Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?

E' il luogo della libera circolazione delle idee "a ruota libera"
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camillobenso
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

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L’importante è che non lo capiscano a destra………..


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http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/04/ ... ti/196026/

‘Obama ha capito la rete, i nostri partiti no’

“A differenza della politica americana, in Italia i partiti considerano Internet solo come uno strumento, una componente aggiuntiva e non un mondo con il quale bisogna connettersi”. È il giudizio di Stefano Rodotà, giurista e promotore di una campagna per la diffusione della Rete. Nel keynote speech tenuto al Festival del giornalismo di Perugia, Rodotà ha sottolineato come i blog e i social network abbiano prodotto cambiamenti anche nel tradizionale modo di manifestare in piazza: “In questo modo le forme di protesta sono state rese più agevoli”. Le grandi organizzazioni, quali partiti e sindacati, hanno quindi perso questo monopolio ed è “un cambiamento straordinario”. Il noto giurista parla anche del fenomeno Grillo: “Ci sono anche movimenti che usano la rete meglio e sono più democratici di quello. Lui non è la conferma del populismo che passa attraverso la rete, ma la sottolineatura che la rete può produrre anche questo” di Francesca Martelli
27 aprile 2012
Amadeus

l'ALba di una nuova specie?

Messaggio da Amadeus »

http://firenze.repubblica.it/cronaca/20 ... ef=HREC1-6
Ginsborg battezza Alba

il nuovo "partito" della sinistra
Lo storico convoca al PalaMandela la prima assemblea nazionale del "manifesto" su cui si fonda un soggetto politico ancora senza nome che ha l'ambizione "di rendersi protagonista della vita democratica del paese"
di SIMONA POLI


Non è ancora un partito ma è già qualcosa di più di un movimento il nuovo "soggetto politico" battezzato a Firenze dallo storico Paul Ginsborg e dai mille riuniti al PalaMandela nella prima assemblea nazionale ispirata al "manifesto per un'altra politica nelle forme e nelle passioni" firmato finora da quattromila persone (tra cui Stefano Rodotà e Luciano Gallino). L'assemblea ha appena scelto il nome del nuovo soggetto: sarà Alba, che significa Alleanza per Lavoro Beni comuni e Ambiente. Questo acronimo è stato preferito agli altri, gettonatissimi, Lavoro e Bene Comune; Italia bene Comune; Alternativa Democratica.

"Da anni chiediamo ai partiti di autoriformarsi", spiega Ginsborg. "Abbiamo organizzato manifestazioni, dibattiti, girotondi, appelli ma niente di quello che abbiamo detto è stato ascoltato. E allora tocca a noi scendere in campo, portando idee e proposte con l'obiettivo di unire la sinistra e allo stesso tempo stimolarla a rimettere al centro dell'attenzione le regole della democrazia e i temi del lavoro e della tutela dei diritti. Il Pd non ci teme, siamo troppo piccoli. Mi ha chiamato un dirigente per chiedermi se facciamo sul serio. Certo che facciamo sul serio, siamo molto motivati e anche arrabbiati per quello che sta accadendo in Italia. Ma la nostra parola guida è mitezza: la forza degli argomenti e del ragionamento deve prevalere sempre nella discussione politica".


Insieme a Ginsborg parlano il politologo Marco Revelli, il giurista torinese Ugo Mattei, Paolo Cacciari, Gianni Rinaldini del direttivo della Cgil. Interviene anche il vendoliano Fratoianni, che è qui insieme a Giuseppe Brogi, Alessia Petraglia e Marisa Nicchi. In platea in veste di osservatori ci sono l'ex portavoce del Social forum genovese Marco Agnoletto, il segretario di Rifondazione Paolo Ferrero e molti esponenti di Sel, della Federazione della Sinistra, dei movimenti, della Fiom e dei sindacati di base. Seduto in seconda fila "ma solo per ascoltare", precisa, il senatore del Pd Vincenzo Vita, che commenta: "Voglio interpretare questa novità che si sta muovendo a sinistra, anche se trovo eccessivi alcuni attacchi al Pd che ho sentito in vari interventi. E vorrei che nella giusta critica che si fa al governo Monti non ci si dimenticasse che prima di lui il paese era ad un passo dal baratro".

