe tempo perso discutere della guerra commerciale con il Dragone, ma visto che ha scelto uno dei numero uno dei nostri economisti questo problema non può passare sotto silenzio.
Dai partiti non ci si può aspettare che il problema fosse affrontato negli anni passati,…loro sono interessati ai loro affari personali e non a quelli dell’Italia.
Noto però di non essere il solo a vedere il problema, Marco Bazzato di EU-CHINA ha pubblicato questo articolo.
Invasione cinese
Ormai è allarme sociale, l'Unione Europea ha deciso d'intraprendere misure d'emergenza per fermare l'egemonia Cinese, che sta invadendo non solo l'Italia con la produzione e vendita di prodotti specialmente il tessile a basso costo.
Il cappio si sta stringendo sugli imprenditori Italiani rimasti in patria, ma ancor di più sulle famiglie, che vedono nel Made in China l'ancora di salvezza a breve per contenere i bilanci famigliari sempre più esigui, e ma che creano una spirale degenerativa alla nostra produzione, che non sa reggere la concorrenza del basso costo della mano d'opera Cinese.
Stanno giungendo al pettine i nodi del liberismo economico che il Fondo Monetario Internazionale (FMI), l'Organizzazione Mondiale per il commercio (WTO) impone sempre di più agli Stati membri come l'inserimento del precariato costante, e l'abbassamento degli standard di sicurezza sociale atti a contenere i costi nelle Nazioni industrializzate, e dall'altra parte piange quando un Paese come la Cina, complice anche le nostre aziende nazionali desiderose di realizzare profitti sfruttano le condizioni sociali che da noi si vorrebbe far arretrare, c'invade.
Si chiede continuamente al cittadino Europeo nuovi sacrifici, e si delocalizza dall'altro capo del mondo (chiamandole Economie di Scala, Sinergie o Jont Venture) dove le rivendicazioni sindacali sono una mera chimera.
L'Italia stessa si è dimenticata il miracolo Italiano degli anni '60, quando vittime della povertà generata dalla seconda guerra mondale, il Paese è riuscito grazie anche ai prestiti internazionali e al basso costo della manodopera a risollevarsi dal sanguinoso conflitto che l'aveva devastato, facendo nascere nel decennio successivo le conflittualità che portarono ad un ridimensionamento degli orari di lavoro ed ad un lento ma progressivo innalzamento degli standard di sicurezza sul lavoro e di tutela del lavoro minorile.
Ora imputiamo alla Cina la forza del nostro stesso miracolo di quarant'anni fa, dove gli Italiani andavano fieri dei successi economici nazionali che contribuivano a creare un'immagine nuova della Nazione nel mondo.
L'Europa come da qualche anno gli Stati Uniti sono diventanti i maggiori consumatori di prodotti Made in China, avendo iniziato per primi il processo di delocalizzazione in aree a tasso quasi nullo di sindacalizzazione, spingendo l'Europa ed Italia a seguire lo stesso esempio, smantellando quasi de facto lo stato sociale che ha portato all'impoverimento generalizzato, complice anche l'11 settembre 2001 che ha arrestato la spirale di crescita, scaricando sui cittadini il costo finale dell'ingordigia economica.
Arrestare l'invasione Cinese, produrrebbe una serie di conseguenze a cascata di difficile controllo; forse vedrebbero le nostre industrie tornare ad investire i loro capitali all'interno dell'Unione contribuendo a livellare gli di standard di vita presenti nei diversi Stati, facendo crescere i paesi appena entrati e quelli che si apprestano nel 2007 a divenire membri a tutti gli effetti.
L'Unione, dovrebbe rendere difficoltose le importazioni alle industrie Europee che delocalizzano produzione o l'appaltano a terzisti, portando dalla fonte della catena produttiva a rispettare gli standard Comunitari e favorire la crescita all'interno degli stati membri e ai candidati dell'Unione.
Si corre ai ripari quando i buoi sono scappati e si sono replicati avendo superato in pochi anni il gap tecnologico ed industriale che aveva gravato sulla società Cinese, volendo sacrificare i vitelli che cercano di stillare le ultime gocce dalle tasche vuote, nel frattempo creare poli industriali e di brand dedicati all'alto lusso e all'alta industrializzazione tecnologica rendendo questi prodotto accessibili solo a fasce ristrette della popolazione che possono permettersi il griffato, aumentando ancor di più il divario fra ricchi e poveri, che vedrebbero innalzati anche i prezzi dei prodotti provenienti dalla Cina in caso d'imposizione di dazi o dell'inasprimento delle barriere doganali, perdendo di convenienza e contribuendo ad aumentare le fasce di povertà.
