Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Questo articolo avrei dovuto postarlo altrove ma lo posto qui perché appartiene ad una materia che dovrà affrontare la nuova sinistra.
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Questa non è una crisi economica, ma un piano di dominio
Scritto il 07/5/15 • LIBRE nella Categoria: idee
Questa non è una crisi economica, ma è uno strumento, un processo voluto e pianificato per arrivare a sostituire la zootecnia alla politica, ossia per poter governare la popolazione terrestre con la padronanza e prevedibilità con cui si governa il bestiame nella stalla o i polli in batteria.
E per arrivarci con la collaborazione della gente, facendole credere che le riforme siano tutte scelte scientifiche razionali e magari anche democratiche (l’aspetto didattico-ideologico, la dottrina dei mercati sani e disciplinanti).
Questo processo è stato avviato dalla metà degli anni ’70, mediante una serie di precise scelte: un preciso modello economico, una serie di riforme legislative, di lungo respiro (soprattutto la deregolamentazione del settore bancario, l’indipendenza delle banche centrali, la privatizzazione del rifinanziamento del debito pubblico), che si sapeva benissimo che cosa avrebbero prodotto, ossia una società e un’economia reale permanentemente in balia dei mercati e ricattabili dagli speculatori finanziari.
Una crescente concentrazione di quote di reddito, quote di ricchezza, quote di potere, nelle mani dei pochi che decidono.
Tutti gli altri soggetti (cioè Stati, imprese, famiglie, pensionati, disoccupati…) permanentemente con l’acqua alla gola, impoveriti, costretti ad obbedire, ad accettare, come condizione per una boccata d’aria o di quantitative easing, dosi ulteriori di quelle medesime riforme.
Dosi ulteriori di concentrazione di ricchezza e potenza, di oligarchia tecnocratica irresponsabile e senza partecipazione dal basso, senza controllo democratico.
Senza garanzie costituzionali.
Era tutto intenzionale.
Infatti, nessuno dei meccanismi finanziari che hanno prodotto e mantengono l’apparente crisi è stato rimosso, dopo, visti i danni che faceva, nemmeno la possibilità per le banchedi giocare in Borsa coi soldi dei risparmiatori.
Anche l’euro si sapeva benissimo che cosa avrebbe prodotto, in base a ripetute esperienze precedenti con il blocco dei cambi tra paesi economicamente dissimili.
Tutto questo non è un incidente, una crisi, un cigno nero, bensì un’operazione di potenziamento e razionalizzazione tecnologica del controllo sociale; non mira banalmente al profitto economico, il quale ormai è un concetto superato da quando la ricchezza si produce con metodi contabili ed elettronici nel gioco di sponda tra banche e governi, che possono creare tanto denaro quanto vogliono.
Mira all’ottimizzazione tecnologica e giuridica del dominio sociale.
Non è una crisi, e soprattutto non è una crisi economica, signori economisti; sicché affannarsi a proporre ingegnose soluzioni sul piano economico e monetario è incongruo, improduttivo.
Non è qualcosa di accidentale, non si sta cercando di uscirne, è un processo guidato verso un obiettivo preciso e già ampiamente conseguito, un processo a cui nessuna forza politica o morale può opporsi efficacemente, dati i rapporti di forza, e l’unica speranza sta nella possibilità che esso sfugga di mano ai suoi strateghi e ingegneri, per la sua stessa complessità e dinamicità.
La fascistoide riforma costituzionale ed elettorale di Renzi – diciamo di Renzi, ma sappiamo che le riforme strutturali in Italia le detta Francoforte, nell’interesse di padroni stranieri, e che da qualche tempo i primi ministri italiani agiscono su suo mandato – è un tassello italiano di questa strategia zootecnica, disegnato per consentire la gestione dell’intero paese attraverso un’unica persona, un unico organo istituzionale, il primo ministro, che assommerà in sé i poteri politici senza contrappesi e controlli indipendenti.
I tempi forzati in cui detta riforma deve venire attuata sono verosimilmente in relazione al tempo per cui la situazione italiana può reggere, prima che vengano meno le condizioni esterne molto favorevoli oggi presenti, prima che arrivino pesanti scadenze finanziarie, prima che si dissolva l’impressione popolare di incipiente ripresa e che si renda necessario imporre nuovi e impopolari sacrifici.
Quando ciò avverrà, si scateneranno forti tensioni sociali e si calcola di poterle reprimere e contenere grazie a una riforma costituzionale di tipo autoritario.
Renzi non è un dittatore, è solo un esecutore teleguidato, costruito col marketing.
Ma sta preparando il posto di comando per il dittatore che verrà dopo di lui.
Ecco il perché della fiducia posta dal governo sull’Italicum, una riforma elettorale che andrà in vigore nel 2016, sicché non ci dovrebbe essere fretta ad approvarla; ma in realtà c’è molta fretta, perché proprio nel 2016 finirà il quantitative easing assieme agli effetti benefici della svalutazione dell’euro, e allora il quadro potrebbe saltare, bisogna avere tutto pronto.
Per rispettare questi tempi, e a conferma del fatto che il suo governo come i precedenti rappresenta l’alleanza (asimmetrica) tra gli interessi della casta italiana e quelli del padrone straniero, il governo Renzi deve mantenere l’appoggio degli interessi parassitari legati alla politica e necessari per avere i voti in parlamento, il che spiega perché non ha toccato i centri di spreco e ruberie come le famose società partecipate e non ha proceduto alla spending review, quantunque queste siano vere urgenze.
Se l’avesse fatto, la sua maggioranza si sarebbe squagliata subito.
Invece il 29 e 30 aprile ben due terzi dai suoi apparenti oppositori interni gli hanno votato la fiducia sulla legge elettorale.
Funziona sempre, questa irresistibile attrazione delle poltrone che resteranno a galla quando il paese affonderà.
(Marco Della Luna, “Questa non è una crisi economica”, dal blog di Della Luna del 30 aprile 2015).
(Marco Della Luna, “Questa non è una crisi economica”, dal blog di Della Luna del 30 aprile 2015).
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Questa non è una crisi economica, ma un piano di dominio
Scritto il 07/5/15 • LIBRE nella Categoria: idee
Questa non è una crisi economica, ma è uno strumento, un processo voluto e pianificato per arrivare a sostituire la zootecnia alla politica, ossia per poter governare la popolazione terrestre con la padronanza e prevedibilità con cui si governa il bestiame nella stalla o i polli in batteria.
E per arrivarci con la collaborazione della gente, facendole credere che le riforme siano tutte scelte scientifiche razionali e magari anche democratiche (l’aspetto didattico-ideologico, la dottrina dei mercati sani e disciplinanti).
Questo processo è stato avviato dalla metà degli anni ’70, mediante una serie di precise scelte: un preciso modello economico, una serie di riforme legislative, di lungo respiro (soprattutto la deregolamentazione del settore bancario, l’indipendenza delle banche centrali, la privatizzazione del rifinanziamento del debito pubblico), che si sapeva benissimo che cosa avrebbero prodotto, ossia una società e un’economia reale permanentemente in balia dei mercati e ricattabili dagli speculatori finanziari.
Una crescente concentrazione di quote di reddito, quote di ricchezza, quote di potere, nelle mani dei pochi che decidono.
Tutti gli altri soggetti (cioè Stati, imprese, famiglie, pensionati, disoccupati…) permanentemente con l’acqua alla gola, impoveriti, costretti ad obbedire, ad accettare, come condizione per una boccata d’aria o di quantitative easing, dosi ulteriori di quelle medesime riforme.
Dosi ulteriori di concentrazione di ricchezza e potenza, di oligarchia tecnocratica irresponsabile e senza partecipazione dal basso, senza controllo democratico.
Senza garanzie costituzionali.
Era tutto intenzionale.
Infatti, nessuno dei meccanismi finanziari che hanno prodotto e mantengono l’apparente crisi è stato rimosso, dopo, visti i danni che faceva, nemmeno la possibilità per le banchedi giocare in Borsa coi soldi dei risparmiatori.