Lo pensa anche Sergio Staino, non particolarmente entusiasta del dibattito. "Sono venuto per capire quale sia il progetto ma francamente non potrei dire di esserci riuscito. Più che mitezza parlerei di tenerezza, perché è questo il sentimento che si prova quando qualcuno mette a disposizione la sua esperienza per cercare di realizzare qualcosa di nuovo. Non condivido comunque l'idea che Monti sia stato messo lì dal capitalismo finanziario, vorrei che ogni tanto qualcuno si ricordasse che il precedente premier era Berlusconi..."

Tantissimi gli interventi al microfono, rigidamente limitati a sette minuti. Il politologo Marco Revelli non è tra quelli che hanno voglia di fondare un altro "partitino" ma di sicuro si colloca nella schiera degli italiani molto incavolati per la situazione economica e politica: "Vogliamo essere un soggetto costituzionale che si candida ad essere protagonista dio una fase in cui la sfiducia nei partiti è totale. Mentre gli imprenditori si suicidano Bersani, Casini e Alfano dichiarano di non voler rinunciare ai soldi del finanziamento pubblico, è una follia. Ormai è inutile sperare nella capacità dei partiti di autoriformarsi, non ci crediamo più. E siamo preoccupati per l'emergenza sociale che il governo affronta con la ricetta del neoliberismo, un dogma che ha fallito e che non potrà risanare l'economia di questo paese".

"Questo movimento non teme di confrontarsi", dice Alberto Lucarelli, assessore ai beni comuni di Napoli, tra i principali autori del manifesto di Ginsborg. "Noi non diciamo o con noi o contro di noi ma ci poniamo nell'ambito di una cultura della sinistra che si contrappone a queste forme di liberismo economico che hanno deformato lo stato sociale".

Tra i firmatari del manifesto c'è Luciano Gallino, professore emerito all'università di Torino. Convinto che "per creare rapidamente occupazione occorre che lo Stato operi come datore di lavoro di ultima istanza, assumendo direttamente il maggior numero di persone". Gallino auspica la nascita di un'Agenzia per l'occupazione con cui si dovrebbe puntare ad assumere rapidamente almeno un milione di persone". Una proposta inviata all'assemblea fiorentina, così dettagliata: "L'Agenzia per l'occupazione dovrebbe essere simile alla Works Progress Administration del New Deal americano. Le assunzioni verrebbero effettuate e gestite unicamente su scala locale, da Comuni, Regioni, enti del volontariato, servizi del lavoro. Le persone assunte dovrebbero venire impiegate unicamente in progetti di pubblica utilità. L'operazione sarebbe finanziata da una molteplicità di fonti: fondi europei; cassa depositi e prestiti; una patrimoniale di scopo dell'1% sui patrimoni finanziari superiori a 200.000 euro".

Infuocatissimo l'intervento del giurista dell'ateneo torinese Ugo Mattei, autore dello Statuto del Teatro Valle. "Inserire il pareggio di bilancio in Costituzione è stato0 un vero e proprio golpe bianco", dice, "e il Pd non doveva votare. Siamo in un'emergenza drammatica, la gente non sa come campare e ci sono un milione di irresponsabili che banchettano allegramente. E questa non è anti politica ma pura verità".
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

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Infuocatissimo l'intervento del giurista dell'ateneo torinese Ugo Mattei, autore dello Statuto del Teatro Valle. "Inserire il pareggio di bilancio in Costituzione è stato un vero e proprio golpe bianco", dice, "e il Pd non doveva votare. Siamo in un'emergenza drammatica, la gente non sa come campare e ci sono un milione di irresponsabili che banchettano allegramente. E questa non è anti politica ma pura verità".

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Dicono che la storia sia maestra di vita,…….ho smesso di crederci da tempo.

Possiamo dire che questi tempi siano diversi dagli anni ’80 del diciottesimo secolo alla Corte di Versailles?

