COALIZIONE SOCIALE DEI LAVORATORI
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Re: COALIZIONE SOCIALE DEI LAVORATORI
Si dice Landini, ma si scrive Stefano Rodotà.
L'ultimo grande vecchio della sinistra italiana affronta la piazza.
DIRETTA
Fiom in piazza contro il Jobs Act con Camusso e Landini
«Vogliamo unire quello che il governo sta dividendo» - CorriereTV
http://video.corriere.it/fiom-piazza-co ... d84921270e
L'ultimo grande vecchio della sinistra italiana affronta la piazza.
DIRETTA
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Re: COALIZIONE SOCIALE DEI LAVORATORI
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Ultima modifica di aaaa42 il 28/03/2015, 20:36, modificato 1 volta in totale.
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Re: COALIZIONE SOCIALE DEI LAVORATORI
la manifestazione di roma di oggi va studiata con molta calma
l intervento programmatico di rodota andrebbe trascritto se qualche forumista si vuol cimentare sarebbe importante anche landini ha fatto un intervento in alcuni punti programmatico e sono punti programmatico molto importanti.
io penso che il ruolo di questo piccolo forum con un nome altisonante un congresso della sinistra debba entrare nel merito e nello sviluppo del programma di coalizione sociale. intesa per il momento come un movimento politico culturale ma soprattutto un movimento mutualistico. ed e questa la grande novità di oggi introdotta finalmente da landini.
non credo che questo forum debba essere un luogo di piccoli borghesi molto sfigati per fare le pulci a landini con un linguaggio da finti homo benpensante si landini va bene ma questo ma quello si va bene ma e un operaio e non un gay .
dobbiamo quindi essere forumisti militanti partecipi positivi
quindi io direi che le analisi da fare siano
a chi era presente e chi era assente in piazza
b i punti programmatico di landini e rodota
c un confronto metodologico quindi in senso sociologico scienza applicativa
con le piazze di Grecia Spagna e Portogallo
l intervento programmatico di rodota andrebbe trascritto se qualche forumista si vuol cimentare sarebbe importante anche landini ha fatto un intervento in alcuni punti programmatico e sono punti programmatico molto importanti.
io penso che il ruolo di questo piccolo forum con un nome altisonante un congresso della sinistra debba entrare nel merito e nello sviluppo del programma di coalizione sociale. intesa per il momento come un movimento politico culturale ma soprattutto un movimento mutualistico. ed e questa la grande novità di oggi introdotta finalmente da landini.
non credo che questo forum debba essere un luogo di piccoli borghesi molto sfigati per fare le pulci a landini con un linguaggio da finti homo benpensante si landini va bene ma questo ma quello si va bene ma e un operaio e non un gay .
dobbiamo quindi essere forumisti militanti partecipi positivi
quindi io direi che le analisi da fare siano
a chi era presente e chi era assente in piazza
b i punti programmatico di landini e rodota
c un confronto metodologico quindi in senso sociologico scienza applicativa
con le piazze di Grecia Spagna e Portogallo
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Re: COALIZIONE SOCIALE DEI LAVORATORI
Nella categoria "SOCIOLOGIA DELLA POLITICA" occorre inserire, analizzare e comprendere un fenomeno tipicamente nordico.
Un fenomeno già noto da vent'anni, quando la Lega lombarda in fabbrica sosteneva e votava la CGIL.
Oggi la Lega Nord in fabbrica sostiene la FIOM.
Lo ha affermato Massimo Garavaglia, esponente della Lega Nord, stamani ad Omnibus.
Un fenomeno già noto da vent'anni, quando la Lega lombarda in fabbrica sosteneva e votava la CGIL.
Oggi la Lega Nord in fabbrica sostiene la FIOM.
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Re: COALIZIONE SOCIALE DEI LAVORATORI
il Fatto 29.3.15
Landini ha piazza e popolo
Il leader Fiom lancia la Coalizione sociale: “Basta slide, Renzi peggio di Berlusconi”
di Salvatore Cannavò
Una piazza rossa, colma di bandiere della Fiom.
Se Matteo Renzi pensava che la manifestazione di ieri fosse una “non notizia”, è stato smentito.
Maurizio Landini ha portato a Roma molta più gente di quanta ne abbia portata Matteo Salvini riempendo Piazza del Popolo come non capitava da anni.
Lo ha fatto con una organizzazione, la Fiom, che si conferma zoccolo duro del sindacalismo italiano e in cui si preservano le tradizioni di sinistra.
Prova ne è la colonna sonora della manifestazione fatta di Bella ciao, l’Internazionale e addirittura Contessa.
A TANTA FIOM non ha corrisposto un’adeguata presenza di soggetti e movimenti che dovrebbero comporre la “coalizione sociale” proposta da Landini.
Hanno parlato gli agricoltori del Tavolo verde, i precari della scuola, gli studenti, i movimenti per la casa, è stato letto un intervento di Gustavo Zagrebelsky, solo un disguido ha impedito di ascoltare la voce di Gino Strada dalla Sierra Leone.
Ma la giornata è stata della Fiom: “Lo avevamo detto che non ci saremmo fermati” dice Landini “ecco perché siamo qui, la coalizione è ancora una proposta e va tutta costruita”.
A descrivere il progetto, però, quasi didascalicamente, ci hanno pensato i due interventi centrali del pomeriggio.
Quello di Stefano Rodotà, una lezione di politologia che, oltre a lanciare più di una battuta contro Renzi, accusato di avere “il complesso di inferiorità” rispetto ai “professoroni”, ha spiegato come sia oggi necessario realizzare una “massa critica sociale” capace di trasformarsi in “massa critica politica”.
E che sia capace di irrompere anche nelle istituzioni come dimostra il progetto di legge popolare sul reddito minimo, presentato in piazza da Giuseppe De Marzo di Libera, che ieri ha avuto anche un sostegno dal M5S.
Un’alleanza che, se dovesse crescere, potrebbe creare un fatto politico nuovo.