Anche l’euro si sapeva benissimo che cosa avrebbe prodotto, in base a ripetute esperienze precedenti con il blocco dei cambi tra paesi economicamente dissimili.
Tutto questo non è un incidente, una crisi, un cigno nero, bensì un’operazione di potenziamento e razionalizzazione tecnologica del controllo sociale; non mira banalmente al profitto economico, il quale ormai è un concetto superato da quando la ricchezza si produce con metodi contabili ed elettronici nel gioco di sponda tra banche e governi, che possono creare tanto denaro quanto vogliono.
Mira all’ottimizzazione tecnologica e giuridica del dominio sociale.
Non è una crisi, e soprattutto non è una crisi economica, signori economisti; sicché affannarsi a proporre ingegnose soluzioni sul piano economico e monetario è incongruo, improduttivo.
Non è qualcosa di accidentale, non si sta cercando di uscirne, è un processo guidato verso un obiettivo preciso e già ampiamente conseguito, un processo a cui nessuna forza politica o morale può opporsi efficacemente, dati i rapporti di forza, e l’unica speranza sta nella possibilità che esso sfugga di mano ai suoi strateghi e ingegneri, per la sua stessa complessità e dinamicità.
La fascistoide riforma costituzionale ed elettorale di Renzi – diciamo di Renzi, ma sappiamo che le riforme strutturali in Italia le detta Francoforte, nell’interesse di padroni stranieri, e che da qualche tempo i primi ministri italiani agiscono su suo mandato – è un tassello italiano di questa strategia zootecnica, disegnato per consentire la gestione dell’intero paese attraverso un’unica persona, un unico organo istituzionale, il primo ministro, che assommerà in sé i poteri politici senza contrappesi e controlli indipendenti.
I tempi forzati in cui detta riforma deve venire attuata sono verosimilmente in relazione al tempo per cui la situazione italiana può reggere, prima che vengano meno le condizioni esterne molto favorevoli oggi presenti, prima che arrivino pesanti scadenze finanziarie, prima che si dissolva l’impressione popolare di incipiente ripresa e che si renda necessario imporre nuovi e impopolari sacrifici.
Quando ciò avverrà, si scateneranno forti tensioni sociali e si calcola di poterle reprimere e contenere grazie a una riforma costituzionale di tipo autoritario.
Renzi non è un dittatore, è solo un esecutore teleguidato, costruito col marketing.
Ma sta preparando il posto di comando per il dittatore che verrà dopo di lui.
Ecco il perché della fiducia posta dal governo sull’Italicum, una riforma elettorale che andrà in vigore nel 2016, sicché non ci dovrebbe essere fretta ad approvarla; ma in realtà c’è molta fretta, perché proprio nel 2016 finirà il quantitative easing assieme agli effetti benefici della svalutazione dell’euro, e allora il quadro potrebbe saltare, bisogna avere tutto pronto.
Per rispettare questi tempi, e a conferma del fatto che il suo governo come i precedenti rappresenta l’alleanza (asimmetrica) tra gli interessi della casta italiana e quelli del padrone straniero, il governo Renzi deve mantenere l’appoggio degli interessi parassitari legati alla politica e necessari per avere i voti in parlamento, il che spiega perché non ha toccato i centri di spreco e ruberie come le famose società partecipate e non ha proceduto alla spending review, quantunque queste siano vere urgenze.
Se l’avesse fatto, la sua maggioranza si sarebbe squagliata subito.
Invece il 29 e 30 aprile ben due terzi dai suoi apparenti oppositori interni gli hanno votato la fiducia sulla legge elettorale.
Funziona sempre, questa irresistibile attrazione delle poltrone che resteranno a galla quando il paese affonderà.
(Marco Della Luna, “Questa non è una crisi economica”, dal blog di Della Luna del 30 aprile 2015).
(Marco Della Luna, “Questa non è una crisi economica”, dal blog di Della Luna del 30 aprile 2015).
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Un altro problema che dobbiamo affrontare per il futuro della sinistra è quello presente a pagina 11 del Fatto Quotidiano di stamani.
I due titoli dominanti della pagina sono:
Il pm Nino Di Matteo
Indifferenza e ironia
sul piano per eliminarmi
^
“Per ucciderlo anche uomini dello Stato”
IL PENTITO GALATOLO RACCONTA IL PROGETTO CONTRO IL MAGISTRATO: MISI 360 EURO PER L’ESPLOSIVO, MAI REVOCATO L’ORDINE
Chi lavora per l’ordine Costituzionale e Repubblicano viene lasciato solo nell’indifferenza generale.
Così è stato per :
Pietro Scaglione
Boris Giuliano
Cesare Terranova
Gaetano Costa
Rocco Chinnici
Carlo Alberto Dalla Chiesa
Giovanni Falcone
Paolo Borsellino
Giorgio Ambrosoli
Un uomo al servizio dello Stato può essere lasciato solo con l’obiettivo “camposanto”?
Essere di sinistra cosa vuol dire? Fare finta di niente davanti a questa realtà?
In effetti è un problema gigantesco, ma noi come la pensiamo?
I due titoli dominanti della pagina sono:
Il pm Nino Di Matteo
Indifferenza e ironia
sul piano per eliminarmi
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“Per ucciderlo anche uomini dello Stato”
IL PENTITO GALATOLO RACCONTA IL PROGETTO CONTRO IL MAGISTRATO: MISI 360 EURO PER L’ESPLOSIVO, MAI REVOCATO L’ORDINE
Chi lavora per l’ordine Costituzionale e Repubblicano viene lasciato solo nell’indifferenza generale.
Così è stato per :
Pietro Scaglione
Boris Giuliano
Cesare Terranova
Gaetano Costa
Rocco Chinnici
Carlo Alberto Dalla Chiesa
Giovanni Falcone
Paolo Borsellino
Giorgio Ambrosoli
Un uomo al servizio dello Stato può essere lasciato solo con l’obiettivo “camposanto”?
Essere di sinistra cosa vuol dire? Fare finta di niente davanti a questa realtà?
In effetti è un problema gigantesco, ma noi come la pensiamo?
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Annozero ieri sera.Ruotolo lo hanno chiamato e dato la scorta.
http://www.ilmattino.it/CASERTA/ruotolo ... 5982.shtml
Personalmente forse stò diventando un po cattivo.Altro che 41 bis.....Li metterei a morte i mafiosi.
Continuano a fare danni stando in galera.
Ciao
Paolo11
http://www.ilmattino.it/CASERTA/ruotolo ... 5982.shtml
Personalmente forse stò diventando un po cattivo.Altro che 41 bis.....Li metterei a morte i mafiosi.
Continuano a fare danni stando in galera.
Ciao
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
---------------------------------------camillobenso ha scritto:Un altro problema che dobbiamo affrontare per il futuro della sinistra è quello presente a pagina 11 del Fatto Quotidiano di stamani.
I due titoli dominanti della pagina sono:
Il pm Nino Di Matteo
Indifferenza e ironia
sul piano per eliminarmi
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“Per ucciderlo anche uomini dello Stato”
IL PENTITO GALATOLO RACCONTA IL PROGETTO CONTRO IL MAGISTRATO: MISI 360 EURO PER L’ESPLOSIVO, MAI REVOCATO L’ORDINE
Chi lavora per l’ordine Costituzionale e Repubblicano viene lasciato solo nell’indifferenza generale.
Così è stato per :
Pietro Scaglione
Boris Giuliano
Cesare Terranova
Gaetano Costa
Rocco Chinnici
Carlo Alberto Dalla Chiesa
Giovanni Falcone
Paolo Borsellino
Giorgio Ambrosoli
Un uomo al servizio dello Stato può essere lasciato solo con l’obiettivo “camposanto”?
Essere di sinistra cosa vuol dire? Fare finta di niente davanti a questa realtà?