L'unione Europea sta mostrando in questo frangente i limiti di cui è pregna, avendo per decenni proclamato come imperativo solo il benessere dettato dalla presunta economia di mercato, ma ora mostra che essa non è sufficiente al benessere e alla stabilità dell'Europa, se assieme alla costruzione della casa comune, non si costruisce l'etica dell'imprenditoria Europea, che mostra paura e affanno quando l'espansione del mercato è altrui e arriva a casa propria a dettare regole le sue, ed ecco che diventano un pericolo che mina la stabilità stessa.
Nell'immediato fermare la Cina è un palliativo da dare in all'opinione pubblica, dovuto alla debolezza ormai strutturale dell'industria Occidentale che molto difficilmente riuscirà fermare ai confini una crescita più che quadrupla del Pil Europeo che potrebbe far diventare in pochi anni l'Europa stessa preda dell'espansionismo dal capitalismo socialista, fagocitando con acquisizioni i grandi marchi occidentali, come fece il Giappone degli anni 80 negli Stati Uniti, e diventare la futura potenza egemone del XXI° secolo senza la necessità dell'imperialismo militare, se riuscirà nei prossimi anni a fermare sul nascere ogni eventuale forma di sindacalizazione in quanto nemica del socialismo e ritenuto pericoloso per il benessere e la stabilità della Cina stessa.
È necessaria una riforma radicale del concetto d'Economia di mercato, non influenzata all'acquisizione della ricchezza in una moltitudine ristretta di popolazione, ma un equa distribuzione del benessere sociale, affinché Europa sappia farsi carico delle classi più disagiate ma volenterose che desiderano evolversi verso un benessere economicamente etico, non di predazione del ricco sul povero, solo allora l'Unione Europea potrà dire d'aver intrapreso la strada della comunanza di valori sociali e culturali, spesso messi in secondo piano a favore del liberismo sfrenato che ora bussa ai nostri confini e che ci trova ingordamente impreparati all'etica del consumo di un economia solidale che accolga le sfide all'interno dell'Unione, perché il primo mercato sia nella produzione e nel consumo nei confini sempre più ampi di un Europa che si sposta ad Est, futuro centro e ponte tra oriente ed Occidente che deve essere la nuova beneficiaria del bisogno di crescita e stabilità dei confini che volgono all'Asia.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Almeno questi comportamenti dovrebbero (e il condizionale è d'obbligo visto che siamo in italia) sbarrargli la strada per il quirinale. Credo che nemmeno il più fedele tra i suoi leccapiedi riesca a immaginarlo sul colle!Amadeus ha scritto:grazie a dio si ostina ad andare davanti alle telecamere in tribunale a spararle sempre più grosse.
malgrado la terra bruciata che si è fatto attorno, non possiamo sperare che si faccia definitivamente da parte perchè incapace di intendere e di volere , lo è già da un pezzo.
"incidentalmente " è già un livello che non ci possiamo permettere, già l'ansia ci corrode per ben altro.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Non so se ti ricordi o ti sei persa la dichiarazione di Monti che giudicava i suoi incontri con Berlusconimyriam ha scritto:Almeno questi comportamenti dovrebbero (e il condizionale è d'obbligo visto che siamo in italia) sbarrargli la strada per il quirinale. Credo che nemmeno il più fedele tra i suoi leccapiedi riesca a immaginarlo sul colle!Amadeus ha scritto:grazie a dio si ostina ad andare davanti alle telecamere in tribunale a spararle sempre più grosse.
malgrado la terra bruciata che si è fatto attorno, non possiamo sperare che si faccia definitivamente da parte perchè incapace di intendere e di volere , lo è già da un pezzo.