L’umanità ripete all’infinito i suoi errori.
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EDITORIALE - POLITICA
Il gusto del metodo

NORMA RANGERI
29.04.2012

Non è perfettamente chiaro cosa diventerà da grande, ma è già stata battezzata: si chiamerà Alba, acronimo di alleanza al lavoro, beni comuni, ambiente. Una terna di temi irrinunciabili per una robusta cura ricostituente dell'esangue sinistra italiana. Con al centro il sole dei beni comuni, identikit di questo inedito laboratorio politico chiamato alla sua prima assemblea nazionale, dopo la pubblicazione, su queste pagine, del «Manifesto per un soggetto politico nuovo» (acronimo impossibile).
Alba richiama una storia antica, quando i nostri bisnonni anarchici mettevano nomi di battaglia alla prole. Una nobile tradizione di fine '800, quando forse ci sarebbe bisogno di qualche cambiamento anche nel linguaggio. E un nome che arriva con forse eccessivo anticipo sulla «cosa» che dovrà rappresentare. I lettori del nostro giornale hanno potuto seguire la discussione che ha portato all'appuntamento di Firenze e che in parte si è riproposta davanti a una platea, attenta e silenziosa, di mille persone. Differenze di rilievo sul che fare (presentarsi alle elezioni politiche, anzi no), sui rapporti con la sinistra che c'è, ma affrontate esplicitamente, nominate in modo diretto, in omaggio a quel metodo nuovo, alla base del manifesto politico, da donne e uomini impegnati nei territori. Non solo ceto politico.
Fiumi di parole ma poche chiacchiere, quasi un bisogno fisico di ritrovare il gusto di una discussione sui contenuti, contro il roboante vuoto retorico degli slogan di governo, contro l'afasia di un Pd che lo sostiene e vota in silenzio il più pesante spostamento dell'asse costituzionale introducendo il pareggio di bilancio, come ha scritto Gianni Ferrara sul il manifesto, e come è stato rilanciato da Firenze, è urgente avviare un raccolta di firme per rispondere al colpo.
Democrazia, rappresentanza, diritti, bisogni, ricette possibilmente convincenti su come ritrovare un senso e una forza dopo l'era neoliberista («lavorare perché lo Stato operi come datore di lavoro di ultima istanza», come propone Luciano Gallino), bisogno di alleanze (come ha ricordato utilmente Giorgio Airaudo).
Naturalmente è legittimo sperare che non si finisca nell'imbuto di un piccolo partito in più, come anche augurarsi che i beni comuni non diventino il logo per ogni battaglia, annacquando il senso invece assolutamente speciale di referendum come quello sull'acqua pubblica. Si tratta di trovare il modo per unire, su battaglie e campagne, una sinistra che non si rassegna a votare il meno peggio ma nemmeno vuole rimettere insieme i soliti vecchi cocci.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

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SINISTRA - POLITICA
Nasce Alba, il non-partito
che cerca un posto al sole


RICCARDO CHIARI
29.04.2012

Assemblea a Firenze del «soggetto politico nuovo». Che ora ha un nome-marchio, Alba, e grandi aspirazioni. È il primo passo di un «work in progress». Traguardo imminente: un referendum contro il fiscal compact. Ma l'ambizione guarda al 2013

