IL PARTITO DELLA NAZIONE DELLA REPUBBLICA DI BANANAS
-
- Messaggi: 386
- Iscritto il: 08/01/2015, 0:53
Re: IL PARTITO DELLA NAZIONE DELLA REPUBBLICA DI BANANAS
Guareschi:
"Perché nel mio concetto base, la terza narice ha una sua funzione completamente indipendente dalle altre due: serve di scarico in modo da tener sgombro il cervello dalla materia grigia e permette nello stesso tempo l'accesso al cervello delle direttive di partito che, appunto, debbono sostituire il cervello che appartiene ormai a un altro secolo. Non dico a un'altra era perché la terza narice esisteva anche nell'altra era, ma era proibito mostrarla, e tutti dovevano portarla abilmente mascherata.
Non ho niente altro da dirLe. Naturalmente la terza narice non è una strettissima prerogativa delle sinistre: io credo ce ne siano molte altre, distribuite un po' in ogni dove: quanta gente ha la terza narice e non lo sa ancora? Le confesso che anch' io alle volte, rileggendo quello che ho scritto e che purtroppo è già stampato mi guardo perplesso nello specchio.
Attenti dunque alla terza narice!"
(da "Mondo Candido 1946 - 48" pag 221 - prima edizione 1991, rilegata)
"Perché nel mio concetto base, la terza narice ha una sua funzione completamente indipendente dalle altre due: serve di scarico in modo da tener sgombro il cervello dalla materia grigia e permette nello stesso tempo l'accesso al cervello delle direttive di partito che, appunto, debbono sostituire il cervello che appartiene ormai a un altro secolo. Non dico a un'altra era perché la terza narice esisteva anche nell'altra era, ma era proibito mostrarla, e tutti dovevano portarla abilmente mascherata.
Non ho niente altro da dirLe. Naturalmente la terza narice non è una strettissima prerogativa delle sinistre: io credo ce ne siano molte altre, distribuite un po' in ogni dove: quanta gente ha la terza narice e non lo sa ancora? Le confesso che anch' io alle volte, rileggendo quello che ho scritto e che purtroppo è già stampato mi guardo perplesso nello specchio.
Attenti dunque alla terza narice!"
(da "Mondo Candido 1946 - 48" pag 221 - prima edizione 1991, rilegata)
Renzi elenca i successi del governo. “Sarò breve”.
-
- Messaggi: 386
- Iscritto il: 08/01/2015, 0:53
Re: IL PARTITO DELLA NAZIONE DELLA REPUBBLICA DI BANANAS
Due riflessioni sulla strada intrapresa dal (fu) centrosinistra italiano: una di ordine istituzionale, l'altra sulla questione morale e la legalità.
http://www.glistatigenerali.com/riforme ... a-salvini/
Le conseguenze delle riforme: l'onnipotenza del vincitore?
http://cavalli.blogautore.espresso.repu ... o-incluso/
Mafia in Emilia Romagna: io non c'ero o se c'ero dormivo...
http://www.glistatigenerali.com/riforme ... a-salvini/
Le conseguenze delle riforme: l'onnipotenza del vincitore?
http://cavalli.blogautore.espresso.repu ... o-incluso/
Mafia in Emilia Romagna: io non c'ero o se c'ero dormivo...
Renzi elenca i successi del governo. “Sarò breve”.
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: IL PARTITO DELLA NAZIONE DELLA REPUBBLICA DI BANANAS
Corriere 28.1.15
La legge elettorale rafforza il patto con gli azzurri
Ma la vera prova dell’unità del Pd sarà ora la sfida per il Colle
di Massimo Franco
L’approvazione della legge elettorale al Senato chiude un fronte insidioso per il governo. E consente a Matteo Renzi di presentarsi all’appuntamento del Quirinale, se non rafforzato, certo con un’incognita in meno. Il patto del Nazareno con Silvio Berlusconi continua a reggere. Il problema è che resiste anche la fronda del Pd, perché ieri 24 senatori hanno votato «no» all’Italicum; e si proietta sull’elezione del capo dello Stato, offrendo al leader di FI un supplemento di potere negoziale. Renzi insiste: bisogna chiudere entro sabato. Dunque, con Berlusconi.
