Ma che EUROPA UNITA è questa?

E' il luogo della libera circolazione delle idee "a ruota libera"
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soloo42001
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Re: Ma che EUROPA UNITA è questa?

Messaggio da soloo42001 »

Un audit, sul modello di quello greco, va istituito al più presto anche per il debito pubblico italiano che ha sfondato la soglia dei 2.200 miliardi di euro. Per ripagarlo stanno distruggendo lo Stato sociale, i diritti dei lavoratori, la scuola e svendendo tutti gli asset strategici italiani. Dopo la Grecia, i prossimi siamo noi. Prepariamoci. Non possiamo morire di debito. Non possiamo morire per l'euro. Potere al popolo, non alle banche!

Ecco appunto.
Come volevasi dimostrare.

Non una parola una su:
- sprechi PA
- irresponsabilità PA
- raddrizzare la PA
- elusione
- evasione
- corruzione
- mafie
- piano industrial

L'unico slogan, ripetuto fino allo sfinimento, è non pagare il debito.
Colpa dell'Euro.
Piano di uscita.

Almeno lo mostrassero poi questo "piano d'uscita".
Qual è?
Quello di Tsipras?
Farsi congelare i beni di 55 milioni di italiani, ridurre "er popolo"
alla fame per poi sbragare?

I grillini.
Come i leghisti 20 anni fa quando parlavano della secessione e del dio Po.

Tanto cialtroni quanto inconcludenti.


soloo42001
iospero
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Re: Ma che EUROPA UNITA è questa?

Messaggio da iospero »

soloo42001 ha scritto:
Un audit, sul modello di quello greco, va istituito al più presto anche per il debito pubblico italiano che ha sfondato la soglia dei 2.200 miliardi di euro. Per ripagarlo stanno distruggendo lo Stato sociale, i diritti dei lavoratori, la scuola e svendendo tutti gli asset strategici italiani. Dopo la Grecia, i prossimi siamo noi. Prepariamoci. Non possiamo morire di debito. Non possiamo morire per l'euro. Potere al popolo, non alle banche!

Ecco appunto.
Come volevasi dimostrare.

Non una parola una su:
- sprechi PA
- irresponsabilità PA
- raddrizzare la PA
- elusione
- evasione
- corruzione
- mafie
- piano industrial

L'unico slogan, ripetuto fino allo sfinimento, è non pagare il debito.
Colpa dell'Euro.
Piano di uscita.

Almeno lo mostrassero poi questo "piano d'uscita".
Qual è?
Quello di Tsipras?
Farsi congelare i beni di 55 milioni di italiani, ridurre "er popolo"
alla fame per poi sbragare?

I grillini.
Come i leghisti 20 anni fa quando parlavano della secessione e del dio Po.

Tanto cialtroni quanto inconcludenti.


soloo42001
Non una parola una su: sprechi PA, irresponsabilità PA, raddrizzare la PA, elusione, evasione. corruzione,
mafie, piano industriale


Giustissimo, son tutte cose più che condivisibili che bisogna affrontare con determinazione, ma ciò non cambia per niente che le attuali regole e trattati europei favoriscano gli stati più forti a danno di quelli più deboli.
Ne consegue che gli stati più deboli devono chiaramente mettere ordine in casa propria, ma nello stesso tempo preparare una strategia che , nel caso in cui i trattati non si vogliono cambiare per favorire una crescita anche dei più deboli senza il mantra dell'austerity , permetta di sganciarsi da questa Europa e
e dia la possibilità ai cittadini di scegliersi da chi e come farsi governare.
Per la Germania per l'Europa tutta sarebbe una grave sconfitta e dimostrarebbe una scarsa visione geopolitica degli attuali capi di stato
iospero
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Re: Ma che EUROPA UNITA è questa?

Messaggio da iospero »

IlFattoQuotidiano.it / Economia & Lobby / Economia

Bollette, in Inghilterra liberalizzazione non funziona. “Servono tetti a prezzi”

L'Antitrust britannico chiede che sia stabilito un limite massimo alle offerte più costose, perché il mercato continua a penalizzare gli utenti: negli ultimi 10 anni i prezzi dell'elettricità per le famiglie sono aumentati del 75% e quelli del gas del 125%. In Italia le associazioni consumatori colgono la palla al balzo per ribadire che la maggior tutela non va eliminata come invece prevede il ddl concorrenza
di Elena Veronelli | 17 luglio 2015

Il risultato è che tra il 2009 e il 2013 le società hanno guadagnato 1,2 miliardi di sterline l’anno in più di quanto, secondo l’Antitrust, fosse legittimo. Il tutto alla luce del sole, senza violare alcuna norma.


_______________________ ______________ _______________________________

Elettricità, gas, acqua sono beni comuni sui quali non è concepibile fare così lauti guadagni anche in una società semiliberale
iospero
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Re: Ma che EUROPA UNITA è questa?

Messaggio da iospero »

Fuori dall’Euro c’è l’Europa (e la democrazia)
Rodolfo Ricci

http://cambiailmondo.org/2015/07/16/fuo ... emocrazia/

articolo lungo e interessante che si conclude così :

Ciò può corroborare l’ipotesi che la classe dirigente tedesca, nella sua stragrande maggioranza, si comporti da tempo con una visione di medio-lungo periodo che usa l’Euro come testa di ariete per conquistare l’egemonia nel continente ed emanciparsi progressivamente dalla subalternità tedesca agli USA.