"incidentalmente " è già un livello che non ci possiamo permettere, già l'ansia ci corrode per ben altro.
per non nuocere si deve verificare un altro evento .
come normali e per lui ricchi di consigli ed indicazioni perché provenienti da un ex-PdC. Sapendo tutti la nullità assoluta ed in tutti i campi (tranne uno la Passera (corrado)) del berluska le ragioni della dichiarazione di Monti sono 2:
- Berlusconi possiede la "golden share" del gov
- Berlusconi è pericoloso e potente (ricco) e sa usare la macchina del fango
Quindi B. non può non pensare al Quirinale che gli darebbe 7 anni di immunità (di fatto), ma deve salire al Colle prima che riceva una condanna. Che la giustizia (ingiusta nei tempi e nei risultati) arrivi in tempo .... è speranza persa.
Il nano malefico è sempre lì e non fa dichiarazioni a caso.
Augh
Toro Seduto (Ta-Tanka I-Yo-Tanka)
‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’. C.L. Montesquieu
‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’. C.L. Montesquieu
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Re: Come se ne viene fuori ?
Che lui ci pensi è sicuro!
Come è sicuro che non sta bene e non sta bene da tempo, come giustamente dice Amalia.
E di questo il suo entourage è consapevole.
Tutte le ultime intercettazioni mostrano un rimbambito alla mercé di p. e "amici".
Sicuramente è ancora pericoloso, ma non credo che riuscirà a salire al colle ( anche se woody insegna :
"only in italy" !)
Come è sicuro che non sta bene e non sta bene da tempo, come giustamente dice Amalia.
E di questo il suo entourage è consapevole.
Tutte le ultime intercettazioni mostrano un rimbambito alla mercé di p. e "amici".
Sicuramente è ancora pericoloso, ma non credo che riuscirà a salire al colle ( anche se woody insegna :
"only in italy" !)
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Re: Come se ne viene fuori ?
L’invasione cinese.
Non solo abbiamo il problema della guerra commerciale ma è in corso una vera e propria invasione pacifica.
La Chinatown di Via Paolo Sarpi è un problema oramai superato. I cinesi stanno invadendo tutta la provincia di Milano. A SSG i negozi chiudono per via della crisi e quelli che rimangono aperti per il 50 % sono gestiti da cinesi. Hanno successo da almeno 5 anni i negozi da parrucchiere, in modo particolare quelli da donna.
Taglio e messa impiega 6 euro, contro i 18-25 dei negozi indigeni.
Spopolano anche i centri benessere con massaggi. L’ironia è facile, ma anche qui ci dovrebbe essere la crisi.
L’esperienza comune e diffusa è quella di come operano i cinesi. Quando devono comprare un esercizio commerciale si presentano con i soldi contanti e il pacco dei permessi per iniziare l’attività.
Sembra evidente che non è possibile che così tanti cinesi che solo trent’anni fa facevano fatica mettere insieme un po’ di riso per il pranzo e la cena possano disporre di questo tipo di liquidità.
Pertanto, si sono formate due correnti di pensiero in proposito. La prima è che sia la mafia cinese a fornire il denaro contante, mentre l’altra, la più diffusa, è che sia lo stesso governo cinese a prestare il denaro iniziale per aprire un’attività.
Il vantaggio per il governo cinese è quello di esportare in Italia un volume sempre maggiore di prodotti cinesi.
Non c’è bisogno di carri armati, di fanterie, di aviazione per invadere un Paese, basta adottare questo sistema.
A Torino alcuni cinesi non chiedono neppure un regolare salario, si accontentano di vitto e alloggio. E’ già una buona condizione di vita rispetto a quella delle campagne cinesi.
I cinesi sono arrivati anche a Susa, per il momento gestiscono due negozi.
*****
Un giornale Americano racconta dell’invasione cinese in Italia “i bianchi da voi sono gli stranieri”. A Prato sono il 10% della popolazione. A Milano l’espansione commerciale è inarrestabile e a Roma sparisce la strada degli antiquari.
A Prato nessuno sa quanti siano i cittadini cinesi, ma l’ipotesi è di 20.000 persone pari, al 10% della popolazione. Diecimila sono i residenti, ai quali vanno aggiunti i regolari senza residenza ed i clandestini. E’ la più grande comunità orientale.
Nel 1988 i residenti cinesi erano 31, ma in vent’anni molte cose sono cambiate. Il Chicago Tribune ha trattato l’argomento scrivendo che non vi sono altre Chinatown al mondo come quella di Prato.
