"Allahu Akbar!"

E' il luogo della libera circolazione delle idee "a ruota libera"
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pancho
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Re: "Allahu Akbar!"

Messaggio da pancho »

iospero ha scritto:http://digilander.libero.it/coranoislam/he
guarda questo sito
l’Isis che ha sfruttato al massimo, anche sulla rete, questo malessere
.
credevo anch'io fosse così, ma guardando quel sito scopri che la maggior parte di terroristi e integralisti islamici provengono da famiglie per bene dell'Arabia Saudita e che da essa provengono la maggior parte dei finanziamenti al terrorismo islamico in tutto il mondo.

Chiaramente la religione serve come oppio per i popoli, ma stiamo assistendo anche ad una guerra del petrolio condotta dai paesi arabi.
Qatar,Arabia saudita, Yemen sono i principali finanziatori del terrorismo ma costoro sono intoccabili x il petrolio.
Detto questo si dovrebbe trarre delle conclusioni e quindi cercar di non essere dipendenti dal petrolio e trovare fonti alternative. Però su questo ci dividiamo e spesso anche noi siamo divisi sulle alternative quali pale eoliche e altro.
Perdiamo tempo continuamente e costoro ne approfittano perché vogliono tenerci sempre in pugno.
Gli interessi di questo genere sono talmente grossi da determinare politiche nazionali e noi.....continuamo a dividerci anche sulle pale eoliche che deturpano il paese. Certamente non sono belle a vedere ma nel momento in cui siamo presi soffermarsi su questo diventa diabolico.

Ma quante altre contraddizioni sono all'interno di noi!

Un salutone da Juan
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
camillobenso
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Re: "Allahu Akbar!"

Messaggio da camillobenso »




Viva la satira (in Francia)
(Marco Travaglio).
09/01/2015 di triskel182vignetta1.jpg


Commovente questa appassionata difesa della libertà assoluta di satira da parte dei peggiori censori italioti.

Gente che per vent’anni ha leccato politici e potenti di ogni colore, praticato e giustificato censure, chiesto e ottenuto la cancellazione di programmi in tv fino alla totale abolizione della satira dalla Rai, si lancia ora come scudo umano a protezione dei corpi ormai esanimi dei giornalisti e vignettisti di Charlie Hebdo, quindi a costo e rischio zero, difendendo il diritto-dovere della satira di attaccare chiunque, senza limiti di tono né di buon gusto, foss’anche una divinità o un’intera religione, in qualunque parte del mondo. Purché, of course, non in Italia. Il loro motto è: scherza coi fanti e pure coi santi, ma lascia stare i politici italiani.

La storia di Daniele Luttazzi, ostracizzato da tutte le tv da 13 anni, parla da sé. Nel 2001 finisce nel mirino del Cda Rai perché, nel suo Satyricon su Rai2 diretta da Carlo Freccero, ha osato annusare gli slip rossi di Anna Falchi e mangiare una finta cacca di cioccolata in polemica con il consigliere Alberto Contri, che l’ha accusato di coprofagia; poi s’è azzardato a intervistare Pannella e Flores d’Arcais, che hanno criticato il Vaticano. Ma il suo peccato mortale è invitare il sottoscritto, il 14 marzo, 40 giorni prima delle elezioni, a presentare L’odore dei soldi, un libro scritto con Elio Veltri sui rapporti di B. (e Dell’Utri) con la mafia e le misteriose origini delle sue fortune. Tema largamente disertato dalla cosiddetta informazione. Da quella notte succede di tutto. Mario Landolfi (An), presidente della Vigilanza, spara: “Il programma di Luttazzi va chiuso, Freccero dev’essere allontanato, Zaccaria e tutto il vertice Rai devono dimettersi”. Paolo Romani (FI): “Attacco proditorio, vergognoso, senza precedenti contro il presidente Berlusconi sul servizio pubblico.

Chiediamo una riunione immediata della Vigilanza per chiedere le dimissioni del vertice Rai e dei suoi direttori”. B. scende da Arcore a Roma, parla con Bossi (“è più indignato di me”), poi riunisce a pranzo il consiglio di guerra: Casini, Letta, Bonaiuti, Buttiglione, Pisanu, La Loggia, Scajola e Tremonti. Passa la proposta Casini: la Casa delle Libertà (si chiama così) diserterà tutti i programmi Rai. Due giorni, non di più. Cossiga parla di “crimine politico alla Rai”. Il presidente dell’Ordine dei giornalisti, Mario Petrina, duetta con Emilio Fede al Tg4 e si scaglia contro Luttazzi e il sottoscritto: denuncia il primo per “esercizio abusivo della professione giornalistica” e invoca per il secondo un procedimento disciplinare per lesa “deontologia”.

Anche da sinistra si spara a zero. Ecco il verde Marco Boato: “Quel che è accaduto a Satyricon è inaccettabile, tanto più grave in quanto avvenuto a Camere sciolte. In una democrazia non si fanno processi sommari per via mediatica. Non è satira, ma una scorretta operazione televisiva”. E Francesco Rutelli, candidato premier: la reazione della Cdl contro Satyricon “è stata legittima rispetto all’uso di una trasmissione per fare propaganda politica, ma c’è il diritto di replica”. D’Alema afferma: “Satyricon è un boomerang per la sinistra”. Fede invece osserva: “Satyricon è un boomerang per la sinistra”. E Dell’Utri, più sobrio: “Luttazzi è un cretino”.

Il Foglio di Giuliano Ferrara e il Giornale si associano alla richiesta di cacciare Luttazzi e il vertice Rai che non l’ha zittito in tempo. Sul Corriere, Paolo Franchi sostiene che la sua “non è satira”. Oltre a quelle pubbliche – e alla raffica di cause civili miliardarie firmate da B., Dell’Utri, Tremonti, Fininvest, Mediaset e Forza Italia contro di lui, contro Freccero e contro gli autori ed editori de L’odore dei soldi – Luttazzi riceve anche minacce private: lettere anonime, dossier sulla sua vita privata, telefonate mute, strane intrusioni in casa sua.

Anche perché Il Giornale di Belpietro ha pensato bene di pubblicare la sua dichiarazione dei redditi, col suo indirizzo ben visibile. E, nell’indifferenza generale, è costretto a girare sotto scorta per mesi, con le auto della polizia che circondano i teatri durante i suoi spettacoli.

