Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
E adesso sono tweet amari
(Daniela Ranieri)
13/05/2015 di triskel182
L’insonne performer dei social network, lo statista tweet-star, l’idolo dorato delle masse evolute della rete nonché inventore di felicissimi hashtag che faranno la Storia di questa Repubblica, sta per finire bollito nel suo stesso calderone.
Se per noi la cosa sarebbe lungi dal rappresentare una questione politica, per lui qualche significato deve avere che la sua pagina Facebook sia invasa in queste ore da commenti del tipo: “Non voteremo più Pd perché indignati dal ddl La Buona scuola”.
Sono tanti, centinaia e ogni ora di più, sotto le “sfide” narrate da Matteo: le foto coi tennisti di grido e con Raul Castro, lo scatto alla firma all’Italicum, il video del discorso all’Expo.
Una goccia che scava il silicio variando sul tema: “Io e tutta la mia famiglia non voteremo mai più Pd”. Ecco.
A forza di disintermediare, Renzi si è trovato la gente in casa, nel cuore della cassa di risonanza della sua onnipotenza mediatica che ora gli rimanda l’eco di un dissenso difficile da ignorare.
Nello spazio in cui si mischiano intrattenimento e propaganda, frivolezza e coercizione – il tempo libero che passiamo su FB è in realtà tempo di lavoro che elargiamo gratis alla crescita dell’impero di Zuckerberg e alle campagne elettorali dei leader politici – la pioggia di commenti amari ha il sapore del contrappasso.
UNA CRISI di rigetto in piena regola nell’agorà digitale nel momento di sua massima trepidazione, quando le elezioni regionali si approssimano e sul “muro” di Renzi, pieno di osannate veline governative, sue spiritosissime effigi e spinterogene chiamate alle armi della #voltabuona, compaiono i primi sbreghi e una pur composta, ma forse perciò più tremenda, ressa di pasquinate.
Forse il Ministero agli hashtag renziano (un Ministero-ombra che però conta più degli altri, certo più di quello agli Affari regionali ancora senza titolare) nelle prossime ore deciderà se ridurre la faccenda alla dimensione della goliardata o deformarla verso la sedizione molesta, identificando gli autori in civatiani rosiconi, gufi dei sindacati o bot siti in Albania e pagati da Casaleggio.
La realtà, ahilui, è che sono (erano) elettori del Pd impegnati in un’operazione di sabotaggio.
Quando la politica è tutta immateriale, invece di tirare zoccoli dentro i macchinari molti lavoratori e fruitori della scuola – insegnanti, genitori, studenti – hanno deciso di gettare un granello di polvere nell’oliatissima narrazione renziana sottoponendola a una massiva cura omeopatica.
È come se ai tempi dei decreti-vergogna di B. migliaia di telespettatori avessero interrotto Beautiful col telecomando interattivo Quizzy o un loro nutrito plotone avesse occupato gli studi di Bim bum bam.
E indubbiamente uno spostamento della scena politica c’è, se il governo, per bocca della ministra non competente Boschi, può sottovalutare la piazza fisica (“La scuola solo in mano ai sindacati non credo funzioni”) e trasferire l’agire politico sul piano di un battage quotidiano e forsennato sui social media. Il che ci dà l’agio di ritenere che contro un tale governo non valga tanto scendere in piazza quanto togliergli il follow su Twitter.
Ma ormai la narrazione, da narcotico mutuato dal marketing, si è fatta non solo sovraesposizione mediatica del conducator e sua impietosa auto-promozione, ma discorso in sé, teoria e prassi, e per sua precisa volontà.
È infatti lui, non gli oscuri “utenti di Internet” vituperati dai benpensanti, a raggrumare la dimensione pubblica nei 140 caratteri di Twitter, dove pure ha comunicato le linee guida di tutte le sue riforme e dove nel pomeriggio di ieri è intervenuto sulla protesta promettendo il dialogo con “un #matteorisponde”.
Segno che stavolta la strategia di individuare un nemico (i sindacati) e indicarlo al popolo, seppur quello ondivago e distratto della rete, non ha funzionato.
Renzi parla a gente alfabetizzata che non si lascia accecare dai suoi “slogan del caXXo” (copyright Landini ) e gli risponde nel merito: la Buona Scuola è indecorosa. Ma è il metodo ad aprire una breccia e a mettere Matteo in un cul-de-sac logico.
PERCHÉ delle due l’una: o i suoi post di FB contano (e contano, se Gaia Tortora li legge in diretta al Tg de La 7 come fossero un’agenzia su una risoluzione Onu), o non contano.
E se contano, se sono politica, notizia, narrazione, conteranno tanto più quelli di coloro a cui sono rivolti.
E se questi sono potenziali elettori del Pd quando lodano il premier con stelline e cuoricini, devono esserlo anche quando lo criticano.