Fuggiti da un paese poverissimo, soprattutto dalla regione dello Zhejiang a vocazione tessile, a Prato hanno iniziato proprio da quella vocazione, affermandosi nel settore delle confezioni, quello debole del pratese.
Via Pistoiese era piena di stanzoni “adatti” per lavorarvi ed abitarci pure, presi in affitto spesso in nero, dagli stessi pratesi. Ma la convivenza era difficile, gli abitanti vendevano le case per allontanarsi, i Cinesi acquistavano e continuavano a fare affari, e soldi, così col tempo è nata la Chinatown. Difficile oggi incontrare italiani nella zona, quelli che ci sono si sentono assediati, e alle prossime elezioni sosterranno la lista civica «Prato libera&sicura».
I cinesi sono una potenza economica e hanno trasformato la città nella capitale italiana del prontomoda. Le ditte locali chiudono, quelle orientali crescono e sono quasi 4mila, e i cinesi vanno ad abitare anche in altri quartieri, comprano ville e auto di lusso, anche se la ricchezza di molti poggia ancora sullo sfruttamento dei più deboli e dei clandestini, che ambiscono a loro volta a diventare imprenditori. Centinaia i blitz compiuti negli ultimi mesi dalle forze di polizia, i sequestri per situazioni fuorilegge (la violazione delle più elementari norme igieniche), i clandestini schiavizzati e ora si parla grida all’emergenza. Accanto a queste situazioni però vi sono anche quelle dei cinesi che iniziano ad integrarsi, ma i problemi rimangono tanti e complessi.
A Milano la Ztl voluta da Letizia Moratti per allontanare i grossisti cinesi non ha dato i risultati desiderati. I Cinesi sono rimasti e a soffrire l conseguenze della ztl sono i piccoli commercianti, anche italiani. «Se l’idea era quella di allontanare i cinesi, è stata un fallimento” dice Maurizio Italia, vice-presidente dell’Associazione liberi esercenti Sarpi.
I Cinesi anzi, continuano a espandersi. Settanta le attività che hanno aperto nel 2008 secondo la Camera di commercio. «Per noi è stata un’enorme penalizzazione, dice Zhou Xiao Jin, titolare di un negozio di informatica: abbiamo perso un sacco di clienti. Ma soprattutto, abbiamo difficoltà a farci consegnare la merce, siamo costretti a organizzarci ognuno per conto proprio, e non tutti possono permettersi un furgoncino».
Anche l’edicola (italiana) ha visto le vendite dimezzate, e la profumeria: «Le clienti anziane non sanno più come raggiungerci», lamenta la titolare. Insomma, la verità è una sola: la zona è rimasta isolata, e i clienti sono scomparsi. Si salvano solo i grossisti cinesi.
Via Recta a Roma, si chiamava così perché la più breve per raggiungere San Pietro, poi diventata Via dei Coronari per le botteghe di articoli religiosi, trasformatesi poi in antiquari facendola diventare la via del buon gusto, che però rischia di sparire.
Su cento antiquari tre anni fa ne erano rimasti sessanta, la metà dei quali sta pensando di mollare. Alcune serrande sono già abbassate, altre si aprono ora su negozi di jeans o souvenir. Gli affitti sono da capogiro (la media non scende sotto i 2.500 euro) come la penuria di clienti, afflitti dalla crisi. «I giovani — dice un vecchio artigiano — preferiscono Ikea, e il turismo d’elite si vede ormai di rado». I proprietari degli immobili vendono ai cinesi, che si presentano con i soldi contanti, ed iniziano le loro attività.
È cominciata così, dicono negozianti e residenti, riuniti in associazione, l’invasione dei cinesi. La questione non è di razza, ma di livello dei negozi. Rita Vattani, gioielliera, insiste sul «tono» della via, sulla storia che la distingue: «Souvenir e magliette non stanno bene qui».
Battaglia difficile se non impossibile: in tempi di crisi gli unici ad avere liquidità sono proprio i cinesi che si raggruppano in diversi nuclei familiari e poi si espandono.
http://www.sdamy.com/l%E2%80%99invazion ... -5083.html
Non solo abbiamo il problema della guerra commerciale ma è in corso una vera e propria invasione pacifica.
La Chinatown di Via Paolo Sarpi è un problema oramai superato. I cinesi stanno invadendo tutta la provincia di Milano. A SSG i negozi chiudono per via della crisi e quelli che rimangono aperti per il 50 % sono gestiti da cinesi. Hanno successo da almeno 5 anni i negozi da parrucchiere, in modo particolare quelli da donna.