Almeno quei pochi teatri che non gli negano il palco per motivi di opportunità politica. Satyricon intanto viene chiuso, prim’ancora dell’editto bulgaro di B. (18 aprile 2002) contro Biagi, Santoro e Luttazzi. Non riaprirà mai più. Il 16 novembre 2003 va in onda – tra mille difficoltà – la prima puntata di RaiOt di Sabina Guzzanti, dedicata alle tv di B. e alla legge Gasparri allora in discussione. Un trionfo: 18,37% di share, con punte del 26. Record della serata tv, record storico di Rai3. Infatti il programma viene subito sospeso e poi chiuso dal vertice Rai (presidente Lucia Annunziata, dg Flavio Cattaneo, direttore di rete Paolo Ruffini, Cda con noti intellettuali liberali come Alberoni, Petroni, Rumi, Veneziani). I grandi giornali giustificano l’epurazione. Sebastiano Messina, su Repubblica, insinua una manovra studiata a tavolino dalla Guzzanti per passare da martire: “Un concitato gioco delle parti nel quale il fantasma della censura berlusconiana – dunque dell’intolleranza del potere – è riuscito a far litigare furiosamente il direttore di Rai3 e la più brava imitatrice di Berlusconi e D’Alema… Questa surreale commedia dell’assurdo è cominciata quando Ruffini… ha chiesto agli autori di RaiOt di rinviare di una settimana l’esordio per ‘un problema di opportunità’, alla vigilia dei funerali per i caduti di Nassiriya… Ma sollevava anche – senza ipocrisia – la questione della compatibilità di ‘alcuni momenti del programma’ con la ‘sobrietà’ di Rai3… Gli autori e la protagonista hanno ceduto precipitosamente alla tentazione di dimostrare al mondo (con un intempestivo pathos rivoluzionario) che la realtà si adeguava alla satira, e il Berlusconi in carne e ossa faceva esattamente quello che loro gli facevano dire nella parodia televisiva, censurando proprio la sfida alla censura”. Il pretesto usato dalla Rai per la serrata, oltre alla mancanza di “sobrietà”, è che Mediaset (teoricamente la concorrenza) ha denunciato il programma per 20 milioni. I giornali se la bevono e rincarano la dose, portando altra acqua al mulino della censura. Giordano Bruno Guerri osserva sul Giornale che RaiOt “non fa ridere”, “dice un sacco di sciocchezze preconcette” e soprattutto si permette di “prendersela con Lucia Annunziata solo perché è presidente della Rai e brava e donna… I sabiniguzzanti piangono sempre che non c’è libertà di dire e sono sempre lì a dire quello che vogliono ovunque, anche sui muri: naturalmente tra i collaboratori dietro le quinte ci sono Curzio Maltese e Marco Travaglio, ormai Bibì e Bibò”. Il Foglio deride la Guzzanti che “grida al regime, ciancia di censura e va in onda” (sic). Esprime “solidarietà a Ruffini”. Andrea Marcenaro trova che l’“arricciare il naso” di Sabina è tipico dei cocainomani. Per Giuliano Ferrara la Guzzanti “dovrebbe stare zitta” perché “ha qualcosa di teppistico e crassamente ignorante”. E la censura se l’è cercata lei “apposta per gridare al regime”, “rompendo ogni regola, come fecero Santoro e Biagi”. Poi, bontà sua, riconosce che la proposta del vertice Rai “di produrre cinque puntate, farle vedere ai signori amministratori editori, e poi e solo poi mandarle in onda, visto sottoscritto e autorizzato, non è bella, tutt’altro”. E così viene scavalcato in intolleranza dal direttore del Riformista, Antonio Polito: “Se si esclude l’ipotesi che la Rai sia Hyde Park Corner, bisogna concludere che ieri il Cda della Rai si è comportato come il Cda di un’azienda… Leggiamo vibrate proteste per attentati alla libertà di satira, di attacchi alla democrazia, di dissenso imbavagliato… Non c’è né censura né punizione, né per il direttore di rete, che pure aveva seri dubbi sull’opportunità di mandare in onda RaiOt, né per la Guzzanti. In questo ha ragione la Annunziata… E ora? Spetta alla Guzzanti. Ci sono ampi margini per far ridere irridendo i potenti senza indulgere all’invettiva e senza offendere mezzo mondo, ebrei compresi. Li sfruttino da bravi professionisti ben pagati, nei limiti della deontologia, cui forse la satira non è tenuta ad attenersi, ma il servizio pubblico radiotelevisivo sì”. Il solito Messina, su Repubblica, parla di “brutto programma” che “non funziona”, non è “satira, ma comizio”. Stavolta gli attacchi alla satira da sinistra superano addirittura quelli da destra: chi chiede alla Guzzanti di registrare le altre puntate e sottoporle all’imprimatur del Cda e della Vigilanza (la satira “col permesso de li superiori”), chi invoca “moderazione”, chi “contraddittorio”, chi “par condicio”. La satira col bilancino. Nel novembre 2008 Luttazzi torna in tv dopo sette anni su La7 con Decameron. Che però viene chiuso dalla rete l’8 dicembre, dopo la quinta puntata. Il pretesto è una visione surreal-pornografica di Luttazzi, che descrive Giuliano Ferrara in una vasca da bagno piena di escrementi con B., Previti e la Santanchè in completo sadomaso armata di frustino. Ma il vero movente è che sta per andare in onda la sesta puntata sul Papa, il Vaticano e i preti pedofili. I soliti giornaloni scrivono che non è censura: è Luttazzi che è volgare e blasfemo. Ecco: la satira, con buona pace di Aristofane, Ruzante e Rabelais, dev’essere pia, ossequiente e rispettosa del bon ton. Almeno in Italia.

Da Il Fatto Quotidiano del 09/01/2015.
camillobenso
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Repubblica 9.1.15
Il vero complesso di inferiorità dei fondamentalisti fragili e confusi
di Slavoj Zizek


ORA che siamo tutti sotto shock, dopo la carneficina negli uffici di Charlie Hebdo, è il momento giusto per trovare il coraggio di ragionare. Naturalmente dobbiamo condannare senza ambiguità gli omicidi come un attacco contro l’essenza stessa delle nostre libertà, e condannarli senza nessun distinguo mascherato. Ma questo afflato di solidarietà universale non è abbastanza.

