Settore energia
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Settore energia
L'auto elettrica
Perché l'auto elettrica non ha successo in Italia??
****
PRIMO PIANO
Arriva la scossa
incentivi per le elettriche dal 2013
Il mercato delle auto a batterie verso una svolta
fra 10 anni le vendite potrebbero contare per il 10% del totale
MILANO - La scossa, sotto forma di incentivi, sta arrivando. Il 2013 potrebbe essere l'anno in cui il mercato dell'auto elettrica si accenderà sul serio. A dirlo è l'onorevole Agostino Ghiglia, Pdl, firmatario di uno dei due disegni di legge (l'altro è quello del pd Andrea Lulli) confluiti nella proposta bipartisan che da mesi giace alla Camera. «All'inizio di aprile - spiega Ghiglia - il Senato ha inserito nelle "Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani" la parte che riguarda l'installazione nelle aree pubbliche di colonnine a cura delle società distributrici di energia». Sul versante privato, si riconosce il diritto di collocare punti di ricarica nei parcheggi condominiali e s'impone ai Comuni di concedere l'abilitazione solo agli edifici nuovi che abbiano un'infrastruttura di ricarica. Per Ghiglia, dovrebbe essere possibile trovare i 60/100 milioni di euro indispensabili per partire: «C'è la disponibilità di Clini, il ministro dell'Ambiente». Secondo il parlamentare, «in un mese le Norme potrebbero diventare legge, aprendo la strada al macroprovvedimento». Cioè: agli incentivi. Che dovrebbero ridurre il distacco tra l'Italia e il resto d'Europa.
GLI INCENTIVI IN EUROPA PAESE PER PAESE
FRA SPERANZE E REALTA'-L'anno scorso sono state vendute nel nostro Paese 289 auto elettriche: niente, sul totale di circa 1.750.000 immatricolazioni. Nel primo semestre 2011 (fonte Deloitte), l'Italia era decima nella classifica europea, guidata da Germania, Francia e Norvegia. Eppure l'aspettativa esiste. «Nel "porte aperte" di lancio della Twizy - rivela Jacques Bousquet, direttore generale di Renault Italia - le nostre concessionarie hanno fatto ottomila prove». Bousquet non si aspetta certo il boom: «La crescita sarà lenta, tranquilla: bisogna lasciare il tempo per capire. Ma tra 10 anni le elettriche saranno un decimo del mercato».
Le auto elettriche già in vendita
A LONDRA 25 MILA PUNTI DI RICARICA-Capire, anche, il «caso Londra», come lo chiama Marco Martina, esperto di automotive e partner di Deloitte. «La capitale inglese marcia verso i 25 mila punti di ricarica e i mille mezzi pubblici elettrici entro il 2015 - spiega. - Ma questa non è che una parte del piano per la mobilità sostenibile, che comprende la riduzione del traffico, il miglioramento dei trasporti pubblici, l'aumento delle piste ciclabili, il mix di tecnologie a bassa emissione ( fuel cell a idrogeno e bio-fuel per i bus)». A motivare i londinesi non è solo il risparmio - l'equivalente in sterline di circa mille euro l'anno, per 10mila km - ma anche l'attenzione alla qualità dell'aria («Calcolano che sostituendo 100 mila veicoli a combustione con altrettanti mezzi elettrici - prosegue Martina - si riduca del 70/90 per cento l'anno il particolato e di 350/400 tonnellate il monossido di azoto») sia la necessità di contrastare le conseguenze economiche delle gravi malattie da inquinamento.
8 MILA PROVE PER LA TWIZY Z.E.-«Non c'è bisogno di esaltarla come alternativa radicale: la diffusione della trazione elettrica avrebbe comunque un impatto positivo se potesse dispiegare in pieno le sue attuali potenzialità - sottolinea Paolo Magni, project manager della Fondazione Politecnico. - Con l'autonomia di oggi, tra 100 e 200 km (teniamo conto che il 90% degli europei non fa più di 60 km al giorno), è utile in città, specialmente come mezzo commerciale; è adatta ai pendolari, che potrebbero lasciarla nei parcheggi d'interscambio (sotto carica), per proseguire con i mezzi pubblici; è perfetta per i taxi. E siamo solo all'inizio della sua storia».