Se il risultato egemonico in Europa è conseguibile, l’abbandono dello stretto rapporto con gli Usa sarà una conseguenza naturale e si aprirebbero scenari di nuove e libere relazioni verso l’oriente russo,nell’ottica storica che la Germania ha sempre privilegiato, cioè da quello di una superiore potenza non solo economica. Cosa non proprio auspicabile neanche per la Russia, in questi termini, come insegna la vicenda ucraina. Anche se il Nord-Stream li collega come un cordone ombelicale e Gerard Schroeder siede nel board di Gazprom.

Quindi agli USA non conviene affatto che la Grecia esca dall’Eurozona (al di là del rischio che questo paese cada nell’orbita Russa o cinese). Ciò che deve essere scongiurato è una liberazione dell’Europa in generale e a guida esclusivamente tedesca in particolare. O comunque predilige uno status di permanente debolezza del continente. Anche per questo, il FMI, dopo decenni di rigore assoluto, adesso è pronto a tagliare il debito greco in quanto insostenibile.

Che fine farebbe, in questo scenario, un’opzione di uscita dall’Euro in versione euro-mediterranea ? Può apparire un’impresa di isifo, ma andrebbe incontro ad alcuni elementi di riequilibrio che potrebbero far comodo a molti: innanzitutto agli USA e alla Russia, i quali entrambi potrebbero vedere ridotte le ambizioni tedesche di un’Europa egemonizzata dall’aquila imperiale. Un quarto polo del sud Europa cooperante con Africa e Medio Oriente, in cui sia presente la Francia, potrebbe costituire un elemento di riequilibrio e di pace. Un suo patto di cooperazione con l’America Latina e i BRICS, aprirebbe ulteriori spazi.

Le relazioni tra sud e nord Europa non avrebbero che da ristabilirsi su un piano paritario e di reciproco rispetto. La politica tornerebbe ad imporsi fuori dagli steccati del neoliberismo e la democrazia potrebbe essere salvata, insieme all’Europa.
iospero
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Re: Ma che EUROPA UNITA è questa?

Messaggio da iospero »

da Micromega
Brancaccio: “Serve un piano B, la sinistra impari dall’errore di Tsipras”

Per l’economista la debacle greca insegna che bisogna mettere da parte la retorica europeista e globalista e predisporre una visione alternativa, un “nuovo internazionalismo del lavoro”. E sulla Grexit replica al premier ellenico che ha denunciato il mancato aiuto di Stati Uniti, Russia e Cina: “Se vero, significa che i grandi attori del mondo hanno scelto di non interferire più di tanto negli affari europei, lasceranno che l’Unione monetaria imploda per le sue contraddizioni interne”.

alla fine dell'intervista

Lei ha più volte evocato il pericolo che un eventuale tracollo del progetto europeo trovi le sinistre impreparate e dia la stura a una nuova stagione politica di ultradestra. La parabola di Tsipras rischia di creare un grande disorientamento nella sinistra europea, da Podemos in Spagna, allo Sinn Fein in Irlanda fino alla nascente “coalizione sociale” in Italia. Quale insegnamento politico si può trarre dalle vicende della sinistra greca?

Che se davvero si vuol governare in questi tempi durissimi bisogna metter da parte la retorica europeista e globalista e occorre predisporre almeno un “piano B”. Servirebbe una nuova visione, io lo chiamo “nuovo internazionalismo del lavoro”, che favorisca i rapporti economici tra paesi che rispettino determinati standard sociali e introduca invece qualche limite agli scambi con quei paesi che pur di accumulare surplus verso l’estero insistono con una perniciosa politica deflazionista, fatta di schiacciamento dei salari e depressione della domanda interna. Si tratta di un lavoro complesso, non so dire se ci siano le condizioni oggettive per avviarlo. Credo tuttavia che sarebbe uno dei tasselli necessari per arginare l’onda montante di una nuova miscela di destra, fatta di liberismo e xenofobia, che mieterà sempre più consensi con l’inasprirsi delle contraddizioni interne all’Unione.

______________________ _________________________________

Secondo me questa è la strada da prendere al più presto, altrimenti la sinistra europea si perde in un mare di parole.
E' chiaro che le classi più agiate dovranno fare qualche sacrificio, ma finalmente il lavoro e i lavoratori dovrebbero acquistare una dignità perduta in questo mondo neoliberista.

(16 luglio 2015)
camillobenso
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Re: Ma che EUROPA UNITA è questa?

Messaggio da camillobenso »

Eccapirai.......................proprio lui che accetta consigli,.........................................................e poi,........da un incapace.....................



Enrico Letta: “Tre gravi errori e l'Europa sta morendo”

L´ex Presidente del Consiglio dà un consiglio a Renzi: “L'Italia deve farsi paladina del superamento del vero problema di questi anni: aver fatto l'unione monetaria e non quella politico-culturale. E' giunto il momento di smetterla di giocare di rimessa per iniziare ad attaccare”
di Luca Steinman
17 luglio 2015



“Noi italiani abbiamo un'eterno problema di credibilità. Non siamo a posto con i compiti e i conti, e siamo ricattabili per problemi interni. Ciò non toglie che l'Italia dovrebbe fare sentire la propria voce più decisamente, perché se l’Europa salta a perderci siamo soprattutto noi”. Parola di Enrico Letta. L'ex premier, attualmente professore alla Grande Ecole Science Po di Parigi, è rientrato in Italia per partecipare ad un forum internazionale sull'Euro organizzato dal Centro Italo-Tedesco Villa Vigoni .