Ancora più chiaro è stato poi Landini, nel corso del lungo e molto applaudito intervento.
“Si tratta di tornare alle radici del movimento operaio” ha ricordato, riferendosi “all’800, quando nascevano le Unions” (titolo della manifestazione di ieri, ndr.), gli operai inglesi in sciopero.
“Si tratta di ripristinare il diritto alla coalizione impedendo la competizione tra gli stessi lavoratori”.
Landini prende a prestito i padri nobili del sindacato, Giuseppe Di Vittorio e il suo “Statuto dei diritti dei cittadini lavoratori”, ma anche Bruno Trentin che pensava “a nuove forme sindacali” (con la vedova, Marcelle Padovani, che però non apprezza).
“Coalizzarsi significa allargare la rappresentanza sociale del sindacato e riformarlo democraticamente” ha spiegato, chiarendo che il cuore della proposta è costituito dalla sfida interna alla Cgil.
Nei prossimi giorni la Fiom designerà due coordinatori per il progetto “coalizione” che dovrebbero essere due giovani dirigenti: Michele De Palma, responsabile Auto e già coordinatore dei Giovani comunisti del Prc e Valentina Orazzini, che si occupa di rapporti europei e molto apprezzata all’interno del sindacato.
Anche le Fiom territoriali dovrebbero organizzarsi per designare dei responsabili e costruire, così concretamente, la nuova rete.
IL COLLANTE DI TUTTO, sia pure in negativo, è Matteo Renzi.
Contro di lui si è espressa la piazza – “Abbiamo un sogno nel cuore, Renzi a San Vittore” – si è esercitato Rodotà intervenuto seduto su una sedia: “Renzi dice che i professori sono pigri, io lo sono così tanto da essere venuto con le stampelle”.
Soprattutto, si è dilungato Landini: “Noi abbiamo più consenso di lui”, ha dichiarato a inizio manifestazione per poi bersagliarlo: “Siamo stanchi di spot e slide”, “ha una logica padronale”, “è peggio di Berlusconi”, “la coalizione sociale l’ha fatta con la Bce e la Confindustria”, “in Europa si limita a regalare cravatte a Tsipras”.
Ha poi ricordato il Renzi “gasatissimo” in visita da Marchionne opponendogli lo stile del centenario Pietro Ingrao che, quando fu eletto presidente della Camera, come primo atto si recò alle acciaierie di Terni per dire ai lavoratori che i “costituenti” erano loro.
Discorso da futuro segretario della Cgil, impostato su temi sindacali (salari, occupazione, orari, contratto) e generali (pensione, scuola, fisco).
Lo dimostra anche il gelo con la segreteria nazionale presente con Susanna Camusso, Serena Sorrentino e Franco Martini. Anche altri dirigenti, come la segretaria dello Spi, Carla Cantone, quello della scuola, Domenico Pantaleo, e del Nidil, Claudio Treves, sono stati in piazza.
Ma la Cgil si è vista poco, se non in forma simbolica.
Susanna Camusso è salita sul palco restandone sempre ai bordi e facendo solo una laconica dichiarazione ai giornalisti.
DISTANZA ANCHE con la politica. Sia con le rappresentanze di Sel e Prc (presenti con Nichi Vendola e Paolo Ferrero) sia con Stefano Fassina e Pippo Civati del Pd.
Unica eccezione, quando Landini ha parlato di appalti e corruzione, la richiesta di un applauso della piazza per Rosi Bindi in quanto presidente della commissione Antimafia.
Le conclusioni sono state dedicate a Giovanni XXIII (“ma non ho la fede”) e a Pablo Neruda: “Prendi il meglio della tua vita e consegnalo alla lotta”. Tripudio della folla.
Landini ha piazza e popolo
Il leader Fiom lancia la Coalizione sociale: “Basta slide, Renzi peggio di Berlusconi”
di Salvatore Cannavò
Una piazza rossa, colma di bandiere della Fiom.
Se Matteo Renzi pensava che la manifestazione di ieri fosse una “non notizia”, è stato smentito.
Maurizio Landini ha portato a Roma molta più gente di quanta ne abbia portata Matteo Salvini riempendo Piazza del Popolo come non capitava da anni.
Lo ha fatto con una organizzazione, la Fiom, che si conferma zoccolo duro del sindacalismo italiano e in cui si preservano le tradizioni di sinistra.
Prova ne è la colonna sonora della manifestazione fatta di Bella ciao, l’Internazionale e addirittura Contessa.
A TANTA FIOM non ha corrisposto un’adeguata presenza di soggetti e movimenti che dovrebbero comporre la “coalizione sociale” proposta da Landini.
Hanno parlato gli agricoltori del Tavolo verde, i precari della scuola, gli studenti, i movimenti per la casa, è stato letto un intervento di Gustavo Zagrebelsky, solo un disguido ha impedito di ascoltare la voce di Gino Strada dalla Sierra Leone.
Ma la giornata è stata della Fiom: “Lo avevamo detto che non ci saremmo fermati” dice Landini “ecco perché siamo qui, la coalizione è ancora una proposta e va tutta costruita”.
A descrivere il progetto, però, quasi didascalicamente, ci hanno pensato i due interventi centrali del pomeriggio.
Quello di Stefano Rodotà, una lezione di politologia che, oltre a lanciare più di una battuta contro Renzi, accusato di avere “il complesso di inferiorità” rispetto ai “professoroni”, ha spiegato come sia oggi necessario realizzare una “massa critica sociale” capace di trasformarsi in “massa critica politica”.
E che sia capace di irrompere anche nelle istituzioni come dimostra il progetto di legge popolare sul reddito minimo, presentato in piazza da Giuseppe De Marzo di Libera, che ieri ha avuto anche un sostegno dal M5S.
Un’alleanza che, se dovesse crescere, potrebbe creare un fatto politico nuovo.
Ancora più chiaro è stato poi Landini, nel corso del lungo e molto applaudito intervento.