PREZZI ELEVATI-L'elettrica, oggi, non è più un fantasma: i concessionari Renault, Nissan, Peugeot, Citroën e Mitsubishi la vendono. Anzi, la venderebbero se non costasse troppo (30/40 mila euro) per essere un'alternativa alla seconda auto o allo scooter. «Vero fino a un certo punto - replica Magni. - Con l'elettrica azzeri il costo del carburante e tagli quello per la manutenzione. Se poi, oltre all'esenzione del bollo, ci metti l'accesso gratuito alle Ztl, il parcheggio libero, la detrazione sulla dichiarazione dei redditi e lo sconto sulla polizza, allora sì che non ci sarebbe gara. Ma a favore dell'auto elettrica». Il modello norvegese, insomma: zero Iva, zero bollo, parcheggio gratuito, esenzione dei pedaggi, accesso alle corsie preferenziali e 3.500 punti di ricarica pubblici, molti dei quali gratuiti. Non a caso la Nissan, in Norvegia, ha venduto mille Leaf in sei mesi. Già, ma qui scarseggiano anche le colonnine...
LE COLONNINE NON SONO UN PROBLEMA-«Un falso problema - replica Fulvia Fazio, di Enel. - Solo noi ne abbiamo già impiantate 500 in tutt'Italia. E in programma a breve ce ne sono 26 a Perugia, cento a Roma, altrettante in Emilia... Del resto, superare il fabbisogno sarebbe un autogol: le colonnine apparirebbero come monumenti all'auto ignota e le vedremmo invecchiare prima di poterle utilizzare. Mentre procedere in sintonia con l'espansione del parco auto permette di seguire l'evoluzione tecnologica delle colonnine stesse». In ogni caso, per Magni, tolleranza zero: «Gli spazi riservati alla sosta e alla ricarica delle elettriche vanno rispettati e salvaguardati». «Incentivi indiretti», li chiama Magni. «Privilegi», dice chiaro e tondo Martina. Un complesso di favori che rendano l'auto elettrica abbordabile e gettino le fondamenta di un vero mercato, sia pure di nicchia. «Molte cose sono già nel disegno di legge bipartisan», puntualizza Ghiglia. Oltre allo sconto sul prezzo di listino (pianificato per un lustro e a scalare: 5.000 euro il primo anno, mille l'ultimo), il provvedimento farebbe scattare anche il contributo agli enti locali per la realizzazione delle reti infrastrutturali, la detrazione d'imposta sull'acquisto dei veicoli e sui lavori d'installazione delle colonnine, l'esonero o le agevolazioni sulle tasse per l'occupazione di spazi pubblici. Gentili omaggi come quello che la Sea ha messo in cantiere all'aeroporto di Milano Linate: ricarica gratis per i clienti. Risparmio simbolico (un «pieno» elettrico costa sui 2 euro), ma gradito. Il progetto, nel quale rientra anche un'area per i test drive, dovrebbe partire entro giugno.
Roberto Iasoni
30 aprile 2012 | 11:47
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere.it
Perché l'auto elettrica non ha successo in Italia??
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PRIMO PIANO
Arriva la scossa
incentivi per le elettriche dal 2013
Il mercato delle auto a batterie verso una svolta
fra 10 anni le vendite potrebbero contare per il 10% del totale
MILANO - La scossa, sotto forma di incentivi, sta arrivando. Il 2013 potrebbe essere l'anno in cui il mercato dell'auto elettrica si accenderà sul serio. A dirlo è l'onorevole Agostino Ghiglia, Pdl, firmatario di uno dei due disegni di legge (l'altro è quello del pd Andrea Lulli) confluiti nella proposta bipartisan che da mesi giace alla Camera. «All'inizio di aprile - spiega Ghiglia - il Senato ha inserito nelle "Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani" la parte che riguarda l'installazione nelle aree pubbliche di colonnine a cura delle società distributrici di energia». Sul versante privato, si riconosce il diritto di collocare punti di ricarica nei parcheggi condominiali e s'impone ai Comuni di concedere l'abilitazione solo agli edifici nuovi che abbiano un'infrastruttura di ricarica. Per Ghiglia, dovrebbe essere possibile trovare i 60/100 milioni di euro indispensabili per partire: «C'è la disponibilità di Clini, il ministro dell'Ambiente». Secondo il parlamentare, «in un mese le Norme potrebbero diventare legge, aprendo la strada al macroprovvedimento». Cioè: agli incentivi. Che dovrebbero ridurre il distacco tra l'Italia e il resto d'Europa.