Con la studiata strategia d'azione di un progetto in costante divenire ma già con l'evocativo nome Alba, quello che fino a ieri si chiamava Soggetto politico nuovo muove il suo primo passo. Ben attento a restare in equilibrio, per non imboccare subito i vicoli ciechi del "nuovo partito" - l'ennesimo alla sinistra del Pd - o della stanca riedizione dei girotondi dell'ormai lontanissimo biennio 2001-03.
Un work in progress insomma, forte della buona conoscenza, a tutti i livelli, dei meccanismi della comunicazione, come dimostra il nome-marchio che è l'acronimo di Alleanza lavoro-beni comuni-ambiente. Forte anche di un lavoro ormai di lunga data, almeno da parte del gruppo dei fiorentini della «Sinistra unita e plurale» che ha organizzato l'assemblea aperta al palasport Mandela forum, sui metodi di una partecipazione che sia quanto più possibile inclusiva. Ancora da definire invece sul piano dell'effettiva consistenza, nonostante possa essere considerata un successo la presenza di circa 1.400 persone all'iniziativa. E su quello del programma di lavoro, le cui basi sono comunque ben sintetizzate da Marco Revelli in apertura di giornata : «Partiamo dalla pregiudiziale antiliberista, cioè la constatazione del fallimento totale del dogma che ci ha portato alla catastrofe attuale e la necessità di contrapporgli un organico modello alternativo. In parallelo dalla centralità della questione del lavoro, a cominciare dalla difesa intransigente dello Statuto dei lavoratori nella sua integralità». Quanto alla domanda che tutti si fanno, e cioè l'eventuale partecipazione alle elezioni politiche, in chiusura Massimo Torelli chiarisce: «Il soggetto politico nuovo 'Alba' nasce perché speriamo ci sia un numero elevato di cittadini che non trova nell'attuale offerta politica un suo riferimento ideale. Non ci siamo dati la scadenza del 2013, il percorso avviato oggi andrà avanti di tappa in tappa, e a seconda di quanta partecipazione riusciremo ad attivare, stabiliremo tutti insieme che fare». Nel segno, ancora una volta, di quella «metafora del viaggio» assai cara a Paul Ginsborg, che già nella stagione dei forum sociali segnalava l'importanza del «camminare insieme», anche rispetto all'approdo finale.
Per certo dall'assemblea è emersa ancora una volta una aperta critica ai partiti «nella loro forma novecentesca», così come evidenziato in apertura da Revelli: «Se siamo qui, in questo sabato di ponte, è perché avvertiamo che non c'è più tempo: che i pilastri fondamentali che la Costituzione aveva posto alla base della nostra democrazia - intendo i partiti politici - stanno sgretolandosi. E rischiano di trascinare nel loro crollo le stesse istituzioni repubblicane». Al tempo stesso non sfugge a Revelli il pericolo del «soggetto esclusivo». Tanto da fargli fare una importante precisazione: «Siamo per l'appartenenza plurima. Per l'apertura a tutti coloro che condividono questo stile 'altro', anche se militano, contemporaneamente, in un'altra organizzazione».

Se l'obiettivo del soggetto politico nuovo Alba è quello di una nuova cittadinanza («Quella che ha mostrato il proprio profilo esattamente un anno fa, con la vittoria referendaria e con i risultati 'eretici' delle amministrative in molti comuni»), c'è chi, come Alberto Lucarelli, insiste sulla critica delle attuali forme di partito: «Oggi sono fisiologicamente inadatte alle realizzazione dell'articolo 49 della Costituzione, per questo è necessario un nuovo soggetto che non abbia paura di confrontarsi con la rappresentanza e le elezioni». Un nuovo soggetto che ad esempio lavori, da subito, per raccogliere le 500mila firme necessarie a un referendum contro il fiscal compact in modo da allargare le rete dei potenziali sostenitori. Sull'altro fronte Nicola Fratoianni di Sel riconferma l'importanza dell'appuntamento autunnale degli Stati generali del centrosinistra: «Saranno gli stati generali del futuro, per costruire un processo largo in cui tutti siano protagonisti». Mentre Paolo Ferrero di Rifondazione, che si trova d'accordo con gli assi cartesiani programmatici evidenziati da Revelli, segnala ancora una volta la necessità di un fronte unitario e plurale: «Rispettoso delle differenze, perché oggi l'attività politica viene fatta in maniera plurale e non si può ricondurre 'ad uno', e al tempo stesso metta insieme tutti coloro a cui non piacciono né il governo Monti né soprattutto le sue politiche». Perché a tutti, ricorda applauditissimo Giorgio Airaudo della Fiom, non deve sfuggire un dato di fatto: «Serve qualcosa di grande per rappresentare il lavoro, che ne ha un gran bisogno, e affrontare battaglie non per testimonianza ma per vincerle. E chiunque voglia affrontare le elezioni del 2013 in modo credibile, non può non dire come si correggono i disastri delle 'riforme', da quella delle pensioni a quella del mercato del lavoro».

