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Terrorismo, migranti, foibe, marò, fascismo…
Appunti sul vittimismo italiano
di Wu Ming 1
Ho cominciato a prendere questi appunti ormai molti mesi fa, dopo aver letto in sequenza il libro di Federico Tenca Montini Fenomenologia di un martirologio mediatico. Le foibe nella rappresentazione pubblica dagli anni Novanta a oggi (KappaVu, 2014) e il pamphlet Critica della vittima di Daniele Giglioli (Nottetempo). I due libri sono complementari. Tenca Montini e Giglioli affrontano gli stessi nodi di fondo. Il primo lo fa analizzando un case study molto significativo, ricostruendo genesi, sviluppo e affermazione, nel corso degli anni Novanta e degli anni Zero, del discorso sulle «foibe». Discorso quintessenzialmente vittimistico, perfettamente coerente con l’autonarrazione deresponsabilizzante spesso riassunta nell’espressione «Italiani brava gente»; Il secondo, invece, fotografa la tendenza egemone dei nostri tempi, la centralità della «vittima» nell’immaginario italiano e occidentale contemporaneo.
Quella che era partita come riflessione ispirata dalla lettura quasi contemporanea dei due saggi, si è gonfiata come un torrente a fine inverno e ha trascinato a valle detriti di polemiche di cronaca, storiografiche e di costume.
Rimuovere tutte le premesse tranne una
Ovviamente, le vittime sono sempre esistite. Quelle vere e quelle presunte. Anche il vittimismo – il “fare la vittima”, l’atteggiarsi a vittima – non è una novità, e si manifesta da sempre in tutto il mondo. Anche il vittimismo dei poteri costituiti, il vittimismo di stato, ha una lunga storia, e plausibilmente un radioso futuro. Per ragioni facilmente intuibili, nella storia non c’è guerra d’aggressione che non sia stata scatenata da una sedicente vittima, da qualcuno che affermava di doversi difendere, reagire a una minaccia, riparare un torto subito, far valere un diritto negato ecc. Ogni volta si fa iniziare la storia dove fa più comodo, per negare le proprie colpe e responsabilità e poter dire che «hanno cominciato gli altri».
Su chi siano esattamente questi altri è meglio che le idee rimangano confuse, in modo da poter attribuire loro, con elasticità e senza dover spiegare troppo, il maggior numero possibile di nefandezze, anche in contraddizione l’una con l’altra.
Ad esempio, dando all’opinione pubblica un’idea disinformata e dozzinale sugli “islamici”, i “musulmani”, i “terroristi arabi”, insomma quelli là con gli stracci in testa, gli USA poterono attaccare l’Iraq in nome delle vittime newyorkesi dell’11 settembre 2001, anche se l’Iraq e il suo regime (notoriamente laico) erano totalmente estranei all’attentato, e la guerra aveva evidentemente altri scopi.
Saddam non aveva mai appoggiato Al Qaeda. Al contrario, gli USA avevano a lungo e pubblicamente foraggiato – in chiave antisovietica e antipanarabista – lo stesso fanatismo islamico che ora dicevano di voler combattere. Lo avevano fatto in tutto il mondo musulmano, dal Nordafrica alla Palestina all’Afghanistan, creando mostri un po’ ovunque. Ma tutta la storia precedente l’11 settembre 2001 era stata rimossa dal racconto. Bisogna sempre rimuovere il maggior numero possibile di premesse, lasciandone solo una di comodo: quella che ci deresponsabilizza. L’abbattimento delle Twin Towers era diventato quella premessa.
In seguito, le catastrofiche guerre di Bush sono state rimosse a loro volta, come è stato rimosso tutto il razzismo, tutto l’imperialismo culturale vomitato su arabi e musulmani negli anni della War on Terror, come sono stati rimossi gli abusi di Abu Ghraib e – soprattutto – Guantanamo. Scomparse le extraordinary renditions, scomparse le torture CIA.
Oggi si blatera dell’ISIS senza mai spiegare che quel movimento ultrareazionario, schiavista, islamonazista, è l’esito di decenni di precise scelte politiche, militari ed economiche. È senz’altro più comodo parlarne come se fosse nato dal nulla, o meglio, da una misteriosa predilezione dei musulmani (tutti!) per il fanatismo e la violenza politica. In questo modo, si può piegare la lotta al terrorismo a una generica “politica della paura”, come la chiama Serge Quadruppani, finalizzata a un sempre più capillare controllo sociale.
E fateci caso: ogni volta si riparte da capo.
L’11 settembre 2001 tutti i commentatori dissero: «Da oggi, abbiamo la guerra in casa».
Quando fu colpita la metropolitana di Madrid, tutti i commentatori dissero: «Da oggi, abbiamo la guerra in casa».
Quando fu colpita la metropolitana di Londra, tutti i commentatori dissero: «Da oggi, abbiamo la guerra in casa».
Dopo la strage nella sede di Charlie Hebdo, tutti i commentatori hanno detto: «Da oggi, abbiamo la guerra in casa».
Non si va mai più indietro di oggi. E quindi non si capisce un caXXo.
Anche perché scompaiono le lotte vere, le resistenze popolari concrete all’ISIS, come quella che ha luogo da mesi a Kobane.
Troviamo la stessa strategia discorsiva quando si parla di immigrazione. Normale, perché il dibattito sul terrorismo maschera quello sull’immigrazione, o meglio, quello mai esplicito sulla forza-lavoro migrante, forza-lavoro da sfruttare riconoscendole il minimo dei diritti – o meglio ancora, nessuno.
Si parte inveendo contro l’ISIS… e si finisce subito a parlare dei “barconi”, si ripropone tutto il repertorio di bufale razziste sui soldi immaginari che lo stato darebbe agli “extracomunitari” ecc.
Anche qui, viene rimosso il maggior numero possibile di premesse.
Il colonialismo europeo – compreso quello dell’Italia – ha invaso, devastato e depredato Africa e Asia.
Le multinazionali nordamericane ed europee – comprese quelle italiane – continuano a sfruttare e depredare quelle terre, a sottrarne sistematicamente le risorse, in un sistema di “scambio ineguale” e divisione internazionale del lavoro che ha come principio regolatore un razzismo oggi non più dichiarabile ma pienamente operativo. Ai popoli implicitamente ritenuti “inferiori” toccano lavori peggiori e salari più bassi.
Ma quando si parla di immigrazione, tutto questo scompare. Non siamo più “noi” (bianchi, occidentali, capitalisti, colonialisti) ad avere invaso l’Africa, sterminato popolazioni, sfruttato il lavoro dei colonizzati, rubato terra e materie prime ecc.
Macché, sono gli africani che stanno “invadendo” noi. Stop invasione!
Perché noi siamo le vittime. Sempre. Da sempre.
Soprattutto noi italiani.
... (continua)
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