E all'Espresso ha raccontato la sua visione dell'Europa, Che è drammatica e a rischio di implosione.
(gufetto pure lui???? - ndt)

La crisi Greca ha fatto emergere le diverse culture, ma anche il diverso concetto di democrazia fra gli stati Ue.
“Sono molto preoccupato. Stiamo mettendo a rischio l'intero progetto con scelte che hanno portato alla rinascita degli stereotipi nazionalisti e affossato l`idea di Europa tra i popoli. Alla base di tutto ciò ci sono alcune decisioni, prese negli ultimi cinque anni, che hanno messo al centro i governi nazionali e marginalizzato le istituzioni comunitarie, compromettendo così l´idea stessa di popolo europeo”.

Possiamo parlare di errori nel processo di integrazione europea?
“Sì, errori. Il primo, grave, è stato affidarsi al Consiglio Europeo, che ha oggi un ruolo centrale. E' il luogo in cui sono rappresentati i capi di stato e di governo che, volendo promuovere i rispettivi interessi nazionali, hanno incentivato la rinascita degli Stati nazionali. La Commissione e il Parlamento sono stati messi ai margini e con essi tutta la Ue. Si è instaurata una gerarchia tra i paesi membri che vede i forti dominare su quelli deboli e la Germania egemone. Il secondo errore è stato affidarsi al Fondo Monetario Internazionale quando scoppiò la crisi greca. È stato il segno che l´Europa non credeva in se stessa. Non vi fu nessun tentativo di risolvere la questione in una logica di unione federale, come avviene nel resto del mondo. Se saltassero i conti pubblici del Texas o del Western Australia mai Washington o Canberra farebbe intervenire l'Fmi. Chiamandolo in causa si è deciso di marginalizzare l´Europa. Dal quel momento è andato tutto male, perché l’intervento esterno nel salvataggio ha ulteriormente messo ai margini la Commissione e tutti gli altri organismi.
Il terzo grave errore lo abbiamo visto durante le trattative con la Grecia, in cui ancora una volta è mancata la Commissione europea. Hanno trattato la Germania e la Francia e ciò certifica che la situazione attuale è solo l'inizio del declino della Ue. Se un paese come la Grecia viene salvato in una trattativa quasi privata con la Germania diventa inevitabile che prevalgano gli interessi tedeschi. Pur avendo evitato la Grexit lo si è fatto viaggiando sui binari sbagliati. L'esito è oggi drammaticamente negativo e mi fa temere fortemente per la tenuta dell'Unione Europea”.

Schäuble ha criticato aspramente la posizione del Fmi favorevole, come gli Stati uniti, a concedere un taglio del debito. Gli Usa temono che la Grexit possa portare Atene sotto l´influenza russa?
“Se ciò non si è ancora verificato lo dobbiamo alla Merkel che ha salvato una situazione che stava degenerando. Se la Grecia fosse uscita il danno sarebbe stato enorme e avrebbe creato una profonda ferita, che avrebbe innescato una fortissima reazione anti-tedesca negli Stati del sud. La cosa sorprendente è che tra i tedeschi non c’è consapevolezza di questo loro ruolo dominante, che è invece diffusa altrove”.

Qual è la sua opinione sulla leadership tedesca?
“La questione chiave è che la Germania ha assunto un ruolo di egemonia riluttante in Europa. L'egemonia la si deve al fatto che il paese più forte marginalizza gli altri, il che è estremamente negativo. La riluttanza è altrettanto negativa, in quanto i tedeschi non utilizzano la propria forza per promuovere gli interessi comuni di tutta la Ue. Lo vediamo in materia di politica estera comunitaria, dove la Germania non ha mai avuto e non vuole assumersi responsabilità che vadano oltre il mero interesse nazionale. Dobbiamo ammettere che in Europa c'è un problema tedesco: la prima cosa da fare per evitare la rinascita dei nazionalismi è riconoscere che una questione tedesca esiste e che noi dobbiamo aiutarli a uscire da questa empasse”.

Le pressioni della Ue sul governo greco sono paragonabili a quelle esercitate sul governo italiano nel 2011 e che portarono all'uscita di scena di Berlusconi? Vi furono pressioni internazionali anche su di lei quando Renzi prese il suo posto?
“No, la mia vicenda riguarda solo giochi interni al Pd, cose che riguardano esclusivamente la politica italiana e non quella europea. Per quanto riguarda le analogie tra le pressioni subite dalla Grecia e quelle subite dall'Italia si potrebbe dire che Varoufakis è come Berlusconi”.

Perché Renzi fa fatica ad essere preso in considerazione dai partner europei, nonostante l’Italia sia tra i fondatori della Ue e dell´Euro?
“Noi italiani abbiamo un'eterno problema di credibilità. Non siamo a posto con i compiti e i conti, e siamo ricattabili per problemi interni. Ciò non toglie che l'Italia dovrebbe fare sentire la propria voce più decisamente, perché se l’Europa salta a perderci siamo soprattutto noi. Dovremmo riconoscere che l´Europa cosi com'è non funziona più ed è invisa ai popoli e a noi stessi. Bisogna fare qualcosa: o un passo avanti o un passo indietro. Andare indietro significherebbe nazionalizzare, il che sarebbe una linea legittima anche se sbagliatissima. Io sono per fare un passo avanti, cioè teorizzare e implementare una integrazione federale completa dei paesi dell’Euro. L'Italia deve farsi paladina del superamento del vero problema di questi anni, ossia quello di avere fatto l´unione monetaria e non quella politico-culturale. E´ giunto il momento di smetterla di giocare di rimessa per iniziare ad attaccare aiutando i tedeschi”.