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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

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SINISTRA - POLITICA
L'assemblea di Firenze
Introduzione ai lavori


MARCO REVELLI
29.04.2012

Siamo al nostro primo appuntamento. In molti non ci conosciamo neppure tra di noi. Non siamo certo “i soliti noti”, venuti a recitare il “solito copione”. Se siamo qui, in questo sabato di ponte, è perché avvertiamo che non c’è più tempo: che i pilastri fondamentali che la Costituzione aveva posto alla base della nostra democrazia – intendo i partiti politici - stanno sgretolandosi. Rapidamente. E rischiano di trascinare nel loro crollo le stesse istituzioni repubblicane.
Parafrasando il Presidente del Consiglio potremmo dire che “se siamo qui, è perché gli altri hanno fallito”: e cioè i politici di professione, i partiti (a cominciare dai più grandi), la “politica” come la conosciamo dai giornali e dalla televisione. Non ci fa piacere, ma è così. C’è la concreta, concretissima possibilità che si arrivi al più importante appuntamento elettorale della storia Repubblicana – a questa sorta di “ultima spiaggia” che saranno le elezioni politiche prossime – con un sistema politico liquefatto. Per metà abbandonato dagli elettori, per l’altra metà frantumato in mille schegge impazzite.
Convocati dall’urgenza, ci tocca l’obbligo di dire, fin da subito, “chi siamo”. E insieme, naturalmente, “cosa non siamo” e non vogliamo essere. Non siamo materia di gossip per i media. L’abbiamo percepito, con una certa sorpresa, non lo nego, dal silenzio mediatico sul nostro esordio: non uno dei grandi quotidiani nazionali ci ha degnato di uno sguardo. E forse è un bene. Intanto perché godiamo del grande privilegio di poter scegliere in autonomia il nostro nome, invece di vedercelo imposto dagli altri. E di poter costruire con i nostri tempi la nostra identità, invece di vedercela appiccicata dall’esterno da altri. Crediamo più nel fare che nell’apparire; nel lavoro paziente di elaborazione e di organizzazione più che nel fuoco d’artificio.
Non siamo nemmeno l’urlo roco del populismo a buon mercato. La voce sguaiata del rancore e della rabbia impotente. Non cerchiamo “serbatoi dell’ira” da poter sfruttare per un effimero consenso elettorale. Non useremo mai il linguaggio come una clava, l’invettiva come forma del discorso. Crediamo nella parola come mezzo di comunicazione e di argomentazione: per intendersi e magari distinguersi, non per separarsi in amici e nemici. E all’argomentazione ci affideremo sempre per affermare le nostre ragioni.
Non siamo, infine, una nuova, piccola formazione politica. Un ennesimo partitino: uno tra gli altri, uno contro gli altri. La gravità della crisi in atto – il suo intreccio di crisi politica e di crisi economica, entrambi potenzialmente terminali – non lascia spazio né tempo alle vocazioni minoritarie. Allo spirito di setta. Richiede la messa in movimento di un fronte molto ampio. Soprattutto richiede una svolta radicale ma tendenzialmente maggioritaria. Un “cambio di paradigma” nel modo di pensare le cose e di fare la politica. Nei programmi, certo, ma anche negli stili di comportamento e di organizzazione. Nel metodo, che qui diventa contenuto. Nel rapporto inevitabilmente nuovo, tra governanti e governati, che rovesci l’attuale deriva che va, ferocemente, dall’alto verso (e contro) il basso. Nel linguaggio, che sappia parlare non ai già convinti, ai “nostri” come si dice, ma alla platea ampia, larghissima, delle vittime dell’attuale modello economico e sociale – fallito e fallimentare, ma totalitario -: a quel 99% a cui si rivolge il movimento di Occupy Wall Street, tanto per intenderci, e che non si riconosce nella lingua morta delle diverse tradizioni politiche…
E un “salto di paradigma” – diciamocelo pure – anche negli strumenti organizzativi, che non possono essere quelli tradizionali – centralistici, verticali e gerarchici – delle burocrazie dominanti, ma che sappiano praticare, all’opposto, l’orizzontalità della rete, la comunicazione decentrata, l’eguaglianza nella parola e nell’ascolto “tra diversi”. Tutto questo vuol dire – come ci è stato contestato – rimuovere il “conflitto sociale”? Cancellare le “forme di organizzazione” – i “corpi intermedi” costituiti dai partiti politici -, in nome di uno spontaneismo un po’anarchico? O non significa, piuttosto, ripensare il conflitto – e insieme l’organizzazione - nelle forme e nei modi in cui ce lo ripropone quello che Luciano Gallino ha definito il finanz-capitalismo (che non cancella certo le classi sociali e il loro antagonismo, ma che le ridisegna in forma del tutto inedita)? E d’altra parte, che ne pensereste se qualcuno, dopo il 1848, avesse continuato a proporre i vecchi club del 1789, come strumenti della lotta politica (i Cordiglieri, i Montagnardi, i Foglianti, i Girondini…), e la jacquerie contadina come via all’emancipazione?