A meno di non considerare il cosiddetto “popolo della rete” alla stregua del pubblico de La ruota della fortuna o, peggio, come la superficie riflettente del vuoto narcisismo totalitarista del leader.
Da Il Fatto Quotidiano del 13/05/2015.
(Daniela Ranieri)
13/05/2015 di triskel182
L’insonne performer dei social network, lo statista tweet-star, l’idolo dorato delle masse evolute della rete nonché inventore di felicissimi hashtag che faranno la Storia di questa Repubblica, sta per finire bollito nel suo stesso calderone.
Se per noi la cosa sarebbe lungi dal rappresentare una questione politica, per lui qualche significato deve avere che la sua pagina Facebook sia invasa in queste ore da commenti del tipo: “Non voteremo più Pd perché indignati dal ddl La Buona scuola”.
Sono tanti, centinaia e ogni ora di più, sotto le “sfide” narrate da Matteo: le foto coi tennisti di grido e con Raul Castro, lo scatto alla firma all’Italicum, il video del discorso all’Expo.
Una goccia che scava il silicio variando sul tema: “Io e tutta la mia famiglia non voteremo mai più Pd”. Ecco.
A forza di disintermediare, Renzi si è trovato la gente in casa, nel cuore della cassa di risonanza della sua onnipotenza mediatica che ora gli rimanda l’eco di un dissenso difficile da ignorare.
Nello spazio in cui si mischiano intrattenimento e propaganda, frivolezza e coercizione – il tempo libero che passiamo su FB è in realtà tempo di lavoro che elargiamo gratis alla crescita dell’impero di Zuckerberg e alle campagne elettorali dei leader politici – la pioggia di commenti amari ha il sapore del contrappasso.
UNA CRISI di rigetto in piena regola nell’agorà digitale nel momento di sua massima trepidazione, quando le elezioni regionali si approssimano e sul “muro” di Renzi, pieno di osannate veline governative, sue spiritosissime effigi e spinterogene chiamate alle armi della #voltabuona, compaiono i primi sbreghi e una pur composta, ma forse perciò più tremenda, ressa di pasquinate.
Forse il Ministero agli hashtag renziano (un Ministero-ombra che però conta più degli altri, certo più di quello agli Affari regionali ancora senza titolare) nelle prossime ore deciderà se ridurre la faccenda alla dimensione della goliardata o deformarla verso la sedizione molesta, identificando gli autori in civatiani rosiconi, gufi dei sindacati o bot siti in Albania e pagati da Casaleggio.
La realtà, ahilui, è che sono (erano) elettori del Pd impegnati in un’operazione di sabotaggio.
Quando la politica è tutta immateriale, invece di tirare zoccoli dentro i macchinari molti lavoratori e fruitori della scuola – insegnanti, genitori, studenti – hanno deciso di gettare un granello di polvere nell’oliatissima narrazione renziana sottoponendola a una massiva cura omeopatica.
È come se ai tempi dei decreti-vergogna di B. migliaia di telespettatori avessero interrotto Beautiful col telecomando interattivo Quizzy o un loro nutrito plotone avesse occupato gli studi di Bim bum bam.
E indubbiamente uno spostamento della scena politica c’è, se il governo, per bocca della ministra non competente Boschi, può sottovalutare la piazza fisica (“La scuola solo in mano ai sindacati non credo funzioni”) e trasferire l’agire politico sul piano di un battage quotidiano e forsennato sui social media. Il che ci dà l’agio di ritenere che contro un tale governo non valga tanto scendere in piazza quanto togliergli il follow su Twitter.
Ma ormai la narrazione, da narcotico mutuato dal marketing, si è fatta non solo sovraesposizione mediatica del conducator e sua impietosa auto-promozione, ma discorso in sé, teoria e prassi, e per sua precisa volontà.
È infatti lui, non gli oscuri “utenti di Internet” vituperati dai benpensanti, a raggrumare la dimensione pubblica nei 140 caratteri di Twitter, dove pure ha comunicato le linee guida di tutte le sue riforme e dove nel pomeriggio di ieri è intervenuto sulla protesta promettendo il dialogo con “un #matteorisponde”.
Segno che stavolta la strategia di individuare un nemico (i sindacati) e indicarlo al popolo, seppur quello ondivago e distratto della rete, non ha funzionato.
Renzi parla a gente alfabetizzata che non si lascia accecare dai suoi “slogan del caXXo” (copyright Landini ) e gli risponde nel merito: la Buona Scuola è indecorosa. Ma è il metodo ad aprire una breccia e a mettere Matteo in un cul-de-sac logico.
PERCHÉ delle due l’una: o i suoi post di FB contano (e contano, se Gaia Tortora li legge in diretta al Tg de La 7 come fossero un’agenzia su una risoluzione Onu), o non contano.