Il primo passo da fare per aiutare i tedeschi?
“Favorire l´integrazione culturale tra noi e loro. A causa della sua mancanza vedo un drammatico indebolimento nei rapporti tra Italia e Germania, che solo vent'anni fa erano fortissimi. È un grande guaio averli buttati via per motivi politici. L’aiuto che la cultura italiana può dare alla Germania è fondamentale per fare sì che la naturale intesa intellettuale tra i due popoli sia declinata in chiave positiva per tutta l’Europa. L’impegno dell'Italia a fare uscire la Germania da questo grande blocco sarebbe una grande vittoria per tutta l'Europa.”
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http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... =HEF_RULLO
iospero
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Re: Ma che EUROPA UNITA è questa?

Messaggio da iospero »

Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro

presentazione dell'eBook edito da MicroMega (scaricabile gratuitamente qui)

Mercoledì 22 luglio, ore 15.30

Sala dell'Istituto di Santa Maria in Aquiro, piazza Capranica 72 - Senato della Repubblica, Roma

Il Crs - Centro Riforma per lo Stato promuove un confronto tra gli studiosi e i parlamentari per discutere della proposta contenuta nel libro. Si tratta della possibilità di rilanciare l'economia italiana con una manovra monetaria e fiscale espansiva e democratica, decisa autonomamente dal Parlamento e dal governo italiano, senza tuttavia contravvenire i trattati e i regolamenti vigenti nell'eurozona. E' possibile istituire una nuova Moneta Fiscale per fare crescere l'economia italiana soffocata dalla mancanza di ossigeno monetario?

Saranno presenti i curatori del libro Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini, Stefano Sylos Labini e Luciano Gallino, autore della prefazione e promotore dell'appello sulla Moneta Fiscale.

Intervengono: Paolo Guerrieri, Stefano Fassina, Danilo Barbi, Emiliano Brancaccio, Salvo Spagano, studiosi, esperti e parlamentari. Modera il dibattito Giacomo Russo Spena

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Ritengo che altrettanto sia valido per tutti i paesi deboli dell'Europa e insieme c'è la possibilità di
avere dei risultati più efficaci
.
pancho
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Iscritto il: 21/02/2012, 19:25

Re: Ma che EUROPA UNITA è questa?

Messaggio da pancho »

Brancaccio: “Serve un piano B, la sinistra impari dall’errore di Tsipras”

Per l’economista la debacle greca insegna che bisogna mettere da parte la retorica europeista e globalista e predisporre una visione alternativa, un “nuovo internazionalismo del lavoro”. E sulla Grexit replica al premier ellenico che ha denunciato il mancato aiuto di Stati Uniti, Russia e Cina: “Se vero, significa che i grandi attori del mondo hanno scelto di non interferire più di tanto negli affari europei, lasceranno che l’Unione monetaria imploda per le sue contraddizioni interne”.

intervista a Emiliano Brancaccio di Giacomo Russo Spena

«È inutile negarlo, il governo e il parlamento greco hanno capitolato, gli apologeti dell’austerity hanno vinto anche stavolta. È l’ennesima prova che nella zona euro, purtroppo, le cose vanno come avevamo previsto». I renziani metterebbero anche lui nel girone dei ‘gufi’ ma l’economista Emiliano Brancaccio preferisce un’espressione più raffinata: «In questi anni, nostro malgrado, in tanti abbiamo indossato i panni delle Cassandre che allertano sui guai che verranno ma restano inascoltati». I media in questi giorni hanno ricordato le lettere pubblicate sul Sole 24 Ore nel 2010 e sul Financial Times nel 2013 con cui Brancaccio e altri colleghi segnalavano come le ricette di austerità, flessibilità del lavoro e schiacciamento dei salari avrebbero provocato disastri, aggravando la posizione dei Paesi debitori e rendendo sempre meno sostenibile l’assetto dell’eurozona.

Professore, alla vigilia delle ultime elezioni europee Lei rifiutò una candidatura a capolista dell’Altra Europa con Tsipras. Adesso che il leader ellenico ha accettato l’ultimatum dei creditori, in molti – scendendo repentinamente dal carro del vincitore – sono tornati sulla sua scelta di allora, ritenendola lungimirante. È veramente così?

È un modo malizioso di interpretare quella mia decisione. All’epoca rifiutai la candidatura per ragioni professionali, non politiche. È vero tuttavia che fin dall’inizio dell’ascesa di Tsipras ho criticato l’idea che una vittoria della sinistra in Grecia potesse imprimere una reale svolta agli indirizzi di politica economica dell’Unione. Tsipras ha contribuito ad alimentare questa speranza, e oggi ne paga le conseguenze. Ma dovremmo anche riconoscere che lo stesso sogno velleitario permea da anni larghissima parte della sinistra europea: prendersela solo con il premier greco sarebbe poco onesto. Il suo tracollo dovrebbe piuttosto avviare una riflessione collettiva sull’assenza, in tutta la sinistra, di una visione sufficientemente realistica degli attuali rapporti di forza tra i Paesi membri dell’Unione e dei conflitti intercapitalistici che esprimono.