Il ragionamento di cui parlo non ha assolutamente nulla a che vedere con le relativizzazioni da quattro soldi di questo crimine (il mantra del «Chi siamo noi occidentali, che abbiamo compiuto massacri terribili nel terzo mondo, per condannare atti come questi? »). E ha ancora meno a che fare con la paura patologica di tanti liberali progressisti occidentali di macchiarsi di islamofobia. Per questi finti progressisti, qualsiasi critica dell’islam viene additata come espressione dell’islamofobia occidentale: Salman Rushdie è stato accusato di aver provocato gratuitamente i musulmani, e quindi di essere responsabile (almeno in parte) della fatwa che lo condanna a morte, e via così.
Il risultato di posizioni del genere è quello che ci si può aspettare in questi casi: più i progressisti occidentali rovistano nel loro senso di colpa, più vengono accusati dai fondamentalisti islamici di essere ipocriti che cercano di nascondere il loro odio per l’islam. Questa costellazione riproduce alla perfezione il paradosso del superego: più obbedisci a quello che l’Altro pretende da te, più ti senti colpevole. In pratica, più tollerate l’islam, più forte sarà la pressione su di voi… Molto tempo addietro Friedrich Nietzsche percepiva che la civiltà occidentale stava avanzando verso l’Ultimo Uomo, una creatura apatica, senza grandi passioni o grandi impegni. Incapace di sognare, stanco della vita, non si prende rischi, cerca soltanto comfort e sicurezza, una manifestazione di tolleranza reciproca: «Un po’ di veleno ogni tanto, per fare sogni piacevoli. E tanto veleno alla fine, per una morte piacevole ». In effetti può sembrare che la spaccatura fra il permissivo primo mondo e la reazione fondamentalista contro di esso coincida sempre più con la contrapposizione fra una vita lunga e soddisfacente, piena di benessere materiale e culturale, e una vita dedicata a qualche Causa trascendente. “I migliori” non sono più capaci di impegnarsi fino in fondo, mentre «i peggiori» si impegnano in un fanatismo razzista, religioso, sessista.
Ma i terroristi fondamentalisti corrispondono esattamente a questa descrizione? La cosa di cui mancano con ogni evidenza è una qualità che è facile discernere in tutti i fondamentalisti autentici, dai buddisti tibetani agli Amish americani: l’assenza di risentimento e invidia, la profonda indifferenza verso il modo di vivere dei non credenti. Se i cosiddetti fondamentalisti dei nostri giorni sono convinti davvero di aver trovato la via verso la Verità, perché dovrebbero sentirsi minacciati dai non credenti, perché dovrebbero invidiarli? Quando un buddista incontra un edonista occidentale, non lo condanna di certo: si limita a osservare benevolmente che la ricerca di felicità dell’edonista è controproducente. Al contrario dei veri fondamentalisti, gli pseudofondamentalisti terroristi sono profondamente infastiditi, intrigati, affascinati dalla vita peccaminosa dei non credenti: si ha la sensazione che combattendo il peccatore stiano combattendo la loro stessa tentazione di peccato. Il terrore del fondamentalismo islamico non è radicato nella convinzione dei terroristi della propria superiorità, in un desiderio di preservare la propria identità cultural-religiosa dal furibondo assalto della civiltà consumistica globale. Il problema dei fondamentalisti non è che li consideriamo inferiori a noi, ma al contrario che loro stessi si considerano segretamente inferiori. È per questo che quando li rassicuriamo, pieni di condiscendenza e political correctness, che non ci sentiamo assolutamente superiori a loro non facciamo altro che farli inferocire ancora di più e alimentare il loro risentimento. Il problema non è la differenza culturale (il loro sforzo per preservare la propria identità), ma il contrario, il fatto che i fondamentalisti sono già come noi, che segretamente hanno già interiorizzato i nostri parametri e misurano se stessi in base a essi.
Il fondamentalismo è una reazione — una reazione falsa e mistificatrice, naturalmente — contro un difetto reale del liberalismo, ed è per questo che il liberalismo lo genera, ripetutamente. Affinché questa tradizione fondamentale possa sopravvivere, il liberalismo necessita dell’aiuto fraterno della sinistra radicale. È il solo modo per sconfiggere il fondamentalismo, tagliargli l’erba sotto i piedi.
Ragionare in risposta agli omicidi di Parigi significa mettere da parte il compiacimento autocelebrativo del liberale permissivo e accettare che il conflitto tra la permissività liberale e il fondamentalismo in definitiva è un conflitto falso. Quello che Horkheimer aveva detto riguardo a fascismo e capitalismo, e cioè che chi non è disposto a parlare in modo critico del capitalismo non dovrebbe contestare neppure il fascismo, andrebbe applicato anche al fondamentalismo dei nostri giorni: chi non è disposto a parlare in modo critico della democrazia liberale non dovrebbe contestare neppure il fondamentalismo religioso.

Traduzione di Fabio Galimberti
camillobenso
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Re: "Allahu Akbar!"

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Repubblica 9.1.15
Pennac: “Solo ora capiamo che per le nostre guerre lontane rischiamo di morire qui a casa”
Dopo la strage e lo shock, lo scrittore riflette sulle cause dell’assalto:
“La Francia ha esportato il conflitto in paesi come Mali e Afghanistan, credendo che gli estremisti non avrebbero colpito. C’è un solo rimedio: combattere sempre violenza e intolleranza”

intervista di Fabio Gambaro

PARIGI «SONO tristissimo. Conoscevo bene Tignous e Bernard Maris. E poco tempo fa avevo cenato con Charb e Cabu. Mi era anche capitato d’incontrare Wolinski. Di fronte alla loro morte sono senza parole». Appena avuta la notizia dell’attacco a Charlie Hebdo , l’altra sera Daniel Pennac si è recato alla manifestazione sulla Place de la Republique, dove insieme a migliaia di altre persone ha protestato contro la barbarie di un odio ingiustificabile. «Erano persone coraggiose, capaci di continuare a fare il loro lavoro nonostante le molte minacce ricevute. Ma al di là delle qualità professionali erano persone adorabili, lontanissime da ogni violenza e aggressività. Grazie al loro entusiasmo, Charlie Hebdo ha sempre rappresentato la forza e il piacere di un’assoluta libertà di pensiero, che certo poteva scioccare chi preferisce trincerarsi dietro certezze incrollabili. I terroristi hanno voluto assassinare la loro libertà».