E se contano, se sono politica, notizia, narrazione, conteranno tanto più quelli di coloro a cui sono rivolti.
E se questi sono potenziali elettori del Pd quando lodano il premier con stelline e cuoricini, devono esserlo anche quando lo criticano.
A meno di non considerare il cosiddetto “popolo della rete” alla stregua del pubblico de La ruota della fortuna o, peggio, come la superficie riflettente del vuoto narcisismo totalitarista del leader.
Da Il Fatto Quotidiano del 13/05/2015.
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Re: Diario della caduta di un regime.
https://www.youtube.com/watch?v=wKBc97x ... ploademail
Fattori (M5S): "Disservizi nella scuola materna "Marchesi" di Genzano". Altro che buona scuola"
Ciao
Paolo11
Fattori (M5S): "Disservizi nella scuola materna "Marchesi" di Genzano". Altro che buona scuola"
Ciao
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Re: Diario della caduta di un regime.
Servizio Pubblico, Travaglio: “Governi lecca-lecca”
Video
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/05/ ... ca/372189/
Editoriale di Marco Travaglio, che passa in rassegna tutti coloro che adulavano Silvio Berlusconi e oggi invece lo contestano. “Oggi son buoni tutti a prendere in giro Berlusconi che inciampa dappertutto” – osserva il direttore de Il Fatto Quotidiano – “Nel 2008 Berlusconi e Bossi rivincono le elezioni e tornano al governo per la terza volta. ‘Presidente, da lei mi farei veramente toccare!’, squittisce la fiorettista Valentina Vezzali a Porta a Porta. Raffaele Fitto disse: ‘Berlusconi ha portato la pioggia in Puglia!”. Rain man. ‘Sono unilateralmente innamorato di Silvio Berlusconi”. Lo disse Angelino Alfano, che tenero“. E aggiunge: “Berlusconi dà dell’abbronzato a Obama, tutto il mondo insorge, ma non Sergio Romano sul Corriere: “Battuta divertente”. Silvio infila una bestemmia in una barzelletta, e chi lo difende? Un cardinale, Rino Fisichella. Ma anche Re Giorgio ne ha fatti di danni: ha firmato le leggi vergogna, ha persino costretto Berlusconi a bombardare la Libia. Poi Re Giorgio estrae dal cilindro Monti. E tutti a incensarlo, così tecnico, così prof, così sobrio nel suo loden”. Travaglio prosegue: “Eugenio Scalfari paragona Monti a “Cavour, Minghetti, Sella e Spaventa”. Full Monti. Signorini scrisse: “La signora Monti è arrivata con un sobrio Frecciarossa”. Non come quelli pacchiani che usiamo noi. Monti in realtà ha fatto più danni delle cavallette e delle altre 6 piaghe d’Egitto. Ma si rischiava grosso a dirlo”. E chiosa: “Nel 2010, a Raiperunanotte, il grande Monicelli ci aveva detto: “Ci vorrebbe una rivoluzione, ma non ci siamo portati. Gli italiani vogliono sempre qualcuno che pensi al posto loro. Poi se va bene va bene, se va male lo impiccano a testa sotto“
Video
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/05/ ... ca/372189/
Editoriale di Marco Travaglio, che passa in rassegna tutti coloro che adulavano Silvio Berlusconi e oggi invece lo contestano. “Oggi son buoni tutti a prendere in giro Berlusconi che inciampa dappertutto” – osserva il direttore de Il Fatto Quotidiano – “Nel 2008 Berlusconi e Bossi rivincono le elezioni e tornano al governo per la terza volta. ‘Presidente, da lei mi farei veramente toccare!’, squittisce la fiorettista Valentina Vezzali a Porta a Porta. Raffaele Fitto disse: ‘Berlusconi ha portato la pioggia in Puglia!”. Rain man. ‘Sono unilateralmente innamorato di Silvio Berlusconi”. Lo disse Angelino Alfano, che tenero“. E aggiunge: “Berlusconi dà dell’abbronzato a Obama, tutto il mondo insorge, ma non Sergio Romano sul Corriere: “Battuta divertente”. Silvio infila una bestemmia in una barzelletta, e chi lo difende? Un cardinale, Rino Fisichella. Ma anche Re Giorgio ne ha fatti di danni: ha firmato le leggi vergogna, ha persino costretto Berlusconi a bombardare la Libia. Poi Re Giorgio estrae dal cilindro Monti. E tutti a incensarlo, così tecnico, così prof, così sobrio nel suo loden”. Travaglio prosegue: “Eugenio Scalfari paragona Monti a “Cavour, Minghetti, Sella e Spaventa”. Full Monti. Signorini scrisse: “La signora Monti è arrivata con un sobrio Frecciarossa”. Non come quelli pacchiani che usiamo noi. Monti in realtà ha fatto più danni delle cavallette e delle altre 6 piaghe d’Egitto. Ma si rischiava grosso a dirlo”. E chiosa: “Nel 2010, a Raiperunanotte, il grande Monicelli ci aveva detto: “Ci vorrebbe una rivoluzione, ma non ci siamo portati. Gli italiani vogliono sempre qualcuno che pensi al posto loro. Poi se va bene va bene, se va male lo impiccano a testa sotto“
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Re: Diario della caduta di un regime.