C’è qualcosa che Lei imputa specificamente alla condotta di Tsipras degli ultimi giorni?

Credo sia stato sorpreso dalla dimensione della vittoria del “no” al referendum. Nonostante le banche chiuse e il bombardamento mediatico a favore del “sì”, con estrema lucidità la netta maggioranza dei cittadini greci ha respinto l’accordo capestro proposto dai creditori, lasciando al governo il compito di gestire tutte le possibili conseguenze. Ripeto: tutte. Quando Tsipras ha affermato che nemmeno l’esito referendario lo autorizzava a contemplare l’ipotesi di uscita della Grecia dall’euro, francamente mi è parso un giudizio fuori luogo. La verità è che il popolo greco era ormai pronto a tutto. Il governo no.

L’ex ministro delle Finanze Varoufakis, ora l’anti Tsipras all’interno di Syriza, ha dichiarato che a suo avviso bisognava “minacciare la Grexit” nella trattativa con le Istituzioni. Contemporaneamente però ha affermato che un vero “piano B” di uscita non era stato approntato e che sarebbe stato complicato anche organizzare la stampa e la diffusione delle nuove banconote. Che ne pensa?

Stimo Varoufakis come studioso, ma questa idea che un’uscita dall’euro possa esser bloccata da problemi pratici, come la stampa delle banconote, è priva di aderenza ai fatti. Decenni di pratica della politica monetaria indicano che questi aspetti strettamente operativi sono del tutto secondari. Posto che ci si organizzi per assumere un sufficiente controllo della macchina amministrativa e soprattutto della banca centrale, si possono affrontare in un tempo relativamente breve.

Però Lei stesso ha più volte affermato che per la Grecia l’abbandono della moneta unica avrebbe presentato importanti difficoltà.

Certo, ma mi riferivo ai nodi chiave del problema, che sono di ordine macroeconomico. Con altri colleghi abbiamo cercato di spiegare che nella situazione gravissima in cui versa l’economia greca un’uscita dall’euro e una svalutazione, accompagnate presumibilmente da un minimo di politica espansiva, avrebbero comportato, per un periodo non breve, un aumento del valore delle importazioni e quindi dell’indebitamento verso l’estero.
La Grecia, dunque, avrebbe avuto bisogno di un sostegno finanziario esterno di due o tre anni per gestire la transizione dalla vecchia alla nuova moneta.
L’altro giorno, in un’intervista rilasciata alla tv pubblica greca, Tsipras ha dichiarato di aver incontrato i rappresentanti di Stati Uniti, Russia e Cina, e che nessuno di essi ha garantito un aiuto se la Grecia fosse tornata alla dracma. Se il premier greco ha detto il vero, questo sarebbe uno dei punti cruciali dell’intera vicenda. Significherebbe che i grandi attori del mondo hanno scelto di non interferire più di tanto negli affari europei: lasceranno che l’Unione monetaria imploda per le sue contraddizioni interne.

Ma perché l’Unione dovrebbe implodere? Dopotutto i greci sono stati rimessi in riga. Non è una riprova delle capacità di tenuta politica dell’eurozona?

La tenuta politica del progetto europeo è minata dall’insostenibilità economica dei debiti. Anche il FMI ormai riconosce che il debito di Atene è insostenibile. Ma il problema non si limita alla Grecia. Basti notare che in tutti i paesi debitori i tassi d’interesse eccedono sistematicamente i tassi di crescita del Pil: per il 2015 la differenza attesa è di oltre un punto in Spagna, di due punti in Portogallo, di quasi tre punti in Italia e di oltre tre punti in Grecia. Questo significa che il rapporto tra debito e Pil è destinato a crescere in tutto il Sud Europa. E’ il risultato di una politica della Bce che non riduce abbastanza i tassi d’interesse, e di una politica di bilancio che resta ancorata alla dottrina dell’austerity e continua pertanto a deprimere la crescita della produzione. Di questo passo le contraddizioni tra creditori e debitori sono destinate a crescere ulteriormente, fino a esplodere.

Proprio il FMI insiste con la necessità di tagliare il debito della Grecia e l’Italia e la Francia gli si accodano. La Germania e gli altri creditori però si oppongono. È realistica la prospettiva di una rinegoziazione del debito greco?

Finché i Paesi del Sud Europa restano nell’euro, ai creditori non conviene avviare una rinegoziazione. Le cose cambiano però se un paese decide di uscire. Prendiamo ad esempio la bozza dell’Eurogruppo che riportava la proposta di Schauble di favorire un’uscita della Grecia dall’euro. Il ministro tedesco ha voluto inserire nel documento un passo in apparenza sorprendente, in cui si affermava che se i greci fossero tornati alla dracma sarebbe stato possibile avviare una rinegoziazione del debito. Cioè proprio la rinegoziazione che la Germania vuole negare ai paesi che restano nell’euro.

Come si spiega questa apertura?

Schauble e i creditori temono che, una volta abbandonata l’eurozona, un Paese possa decidere di denominare nella nuova moneta svalutata anche i debiti, incurante della legislazione sotto cui siano stati emessi. La lunga storia dei default sovrani ci dice che questa eventualità è più probabile di quanto alcuni analisti che oggi vanno per la maggiore siano capaci di riconoscere. Agitando la carota della rinegoziazione Schauble vorrebbe convincere i paesi che abbandonassero l’Unione a mantenere i debiti in euro. Ma non è detto che ci riesca. Con quella postilla Schauble ha rivelato uno dei punti deboli dei creditori: il rischio di trovarsi con debiti fortemente svalutati se l’eurozona salta per aria.