Insomma, per dirla in positivo: “cosa vogliamo”?
Vogliamo essere gli abitanti di un nuovo spazio pubblico liberato dalle presenzeingombranti dei vecchi monopolisti della decisione. L’embrione di una nuova cittadinanza, che ha mostrato il proprio profilo esattamente un anno fa, con la vittoria referendaria e con i risultati “eretici” delle amministrative in molti comuni. Abbiamo scritto a chiare lettere che “intendiamo dar vita a uno strumento costituzionale di partecipazione della cittadinanza alla vita democratica del paese”. Una forma organizzata che raccolga la testarda domanda di partecipazione di quella parte di cittadini che (oggi in Francia, domani in Italia) non vogliono rassegnarsi al cappio del fiscal compact e alla dogmatica feroce di Berlino e di Bruxelles, alla riduzione dei diritti sociali in costi da tagliare e sacrificare sull’altare dei mercati, allo smantellamento del modello sociale europeo e alla mercificazione sistematica della vita individuale e collettiva…
Abbiamo aggiunto che parlare di “beni comuni” al plurale significa, in primo luogo, riappropriazione dello spazio pubblico e indisponibilità alla delega per le decisioni impegnative per tutti. L’abbiamo detto, e da oggi dobbiamo incominciare a praticarlo. Non come punto, lontano, di un programma futuribile, ma qui ed ora. Come esperienza in atto. In cima alla nostra “agenda” sta la questione della democrazia. Della malattia grave – per certi versi “terminale” – che l’affligge; e dei possibili antidoti, da mettere in campo urgentemente. Ebbene, questo è il luogo e il tempo per sperimentarli. Per questo seguiremo, fin da oggi, nella gestione di questa giornata, alcune semplici, ma impegnative,
REGOLE:
Intanto per quanto riguarda il programma, a cui è dedicata la seconda parte di questa plenaria: verrà elaborato dal basso, con la più ampia partecipazione, senza pregiudiziali iniziali, né punti già scritti, con due sole eccezioni. 1) la pregiudiziale antiliberista – la constatazione del fallimento totale del dogma che ci ha portato alla catastrofe attuale e la necessità di contrapporgli un organico modello alternativo; 2) la centralità della questione del lavoro, a cominciare dalla difesa intransigente dello Statuto dei lavoratori nella sua integralità. Tutto il resto sarà oggetto di un percorso che incomincia oggi, si articolerà nei territori, e sarà alimentato da contributi, schede, materiali di informazione per favorire la più ampia “partecipazione informata”.
E poi:
Prima regola: gli interventi dureranno tutti, senza eccezioni, 7 minuti. E saremo feroci nel far rispettare a tutti questi tempi, in modo da favorire la massima partecipazione alla discussione. Poi, dal prossimo incontro, ci organizzeremo anche per TAVOLI, come si dice nel Manifesto.
Seconda regola: il nome. E’ il prodotto anch’esso di un’ampia consultazione, di un primo pronunciamento in rete, e oggi ne completeremo il percorso con una votazione in aula preceduta da brevi interventi esplicativi.
Terza regola: le strutture, il coordinamento. Gli organi di coordinamento sono tutti a termine – a breve termine -: il gruppo promotore si presenterà dimissionario. L’articolazione territoriale è l’asse portante del “soggetto nuovo”: il coordinamento dovrà rispondere a questo principio.
Quarta regola: la trasparenza. Tutti i passaggi della nostra elaborazione e della nostra vita collettiva dovranno essere visibili, accessibili, conoscibili tra tutti. Il dibattito, le scelte, e anche le (scarse) finanze. Nessuna carica o ruolo sarà retribuita.
Quinta regola: l’appartenenza. Non vogliamo l’esclusiva dell’appartenenza. Non diremo mai: “o con noi o fuori (o contro) di noi”. Siamo per l’appartenenza plurima. Per l’apertura a tutti coloro che condividono questo stile “altro”, anche se militano, contemporaneamente, in un’altra organizzazione.