Si sta riproponendo il clima dell'inizio degli anni '20.
Chi dimentica la storia è costretto a riviverla.
Salvini in Toscana, contestazioni e scontri
A Massa la polizia carica: due feriti (video)
Arriva in Versilia la scia di proteste per i comizi del leader leghista (FOTO). A Viareggio botte all’auto
Lui: ‘Non ho paura’. Renzi: ‘Condannare aggressioni’. La Lega: ‘Basta tweet, agire contro atti squadristi
Chi dimentica la storia è costretto a riviverla.
Salvini in Toscana, contestazioni e scontri
A Massa la polizia carica: due feriti (video)
Arriva in Versilia la scia di proteste per i comizi del leader leghista (FOTO). A Viareggio botte all’auto
Lui: ‘Non ho paura’. Renzi: ‘Condannare aggressioni’. La Lega: ‘Basta tweet, agire contro atti squadristi
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Re: Diario della caduta di un regime.
Se la Lega va al centro e al sud che pretende? E mi sa che non solo in Toscana ma anche nelle Marche non si chiama noi con Salvini ma ancora Lega nord.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Sentita stamani on the road.
E non da un Testimone di Benito Matteo, ma da un accanito gufo anti.
"Non cambiano Pittibimbo perché non hanno pronto chi possa sostituirlo"
Ma se stanotte gli viene un coccolone e finisce sulla sedia a rotelle a guardare gli aquiloni e a ripetere "So' contento,....so' contento", come Artemio, il pugile del film "I mostri", che famo??????
Ci suicidiamo tutti perché non c'è chi possa guidare questo stramaledetto Paese????
SIAMO RIDOTTI A TANTO??????????????
E non da un Testimone di Benito Matteo, ma da un accanito gufo anti.
"Non cambiano Pittibimbo perché non hanno pronto chi possa sostituirlo"
Ma se stanotte gli viene un coccolone e finisce sulla sedia a rotelle a guardare gli aquiloni e a ripetere "So' contento,....so' contento", come Artemio, il pugile del film "I mostri", che famo??????
Ci suicidiamo tutti perché non c'è chi possa guidare questo stramaledetto Paese????
SIAMO RIDOTTI A TANTO??????????????
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Re: Diario della caduta di un regime.
cielo 70 ha scritto:Se la Lega va al centro e al sud che pretende? E mi sa che non solo in Toscana ma anche nelle Marche non si chiama noi con Salvini ma ancora Lega nord.
QUI a Lecco ai comizi indetti dalla Lega Nord di Salvini compare innanzitutto un grande striscione con la scritta
" PRIMA IL NORD "
Probabilmente al centro e al sud la scritta verrà lasciata a casa
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Re: Diario della caduta di un regime.
Questo Paese è fallito in tutti i sensi. Ci mancava solo questo intervento senza senso di Polito dalle pagine del Corriere.
Stamani ne hanno discusso a Ominbus, ma nessuno se l'é sentita di aderire al manifesto lanciato dal giornalista del Corriere della Sera.
La prima domanda che ci si pone è: "Ma quanto ha preso Polito per scrivere questo articolo??????"
IL COMMENTO
Il diritto di parola di Salvini e i quotidiani attentati alla democrazia
Nessun appello di intellettuali per difendere il diritto di parola del leader della Lega: sotto sotto molti pensano che se l’è cercata
di ANTONIO POLITO
Strano, non si è ancora visto un manifesto-appello di intellettuali per difendere il diritto di parola di Matteo Salvini nelle piazze della Repubblica.
Non sono comparsi bavagli simbolici per ricordare che a nessuno si può tappare la bocca in questo Paese.
La cultura democratica non sembra molto scossa da questo stillicidio ormai quotidiano di piccoli ma non banali attentati alla democrazia: ché tali sono i tentativi di impedire, interrompere, sabotare i comizi del leader di un partito politico regolarmente iscritto alla gara delle prossime elezioni regionali.
Perché dunque la condanna, anche quando è ferma e sincera, non va mai oltre le solite frasi di circostanza, e quasi sempre è preceduta da una presa di distanza, del tipo «premesso che tutto mi divide dalle idee di Salvini, difendo il suo diritto a manifestarle», come fa spesso lo stesso ministro dell’Interno, confondendo il suo ruolo istituzionale con quello di diretto concorrente elettorale della Lega?