In effetti è un problema gigantesco, ma noi come la pensiamo?
Ciao camillobenso. Come ho detto molte volte L'Italia bisogna rovesciarla come un calzino se vogliamo cambiarla.Questo vale per tutti gli apparati dello stato.O una rivoluzione, oppure con il M5S un movimento che non ha niente da spartire con nessuno.
Ciao
Paolo11
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Pisapia, ora tutti vogliono il sindaco leader a sinistra: “Posso fare mediatore”
Il primo cittadino di Milano ha ribadito di non voler affrontare un secondo mandato. E dopo "l'investitura" di Scalfari e l'ok di Vendola, lui non chiude completamente: "Posso tentare di far dialogare soggetti diversi che ora non si parlano"
di F. Q. | 8 maggio 2015
Articolo + video
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05 ... e/1664611/
Il primo cittadino di Milano ha ribadito di non voler affrontare un secondo mandato. E dopo "l'investitura" di Scalfari e l'ok di Vendola, lui non chiude completamente: "Posso tentare di far dialogare soggetti diversi che ora non si parlano"
di F. Q. | 8 maggio 2015
Articolo + video
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05 ... e/1664611/
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
CIVATI FA LE SUE CONSULTAZIONI PIANO PER UN GRUPPO AL SENATO
(Salvatore Cannavò)
08/05/2015 di triskel182
DA LANDINI A CAMUSSO, FINO AGLI EX M5S. E SUL BLOG PARTONO LE ISCRIZIONI.
Il giorno dopo, Pippo Civati ha compreso che sta per giocarsi la partita della vita.
L’addio al Pd è ormai un fatto acquisito anche se in quel partito c’è chi gli chiede di ripensarci e, soprattutto, c’è tra i suoi sostenitori chi non lo segue, come Corradino Mineo.
CIVATI PERÒ HA VARCATO il suo piccolo Rubicone e quindi ormai studia da leader. Il primo atto è stato quello di rivedere il proprio blog, molto seguito e che da ieri vede campeggiare la sua faccia telegenica con una scheda per registrare la propria adesione.
Al tempo della politica 2.0, le iscrizioni a un partito che ancora non c’è si fanno anche così. Il neo-leader, però, ha fatto anche altro contattando e vedendo possibili alleati e sostenitori.
Nei giorni scorsi è andato in Fiom a prendere un caffè con Maurizio Landini che ha registrato un suo diverso atteggiamento nei confronti della “coalizione sociale”.
Civati all’inizio l’aveva bollata come una proposta confusa mentre ora punta a un rapporto diretto con Landini anche se quest’ultimo è molto restio a farsi trascinare nel solito “tormentone” politico.
Civati, comunque, ha chiesto un incontro anche a Susanna Camusso, a Paolo Ferrero di Rifondazione comunista e ieri si è recato al Senato per incontrare i senatori ex M5S con i quali dovrebbe formare un nuovo gruppo a Palazzo Madama.
L’operazione si realizzerà la prossima settimana e vedrà riuniti i sette senatori di Sel più altri fuoriusciti vari. Un pacchetto di mischia che avrebbe una certa influenza in quel campo minato rappresentato dalla Camera alta.
IL RAPPORTO CON SEL , in ogni caso, è al momento quello decisivo perché il partito di Nichi Vendola si è buttato a corpo morto sull’ex dirigente democratico atteso da mesi nel suo passo decisivo.
Vendola e i suoi sono disponibili a sciogliersi per far nascere una cosa nuova, “finalmente fuori dalla vecchia logica pattizia”, come spiega il responsabile organizzazione, Massimiliano Smeriglio.
L’ipotesi è di far nascere una “cosa nuova” dotata di proprie regole democratiche, magari di primarie e quindi in grado di competere sul serio nell’agone politico. Insomma, non un partitino del 5-6%.
L’attivismo di Sel, però, potrebbe non essere piaciuto molto a Civati: troppo stretto e repentino l’abbraccio, troppo datata la proposta, avanzata da quest’ultimo, di una leadership della nuova sinistra affidata a Giuliano Pisapia.
Il nome del sindaco di Milano, in realtà, è stato avanzato nei giorni scorsi dal fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari anche se nelle varie anime della sinistra in gestazione nessuno scommette sulla sua figura.
“Serve una nuova generazione” sottolinea Smeriglio che oltre a Civati comprenda tanti validi dirigenti della stessa Sel, come il coordinatore Nicola Fratoianni o il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda.
Per i nomi è ancora presto, però. Prima, bisogna realizzare la “nuova cosa”.
Tutto si metterà in moto dopo le elezioni regionali incaricate di offrire elementi nuovi di analisi.
Civati, ad esempio, si attende molto dal risultato ligure dove il “suo” candidato, Luca Pastori-no è dato dai sondaggi al 20%. Non vincerà ma quella cifra aiuterebbe a misurare le ambizioni sue e dei suoi compagni di viaggio.
Il già candidato alle primarie Pd contro Renzi, spera anche in altri arrivi dal Pd, ad esempio quello di Stefano Fassina o di Alfredo D’Attorre che al momento non si muovono ma che, dopo le Regionali, potrebbero farlo.
C’è poi il ruolo di Sergio Cofferati che si è sentito ieri meno solo nella sua decisione, presa mesi fa, di abbandonare il Pd e che da parlamentare europeo gioca un ruolo non marginale.
LA PARTITA È SOLO all’inizio. I renziani si dicono convinti che Civati non porterà via chissà quale porzione di elettorato rivolgendosi, di fatto, solo a chi ha già abbandonato il Pd.
Scorrendo i commenti sui social network e in calce al suo blog, sembrerebbe proprio così.
A sinistra, però, si intravvedono le prime serie difficoltà del governo che ha trovato un ostacolo imprevisto nella riforma della scuola e che non incrocia nessuna ripresa economica. Le cose possono cambiare, è la speranza.
Chi guarda da lontano, ma con occhio interessato, è anche il M5S che marca stretto le mosse di Civati. Ieri è stato Beppe Grillo a lanciare l’ultima offesa: “Sono mezze calze”.
Da Il Fatto Quotidiano del 08/05/2015.
(Salvatore Cannavò)
08/05/2015 di triskel182
DA LANDINI A CAMUSSO, FINO AGLI EX M5S. E SUL BLOG PARTONO LE ISCRIZIONI.
Il giorno dopo, Pippo Civati ha compreso che sta per giocarsi la partita della vita.
L’addio al Pd è ormai un fatto acquisito anche se in quel partito c’è chi gli chiede di ripensarci e, soprattutto, c’è tra i suoi sostenitori chi non lo segue, come Corradino Mineo.
CIVATI PERÒ HA VARCATO il suo piccolo Rubicone e quindi ormai studia da leader. Il primo atto è stato quello di rivedere il proprio blog, molto seguito e che da ieri vede campeggiare la sua faccia telegenica con una scheda per registrare la propria adesione.
Al tempo della politica 2.0, le iscrizioni a un partito che ancora non c’è si fanno anche così. Il neo-leader, però, ha fatto anche altro contattando e vedendo possibili alleati e sostenitori.
Nei giorni scorsi è andato in Fiom a prendere un caffè con Maurizio Landini che ha registrato un suo diverso atteggiamento nei confronti della “coalizione sociale”.
Civati all’inizio l’aveva bollata come una proposta confusa mentre ora punta a un rapporto diretto con Landini anche se quest’ultimo è molto restio a farsi trascinare nel solito “tormentone” politico.
Civati, comunque, ha chiesto un incontro anche a Susanna Camusso, a Paolo Ferrero di Rifondazione comunista e ieri si è recato al Senato per incontrare i senatori ex M5S con i quali dovrebbe formare un nuovo gruppo a Palazzo Madama.
L’operazione si realizzerà la prossima settimana e vedrà riuniti i sette senatori di Sel più altri fuoriusciti vari. Un pacchetto di mischia che avrebbe una certa influenza in quel campo minato rappresentato dalla Camera alta.