GLI INCENTIVI IN EUROPA PAESE PER PAESE
FRA SPERANZE E REALTA'-L'anno scorso sono state vendute nel nostro Paese 289 auto elettriche: niente, sul totale di circa 1.750.000 immatricolazioni. Nel primo semestre 2011 (fonte Deloitte), l'Italia era decima nella classifica europea, guidata da Germania, Francia e Norvegia. Eppure l'aspettativa esiste. «Nel "porte aperte" di lancio della Twizy - rivela Jacques Bousquet, direttore generale di Renault Italia - le nostre concessionarie hanno fatto ottomila prove». Bousquet non si aspetta certo il boom: «La crescita sarà lenta, tranquilla: bisogna lasciare il tempo per capire. Ma tra 10 anni le elettriche saranno un decimo del mercato».
Le auto elettriche già in vendita
A LONDRA 25 MILA PUNTI DI RICARICA-Capire, anche, il «caso Londra», come lo chiama Marco Martina, esperto di automotive e partner di Deloitte. «La capitale inglese marcia verso i 25 mila punti di ricarica e i mille mezzi pubblici elettrici entro il 2015 - spiega. - Ma questa non è che una parte del piano per la mobilità sostenibile, che comprende la riduzione del traffico, il miglioramento dei trasporti pubblici, l'aumento delle piste ciclabili, il mix di tecnologie a bassa emissione ( fuel cell a idrogeno e bio-fuel per i bus)». A motivare i londinesi non è solo il risparmio - l'equivalente in sterline di circa mille euro l'anno, per 10mila km - ma anche l'attenzione alla qualità dell'aria («Calcolano che sostituendo 100 mila veicoli a combustione con altrettanti mezzi elettrici - prosegue Martina - si riduca del 70/90 per cento l'anno il particolato e di 350/400 tonnellate il monossido di azoto») sia la necessità di contrastare le conseguenze economiche delle gravi malattie da inquinamento.
8 MILA PROVE PER LA TWIZY Z.E.-«Non c'è bisogno di esaltarla come alternativa radicale: la diffusione della trazione elettrica avrebbe comunque un impatto positivo se potesse dispiegare in pieno le sue attuali potenzialità - sottolinea Paolo Magni, project manager della Fondazione Politecnico. - Con l'autonomia di oggi, tra 100 e 200 km (teniamo conto che il 90% degli europei non fa più di 60 km al giorno), è utile in città, specialmente come mezzo commerciale; è adatta ai pendolari, che potrebbero lasciarla nei parcheggi d'interscambio (sotto carica), per proseguire con i mezzi pubblici; è perfetta per i taxi. E siamo solo all'inizio della sua storia».
PREZZI ELEVATI-L'elettrica, oggi, non è più un fantasma: i concessionari Renault, Nissan, Peugeot, Citroën e Mitsubishi la vendono. Anzi, la venderebbero se non costasse troppo (30/40 mila euro) per essere un'alternativa alla seconda auto o allo scooter. «Vero fino a un certo punto - replica Magni. - Con l'elettrica azzeri il costo del carburante e tagli quello per la manutenzione. Se poi, oltre all'esenzione del bollo, ci metti l'accesso gratuito alle Ztl, il parcheggio libero, la detrazione sulla dichiarazione dei redditi e lo sconto sulla polizza, allora sì che non ci sarebbe gara. Ma a favore dell'auto elettrica». Il modello norvegese, insomma: zero Iva, zero bollo, parcheggio gratuito, esenzione dei pedaggi, accesso alle corsie preferenziali e 3.500 punti di ricarica pubblici, molti dei quali gratuiti. Non a caso la Nissan, in Norvegia, ha venduto mille Leaf in sei mesi. Già, ma qui scarseggiano anche le colonnine...
LE COLONNINE NON SONO UN PROBLEMA-«Un falso problema - replica Fulvia Fazio, di Enel. - Solo noi ne abbiamo già impiantate 500 in tutt'Italia. E in programma a breve ce ne sono 26 a Perugia, cento a Roma, altrettante in Emilia... Del resto, superare il fabbisogno sarebbe un autogol: le colonnine apparirebbero come monumenti all'auto ignota e le vedremmo invecchiare prima di poterle utilizzare. Mentre procedere in sintonia con l'espansione del parco auto permette di seguire l'evoluzione tecnologica delle colonnine stesse». In ogni caso, per Magni, tolleranza zero: «Gli spazi riservati alla sosta e alla ricarica delle elettriche vanno rispettati e salvaguardati». «Incentivi indiretti», li chiama Magni. «Privilegi», dice chiaro e tondo Martina. Un complesso di favori che rendano l'auto elettrica abbordabile e gettino le fondamenta di un vero mercato, sia pure di nicchia. «Molte cose sono già nel disegno di legge bipartisan», puntualizza Ghiglia. Oltre allo sconto sul prezzo di listino (pianificato per un lustro e a scalare: 5.000 euro il primo anno, mille l'ultimo), il provvedimento farebbe scattare anche il contributo agli enti locali per la realizzazione delle reti infrastrutturali, la detrazione d'imposta sull'acquisto dei veicoli e sui lavori d'installazione delle colonnine, l'esonero o le agevolazioni sulle tasse per l'occupazione di spazi pubblici. Gentili omaggi come quello che la Sea ha messo in cantiere all'aeroporto di Milano Linate: ricarica gratis per i clienti. Risparmio simbolico (un «pieno» elettrico costa sui 2 euro), ma gradito. Il progetto, nel quale rientra anche un'area per i test drive, dovrebbe partire entro giugno.