Gli assalitori gridavano «abbiamo ammazzato Charlie». Ci sono riusciti per davvero?
«Assolutamente no. Charlie Hebdo continuerà a vivere. Io, come molti altri, farò di tutto per aiutarli. Troveremo il modo di far sopravvivere lo spirito libero e irriverente del giornale, scrivendo, disegnando, abbonandosi, aiutando finanziariamente la redazione. L’ironia e l’autoironia sono sempre necessarie: un’anima senza ironia diventa un inferno ».

A chi parla dei limiti della satira, cosa risponde?
«È tutta la vita che ne sento parlare. Chi invoca questo tipo di limiti in realtà vuole solo imporre i propri limiti agli altri. I cattolici, i musulmani, i tradizionalisti, ciascuno vuole far prevalere le proprie regole. Ma ciò non ha senso. Solo una convinzione ottusa e prigioniera di certezze ideologiche e religiose può sentire il bisogno d’imporre un limite all’ironia. Gli unici limiti concepibili sono quelli che l’umorista, l’artista si pone da solo. Io so che ci sono ambiti su cui non scriverò mai, ma questo lo decido io. Nessuno potrà mai impormi gli argomenti su cui scrivere o meno».

La situazione, però, è diventata da guerra.
«La Francia è in guerra, solo che finora il campo di battaglia era geograficamente lontano, in Mali, in Afghanistan. Quindi ci siamo illusi che gli estremisti contro cui stavamo combattendo non avrebbe mai potuto colpirci. Oggi sappiamo che non è vero. E temo che in futuro assisteremo ad altri attacchi di questo tipo».


Come spiega la radicalizzazione di certi giovani che imboccano la strada del terrorismo?

«È il risultato di molti fattori, tra cui il capitalismo odierno che fa la guerra ai poveri e non alla povertà. In questo modo marginalizza una parte della popolazione che si sente esclusa e isolata dalla società. Se a ciò si aggiungono le discriminazioni subite, si comprende come certe persone possano progressivamente radicalizzarsi al punto da odiare la società in cui vivono. Spesso manipolati, costoro diventando disponibili alla violenza e alla follia del terrorismo».


Per la società francese, quali saranno le conseguenze di quanto è accaduto?
«Purtroppo le vittime simboliche di questa strage sono innanzitutto i musulmani di Francia che si ritrovano presi tra due fuochi. Da un lato, ci sono gli assassini che pretendono di parlare in loro nome. Dall’altra, un’opinione pubblica che chiede loro di dimostrare continuamente di essere diversi e lontani dagli assassini. Per i musulmani è una situazione molto difficile. Se i terroristi incarnano una malattia mortale, a modo suo anche l’estrema destra è una malattia mortale, sebbene di un altro tipo. Ma possiamo produrre degli anticorpi».


Come fare?

«Non dobbiamo cedere alla paura degli altri. Non cedere al terrore è il migliore degli anticorpi ».


La cultura può contribuire?

«Mi piacerebbe rispondere di sì, ma purtroppo l’esperienza del passato c’insegna che non è vero. La cultura non ha mai evitato le catastrofi. La Germania aveva la cultura più avanzata, ma questa non ha potuto evitare la Shoah. La cultura può alimentare le coscienze, non può disarmare gli assassini. Il che naturalmente non significa che non si debba continuare a battersi e a lottare contro tutte le forme d’intolleranza e di violenza».

(L’ultimo libro di Daniel Pennac è Storia di un corpo , pubblicato come gli altri da Feltrinelli)
camillobenso
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Repubblica 9.1.15
L’appello di Garton Ash ai giornali europei
“Pubblicate le vignette no al veto degli assassini”