Palazzo Chigi lascia capire che in caso contrario potrebbe saltare la legislatura. È un monito trasversale, ma forse anche un indizio di nervosismo. La determinazione a eleggere il capo dello Stato entro il 1° febbraio sa di esorcismo contro la prospettiva di andare oltre. Renzi è consapevole che in quel caso si incrinerebbe il patto del Nazareno con Berlusconi, aprendo nuovi scenari: per questo vuole far presto. Sulla carta, i numeri ci sono. E l’abbandono del Movimento 5 Stelle da parte di 9 deputati rimpolpa le truppe di riserva della maggioranza. Eppure, il sospetto che la scelta del presidente della Repubblica possa seguire un canovaccio imprevedibile rimane corposo.
Il premier doveva vedere Berlusconi ieri insieme con la delegazione di FI. Il colloquio ci sarà solo oggi, perché deve essere in grado di offrire il nome da votare insieme, imprigionato invece nella trama dei veti incrociati su gran parte delle candidature. Il mistero viene spiegato con l’esigenza di proteggerlo. Ma oppositori come il leader leghista Matteo Salvini sostengono che Renzi tiene le carte coperte perché non ha ancora in mano la soluzione. FI e Ncd pongono condizioni: vogliono che sia un politico, non un «tecnico». In più, serpeggia un filo di irritazione per la decisione del premier di consultare gli altri partiti nella sede del Pd.
L’iniziativa è stata interpretata con malizia dagli avversari: come se Renzi ritenesse che la designazione del capo dello Stato spetta in primo luogo a lui. Ironie a parte, la procedura rischia di mettere la data-ultimatum del 1° febbraio nel mirino di chi vuole far saltare il patto del Nazareno. Per il capo del governo, quel giorno dovrebbe rappresentare l’apoteosi della sua leadership e della capacità di saldare al massimo livello l’asse con FI. Di fatto, si cancellerebbe l’immagine di un Pd diviso, lasciata in eredità dalle votazioni della primavera del 2013. Ma non sono pochi a congiurare per rovinargli la festa; almeno, per rimandarla di qualche giorno.
Ieri il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, dopo l’approvazione dell’Italicum che adesso va alla Camera, ha dichiarato soddisfatta: «Qualche mese fa sembrava impossibile». E Renzi ha sottoscritto, chiosando: «Il coraggio paga». Eppure, sa bene che la vera scommessa sulla quale si gioca il futuro del governo e quello suo personale comincia domani, col Quirinale. L’esito dipenderà dalla capacità di convincere un Parlamento frantumato e a tratti ostile; e ancora prima, di assicurarsi il «sì» della grande maggioranza di un Pd che ne è lo specchio fedele.
Massimo Franco
La legge elettorale rafforza il patto con gli azzurri
Ma la vera prova dell’unità del Pd sarà ora la sfida per il Colle
di Massimo Franco
L’approvazione della legge elettorale al Senato chiude un fronte insidioso per il governo. E consente a Matteo Renzi di presentarsi all’appuntamento del Quirinale, se non rafforzato, certo con un’incognita in meno. Il patto del Nazareno con Silvio Berlusconi continua a reggere. Il problema è che resiste anche la fronda del Pd, perché ieri 24 senatori hanno votato «no» all’Italicum; e si proietta sull’elezione del capo dello Stato, offrendo al leader di FI un supplemento di potere negoziale. Renzi insiste: bisogna chiudere entro sabato. Dunque, con Berlusconi.
Palazzo Chigi lascia capire che in caso contrario potrebbe saltare la legislatura. È un monito trasversale, ma forse anche un indizio di nervosismo. La determinazione a eleggere il capo dello Stato entro il 1° febbraio sa di esorcismo contro la prospettiva di andare oltre. Renzi è consapevole che in quel caso si incrinerebbe il patto del Nazareno con Berlusconi, aprendo nuovi scenari: per questo vuole far presto. Sulla carta, i numeri ci sono. E l’abbandono del Movimento 5 Stelle da parte di 9 deputati rimpolpa le truppe di riserva della maggioranza. Eppure, il sospetto che la scelta del presidente della Repubblica possa seguire un canovaccio imprevedibile rimane corposo.