Roberto Iasoni
30 aprile 2012 | 11:47
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Re: Settore energia
La produzione di energia elettrica
Energia dai rifiuti urbani.
Nomisma stima in 13 miliardi in 10 anni il valore corrispettivo di petrolio.
Ogni anno buttando in discarica il 50 per cento dei rifiuti che si producono nel nostro Paese è come se si sprecasse l’equivalente di 1,2 miliardi di euro che potrebbero essere sottratti alla bolletta energetica italiana.
Secondo il centro studi Nomisma i 17 milioni di tonnellate che non riescono ad essere né riciclate né bruciate nei forni non rappresentano solo un danno ambientale, ma sono anche uno spreco di energia.
Il che andrebbe evitato soprattutto in un Paese che per l’85 per cento dipende dalle importazioni per il suo fabbisogno energetico.
<<Supponendo un contenuto medio di rifiuti urbani di 2.200 kcal per chilogrammo- si legge nello studio sulle potenzialità dello smaltimento nei forni dei cementifici- questo significa buttare 3,7 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio in discarica>>
Nomisma ha anche proiettato il calcolo degli anni a venire : <<Nel prossimo decennio, nel quale in assenza di politiche incisive è ipotizzabile una quantità annuale di rifiuti in discarica dell’ordine di 11 milioni di tonnellate all’anno e con una previsione di prezzo del greggio di 548 euro per tonnellata, porta ad un probabile spreco in discarica di 13 miliardi.
Energia dai rifiuti urbani.
Nomisma stima in 13 miliardi in 10 anni il valore corrispettivo di petrolio.
Ogni anno buttando in discarica il 50 per cento dei rifiuti che si producono nel nostro Paese è come se si sprecasse l’equivalente di 1,2 miliardi di euro che potrebbero essere sottratti alla bolletta energetica italiana.
Secondo il centro studi Nomisma i 17 milioni di tonnellate che non riescono ad essere né riciclate né bruciate nei forni non rappresentano solo un danno ambientale, ma sono anche uno spreco di energia.
Il che andrebbe evitato soprattutto in un Paese che per l’85 per cento dipende dalle importazioni per il suo fabbisogno energetico.
<<Supponendo un contenuto medio di rifiuti urbani di 2.200 kcal per chilogrammo- si legge nello studio sulle potenzialità dello smaltimento nei forni dei cementifici- questo significa buttare 3,7 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio in discarica>>
Nomisma ha anche proiettato il calcolo degli anni a venire : <<Nel prossimo decennio, nel quale in assenza di politiche incisive è ipotizzabile una quantità annuale di rifiuti in discarica dell’ordine di 11 milioni di tonnellate all’anno e con una previsione di prezzo del greggio di 548 euro per tonnellata, porta ad un probabile spreco in discarica di 13 miliardi.
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Re: Settore energia
Produrre energia pulita risparmiando
di Nicola Zingaretti | 2 maggio 2012 Commenti (40)
In questi giorni il dibattito sul futuro energetico dell’Italia è particolarmente acceso, con la discussione sul decreto rinnovabili, con cui il governo vuole cambiare le regole per il settore dell’energia pulita in Italia.
Credo sia importante ascoltare le riflessioni di tutti gli attori coinvolti e farli partecipare all’evoluzione di un settore che è fondamentale non solo perché crea posti di lavoro, ma soprattutto perché disegna un nuovo scenario per lo sviluppo economico e la tutela dell’ambiente e della nostra salute.