Perché, in realtà, sotto sotto, in fondo in fondo, molti di noi pensano che Salvini un po’ se l’è cercata, che il suo linguaggio è troppo provocatorio, che denigra e istiga, che è irresponsabile e politicamente scorrettissimo. E invece no.
Anche se fosse tutte queste cose, bisogna che ci convinciamo che il discorso politico della Lega non è fuori dal perimetro dei valori di una democrazia, e dunque ha pari dignità con tutti gli altri, e dunque è nel solo potere degli elettori censurarlo.
Dobbiamo riconoscere che lui e i suoi seguaci hanno il diritto non solo di dire ciò che dicono, ma anche di pensare ciò che pensano. In molti altri paesi europei forze politiche nient’affatto eversive sostengono tesi non molto dissimili da quelle di Salvini sugli immigrati (il partito di Cameron per esempio) o sull’Europa (il movimento di Alternativa per la Germania) e a nessuno viene in testa di lanciargli contro uova e bottiglie, o di pensare che se la sono cercata.
Se ragioneremo così, se consentiremo a Salvini una campagna elettorale non braccata da manipoli di agitatori sempre a caccia di presunti fascisti pur di sentirsi vivi, allora potremo anche respingere nel dibattito pubblico ciò che in Salvini non ci piace, ciò che ci preoccupa, ciò che lo rende geneticamente minoritario, per quanti voti possa prendere.
17 maggio 2015 | 12:09
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/15_magg ... 9d63.shtml
Stamani ne hanno discusso a Ominbus, ma nessuno se l'é sentita di aderire al manifesto lanciato dal giornalista del Corriere della Sera.
La prima domanda che ci si pone è: "Ma quanto ha preso Polito per scrivere questo articolo??????"
IL COMMENTO
Il diritto di parola di Salvini e i quotidiani attentati alla democrazia
Nessun appello di intellettuali per difendere il diritto di parola del leader della Lega: sotto sotto molti pensano che se l’è cercata
di ANTONIO POLITO
Strano, non si è ancora visto un manifesto-appello di intellettuali per difendere il diritto di parola di Matteo Salvini nelle piazze della Repubblica.
Non sono comparsi bavagli simbolici per ricordare che a nessuno si può tappare la bocca in questo Paese.
La cultura democratica non sembra molto scossa da questo stillicidio ormai quotidiano di piccoli ma non banali attentati alla democrazia: ché tali sono i tentativi di impedire, interrompere, sabotare i comizi del leader di un partito politico regolarmente iscritto alla gara delle prossime elezioni regionali.
Perché dunque la condanna, anche quando è ferma e sincera, non va mai oltre le solite frasi di circostanza, e quasi sempre è preceduta da una presa di distanza, del tipo «premesso che tutto mi divide dalle idee di Salvini, difendo il suo diritto a manifestarle», come fa spesso lo stesso ministro dell’Interno, confondendo il suo ruolo istituzionale con quello di diretto concorrente elettorale della Lega?
Perché, in realtà, sotto sotto, in fondo in fondo, molti di noi pensano che Salvini un po’ se l’è cercata, che il suo linguaggio è troppo provocatorio, che denigra e istiga, che è irresponsabile e politicamente scorrettissimo. E invece no.
Anche se fosse tutte queste cose, bisogna che ci convinciamo che il discorso politico della Lega non è fuori dal perimetro dei valori di una democrazia, e dunque ha pari dignità con tutti gli altri, e dunque è nel solo potere degli elettori censurarlo.
Dobbiamo riconoscere che lui e i suoi seguaci hanno il diritto non solo di dire ciò che dicono, ma anche di pensare ciò che pensano. In molti altri paesi europei forze politiche nient’affatto eversive sostengono tesi non molto dissimili da quelle di Salvini sugli immigrati (il partito di Cameron per esempio) o sull’Europa (il movimento di Alternativa per la Germania) e a nessuno viene in testa di lanciargli contro uova e bottiglie, o di pensare che se la sono cercata.
Se ragioneremo così, se consentiremo a Salvini una campagna elettorale non braccata da manipoli di agitatori sempre a caccia di presunti fascisti pur di sentirsi vivi, allora potremo anche respingere nel dibattito pubblico ciò che in Salvini non ci piace, ciò che ci preoccupa, ciò che lo rende geneticamente minoritario, per quanti voti possa prendere.
17 maggio 2015 | 12:09
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/15_magg ... 9d63.shtml
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Re: Diario della caduta di un regime.
TRASFORMISMO DILAGANTE
Le radici della crisi dei partiti
di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA
Destra e Sinistra appaiono in crisi e quasi in via di scomparsa, mentre al loro posto si va delineando per il futuro un ampio schieramento ultramaggioritario, tendenzialmente centrista, capace di inglobare quasi tutte le componenti parlamentari.