Il premier doveva vedere Berlusconi ieri insieme con la delegazione di FI. Il colloquio ci sarà solo oggi, perché deve essere in grado di offrire il nome da votare insieme, imprigionato invece nella trama dei veti incrociati su gran parte delle candidature. Il mistero viene spiegato con l’esigenza di proteggerlo. Ma oppositori come il leader leghista Matteo Salvini sostengono che Renzi tiene le carte coperte perché non ha ancora in mano la soluzione. FI e Ncd pongono condizioni: vogliono che sia un politico, non un «tecnico». In più, serpeggia un filo di irritazione per la decisione del premier di consultare gli altri partiti nella sede del Pd.
L’iniziativa è stata interpretata con malizia dagli avversari: come se Renzi ritenesse che la designazione del capo dello Stato spetta in primo luogo a lui. Ironie a parte, la procedura rischia di mettere la data-ultimatum del 1° febbraio nel mirino di chi vuole far saltare il patto del Nazareno. Per il capo del governo, quel giorno dovrebbe rappresentare l’apoteosi della sua leadership e della capacità di saldare al massimo livello l’asse con FI. Di fatto, si cancellerebbe l’immagine di un Pd diviso, lasciata in eredità dalle votazioni della primavera del 2013. Ma non sono pochi a congiurare per rovinargli la festa; almeno, per rimandarla di qualche giorno.
Ieri il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, dopo l’approvazione dell’Italicum che adesso va alla Camera, ha dichiarato soddisfatta: «Qualche mese fa sembrava impossibile». E Renzi ha sottoscritto, chiosando: «Il coraggio paga». Eppure, sa bene che la vera scommessa sulla quale si gioca il futuro del governo e quello suo personale comincia domani, col Quirinale. L’esito dipenderà dalla capacità di convincere un Parlamento frantumato e a tratti ostile; e ancora prima, di assicurarsi il «sì» della grande maggioranza di un Pd che ne è lo specchio fedele.
Massimo Franco
-
- Messaggi: 17353
- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: IL PARTITO DELLA NAZIONE DELLA REPUBBLICA DI BANANAS
La Stampa 28.1.15
Il conto di Silvio a Matteo
di Marcello Sorgi
C’è una contraddizione apparente tra la decisione di Berlusconi di votare a favore della legge elettorale approvata ieri in Senato, che può mettere in difficoltà il centrodestra, e quella di marcare la propria assenza, nelle stesse ore, alle consultazioni sul Quirinale che hanno tenuto il premier impegnato per l’intera giornata nella sede del Pd con le delegazioni di tutti i partiti, tranne il Movimento 5 stelle.
Ma appunto, si tratta solo di apparenza. Berlusconi s’è irritato quando ha capito che Renzi, con le consultazioni, intendeva diluire l’importanza del patto del Nazareno alla vigilia delle votazioni per eleggere il successore di Napolitano. Se al Nazareno ci vanno tutti, avrà pensato l’ex Cavaliere, che fino a due giorni fa deteneva l’esclusiva del «soccorso azzurro» al governo, la mia presenza di fronte all’amico Matteo non è più essenziale. Di qui la richiesta di un chiarimento, che potrebbe avvenire già oggi o domani, o nel peggiore dei casi non esserci e sancire la rottura.
Va detto subito che a quest’ultima possibilità al momento non crede nessuno. A differenza delle consultazioni di ieri, convocate a uso esclusivo delle telecamere, il patto tra il premier e l’ex premier, stipulato un anno fa, s’è dimostrato solido e ha influito sulla realtà, funzionando come un orologio e condizionando concretamente la politica italiana. L’appoggio di Forza Italia al governo non si è manifestato solo in occasioni strategiche, come il Jobs Act e la legge elettorale, in cui la minoranza interna del Pd era in grado di mettere Renzi in serie difficoltà. Ma anche nel giorno per giorno di un percorso istituzionale in cui il governo, in metà del Parlamento, non avrebbe avuto i numeri per governare se Berlusconi non glieli avesse garantiti, ora ordinando ai suoi senatori di votare a favore, ora di uscire dall’aula del Senato per facilitare l’approvazione dei provvedimenti con i numeri ballerini di cui il premier dispone, suo malgrado. Inoltre Berlusconi, non avvezzo, come si sa, a convivere con il dissenso, tanto da aver sopportato in passato varie scissioni, pur di non consentire un normale funzionamento democratico del suo partito, stavolta ha dovuto pagare il prezzo di un’opposizione interna ostinata e crescente, da parte di chi all’interno di Forza Italia lo accusa di essersi consegnato mani e piedi a Renzi.