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SINISTRA - POLITICA, CAPITALE&LAVORO
Creare direttamente
un milione di posti di lavoro
Sgravi fiscali, investimenti in grandi opere, incentivi alle imprese perché assumano, sono poco o punto efficaci per creare rapidamente occupazione. Occorre che lo stato operi come datore di lavoro di ultima istanza, assumendo direttamente il maggior numero di persone.



La proposta:
Istituire un’Agenzia per l’occupazione simile alla Works Progress Administration del New Deal americano (works = opere pubbliche). L’Agenzia stabilisce i criteri di assunzione, il numero delle persone da assumere, il livello della retribuzione, i settori cui assegnarle. Le assunzioni vengono però effettuate e gestite unicamente su scala locale, da comuni, regioni, enti del volontariato, servizi del lavoro, ecc.
Per cominciare si dovrebbe puntare ad assumere rapidamente almeno un milione di persone. Poiché tale numero è inferiore a quello dei disoccupati e dei precari, occorre stabilire inizialmente dei requisiti in cui i candidati dovrebbero rientrare. Un requisito ovvio potrebbe essere l’età: p. e. 16-30 anni, oltre ovviamente alla condizione di disoccupato o precario.
L’Agenzia offre un lavoro a chiunque, in possesso dei requisiti richiamati sopra, lo richieda e sia in grado di lavorare.
Le persone assunte dall’Agenzia dovrebbero venire impiegate unicamente in progetti di pubblica utilità diffusi sul territorio e ad alta intensità di lavoro. (Le grandi opere non presentano né l’una né l’altra caratteristica). Progetti del genere potrebbero essere: la messa in sicurezza di edifici scolastici (oggi il 50% non lo sono); il risanamento idrogeologico di aree particolarmente dissestate; la ristrutturazione degli ospedali (nel 70% dei casi la loro struttura non è adeguata per i modelli di cura e di intervento oggi prevalenti). Per attuare progetti del genere sarebbero richieste ogni sorta di figure professionali.
Finanziamento. Nell’ipotesi che ogni nuovo occupato costi 25.000 euro, per crearne un milione occorrono 25 miliardi l’anno (la maggior parte dei quali rientrebbero immediatamente nel circuito dell’economia). Si può pensare a una molteplicità di fonti: fondi europei; cassa depositi e prestiti; una patrimoniale di scopo dell’1% sui patrimoni finanziari superiori a 200.000 euro (la applica la Svizzera da almeno mezzo secolo); obbligazioni mirate. Andrebbero altresì considerate altre fonti. Ad esempio, si potrebbe offrire a cassaintegrati di lunga durata la possibilità di scegliere liberamente se lavorare a 1000-1200 euro al mese piuttosto che stare a casa a 750, a condizione che sia conservato il posto di lavoro (è possibile, con l’istituto del distacco). Qualcosa del genere andrebbe considerato per chi riceve un sussidio di disoccupazione. In questi casi l’onere per il bilancio pubblico (includendo in questo l’Inps) scenderebbe di due terzi. Infine va tenuto conto che molte imprese sarebbero interessate a utilizzare lavoratori pagando, per dire, soltanto un terzo del loro costo totale.

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EDITORIALE - POLITICA, CAPITALE&LAVORO
Miseria fa miseria