IL RAPPORTO CON SEL , in ogni caso, è al momento quello decisivo perché il partito di Nichi Vendola si è buttato a corpo morto sull’ex dirigente democratico atteso da mesi nel suo passo decisivo.
Vendola e i suoi sono disponibili a sciogliersi per far nascere una cosa nuova, “finalmente fuori dalla vecchia logica pattizia”, come spiega il responsabile organizzazione, Massimiliano Smeriglio.
L’ipotesi è di far nascere una “cosa nuova” dotata di proprie regole democratiche, magari di primarie e quindi in grado di competere sul serio nell’agone politico. Insomma, non un partitino del 5-6%.
L’attivismo di Sel, però, potrebbe non essere piaciuto molto a Civati: troppo stretto e repentino l’abbraccio, troppo datata la proposta, avanzata da quest’ultimo, di una leadership della nuova sinistra affidata a Giuliano Pisapia.
Il nome del sindaco di Milano, in realtà, è stato avanzato nei giorni scorsi dal fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari anche se nelle varie anime della sinistra in gestazione nessuno scommette sulla sua figura.
“Serve una nuova generazione” sottolinea Smeriglio che oltre a Civati comprenda tanti validi dirigenti della stessa Sel, come il coordinatore Nicola Fratoianni o il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda.
Per i nomi è ancora presto, però. Prima, bisogna realizzare la “nuova cosa”.
Tutto si metterà in moto dopo le elezioni regionali incaricate di offrire elementi nuovi di analisi.
Civati, ad esempio, si attende molto dal risultato ligure dove il “suo” candidato, Luca Pastori-no è dato dai sondaggi al 20%. Non vincerà ma quella cifra aiuterebbe a misurare le ambizioni sue e dei suoi compagni di viaggio.
Il già candidato alle primarie Pd contro Renzi, spera anche in altri arrivi dal Pd, ad esempio quello di Stefano Fassina o di Alfredo D’Attorre che al momento non si muovono ma che, dopo le Regionali, potrebbero farlo.
C’è poi il ruolo di Sergio Cofferati che si è sentito ieri meno solo nella sua decisione, presa mesi fa, di abbandonare il Pd e che da parlamentare europeo gioca un ruolo non marginale.
LA PARTITA È SOLO all’inizio. I renziani si dicono convinti che Civati non porterà via chissà quale porzione di elettorato rivolgendosi, di fatto, solo a chi ha già abbandonato il Pd.
Scorrendo i commenti sui social network e in calce al suo blog, sembrerebbe proprio così.
A sinistra, però, si intravvedono le prime serie difficoltà del governo che ha trovato un ostacolo imprevisto nella riforma della scuola e che non incrocia nessuna ripresa economica. Le cose possono cambiare, è la speranza.
Chi guarda da lontano, ma con occhio interessato, è anche il M5S che marca stretto le mosse di Civati. Ieri è stato Beppe Grillo a lanciare l’ultima offesa: “Sono mezze calze”.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Sembra che la volontà di far ripartire la sinistra abbia subito l'ennesimo STOP.
Ma non si può ripartire senza tenere conto delle affermazioni di Latouche, e quelle di Francesco degli ultimi mesi.
http://forumisti.mondoforum.com/viewtop ... 638#p39638
Ma non si può ripartire senza tenere conto delle affermazioni di Latouche, e quelle di Francesco degli ultimi mesi.
http://forumisti.mondoforum.com/viewtop ... 638#p39638
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
I termini usati dai media per definire quello che é successo in Spagna é:
TERREMOTO POLITICO, REVOLUCION.
Da noi potremmo dire: MUERTO DE SONNO.
ANSA.it
Mondo
Europa
Spagna, elezioni: Podemos vince a Barcellona
Exit poll contraddittori. Pp in flessione ma resta primo partito
Francesco Cerri
MADRID
25 maggio 2015
00:00
"E' stata una rivoluzione democratica": così la candidata sindaco della coalizione guidata da Podemos vincitrice delle elezioni a Barcellona con il 25,20% e 11 seggi contro il 22,7% e 10 seggi del nazionalista catalano Xavier Trias. Ai suoi simpatizzati esultanti, Colau ha detto che è stata la "vittoria di Davide contro Golia".
La lista della candidata del Pp Esperanza Aguirre arriva prima a Madrid dopo lo spoglio del 96% delle schede con il 34,3% e 21 seggi davanti alla coalizione Ahora Madrid appoggiata da Podemos di Manuela Carmena con il 32% e 20 seggi. Ma una coalizione Podemos-Psoe potrebbe consentire a Carmena di diventare il prossimo sindaco per diversi analisti.
Il risultato delle elezioni di oggi "segna l'inizio della fine del bipartitismo" in Spagna ha detto il leader di Podemos, Pablo Iglesias. Pp e Psoe "hanno registrato uno dei peggiori risultati della loro storia" e "il cambiamento ora è irreversibile". Alle politiche di novembre Podemos, ha annunciato, "sfiderà il Pp" per il governo del paese.
Prime ore convulse in Spagna dopo la chiusura delle urne per le amministrative e regionali che vedevano per la prima volta i movimenti post-indignados all' assalto del bipartitismo Pp-Psoe. Primi exit poll contraddittori che fanno prevedere una possibile vittoria di Podemos a Madrid, feudo dei popolari da 20 anni, e a Barcellona. Il Pp del premier Mariano Rajoy rimarrebbe il primo partito del paese, ma in netta flessione, al 27% (contro il 44,63% del 2011) davanti al Psoe, che resterebbe il secondo con il 25%, mentre Podemos e Ciudadanos, partiti da zero, si impiantano a livello nazionale con il 10% e il 7%. Podemos arriverebbe primo anche a Saragozza, mentre a Valencia sarebbe in testa il Pp, ma senza maggioranza assoluta. Un trampolino nelle istituzioni per affrontare le elezioni 'vere', le politiche di novembre, che decideranno il governo del paese. Il Partido Popular di Rajoy arriva in testa in 11 delle 13 regioni in cui si è votato oggi. Ma tutti le indicazioni fanno prevedere ovunque la fine dell'era delle maggioranze assolute. Nelle regioni come nella principali città del paese. Ma l'attenzione è concentrata sulle battaglie di Madrid e Barcellona. Due exit su tre, di TeleMadrid e di Forta, danno la vittoria alle due coalizioni formate attorno a Podemos, Ahora Madrid con l'ex-giudice Manuela Carmena, e Barcelona en Comu di Ada Colau, sulla candidata sindaco del Pp Esperanza Aguirre nella capitale e sull'uscente il nazionalista catalano Xavier Trias a Barcellona. Un terzo, di Antena3, dà il risultato contrario. I numeri sono comunque di importanza relativa nella corsa per il controllo delle due più grandi città. In assenza di maggioranza assoluta le liste dovranno cercare di formare coalizioni. Una situazione che dovrebbe avvantaggiare Podemos, che potrebbe contare sull'appoggio del Psoe e di Ciudadanos. "Il più difficile", prevedeva La Vanguardia questa mattina, "inizierà domani", con le trattative fra le liste, fra 'vecchi' e 'nuovi' partiti. "Da domenica sera nulla sarà più come prima nella politica spagnola, prevedeva ieri El Mundo. Il sistema del bipartitismo Pp-Psoe, che hanno governato il paese in alternanza dalla fine del franchismo, sembra definitivamente superato per cedere il posto ad un paesaggio politico molto più frammentato, a quattro grandi attori. Il Pp di Rajoy, se le prime indicazioni saranno confermate, si salva a livello nazionale ma, con la possibile perdita di Madrid, sua roccaforte da 20 anni, subisce un colpo durissimo. La posizione del giovane leader del Psoe, Sanchez, superato nella capitale e a Barcellona da Podemos, potrebbe farsi difficile. Mentre per il partito post-indignados l'annunciato successo a Madrid e Barcellona sembra confermare la bontà della strategia scelta dal leader Pablo Iglesias, di aderire a coalizioni più ampie e di aprire verso l'elettorato moderato in vista delle politiche e del vero assalto al potere. Inoltre avanza anche il secondo partito del nuovo, Ciudadanos, su posizioni liberal-alternative. Il movimento di Albert Rivera, pronto a trattative sia con il Pp sia con Podemos e Psoe, potrebbe rivelarsi l'ago della bilancia per la formazione di maggioranze di governo in molte città e regioni del paese.