di Timothy Garton Ash

PROPONGO che tutti i media d’Europa rispondano all’azione assassina dei terroristi islamisti coordinandosi per pubblicare la prossima settimana una selezione delle vignette di Charlie Hebdo assieme ad un comunicato che spieghi i motivi dell’iniziativa. Una settimana si solidarietà e di libertà, in cui tutti gli europei, musulmani inclusi, ribadiscano il loro impegno in difesa della libertà di parola, l’unico strumento che ci consente di armonizzare la diversità con la libertà.
In caso contrario a vincere sarà il veto imposto dagli assassini. Perché nonostante le prese di posizione risolute dei media, le vignette solidali e le commoventi manifestazioni all’insegna del motto “Je suis Charlie”, gran parte delle pubblicazioni, lasciate a se stesse, in futuro si autocensureranno per paura. E gli estremisti violenti di altre convinzioni ne trarranno insegnamento: se vuoi imporre il tuo tabù, imbraccia un fucile. Le diversità non si risolvono con la violenza. Si risolvono con la parola. Questo è il principio fondamentale che dobbiamo difendere uniti, soprattutto noi che ci guadagniamo la vita con le parole e con le immagini. Possiamo infuriarci, essere brutali, sarcastici, offensivi — ed essere offesi. Esistono dei limiti, imposti da leggi che possiamo tentare di cambiare in parlamento. Possiamo manifestare pacificamente, ricorrendo anche alla disubbidienza civile. Ma solo lo stato democratico può far uso legittimo delle violenza, che in quel caso chiamiamo forza. La moneta sovrana della libertà ha due facce. Su un sito web dedicato al dibattito sulla libertà di parola ho formulato il principio in questi termini: «Non minacciamo di ricorrere alla violenza né accettiamo l’intimidazione violenta». E’ la seconda affermazione che ora esige questo momento straordinario di solidarietà da parte dei media europei.
Propongo che durante questa settimana si pubblichino non solo le vignette di Charlie Hebdo relative a Maometto, ma anche alcune mirate ad altri soggetti, così da evidenziar- ne il carattere satirico, offensivo per diverse categorie di persone. La satira è proprio questo. Il comunicato avrà il compito di motivare la pubblicazione delle vignette satiriche da parte di media che non ne hanno normalmente l’abitudine. I lettori e gli spettatori dovranno essere avvertiti in anticipo della pubblicazione, ma le immagini non dovranno essere in alcun modo censurate o modificate.
Ci vorrà tempo per organizzare un’azione del genere, ma non sarà un male, anzi, contribuirà a tenere alta l’attenzione sul tema, dato che i media macinano notizie a ritmo inesorabile. Sarebbe ottimo se i media liberi di tutto il mondo aderissero all’iniziativa, ma spetta soprattutto agli europei in questo momento mostrarsi solidali in difesa della libertà di parola, per noi valore determinante, nonché chiave del nostro modo di vivere. E’ la libertà da cui le altre in gran parte dipendono.
Il commento verrà redatto in forma autonoma da ogni singolo quotidiano, rivista, sito web, blog o pagina di rete sociale, come è giusto che sia. Io comunque scriverei così: «Non si deve mai permettere che la violenza limiti la libertà di parola. Per questo, pur non pubblicando normalmente vignette satiriche, abbiamo scelto di farlo oggi, assieme ad altri media in tutta Europa. Solo questa solidarietà dimostrerà agli assassini e aspiranti tali che non possono dividere i media per renderli succubi ricorrendo all’intimidazione affinché si autocensurino. L’attacco contro uno è attacco contro tutti. In questo senso nous sommes tous Charlie .
Così gli assassini otterranno come unico risultato che le vignette su Maometto saranno sotto gli occhi di milioni di persone che altrimenti non le avrebbero mai viste. Sono gli assassini, non i vignettisti, a far questo all’immagine del Profeta. E’ sorto infatti un enorme, legittimo, interesse da parte dell’opinione pubblica riguardo alla causa verosimile del grottesco massacro dei vignettisti francesi Charb, Cabu, Honore, Wolinski e Tignous — nomi ormai entrati nella storia — dei loro colleghi e dei poliziotti per mano dei terroristi.
La pubblicazione coordinata delle vignette non è un gesto gratuito. Non è contro l’Islam. Al contrario, è proprio in difesa della realtà per cui i musulmani d’Europa — a differenza dei cristiani e degli atei in gran parte del Medio Oriente — possono esprimere liberamente le loro convinzioni più radicate e sfidare quelle altrui. È in gioco il destino dell’Europa e della libertà. La nostra convivenza nella libertà dipende da questo: che non prevalga il veto degli assassini».

Traduzione Emilia Benghi
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Re: "Allahu Akbar!"

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Corriere 9.1.15
Vogliono uccidere la nostra anima
Non sono pazzi criminali, li muove un’ideologia politica
Più l’Occidente si autocensura, più diventeranno audaci

di Ayaan Hirsi Ali

Dopo la carneficina di mercoledì, forse l’Occidente metterà finalmente da parte le tante scuse artificiose impiegate finora per negare ogni nesso tra violenza e Islam radicale.
Questo non è stato un attacco sferrato da uno squilibrato, da un lupo solitario. Non è stata un’aggressione per mano di delinquenti qualunque. Era stata programmata per fare più morti possibile, durante una riunione di redazione, con armi automatiche e un piano di fuga. Gli assassini volevano seminare il terrore, e ci sono riusciti. Ma di cosa ci sorprendiamo? Se c’è una lezione da imparare, è che tutto ciò che noi crediamo dell’Islam non ha alcun peso. Questo tipo di violenza, la jihad, rappresenta quello in cui credono gli islamisti. Il Corano è disseminato di appelli alla jihad violenta, ma non solo. In troppa parte dell’Islam, la jihad si è evoluta in un’ideologia moderna. La «bibbia» del jihadista del ventesimo secolo è «Il concetto coranico della guerra», scritto dal generale pakistano S.K. Malik.
Nella sua analisi l’anima umana — e non il campo di battaglia fisico — rappresenta il centro dove portare il conflitto. E il modo migliore di colpire l’anima è attraverso il terrore, «il punto in cui il mezzo e il fine si ricongiungono». Ogni volta che giustifichiamo la loro violenza in nome della religione, ci pieghiamo alle loro richieste. Nell’Islam, è un grave peccato rappresentare o denigrare il profeta Maometto. I musulmani sono liberi di crederci, ma perché devono imporlo ad altri? L’Islam, con i suoi 1.400 anni di storia e un miliardo e mezzo di fedeli, dovrebbe riuscire a tollerare qualche vignetta. L’Occidente deve costringere i musulmani, specie quelli della diaspora, a rispondere a questa domanda: che cosa è più offensivo per un credente, l’uccisione, la tortura, la schiavitù, la lotta armata e gli attacchi terroristici in nome di Maometto, o la produzione di disegni, film e libri che si fanno beffe degli estremisti e della loro visione di ciò che Maometto rappresenta?
Per rispondere a Malik, la nostra anima in Occidente crede nella libertà di coscienza e parola. Sono le libertà che formano l’anima della nostra civiltà. Ed è proprio in questo che gli islamisti ci hanno attaccato. Tutto dipende da come reagiremo. Se ci convinciamo di combattere contro un manipolo di pazzi criminali, non saremo in grado di fornire risposte. Dobbiamo riconoscere che gli islamisti di oggi sono motivati da un’ideologia politica, radicata nella dottrina fondante dell’Islam. Sarebbe un notevole cambiamento di rotta per l’Occidente, che troppo spesso ha reagito alla violenza jihadista con tentativi di conciliazione. Cerchiamo di blandire i capi di governo islamici che premono per costringerci a censurare stampa, università, libri di storia, programmi scolastici. Loro alzano la voce, e noi obbediamo. In cambio cosa otteniamo? I kalashnikov nel cuore di Parigi. Più ci sforziamo di attenuare, placare, conciliare, più ci autocensuriamo, più il nemico si fa audace ed esigente.
C’è una sola risposta a questo vergognoso attacco jihadista contro Charlie Hebdo : l’obbligo di media e leader occidentali, religiosi e laici, di proteggere i diritti elementari di libertà di espressione, che sia la satira o altro. L’Occidente non deve più inchinarsi, non deve più tacere. Dobbiamo inviare ai terroristi un messaggio univoco: la vostra violenza non riuscirà a distruggere la nostra anima.