Contemporaneamente si diffonde, sempre più massiccio nelle periferie ma ormai anche nel Parlamento nazionale, il fenomeno del trasformismo. Oggi è questa, nella sua essenza, la situazione che ci sembra nuova della nostra vita politica. Ma a ben vedere lo è solo relativamente.
La situazione odierna, infatti, ricorda da vicino la situazione che si verificò in Italia già negli ultimi decenni dell’Ottocento dopo l’esaurimento della Destra e della Sinistra risorgimentali. Le quali, peraltro, anche durante il Risorgimento erano state sì contrapposte, ma fino a un certo punto.
Non a caso Cavour governò per anni, come si sa, con una maggioranza che in pratica escludeva solo la Destra e la Sinistra estreme: maggioranza battezzata con il nome significativo di «connubio».
Questo connubio paratrasformistico - che di fatto s’interruppe solo per pochi anni subito dopo l’Unità - durò in pratica fino alla Prima guerra mondiale. In tutto questo tempo l’amplissimo schieramento politico che si riconosceva nelle istituzioni dello Stato - l’eterogeneo «partito costituzionale» - non fu capace di dividersi stabilmente in una Destra e in una Sinistra contrapposte.
Sicché la rappresentanza parlamentare rimase perlopiù identificata, nella sostanza, in una vasta palude filogovernativa.
Fu solo con la comparsa nell’aula di Montecitorio, all’inizio del Novecento, dei socialisti prima, poi dei cattolici, dei fascisti e dei comunisti, e dei loro rispettivi partiti, che le cose cambiarono.
Fu solo allora che nel Parlamento come nel Paese si stabilirono vasti schieramenti con discrimini veri e contrapposizioni non aggirabili; per tutto il XX secolo c’è stato posto, così, solo per le grandi ideologie, per le alternative drammatiche, per i grandi partiti organizzati.
Ma è proprio tutto ciò - cui si doveva storicamente la fine del monopartitismo virtuale e del trasformismo, propri della precedente tradizione italiana - che è scomparso tra il 1992 e il 1994 sotto i colpi di Mani pulite.
Ancora nel ventennio successivo è più o meno sopravvissuta una forma spuria di contrapposizione Destra-Sinistra grazie all’arrivo sulla scena di Berlusconi: grazie cioè all’accanimento del padrone di Mediaset nell’agitare il fantasma dell’anticomunismo, e alla risposta dei suoi avversari con il controfantasma dell’antifascismo.
Finalmente però, con lo spappolamento di Forza Italia, il Novecento italiano è terminato, e di conseguenza ha potuto scomparire anche quanto restava di ciò che un tempo si chiamava comunismo.
L’Italia post novecentesca si ritrova così oggi riconsegnata alla sua più antica peculiarità. Ritorna in un certo senso alle origini post risorgimentali e incontra di nuovo il trasformismo.
Sconfitta nel sangue l’illusione fascista, tramontate le grandi ideologie d’impianto transnazionale le cui divisioni erano servite in passato a modellare le nostre divisioni, il sistema politico italiano si trova oggi costretto a utilizzare i materiali ideologici autoctoni, a derivare il suo discorso unicamente dal Paese reale, dalle risorse intellettuali e morali che esso riesce a mettere in campo. Che però non sembrano gran cosa.
Se oggi ci riesce così difficile dare contenuti effettivi a questa o a quella piattaforma di partito, dividerci tra Destra e Sinistra, non è perché nella realtà manchino i contrasti d’interesse e le divisioni.
È innanzi tutto perché la società italiana sembra avere perduto la capacità di pensare realmente se stessa, a cominciare dalle ragioni di fondo della crisi del Paese.
Sembra non avere più la fantasia e l’audacia di immaginare vie e strumenti nuovi, nuovi compiti e nuovi doveri. Ed è come se l’assenza di queste cose si porti con sé anche un’assenza d’interesse e di voglia di futuro, anche il desiderio e il gusto delle contese forti sulle cose vere: che è per l’appunto ciò che genera i partiti.
In questo modo al posto delle lotte abbiamo le risse, al posto delle discussioni le polemiche, al posto dei giornali e dei libri i talk show popolati di «ospiti» capaci solo di ripetere slogan a cui si sospetta che essi siano i primi a non credere.
La nostra vita e il nostro discorso pubblici mancano di profondità e di passione. Appaiono sempre più poveri, ripetitivi, privi di orizzonti e di progetti. Come possono nascere dei veri partiti in queste condizioni?
Esiste poi un altro insieme di ragioni che spiegano il ritorno alla convergenza generale verso il centro e del trasformismo.
Una società che è tornata ad essere fragile - oggi per giunta con pochi giovani e molti anziani -, una società dalle risorse di nuovo tendenzialmente scarse, è spinta naturalmente a stringersi intorno al potere, a cercarne la protezione, così come ha fatto per secoli.