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TERREMOTO POLITICO, REVOLUCION.
Da noi potremmo dire: MUERTO DE SONNO.
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Spagna, elezioni: Podemos vince a Barcellona
Exit poll contraddittori. Pp in flessione ma resta primo partito
Francesco Cerri
MADRID
25 maggio 2015
00:00
"E' stata una rivoluzione democratica": così la candidata sindaco della coalizione guidata da Podemos vincitrice delle elezioni a Barcellona con il 25,20% e 11 seggi contro il 22,7% e 10 seggi del nazionalista catalano Xavier Trias. Ai suoi simpatizzati esultanti, Colau ha detto che è stata la "vittoria di Davide contro Golia".
La lista della candidata del Pp Esperanza Aguirre arriva prima a Madrid dopo lo spoglio del 96% delle schede con il 34,3% e 21 seggi davanti alla coalizione Ahora Madrid appoggiata da Podemos di Manuela Carmena con il 32% e 20 seggi. Ma una coalizione Podemos-Psoe potrebbe consentire a Carmena di diventare il prossimo sindaco per diversi analisti.
Il risultato delle elezioni di oggi "segna l'inizio della fine del bipartitismo" in Spagna ha detto il leader di Podemos, Pablo Iglesias. Pp e Psoe "hanno registrato uno dei peggiori risultati della loro storia" e "il cambiamento ora è irreversibile". Alle politiche di novembre Podemos, ha annunciato, "sfiderà il Pp" per il governo del paese.
Prime ore convulse in Spagna dopo la chiusura delle urne per le amministrative e regionali che vedevano per la prima volta i movimenti post-indignados all' assalto del bipartitismo Pp-Psoe. Primi exit poll contraddittori che fanno prevedere una possibile vittoria di Podemos a Madrid, feudo dei popolari da 20 anni, e a Barcellona. Il Pp del premier Mariano Rajoy rimarrebbe il primo partito del paese, ma in netta flessione, al 27% (contro il 44,63% del 2011) davanti al Psoe, che resterebbe il secondo con il 25%, mentre Podemos e Ciudadanos, partiti da zero, si impiantano a livello nazionale con il 10% e il 7%. Podemos arriverebbe primo anche a Saragozza, mentre a Valencia sarebbe in testa il Pp, ma senza maggioranza assoluta. Un trampolino nelle istituzioni per affrontare le elezioni 'vere', le politiche di novembre, che decideranno il governo del paese. Il Partido Popular di Rajoy arriva in testa in 11 delle 13 regioni in cui si è votato oggi. Ma tutti le indicazioni fanno prevedere ovunque la fine dell'era delle maggioranze assolute. Nelle regioni come nella principali città del paese. Ma l'attenzione è concentrata sulle battaglie di Madrid e Barcellona. Due exit su tre, di TeleMadrid e di Forta, danno la vittoria alle due coalizioni formate attorno a Podemos, Ahora Madrid con l'ex-giudice Manuela Carmena, e Barcelona en Comu di Ada Colau, sulla candidata sindaco del Pp Esperanza Aguirre nella capitale e sull'uscente il nazionalista catalano Xavier Trias a Barcellona. Un terzo, di Antena3, dà il risultato contrario. I numeri sono comunque di importanza relativa nella corsa per il controllo delle due più grandi città. In assenza di maggioranza assoluta le liste dovranno cercare di formare coalizioni. Una situazione che dovrebbe avvantaggiare Podemos, che potrebbe contare sull'appoggio del Psoe e di Ciudadanos. "Il più difficile", prevedeva La Vanguardia questa mattina, "inizierà domani", con le trattative fra le liste, fra 'vecchi' e 'nuovi' partiti. "Da domenica sera nulla sarà più come prima nella politica spagnola, prevedeva ieri El Mundo. Il sistema del bipartitismo Pp-Psoe, che hanno governato il paese in alternanza dalla fine del franchismo, sembra definitivamente superato per cedere il posto ad un paesaggio politico molto più frammentato, a quattro grandi attori. Il Pp di Rajoy, se le prime indicazioni saranno confermate, si salva a livello nazionale ma, con la possibile perdita di Madrid, sua roccaforte da 20 anni, subisce un colpo durissimo. La posizione del giovane leader del Psoe, Sanchez, superato nella capitale e a Barcellona da Podemos, potrebbe farsi difficile. Mentre per il partito post-indignados l'annunciato successo a Madrid e Barcellona sembra confermare la bontà della strategia scelta dal leader Pablo Iglesias, di aderire a coalizioni più ampie e di aprire verso l'elettorato moderato in vista delle politiche e del vero assalto al potere. Inoltre avanza anche il secondo partito del nuovo, Ciudadanos, su posizioni liberal-alternative. Il movimento di Albert Rivera, pronto a trattative sia con il Pp sia con Podemos e Psoe, potrebbe rivelarsi l'ago della bilancia per la formazione di maggioranze di governo in molte città e regioni del paese.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Podemos, ascesa dei ‘grillini spagnoli’. Figli dell’anticasta, ma di sinistra
Da una trentina di attivisti al 28% delle intenzioni di voto, davanti a PP e Psoe. Nascita e sviluppo del partito nato dagli Indignados e guidato da Pablo Iglesias, che cita Gramsci e il populismo argentino
di Salvatore Cannavò | 26 dicembre 2014
“La retribuzione netta mensile dei parlamentari europei di Podemos sarà, come massimo, tre volte il salario minimo intercategoriale spagnolo (645 euro). Ad oggi sono 14 mensilità da 1.935 euro”. Così si leggeva, lo scorso aprile, sulla Carta dei candidati di Podemos per le elezioni europee, un “decalogo” degli impegni dei candidati della giovane, allora, formazione politica spagnola che alle europee di maggio ha ottenuto, sorprendentemente, 5 deputati europei con l’8% dei voti. Arrivati a Strasburgo i parlamentari del Movimento 5Stelle sono rimasti spiazzati da un impegno così radicale che loro non erano stati in grado di assumere.
Il confronto aiuta a capire come la spinta dal basso che ha dato origine al movimento di Grillo in Italia esista anche in altri paesi. In Spagna ha preso le sembianze, giovani e movimentiste, di un’organizzazione che lo scorso novembre era accreditata del 28,3% dei voti, davanti agli storici partiti spagnoli, Pp e Psoe, quindi in grado di vincere le elezioni. In otto mesi Podemos, da una trentina di attivisti riunitisi in una libreria al centro di Madrid, è arrivata a circa 300 mila iscritti e si sta preparando alle elezioni a colpi di democrazia, partecipazione e programmi di cambiamento radicale (vedi il libro di Giacomo Russo Spena e Matteo Pucciarelli).
Figli dell’anticasta. Per spiegare quanto è accaduto bisogna ricorrere a una parola spagnola ormai nota a tutti: indignados. Quando a settembre è venuto in Italia, il giovane attivista di Podemos, Miguel Urban, uno dei protagonisti del libro di Pucciarelli e Russo Spena, lo ha spiegato con nettezza: “Podemos è figlia del movimento degli indignados: noi veniamo dal basso per sconfiggere l’alto”. Oltre le tradizionali linee di fratture cui ci ha abituato la politica del Novecento -destra/sinistra, lavoro/capitale ma anche ecologia/profitti – negli ultimi anni si è affermata un’altra polarizzazione. Quella che contrappone la calle, la strada, “il popolo” e i governanti, chiunque essi siano.