“Si tratta di tornare alle radici del movimento operaio” ha ricordato, riferendosi “all’800, quando nascevano le Unions” (titolo della manifestazione di ieri, ndr.), gli operai inglesi in sciopero.
“Si tratta di ripristinare il diritto alla coalizione impedendo la competizione tra gli stessi lavoratori”.
Landini prende a prestito i padri nobili del sindacato, Giuseppe Di Vittorio e il suo “Statuto dei diritti dei cittadini lavoratori”, ma anche Bruno Trentin che pensava “a nuove forme sindacali” (con la vedova, Marcelle Padovani, che però non apprezza).
“Coalizzarsi significa allargare la rappresentanza sociale del sindacato e riformarlo democraticamente” ha spiegato, chiarendo che il cuore della proposta è costituito dalla sfida interna alla Cgil.
Nei prossimi giorni la Fiom designerà due coordinatori per il progetto “coalizione” che dovrebbero essere due giovani dirigenti: Michele De Palma, responsabile Auto e già coordinatore dei Giovani comunisti del Prc e Valentina Orazzini, che si occupa di rapporti europei e molto apprezzata all’interno del sindacato.
Anche le Fiom territoriali dovrebbero organizzarsi per designare dei responsabili e costruire, così concretamente, la nuova rete.
IL COLLANTE DI TUTTO, sia pure in negativo, è Matteo Renzi.
Contro di lui si è espressa la piazza – “Abbiamo un sogno nel cuore, Renzi a San Vittore” – si è esercitato Rodotà intervenuto seduto su una sedia: “Renzi dice che i professori sono pigri, io lo sono così tanto da essere venuto con le stampelle”.
Soprattutto, si è dilungato Landini: “Noi abbiamo più consenso di lui”, ha dichiarato a inizio manifestazione per poi bersagliarlo: “Siamo stanchi di spot e slide”, “ha una logica padronale”, “è peggio di Berlusconi”, “la coalizione sociale l’ha fatta con la Bce e la Confindustria”, “in Europa si limita a regalare cravatte a Tsipras”.
Ha poi ricordato il Renzi “gasatissimo” in visita da Marchionne opponendogli lo stile del centenario Pietro Ingrao che, quando fu eletto presidente della Camera, come primo atto si recò alle acciaierie di Terni per dire ai lavoratori che i “costituenti” erano loro.
Discorso da futuro segretario della Cgil, impostato su temi sindacali (salari, occupazione, orari, contratto) e generali (pensione, scuola, fisco).
Lo dimostra anche il gelo con la segreteria nazionale presente con Susanna Camusso, Serena Sorrentino e Franco Martini. Anche altri dirigenti, come la segretaria dello Spi, Carla Cantone, quello della scuola, Domenico Pantaleo, e del Nidil, Claudio Treves, sono stati in piazza.
Ma la Cgil si è vista poco, se non in forma simbolica.
Susanna Camusso è salita sul palco restandone sempre ai bordi e facendo solo una laconica dichiarazione ai giornalisti.
DISTANZA ANCHE con la politica. Sia con le rappresentanze di Sel e Prc (presenti con Nichi Vendola e Paolo Ferrero) sia con Stefano Fassina e Pippo Civati del Pd.
Unica eccezione, quando Landini ha parlato di appalti e corruzione, la richiesta di un applauso della piazza per Rosi Bindi in quanto presidente della commissione Antimafia.
Le conclusioni sono state dedicate a Giovanni XXIII (“ma non ho la fede”) e a Pablo Neruda: “Prendi il meglio della tua vita e consegnalo alla lotta”. Tripudio della folla.
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Re: COALIZIONE SOCIALE DEI LAVORATORI
SMS per pancho
Caro pancho, visto che sei in rete……..
Quanto visto ieri a Piazza del Popolo, è assimilabile a quanto accadde nel 1892 nella sala Sivori di Genova, con la nascita del Partito dei Lavoratori Italiani che successivamente a Reggio Emilia il nome venne cambiato in Partito Socialista dei Lavoratori Italiani.
Gli ultimi tasselli della sinistra vengono distrutti sei mesi dopo la fondazione del Pd nel 2008.
“Broviamo a medderci insieme o boi vediamo ghe suggede” rispose il giuggiolone di Nusgo, alla proposta del conte Max. Un anno dopo, visto il fallimento fuggi verso il gendro.
Era stato un esperimento in cui si mette una mela e una pera su di un tavolo, e nel tempo si pretende che nasca un dromedario.
Ora si potrebbe ricominciare il secondo ciclo della sinistra italiana, e su questo c’è molto da discutere, da chiarire, da approfondire.
Tu che provieni con altri di noi da Ulivo.it, conosci molto bene che il forum rappresenta il mezzo più potente a disposizione per favorire quanto sopra.
I politici non lo sanno e se ne tengono alla larga.
E’ per questo motivo che bisogna rompere gli indugi e portare sul forum Rodotà e Landini, nonché molti altri, come don Ciotti, o Gino Strada(tempo permettendo).
C’è molto da discutere e da chiarire.
Mentre i poteri forti avanzano sotto l’azione di Leopoldo Paràkulos, deve rinascere la sinistra per frenare l’idea di un nuovo schiavismo di stampo ottocentesco.
Caro pancho, visto che sei in rete……..
Quanto visto ieri a Piazza del Popolo, è assimilabile a quanto accadde nel 1892 nella sala Sivori di Genova, con la nascita del Partito dei Lavoratori Italiani che successivamente a Reggio Emilia il nome venne cambiato in Partito Socialista dei Lavoratori Italiani.
Gli ultimi tasselli della sinistra vengono distrutti sei mesi dopo la fondazione del Pd nel 2008.
“Broviamo a medderci insieme o boi vediamo ghe suggede” rispose il giuggiolone di Nusgo, alla proposta del conte Max. Un anno dopo, visto il fallimento fuggi verso il gendro.
Era stato un esperimento in cui si mette una mela e una pera su di un tavolo, e nel tempo si pretende che nasca un dromedario.