Taglio e messa impiega 6 euro, contro i 18-25 dei negozi indigeni.
Spopolano anche i centri benessere con massaggi. L’ironia è facile, ma anche qui ci dovrebbe essere la crisi.
L’esperienza comune e diffusa è quella di come operano i cinesi. Quando devono comprare un esercizio commerciale si presentano con i soldi contanti e il pacco dei permessi per iniziare l’attività.
Sembra evidente che non è possibile che così tanti cinesi che solo trent’anni fa facevano fatica mettere insieme un po’ di riso per il pranzo e la cena possano disporre di questo tipo di liquidità.
Pertanto, si sono formate due correnti di pensiero in proposito. La prima è che sia la mafia cinese a fornire il denaro contante, mentre l’altra, la più diffusa, è che sia lo stesso governo cinese a prestare il denaro iniziale per aprire un’attività.
Il vantaggio per il governo cinese è quello di esportare in Italia un volume sempre maggiore di prodotti cinesi.
Non c’è bisogno di carri armati, di fanterie, di aviazione per invadere un Paese, basta adottare questo sistema.
A Torino alcuni cinesi non chiedono neppure un regolare salario, si accontentano di vitto e alloggio. E’ già una buona condizione di vita rispetto a quella delle campagne cinesi.
I cinesi sono arrivati anche a Susa, per il momento gestiscono due negozi.
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Un giornale Americano racconta dell’invasione cinese in Italia “i bianchi da voi sono gli stranieri”. A Prato sono il 10% della popolazione. A Milano l’espansione commerciale è inarrestabile e a Roma sparisce la strada degli antiquari.
A Prato nessuno sa quanti siano i cittadini cinesi, ma l’ipotesi è di 20.000 persone pari, al 10% della popolazione. Diecimila sono i residenti, ai quali vanno aggiunti i regolari senza residenza ed i clandestini. E’ la più grande comunità orientale.
Nel 1988 i residenti cinesi erano 31, ma in vent’anni molte cose sono cambiate. Il Chicago Tribune ha trattato l’argomento scrivendo che non vi sono altre Chinatown al mondo come quella di Prato.
Fuggiti da un paese poverissimo, soprattutto dalla regione dello Zhejiang a vocazione tessile, a Prato hanno iniziato proprio da quella vocazione, affermandosi nel settore delle confezioni, quello debole del pratese.
Via Pistoiese era piena di stanzoni “adatti” per lavorarvi ed abitarci pure, presi in affitto spesso in nero, dagli stessi pratesi. Ma la convivenza era difficile, gli abitanti vendevano le case per allontanarsi, i Cinesi acquistavano e continuavano a fare affari, e soldi, così col tempo è nata la Chinatown. Difficile oggi incontrare italiani nella zona, quelli che ci sono si sentono assediati, e alle prossime elezioni sosterranno la lista civica «Prato libera&sicura».
I cinesi sono una potenza economica e hanno trasformato la città nella capitale italiana del prontomoda. Le ditte locali chiudono, quelle orientali crescono e sono quasi 4mila, e i cinesi vanno ad abitare anche in altri quartieri, comprano ville e auto di lusso, anche se la ricchezza di molti poggia ancora sullo sfruttamento dei più deboli e dei clandestini, che ambiscono a loro volta a diventare imprenditori. Centinaia i blitz compiuti negli ultimi mesi dalle forze di polizia, i sequestri per situazioni fuorilegge (la violazione delle più elementari norme igieniche), i clandestini schiavizzati e ora si parla grida all’emergenza. Accanto a queste situazioni però vi sono anche quelle dei cinesi che iniziano ad integrarsi, ma i problemi rimangono tanti e complessi.
A Milano la Ztl voluta da Letizia Moratti per allontanare i grossisti cinesi non ha dato i risultati desiderati. I Cinesi sono rimasti e a soffrire l conseguenze della ztl sono i piccoli commercianti, anche italiani. «Se l’idea era quella di allontanare i cinesi, è stata un fallimento” dice Maurizio Italia, vice-presidente dell’Associazione liberi esercenti Sarpi.