Si tratta di un settore strategico: per ogni euro di incentivi si hanno 3 euro di benefici, secondo quanto stimato da Agostino Re Rebaudengo, presidente di Aper, l’associazione che riunisce i produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Alla Provincia di Roma siamo impegnati in prima linea a sostegno delle rinnovabili. Fra i tanti progetti realizzati uno mi sta particolarmente a cuore. Stiamo lavorando perché dall’anno prossimo tutte le scuole della Provincia siano dotate di impianti fotovoltaici (ad eccezione di quelle per cui la Soprintendenza ha posto un veto per ragioni di carattere storico-artistico). E’ stato portato avanti in project financing, cioè contando sul sostegno delle imprese, in modo da minimizzare i costi per la pubblica amministrazione.
Il progetto permetterà di risparmiare risorse pubbliche che possono essere impiegate in altri progetti e allo stesso tempo di produrre energia in modo pulito.
Il nostro impegno per il solare deriva da una considerazione: in tempi di crisi non basta il rigore, non si può pensare solo a ridurre la quantità della spesa pubblica, servono politiche innovative che permettano di migliorare la qualità della spesa e di avere un effetto positivo sull’ambiente.
E’ un tema quanto mai attuale, proprio nel momento in cui il governo affronta il tema della spending review, cioè della razionalizzazione e il contenimento della spesa pubblica.
E si tratta di un esempio che credo potrebbe essere esteso. Pensiamo a quanto ampie sono le superfici dei tetti di proprietà dello Stato: scuole, Comuni, caserme, solo per fare qualche esempio. Quanta energia potremmo produrre se installassimo pannelli fotovoltaici su tutti i tetti degli edifici pubblici. E quanti ettari di terra attualmente utilizzati a questo scopo potremmo risparmiare?
Anche perché investire sulle rinnovabili ha un effetto positivo sull’occupazione e sull’economia. Non a caso il presidente degli Stati Uniti Obama, proprio in un momento di crisi, sta avviando un piano per passare dall’attuale 40% di energia prodotta da fonti pulite all’80% entro il 2035.
Cambiare fonti di energia non sarà sufficiente: per rendere sostenibile la vita sul pianeta sarà necessario rivedere tutto il modello di produzione e consumo su cui si fonda la nostra società.
Non si può pensare che per consumare 400 grammi di insalata sia necessario imballarla in un contenitore di plastica e trasportarla per migliaia di chilometri su gomma. Tutto il nostro modello di consumo dovrà cambiare, prima o poi. Ma questa è un’altra storia, ne parleremo in una prossima occasione.
Il Fatto Quotidiano
di Nicola Zingaretti | 2 maggio 2012 Commenti (40)
In questi giorni il dibattito sul futuro energetico dell’Italia è particolarmente acceso, con la discussione sul decreto rinnovabili, con cui il governo vuole cambiare le regole per il settore dell’energia pulita in Italia.
Credo sia importante ascoltare le riflessioni di tutti gli attori coinvolti e farli partecipare all’evoluzione di un settore che è fondamentale non solo perché crea posti di lavoro, ma soprattutto perché disegna un nuovo scenario per lo sviluppo economico e la tutela dell’ambiente e della nostra salute.
Si tratta di un settore strategico: per ogni euro di incentivi si hanno 3 euro di benefici, secondo quanto stimato da Agostino Re Rebaudengo, presidente di Aper, l’associazione che riunisce i produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Alla Provincia di Roma siamo impegnati in prima linea a sostegno delle rinnovabili. Fra i tanti progetti realizzati uno mi sta particolarmente a cuore. Stiamo lavorando perché dall’anno prossimo tutte le scuole della Provincia siano dotate di impianti fotovoltaici (ad eccezione di quelle per cui la Soprintendenza ha posto un veto per ragioni di carattere storico-artistico). E’ stato portato avanti in project financing, cioè contando sul sostegno delle imprese, in modo da minimizzare i costi per la pubblica amministrazione.
Il progetto permetterà di risparmiare risorse pubbliche che possono essere impiegate in altri progetti e allo stesso tempo di produrre energia in modo pulito.
Il nostro impegno per il solare deriva da una considerazione: in tempi di crisi non basta il rigore, non si può pensare solo a ridurre la quantità della spesa pubblica, servono politiche innovative che permettano di migliorare la qualità della spesa e di avere un effetto positivo sull’ambiente.
E’ un tema quanto mai attuale, proprio nel momento in cui il governo affronta il tema della spending review, cioè della razionalizzazione e il contenimento della spesa pubblica.