Ora si potrebbe ricominciare il secondo ciclo della sinistra italiana, e su questo c’è molto da discutere, da chiarire, da approfondire.
Tu che provieni con altri di noi da Ulivo.it, conosci molto bene che il forum rappresenta il mezzo più potente a disposizione per favorire quanto sopra.
I politici non lo sanno e se ne tengono alla larga.
E’ per questo motivo che bisogna rompere gli indugi e portare sul forum Rodotà e Landini, nonché molti altri, come don Ciotti, o Gino Strada(tempo permettendo).
C’è molto da discutere e da chiarire.
Mentre i poteri forti avanzano sotto l’azione di Leopoldo Paràkulos, deve rinascere la sinistra per frenare l’idea di un nuovo schiavismo di stampo ottocentesco.
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Re: COALIZIONE SOCIALE DEI LAVORATORI
I cent’anni di Ingrao e l’estinzione della sinistra italiana
Scritto il 29/3/15 • nella Categoria: idee
Cent’anni di solitudine, anche se carismatica, collezionando sconfitte incassate per mancanza di coraggio.
Questo l’impietoso ritratto che, da storico, Aldo Giannuli dipinge dell’anziano Pietro Ingrao, gran veterano della sinistra comunista.
Al centesimo compleanno, il 29 marzo, attorno al vecchio leone del granitico Pci di Togliatti e Berlinguer c’è il nulla cosmico: disoccupazione record e Jobs Act, fine dei diritti dei lavoratori, precariato universale, povertà e paura, Costituzione rottamata, legge elettorale di regime. La fine della democrazia moderna, archiviata dai diktat dell’élite.
Rileggendo Ingrao con gli occhiali di Giannuli, si svela il mistero della fine della sinistra italiana: la sinistra che non ha “visto” la crisi e non ha più saputo “leggere” il mondo, per poi arrendersi al nuovo potere cosmopolita degli oligarchi globalizzati e, all’occorrenza, accomodarsi a tavola per votare leggi-capestro e abbattere gli ultimi diritti, in cambio di poltrone, confidando ancora e sempre nell’antica fiducia di un elettorato “di sinistra”, pronto a qualunque autolesionismo pur di avere l’illusione di opporsi al cattivo di turno, prima Craxi e poi Berlusconi.
Pietro Ingrao, uno strano Charlie Brown che ha fatto scuola: il suo stile «attraverso Bertinotti giunge sino a noi, essendo palese l’ascendenza ingraiana anche di Landini».
Ingrao, ricorda Giannuli, appartiene a quella seconda generazione di dirigenti comunisti che ebbe la sua prima formazione nell’Italia fascista e scoprì solo in un secondo momento il comunismo, attraverso il tunnel doloroso della guerra, della Resistenza, per incontrarsi con Togliatti prima ancora che con Gramsci.
Si enfatizzò l’antifascismo «come negazione assoluta e incontaminata del fascismo», eppure «il fascismo seminò concetti che poi sono restati, finendo impastati con la successiva cultura politica dell’Italia repubblicana».
Usi obbedir tacendo: la cultura della disciplina.
Ingrao era stato influenzato dalla figura di Giuseppe Bottai, «il maggior intellettuale del regime e, insieme, il gerarca più attivo nel promuovere la formazione delle giovani generazioni».
Dalle sue riviste, continua Giannuli, presero le mosse alcuni dei nomi migliori dell’intellettualità post-fascista e antifascista: Salvatore Quasimodo e Nicola Abbagnano, Enzo Paci, Mario Alicata, Vitaliano Brancati, Cesare Pavese, Vasco Pratolini. E poi Vittorio Sereni, Giuseppe Ungaretti, Enzo Biagi, Renato Guttuso, Sandro Penna, Eugenio Montale.
«Diversi di loro, come Giame Pintor, li ritroveremo fra i primi a combattere con la Resistenza».
Ad avvicinare Bottai e Ingrao, «due figure inconsuete del Novecento italiano», secondo Giannuli «non fu solo la propensione all’eresia e la profonda compenetrazione fra politica e cultura, ma anche il gusto del dubbio sistematico, la propensione all’astrattezza», nonché «una certa sofisticatezza intellettuale e l’eterna insoddisfazione per la propria ricerca».
In controluce, anche «il forte narcisismo, l’irresolutezza, la mancanza di tempismo politico, lo scarso coraggio».
Bottai divorziò da Mussolini solo all’ultimo, e «non senza un profondissimo tormento interiore», mentre Ingrao «ha avuto sempre fede nel Partito, contro il quale non cercò mai di aver ragione»
Tant’è vero che «in nome di questa fede approvò – colpa non da poco, anche se condivisa con molti – il brutale intervento sovietico in Ungheria».
Così, Ingrao «piegò il capo dopo la sconfitta all’XI congresso».
In più «restò fedele al partito anche quando (contro le sue convinzioni) esso cessò di essere comunista, per distaccarsene anni dopo e da solo.
Era fedeltà all’ideale o feticismo organizzativo?
Lasciamo decidere a chi ci legge».
Questo attaccamento insieme fideistico e tormentato, continua Giannuli, lo ha portato ad essere “l’uomo delle occasioni mancate”: nel 1966 tentò di dare battaglia all’XI congresso, ma senza avere il coraggio di presentare una sua mozione di minoranza e finendo sconfitto senza neppure aver combattuto davvero la sua battaglia.
Tre anni dopo, assistette inerte all’espulsione del gruppo del “Manifesto” (tutti suoi storici seguaci) senza avere il coraggio di votare contro (come fecero Cesare Luporini e Lucio Lombardo Radice) e neppure di astenersi, ma «tristemente votò a favore».
Nel 1973 incassò la proposta di compromesso storico di Berlinguer, accennando solo una “lettura di sinistra” che non spostava di un millimetro i termini politici della questione (fu più esplicito nella critica il vecchio Longo).