I Cinesi anzi, continuano a espandersi. Settanta le attività che hanno aperto nel 2008 secondo la Camera di commercio. «Per noi è stata un’enorme penalizzazione, dice Zhou Xiao Jin, titolare di un negozio di informatica: abbiamo perso un sacco di clienti. Ma soprattutto, abbiamo difficoltà a farci consegnare la merce, siamo costretti a organizzarci ognuno per conto proprio, e non tutti possono permettersi un furgoncino».
Anche l’edicola (italiana) ha visto le vendite dimezzate, e la profumeria: «Le clienti anziane non sanno più come raggiungerci», lamenta la titolare. Insomma, la verità è una sola: la zona è rimasta isolata, e i clienti sono scomparsi. Si salvano solo i grossisti cinesi.
Via Recta a Roma, si chiamava così perché la più breve per raggiungere San Pietro, poi diventata Via dei Coronari per le botteghe di articoli religiosi, trasformatesi poi in antiquari facendola diventare la via del buon gusto, che però rischia di sparire.
Su cento antiquari tre anni fa ne erano rimasti sessanta, la metà dei quali sta pensando di mollare. Alcune serrande sono già abbassate, altre si aprono ora su negozi di jeans o souvenir. Gli affitti sono da capogiro (la media non scende sotto i 2.500 euro) come la penuria di clienti, afflitti dalla crisi. «I giovani — dice un vecchio artigiano — preferiscono Ikea, e il turismo d’elite si vede ormai di rado». I proprietari degli immobili vendono ai cinesi, che si presentano con i soldi contanti, ed iniziano le loro attività.
È cominciata così, dicono negozianti e residenti, riuniti in associazione, l’invasione dei cinesi. La questione non è di razza, ma di livello dei negozi. Rita Vattani, gioielliera, insiste sul «tono» della via, sulla storia che la distingue: «Souvenir e magliette non stanno bene qui».
Battaglia difficile se non impossibile: in tempi di crisi gli unici ad avere liquidità sono proprio i cinesi che si raggruppano in diversi nuclei familiari e poi si espandono.
http://www.sdamy.com/l%E2%80%99invazion ... -5083.html
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Re: Come se ne viene fuori ?
L'invasione delle aziende a mandorla
di Federica Bianchi
Sono 129 le aziende cinesi che già hanno avuto l'ok a sbarcare in Italia. Obiettivo, marchi in difficoltà, nuove tecnologie ed esperti di marketing. Ecco dove(03 gennaio 2011) Nei comparti produttivi della Penisola si parla sempre più spesso cinese. Ad investire da noi, salvo eccezioni impigliate negli anni Ottanta e Novanta come Air China e Bank of China, le aziende cinesi hanno iniziato questo decennio, con un'accelerazione negli ultimi tre anni. Ora hanno sede stabile in Italia una settantina di società.
Per anni Pechino aveva ritenuto capaci di competere nell'arena globale solo una sessantina di grandi gruppi strategici. A loro aveva affidato il compito di approvvigionarsi sui mercati mondiali di materie prime e di costruire solidi mercati di sbocco per l'export cinese. Ma dal 2006 ha incoraggiato anche le aziende di medie dimensioni a chiedere l'autorizzazione per investire all'estero, e sono 129 quelle che hanno avuto l'ok per l'Italia, spiega Thomas Rosenthal, direttore del centro studi della Fondazione Italia-Cina: "E' un buon indice di interesse". Gli obiettivi sono mercati inesplorati, tecnologie magari di nicchia ma innovative, materiali nuovi e, sempre più spesso, marchi storici ma asfittici. La modalità di investimento preferita nel nostro Paese è l'acquisizione di un'azienda in difficoltà finanziaria, come nel caso di alcuni ex gioielli del made in Italy, dalla società di motociclette Benelli a quella d'abbigliamento sportivo Sergio Tacchini, recentemente acquisite rispettivamente da Qiangjiang e da Hembly International Holding. "Per i cinesi comprare una società che non produce grandi utili conviene se diventa strumento per acquisire competenze tecnologiche e manageriali o se si tratta di un marchio che porta prestigio", spiega Francesca Spigarelli, docente di economia politica all'Università di Macerata e autrice di uno studio sulla Benelli.