E si tratta di un esempio che credo potrebbe essere esteso. Pensiamo a quanto ampie sono le superfici dei tetti di proprietà dello Stato: scuole, Comuni, caserme, solo per fare qualche esempio. Quanta energia potremmo produrre se installassimo pannelli fotovoltaici su tutti i tetti degli edifici pubblici. E quanti ettari di terra attualmente utilizzati a questo scopo potremmo risparmiare?
Anche perché investire sulle rinnovabili ha un effetto positivo sull’occupazione e sull’economia. Non a caso il presidente degli Stati Uniti Obama, proprio in un momento di crisi, sta avviando un piano per passare dall’attuale 40% di energia prodotta da fonti pulite all’80% entro il 2035.
Cambiare fonti di energia non sarà sufficiente: per rendere sostenibile la vita sul pianeta sarà necessario rivedere tutto il modello di produzione e consumo su cui si fonda la nostra società.
Non si può pensare che per consumare 400 grammi di insalata sia necessario imballarla in un contenitore di plastica e trasportarla per migliaia di chilometri su gomma. Tutto il nostro modello di consumo dovrà cambiare, prima o poi. Ma questa è un’altra storia, ne parleremo in una prossima occasione.
Il Fatto Quotidiano
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Re: Settore energia
Sondaggio sul forum
Prima domanda
Cosa ne pensate dei portici nei centri urbani?
A me piacciono particolarmente sia quelli di antica data come a Bologna, Genova, Torino, oppure quelli più recenti di Corso Vittorio Emanuele a Milano, ma questa è solo una valutazione personale.
I vantaggi dei portici comunque sono:
- In estate forniscono percorsi pedonali all’ombra
- In inverno consentono di evitare ombrelli quando piove e quando nevica
Seconda domanda
Se si dovessero realizzare portici artificiali lungo i marciapiedi collocati in zone con una buona esposizione al sole con la copertura di pannelli fotovoltaici, coperture progettate e realizzate da architetti, sareste favorevoli o contrari, oppure la presenza di troppi pannelli fotovoltaici urta la vostra sensibilità nei riguardi dell’ambiente?
Prima domanda
Cosa ne pensate dei portici nei centri urbani?
A me piacciono particolarmente sia quelli di antica data come a Bologna, Genova, Torino, oppure quelli più recenti di Corso Vittorio Emanuele a Milano, ma questa è solo una valutazione personale.
I vantaggi dei portici comunque sono:
- In estate forniscono percorsi pedonali all’ombra
- In inverno consentono di evitare ombrelli quando piove e quando nevica
Seconda domanda
Se si dovessero realizzare portici artificiali lungo i marciapiedi collocati in zone con una buona esposizione al sole con la copertura di pannelli fotovoltaici, coperture progettate e realizzate da architetti, sareste favorevoli o contrari, oppure la presenza di troppi pannelli fotovoltaici urta la vostra sensibilità nei riguardi dell’ambiente?
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Re: Settore energia
Berlino, i cittadini vogliono acquistare la più grande rete elettrica della Germania
E' la visione alla base della cooperativa "BürgerEnergie Berlin" (BEB): tutti i cittadini potranno acquistare una quota e sperare così di contribuire a suo modo alla Energiewende, la "svolta energetica" dal basso
di Fabrizio Numi | 4 maggio 2012
Riportare la rete elettrica nelle mani dei cittadini, sottraendola al controllo di un big dell’energia. E’ la visione alla base di “BürgerEnergie Berlin” (BEB), una cooperativa che intende comprare la più grande rete elettrica della Germania, quella di Berlino, 40mila chilometri di cavi gestiti oggi dalla svedese Vattenfall. E vuole farlo con l’aiuto dei cittadini: ognuno può infatti acquistare una quota e sperare così di contribuire a suo modo alla Energiewende, la “svolta energetica” che porterà nel giro dei prossimi dieci anni la Repubblica federale a spegnere tutte le sue centrali nucleari e a sviluppare ancora più massicciamente le rinnovabili. L’idea, insomma, è quello di una Energiewende dal basso. Un’idea tutt’altro che impopolare a Berlino: da alcune settimane un’iniziativa civica chiamata “Berliner Energietisch” sta raccogliendo firme per indire un referendum finalizzato proprio a rimunicipalizzare la rete elettrica della capitale tedesca.
L’obiettivo è doppiare il successo del referendum sull’acqua pubblica tenutosi l’anno scorso, che puntava a svelare i contratti di privatizzazione parziale della società dei servizi idrici.