Nel 1976, infine, «incassò con altrettanta mancanza di coraggio anche la politica di Unità Nazionale, accontentandosi di andar a fare il presidente della Camera».
Altra ombra sul suo passato: «Non si dissociò neppure per un attimo dalla politica della fermezza sul caso Moro», evitando di adoperarsi per una trattativa che avrebbe potuto salvare il leader democristiano.
Ingrao, prosegue Giannuli, ebbe un suo momento di fulgore dall’80 all’84, quando Berlinguer ruppe con Amendola e cercò il suo appoggio, per reggere la svolta del dopo-terremoto e della “questione morale”, ma con l’unico risultato di inasprire l’isolamento identitario e settario del Pci, che ne avviava la decadenza.
«L’ultima occasione di incidere nella storia di questo paese la ebbe con la trasformazione del Pci in Pds».
Dopo essersi messo alla testa del cartello di opposizione che sfiorò il 30% al congresso di scioglimento, «come sempre gli mancò il coraggio del passo successivo: guidare la scissione di Rifondazione».
Ingrao infatti si tirò indietro: «Preferì restare inutilmente nel Pds per uscirne, da solo e fra le lacrime, pochi anni dopo».
Spiegazione: «In queste ripetute battaglie perse senza esser date, ha inciso certamente la sua devozione al partito, assunto non come mezzo ma come fine in sé».
Era spesso accusato di astrattezza, dice Giannuli, e i detrattori avevano ragione: Amendola, il leader della destra riformista del Pci, forniva a «analisi datatissime, come quella di Pietro Grifone sulla contrapposizione fra rendita e profitto in Italia», ma almeno era molto concreto nella proposta, sempre incerta fra alleanze sociali destinate a non tradursi mai in alleanze politiche.
«In politica estera, dopo il 1970, Ingrao non ha mai proposto l’uscita dalla Nato», aggiunge Giannuli.
Sul piano istituzionale invece ha puntato sulle autonomie locali, senza però prevedere la proliferazione incontrollata di poltrone.
«Altra proposta caratterizzante della sua azione sul piano istituzionale – continua Giannuli – fu il tentativo di ridare centralità al Parlamento, attraverso un regime assembleare che scavalcasse la tradizionale divisione fra maggioranza ed opposizione.
l frutto fu la riforma dei regolamenti parlamentari del 1971 che proprio Ingrao, in veste di capogruppo alla Camera, trattò con il capogruppo della Dc, Andreotti.
Ma il risultato finale non fu quello di un improbabile regime assembleare, quanto la premessa del consociativismo Dc-Pci».
Libertà e autonomia ai parlamentari? «In presenza di un partito retto con la ferrea regola del centralismo democratico, come era il Pci, era una pretesa piuttosto irragionevole».
Indeterminata anche la sua critica al “socialismo reale” dei regimi dell’est.
Poi il Muro è crollato, e il vecchio Ingrao è scomparso dai radar.
Proprio come la sinistra italiana, che dopo Tangentopoli ha consegnato il paese al dominio dell’élite neoliberista, quella della privatizzazione universale che impone i suoi diktat tramite l’Ue a guida tedesca e il braccio secolare dell’euro.
Scritto il 29/3/15 • nella Categoria: idee
Cent’anni di solitudine, anche se carismatica, collezionando sconfitte incassate per mancanza di coraggio.
Questo l’impietoso ritratto che, da storico, Aldo Giannuli dipinge dell’anziano Pietro Ingrao, gran veterano della sinistra comunista.
Al centesimo compleanno, il 29 marzo, attorno al vecchio leone del granitico Pci di Togliatti e Berlinguer c’è il nulla cosmico: disoccupazione record e Jobs Act, fine dei diritti dei lavoratori, precariato universale, povertà e paura, Costituzione rottamata, legge elettorale di regime. La fine della democrazia moderna, archiviata dai diktat dell’élite.
Rileggendo Ingrao con gli occhiali di Giannuli, si svela il mistero della fine della sinistra italiana: la sinistra che non ha “visto” la crisi e non ha più saputo “leggere” il mondo, per poi arrendersi al nuovo potere cosmopolita degli oligarchi globalizzati e, all’occorrenza, accomodarsi a tavola per votare leggi-capestro e abbattere gli ultimi diritti, in cambio di poltrone, confidando ancora e sempre nell’antica fiducia di un elettorato “di sinistra”, pronto a qualunque autolesionismo pur di avere l’illusione di opporsi al cattivo di turno, prima Craxi e poi Berlusconi.
Pietro Ingrao, uno strano Charlie Brown che ha fatto scuola: il suo stile «attraverso Bertinotti giunge sino a noi, essendo palese l’ascendenza ingraiana anche di Landini».
Ingrao, ricorda Giannuli, appartiene a quella seconda generazione di dirigenti comunisti che ebbe la sua prima formazione nell’Italia fascista e scoprì solo in un secondo momento il comunismo, attraverso il tunnel doloroso della guerra, della Resistenza, per incontrarsi con Togliatti prima ancora che con Gramsci.
Si enfatizzò l’antifascismo «come negazione assoluta e incontaminata del fascismo», eppure «il fascismo seminò concetti che poi sono restati, finendo impastati con la successiva cultura politica dell’Italia repubblicana».
Usi obbedir tacendo: la cultura della disciplina.
Ingrao era stato influenzato dalla figura di Giuseppe Bottai, «il maggior intellettuale del regime e, insieme, il gerarca più attivo nel promuovere la formazione delle giovani generazioni».
Dalle sue riviste, continua Giannuli, presero le mosse alcuni dei nomi migliori dell’intellettualità post-fascista e antifascista: Salvatore Quasimodo e Nicola Abbagnano, Enzo Paci, Mario Alicata, Vitaliano Brancati, Cesare Pavese, Vasco Pratolini. E poi Vittorio Sereni, Giuseppe Ungaretti, Enzo Biagi, Renato Guttuso, Sandro Penna, Eugenio Montale.
«Diversi di loro, come Giame Pintor, li ritroveremo fra i primi a combattere con la Resistenza».