Gli slogan del movimento degli indignados erano già indicativi: Demoracia real ya, Democrazia reale, ora gridato da un luogo mutato dalla Primavera egiziana, l’accampamento, l’acampada. Alla Puerta del Sol madrilena la sera del 15 maggio quando nacque il movimento 15M, le tende furono allestite da una trentina di persone ma a poco a poco diventarono migliaia. L’immagine fece il giro del mondo, ispirò altre mobilitazioni, costruirono una tendenza. Le mobilitazioni spagnole non otterranno risultati immediati ma produrranno un senso comune diffuso che si diffonde nella società. Le iniziative del movimento 15M si moltiplicano a livello locale, la perdita di legittimità dei partiti di governo si allarga a macchia d’olio. E si inizia a non fare più differenza tra destra e sinistra. Le accuse di aver tradito il popolo e di aver fatto gli interessi solo della grande finanza vengono rivolte sia al Partito popular di Mariano Rajoy che al Psoe, oggi diretto dalla “camicia bianca” di Pedro Sanchez.
La crisi si è abbattuta violentemente sulla Spagna che ha visto schizzare la disoccupazione a oltre il 26% nel 2013 (quest’anno è scesa al 23) e ha assistito inerte all’esplosione della bolla speculativa sull’immobiliare. La recessione si è mescolata agli scandali: nel 2013 è l’Infanta Crisitina a essere accusata di appropriazione indebita per milioni di euro mentre alla Caja Madrid scoppia lo scandalo delle carte di credito generose ai consiglieri e manager dell’istituto . La Caja fa anche parte di un’azienda, la Bankia, per salvare la quale la Spagna ha dovuto sborsare 23 miliardi di euro. Il circolo vizioso tra politica, affari, finanza e impoverimento di milioni di persone è evidente. E il sistema politico diviene il bersaglio principale.
Il caso italiano, Prodi e la casta. Qualcosa del genere è accaduto anche in Italia. Quando Grillo lancia il suo V-Day, nel 2007, il centrosinistra è da poco riuscito a tornare al governo sconfiggendo Silvio Berlusconi ma la sua azione si rivela subito deludente. Non è un caso che quello sia lo stesso anno in cui si affermano libri come La Casta di Sergio Rizzo e Gianantonio Stella oppure Se li conosci, li eviti di Peter Gomez e Marco Travaglio, che puntano il dito proprio sull’inadeguatezza della politica italiana. In Italia, però, anche per effetto delle scelte di Grillo e Casaleggio, il M5S si tiene alla larga da posizioni di sinistra più o meno movimentista. In parte è comprensibile: partiti come Rifondazione comunista si sono mescolati alla gestione fallimentare dei governi di centrosinistra fino al paradosso di Fausto Bertinotti, ormai archiviato come uno dei simboli della “casta”.
Podemos, invece, anche per effetto della pervasività del movimento 15M compie una scelta diversa. Con il suo leader, Pablo Iglesias, parlantina sciolta e codino lungo, da dove deriva il soprannome el coleta, è professore universitario ma diviene celebre come conduttore televisivo. Insieme a pochi altri intuisce che c’è uno spazio politico molto ampio da riempire. Lo fa senza il timore di mescolare ideologicamente Antonio Gramsci e il filosofo argentino Ernesto Laclau, analista del peronismo e teorico del populismo di sinistra.
Il leaderismo di “el coleta”. Lo fa con un’impostazione leaderistica. Al congresso di Podemos, quando deve rintuzzare le critiche degli oppositori interni, che propongono di eleggere tre portavoce invece di un segretario generale, risponde che “tre segretari generali non vincono le elezioni contro Rajoy e Sanchez, uno solo sì”. L’atteggiamento è spavaldo, si vede da come conduce i lavori congressuali, molto sicuro di sé e del proprio fiuto politico. Però, allo stesso tempo, Podemos si struttura in una forma più o meno democratica, i militanti hanno diritto di parola e di voto, si eleggono gli organismi dirigenti. Si decide con il voto online, altra innovazione importante, e si offre uno strumento a chi vuole far saltare il sistema.
Ma la collocazione a sinistra è chiara. Prima di creare Podemos, Iglesias stava trattando una sua candidatura alle europee con la vecchia formazione di sinistra Izquierda Unida. Quando ancora era un professore sconosciuto si recava a Padova per scrivere un libro come Disobedientes, prefazione di Luca Casarini. Appena eletto europarlamentare, poi, decide di giocare in tandem con Alexis Tsipras, il leader greco spauracchio dei mercati finanziari di mezza europa. Così, ha guadagnato estimatori italiani. A sinistra viene citato da Paolo Ferrero di Rifondazione comunista ma anche da Pippo Civati. In Francia, Jean Luc Melenchon, che ha rappresentato la sinistra alle ultime presidenziali con l’11% dei voti, ha deciso di varare un nuovo movimento ispirandosi a Podemos.
È ammirato anche da aree della sinistra movimentista, dai centri sociali, da intellettuali impegnati. L’Iglesias-mania è tutta da verificare. Di fronte alle nuove responsabilità, Podemos ha varato un programma di governo dal titolo “Un progetto economico per la gente” in cui l’impostazione di fondo è keynesiana anche se non si rinuncia a misure più radicali come la riduzione dell’orario di lavoro o il reddito minimo di cittadinanza (comune al M5S). Ma sull’euro si punta a “ridisegnare” l’Europa per “fare funzionare” la moneta unica, si parla di “flessibilità” del Patto di stabiiltà e di “riforma” della Bce.
L’establishment ha iniziato a temerlo facendo circolare le voci sui rapporti con il Venezuela o, addirittura, con l’Iran. Se dovesse vincere in Spagna, così come Tsipras in Grecia, Podemos modificherebbe il quadro politico europeo. Stando agli ultimi sondaggi, “è possibile”.
da il Fatto Quotidiano del 22 dicembre 2014
------------------------------------------------------------------------a ------
La differenza fondamentale rispetto al M5S è che Podemos in Spagna e Syriza in Grecia fanno le alleanze per governare e se il M5S non comprende che il 51% alle elezioni non lo prenderà mai nessuno si condannerà a un lento declino.
Diversamente il M5S alleandosi con una nuova formazione di centrosinistra oggi avrebbe già la maggioranza.
Da una trentina di attivisti al 28% delle intenzioni di voto, davanti a PP e Psoe. Nascita e sviluppo del partito nato dagli Indignados e guidato da Pablo Iglesias, che cita Gramsci e il populismo argentino
di Salvatore Cannavò | 26 dicembre 2014
“La retribuzione netta mensile dei parlamentari europei di Podemos sarà, come massimo, tre volte il salario minimo intercategoriale spagnolo (645 euro). Ad oggi sono 14 mensilità da 1.935 euro”. Così si leggeva, lo scorso aprile, sulla Carta dei candidati di Podemos per le elezioni europee, un “decalogo” degli impegni dei candidati della giovane, allora, formazione politica spagnola che alle europee di maggio ha ottenuto, sorprendentemente, 5 deputati europei con l’8% dei voti. Arrivati a Strasburgo i parlamentari del Movimento 5Stelle sono rimasti spiazzati da un impegno così radicale che loro non erano stati in grado di assumere.
Il confronto aiuta a capire come la spinta dal basso che ha dato origine al movimento di Grillo in Italia esista anche in altri paesi. In Spagna ha preso le sembianze, giovani e movimentiste, di un’organizzazione che lo scorso novembre era accreditata del 28,3% dei voti, davanti agli storici partiti spagnoli, Pp e Psoe, quindi in grado di vincere le elezioni. In otto mesi Podemos, da una trentina di attivisti riunitisi in una libreria al centro di Madrid, è arrivata a circa 300 mila iscritti e si sta preparando alle elezioni a colpi di democrazia, partecipazione e programmi di cambiamento radicale (vedi il libro di Giacomo Russo Spena e Matteo Pucciarelli).