È spinta naturalmente a credere solo nel potere, e prima di ogni altro nel potere politico: tanto più quando questo, come accade oggi, assume un aspetto marcatamente personale che lo rende più visibile e temibile, e perciò più forte.
È spinta a credere, del resto, non solo nel potere di chi ha in mano la cosa pubblica. Anche il potere malavitoso, ad esempio, appare oggi ben più forte di venti anni fa, se è vero come è vero che ci si mette sotto la sua tutela non più soltanto nelle tradizionali zone del Mezzogiorno ma anche in Emilia, anche in Lombardia.
Mentre dal canto suo pure il familismo, la protezione familiare, appaiono più forti che mai.
Chi l’avrebbe detto agli albori della Seconda Repubblica che alla fine essa ci avrebbe ricondotto all’Italia dello Statuto: senza partiti e con un governo di fatto privo di alternative.
17 maggio 2015 | 08:49
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http://www.corriere.it/cultura/15_maggi ... 9d63.shtml
Le radici della crisi dei partiti
di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA
Destra e Sinistra appaiono in crisi e quasi in via di scomparsa, mentre al loro posto si va delineando per il futuro un ampio schieramento ultramaggioritario, tendenzialmente centrista, capace di inglobare quasi tutte le componenti parlamentari.
Contemporaneamente si diffonde, sempre più massiccio nelle periferie ma ormai anche nel Parlamento nazionale, il fenomeno del trasformismo. Oggi è questa, nella sua essenza, la situazione che ci sembra nuova della nostra vita politica. Ma a ben vedere lo è solo relativamente.
La situazione odierna, infatti, ricorda da vicino la situazione che si verificò in Italia già negli ultimi decenni dell’Ottocento dopo l’esaurimento della Destra e della Sinistra risorgimentali. Le quali, peraltro, anche durante il Risorgimento erano state sì contrapposte, ma fino a un certo punto.
Non a caso Cavour governò per anni, come si sa, con una maggioranza che in pratica escludeva solo la Destra e la Sinistra estreme: maggioranza battezzata con il nome significativo di «connubio».
Questo connubio paratrasformistico - che di fatto s’interruppe solo per pochi anni subito dopo l’Unità - durò in pratica fino alla Prima guerra mondiale. In tutto questo tempo l’amplissimo schieramento politico che si riconosceva nelle istituzioni dello Stato - l’eterogeneo «partito costituzionale» - non fu capace di dividersi stabilmente in una Destra e in una Sinistra contrapposte.
Sicché la rappresentanza parlamentare rimase perlopiù identificata, nella sostanza, in una vasta palude filogovernativa.
Fu solo con la comparsa nell’aula di Montecitorio, all’inizio del Novecento, dei socialisti prima, poi dei cattolici, dei fascisti e dei comunisti, e dei loro rispettivi partiti, che le cose cambiarono.
Fu solo allora che nel Parlamento come nel Paese si stabilirono vasti schieramenti con discrimini veri e contrapposizioni non aggirabili; per tutto il XX secolo c’è stato posto, così, solo per le grandi ideologie, per le alternative drammatiche, per i grandi partiti organizzati.
Ma è proprio tutto ciò - cui si doveva storicamente la fine del monopartitismo virtuale e del trasformismo, propri della precedente tradizione italiana - che è scomparso tra il 1992 e il 1994 sotto i colpi di Mani pulite.
Ancora nel ventennio successivo è più o meno sopravvissuta una forma spuria di contrapposizione Destra-Sinistra grazie all’arrivo sulla scena di Berlusconi: grazie cioè all’accanimento del padrone di Mediaset nell’agitare il fantasma dell’anticomunismo, e alla risposta dei suoi avversari con il controfantasma dell’antifascismo.
Finalmente però, con lo spappolamento di Forza Italia, il Novecento italiano è terminato, e di conseguenza ha potuto scomparire anche quanto restava di ciò che un tempo si chiamava comunismo.
L’Italia post novecentesca si ritrova così oggi riconsegnata alla sua più antica peculiarità. Ritorna in un certo senso alle origini post risorgimentali e incontra di nuovo il trasformismo.
Sconfitta nel sangue l’illusione fascista, tramontate le grandi ideologie d’impianto transnazionale le cui divisioni erano servite in passato a modellare le nostre divisioni, il sistema politico italiano si trova oggi costretto a utilizzare i materiali ideologici autoctoni, a derivare il suo discorso unicamente dal Paese reale, dalle risorse intellettuali e morali che esso riesce a mettere in campo. Che però non sembrano gran cosa.
Se oggi ci riesce così difficile dare contenuti effettivi a questa o a quella piattaforma di partito, dividerci tra Destra e Sinistra, non è perché nella realtà manchino i contrasti d’interesse e le divisioni.