Traduzione di Rita Baldassarre
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Corriere 9.1.15
Le mille matite della libertà
di Aldo Cazzullo

I giornali latini ripubblicano le vignette di Charlie Hebdo. I giornali anglosassoni tendono a nasconderle, talvolta a condannarle. Non sono soltanto diverse scelte editoriali; corrispondono a una diversa lettura della tragedia di Parigi, e del passaggio storico che stiamo vivendo. Atto di guerra o terrorismo? Scontro tra culture o attacchi di una minoranza nemica della sua stessa comunità?
Alcune di quelle vignette sono efficaci. Altre non fanno ridere. Altre ancora appaiono inopportune. Si possono criticare. Ma sarebbe un errore grave dividersi oggi sulla libertà d’espressione, che va difesa sempre, anche quando diventa libertà di dissacrazione. Il contrasto tra il riso e l’integralismo religioso è antico di secoli. Umberto Eco ne ha tratto un best seller mondiale, sostenendo che l’uomo è l’unico animale che ride, ed è l’unico animale che sa che deve morire; se il riso è l’antidoto alla paura della morte, è logico che il nichilismo islamista ne abbia orrore. Ogni terrorista ha trovato giustificazioni e alibi, pure nel recente passato italiano. Questa volta non ne dovrà trovare. Non ci sono provocatori e provocati; ci sono vittime e carnefici.
Dissacrare però non basta. È anche il momento di costruire: valori, regole, convivenza basata sul rispetto reciproco e sulla legalità. Negare che sia in corso una guerra, che l’altra sponda del nostro mare sia il campo di battaglia e l’Europa la retrovia in cui l’esercito islamico tenta di reclutare o infiltrare i suoi combattenti, sarebbe negare la realtà. Ma il confronto con l’Islam non può essere ridotto alla guerra. È un tema cruciale della modernità, del nostro tempo segnato dalle migrazioni e dal mondo globale.
Il confronto con l’Islam è un tema che attraverserà le nostre vite. Chiama in causa non soltanto le capacità militari e di intelligence dell’Europa; ne sollecita l’identità culturale, la coesione sociale. Contrapporre violenza a violenza, uniformare tutti i musulmani in un’unica condanna farebbe il gioco degli assassini di Parigi; che sperano di suscitare l’intolleranza proprio nella terra di Voltaire, che contano di seminare l’odio tra popoli che la storia ha condannato a combattersi, come nell’Algeria degli Anni Cinquanta, ma anche a convivere, attorno a un unico mare e talora nella stessa terra.
La Francia è il Paese più esposto, non solo perché ha avuto un impero coloniale; è il Paese del velo vietato per legge, della Repubblica laica in piena crisi identitaria. Ma anche l’Inghilterra multiculturale ha generato terroristi e tagliagole. L’Italia il suo Islam lo sta importando, ed è cruciale costruire argini più efficaci all’immigrazione senza controllo. Possiamo essere orgogliosi delle vite salvate in mare, e nello stesso tempo agire contro gli scafisti e impedire atti di aperta ostilità, come le imbarcazioni lanciate con il pilota automatico contro le nostre coste. È importante tenere alta la guardia, rafforzare la prevenzione e la sicurezza. Ma non è meno importante costruire — con la scuola, con la politica, anche con la discussione pubblica che passa attraverso i media — un sistema di princìpi condivisi da trasmettere ai nostri figli e ai nuovi italiani.
A maggior ragione ora che il disagio legato alla distruzione del lavoro tradizionale rende più difficile accogliere profughi e immigrati, il confronto con l’Islam va affrontato sapendo chi siamo e in cosa crediamo. La risposta migliore all’offensiva fondamentalista è consolidare la nostra democrazia, riaffermare i nostri valori. Tra questi, oltre alla laicità dello Stato e al rispetto della donna, c’è anche il diritto a criticare e, se si vuole, a ridere del fanatico il quale «vi diceva che la verità ha il sapore della morte; e voi non credevate alla sua parola, ma alla sua tetraggine».
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La Stampa 9.1.15
Pensiero critico per andare contro gli estremismi
di Marco Belpoliti