Alcune aziende più grandi, anche loro attratte da un mercato evoluto ed esigente come quello italiano, hanno seguito strategie di investimento diverse. Huawei, leader delle comunicazioni, a cui non è sfuggito il ricchissimo mercato italiano della telefonia mobile, il primo in Europa, ha aperto uffici commerciali a Milano, Roma e Torino e ha recentemente stretto un accordo di collaborazione con il gruppo Vodafone sul fronte delle infrastrutture di rete e della ricerca tecnologica. Haier, colosso asiatico degli elettrodomestici, ha inaugurato una sede europea a Varese nel 2002, e ha poi creato uno stabilimento produttivo a Padova: i prodotti hanno il marchio Haier, la designazione "made in Italy" e una una bandierina tricolore che rafforza la suggestione. "Il mercato italiano degli elettrodomestici è tra i più sofisticati del mondo", spiega Gianluca Di Pietro, direttore marketing Haier di Italia e Grecia: "In Italia identifichiamo i bisogni dei clienti più esigenti e sviluppiamo nuovi prodotti da vendere in Cina, dove i volumi sono enormi e la gente è sensibile al design italiano".
http://espresso.repubblica.it/dettaglio ... la/2141423
di Federica Bianchi
Sono 129 le aziende cinesi che già hanno avuto l'ok a sbarcare in Italia. Obiettivo, marchi in difficoltà, nuove tecnologie ed esperti di marketing. Ecco dove(03 gennaio 2011) Nei comparti produttivi della Penisola si parla sempre più spesso cinese. Ad investire da noi, salvo eccezioni impigliate negli anni Ottanta e Novanta come Air China e Bank of China, le aziende cinesi hanno iniziato questo decennio, con un'accelerazione negli ultimi tre anni. Ora hanno sede stabile in Italia una settantina di società.
Per anni Pechino aveva ritenuto capaci di competere nell'arena globale solo una sessantina di grandi gruppi strategici. A loro aveva affidato il compito di approvvigionarsi sui mercati mondiali di materie prime e di costruire solidi mercati di sbocco per l'export cinese. Ma dal 2006 ha incoraggiato anche le aziende di medie dimensioni a chiedere l'autorizzazione per investire all'estero, e sono 129 quelle che hanno avuto l'ok per l'Italia, spiega Thomas Rosenthal, direttore del centro studi della Fondazione Italia-Cina: "E' un buon indice di interesse". Gli obiettivi sono mercati inesplorati, tecnologie magari di nicchia ma innovative, materiali nuovi e, sempre più spesso, marchi storici ma asfittici. La modalità di investimento preferita nel nostro Paese è l'acquisizione di un'azienda in difficoltà finanziaria, come nel caso di alcuni ex gioielli del made in Italy, dalla società di motociclette Benelli a quella d'abbigliamento sportivo Sergio Tacchini, recentemente acquisite rispettivamente da Qiangjiang e da Hembly International Holding. "Per i cinesi comprare una società che non produce grandi utili conviene se diventa strumento per acquisire competenze tecnologiche e manageriali o se si tratta di un marchio che porta prestigio", spiega Francesca Spigarelli, docente di economia politica all'Università di Macerata e autrice di uno studio sulla Benelli.
Alcune aziende più grandi, anche loro attratte da un mercato evoluto ed esigente come quello italiano, hanno seguito strategie di investimento diverse. Huawei, leader delle comunicazioni, a cui non è sfuggito il ricchissimo mercato italiano della telefonia mobile, il primo in Europa, ha aperto uffici commerciali a Milano, Roma e Torino e ha recentemente stretto un accordo di collaborazione con il gruppo Vodafone sul fronte delle infrastrutture di rete e della ricerca tecnologica. Haier, colosso asiatico degli elettrodomestici, ha inaugurato una sede europea a Varese nel 2002, e ha poi creato uno stabilimento produttivo a Padova: i prodotti hanno il marchio Haier, la designazione "made in Italy" e una una bandierina tricolore che rafforza la suggestione. "Il mercato italiano degli elettrodomestici è tra i più sofisticati del mondo", spiega Gianluca Di Pietro, direttore marketing Haier di Italia e Grecia: "In Italia identifichiamo i bisogni dei clienti più esigenti e sviluppiamo nuovi prodotti da vendere in Cina, dove i volumi sono enormi e la gente è sensibile al design italiano".
http://espresso.repubblica.it/dettaglio ... la/2141423
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