“Ora o mai più”, spiegano gli iniziatori di BürgerEnergie Berlin, che si sono assicurati l’appoggio, tra gli altri, dell’organizzazione ambientalista BUND e di Naturstrom e Greenpeace Energy, due operatori alternativi specializzati nella fornitura di energia elettrica da fonti rinnovabili. La concessione comunale per Vattenfall scadrà sì alla fine del 2014, ma il Land deciderà già nei prossimi mesi a chi riassegnarla. BEB ha depositato una manifestazione d’interesse. E intanto ha iniziato a raccogliere fondi. Un milione di euro è già da parte. Quanto dovranno racimolare in tutto, in realtà, non lo sanno di preciso neanche i responsabili della cooperativa: il valore della rete berlinese oscilla infatti tra i 400 milioni (dato contenuto in uno studio commissionato dal governo regionale) e i 3 miliardi (stima di Vattenfall). In ogni caso la cooperativa dovrà investire in proprio il 40 per cento della somma (il resto potrà arrivare da altre fonti).
In una settimana dalla diffusione del primo comunicato stampa la società ha raccolto una cinquantina di nuovi soci.
L’intera economia energetica, ci spiega Luise Neumann-Cosel, uno dei due membri del consiglio direttivo di BEB, “deve essere organizzata in modo molto più democratico”. Come è presto detto: chiunque – non solo chi risiede a Berlino – può acquistare una quota, depositando almeno 500 euro. Chi preferisce andare sul sicuro può versare su un conto fiduciario una somma che verrà trasformata in una vera e propria partecipazione solo nel caso in cui la società si aggiudicherà la gestione della rete. Ogni socio dispone di un solo voto, indipendentemente da quanto ha investito.
Gli utili verranno impiegati in due modi. In parte saranno utilizzati per lo sviluppo di reti intelligenti (smart grid), per facilitare l’integrazione delle rinnovabili nella rete e per sostenere progetti finalizzati alla Energiewende: il gestore della rete, da solo, non basta infatti a realizzare una vera e propria svolta energetica, visto che, ad esempio, trasporta ai clienti finali anche la corrente prodotta dalle centrali nucleari. L’altra parte degli utili verrà redistribuita ai soci. Il guadagno potenziale è tutt’altro che trascurabile: l’Agenzia delle Reti, responsabile in materia, fissa una rendita compresa tra il 6 e il 9 per cento. “Non vogliamo che gli utili finiscano a una grande azienda, bensì che restino qui nella regione”, nota Neumann-Cosel. Gli attuali dipendenti di Vattenfall, inoltre, non verrebbero licenziati, ma resterebbero al loro posto, in modo da trarre profitto dalla loro esperienza.
Il fenomeno della “rimunicipalizzazione dal basso” si osserva anche in altri Comuni tedeschi, dove i cittadini si uniscono per acquistare la rete elettrica precedentemente privatizzata. Il caso più noto è quello di Schönau, nella Foresta Nera, dove a metà anni Novanta un’iniziativa civica ha comprato la rete locale e ha creato una società che oggi fornisce corrente ottenuta da fonti rinnovabili a 130mila clienti in tutta la Germania. Il problema: Schönau ha circa 2.400 abitanti, Berlino 3,5 milioni. Neumann-Cosel è consapevole della differenza, ma non si scompone: non siamo da soli, chiarisce, bensì ci avvaliamo delle competenze di molti partner attivi nel settore, a partire proprio da Michael Sladek, il medico “ribelle” che ha lanciato la rivoluzione di Schönau e siede nel consiglio di sorveglianza di BürgerEnergie Berlin. E poi, aggiunge Neumann-Cosel, “se riusciremo nel nostro scopo questo diventerà un progetto esemplare, con un grosso fascino anche per altri”.
Il Fatto Quotidiano
E' la visione alla base della cooperativa "BürgerEnergie Berlin" (BEB): tutti i cittadini potranno acquistare una quota e sperare così di contribuire a suo modo alla Energiewende, la "svolta energetica" dal basso
di Fabrizio Numi | 4 maggio 2012
Riportare la rete elettrica nelle mani dei cittadini, sottraendola al controllo di un big dell’energia. E’ la visione alla base di “BürgerEnergie Berlin” (BEB), una cooperativa che intende comprare la più grande rete elettrica della Germania, quella di Berlino, 40mila chilometri di cavi gestiti oggi dalla svedese Vattenfall. E vuole farlo con l’aiuto dei cittadini: ognuno può infatti acquistare una quota e sperare così di contribuire a suo modo alla Energiewende, la “svolta energetica” che porterà nel giro dei prossimi dieci anni la Repubblica federale a spegnere tutte le sue centrali nucleari e a sviluppare ancora più massicciamente le rinnovabili. L’idea, insomma, è quello di una Energiewende dal basso. Un’idea tutt’altro che impopolare a Berlino: da alcune settimane un’iniziativa civica chiamata “Berliner Energietisch” sta raccogliendo firme per indire un referendum finalizzato proprio a rimunicipalizzare la rete elettrica della capitale tedesca.