Alla fine degli Anni Ottanta Salman Rushdie, scrittore angloindiano, riceve la fatwa, una condanna a morte, per via del suo romanzo «I versi satanici». La decreta Khomeini, leader religioso iraniano, per il trattamento irriguardoso nel romanzo riservato a suo dire al profeta Maometto. Rushdie, che nel libro ha fornito del capo spirituale e politico dell’Iran un ritratto ben poco lusinghiero, è costretto a nascondersi per due decenni protetto dai servizi segreti britannici. Quasi ventisei anni dopo un altro scrittore, il francese Michel Houellebecq, pubblica alla vigilia del sanguinoso massacro di Rue Nicolas Appert, un romanzo, «Sottomissione» (Bompiani), in cui descrive uno scenario completamente opposto. Non ci sono più due attori indiani che precipitano dal cielo, dopo un attentato terroristico all’aereo su cui volavano, bensì un raffinato intellettuale parigino che discetta di simbolismo e autori cattolici, e si dedica al sesso. Decide di convertirsi, ovvero di arrendersi all’Islam trionfante. Nella distopia architettata da Houellebecq la Francia è ora dominata dal partito della Fratellanza islamica, che ha vinto le elezioni, e il suo leader, Mohammed Ben Abbes, ha avuto i voti degli avversari del Front National ed ha istituito una repubblica islamica. Nella provocazione, intelligente e letterariamente accattivante dello scrittore francese, tutto si è rovesciato. Come si sa il suo romanzo ha anticipato di un giorno o poco più la vicenda dell’assalto al giornale satirico. Si tratta di qualcosa che con Jung si può chiamare «sincronicità»; qui la coincidenza tra l’immaginazione dell’arte e i fatti della vita. Il romanzo, pur non parlando di attentati a giornalisti e disegnatori, ha indicato uno dei temi che si celano dentro le ultime vicende che stanno insanguinando il Pianeta: l’eccesso. Da qualche tempo il fanatismo ha fatto ritorno sulla scena. Fanatico è uno che è ispirato, che è posseduto da una divinità o da un demone, che è colto da entusiasmi e compie atti eccessivi, fuori luogo. L’eccesso domina oggi molti campi. Uno psicoanalista inglese di grande talento, Adam Philipps, ha tenuto qualche anno fa alla Bbc cinque conversazioni sul tema dell’eccesso, in cui ha spiegato come abbracci diverse esperienze umane, dall’anoressia ai kamikaze, dal giocatore compulsivo al bambino che reclama attenzioni. Segna soprattutto i principali conflitti politici e religiosi oggi in atto, ed anche eccessive sono le sproporzioni economiche tra singoli individui, classi sociali e nazioni; ma anche sesso e violenza ne mostrano sempre nuove facce. Discorso difficile quello sull’eccesso, che Houellebecq condensa nel suo romanzo, perché, come dice Philipps, «niente è più eccessivo dei discorsi sull’eccesso». Quello che colpisce nella coincidenza di romanzo e attentato è questa comune radice, che in un caso, nello scrittore, assume le forme della distopia politico-sociale, e nell’assalto dei terroristi quella della ben più terribile e reale della strage di vite umane. L’eccesso è la libertà di uscire, dice Phillips. Da cosa? Dalle regole, prima di tutto, dalle giuste misure stabilite attraverso patti più o meno scritti in ogni società. L’eccesso è contagioso e permette di essere eccessivi a propria volta. Ogni eccesso rivela i desideri e le convinzioni che vi si occultano in modo più o meno palese. Il protagonista del romanzo di Houellebecq rinuncia a ciò che è il valore per eccellenza della cultura dei Lumi, la libertà, per sottomettersi – questo il significato della parola Islam – a un regime religioso in forte contrasto con il suo passato d’intellettuale. Compie un eccesso, così come eccessivo è in fondo tutto il suo estetismo e la sua sessualità di maschio occidentale dedito al godimento. Pasolini ha ben descritto nel suo nerissimo «Salò Sade» l’arbitrio che si cela nella libertà. Nell’eccesso della nuova fede cui si converte, il protagonista trova ragioni per suo sadomasochismo. Cosa ha in comune questo personaggio di carta con i giovani che armati di mitragliatori hanno fatto strage nella sede di Charlie Hebdo? Nulla, se non l’eccesso che connota oggi la realtà contemporanea e ne fa senza dubbio un’età dell’estremismo. La convinzione di Hoellebecq è che l’Occidente sia perso, che non abbia più futuro e la depressione sia il nostro unico destino. Allora perché resistere? Perché tutto ciò non risolve il problema dell’eccesso, quello degli altri, come il nostro. «Ogni nostro eccesso è il segno di una privazione ignota», conclude Philipps. Davanti all’attacco assassino alla rivista satirica francese non è tanto la bandiera della libertà che bisogna issare, bensì il vessillo del nostro pensiero critico, che non deve indietreggiare nell’indagare anche quanto di oscuro c’è in noi. Solo così l’eccesso non l’avrà vinta.
camillobenso
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Italiani timidi nel difendere i nostri valori
09/01/2015
VLADIMIRO ZAGREBELSKY


Appena diffusasi la notizia del massacro, la gente è scesa subito in piazza a Parigi e in tutta la Francia, con Berlino, Londra, Vienna, Bruxelles, ed anche Lima e Tirana, Pristina e Buenos Aires e tante altre città del mondo. L’ha fatto per stare insieme, cittadini con cittadini, e dire che la libertà è di tutti, non solo dei giornalisti di«Charlie Hebdo» uccisi dai barbari. I giornali del mondo e i siti web sono pieni di immagini di quelle manifestazioni. L’effetto della partecipazione è così moltiplicato. L’Italia è rimasta a lungo assente e, per quanto si sa, si è mossa quando ha preso l’iniziativa la comunità francese. Così ieri sera vi sono state manifestazioni a Torino, a Firenze e a Roma, davanti all’ambasciata di Francia. Una cosa sentita e degna, ma diversa rispetto alle manifestazioni spontanee, istintive dei cittadini, proprio perché la spinta è stata di cittadini francesi. Sarebbe stato bello che fossero i torinesi, i fiorentini e i romani, cittadini europei, a dimostrare spontaneamente il loro sdegno e la decisione di difendere ad ogni costo la propria libertà. Perché ciò che è avvenuto a Parigi non è un fatto francese, ma un’aggressione a un tratto essenziale della cultura e della civiltà europea. La libertà di espressione è stata in Europa conquistata a duro prezzo. Alla Francia e alla Rivoluzione dobbiamo l’affermazione che «la libera comunicazione del pensiero e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’Uomo». E se a Roma manca una piazza della Bastiglia ove manifestare, vi è però Campo dei Fiori con il monumento a Giordano Bruno.

Due anni orsono a Tolosa un terrorista islamista franco-algerino (come i sospettati della strage di Parigi) ha ucciso bambini ebrei francesi all’entrata della loro scuola. Li ha uccisi perché ebrei e perché scolari. Anche allora la gente in Francia e in molte città europee sentì la necessità di esprimere collettivamente il proprio dolore e la propria unità, senza creder sufficienti i discorsi e i telegrammi delle autorità pubbliche. In Italia, anche su suggerimento di questo giornale, il ministro dell’Istruzione Profumo dispose che di quegli assassinii si parlasse nelle scuole. Giusta iniziativa, perché anche quella non era una storia francese, ma un attacco a tutti noi, all’Europa. Ma fu necessaria una circolare ministeriale.

Nei giorni scorsi le tante manifestazioni a Parigi e in Europa hanno visto scendere in strada persone orgogliose di esser parte di una civiltà fondata sulla libertà di pensiero, di espressione ed anche di religione. L’Europa, nei secoli ha prodotto le guerre di religione, i roghi di eretici e dissidenti, i lager nazisti e sovietici, la shoah. Ma ha saputo superare l’odio religioso e l’intolleranza ideologica, dando in ciò il meglio di se stessa. L’Europa di oggi ha Carte dei diritti e Costituzioni che proteggono la dignità e la libertà di tutti. Nell’Unione europea, per i diritti e le libertà, i confini sono caduti. Si dirà, con qualche ragione, che questa visione forza la realtà delle cose. Sì, ma non troppo, se si guarda altrove nel mondo. E comunque è al meglio che occorre attaccarsi, non al peggio che pur resiste e proprio ora vuol riemergere. Le libertà sono il fondamento irrinunciabile dell’Europa; non si può consentire, sotto il pretesto di culture diverse e intolleranti, ch’esse vengano limitate.