È innanzi tutto perché la società italiana sembra avere perduto la capacità di pensare realmente se stessa, a cominciare dalle ragioni di fondo della crisi del Paese.
Sembra non avere più la fantasia e l’audacia di immaginare vie e strumenti nuovi, nuovi compiti e nuovi doveri. Ed è come se l’assenza di queste cose si porti con sé anche un’assenza d’interesse e di voglia di futuro, anche il desiderio e il gusto delle contese forti sulle cose vere: che è per l’appunto ciò che genera i partiti.
In questo modo al posto delle lotte abbiamo le risse, al posto delle discussioni le polemiche, al posto dei giornali e dei libri i talk show popolati di «ospiti» capaci solo di ripetere slogan a cui si sospetta che essi siano i primi a non credere.
La nostra vita e il nostro discorso pubblici mancano di profondità e di passione. Appaiono sempre più poveri, ripetitivi, privi di orizzonti e di progetti. Come possono nascere dei veri partiti in queste condizioni?
Esiste poi un altro insieme di ragioni che spiegano il ritorno alla convergenza generale verso il centro e del trasformismo.
Una società che è tornata ad essere fragile - oggi per giunta con pochi giovani e molti anziani -, una società dalle risorse di nuovo tendenzialmente scarse, è spinta naturalmente a stringersi intorno al potere, a cercarne la protezione, così come ha fatto per secoli.
È spinta naturalmente a credere solo nel potere, e prima di ogni altro nel potere politico: tanto più quando questo, come accade oggi, assume un aspetto marcatamente personale che lo rende più visibile e temibile, e perciò più forte.
È spinta a credere, del resto, non solo nel potere di chi ha in mano la cosa pubblica. Anche il potere malavitoso, ad esempio, appare oggi ben più forte di venti anni fa, se è vero come è vero che ci si mette sotto la sua tutela non più soltanto nelle tradizionali zone del Mezzogiorno ma anche in Emilia, anche in Lombardia.
Mentre dal canto suo pure il familismo, la protezione familiare, appaiono più forti che mai.
Chi l’avrebbe detto agli albori della Seconda Repubblica che alla fine essa ci avrebbe ricondotto all’Italia dello Statuto: senza partiti e con un governo di fatto privo di alternative.
17 maggio 2015 | 08:49
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http://www.corriere.it/cultura/15_maggi ... 9d63.shtml
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Re: Diario della caduta di un regime.
Secondo voi quali sono ad oggi le motivazioni per cui alcuni connazionali votano Renzi?
Stamani, parlando on the road con un vecchio amico mi ha detto che a suo tempo era stato colpito dalla vivacità di quel giovane.
Poi si è reso conto di aver sbagliato ed ora non vota più.
E' successo anche ad altri, da queste parti di avere avuto la stessa reazione.
Ammettono di essersi sbagliati nel giudizio iniziale.
Questo però per me rimane un mistero.
Il ventennio berlusconiano non è servito a niente.
Vent'anni persi all'università della vita.
Come non si poteva capire da subito che il giovane fanfarone di Rignano era simile e forse peggiore del fanfarone milanese??????
Più difficile da capire il perché dello zoccolo duro di entrambi i fanfaroni
Per Silvietto qualcuno sostiene che molti gli sono grati per quello che gli ha dato.
Condoni ecc. ecc.
Per il Fanfarone di Rignano è più difficile. Ha dato solo agli im prenditori.
Ma questi numericamente non giustificano l'attuale consenso.
Sempre da queste parti a sostenerlo sono solo i vecchi babbioni.
I giovani lo evitano.
Più difficile da capire ancora di più, babbioni sessantenni con laurea alla Bocconi.
Stamani, parlando on the road con un vecchio amico mi ha detto che a suo tempo era stato colpito dalla vivacità di quel giovane.
Poi si è reso conto di aver sbagliato ed ora non vota più.
E' successo anche ad altri, da queste parti di avere avuto la stessa reazione.
Ammettono di essersi sbagliati nel giudizio iniziale.
Questo però per me rimane un mistero.
Il ventennio berlusconiano non è servito a niente.
Vent'anni persi all'università della vita.
Come non si poteva capire da subito che il giovane fanfarone di Rignano era simile e forse peggiore del fanfarone milanese??????
Più difficile da capire il perché dello zoccolo duro di entrambi i fanfaroni
Per Silvietto qualcuno sostiene che molti gli sono grati per quello che gli ha dato.
Condoni ecc. ecc.
Per il Fanfarone di Rignano è più difficile. Ha dato solo agli im prenditori.
Ma questi numericamente non giustificano l'attuale consenso.
Sempre da queste parti a sostenerlo sono solo i vecchi babbioni.
I giovani lo evitano.
Più difficile da capire ancora di più, babbioni sessantenni con laurea alla Bocconi.
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