Qui però l’apparenza finisce e comincia la sostanza. In cambio di cosa, infatti, l’ex Cavaliere si sarebbe convinto a una svolta così onerosa, se non in base a un tornaconto o per ricavarne un vantaggio? Ecco perché tutte le volte – e finora sono state sei – che Berlusconi ha varcato il portone di Palazzo Chigi, dopo l’incontro del 19 gennaio 2014 che segnò l’imprevedibile avvicinamento con Renzi, s’è parlato a ragion veduta di una sua riabilitazione politica. Se il premier è costretto a rivolgersi a un condannato per frode fiscale, che sta scontando la sua pena ai servizi sociali, ed è sottoposto a forti limitazioni della sua libertà personale, oltre ad aver patito la decadenza da senatore e la quasi completa esclusione dalla vita pubblica, vuol dire che riconosce di non poterne fare a meno, ma anche, implicitamente, che quel che Berlusconi ha subito è un problema da risolvere.
È ciò che l’ex Cavaliere ha pensato e la minoranza Pd non ha perso occasione di rimproverare al proprio leader. Il quale, prima ha fatto spallucce, sottolineando la forza dei risultati che il suo patto con il diavolo produceva. Poi, senza ammetterlo, deve aver cominciato a ragionare sull’eventualità che Berlusconi gli presentasse il conto, magari proprio in occasione del complicato passaggio del Quirinale. Un conto tra l’altro salato, che prevede una rilegittimazione nero su bianco del leader del centrodestra, stufo di essere a giorni alterni un reietto o un padre della patria, secondo se si allea con Renzi o torna a fare l’opposizione.
Ora, è da escludere che Renzi possa accontentare Berlusconi, impegnandosi, per esempio, ad abolire la legge anti-corruzione che ha segnato la sua decadenza da senatore, o addirittura convincendo il prossimo Presidente della Repubblica a nominarlo senatore a vita, come si sente di tanto in tanto dai fedelissimi dell’ex Cavaliere. Ma se non lo fa – e ci mancherebbe che lo facesse! – il patto del Nazareno si rompe. Alla fine, per non restare (o tornare) nella condizione da emarginato in cui ha vissuto per qualche mese prima della svolta renziana, e perdippiù in una scadenza delicata come quella del Quirinale, Berlusconi potrebbe decidere di votare lo stesso il candidato concordato e destinato ad essere eletto. Oppure riservargli lo stesso trattamento offerto a Napolitano al momento della prima elezione: non appoggiarlo, senza osteggiarlo. Ma è inutile nascondersi che il futuro delle riforme e del governo, dopo la rottura del patto, non sarebbe più lo stesso. E Renzi, che finora non è andato tanto per il sottile pur di realizzare i suoi obiettivi, in questo caso si accorgerebbe in ritardo di aver scherzato col fuoco.
Il conto di Silvio a Matteo
di Marcello Sorgi
C’è una contraddizione apparente tra la decisione di Berlusconi di votare a favore della legge elettorale approvata ieri in Senato, che può mettere in difficoltà il centrodestra, e quella di marcare la propria assenza, nelle stesse ore, alle consultazioni sul Quirinale che hanno tenuto il premier impegnato per l’intera giornata nella sede del Pd con le delegazioni di tutti i partiti, tranne il Movimento 5 stelle.
Ma appunto, si tratta solo di apparenza. Berlusconi s’è irritato quando ha capito che Renzi, con le consultazioni, intendeva diluire l’importanza del patto del Nazareno alla vigilia delle votazioni per eleggere il successore di Napolitano. Se al Nazareno ci vanno tutti, avrà pensato l’ex Cavaliere, che fino a due giorni fa deteneva l’esclusiva del «soccorso azzurro» al governo, la mia presenza di fronte all’amico Matteo non è più essenziale. Di qui la richiesta di un chiarimento, che potrebbe avvenire già oggi o domani, o nel peggiore dei casi non esserci e sancire la rottura.