Lei ha più volte evocato il pericolo che un eventuale tracollo del progetto europeo trovi le sinistre impreparate e dia la stura a una nuova stagione politica di ultradestra. La parabola di Tsipras rischia di creare un grande disorientamento nella sinistra europea, da Podemos in Spagna, allo Sinn Fein in Irlanda fino alla nascente “coalizione sociale” in Italia. Quale insegnamento politico si può trarre dalle vicende della sinistra greca?

Che se davvero si vuol governare in questi tempi durissimi bisogna metter da parte la retorica europeista e globalista e occorre predisporre almeno un “piano B”. Servirebbe una nuova visione, io lo chiamo “nuovo internazionalismo del lavoro”, che favorisca i rapporti economici tra paesi che rispettino determinati standard sociali e introduca invece qualche limite agli scambi con quei paesi che pur di accumulare surplus verso l’estero insistono con una perniciosa politica deflazionista, fatta di schiacciamento dei salari e depressione della domanda interna. Si tratta di un lavoro complesso, non so dire se ci siano le condizioni oggettive per avviarlo. Credo tuttavia che sarebbe uno dei tasselli necessari per arginare l’onda montante di una nuova miscela di destra, fatta di liberismo e xenofobia, che mieterà sempre più consensi con l’inasprirsi delle contraddizioni interne all’Unione.
http://temi.repubblica.it/micromega-onl ... %E2%80%9D/
(16 luglio 2015)

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Tutto questo mette proprio in evidenza la mancanza di una sinistra europea vera che definisca la proprie linee politiche da contrapporre alle attuali liberiste.
Fino a che' non sara' in grado di farlo, queste scellerate decisioni si ripresenteranno ancora e puo' succedere che possano essere anche peggiori.
Un'internazionalismo europeo sul lavoro deve assolutamente essere nelle agende di queste sinistra se non vogliono capitolare di fronte ad una una nuova ondata xenofoba, nazionalista e di estrema destra.


un salutone
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
iospero
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Re: Ma che EUROPA UNITA è questa?

Messaggio da iospero »

IlFattoQuotidiano.it / BLOG / di Samuele Mazzolini


Sinistra europea: il ritorno alle vie nazionali per emanciparsi dall’austerità


A seguito della capitolazione greca di fronte all’attacco europeo guidato da Angela Merkel, non è abbastanza limitarsi a constatare, sia pure con un fondo di amarezza, che almeno gli attori principali di questo dramma moderno hanno deposto le proprie maschere e svelato fino in fondo, senza più ambagi, la loro identità. D’accordo: ora persino i più moderati iniziano a dubitare dei pacchetti di austerità, storcono il naso di fronte al deficit democratico dell’Europa, si domandano se il ruolo giocato dalla Germania non sia effettivamente quello di una potenza neo-bismarkiana e mercantilista pronta a sopraffare un paese della periferia europea che chiede appena un briciolo di sensatezza economica. Ma se è vero che l’esempio di Tsipras ha aperto una breccia generando maggior coscienza presso l’opinione pubblica europea, è altrettanto evidente non basta l’affermazione del principio per consolare le ferite di una guerra persa. Il prossimo passo non può quindi essere che quello di riflettere sui limiti delle strategie attuali per rilanciare con maggior efficacia la lotta alle misure di austerità.

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Facendo un passo indietro, possiamo suddividere analiticamente la questione della strategia in due ampie categorie, il prima e il dopo la conquista degli apparati statali, tappa necessaria per quanto non sufficiente ad intraprendere il cammino del cambiamento. Su questo primo punto, Syriza e Podemos forniscono lezioni non trascurabili al resto delle sinistre europee. Sebbene i due partiti abbiano genesi dissimili, è possibile ricondurre la loro popolarità a una serie di innovazioni speculari sul piano delle pratiche. L’inasprimento dell’antagonismo costruito su una contrapposizione noi/loro, la capacità di articolare una pluralità di rivendicazioni sociali esistenti, la semplificazione del linguaggio e l’enfasi sulla passione e il carisma sono alcuni degli elementi che contraddistinguono la loro politica. In altre parole, Syriza e Podemos prendono come punto di partenza elementi del senso comune, non già nella forma di un loro apprezzamento statico, bensì come trampolino per muovere una sfida contro-egemonica al sistema attuale che possa far breccia sulle grandi maggioranze.

L’esempio di Podemos è quello che calza di più con lo scenario italiano per il simile discredito in cui è caduto il repertorio simbolico della sinistra. Tuttavia, la differenza con ciò che sta accadendo in Italia è notevole. Mentre Pablo Iglesias, leader di Podemos, ha da poco escluso un ritorno al vecchio frontismo politicista, rifiutando in vista delle prossime elezioni qualsiasi accordo con l’equivalente di Sel (o Rifondazione) spagnolo, in Italia le frattaglie della sinistra danno cenni di volersi ricompattare in un nuovo polpettone indigesto ai più. Notiamo la differenza: l’intenzione di Podemos è piuttosto quella di creare una maggioranza trasversale, capace di agglutinare settori sociali diversi e che magari nel passato avevano votato anche molto diversamente, intorno a un’identificazione esteriore comune, quale il rifiuto dei piani di austerità e lo sdegno anti-casta. Per questa operazione è necessario fare ricorso a nuove metafore che possano spiegare meglio la situazione attuale e indurre processi di revisione delle lealtà politiche pre-esistenti.