Figli dell’anticasta. Per spiegare quanto è accaduto bisogna ricorrere a una parola spagnola ormai nota a tutti: indignados. Quando a settembre è venuto in Italia, il giovane attivista di Podemos, Miguel Urban, uno dei protagonisti del libro di Pucciarelli e Russo Spena, lo ha spiegato con nettezza: “Podemos è figlia del movimento degli indignados: noi veniamo dal basso per sconfiggere l’alto”. Oltre le tradizionali linee di fratture cui ci ha abituato la politica del Novecento -destra/sinistra, lavoro/capitale ma anche ecologia/profitti – negli ultimi anni si è affermata un’altra polarizzazione. Quella che contrappone la calle, la strada, “il popolo” e i governanti, chiunque essi siano.
Gli slogan del movimento degli indignados erano già indicativi: Demoracia real ya, Democrazia reale, ora gridato da un luogo mutato dalla Primavera egiziana, l’accampamento, l’acampada. Alla Puerta del Sol madrilena la sera del 15 maggio quando nacque il movimento 15M, le tende furono allestite da una trentina di persone ma a poco a poco diventarono migliaia. L’immagine fece il giro del mondo, ispirò altre mobilitazioni, costruirono una tendenza. Le mobilitazioni spagnole non otterranno risultati immediati ma produrranno un senso comune diffuso che si diffonde nella società. Le iniziative del movimento 15M si moltiplicano a livello locale, la perdita di legittimità dei partiti di governo si allarga a macchia d’olio. E si inizia a non fare più differenza tra destra e sinistra. Le accuse di aver tradito il popolo e di aver fatto gli interessi solo della grande finanza vengono rivolte sia al Partito popular di Mariano Rajoy che al Psoe, oggi diretto dalla “camicia bianca” di Pedro Sanchez.
La crisi si è abbattuta violentemente sulla Spagna che ha visto schizzare la disoccupazione a oltre il 26% nel 2013 (quest’anno è scesa al 23) e ha assistito inerte all’esplosione della bolla speculativa sull’immobiliare. La recessione si è mescolata agli scandali: nel 2013 è l’Infanta Crisitina a essere accusata di appropriazione indebita per milioni di euro mentre alla Caja Madrid scoppia lo scandalo delle carte di credito generose ai consiglieri e manager dell’istituto . La Caja fa anche parte di un’azienda, la Bankia, per salvare la quale la Spagna ha dovuto sborsare 23 miliardi di euro. Il circolo vizioso tra politica, affari, finanza e impoverimento di milioni di persone è evidente. E il sistema politico diviene il bersaglio principale.
Il caso italiano, Prodi e la casta. Qualcosa del genere è accaduto anche in Italia. Quando Grillo lancia il suo V-Day, nel 2007, il centrosinistra è da poco riuscito a tornare al governo sconfiggendo Silvio Berlusconi ma la sua azione si rivela subito deludente. Non è un caso che quello sia lo stesso anno in cui si affermano libri come La Casta di Sergio Rizzo e Gianantonio Stella oppure Se li conosci, li eviti di Peter Gomez e Marco Travaglio, che puntano il dito proprio sull’inadeguatezza della politica italiana. In Italia, però, anche per effetto delle scelte di Grillo e Casaleggio, il M5S si tiene alla larga da posizioni di sinistra più o meno movimentista. In parte è comprensibile: partiti come Rifondazione comunista si sono mescolati alla gestione fallimentare dei governi di centrosinistra fino al paradosso di Fausto Bertinotti, ormai archiviato come uno dei simboli della “casta”.
Podemos, invece, anche per effetto della pervasività del movimento 15M compie una scelta diversa. Con il suo leader, Pablo Iglesias, parlantina sciolta e codino lungo, da dove deriva il soprannome el coleta, è professore universitario ma diviene celebre come conduttore televisivo. Insieme a pochi altri intuisce che c’è uno spazio politico molto ampio da riempire. Lo fa senza il timore di mescolare ideologicamente Antonio Gramsci e il filosofo argentino Ernesto Laclau, analista del peronismo e teorico del populismo di sinistra.
Il leaderismo di “el coleta”. Lo fa con un’impostazione leaderistica. Al congresso di Podemos, quando deve rintuzzare le critiche degli oppositori interni, che propongono di eleggere tre portavoce invece di un segretario generale, risponde che “tre segretari generali non vincono le elezioni contro Rajoy e Sanchez, uno solo sì”. L’atteggiamento è spavaldo, si vede da come conduce i lavori congressuali, molto sicuro di sé e del proprio fiuto politico. Però, allo stesso tempo, Podemos si struttura in una forma più o meno democratica, i militanti hanno diritto di parola e di voto, si eleggono gli organismi dirigenti. Si decide con il voto online, altra innovazione importante, e si offre uno strumento a chi vuole far saltare il sistema.
Ma la collocazione a sinistra è chiara. Prima di creare Podemos, Iglesias stava trattando una sua candidatura alle europee con la vecchia formazione di sinistra Izquierda Unida. Quando ancora era un professore sconosciuto si recava a Padova per scrivere un libro come Disobedientes, prefazione di Luca Casarini. Appena eletto europarlamentare, poi, decide di giocare in tandem con Alexis Tsipras, il leader greco spauracchio dei mercati finanziari di mezza europa. Così, ha guadagnato estimatori italiani. A sinistra viene citato da Paolo Ferrero di Rifondazione comunista ma anche da Pippo Civati. In Francia, Jean Luc Melenchon, che ha rappresentato la sinistra alle ultime presidenziali con l’11% dei voti, ha deciso di varare un nuovo movimento ispirandosi a Podemos.
È ammirato anche da aree della sinistra movimentista, dai centri sociali, da intellettuali impegnati. L’Iglesias-mania è tutta da verificare. Di fronte alle nuove responsabilità, Podemos ha varato un programma di governo dal titolo “Un progetto economico per la gente” in cui l’impostazione di fondo è keynesiana anche se non si rinuncia a misure più radicali come la riduzione dell’orario di lavoro o il reddito minimo di cittadinanza (comune al M5S). Ma sull’euro si punta a “ridisegnare” l’Europa per “fare funzionare” la moneta unica, si parla di “flessibilità” del Patto di stabiiltà e di “riforma” della Bce.
L’establishment ha iniziato a temerlo facendo circolare le voci sui rapporti con il Venezuela o, addirittura, con l’Iran. Se dovesse vincere in Spagna, così come Tsipras in Grecia, Podemos modificherebbe il quadro politico europeo. Stando agli ultimi sondaggi, “è possibile”.
da il Fatto Quotidiano del 22 dicembre 2014
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La differenza fondamentale rispetto al M5S è che Podemos in Spagna e Syriza in Grecia fanno le alleanze per governare e se il M5S non comprende che il 51% alle elezioni non lo prenderà mai nessuno si condannerà a un lento declino.
Diversamente il M5S alleandosi con una nuova formazione di centrosinistra oggi avrebbe già la maggioranza.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Concordo pienamente, purtroppo il M5S non farà mai alleanze e quindi i suoi voti rimarranno congelati a favore del parolaio di turno.iospero ha scritto:Podemos, ascesa dei ‘grillini spagnoli’. Figli dell’anticasta, ma di sinistra
Da una trentina di attivisti al 28% delle intenzioni di voto, davanti a PP e Psoe. Nascita e sviluppo del partito nato dagli Indignados e guidato da Pablo Iglesias, che cita Gramsci e il populismo argentino
di Salvatore Cannavò | 26 dicembre 2014
“La retribuzione netta mensile dei parlamentari europei di Podemos sarà, come massimo, tre volte il salario minimo intercategoriale spagnolo (645 euro). Ad oggi sono 14 mensilità da 1.935 euro”. Così si leggeva, lo scorso aprile, sulla Carta dei candidati di Podemos per le elezioni europee, un “decalogo” degli impegni dei candidati della giovane, allora, formazione politica spagnola che alle europee di maggio ha ottenuto, sorprendentemente, 5 deputati europei con l’8% dei voti. Arrivati a Strasburgo i parlamentari del Movimento 5Stelle sono rimasti spiazzati da un impegno così radicale che loro non erano stati in grado di assumere.