Ad avvicinare Bottai e Ingrao, «due figure inconsuete del Novecento italiano», secondo Giannuli «non fu solo la propensione all’eresia e la profonda compenetrazione fra politica e cultura, ma anche il gusto del dubbio sistematico, la propensione all’astrattezza», nonché «una certa sofisticatezza intellettuale e l’eterna insoddisfazione per la propria ricerca».
In controluce, anche «il forte narcisismo, l’irresolutezza, la mancanza di tempismo politico, lo scarso coraggio».
Bottai divorziò da Mussolini solo all’ultimo, e «non senza un profondissimo tormento interiore», mentre Ingrao «ha avuto sempre fede nel Partito, contro il quale non cercò mai di aver ragione»
Tant’è vero che «in nome di questa fede approvò – colpa non da poco, anche se condivisa con molti – il brutale intervento sovietico in Ungheria».
Così, Ingrao «piegò il capo dopo la sconfitta all’XI congresso».
In più «restò fedele al partito anche quando (contro le sue convinzioni) esso cessò di essere comunista, per distaccarsene anni dopo e da solo.
Era fedeltà all’ideale o feticismo organizzativo?
Lasciamo decidere a chi ci legge».
Questo attaccamento insieme fideistico e tormentato, continua Giannuli, lo ha portato ad essere “l’uomo delle occasioni mancate”: nel 1966 tentò di dare battaglia all’XI congresso, ma senza avere il coraggio di presentare una sua mozione di minoranza e finendo sconfitto senza neppure aver combattuto davvero la sua battaglia.
Tre anni dopo, assistette inerte all’espulsione del gruppo del “Manifesto” (tutti suoi storici seguaci) senza avere il coraggio di votare contro (come fecero Cesare Luporini e Lucio Lombardo Radice) e neppure di astenersi, ma «tristemente votò a favore».
Nel 1973 incassò la proposta di compromesso storico di Berlinguer, accennando solo una “lettura di sinistra” che non spostava di un millimetro i termini politici della questione (fu più esplicito nella critica il vecchio Longo).
Nel 1976, infine, «incassò con altrettanta mancanza di coraggio anche la politica di Unità Nazionale, accontentandosi di andar a fare il presidente della Camera».
Altra ombra sul suo passato: «Non si dissociò neppure per un attimo dalla politica della fermezza sul caso Moro», evitando di adoperarsi per una trattativa che avrebbe potuto salvare il leader democristiano.
Ingrao, prosegue Giannuli, ebbe un suo momento di fulgore dall’80 all’84, quando Berlinguer ruppe con Amendola e cercò il suo appoggio, per reggere la svolta del dopo-terremoto e della “questione morale”, ma con l’unico risultato di inasprire l’isolamento identitario e settario del Pci, che ne avviava la decadenza.
«L’ultima occasione di incidere nella storia di questo paese la ebbe con la trasformazione del Pci in Pds».
Dopo essersi messo alla testa del cartello di opposizione che sfiorò il 30% al congresso di scioglimento, «come sempre gli mancò il coraggio del passo successivo: guidare la scissione di Rifondazione».
Ingrao infatti si tirò indietro: «Preferì restare inutilmente nel Pds per uscirne, da solo e fra le lacrime, pochi anni dopo».
Spiegazione: «In queste ripetute battaglie perse senza esser date, ha inciso certamente la sua devozione al partito, assunto non come mezzo ma come fine in sé».
Era spesso accusato di astrattezza, dice Giannuli, e i detrattori avevano ragione: Amendola, il leader della destra riformista del Pci, forniva a «analisi datatissime, come quella di Pietro Grifone sulla contrapposizione fra rendita e profitto in Italia», ma almeno era molto concreto nella proposta, sempre incerta fra alleanze sociali destinate a non tradursi mai in alleanze politiche.
«In politica estera, dopo il 1970, Ingrao non ha mai proposto l’uscita dalla Nato», aggiunge Giannuli.
Sul piano istituzionale invece ha puntato sulle autonomie locali, senza però prevedere la proliferazione incontrollata di poltrone.
«Altra proposta caratterizzante della sua azione sul piano istituzionale – continua Giannuli – fu il tentativo di ridare centralità al Parlamento, attraverso un regime assembleare che scavalcasse la tradizionale divisione fra maggioranza ed opposizione.
l frutto fu la riforma dei regolamenti parlamentari del 1971 che proprio Ingrao, in veste di capogruppo alla Camera, trattò con il capogruppo della Dc, Andreotti.
Ma il risultato finale non fu quello di un improbabile regime assembleare, quanto la premessa del consociativismo Dc-Pci».
Libertà e autonomia ai parlamentari? «In presenza di un partito retto con la ferrea regola del centralismo democratico, come era il Pci, era una pretesa piuttosto irragionevole».
Indeterminata anche la sua critica al “socialismo reale” dei regimi dell’est.
Poi il Muro è crollato, e il vecchio Ingrao è scomparso dai radar.
Proprio come la sinistra italiana, che dopo Tangentopoli ha consegnato il paese al dominio dell’élite neoliberista, quella della privatizzazione universale che impone i suoi diktat tramite l’Ue a guida tedesca e il braccio secolare dell’euro.
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Re: COALIZIONE SOCIALE DEI LAVORATORI
il Fatto 29.3.15
Il discorso
“Fare massa critica per decidere”
Proponiamo ampi stralci del discorso che il professor Stefano Rodotà ha tenuto in piazza del Popolo ieri pomeriggio
di Stefano Rodotà
Io sono molto felice di essere qui anche invalido (...). C’è un fatto nuovo, un fatto che inquieta molto coloro i quali in questo periodo non sanno confrontarsi con la realtà dei problemi che stanno vivendo.
Qui non stiamo disturbando un manovratore (...). Giovanna Cavallo, poco fa, riportava una frase incauta che ha ripetuto il ministro del Lavoro.