Si inizia già a intravedere una caratteristica fondamentale del discorso di Podemos: il simbolismo dispiegato è di carattere nettamente nazionale. Infatti, solamente all’interno di un terreno nazionale -e non genericamente europeista o cosmopolitico- è possibile creare una nuova volontà collettiva di senso ugualitario, capace di cementare solidarietà tra soggettività eterogenee. Da noi, l’infausta riproposizione di leader che hanno fatto scelte sbagliate, o tuttalpiù dei loro giovani caporaletti, del tutto contigui in quanto a cultura politica, non può invece portare ad alcun cambiamento: si tratta di un bacino politico-culturale incapace di pensare oltre una serie di schemi di ispirazione vagamente europeista e razionalista che non godono di alcuna capacità di seduzione politica maggioritaria.

Ma è sul dopo-elezioni che le recenti vicende greche gettano luci importanti. Anche su questo versante si ripropone la contraddizione tra via nazionale e miraggio europeista. Nei fatti, la gabbia dell’Euro non ha dato scampo: o obbedite o interrompiamo liquidità e finanziamenti, questa la minaccia di fondo. La Commissione Europea, che pure ha giocato un ruolo chiave nell’ideazione e implementazione di politiche economiche recessive, è stata nell’occasione greca sovrastata da un Eurogruppo che sulla carta non esiste, ma il cui potere reale è stato ancora più penetrante. Più in generale, la tecnocrazia europea agisce sulla base di una giurisdizione ispirata perlopiù dagli interessi -peraltro non sempre necessariamente armoniosi- del capitale finanziario e delle elites tedesche. Si tratta di un intricato coacervo di norme e corpi di governance sedimentati negli ultimi decenni il cui orientamento politico di fondo è realisticamente impossibile da invertire.

Conviene in questo senso domandarsi quanto la fedeltà europeista del gruppo dirigente di Syriza abbia giovato ad affrontare la situazione con il necessario realismo politico. La tara dell’europeismo di sinistra si riscontra proprio nell’idealizzazione dei processi di integrazione e nell’incapacità di riuscire a pensare ad alternative al di fuori di essi. Le alternative non mancherebbero se non fossero scartate a priori da infondati scenari di apocalissi inflazionistiche e derive scioviniste. Piuttosto, dovrebbe essere ormai lampante che il ruolo giocato dell’Europa politica in questa congiuntura storica ha definitivamente acquisito una dimensione regressiva e anti-democratica e che prospettive eurocomuniste o di una ‘nuova Europa sociale’ hanno una rilevanza politica trascurabile in virtù della loro stessa impraticabilità.

L’ideologia europeista che contamina ampi segmenti della sinistra europea va superata. I processi di emancipazione dall’austerità non possono che procedere inizialmente su binari nazionali in quanto gli unici che verosimilmente permettono di riconquistare spazi di potere popolare e capaci di riscoprire un concetto intrinsecamente democratico e a lungo trascurato dalla sinistra, quello della sovranità. Coordinare la resistenza ai diktat finanziari a livello europeo non può che giungere in un secondo momento: prima di allora non si starà facendo altro che porre il carro davanti ai buoi.

@mazzuele

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L’ideologia europeista che contamina ampi segmenti della sinistra europea va superata
Io non sarei affatto dello stesso parere anzi ritengo che i paesi europei che riescono a esprimere una maggioranza contro questa Europa dell'austerità debbano concordare una linea comune da apporre alla Germania e company e come afferma Brancaccio e altri istituire una nuova Moneta Fiscale per fare crescere l'economia

E qui nel Forum cosa ne pensate?
camillobenso
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Re: Ma che EUROPA UNITA è questa?

Messaggio da camillobenso »

iospero ha scritto:IlFattoQuotidiano.it / BLOG / di Samuele Mazzolini


Sinistra europea: il ritorno alle vie nazionali per emanciparsi dall’austerità


A seguito della capitolazione greca di fronte all’attacco europeo guidato da Angela Merkel, non è abbastanza limitarsi a constatare, sia pure con un fondo di amarezza, che almeno gli attori principali di questo dramma moderno hanno deposto le proprie maschere e svelato fino in fondo, senza più ambagi, la loro identità. D’accordo: ora persino i più moderati iniziano a dubitare dei pacchetti di austerità, storcono il naso di fronte al deficit democratico dell’Europa, si domandano se il ruolo giocato dalla Germania non sia effettivamente quello di una potenza neo-bismarkiana e mercantilista pronta a sopraffare un paese della periferia europea che chiede appena un briciolo di sensatezza economica. Ma se è vero che l’esempio di Tsipras ha aperto una breccia generando maggior coscienza presso l’opinione pubblica europea, è altrettanto evidente non basta l’affermazione del principio per consolare le ferite di una guerra persa. Il prossimo passo non può quindi essere che quello di riflettere sui limiti delle strategie attuali per rilanciare con maggior efficacia la lotta alle misure di austerità.

