pancho ha scritto:Sul personaggio Migliore, Zione, probabilmente hai ragione tu ma il mio riferimento andava alla soluzione che hanno preso questo gruppo indipendentemente dai personaggi. Io non pretendo, in questo caso specifico, avere ragione. Pongo un problema di analisi politica e quindi se sia più giusto rimanere all'opposizione col 2-3% e quindi ininfluente o magari rendere la vita più difficile al renzismo all'interno del PD.
Dobbiamo anche tener conto che probabilmente con la nuova legge ci sarà anche uno sbarramento del 3% il cui obiettivo diventerà quasi impossibile da raggiungerà da parte di SEL.
E allora che fare? Spostarsi prima delle elezioni questo si che sarebbe un vero inciucio oltre a far dire che si interessano solo delle poltrone.
Quindi è chiudo Zione: quale mossa strategica può fare SEL è tutta la sinistra in mancanza attualmente di un vero partito di sinistra il quale chissà quando avverrà ?
Un salutone da Juan
Non intendo avere ragione, caro pancho, ma solo discutere con voi quale sia il mio punto di vista, come interpreto questo difficile passaggio della nostra storia.
Ieri Giovanna Casadio ha pubblicato questo articolo che però complica la situazione in quanto potrebbe essere positivo il fatto che Bersani voglia riprendersi il partito in quanto mette fuori gioco l'ambiguo destro Renzie.
Ma non capisco come possa fare. Anche perché ci sono molti interessi in gioco a partire da Berlusconi e i poteri forti.
Inoltre, secondo la Casadio, in ogni passaggio la sinistra dem presenta un tasso di disunione insopportabile. Come se fossero in ballo sempre gli interessi personali.
Il popolo di sinistra mostra di volere la scissione perché non sopporta più il destro Renzi e i democristiani del Pd-PdN-PNF.
Il parere di Bersani li farà ulteriormente incazzare.
Se ci fossero gli uomini guida, quelli che siano disposti a sacrificare i propri interessi di bottega per arginare il forte e subdolo attacco della destra, sarebbe auspicabile la nascita di un Podemos italiano suggerito da iospero. Ma qui mi sembra che si siano solo chiaviche che mirano ai propri interessi. Vedi il ritorno del conte Max.
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Repubblica 14.11.14
E la minoranza Dem si spacca. Bersani e D’Alema avvertono: “Riprendiamoci il partito”
di Giovanna Casadio
ROMA
«Siamo con tutti e due i piedi nel partito, però la sinistra c’è e si farà sentire per creare un’alternativa a Renzi nel Pd». Pierluigi Bersani fa sentire la sua voce. L’accordo sul jobs act non frena lo scontro interno. Anzi, lo amplifica. Perché l’intesa siglata in extremis da Speranza e Damiano ha avuto un unico effetto: spaccare in tre la minoranza interna. Con i “trattativisti” decisi a rispettare il patto, i civatiani pronti a non votare nemmeno la fiducia e gli altri che oscillano tra il sì alla fiducia e il no agli articolo più acuminati.
Renzi, insomma, sembra incunearsi nelle difficoltà dell’opposizione. Ma la risposta potrebbe già esserci al convengo della prossima settimana a Milano di Area riformista. E qualcuno inizia già a parlare di un “tandem” destinato a riformarsi: quello tra Bersani e D’Alema. Di certo tra gli “antirenziani” serpeggia il dubbio che, alla fine, su Jobs Act e articolo 18 i cambiamenti siano assai meno di quelli sperati. Soprattutto temono di arrivare “disarmati” allo sciopero generale della Cgil del 5 dicembre. Sospetti che solo i “trattativisti” - da Speranza a Orfini e Damiano - non coltivano: «Al premier abbiamo fatto cambiare idea».
Certo le tre minoranze in questa fase cercano tutte di cogliere il massimo dall’emendamento promesso dal governo. «È comunque - dicono - un punto messo a segno, perché il premier- segretario ha dovuto prendere atto che non poteva blindare il Jobs Act uscito dal Senato» e ha quindi aperto alle modifiche. Eppure la tripartizione rischia di evidenziarsi presto con una spaccatura manifesta.
Pippo Civati ad esempio conia l’hashtag “passodopopassoindietro”. E poi avverte: «Non vorrei che fosse uno specchietto per le allodole...». Non lo convincono le deduzioni di Speranza e Damiano: «Le proteste del Nuovo centrodestra sono un buon indicatore che si va ormai nella direzione giusta». Ma Cuperlo e Fassina nicchiano: «Guardiamo al merito: l’articolo 18 non deve essere toccato affatto, al massimo un “tagliando” e il reintegro deve valere anche per i licenziamenti illegittimi in aziende in crisi». E a corroborare la posizione c’è la pistola fumante degli emendamenti elencati da Fassina, su cui domenica si comincia già a votare in commissione Lavoro.
Il governo ha fretta, la sinistra dem non ne ha per nulla. La minoranza si gioca nei prossimi giorni il tutto per tutto. Domani a Milano, dunque, nella riunione della corrente “Area riformista”, Bersani chiamerà alla riscossa la sinistra. Nessuna scissione, ma la scalata al partito sì. Non a caso è stato invitato a Milano anche Nicola Zingaretti, il “governatore” del Lazio indicato sempre dai sondaggi come l’anti Renzi possibile.
E forse non è un caso che mercoledì scorso nella riunione della minoranza proprio Massimo D’Alema abbia chiarito che la “ditta” non si molla: «La battaglia si conduce dentro il Pd ma basta con un partito che vuole parlare solo al potere italiano». Nel frattempo Renzi si è assicurato un “sì”, più o meno convinto almeno sulla fiducia. Il Jobs Act tornerà quindi al Senato. «Renzi si è rimangiato la rottura dentro il Pd», osserva Davide Zoggia. Nessuno ha voglia nelle file dem di esasperare i toni per ora. Damiano, il presidente della commissione lavoro, che ha condotto appunto la trattativa con il ministro Poletti, con Filippo Taddei, responsabile Economia del Pd, con il vice segretario Lorenzo Guerini e con Renzi stesso, è convinto che il risultato sia buono. «Non c’è solo l’articolo 18», continua a ripetere, indicando i cambiamenti sulle questioni del demansionamento, dei voucher, dei controlli a distanza ma non più sulle prestazioni lavorative. In cambio la sinistra dem ha dovuto ingoiare l’accelerazione: il Jobs Act passa davanti alla legge di Stabilità, proprio quello che la minoranza non avrebbe mai voluto. La tregua interna è dunque molto fragile. Civati nel fine settimana parteciperà a un’iniziativa politica con il leader di Sel, Nichi Vendola e con il Tsipras. Ma sarà anche all’appuntamento milanese con Bersani che ha l’ambizione di rinsaldare e unire la sinistra dem. Solo una speranza? Cuperlo e Fassina non ci saranno. «Non vado perché non mi hanno invitato», commenta Cuperlo.