Cioè “ciò che va bene per l’azienda va bene anche per i lavoratori”. Non so se fosse consapevole Poletti, pronunciando questa frase, che questo è un modo di dire che negli Stati Uniti c’era molti anni fa. E si diceva: “Quello che va bene per la General motors va bene per gli Stati Uniti d’America”. Noi dobbiamo dire una cosa: era sbagliata questa frase negli Stati Uniti di anni lontani. È ancor più sbagliata nell’Italia di oggi. Quello che va bene per i lavoratori è altro.
Per i lavoratori va bene il riconoscimento della dignità del lavoro. Per i lavoratori va bene il riconoscimento della pienezza dei loro diritti. (...). Allora invertiamo quelle frasi pronunciate negli Stati Uniti e ripetute in Italia: “Ciò che va bene per i lavoratori va bene per l'Italia”. Questa è la frase che dobbiamo dire oggi (...). Perchè quando soffrono le persone nella loro vita quotidiana un Paese sa che la democrazia è in discussione. Questo è ciò che noi dobbiamo ricordare. Ma senza alzare troppo i toni. Io sono convinto che questa non è né demagogia, né retorica: è nient’altro che la riflessione sulla situazione italiana (...).
IN QUESTO MOMENTO non c’è soltanto una linea di rinnovamento incarnata dal presidente del Consiglio alla quale si oppongono persone arretrate, gufi e via dicendo.
Ci sono due linee che sono venute emergendo con molta chiarezza, e una di queste è proprio incarnata da questa piazza. E questa linea, attenzione, a mio giudizio, è quella che bisogna far emergere pienamente.
Perchè se oggi c’è una frase che dovrebbe inquietare tutti. È quel dire “non ci sono alternative”. Quando si dice questo in realtà si dice che la democrazia è in qualche modo mutilata. (...)
Il discorso pubblico della democrazia italiana è povero in questo momento. È povero perchè una serie di voci sono state escluse. “Io non parlo con tutti gli organismi intermedi e quindi in primo luogo con il sindacato”; “iononparloconlasocietàorganizzata”; “iostosmembrandola società”; “salto tutti”; “parlo con i singoli”; “e come parlo? Parlo attraverso itweet”, che non è la buona comunicazione democratica. E allora noi dobbiamo ricostruire il discorso pubblico che significa anche ricostruire l’agenda.
I veri problemi del Paese non sono soltanto quelli indicati da Renzi. (...) L’obiettivo di questa che si è chiamata “coalizione sociale” è esattamente questo: contribuire all’agenda politica del Paese. E questa non è una forzatura, perchè quando in un Paese si rattrappisce l’elenco delle grandi questioni, qualcosa non funziona (...)
Forse Renzi che respinge con una certa sufficienza attribuendo questa maniera di guardare alle cose a qualche “professorone pigro”, io sono così poco pigro che sono venuto con le stampelle.
Ma forse lui allude alla pigrizia delle idee. Ma allora la pigrizia delle idee è la sua. (...) E poi permettetemi di dire una cosa: è abbastanza patetica questa storia che ogni volta tira fuori i professoroni. O non ha altri argomenti, o ha una sorta di complesso di inferiorità. (…)
Perchè (...) se lui fosse stato attento, l’occasione della riforma elettorale e della riforma costituzionale ci avrebbe potuto dare davvero un risultato moderno, avanzato, al quale avrebbero guardato altri Paesi. Non si è voluto fare o non si è avuta la cultura per capire le proposte che arrivavano. (...)
Oggi abbiamo il problema di far sì che questa disattenzione non permanga. (...) Davanti alla situazione che noi ormai conosciamo dobbiamo creare una massa critica sociale che è nello stesso tempo una massa critica politica.
Ma non nel senso della politica partitica. Della politica che dà voce alla società e alimenta la politica. E alimenta io credo anche coloro i quali nei partiti non accettano più questo modo di vivere.
Soprattutto nei partiti della sinistra. (…)
UNA SERIE DI IDEE diventano forti quando si può registrare un sostegno nella società. In quel momento anche la politica dei partiti diventa più forte. (...) Siamo in ritardo. (…) Ma non è vero che la partita sia perduta. (...) La decisione è importante ma la decisione è tanto più significativa (...) quando esistono i pesi e contrappesi dei controlli parlamentari, giudiziari e sociali (...)
Il controllo parlamentare da alcuni anni è del tutto inesistente, il controllo giudiziario si cerca di azzerarlo, il controllo dei giornali si va sfarinando (...) E allora questa è la strada, una strada che non separa la società dalla politica. Dà alla politica la sua pienezza.
Che non è polemica con chi nella politica ufficiale vogliono uscire da questa strettoia (...). È un lavoro difficile ma questa giornata ci dice che è un lavoro possibile. Vorrei aggiungere obbligatorio. La disillusione non deve produrre passività. La passività è l’anticamera della resa. E non mi pare che qui ci siano persone disposte ad arrendersi.
Il discorso
“Fare massa critica per decidere”
Proponiamo ampi stralci del discorso che il professor Stefano Rodotà ha tenuto in piazza del Popolo ieri pomeriggio
di Stefano Rodotà
Io sono molto felice di essere qui anche invalido (...). C’è un fatto nuovo, un fatto che inquieta molto coloro i quali in questo periodo non sanno confrontarsi con la realtà dei problemi che stanno vivendo.
Qui non stiamo disturbando un manovratore (...). Giovanna Cavallo, poco fa, riportava una frase incauta che ha ripetuto il ministro del Lavoro.
Cioè “ciò che va bene per l’azienda va bene anche per i lavoratori”. Non so se fosse consapevole Poletti, pronunciando questa frase, che questo è un modo di dire che negli Stati Uniti c’era molti anni fa. E si diceva: “Quello che va bene per la General motors va bene per gli Stati Uniti d’America”. Noi dobbiamo dire una cosa: era sbagliata questa frase negli Stati Uniti di anni lontani. È ancor più sbagliata nell’Italia di oggi. Quello che va bene per i lavoratori è altro.