VALENTINO PARLATO
27.04.2012

Sul Financial Times di ieri spiccava un titolo assai eloquente e tempestivo: «Time to say basta to the nonsense of austerity». Parole sante con quel «basta» in corsivo sulle quali dovrebbero riflettere i nostri attuali governanti che di tagli e austerità hanno fatto la loro bandiera.
Vediamo come vanno le cose in Italia secondo una rilevazione dell'Istat e dell'Inps. Nel 2010 quasi la metà dei pensionati (7,6 milioni) ha ricevuto pensioni per un importo medio mensile inferiore a 1.000 euro. Per gli altri 2,4 milioni l'importo delle pensioni non ha superato i 500 euro. In totale i pensionati sono 16,7 milioni e percepiscono in media 15.471 euro l'anno, e sappiamo bene che le medie coprono disparità abissali. Questo è un aspetto dello stato della nostra società, nella quale la disoccupazione è in aumento e i prezzi in rialzo.
Questa la situazione in Italia, ma anche in Spagna e terribilmente in Grecia. Secondo l'Ocse, ad Atene i redditi nel 2011 sono diminuiti di ben il 25 per cento rispetto al 2010. Per questo 2012 la recessione toccherà il 5 per cento mentre la Banca centrale prevede che per il periodo2013-2014 i redditi dei lavoratori del settore pubblico e privato subiranno una ulteriore riduzione di circa il 20 per cento e il tasso di disoccupazione resterà al di sopra del 19 per cento. Lo scorso gennaio, sempre in Grecia, la disoccupazione è arrivata al 21,8 per cento. Dunque la disoccupazione è quasi raddoppiata rispetto al 2010, quando la Grecia si rivolse alla Ue e la Fmi per ottenere prestiti di emergenza con l'impegno di praticare austerità.
Italia e Grecia: due esempi piuttosto significativi di come vanno le cose con la politica del rigore e dell'austerity. Ma il male si sta diffondendo in tutta l'Europa, e non pare che i nostri attuali governanti ne traggano insegnamento e neppure le sinistre (mi pare) si stanno impegnando a frenare questa corsa al disastro, che - tra l'altro - come in Francia fa crescere la destra, nel senso che cresce una disperazione popolare che ha sempre meno fiducia in una sinistra succube dell'austerità risanatrice.
Certo, c'è il debito pubblico e i debiti si debbono pagare. Ma c'è modo e modo di pagarli ed è forte il pericolo che queste imposizioni sul pagamento del debito blocchino la crescita e portino al tanto temuto default. Insomma siamo in una situazione nella quale Monti dice «no al keynesismo vecchio stile». E nel contempo l'altro Mario, Mario Draghi, dice giustamente che ci vuole «subito un patto per la crescita. Troppe tasse creano recessione».
Mio nonno, che non sapeva chi fosse Keynes, mi ripeteva: «Miseria fa crescere miseria». Parole sante e, aggiungo, che il rigore tende ad avvicinarci al rigor mortis. Insomma sarebbe ora di avere il coraggio di finirla con i miti rigoristici e suicidi.

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Wilma dammi la clava....

La commedia degli equivoci piace tanto a troppi, al punto che si sconfina spesso e volentieri nel banditismo politico, economico e finanziario.

Il rigore chiesto dalla Bce, dalla Ue e anche dalla cancelliera Merkel non è del tutto sbagliato, anzi. Solo che bisogna avere il coraggio di andare fino in fondo e dire pane al pane e vino al vino, cosa che frau Angela, Mario Draghi e Barroso non hanno mai fatto e non faranno mai.

La politica del rigore e dell'austerity per l'Italia deve essere applicata a:

1) Legge anticorruzione che faccia risparmiare ogni anno 100 miliardi come minimo alle casse dello Stato.

2) Adeguarsi a Germania, GB e Austria che si sono accordate con Berna per il rientro dei capitali evasi 50 miliardi

3) Legge sul falso in bilancio

4) Ritiro delle truppe dall'Afghanistan. Se siamo sorvegliati speciali ancora a rischio di default non possiamo permetterci sprechi di questo genere come se lo possono permettere Germania, Regno unito, Usa.

5) Valutazione esatta di quanto occorre ai partiti. Il dimezzamento proposto da Bersani è una sparata elettoralistica a capocchia.

6) Riduzione degli sprechi per tutto quello che concerne l'amministrazione pubblica. Prima regalano gli Ipad, e poi spendono 1 milione di euro per le agende che non usa nessuno. Questo è un esempio di spreco plateale legato alla mazzetta che incassa chi ordina le agende.

7) La gestione della sanità va rivista tutta. Pagamenti a 30 gg con riduzione dei prezzi in quanto le aziende moltiplicano da 3 a 5 volte il prezzo reale per tenere conto del ritardato pagamento della PA.

Poi c'è molto altro ma l'ora è tarda.

Il rigore deve essere applicato su queste cose che sono fondamentali nella gestione del denaro pubblico.

Ma tutti fraintendono perché fa comodo.

Dicono che cane non mangia cane e quindi Merkel, Draghi e Barroso non la raccontano mai giusta quando si cimentano con le politiche di rigore.
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