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Facendo un passo indietro, possiamo suddividere analiticamente la questione della strategia in due ampie categorie, il prima e il dopo la conquista degli apparati statali, tappa necessaria per quanto non sufficiente ad intraprendere il cammino del cambiamento. Su questo primo punto, Syriza e Podemos forniscono lezioni non trascurabili al resto delle sinistre europee. Sebbene i due partiti abbiano genesi dissimili, è possibile ricondurre la loro popolarità a una serie di innovazioni speculari sul piano delle pratiche. L’inasprimento dell’antagonismo costruito su una contrapposizione noi/loro, la capacità di articolare una pluralità di rivendicazioni sociali esistenti, la semplificazione del linguaggio e l’enfasi sulla passione e il carisma sono alcuni degli elementi che contraddistinguono la loro politica. In altre parole, Syriza e Podemos prendono come punto di partenza elementi del senso comune, non già nella forma di un loro apprezzamento statico, bensì come trampolino per muovere una sfida contro-egemonica al sistema attuale che possa far breccia sulle grandi maggioranze.

L’esempio di Podemos è quello che calza di più con lo scenario italiano per il simile discredito in cui è caduto il repertorio simbolico della sinistra. Tuttavia, la differenza con ciò che sta accadendo in Italia è notevole. Mentre Pablo Iglesias, leader di Podemos, ha da poco escluso un ritorno al vecchio frontismo politicista, rifiutando in vista delle prossime elezioni qualsiasi accordo con l’equivalente di Sel (o Rifondazione) spagnolo, in Italia le frattaglie della sinistra danno cenni di volersi ricompattare in un nuovo polpettone indigesto ai più. Notiamo la differenza: l’intenzione di Podemos è piuttosto quella di creare una maggioranza trasversale, capace di agglutinare settori sociali diversi e che magari nel passato avevano votato anche molto diversamente, intorno a un’identificazione esteriore comune, quale il rifiuto dei piani di austerità e lo sdegno anti-casta. Per questa operazione è necessario fare ricorso a nuove metafore che possano spiegare meglio la situazione attuale e indurre processi di revisione delle lealtà politiche pre-esistenti.

Si inizia già a intravedere una caratteristica fondamentale del discorso di Podemos: il simbolismo dispiegato è di carattere nettamente nazionale. Infatti, solamente all’interno di un terreno nazionale -e non genericamente europeista o cosmopolitico- è possibile creare una nuova volontà collettiva di senso ugualitario, capace di cementare solidarietà tra soggettività eterogenee. Da noi, l’infausta riproposizione di leader che hanno fatto scelte sbagliate, o tuttalpiù dei loro giovani caporaletti, del tutto contigui in quanto a cultura politica, non può invece portare ad alcun cambiamento: si tratta di un bacino politico-culturale incapace di pensare oltre una serie di schemi di ispirazione vagamente europeista e razionalista che non godono di alcuna capacità di seduzione politica maggioritaria.

Ma è sul dopo-elezioni che le recenti vicende greche gettano luci importanti. Anche su questo versante si ripropone la contraddizione tra via nazionale e miraggio europeista. Nei fatti, la gabbia dell’Euro non ha dato scampo: o obbedite o interrompiamo liquidità e finanziamenti, questa la minaccia di fondo. La Commissione Europea, che pure ha giocato un ruolo chiave nell’ideazione e implementazione di politiche economiche recessive, è stata nell’occasione greca sovrastata da un Eurogruppo che sulla carta non esiste, ma il cui potere reale è stato ancora più penetrante. Più in generale, la tecnocrazia europea agisce sulla base di una giurisdizione ispirata perlopiù dagli interessi -peraltro non sempre necessariamente armoniosi- del capitale finanziario e delle elites tedesche. Si tratta di un intricato coacervo di norme e corpi di governance sedimentati negli ultimi decenni il cui orientamento politico di fondo è realisticamente impossibile da invertire.

Conviene in questo senso domandarsi quanto la fedeltà europeista del gruppo dirigente di Syriza abbia giovato ad affrontare la situazione con il necessario realismo politico. La tara dell’europeismo di sinistra si riscontra proprio nell’idealizzazione dei processi di integrazione e nell’incapacità di riuscire a pensare ad alternative al di fuori di essi. Le alternative non mancherebbero se non fossero scartate a priori da infondati scenari di apocalissi inflazionistiche e derive scioviniste. Piuttosto, dovrebbe essere ormai lampante che il ruolo giocato dell’Europa politica in questa congiuntura storica ha definitivamente acquisito una dimensione regressiva e anti-democratica e che prospettive eurocomuniste o di una ‘nuova Europa sociale’ hanno una rilevanza politica trascurabile in virtù della loro stessa impraticabilità.

L’ideologia europeista che contamina ampi segmenti della sinistra europea va superata. I processi di emancipazione dall’austerità non possono che procedere inizialmente su binari nazionali in quanto gli unici che verosimilmente permettono di riconquistare spazi di potere popolare e capaci di riscoprire un concetto intrinsecamente democratico e a lungo trascurato dalla sinistra, quello della sovranità. Coordinare la resistenza ai diktat finanziari a livello europeo non può che giungere in un secondo momento: prima di allora non si starà facendo altro che porre il carro davanti ai buoi.

@mazzuele

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L’ideologia europeista che contamina ampi segmenti della sinistra europea va superata
Io non sarei affatto dello stesso parere anzi ritengo che i paesi europei che riescono a esprimere una maggioranza contro questa Europa dell'austerità debbano concordare una linea comune da apporre alla Germania e company e come afferma Brancaccio e altri istituire una nuova Moneta Fiscale per fare crescere l'economia

E qui nel Forum cosa ne pensate?

L’ideologia europeista che contamina ampi segmenti della sinistra europea va superata




Che cos'è: "L'ideologia europeista"????
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