Va detto subito che a quest’ultima possibilità al momento non crede nessuno. A differenza delle consultazioni di ieri, convocate a uso esclusivo delle telecamere, il patto tra il premier e l’ex premier, stipulato un anno fa, s’è dimostrato solido e ha influito sulla realtà, funzionando come un orologio e condizionando concretamente la politica italiana. L’appoggio di Forza Italia al governo non si è manifestato solo in occasioni strategiche, come il Jobs Act e la legge elettorale, in cui la minoranza interna del Pd era in grado di mettere Renzi in serie difficoltà. Ma anche nel giorno per giorno di un percorso istituzionale in cui il governo, in metà del Parlamento, non avrebbe avuto i numeri per governare se Berlusconi non glieli avesse garantiti, ora ordinando ai suoi senatori di votare a favore, ora di uscire dall’aula del Senato per facilitare l’approvazione dei provvedimenti con i numeri ballerini di cui il premier dispone, suo malgrado. Inoltre Berlusconi, non avvezzo, come si sa, a convivere con il dissenso, tanto da aver sopportato in passato varie scissioni, pur di non consentire un normale funzionamento democratico del suo partito, stavolta ha dovuto pagare il prezzo di un’opposizione interna ostinata e crescente, da parte di chi all’interno di Forza Italia lo accusa di essersi consegnato mani e piedi a Renzi.
Qui però l’apparenza finisce e comincia la sostanza. In cambio di cosa, infatti, l’ex Cavaliere si sarebbe convinto a una svolta così onerosa, se non in base a un tornaconto o per ricavarne un vantaggio? Ecco perché tutte le volte – e finora sono state sei – che Berlusconi ha varcato il portone di Palazzo Chigi, dopo l’incontro del 19 gennaio 2014 che segnò l’imprevedibile avvicinamento con Renzi, s’è parlato a ragion veduta di una sua riabilitazione politica. Se il premier è costretto a rivolgersi a un condannato per frode fiscale, che sta scontando la sua pena ai servizi sociali, ed è sottoposto a forti limitazioni della sua libertà personale, oltre ad aver patito la decadenza da senatore e la quasi completa esclusione dalla vita pubblica, vuol dire che riconosce di non poterne fare a meno, ma anche, implicitamente, che quel che Berlusconi ha subito è un problema da risolvere.
È ciò che l’ex Cavaliere ha pensato e la minoranza Pd non ha perso occasione di rimproverare al proprio leader. Il quale, prima ha fatto spallucce, sottolineando la forza dei risultati che il suo patto con il diavolo produceva. Poi, senza ammetterlo, deve aver cominciato a ragionare sull’eventualità che Berlusconi gli presentasse il conto, magari proprio in occasione del complicato passaggio del Quirinale. Un conto tra l’altro salato, che prevede una rilegittimazione nero su bianco del leader del centrodestra, stufo di essere a giorni alterni un reietto o un padre della patria, secondo se si allea con Renzi o torna a fare l’opposizione.
Ora, è da escludere che Renzi possa accontentare Berlusconi, impegnandosi, per esempio, ad abolire la legge anti-corruzione che ha segnato la sua decadenza da senatore, o addirittura convincendo il prossimo Presidente della Repubblica a nominarlo senatore a vita, come si sente di tanto in tanto dai fedelissimi dell’ex Cavaliere. Ma se non lo fa – e ci mancherebbe che lo facesse! – il patto del Nazareno si rompe. Alla fine, per non restare (o tornare) nella condizione da emarginato in cui ha vissuto per qualche mese prima della svolta renziana, e perdippiù in una scadenza delicata come quella del Quirinale, Berlusconi potrebbe decidere di votare lo stesso il candidato concordato e destinato ad essere eletto. Oppure riservargli lo stesso trattamento offerto a Napolitano al momento della prima elezione: non appoggiarlo, senza osteggiarlo. Ma è inutile nascondersi che il futuro delle riforme e del governo, dopo la rottura del patto, non sarebbe più lo stesso. E Renzi, che finora non è andato tanto per il sottile pur di realizzare i suoi obiettivi, in questo caso si accorgerebbe in ritardo di aver scherzato col fuoco.
Chi c’è in linea
Visitano il forum: Amazon [Bot], Majestic-12 [Bot], Semrush [Bot] e 4 ospiti