L’obiettivo è doppiare il successo del referendum sull’acqua pubblica tenutosi l’anno scorso, che puntava a svelare i contratti di privatizzazione parziale della società dei servizi idrici.
“Ora o mai più”, spiegano gli iniziatori di BürgerEnergie Berlin, che si sono assicurati l’appoggio, tra gli altri, dell’organizzazione ambientalista BUND e di Naturstrom e Greenpeace Energy, due operatori alternativi specializzati nella fornitura di energia elettrica da fonti rinnovabili. La concessione comunale per Vattenfall scadrà sì alla fine del 2014, ma il Land deciderà già nei prossimi mesi a chi riassegnarla. BEB ha depositato una manifestazione d’interesse. E intanto ha iniziato a raccogliere fondi. Un milione di euro è già da parte. Quanto dovranno racimolare in tutto, in realtà, non lo sanno di preciso neanche i responsabili della cooperativa: il valore della rete berlinese oscilla infatti tra i 400 milioni (dato contenuto in uno studio commissionato dal governo regionale) e i 3 miliardi (stima di Vattenfall). In ogni caso la cooperativa dovrà investire in proprio il 40 per cento della somma (il resto potrà arrivare da altre fonti).
In una settimana dalla diffusione del primo comunicato stampa la società ha raccolto una cinquantina di nuovi soci.
L’intera economia energetica, ci spiega Luise Neumann-Cosel, uno dei due membri del consiglio direttivo di BEB, “deve essere organizzata in modo molto più democratico”. Come è presto detto: chiunque – non solo chi risiede a Berlino – può acquistare una quota, depositando almeno 500 euro. Chi preferisce andare sul sicuro può versare su un conto fiduciario una somma che verrà trasformata in una vera e propria partecipazione solo nel caso in cui la società si aggiudicherà la gestione della rete. Ogni socio dispone di un solo voto, indipendentemente da quanto ha investito.
Gli utili verranno impiegati in due modi. In parte saranno utilizzati per lo sviluppo di reti intelligenti (smart grid), per facilitare l’integrazione delle rinnovabili nella rete e per sostenere progetti finalizzati alla Energiewende: il gestore della rete, da solo, non basta infatti a realizzare una vera e propria svolta energetica, visto che, ad esempio, trasporta ai clienti finali anche la corrente prodotta dalle centrali nucleari. L’altra parte degli utili verrà redistribuita ai soci. Il guadagno potenziale è tutt’altro che trascurabile: l’Agenzia delle Reti, responsabile in materia, fissa una rendita compresa tra il 6 e il 9 per cento. “Non vogliamo che gli utili finiscano a una grande azienda, bensì che restino qui nella regione”, nota Neumann-Cosel. Gli attuali dipendenti di Vattenfall, inoltre, non verrebbero licenziati, ma resterebbero al loro posto, in modo da trarre profitto dalla loro esperienza.
Il fenomeno della “rimunicipalizzazione dal basso” si osserva anche in altri Comuni tedeschi, dove i cittadini si uniscono per acquistare la rete elettrica precedentemente privatizzata. Il caso più noto è quello di Schönau, nella Foresta Nera, dove a metà anni Novanta un’iniziativa civica ha comprato la rete locale e ha creato una società che oggi fornisce corrente ottenuta da fonti rinnovabili a 130mila clienti in tutta la Germania. Il problema: Schönau ha circa 2.400 abitanti, Berlino 3,5 milioni. Neumann-Cosel è consapevole della differenza, ma non si scompone: non siamo da soli, chiarisce, bensì ci avvaliamo delle competenze di molti partner attivi nel settore, a partire proprio da Michael Sladek, il medico “ribelle” che ha lanciato la rivoluzione di Schönau e siede nel consiglio di sorveglianza di BürgerEnergie Berlin. E poi, aggiunge Neumann-Cosel, “se riusciremo nel nostro scopo questo diventerà un progetto esemplare, con un grosso fascino anche per altri”.
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