Il confronto aiuta a capire come la spinta dal basso che ha dato origine al movimento di Grillo in Italia esista anche in altri paesi. In Spagna ha preso le sembianze, giovani e movimentiste, di un’organizzazione che lo scorso novembre era accreditata del 28,3% dei voti, davanti agli storici partiti spagnoli, Pp e Psoe, quindi in grado di vincere le elezioni. In otto mesi Podemos, da una trentina di attivisti riunitisi in una libreria al centro di Madrid, è arrivata a circa 300 mila iscritti e si sta preparando alle elezioni a colpi di democrazia, partecipazione e programmi di cambiamento radicale (vedi il libro di Giacomo Russo Spena e Matteo Pucciarelli).
Figli dell’anticasta. Per spiegare quanto è accaduto bisogna ricorrere a una parola spagnola ormai nota a tutti: indignados. Quando a settembre è venuto in Italia, il giovane attivista di Podemos, Miguel Urban, uno dei protagonisti del libro di Pucciarelli e Russo Spena, lo ha spiegato con nettezza: “Podemos è figlia del movimento degli indignados: noi veniamo dal basso per sconfiggere l’alto”. Oltre le tradizionali linee di fratture cui ci ha abituato la politica del Novecento -destra/sinistra, lavoro/capitale ma anche ecologia/profitti – negli ultimi anni si è affermata un’altra polarizzazione. Quella che contrappone la calle, la strada, “il popolo” e i governanti, chiunque essi siano.
Gli slogan del movimento degli indignados erano già indicativi: Demoracia real ya, Democrazia reale, ora gridato da un luogo mutato dalla Primavera egiziana, l’accampamento, l’acampada. Alla Puerta del Sol madrilena la sera del 15 maggio quando nacque il movimento 15M, le tende furono allestite da una trentina di persone ma a poco a poco diventarono migliaia. L’immagine fece il giro del mondo, ispirò altre mobilitazioni, costruirono una tendenza. Le mobilitazioni spagnole non otterranno risultati immediati ma produrranno un senso comune diffuso che si diffonde nella società. Le iniziative del movimento 15M si moltiplicano a livello locale, la perdita di legittimità dei partiti di governo si allarga a macchia d’olio. E si inizia a non fare più differenza tra destra e sinistra. Le accuse di aver tradito il popolo e di aver fatto gli interessi solo della grande finanza vengono rivolte sia al Partito popular di Mariano Rajoy che al Psoe, oggi diretto dalla “camicia bianca” di Pedro Sanchez.
La crisi si è abbattuta violentemente sulla Spagna che ha visto schizzare la disoccupazione a oltre il 26% nel 2013 (quest’anno è scesa al 23) e ha assistito inerte all’esplosione della bolla speculativa sull’immobiliare. La recessione si è mescolata agli scandali: nel 2013 è l’Infanta Crisitina a essere accusata di appropriazione indebita per milioni di euro mentre alla Caja Madrid scoppia lo scandalo delle carte di credito generose ai consiglieri e manager dell’istituto . La Caja fa anche parte di un’azienda, la Bankia, per salvare la quale la Spagna ha dovuto sborsare 23 miliardi di euro. Il circolo vizioso tra politica, affari, finanza e impoverimento di milioni di persone è evidente. E il sistema politico diviene il bersaglio principale.
Il caso italiano, Prodi e la casta. Qualcosa del genere è accaduto anche in Italia. Quando Grillo lancia il suo V-Day, nel 2007, il centrosinistra è da poco riuscito a tornare al governo sconfiggendo Silvio Berlusconi ma la sua azione si rivela subito deludente. Non è un caso che quello sia lo stesso anno in cui si affermano libri come La Casta di Sergio Rizzo e Gianantonio Stella oppure Se li conosci, li eviti di Peter Gomez e Marco Travaglio, che puntano il dito proprio sull’inadeguatezza della politica italiana. In Italia, però, anche per effetto delle scelte di Grillo e Casaleggio, il M5S si tiene alla larga da posizioni di sinistra più o meno movimentista. In parte è comprensibile: partiti come Rifondazione comunista si sono mescolati alla gestione fallimentare dei governi di centrosinistra fino al paradosso di Fausto Bertinotti, ormai archiviato come uno dei simboli della “casta”.
Podemos, invece, anche per effetto della pervasività del movimento 15M compie una scelta diversa. Con il suo leader, Pablo Iglesias, parlantina sciolta e codino lungo, da dove deriva il soprannome el coleta, è professore universitario ma diviene celebre come conduttore televisivo. Insieme a pochi altri intuisce che c’è uno spazio politico molto ampio da riempire. Lo fa senza il timore di mescolare ideologicamente Antonio Gramsci e il filosofo argentino Ernesto Laclau, analista del peronismo e teorico del populismo di sinistra.
Il leaderismo di “el coleta”. Lo fa con un’impostazione leaderistica. Al congresso di Podemos, quando deve rintuzzare le critiche degli oppositori interni, che propongono di eleggere tre portavoce invece di un segretario generale, risponde che “tre segretari generali non vincono le elezioni contro Rajoy e Sanchez, uno solo sì”. L’atteggiamento è spavaldo, si vede da come conduce i lavori congressuali, molto sicuro di sé e del proprio fiuto politico. Però, allo stesso tempo, Podemos si struttura in una forma più o meno democratica, i militanti hanno diritto di parola e di voto, si eleggono gli organismi dirigenti. Si decide con il voto online, altra innovazione importante, e si offre uno strumento a chi vuole far saltare il sistema.
Ma la collocazione a sinistra è chiara. Prima di creare Podemos, Iglesias stava trattando una sua candidatura alle europee con la vecchia formazione di sinistra Izquierda Unida. Quando ancora era un professore sconosciuto si recava a Padova per scrivere un libro come Disobedientes, prefazione di Luca Casarini. Appena eletto europarlamentare, poi, decide di giocare in tandem con Alexis Tsipras, il leader greco spauracchio dei mercati finanziari di mezza europa. Così, ha guadagnato estimatori italiani. A sinistra viene citato da Paolo Ferrero di Rifondazione comunista ma anche da Pippo Civati. In Francia, Jean Luc Melenchon, che ha rappresentato la sinistra alle ultime presidenziali con l’11% dei voti, ha deciso di varare un nuovo movimento ispirandosi a Podemos.
È ammirato anche da aree della sinistra movimentista, dai centri sociali, da intellettuali impegnati. L’Iglesias-mania è tutta da verificare. Di fronte alle nuove responsabilità, Podemos ha varato un programma di governo dal titolo “Un progetto economico per la gente” in cui l’impostazione di fondo è keynesiana anche se non si rinuncia a misure più radicali come la riduzione dell’orario di lavoro o il reddito minimo di cittadinanza (comune al M5S). Ma sull’euro si punta a “ridisegnare” l’Europa per “fare funzionare” la moneta unica, si parla di “flessibilità” del Patto di stabiiltà e di “riforma” della Bce.
L’establishment ha iniziato a temerlo facendo circolare le voci sui rapporti con il Venezuela o, addirittura, con l’Iran. Se dovesse vincere in Spagna, così come Tsipras in Grecia, Podemos modificherebbe il quadro politico europeo. Stando agli ultimi sondaggi, “è possibile”.
da il Fatto Quotidiano del 22 dicembre 2014
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La differenza fondamentale rispetto al M5S è che Podemos in Spagna e Syriza in Grecia fanno le alleanze per governare e se il M5S non comprende che il 51% alle elezioni non lo prenderà mai nessuno si condannerà a un lento declino.
Diversamente il M5S alleandosi con una nuova formazione di centrosinistra oggi avrebbe già la maggioranza.
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