Per i lavoratori va bene il riconoscimento della dignità del lavoro. Per i lavoratori va bene il riconoscimento della pienezza dei loro diritti. (...). Allora invertiamo quelle frasi pronunciate negli Stati Uniti e ripetute in Italia: “Ciò che va bene per i lavoratori va bene per l'Italia”. Questa è la frase che dobbiamo dire oggi (...). Perchè quando soffrono le persone nella loro vita quotidiana un Paese sa che la democrazia è in discussione. Questo è ciò che noi dobbiamo ricordare. Ma senza alzare troppo i toni. Io sono convinto che questa non è né demagogia, né retorica: è nient’altro che la riflessione sulla situazione italiana (...).
IN QUESTO MOMENTO non c’è soltanto una linea di rinnovamento incarnata dal presidente del Consiglio alla quale si oppongono persone arretrate, gufi e via dicendo.
Ci sono due linee che sono venute emergendo con molta chiarezza, e una di queste è proprio incarnata da questa piazza. E questa linea, attenzione, a mio giudizio, è quella che bisogna far emergere pienamente.
Perchè se oggi c’è una frase che dovrebbe inquietare tutti. È quel dire “non ci sono alternative”. Quando si dice questo in realtà si dice che la democrazia è in qualche modo mutilata. (...)
Il discorso pubblico della democrazia italiana è povero in questo momento. È povero perchè una serie di voci sono state escluse. “Io non parlo con tutti gli organismi intermedi e quindi in primo luogo con il sindacato”; “iononparloconlasocietàorganizzata”; “iostosmembrandola società”; “salto tutti”; “parlo con i singoli”; “e come parlo? Parlo attraverso itweet”, che non è la buona comunicazione democratica. E allora noi dobbiamo ricostruire il discorso pubblico che significa anche ricostruire l’agenda.
I veri problemi del Paese non sono soltanto quelli indicati da Renzi. (...) L’obiettivo di questa che si è chiamata “coalizione sociale” è esattamente questo: contribuire all’agenda politica del Paese. E questa non è una forzatura, perchè quando in un Paese si rattrappisce l’elenco delle grandi questioni, qualcosa non funziona (...)
Forse Renzi che respinge con una certa sufficienza attribuendo questa maniera di guardare alle cose a qualche “professorone pigro”, io sono così poco pigro che sono venuto con le stampelle.
Ma forse lui allude alla pigrizia delle idee. Ma allora la pigrizia delle idee è la sua. (...) E poi permettetemi di dire una cosa: è abbastanza patetica questa storia che ogni volta tira fuori i professoroni. O non ha altri argomenti, o ha una sorta di complesso di inferiorità. (…)
Perchè (...) se lui fosse stato attento, l’occasione della riforma elettorale e della riforma costituzionale ci avrebbe potuto dare davvero un risultato moderno, avanzato, al quale avrebbero guardato altri Paesi. Non si è voluto fare o non si è avuta la cultura per capire le proposte che arrivavano. (...)
Oggi abbiamo il problema di far sì che questa disattenzione non permanga. (...) Davanti alla situazione che noi ormai conosciamo dobbiamo creare una massa critica sociale che è nello stesso tempo una massa critica politica.
Ma non nel senso della politica partitica. Della politica che dà voce alla società e alimenta la politica. E alimenta io credo anche coloro i quali nei partiti non accettano più questo modo di vivere.
Soprattutto nei partiti della sinistra. (…)
UNA SERIE DI IDEE diventano forti quando si può registrare un sostegno nella società. In quel momento anche la politica dei partiti diventa più forte. (...) Siamo in ritardo. (…) Ma non è vero che la partita sia perduta. (...) La decisione è importante ma la decisione è tanto più significativa (...) quando esistono i pesi e contrappesi dei controlli parlamentari, giudiziari e sociali (...)
Il controllo parlamentare da alcuni anni è del tutto inesistente, il controllo giudiziario si cerca di azzerarlo, il controllo dei giornali si va sfarinando (...) E allora questa è la strada, una strada che non separa la società dalla politica. Dà alla politica la sua pienezza.
Che non è polemica con chi nella politica ufficiale vogliono uscire da questa strettoia (...). È un lavoro difficile ma questa giornata ci dice che è un lavoro possibile. Vorrei aggiungere obbligatorio. La disillusione non deve produrre passività. La passività è l’anticamera della resa. E non mi pare che qui ci siano persone disposte ad arrendersi.
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Re: COALIZIONE SOCIALE DEI LAVORATORI
dopo casa rutelli adesso abbiamo casa engels
dalla germania con furore
https://www.facebook.com/video.php?v=10153184010438960
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Re: COALIZIONE SOCIALE DEI LAVORATORI
Certo la gaffe di Landini che risponde a una domanda della conduttrice mostrando di ignorare totalmente che la drastica riduzione del cuneo fiscale e contributivo disposta dal governo con la legge di stabilità è già in vigore da quasi tre mesi e non dall'entrata in vigore del Jobs act non è cosa da poco per un leader sindacale.
Forse è un po' stanco e senza validi aiuti.
A parte questo possiamo anche sottolineare la convergenza del M5S su diversi punti della coalizione sociale.
Questo fatto della convergenza del M5S su gran parte dei programmi che liste di sinistra presentano alle amministrative da un lato ci aiuta nell'opposizione che si farà nelle varie amministrazioni , ma dall'altro non permette di far vincere quella parte di elettorato che condivide le stesse cose perché il M5S non fa coalizioni.
Forse è un po' stanco e senza validi aiuti.
A parte questo possiamo anche sottolineare la convergenza del M5S su diversi punti della coalizione sociale.
Questo fatto della convergenza del M5S su gran parte dei programmi che liste di sinistra presentano alle amministrative da un lato ci aiuta nell'opposizione che si farà nelle varie amministrazioni , ma dall'altro non permette di far vincere quella parte di elettorato che condivide le stesse cose perché il M5S non fa coalizioni.
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