In queste ore i governi attivano misure speciali di vigilanza e studiano nuove leggi, in particolare contro gli jihadisti di ritorno. Si può immaginare che i servizi di sicurezza vengano meglio attivati sul terreno, interno e esterno, che produce terroristi come quelli entrati in azione a Parigi. Tuttavia le necessarie azioni di polizia non basteranno. Esse vanno condivise e sostenute in un quadro di valori. Senza tradirne l’essenza, è indispensabile la consapevole e proclamata volontà di difendere e mantenere viva la civiltà della nostra Europa.

http://www.lastampa.it/2015/01/09/cultu ... agina.html
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Lo Stato paga i debiti ma Chil di papà Renzi non aveva i requisiti
(Davide Vecchi).
09/01/2015 di triskel182

L’AZIENDA NON COMUNICÒ IL TRASFERIMENTO DI SEDE A GENOVA PER NON PERDERE LA COPERTURA DI FIDI TOSCANA.

Tiziano Renzi avrebbe dovuto comunicare il trasferimento della sede della sua azienda, la Chil Post, da Firenze a Genova alla finanziaria Fidi Toscana, come prevede lo statuto del fondo di garanzia da cui ha ricevuto i fondi per coprire parte dei debiti contratti. Il cambio di regione avrebbe ovviamente comportato la decadenza del beneficio. Per carità: si sarà sicuramente trattato di una dimenticanza. Il dato emerge dagli atti custoditi in Regione relativi all’azienda di casa Renzi, poi fallita e per cui il padre del premier è indagato per bancarotta fraudolenta dalla procura ligure. E non è l’unico elemento interessante.

RICOSTRUENDO la vicenda emerge che la Chil è una delle pochissime aziende per cui il ministero dell’Economia ha coperto il fondo di garanzia toscano. Creato nel febbraio 2009 per volere dell’allora governatore Claudio Martini e finalizzato ad aiutare le imprese regionali ad affrontare la crisi economica, il fondo “emergenza economia misura liquidità” in cinque anni ha sottoscritto garanzie per un miliardo e 126 milioni di euro a 5.687 aziende toscane. E ne ha dovuto effettivamente elargire solamente 16 milioni di euro. Nulla, rispetto alla cifra complessiva garantita.

Di questi 16 milioni lo Stato, attraverso il fondo centrale di garanzia costituito presso il Mef, ha restituito a Fidi Toscana appena un milione di euro, tra cui proprio i 236.803,23 deliberati a giugno 2014. Ed è così che lo Stato guidato da Renzi ha pagato parte del debito della società di casa Renzi.

A spiegare l’iter seguito dalla Chil Post è Simonetta Baldi, dirigente della Regione responsabile del settore politiche orizzontali a sostegno delle imprese, l’ufficio che gestisce il fondo di garanzia e tiene i rapporti con Fidi Toscana, la finanziaria controllata per il 49% dall’ente guidato da Enrico Rossi.

Baldi non svela nulla: si limita a confermare le informazioni in nostro possesso. “Il fondo è stato creato nel febbraio 2009 e la Chil è stata tra le prime a rivolgersi a noi appena un mese dopo” ed è stata “anche tra le prime ad andare in sofferenza”, ricorda Baldi. Di “5.687 aziende che sono ricorse a noi non sappiamo quante poi sono fallite ma decisamente poche” anche perché “il fondo ha funzionato molto bene per la quasi totalità delle imprese”.

Su un miliardo e 200 milioni garantiti “siamo intervenuti per appena 16 milioni, come sa”. Baldi conferma anche le cifre ricevute dal ministero dell’Economia: “Sì, poco più di un milione di euro”. E spiega che non è affatto scontato che il rimborso avvenga, “anzi”.


Funziona così: “Al ministero dell’Economia c’è il fondo centrale che serve come contro-garanzia ma può essere attivato solo a determinate condizioni” e comunque viene rimborsato “con tempi piuttosto lunghi, tra il pagamento che effettuiamo noi per l’azienda e quello che riceviamo dal Mef c’è un gap di anni”.


Per la Chil Post “sono arrivati in sei mesi, sì. Ma è stata una delle prime pratiche a essere aperta e ad andare in sofferenza”. SECONDO il regolamento, inoltre, la Chil Post non avrebbe potuto beneficiare del fondo di garanzia perché nel frattempo ha cambiato sede e proprietà. Baldi, ancora una volta, conferma: “C’è stato un difetto di informazione, i passaggi di proprietà Fidi Toscana li ha saputi successivamente”, dopo il fallimento. Va detto che la società non ha cambiato partita Iva o forma, rimanendo una srl, ma “se ricevessi una domanda da un’impresa di Genova gli dico di no, ovviamente”, garantisce Baldi.


Quando la Chil fece domanda era una società toscana, quindi al momento dell’ammissione alla garanzia l’impresa aveva tutte le caratteristiche in regola. È IL 16 MARZO 2009 quando Tiziano Renzi presenta richiesta e il 13 agosto 2009 l’operazione va in porto a garanzia di un mutuo con il credito cooperativo di Pontassieve da 496.717,65 euro.


Dopo poco più di un anno, l’otto ottobre 2010, circa due milioni in beni e servizi – ritenuti dagli inquirenti genovesi la parte sana della Chil Post – sono ceduti alla Eventi 6 di Laura Bovoli, madre dell’ex rottamatore. Passa meno di una settimana e il 14 ottobre Tiziano Renzi trasferisce la società a Genova.

Infine il 3 novembre cede l’intera proprietà della Chil Post a Gian Franco Massone, prestanome per il figlio Mariano, entrambi indagati con il padre del premier dalla procura ligure.

A questo punto però l’azienda è ormai priva di beni ed è gravata da un passivo di un milione e 150 mila euro, compresi 496 mila euro di esposizione con il Credito cooperativo di Pontassieve guidato dal fidatissimo amico del premier, Matteo Spanò.

I debiti non vengono ripianati e Massone dichiara il fallimento della Chil Post nel 2013. Il mutuo viene ammesso al passivo dal tribunale e così Fidi Toscana onora la sua garanzia. Poi coperta dal Tesoro.

Da Il Fatto Quotidiano del 09/0172015.
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